La Voce del Popolo 2011 41

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Ǥ “Non i morti lodano il Signore, né quelli che scendono nel silenzio” (Salmo 115,17). Il mondo ebrai- co misura le cose in modo molto concreto, per cui fatica a pensare che la morte sia passaggio ad una condizione migliore. Di fatto chi muore scende nel silenzio, non ha più le relazioni con gli altri e con il mondo, che da vivo gli riempiva- no l’esistenza. I morti non possono nemmeno lodare Dio, dal momento che noi umani gli diamo lode con i nostri corpi che lavorano, genera- no, amano. Tuttavia, proprio quel Dio che è in alleanza con il suo po- polo ha dato prova di non abban- donare in una situazione desolata coloro che ama; ha liberato dalla schiavitù dell’Egitto, ha ricondotto alla terra dopo l’esperienza dell’esi- lio, continua a sostenere con il suo braccio potente. Possibile, allora, che ci lasci nella morte? La morte, alla quale tutti siamo destinati e che in certo senso è la realtà più naturale che ci sia, di- viene pertanto interrogativo rivol- to a Dio, alla fedeltà del suo amo- re. Scendere nel silenzio, rimane- re nella morte separati da tutto e da tutti, è anzitutto sconfessione dell’alleanza con la quale il Signore si è impegnato a rimanere sempre e comunque il nostro Dio. In parti- colare è inaccettabile che la morte sia l’ultima parola per quanti si mo- strano fedeli, sino al punto di mo- rire martiri per la fede. È la madre dei fratelli Maccabei ad esprimere per la prima volta, in modo chia- ro, la certezza interiore che ai figli, martirizzati sotto i suoi occhi, Dio ridarà la vita: “Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato il respiro e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascu- no di voi. Senza dubbio il Creato- re dell’universo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo il respiro e la vita” (2Maccabei 7,22- 23). Ancor più questo è vero per il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che entra nella morte per fedeltà assoluta al Padre, in una condivisione d’amore con la nostra sorte. Non gli è infatti risparmiata l’esperienza del mori- re e nel modo più tragico possibile; ma non è abbandonato nella morte, il Padre lo risuscita a nuova vita. “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” (Gio- vanni 11,21) dice Marta, protestan- do perché non ha evitato all’amico il dramma della morte; Gesù le fa capire che non ci salva dalla mor- te, ma nella morte. Infatti il Padre, pur non risparmiando la morte al Figlio, lo ha risuscitato e non lascia nella morte neppure noi. Afferma Paolo: “Se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come posso- no dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra pre- dicazione, vuota anche la vostra fe- de” (1Corinzi 15,12-14). Alla luce di questo mistero non è tolto il trauma della morte, tuttavia il morire rice- ve una luce nuova, che nel profon- do ci pacifica con questa dramma- tica esperienza. Con gli occhi della fede ci è possibile scrutare il buio, sentendo che dall’altra parte non c’è il nulla, bensì un abbraccio che ci attende; il buio lo dobbiamo at- traversare, come lo ha attraversato Gesù, ma pieni di speranza. In cer- to senso noi, in questa vita, siamo come il bambino nel grembo della madre; stiamo bene e non vorrem- mo uscire, ma mediante il trauma del parto veniamo alla luce. Un’an- tica tradizione della Chiesa chiama il giorno della morte dies natalis, evento quindi di nascita alla dimen- sione definitiva dell’amore, non di disperata discesa nel gorgo (come dice una poesia di Pavese). Signi- ficativamente celebriamo in due giorni consecutivi i santi e i morti, quasi fossero le due facce dell’uni- ca medaglia; si muore per vivere, in Dio e per sempre. ǯ /$ 92&( '(/ 3232/2 ǡ “Vi voglio tutte belle”: più o meno titolava così – mi dicono i bene informati – una rubrica su una rivista femminile catto- lica che, credo, sia ormai chiusa per riduzione di acquirenti. Tempi duri per la stampa cattolica. “Vi voglio tutti belli/e”: potrebbe esprimersi in questi termini l’invito che il Signore ci rivolge a essere “santi”. Sì, anche se la bellezza fisica colpi- sce, affascina e talora fa perdere anche un po’ la testa a qual- cuno; l’autentica bellezza è quella che viene da Dio, quella che si esprime quando uomo e donna vivono “a immagine e somi- glianza di Dio”. E questa bellezza è portatrice di un fascino che non si attenua col passare degli anni. I santi sono sempre attuali, perché vivono nell’“oggi” di Dio. Come Santa Teresa Eustochio Ver- zeri (memoria il 27 ottobre), che può dire ancora oggi: “Nel Cuore san- tissimo di Gesù troverai tutto. L’amore di Dio, quando prende possesso in un’anima, la trasforma tutta in Dio medesimo”. Perché non crederle? Perché non provare anche noi questa cura trasformante di vera bellezza? E magari, cambiando noi, cambia un poco anche il pezzetto di mondo in cui viviamo… Libia. Le speranze dei cattolici per un futuro democratico San Polo storico. Oratorio: formazione e sana aggregazione ǤǤǤ Ǧ Ǧ ǤǤ Ȁ ȋǤ Ǥ ȀȀ λ Ȍ Ǥǡ ǡ ȋȌ Ǧ ǡ Seminario maggiore. Il clero bresciano e l’Unità d’Italia Europa. Prediche giuste, pulpiti sbagliati Motomondiale. Marco Simoncelli, correre con il cuore Ǥ c si glian non s perché zeri (mem tissimo di Ge unanima, la tra non provare an cambiando noi ǤǤ Dz dzǡ ǡ ǡ ǯ

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Bandita Halloween dagli oratori come “festa pagana”, non viene meno, con qualche rischio, il fascino dell’esoterico soprattutto tra i giovani anche a Brescia

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“Non i morti lodano il Signore, né quelli che scendono nel silenzio” (Salmo 115,17). Il mondo ebrai-co misura le cose in modo molto concreto, per cui fatica a pensare che la morte sia passaggio ad una condizione migliore. Di fatto chi muore scende nel silenzio, non ha più le relazioni con gli altri e con il mondo, che da vivo gli riempiva-no l’esistenza. I morti non possono nemmeno lodare Dio, dal momento che noi umani gli diamo lode con i nostri corpi che lavorano, genera-no, amano. Tuttavia, proprio quel Dio che è in alleanza con il suo po-polo ha dato prova di non abban-donare in una situazione desolata coloro che ama; ha liberato dalla schiavitù dell’Egitto, ha ricondotto alla terra dopo l’esperienza dell’esi-lio, continua a sostenere con il suo braccio potente. Possibile, allora, che ci lasci nella morte? La morte, alla quale tutti siamo destinati e che in certo senso è la realtà più naturale che ci sia, di-viene pertanto interrogativo rivol-to a Dio, alla fedeltà del suo amo-re. Scendere nel silenzio, rimane-re nella morte separati da tutto e da tutti, è anzitutto sconfessione dell’alleanza con la quale il Signore si è impegnato a rimanere sempre e comunque il nostro Dio. In parti-colare è inaccettabile che la morte sia l’ultima parola per quanti si mo-strano fedeli, sino al punto di mo-rire martiri per la fede. È la madre dei fratelli Maccabei ad esprimere per la prima volta, in modo chia-ro, la certezza interiore che ai figli, martirizzati sotto i suoi occhi, Dio ridarà la vita: “Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato il respiro e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascu-no di voi. Senza dubbio il Creato-re dell’universo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo il respiro e la vita” (2Maccabei 7,22-23). Ancor più questo è vero per il

Figlio di Dio, Gesù Cristo, che entra nella morte per fedeltà assoluta al Padre, in una condivisione d’amore con la nostra sorte. Non gli è infatti risparmiata l’esperienza del mori-re e nel modo più tragico possibile; ma non è abbandonato nella morte, il Padre lo risuscita a nuova vita.“Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” (Gio-vanni 11,21) dice Marta, protestan-do perché non ha evitato all’amico il dramma della morte; Gesù le fa capire che non ci salva dalla mor-te, ma nella morte. Infatti il Padre, pur non risparmiando la morte al Figlio, lo ha risuscitato e non lascia nella morte neppure noi. Afferma Paolo: “Se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come posso-no dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra pre-dicazione, vuota anche la vostra fe-de” (1Corinzi 15,12-14). Alla luce di questo mistero non è tolto il trauma della morte, tuttavia il morire rice-ve una luce nuova, che nel profon-do ci pacifica con questa dramma-tica esperienza. Con gli occhi della fede ci è possibile scrutare il buio, sentendo che dall’altra parte non c’è il nulla, bensì un abbraccio che ci attende; il buio lo dobbiamo at-traversare, come lo ha attraversato Gesù, ma pieni di speranza. In cer-to senso noi, in questa vita, siamo come il bambino nel grembo della madre; stiamo bene e non vorrem-mo uscire, ma mediante il trauma del parto veniamo alla luce. Un’an-tica tradizione della Chiesa chiama il giorno della morte dies natalis, evento quindi di nascita alla dimen-sione definitiva dell’amore, non di disperata discesa nel gorgo (come dice una poesia di Pavese). Signi-ficativamente celebriamo in due giorni consecutivi i santi e i morti, quasi fossero le due facce dell’uni-ca medaglia; si muore per vivere, in Dio e per sempre.

“Vi voglio tutte belle”: più o meno titolava così – mi dicono i bene informati – una rubrica su una rivista femminile catto-lica che, credo, sia ormai chiusa per riduzione di acquirenti. Tempi duri per la stampa cattolica. “Vi voglio tutti belli/e”: potrebbe esprimersi in questi termini l’invito che il Signore ci rivolge a essere “santi”. Sì, anche se la bellezza fisica colpi-sce, affascina e talora fa perdere anche un po’ la testa a qual-

cuno; l’autentica bellezza è quella che viene da Dio, quella che si esprime quando uomo e donna vivono “a immagine e somi-

glianza di Dio”. E questa bellezza è portatrice di un fascino che non si attenua col passare degli anni. I santi sono sempre attuali,

perché vivono nell’“oggi” di Dio. Come Santa Teresa Eustochio Ver-zeri (memoria il 27 ottobre), che può dire ancora oggi: “Nel Cuore san-

tissimo di Gesù troverai tutto. L’amore di Dio, quando prende possesso in un’anima, la trasforma tutta in Dio medesimo”. Perché non crederle? Perché non provare anche noi questa cura trasformante di vera bellezza? E magari, cambiando noi, cambia un poco anche il pezzetto di mondo in cui viviamo…

Libia. Le speranze dei cattolici per unfuturo democratico

San Polo storico.Oratorio: formazione e sana aggregazione

Seminario maggiore.Il clero bresciano e l’Unità d’Italia

Europa. Prediche giuste,pulpiti sbagliati

Motomondiale.Marco Simoncelli, correre con il cuore

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a qualche giorno alcune agenzie di pompe fune-bri del Bresciano stanno ricevendo strane rischie-ste. Il loro telefono squilla,

gli operatori rispondono ma dall’altra parte non c’è la voce affranta di chi ha da poco perso un proprio caro e chiama per richiedere tutti i servizi del caso. C’è invece la voce squillan-te di più di un gestore di discoteche che chiede di poter affittare una ba-ra! Dopo qualche secondo di legittimo smarrimento giunge anche la spiega-zione della richiesta bizzarra. Per or-ganizzare al meglio l’imminente festa di Halloween tra il 31 ottobre e l’1 no-vembre è necessaria una scenografia adatta all’evento. Cosa di meglio che piazzare al centro di una discoteca una bella bara? La notizia, che si com-menta da sola, è solo l’ennesima ripro-va di come la società odierna si lasci suggestionare da feste e celebrazioni che nulla hanno a che fare con la no-stra cultura. Più di 10 anni fa l’allora arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini (come si legge in queste pa-gine) aveva fatto sentire la propria voce contro questa deriva, invitando i milanesi (ma più in generale tutti i credenti) a disertare queste feste a vantaggio della riscoperta del culto cristiano dei propri defunti. Gli appel-li del Cardinale, evidentemente, non hanno trovato particolare attenzione, se è vero che la festa di Halloween ha preso sempre più piede, sino ad arri-vare alle richieste di bare ricordate.“Per favore – afferma don Oliviero Faustinoni, responsabile diocesano del servizio pastorale per i movimen-ti religiosi alternativi – smettiamo di definire Halloween una festa. Si tratta semplicemente di un fenomeno che si è imposto violentemente nella no-stra società”. A fare le spese di quella che il sacerdote definisce una mer-

cificazione di Halloween, sarebbero paradossalmente satanisti e stregoni che vedono la notte del 31 ottobre, la notte più importante dell’anno, ri-dotta ad appuntamento di marketing, di puro business. “Eppure – sostiene ancora don Faustinoni, spostando il discorso un po’ più avanti – sette oc-culte, psicosette e gruppi pseudore-ligiosi esultano per la diffusione del fenomeno, convinti come sono che possa essere il terreno fecondo per adescare e reclutare nuovi adepti”. È proprio questa la ragione per cui, se-condo il responsabile della pastorale diocesana per i movimenti religiosi al-ternativi, sarebbe bene che gli oratori,

le parrocchie e le altre agenzie educa-tive tenessero alta la guardia. “C’è un disegno che sta dietro al fenomeno Halloween – ricorda – ed è tutt’altro che innocente e casuale. C’è piuttosto l’intenzione di desacralizzare, di pro-fanare e boicottare la ricorrenza in cui vengono ricordati i martiti, nella celebrazione che anticipa la memoria di tutti i defunti del 2 novembre, ridi-colizzando così il principio cristiano della comunione dei santi”. Non sono molti, però, quelli che avvertono que-sto rischio; pochi si sono resi conto di come nel volgere di un decennio Halloween si sia infiltrato in diversi settori della società. “In tali scenari – afferma al proposito – diventa diffi-cile andare controcorrente e non se-guire questa moda horror”. Guardare con una sorta di accondiscendenza a quello che può sembrare un innocen-te carnevale fuori stagione è per don Faustinoni un atteggiamento sbaglia-to, superficiale, che non tiene conto di alcuni inquietanti dati di fatto. Proprio nel periodo di Halloween si registra, infatti, un incremento di tutti gli affari legati alla magia, aumentano le con-sultazioni di maghi. “Incosciamen-te – sono ancora considerazioni del responsabile diocesano del servizio pastorale per i movimenti religiosi alternativi – si apre la strada a quella dittatura del relativismo che Bene-detto XVI aveva definito come una delle più gravi malattie del nostro tempo”. Per questo don Faustinoni non esita a lanciare un appello: “I genitori e chi non vuole subire que-sta assurda ricorrenza, hanno il do-vere di spiegare cosa sia Halloween ai propri figli perché evitino di subire il fascino di questo fenomeno”. Non farlo, anche se non esiste una relazio-ne provata, potrebbe aprire la porta a fenomeni (ricordati in queste pagine) ben più gravi.

“È una festa estranea alle nostre tradizioni, meglio onorare i defunti”. Così il card.Carlo Maria Martini (nella foto), all’epoca arcivescovo di Milano, criticava le feste di Halloween. Era il 2000 e così bollava il numero sempre più grande di manifestazioni. “Questo tipo di feste – affermava – è estraneo alla nostra tradizione, che ha valori immensi e va tramandata: il culto dei defunti fa parte della nostra storia, è un momento in cui si apre la speranza dell’eternità”.

Halloween è la festa di origine celtica che alla vigilia («Eve») della festa di Tutti i Santi («All Hallows») vede il ritorno delle anime dei morti alla ricerca di corpi vivi da abitare: per ingannarle e ingraziarsele, ci si traveste da spiriti e si offrono dolcetti. L’Arcivescovo di Milano, per contro, invitava a riscoprire le tradizioni: “Visitare le tombe, adornarle di fiori, pregare per i defunti. E capire così che la vita dell’uomo è più dell’esistenza terrena...”.

È ancora don Oliviero Faustinoni a declinare una sorta di mezzo decalogo per aiutare genitori ed educatori a dire no al festeggiamento di Halloween in famiglia e nelle comunità. La prima ra-gione che sconsiglia la partecipazione alle numorese feste a base di zucche, fantasmi e mostri ripugnanti è che le stesse ricondurrebbero a celebrazio-ni sataniche e di stregoneria nel cor-so della quali si svolgerebbero rituali aberranti. Seconda ragione: Hallowe-

en, per i guru dell’occulto, è la grande occasione per adescare nuovi adepti. I ragazzi e i giovani sono i più espo-sti a questo rischio perché sensibili al fascino di particolari eventi festaioli.La terza ragione indicata da don Fau-stinoni è direttamente collegata alla tradizione. “I credenti che partecipano alla festività di Ognissanti – afferma – già il 31 ottobre entrano nella grande solennità von i vespri della liturgia. La famiglia cristiana fa festa ai testimoni

della vita, della speranza, dell’amore.La quarta ragione ha fondamenti più materiali, ma non per questo è meno importante delle altre. “Non aderire all’evento commerciale – ricorda don Faustinoni – contribuisce al fal-limento di questo business. Meglio esporre nelle proprie case i simboli cristiani che ricordano la celebrazio-ne di Tutti i santi”.L’ultima delle cinque regole per de-sistere dalla partecipazione a Hal-

loween proposte dal responsabile diocesano del servizio pastorale per i movimenti religiosi alternativi chia-ma in causa, con i genitori, educato-ri, insegnanti, catechisti, religiosi e sacerdoti che “possono sensibiliz-zare fortemente la società civile e l’opinione pubblica aiutando i bam-bini a sentire l’importanza della festa cristiana, esaltandola e dandole rile-vanza, magari spiegando proprio la vita dei santi”.

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All’anima e al suo destino hanno dedicato riflessioni teologi di fama. Da ultimi il nostro don Giacomo Canobbio, che ha editato un saggio nel 2009 con Morcelliana. Lo ha fatto anche il teologo Vito Mancuso. Credo, infatti, ci sia una relazione tra la percezione dell’anima che vive e che siamo noi e il fascino che l’occulto, il misterioso, il magico esercita su molte persone. Potremmo giustificarne la debolezza, la mancanza di carattere e l’assenza di solidi fondamenti etici, eppure

pare a chi ascolta molte storie di persone che si trovano irretite da mondi esoterici, spiritici o altro, non ne siano esenti nemmeno i credenti. Cristiani con una visione astratta dell’anima, appiattiti su una riduzione razionalistica dell’esito ultimo della vita, e di quelle “ultime cose” che hanno perso smalto persino nella predicazione cristiana, possono diventare facili prede. C’è chi si avvicina par gioco, c’è chi cerca conferme in un contatto con l’aldilà. Certo è che una considerazione

“metaforica” di ciò che più intimamente ci unisce a Dio e che è segno della sua immagine in noi non può che lasciarci in balia di mercanti di falsità, pronti ad approfittare della buona fede soprattutto di chi vive momenti dolorosi nella sua vita. Ecco perché i giorni dei santi e dei morti divengono una sana pedagogia del senso della nostra esistenza. Ci richiamano alle verità essenziali della visione cristiana dell’esistenza tra cui il nostro morire e il nostro vivere in Dio per sempre. (Adriano Bianchi)

Da dove arriva il fenomeno Hallo-ween che i più considerano soltan-to come occasione per fare festa? Le sue radici si trovano in un rito pagano, il Samain, officiato nelle isole britanniche dalle popolazioni celtiche: una sorte di festival della morte in onore delle divinità paga-ne. La notte del Samain, traducibile con “indebolimento dell’estate” se-gnava per i druidi, la casta sacerdo-tale dei celti, il passaggio dall’esta-

te all’inverno in cui il principe delle tenebre avrebbe umiliato il dio sole facendolo ritornare fra le anime dei morti sulla terra per rientrare nei corpi dei vivi. Per allontanare gli spi-riti del male si compivano rituali nei quali era previsto il mascheramen-to con le pelli degli animali uccisi. L’offerta di sacrifici, anche umani, era considerata necessaria per in-graziarsi gli spiriti delle tenebre. I druidi si presentavano con lanterne

realizzate con rape svuotate e inta-gliate a forma di viso al cui interno bruciava una candela. La leggenda si è tramandata nel tempo, anche se con qualche piccola modifica, tanto che i discendenti dei celti per secoli hanno considerato il 31 ottobre co-me occasione in cui ai defunti era concesso di tornare nel mondo dei vivi. Per questo motivo, tradizional-mente, lasciavano acceso il fuoco di casa, la tavola imbandita e la porta

di casa socchiusa. I bambini, poi, passavano di casa in casa chieden-do leccornie che rappresentavano una sorta di offerta ai defunti. An-cora oggi, nei paesi di cultura an-gliosassone (da noi non c’è alcuna ragione storica che giustifichi que-sta usanza, ndr.) i ragazzini bussano alle porte di tutte le case ripetendo la formula innocente di “dolcetto o scherzetto” che si rifà, però, all’ori-ginale maledizione o sacrificio.

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stato ucciso a Sirte il leader libico Muammar Gheddafi. La notizia della sua morte (corredata da immagini crude) ha fatto

il giro del mondo. Il rais era nascosto in una buca e gridava “Non sparate”. Colpito alle gambe, sarebbe poi stato assassinato con un colpo alla testa. Il suo corpo, insieme a quello del figlio Mutassim, dopo essere stato esposto per giorni, è stato sepolto in una lo-calità segreta. La gente ha festeggiato nelle città libiche, appena appresa la notizia. Il Consiglio Atlantico dovreb-be ora riunirsi a livello di rappresen-tanti permanenti per fare il punto sul-la missione in Libia e l’eventuale stop alle operazioni. Numerosi sono i com-menti di cattolici che abitano in Libia, rilanciati dalle agenzie di stampa.“In questo momento più che mai deve farsi strada, da ogni parte, la sincera volontà di assicurare a tutto il Paese tempi davvero nuo-vi, all’insegna di una ritrovata con-cordia sociale”. È questo l’auspicio di mons. Tommaso Caputo, nunzio apostolico in Libia e a Malta “Nel momento in cui si pone mano alla ricostruzione del Paese, a tutti i li-velli – ha affermato–, a cominciare dall’assetto statale, l’obiettivo di una riconciliazione nazionale appare co-me la possibilità alla quale legare l’esigenza di una giustizia sociale e del rispetto della dignità di ogni

tore di Caritas Libia, fiducioso sul futuro della Libia e la nuova diri-genza del Cnt (Consiglio nazionale di transizione). “Penso – sono sue considerazioni – che potranno mar-care una differenza rispetto al vec-chio regime, per mostrare un volto nuovo della Libia, rendendola un Paese democratico e libero”. Più critico è stato invece il commen-to alla morte di Gheddafi rilasciato da mons. Maroun Lahham, arcive-scovo di Tunisi, “È troppo presto per dire come cambierà la situa-zione – ha affermato –. La Libia non è una nazione con un unico

persona, come premesse essenzia-li per un ordinato ed equo sviluppo sociale”. Speranze anche tra i cat-tolici di Tripoli, appena appresa la notizia. “È la fine di un incubo” ha affermato Alan Archebuche, diret-

Continua a salire il numero delle vit-time del terremoto di magnitudo 7.2 che il 23 ottobre ha colpito la parte su-dest della Turchia, la provincia di Van: bilanci non ufficiali parlano di quasi 500 morti e 1500 feriti. Tuttavia, nella tragedia, non mancano “segni di spe-ranza” come afferma mons. Ruggero Franceschini (nella foto), presidente della Conferenza episcopale di Tur-chia e arcivescovo di Smirne.“Ora è il tempo della solidarietà – ha dichiara-

to l’Arcivescovo – per questo abbiamo attivato la nostra Caritas sia a livello centrale, a Istanbul, sia a livello dioce-sano. La Caritas di Smirne è frequen-tata molto dai musulmani. Anche da loro arrivano contributi perché ap-prezzano la libertà con la quale aiu-tiamo le persone senza distinzione di razza o di religione. ”. Da tutto il mon-do è partita la mobilitazione per por-tare soccorso alle popolazioni colpite: in questa corsa di solidarietà la Cari-

tas italiana è in prima linea accanto a Caritas Turchia. Quest’ultima, che si sta recando nella città di Van, ha fat-to pervenire tramite la Croce Rossa 500 sacchi a pelo. A Van si sta orga-nizzando un coordinamento di tutte la Caritas europee. Obiettivo iniziale: spedire coperte, materiale sanitario e cibo. Per sostenere gli interventi in corso Caritas italiana ha aperto un c/c postale n. 347013 specificando nella causale: “Terremoto Turchia 2011”.

popolo, è composta di tante tribù. Il percorso verso la democrazia e la stabilità non sarà semplice. Il terreno è meno preparato di quel-lo della Tunisia”. La fine di Gheddafi dovrebbe por-tare a una progressiva normaliz-zazione della situazione in Libia. Il ritorno alla normalità potrebbe portare, secondo l’arcivescovo di Tunisi, alla chiusura, magari non nell’immediato, dei campi profughi che nei mesi scorsi erano sorti al confine fra i due Paesi e che oggi ospitano ancora migliaia di lavo-ratori fuggiti dalla Libia.

Con un voto unanime il governo israeliano ha votato nei giorni scorsi a favore di uno scambio di prigionieri con l’Egitto. Lo hanno riferito i media dei due Paesi precisando che il voto segue un positivo incontro tenutosi tra i negoziatori egiziani e israeliani. L’ufficio del presidente israeliano Benjamin Netanyahu aveva comunque già diffuso una nota confermando lo scambio. L’intesa prevede il rilascio di 25 prigionieri egiziani, fra cui tre minori, in

cambio della liberazione di Ilan Grapel, israeliano detenuto dallo scorso giugno in Egitto per incitamento alla rivolta e danneggiamento di edifici pubblici.Grapel era stato inizialmente accusato di spionaggio. Secondo informazioni riferite dal quotidiano israeliano ‘Haaretz’, i negoziati continueranno ancora con l’obiettivo di arrivare alla liberazione di un beduino israeliano, Ouda Tarabin, da 11 anni in un carcere egiziano per rispondere

dell’accusa di spionaggio. Lo scambio di prigionieri, caldeggiato dagli Stati Uniti, è considerato dagli osservatori anche un tentativo per migliorare le relazioni tra Egitto e Israele. Dopo la caduta del regime di Hosni Mubarak, lo scorso gennaio, i due Paesi hanno avuto diverse frizioni. Israele ha colpito e ucciso per errore alcuni agenti di frontiera egiziani nel Sinai, mentre al Cairo una folla di dimostranti ha preso d’assalto l’ambasciata israeliana.

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Una sala gremita ha salutato il 22 ottobre scorso la consegna del premio Cuore Amico (nella foto), il Nobel dei missionari che, dal lontano 1990, riconosce l’impegno di chi ha scelto di dedicare la propria vita alla terra di missione.Come nella tradizione del premio, anche per l’edizione 2011, l’associazione “Cuore amico fraternità onlus” ha individuato i destinatari del premio tra le numerose segnalazioni pervenute. Tre (anche se uno è diviso in due)

i premi assegnati. Fra i sacerdoti sono stati premiati Alberto e Renato Modonesi, due fratelli per molti anni missionari in Sudan, in Egitto e nella Repubblica democratica del Congo. Suor Maria Lucia Bianchi, attualmente missionaria in Burundi è stata indicata come destinataria del “Cuore amico” nella categoria religiose. Alla missionaria laica Ernestina Cornacchia, che svolge la sua opera in Brasile, è andato invece il riconoscimento riservato ai laici. Nel corso della premiazione

è stata anche proposta una menzione speciale alla memoria. Destinataria di questo apprezzato riconoscimento è stata la dottoressa Maria Grazia Buggianin, scomparsa nel maggio scorso, dopo quasi 50 anni di impegno missionario in diversi Paesi dell’Africa, a partire dal quello Zimbabwe che l’ha vista operare sino all’ultimo, insieme la marito, a sua volta deceduto un paio di mesi dopo. Ai premiati sono andati i 200mila euro che sono la dotazione del “Cuore amico”.

orse è meglio non soffer-marsi su come ci si è arri-vati. Ma alla fine la nomina di Ignazio Visco a gover-natore della Banca d’Ita-

lia – in sostituzione di Mario Draghi passato a dirigere la Bce – fa quadrare un cerchio che sembrava infuocato.Visco era già vicedirettore dell’istitu-to bancario, la sua è quindi una no-mina “interna” che non ha connotati prettamente politici e che segna una linea di continuità con la precedente gestione-Draghi. Chiusa la partita di Bankitalia rimane aperta una spinosa questione: per avere l’appoggio fran-cese alla nomina di Draghi alla Bce, Berlusconi aveva promesso la staffet-ta tra Lorenzo Bini Smaghi, che è con-sigliere nella Bce, e appunto un fran-cese. Solo che la carica di Bini Smaghi non è nelle disponibilità del premier, né c’è stata la volontà dell’economi-sta fiorentino di liberare un posto di enorme prestigio. Si era quindi ad-dirittura profilata la volontà del pre-mier di promuoverlo a governatore di Bankitalia, per rimuoverlo da dov’è. Il niet del presidente della Repub-blica Napolitano, preoccupato del terremoto che avrebbe provocato una simile scelta dentro la Banca d’Italia, ha fatto tramontare tale ipotesi. La questione resta a per-ta e i malumori francesi sono evi-denti... È innegabile, tornando al governatore di Bankitalia, figura decisiva nei decenni passati e sem-pre “esterna” alla politica, che con l’avvento dell’euro non ha più quel ruolo che aveva al tempo della lira. Oggi è perlopiù il guardiano del si-stema bancario – di un sistema pe-rò sempre più ramificato all’este-ro, con controllanti e controllate che stanno oltrefrontiera – e ha un ufficio studi di grande valore. Se il governatore dice qualcosa, la politica e l’economia tendono le orecchie; però è in Germania che si decidono i destini economici dell’Unione, e quindi pure i nostri. A Francoforte, dove sta alloggia-ta la Banca centrale europea e il suo ruolo di guardiano dell’euro; a Berlino, sede della Cancelleria tedesca che in questi ultimi anni è diventata la vera padrona della po-litica europea. Mario Draghi è sta-

to accettato alla Bce dai tedeschi proprio perché professa idee del tutto simili a quelle che alberga-no dalle parti del governo Merkel: feroce attenzione ai conti pubblici dei singoli membri Ue, necessità di tenere sotto controllo le spese sta-tali e l’inflazione. Per una Germa-nia in boom industriale e secondo

Paese esportatore al mondo dopo la Cina, non è lo sviluppo economi-co il problema numero uno: piutto-sto, i debiti pubblici fuori controllo dei “cugini” europei, e l’inflazione che l’eccesso di moneta stampata per ripagarli può innescare. Da qui la consapevolezza di dover affron-tare le varie crisi che stanno col-pendo la Grecia, il Portogallo, ora l’Italia; ma c’è assoluta riluttan-za a stampare nuova moneta per rassicurare i mercati. A Berlino e a Francoforte si preferisce che a Roma, Atene e Madrid si stringa la cinghia. A Visco, che dirà la sua alla Bce di Francoforte, il compi-to di non far da balia al possibile declino italiano.

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Nei giorni scorsi ho incontrato una coppia di giovani sposi belgi in viaggio di nozze. Hanno percorso le strade d’Europa, in bicicletta, Brescia compresa, fino a Bari. Qui si sono imbarcati per la Grecia e l’hanno visitata, sempre in bicicletta. Da Atene a Tel Aviv hanno viaggiato in aereo e hanno dedicato alla Terra Santa gli ultimi 10 giorni della loro avventura. Con sacco a pelo e tenda al seguito. Con un po’ di italiano e un po’ di francese, abbiamo fatto quattro chiacchiere. Lui si chiama Norberto e fa l’operatore sociale; lei si chiama Pauline, nativa francese di Metz, vive a Bruxelles da 7 anni e lavora nell’ambito sanitario. Nel corso della conversazione ho chiesto dove risiedevano. La risposta è stata: dopo il matrimonio da nessuna parte perché non abbiamo ancora una casa. Un fratello di Norberto stava cercandone una a Bruxelles. Di rimando gli ho domandato dove avrebbero alloggiato al ritorno in Belgio. Pauline sorridendo mi ha risposto: “In strada. con la tenda”.Ho citato questo singolare episodio perché è un piccolo segno della condizione giovanile. Non per nulla i giovani stanno

Le buone notizie diffuse dalla “Radio Good News” di Rumbek in Sud Sudan hanno fatto centro. E nei giorni scorsi hanno vinto la prima edizione del premio “Free Voice” per l’eccellenza del giornalismo radiofonico nella neonata Repubblica africana. Una donna l’artefice del programma che ha conquistato la giuria. Con il suo programma “Sfide di un ministro donna”, la reporter Veronica Awut Mabor Akot di Rumbek rappresenta il simbolo di un’indipendenza che

passa per la libertà di espressione e l’emancipazione femminile.Tra i fondatori della radio anche mons. Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek per 12 anni e missionario in Sud Sudan per 30 anni nel segno del Comboni, che ha fortemente sostenuto l’apertura di una stazione radiofonica locale a Rumbek all’interno del Sudan Catholic Radio Network come strumento di educazione e maturazione di una coscienza civica per lo sviluppo e il rispetto dei diritti umani.

“Happy mum: mamme felici che felicizzano” è il titolo dell’incontro programmato presso l’ospedale di Manerbio dalle unità operative di pediatria e di ostetricia-ginecologia nell’ambito di appuntamenti a cadenza mensile, dedicati alle neomamme e alle famiglie dei neonati, caratterizzati dalla presenza di diverse figure professionali. Ai neogenitori viene così offerta la possibilità di confrontare le loro esperienze con quelle degli altri

partecipanti, di porre domande ed imparare semplici procedure per prendersi cura nel migliore dei modi del proprio bambino. La nascita è solitamente considerata un’esperienza straordinaria, entusiasmante e gioiosa. Spesso si ignora però la complessità di tale esperienza e il periodo successivo al parto rappresenta una delle fasi più difficili che una donna possa vivere. Informazioni presso il Punto Nascita dell’Ospedale di Manerbio 030/9929300.

protestavano pacificamente.Le ragioni di fondo della protesta sono comprensibili se si fa attenzione a quello che i governi stanno facendo per combattere la crisi. L’aumento dell’età pensionabile, il blocco delle assunzioni, il taglio dei fondi per la ricerca, la penalizzazione della scuola e mille altri provvedimenti, piccoli e grandi, per ridurre la spesa che finiscono per bloccare il turn over a tutti i livelli e quindi a chiudere ai giovani le porte dell’ingresso al lavoro.

Le statistiche, in particolare per l’Italia, lo confermano. “In Italia la probabilità di essere disoccupati per almeno un anno è tre volte superiore per i giovani rispetto agli adulti”. Lo ha sottolineato recentemente l’International labour office (Ilo) nel rapporto di aggiornamento sulla disoccupazione giovanile. Per l’Italia l’Ilo indica un aumento del tasso dei senza lavoro tra i 15 e i 24enni al 27,8% nel 2010 dal 20,3% del 2007, con un tasso di disoccupazione di lungo termine

protestando in tutto il mondo. Con manifestazioni organizzate in più di 900 città del mondo, di “indignati” contro i governi che non sanno dominare la crisi economica e che a Roma, solo a Roma, sabato 15 ottobre è degenerata per colpa di qualche centinaio di black bloc che senza essere disturbati hanno potuto attaccare e distruggere impunemente per ore, ottenendo infine quel che volevano, cioè rovinare una protesta importanteoffuscando le ragioni di coloro che

del 12,2% (dall’8,1%), un tasso di occupazione a tempo parziale del 21,5% (dal 16,7%) e un tasso di sottoccupazione in termini di tempo del 7,7% (dal 6,6%), per quanti accettano lavori a tempo parziale in mancanza di altro.Quelle giovanili sono generazioni senza lavoro: uno su tre è senza un’occupazione. Generazioni senza rappresentanza: la gran parte dei contratti del nuovo millennio sono ispirati alla flessibilità e a tipologie para-subordinate e a partita Iva, poco tutelate anche dal punto di vista sindacale. E soprattutto generazioni, come i due sposini belgi, senza casa: il 36,3% degli under 40 è costretto all’affitto, in un Paese in cui i canoni sono i più alti d’Europa. Senza dimenticare che il debito italiano è pari al 119,5% del Pil e quindi ammonta a circa 2116 miliardi di euro. Un debito accumulato dalle vecchie generazioni e che peserà sulle spalle delle generazioni future. Tutto questo basta, e avanza, per capire gli indignati. E per non seppellire la giustizia sotto il pretesto delle degenerazioni violente (pagate e/o tollerate da chi?).

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a cerimonia di inaugura-zione dei rinnovati locali dell’oratorio è stata un bel momento comunita-rio e ha visto la partecipa-

zione di molte persone, unite dalla stessa fede e dalla convinzione che l’oratorio è una parte importante di una comunità parrocchiale”, ci ha detto don Massimo Toninelli, curato della parrocchia di San Polo storico. “Alla presenza di mons. Luciano Mo-nari e di quella del sindaco Adriano Paroli, abbiamo quindi vissuto un buon momento di Chiesa”. Dopo la Messa presieduta proprio da mons. Monari è seguito il saluto dei sacer-doti locali e delle autorità, la bene-dizione vera e propria delle “nuove” strutture e un momento conviviale di festa, proseguito poi, domenica 23, con la S. Messa parrocchiale e un pranzo sociale in oratorio. L’orato-rio San Domenico Savio nasce con la parrocchia della Conversione di San Paolo, negli anni Cinquanta: nel 1954, l’originaria rettoria diviene parrocchia e, intorno al 1956, l’al-lora parroco acquista i terreni dove sorgono la chiesa e l’oratorio e do-ve già si trovavano delle strutture in muratura, utilizzate, nel corso degli anni anche come aule scolastiche. Circa un decennio fa vengono rin-novati alcuni locali mentre nell’ot-tobre 2010 prendono avvio i lavori per il rinnovamento degli impianti

primi, infatti, vanno educati alla cor-responsabilità. Laddove ci sono bi-sogni educativi e quindi, pressoché ovunque, l’oratorio vuole risponde-re alle richieste spirituali, educative, sportive e artistiche di una comuni-tà; per questo, dato che la comunità è costituita principalmente da laici, la loro presenza in oratorio è fon-damentale; anche nel nostro orato-rio, come in molti altri, è attivo un bar: proprio grazie all’opera dei lai-ci volontari, il locale rimane aperto tutti i pomeriggi e quasi tutte le se-re. I laici, quindi sono una risorsa indispensabile; se lavorano all’in-

sportivi appena inaugurati. “È sem-pre importante avere una struttura che collabori alla crescita di una comunità come famiglia, partendo in particolare dai giovani” ha pro-seguito don Toninelli. “I giovani per

Dopo un percorso durato circa un anno, i 19 Comuni della Franciacor-ta insieme a Camera di commercio, Consorzio per la tutela del Francia-corta, Cogeme spa e Fondazione Co-geme onlus hanno presentato la se-rie di eventi in cui verrà illustrato lo Studio di fattibilità per il futuro della Franciacorta. Il percorso rappresen-ta una naturale evoluzione del tavolo sulle politiche urbanistiche e ambien-tali attivato dalla Fondazione Cogeme

onlus a partire dal 2007 con il progetto “Franciacorta sostenibile” e risponde a un’esigenza sempre più diffusa tra i sindaci del territorio. Lo studio di fat-tibilità, realizzato dallo Studio Agorà, rappresenta il primo tentativo organi-co di “fotografare” l’area, individuan-do le caratteristiche culturali e am-bientali, che rappresenteranno le basi su cui costruire, insieme ai privati, il futuro Piano strategico per la Francia-corta. I risultati dello studio verranno

presentati al Monastero di S. Pietro in Lamosa (nella foto) in un ricco per-corso di eventi e spazi espositivi dal 29 ottobre al 3 dicembre (scaricabile dal sito www.franciacortasostenibile.org), invitando i principali rappresen-tanti delle istituzioni, del mondo cul-turale, sociale ed economico a com-mentare le linee-guida emerse. Sono state allestite anche tre mostre che renderanno più chiare le progettua-lità potenziali dei prossimi 20 anni.

terno dell’oratorio, tuttavia devono essere, allo stesso tempo formati e in continua formazione. Non neces-sariamente le occasioni formative devono essere organizzate e gesti-te da sacerdoti, ma la presenza di un laico all’interno di una struttura educativa come l’oratorio non può e non deve prescindere da una forma-zione continua. All’interno dell’ora-torio, quindi, i laici devono operare in armonia con i sacerdoti presenti e, allo stesso tempo essere proposi-tivi nell’azione educativa rivolta ai giovani, che spetta in egual misura a laici e consacrati”.

Il Comune di Palazzolo avrà, per utilizzare le sue parole, un sindaco a tempo pieno. Alessandro Sala ha, infatti, lasciato l’incarico di assessore provinciale per dedicarsi completamente alla carica di sindaco. Sala aveva raccolto il maggior numero di preferenze per la carica di consigliere nelle elezioni provinciali del 2004. Dal 2009 è, oltre che sindaco della Città di Palazzolo sull’Oglio, assessore provinciale alla Caccia

e pesca, al personale, gestione formazione e organizzazione delle risorse umane. È stato coordinatore del Gruppo caccia e pesca dell’Unione province Lombarde; nel 2009 è stato nominato quale rappresentante dell’Unione province d’Italia in seno al Comitato faunistico venatorio nazionale, presieduto dal Ministro delle Politiche agricole. Adesso si apre la partita per la successione a Palazzo Broletto. Il Pdl spinge per la

candidatura di Ermanno Pasini per mantenere l’equilibrio tra le forze di maggioranza; la Lega, invece, sembra non gradire la scelta di Pasini. Ragion per cui la nomina non è stata immediata, fra le ipotesi c’è anche quella di un incarico ad interim al presidente Molgora. Attualmente la squadra di governo della Provincia si divide equamente tra Pdl e Lega con cinque assessori per parte. Alla fine molto probabilmente verrà mantenuto un equilibrio.

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opo un anno e mezzo di la-vori, il progetto di ristrut-turazione del blocco ope-ratorio della Casa di cura San Camillo di via Turati è

stato portato a termine e il nuovo spa-zio è stato inaugurato venerdì scorso, alla presenza del Vescovo, che ha ce-lebrato la Santa Messa nella cappella dell’ospedale. Presenti anche il Sin-daco, che ha espresso “rallegramento per un nuovo servizio offerto alla cit-tà”, e i dirigenti della clinica. “L’obiet-tivo del nostro lavoro – ha spiegato suor Sylvie Ouedraogo, consigliera generale – è fornire una qualificata ed amorevole assistenza mettendo a disposizione la scienza, il progresso tecnologico, ma anche risorse uma-ne e professionali”. Un investimento, che ammonta a circa 4 milioni di euro, “sostenuto interamente dalle Figlie di San Camillo – precisa il direttore am-ministrativo Mario Bassano – nell’ot-tica di rilanciare l’attività della casa di cura”. Da dicembre 2009 all’estate 2011, i chirurghi non hanno interrotto il lavoro e hanno potuto utilizzare sale operatorie provvisorie. Il blocco ope-ratorio dispone di un’area di 900 metri quadrati, all’interno della quale sono

state realizzate diverse zone per l’ot-timizzazione degli spazi. La sala ope-ratoria principale è stata concepita ad alta integrazione, ovvero è attrezzata con sistemi informatici che permetto-no al chirurgo di ricevere informazio-ni e dettagli circa l’intervento in corso; le altre due sale, più piccole, sono co-munque predisposte per futuri aggior-namenti tecnologici. La quarta sala è dedicata agli interventi di day surge-ry e costituisce una novità tra i servi-zi offerti dalla clinica. Oltre alle aree riservate alle operazioni chirurgiche, il blocco è suddiviso in zone dedicate a medici e infermieri (gli spogliatoi, i locali di lavaggio chirurgico e per gli anestesisti). Non mancano le sale di repertazione, di deposito di materiale sterile, suddiviso dal sudicio, e la cen-trale di sterilizzazione degli impianti, richiesta dalla normativa. Al centro c’è il paziente, al quale sono riserva-

te apposite sale di preparazione e ri-sveglio, e per il quale in alcuni locali sono state installate luci cromoterapi-che, volte a migliorare il senso di ac-coglienza all’interno di un luogo che incute un certo disagio. Il rispetto di tutti i requisiti tecnici e del Piano sa-nitario regionale permette alla Casa di cura di proseguire il proprio impegno come struttura privata accreditata. La clinica dispone di 142 posti letto, sud-divisi tra sette reparti: chirurgia gene-rale, cardiologia, medicina, otorinola-ringoiatria, ortopedia, riabilitazione generale e geriatrica, oculistica. Oltre alla consueta lunga degenza, sono a disposizione il servizio di day hospital e di macroattività ambulatoriali. Gli ambulatori di visita servono tutte le branche specialistiche indicate; inol-tre è possibile usufruire del servizio radiologico, di quello riabilitativo e di un laboratorio analisi.

“Il Piano è un po’ farlocco dal punto di vista del suo obiettivo, cioè quello di costruire una città di 220mila abi-tanti. In realtà è un obiettivo che vuole giustificare la quantità di volumetrie (cemento) che il Piano prevede per i prossimi 10 anni”. Il capogruppo del Pd in Loggia Emilio Del Bono non utilizza mezze misure per definire il Piano di governo del territorio pro-mosso dalla giunta Paroli. Si tratta di un Piano che “non tiene conto del fat-to che esiste un forte invenduto: nei prossimi 10 anni prevede circa 17mila tra appartamenti e negozi e sei grandi centri commerciali; mangia il 10% del-le superfici agrarie rimaste in città”.Dal fronte dell’opposizione non man-cano le proposte per non consuma-re il verde, magari costruendo “nelle aree di trasformazione (ex caserme dismesse). Dobbiamo concentrarci sulla riqualificazione del patrimonio, aiutando i cittadini a migliorare la qualità delle proprie abitazioni. Non va dimenticato che a Brescia ci sono più di 5000 appartamenti invenduti”. Il Partito democratico ha ideato un manifesto con alcuni slogan efficaci in riferimento all’operato di Palazzo Loggia (“Dicono verde e scrivono ce-mento”) per sensibilizzare l’opinione pubblica: “Ci siamo accorti che il Pgt non è conosciuto: è nato senza la cit-tà e, quindi, è nato contro la città. La nostra finalità è quella di informare e ovviamente invitare i cittadini a fare osservazioni per cambiare in modo radicale il Piano (dall’adozione all’ap-provazione passano alcuni mesi)”. “Ci sono tante azioni politiche positi-

ve che può fare un’amministrazione, ma mi pare – chiosa Del Bono – che questo non sia stato fatto dalla giunta Paroli. Segnali di apertura? Abbiamo presentato 70 emendamenti, ma ne hanno accolto solo uno. Siamo con-vinti che i cittadini non vogliono una città più brutta e più caotica: espri-meranno un giudizio che diventerà anche politico”. L’intervista integrale su www.radiovoce.it.

Per il nono anno consecutivo, la Fondazione Tovini ha permesso a un gruppo di studenti bresciani di diventare ambasciatori di pace in un Paese nel Sud del mondo. Nel giugno scorso, 23 ragazzi appartenenti alle classi quarte e quinte di alcuni istituti superiori sono partiti per la Tanzania e hanno soggiornato per 18 giorni presso la Comunità dei Frati Minori Rinnovati, che gestisce gli istituti scolastici del luogo. L’esperienza si inserisce nel progetto “I giovani per

la pace”, patrocinato dalla Consulta per la pace e dall’Assessorato alle Politiche giovanili del Comune di Brescia. Prima di partire, gli studenti hanno seguito un corso di 30 ore; hanno acquisito competenze di animazione e di gestione di laboratori didattici grazie a Giovanna Ravelli, docente presso la Cattolica. Divisi in due gruppi, alcuni giovani hanno supportato il lavoro delle insegnanti delle scuole elementari, mentre altri hanno collaborato alla costruzione di un

istituto agrario ad Iringa, nel cuore della Tanzania. “Il progetto di questa scuola – spiega il preside Maffeis – è nato cinque anni fa grazie alla segnalazione del prof. Bonetti, volontario nella zona. Abbiamo visitato il territorio, situato a 1800 metri d’altezza, in cui circa 30mila abitanti vivono grazie all’agricoltura di sussistenza”. La sfida intrapresa dai docenti, in collaborazione con il Ministero dell’Agricoltura locale, è quella di trasformare la sussistenza in produzione rivolta alla

commercializzazione dei prodotti del territorio; per fare ciò, gli studenti dell’istituto agrario di Iringa frequenteranno due anni di corsi post-obbligo seguendo le lezioni di insegnanti autoctoni, specializzati nel settore grazie a un progetto formativo, per il quale è prevista la collaborazione della Fondazione Tovini e dell’Università cattolica. La scuola, il cui completamento è previsto entro tre anni, sarà dotata di un convitto e potrà ospitare circa 180 studenti. (a.g.)

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L’Associazione amici chiesa del Carmine onlus (è nata nel 1993 per la valorizzazione del patrimonio della chiesa e della Cappella) organizza la 17ª edizione dei “Vespri musicali” in Santa Maria del Carmine. Domenica 30 ottobre alle 17, in memoria del senatore Franco Salvi, tocca alla grande scuola policorale italiana. L’ensemble vocale e strumentale “Arione” (Claudio Frigerio al violoncello, Davide Nava al violone e Luigi

Marzola all’organo e direzione) esegue i brani di Giovanni Gabrieli (1557-1612) e di Domenico Scarlatti (1685-1757). Domenica 20 novembre alle 17 c’è la Triosonata nel barocco tedesco con il ConSerto Musico (Glauco Bertagnin al violino, Mario Folena al traversiere, Marco Perini al violoncello e Roberto Loreggian al clavicembalo). In memoria di Stefano e Velleda Minelli risuonano le musiche di Bach, Telemann e Haendel.

nternet offre un’infinità di op-portunità, in ogni settore della vita pubblica e privata, ma può altresì determinare meccani-smi di esclusione, là dove non

vi sia la necessaria preparazione ad affrontare questa nuova mentalità tecnologica. “Il Comune di Brescia si è posto il problema di come ri-durre, per la maggior parte di popo-lazione possibile e in cui gli anziani sono in costante aumento, il ‘digital divide’, ovvero il solco tra passato e presente – ha affermato l’assessore ai Servizi al cittadino, innovazione e associazionismo Massimo Bianchini – e se a monte le strutture dell’Am-ministrazione si possono considerare digitalizzate, la stessa si è sentita in dovere, non già di limitarsi ad agevo-lare l’utenza nell’accesso ai vari ser-vizi, ma di prepararla a farlo in forma autonoma e, possibilmente, dal pro-prio domicilio”. A tale scopo l’Area operativa dell’assessorato ha avvia-to, nel 2009, una serie di attività tese a individuare e soddisfare i ‘bisogni digitali’ dei cittadini. “Sono stati de-finiti sei percorsi tematici nei quali il rapporto tra i giovani e l’innovazione può agire da motore – ha spiegato il responsabile d’Area Nunzio Pisano – mettendo in relazione i ‘nativi digitali’ con le generazioni che li hanno pre-ceduti, per attuare il percorso di re-sponsabilizzazione e di maturazione, reciproche, nell’ambito relazionale”.

I destinatari sono stati gli anziani, gli adulti, i giovani, i disoccupati, i mul-timedia e i cittadini di lingua stranie-ra, ancorché turisti. In tutti vi è stato l’apporto di tutoraggio di un gruppo di giovani preparati e le attività speri-mentali rivolte agli anziani e agli adul-ti sono state più di una, dai corsi base

a quelli avanzati. È in previsione un modulo di formazione permanente a distanza, a che ognuno possa agire da casa. Pochissime cifre: nel biennio i corsisti si sono equamente divisi per genere, 53% maschi e 47% femmine, mentre i tutor sono per il 70% maschi e l’argomento più gradito, per il 60%, è stato internet. Il Comune si è avval-so, oltre che delle proprie strutture e risorse, di una serie di associazioni, scuole, cooperative sociali, associa-zioni sindacali, banche del tempo, agenzie per la somministrazione del lavoro, “senza le quali non sarebbe stato possibile nemmeno iniziare il lavoro”, ha soggiunto Pisano. Nel-le scuole secondarie inferiori si è insistito sulla sicurezza per non in-correre in ‘sgradevoli’ inconvenienti così come i disoccupati e inoccupa-ti hanno costituito uno degli obiet-tivi primari. È previsto un modulo specifico per stranieri integrato con l’insegnamento della lingua italiana, così come uno per giovani diploma-ti e laureati per meglio relazionarsi con il mondo del lavoro. Gli ultimi passi da compiere sono l’approccio a quanto la multimedialità offre e la diffusione del wi-fi urbano. Alcuni servizi li viviamo quotidianamente, quali, per esemplificare, le necessità anagrafiche, assolte praticamente in tempo reale anche nelle sedi perife-riche, al pari dell’iscrizione ai servizi sportivi, il cui 70% avviene via Rete.

Il teatro San Giovanni ospita, domenica 30 ottobre, alle 16 la favola musicale per bambini “Nonna Bigia” con la musica di Tommaso Ziliani e il testo di Giorgio Scrofi. Si esibiscono il coro di voci bianche “Carminis Cantores” e il coro giovanile di Puegnago del Garda.Sabato 5 novembre, invece, alle 21 Alessandro Bono e Francesco Buffa nel duo chitarra e pianoforte in “Con un pizzico di fantasia italiana”.

Giovedì 27 ottobre alle 20.45 presso il chiostro di San Giovanni è in programma l’incontro “Paura d’amare”: difficoltà, fragilità e risorse delle relazioni affettive nella società contemporanea. Intervengono Diego Mesa, docente di Fondamenti e metodi della sociologia presso l’Università cattolica, e don Sergio Passeri, docente di teologia morale fondamentale presso l’istituto teologico “Paolo VI” di Brescia.

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rescia è la seconda provin-cia italiana per numero di immigrati regolari: se ne stimano 170mila sul to-tale dei 5 milioni disloca-

ti sul territorio nazionale. La pratica di snocciolare dati può non rendere giustizia alla vastità di un fenomeno o rischiare di ridurlo ad una sterile sequenza di numeri. Tuttavia, parla-re del fenomeno migratorio in Italia e nella nostra città richiede un supporto statistico quando si tratta di decidere su questioni spinose come il tema del-la concessione della cittadinanza ai figli nati in Italia da genitori stranieri. Dunque, i numeri. I nati “di seconda generazione” in Italia sono 398mila; in Lombardia ne sono concentrati più di un terzo, 157mila. Stringendo ancor più il campo, in provincia di Brescia se ne contano 28mila, ed in città 5000. Questi sono alcuni dati emersi du-rante il convegno organizzato da Cisl venerdì 21 ottobre per dare il là alla campagna di sensibilizzazione “L’Ita-

suolo nazionale da genitori stranieri. “Per ottenere la cittadinanza italiana – prosegue Mantelli – gli immigrati extracomunitari devono risiedere in Italia da almeno 10 anni, il doppio ri-spetto ad altri Paesi europei come la Francia; le seconde generazioni de-vono invece attendere il compimento della maggiore età e dichiarare entro un anno la volontà di ottenere la cit-tadinanza, dimostrando di essere re-sidenti in Italia da almeno sei mesi. Se la dichiarazione avviene oltre il termi-ne, devono risiedere in Italia per altri tre anni prima di ottenere lo status di cittadino”. “È necessario modificare la legge sulla cittadinanza – concor-da Lorenzo Todeschini, responsabi-le di Anolf Lombardia – ma non ba-sta, perché serve un cambiamento culturale ed è giusto riflettere su di una cittadinanza mondiale, non so-lo italiana”. Dello stesso parere an-che Enzo Torri, segretario generale di Cisl Brescia: “Bisogna aggiornare le leggi rispetto al mondo che cam-

lia sono anch’io”, promossa da 19 or-ganizzazioni tra cui Acli, Arci, Caritas e Cgil, alla quale il sindacato aderisce raccogliendo firme a sostegno di una soluzione legislativa che coniughi lo ius soli con lo ius sanguinis. “La legge che disciplina il diritto di cittadinanza – spiega Giovanna Mantelli, compo-nente della Segreteria Cisl – risale al 1992 e non tiene per forza di cose con-to dei fenomeni migratori recenti”. La legge in questione (l. 5 febbraio 1992, n. 91) è basata sullo ius sanguinis, di-ritto di sangue, ovvero concede la cit-tadinanza per nascita ai figli di geni-tori italiani e non ai bambini nati sul

Circa un centinaio di ragazzi iscritti al Cfp Zanardelli e all’Itis Castelli hanno partecipato all’incontro organizzato da Cisl e sono stati stimolati nella riflessione dalla proiezione del documentario “18 Ius Soli – Il diritto di essere italiani”, girato pochi mesi fa da Fred Kuwornu, regista nato a Bologna, di origini ghanesi. Il filmato testimonia le esperienze di alcuni giovani nati in Italia e le loro difficoltà nel rapportarsi con la burocrazia e la esperienze della vita quotidiana

senza la cittadinanza. Inizialmente restii a mettersi in gioco, gli studenti sono stati sollecitati a confrontarsi con ciò che avevano visto e mettere la propria esperienza a disposizione dei compagni. Amin, ad esempio, nato in Marocco da genitori marocchini, vive in Italia da 12 anni. “Tra me e i miei amici non c’è tanta differenza nei fatti – dice – ma nella burocrazia sì, perché se non hai la cittadinanza sei svantaggiato”. Vanessa, invece, ha appena compiuto 18 anni ed è

nata in Italia da genitori ivoriani. Si trova nelle esatte condizioni dei ragazzi descritti nel documentario, e come loro ha dovuto scontrarsi con la burocrazia prima di ottenere la cittadinanza. “Ho dovuto fare le pratiche, e vi assicuro che non è facile. Quando ho compiuto 18 anni ho fatto subito la richiesta, ma mi è stata rifiutata perché non avevo il passaporto singolo, ma quello familiare. Ho vissuto un anno con la ricevuta della domanda, senza documenti definitivi. Quando

poi le carte erano pronte, sono dovuta rimanere a casa un giorno da scuola perché il Comune doveva controllare la residenza. Io sono nata in Italia, vivo in Italia e mi sento italiana”. Mustafa Fal, operatore Cisl, afferma che “la cittadinanza non è un pezzo di carta, ma è dentro di me. Sono nato in Senegal, vivo da 21 anni in Italia, ho tre figli che hanno studiato qui. La cittadinanza è credere nella patria e nella sua cultura, per questo io sono italiano a tutti gli effetti”.

“Siamo partiti quasi dal nulla e non sono mancate le difficoltà, anche perché non essendo riconosciuti uf-ficialmente non avevamo sussidi di alcun genere, in seguito il sindaco Trebeschi ci ha dato in affitto i locali di una scuola prefabbricata al Villag-gio Prealpino”. Inizia così il racconto della storia del Calabrone attraverso la voce del fondatore don Piero Ver-zeletti. Nel 30° anno di vita, che ve-de anche la realizzazione della nuova sede denominata “Nuovo Nido”, la cooperativa “Il Calabrone” ha orga-nizzato una serie di eventi. Il viaggio del Calabrone parte da lontano: un viaggio per cercare giustizia, diritti, dignità per tutti, pace, uguaglianza e solidarietà. Una storia fatta di passio-ne, di errori, di impegno e di intrec-ci, fra cultura ed accoglienza, strada

e politica, legalità e devianza, fede e laicità, locale e globale, denuncia e testimonianza. Gli incontri iniziano sabato 5 novembre alle 17.30 con don Antonio Sciortino, che intervi-stato da Massimo tedeschi, affron-terà il tema “Essere cittadini attivi e responsabili”. Venerdi 25 novembre,a lle 20.30, Angelo Onger dialoga con mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, su “Per una cultura del dono”. Sabato 3 dicembre alle 17.30 Francesca Nodari introduce il prof. Salvatore Natoli sul tema “Alla ricer-ca della felicità”. Le serate si svolge-ranno presso l’Auditorium Capretti. In dicembre presso il teatro Santa Giulia del Prealpino è stata pensata, invece, una riduzione teatrale del racconto di Erri De Luca “In nome della Madre”.

bia – aggiunge – e mi auguro che il tema sia approfondito per capi-re quanto azioni normali diventino complesse da realizzare per chi non possiede la cittadinanza, pur essen-do nato nel nostro Paese”. Giovanni Boccacci, direttore del Centro Mi-granti, conclude citando “Stranieri, ospiti, concittadini”, lettera del ve-scovo Monari: “La cittadinanza è un diritto naturale ed il rischio nel non concederla è quello di creare perso-ne culturalmente apolidi”.

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La cooperativa sociale “La nuvola” compie 20 anni e festeggia con una mostra intitolata “La forma delle nuvole”. Presso la Rocca di San Giorgio di Orzinuovi, fotografie ed installazioni raccontano il multiforme viaggio percorso in questi 20 anni: i volti e i corpi, le intelligenze e i conflitti, gli ostacoli e le sfide nel tentativo di narrare il processo attraverso il quale si esplica la cura della persona, intesa

come prendersi cura di. Dopo l’inaugurazione sabato 22 alla presenza del sindaco Andrea Ratti, della presidente della cooperativa Rosangela Donzelli e del curatore Piero Almeoni, la mostra resterà aperta fino al 6 novembre osservando i seguenti orari: da lunedì a venerdì apertura per le scuole dalle 10 alle 12, giovedì e venerdì dalle 16 alle 20 e sabato e domenica dalle 10 alle 12.30 e, nel pomeriggio, dalle 15 alle 21. Una serie di

manifestazioni correlate, inoltre, animeranno la ricorrenza, tra di esse una rassegna cinematografica a cadenza settimanale con una sezione riservata ai bambini, oltre ad una rassegna teatrale per i più piccoli divisa tra la Rocca di San Giorgio e il Centro culturale “Aldo Moro”. La serata conclusiva della mostra sarà animata da un aperitivo in musica alle 19.30, sempre presso la rocca, con il “Sestetto di Eva”. (f.u.)

iunita in assemblea a Pontevico la Comuni-tà ellenica di Brescia e Cremona che aderisce alla Federazione delle

comunità e confraternite elleniche in Italia nella quale sono coinvolte 13 diverse associazioni del territo-rio nazionale. L’avvio a cura del presidente na-zionale Nicola Barkas di Padova per presentare Evànghelos Aposto-lòpoulos, e altri relatori su argoem-tni specifici tra i quali Anastasios Polizos che ha coordinato gli inter-venti. Costantino Buzalis, ha raggua-gliato sulle attività svolte dal giugno scorso, sull’organizzazione della fe-sta natalizia con cucina e balli greci, della gita a Venezia presso la chie-sa di San Giorgio dei Greci e all’in-teressantissimo museo delle icone bizantine; il corso di greco moderno, per ora allestito a Brescia con una trentina di adesioni fra le quali per-sone abitanti nel Cremonese e nella Bassa bresciana. Dei programmi si è occupata pure Crisùla Laffranchi, addetto cultu-rale e ai corsi di lingua nel Cremo-nese, di una gita ai mosaici bizanti-ni di Ravenna, dell’organizzazione di conferenze a tema tra cui una sulla diaspora dei greci dall’Asia Minore che vedrà coinvolto anche l’attuale console greco a Milano George Papadopoulos. Pietro Pa-

paioannu, di Persico Dosimo, cas-siere, ha presentato il rendiconto. Angelo Locatelli, segretario, ha ri-cordato l’incontro con Amedeo di Savoia, duca di Aosta, al quale ha consegnato una lettera per conto della Comunità. Figlio di Aimone e di Sofia di Grecia, Amedeo Co-

stantino Giorgio Paolo, nomi della parentela reale ellenica parla mol-to bene il greco. I suoi legami con l’Ellade affondano le radici anche con il nonno materno, Costantino XII di Grecia ma si sono conso-lidati, attraverso il figlio Aimone Umberto Emanuele Filiberto con il matrimonio contratto con Olga di Grecia. Gli iscritti al sodalizio sono in ge-nerale persone venute in Italia per gli studi universitari (molti di loro sono medici) che poi hanno deci-so, per motivi professionali, di la-voro o affettivi, di mettere su casa nella Penisola.Non mancano figli o nipoti di fa-miglie con un genitore o un non-no italiano ed uno greco alcuni dei quali derivanti da matrimoni con-tratti durante la Seconda guerra mondiale. Dell’associazione fan-no pure parte italiani interessati alla cultura e alla civiltà elleniche. La Federazione in particolare si pre-figge i seguenti scopi: promuovere i contatti e le relazioni tra le varie co-munità; curare sviluppare e coordina-re i rapporti con la Grecia; sviluppare e favorire le relazioni nel settore so-ciale, culturale, turistico, artistico e sportivo degli appartenenti alle co-munità con la Grecia e l’Italia; pro-muovere anche in Italia la diffusione della cultura e l’insegnamento della lingua neoellenica.

Omaggio alla memoria di Lorenzo Maccagnola dagli associati alla sezione di Manerbio dell’Anc, l’Associazione nazionale carabinieri, nel quinto anniversario della scomparsa con la Messa celebrata da don Franco Mor. Erano presenti la vedova, Angela Merlini, il vicepresidente provinciale dell’associazione, Aldo Manenti, e numerosi soci del sodalizio guidato dal presidente Antonio Anni che ha ricordato Lorenzo volontario soprattutto nella Casa di riposo.

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l Comitato civico “Salute e am-biente” di Capriano del Colle ha vinto la sua battaglia. La centra-le termoelettrica a oli vegetali non si farà. L’azienda Sei di Ber-

gamo, dopo i no ricevuti dal Comune e dagli enti del territorio, ha ritirato, la scorsa settimana, il progetto. Per la prima volta un’istanza di stop pro-mossa dai cittadini, con conferenze e raccolta di firme, è stata accolta a svantaggio di una grande azienda. Trionfanti lo annunciano il Comitato, il Parco Montenetto e il Sindaco che insieme hanno lottato per preserva-re il territorio. Il 18 maggio scorso, all’indomani dell’insediamento della nuova giunta, era stata presentata una domanda per ottenere l’autorizzazio-ne alla costruzione di una centrale ter-mica a oli vegetali per la produzione di energia elettrica. Oli di palma e di colza provenienti principalmente da India e Sud America. Subito si era co-stituito un comitato di cittadini che resosi conto delle condizioni troppo

immediatamente si è schierato contro il progetto e con l’intera giunta si è detto disposto ad arrivare al Tar, una battaglia legale che avrebbe di sicuro rallentato considerevolmente l’inizio dei lavori. Anche dal parco regiona-le agricolo del Montenetto sostenuto da viticoltori e agricoltori della zona sono sorte voci contrarie, così come dalla Roggia Capriana, l’associazione che gestisce le acque. Ma non solo. Tanta solidarietà è arrivata a Salvato-re Fierro, presidente del comitato, da tutta la Brescia ecologica che conta. Insieme a Marino Ruzzenenti si è sti-lato il piano dei no avvalendosi delle leggi regionali in difesa del territorio e dei dati relativi all’inquinamento; con don Scalmana si sono viste an-che le ragioni umane per dire un sec-co no: gli oli impiegati sarebbero ar-rivati da Paesi che hanno bisogno di tutt’altro tipo di coltivazioni per non ridurre alla fame i propri abitanti. Le motivazioni del no erano state portate all’assessore all’Ambiente della Pro-

estreme e svantaggiose richieste da un tale impianto ha preso posizione. La centrale sarebbe dovuta sorgere in una zona abitata, a meno di ottan-ta metri dalle case. Diverse le fonti di inquinamento alle quali avrebbe potuto dare luogo: rumori, odori, vi-brazioni e soprattutto i pm 10 e pm 2,5. Polveri sottili che nella zona di Capriano del Colle già arrivano dalla fornace, poco distante e dalla strada provinciale 19 che contribuiscono a mettere a dura prova i pregiati vigne-ti dell’area del Montenetto. Un forte sostegno al comitato è subito arriva-to dal sindaco Claudio Lamberti, che

Ricostruite in miniatura da Paolo Laffranchi le Torri Gemelle di New York, distrutte dall’attacco terroristico dell’11 settembre 2001. Laffranchi aggiunge così un altro plastico alla sua singolare collezione conservata nella sua abitazione sulla strada per Milzanello. Ha lavorato in campagna e ora passa il tempo libero accarezzando un sogno, quello di percorrere le strade del mondo per conoscere le caratteristiche architettoniche delle città. In attesa di poter realizzare

il sogno si accontenta di costruirsi la sua collezione modellando il ferro sull’incudine e alla fucina e ritagliando il rame. Ha scoperto così doti d’artista che ignorava di possedere. Il primo modello cui ha pensato è stato il campanile della parrocchiale costruito tra il 1603 e il 1606, a cupola rotonda con alla sommità la statua del Redentore che fu distrutta dal fulmine abbattutosi nel 1843. Il restauro fu affidato al Vantini che ideò una nuova cupola con balaustra

di rigide forme neoclassiche. Laffranchi l’ha riprodotto in perfetta scala. Fu la sua prima opera. Confortato del risultato s’è messo a consultare guide turistiche e trattati d’architettura di località che mai ha visitato. Dalle sue mani sono usciti ottimi modelli con i quali ha decorato la sua casa, come il Golden Gate che attraversa la baia di San Francisco, esposto l’anno scorso nella biblioteca di Manerbio. Ultima impresa le Torri Gemelle, alte rispettivamente 1.368 e 1.362

piedi (410 e 408 metri) con 110 piani e un’area di 35mila metri quadrati ognuna. Nel seminterrato furono realizzati sei piani di cui cinque per le stazioni della metropolitana e uno per un parcheggio di 2000 automobili. La struttura era in acciaio.Laffranchi nella sua miniatura ha ricostruito l’intero complesso che Carlo Monterenzi espone in questi giorni nella vetrina del laboratorio di fotografia nell’area del Piazzolodi Manerbio. (f.pio.)

vincia, Stefano Dotti, per prepararsi alla conferenza dei servizi nella qua-le gli enti avrebbero deciso il futuro del territorio. Grazie alla tenacia dei cittadini e alla buona alleanza con le istituzioni il progetto è stato ritirato e il territorio è salvo. La soddisfazio-ne di Capriano del Colle non si ferma ai confini della provincia di Brescia, “un successo che costituisce un pre-cedente potrà essere di sostegno ai paesi che si trovano in situazione ana-loga”, sostiene infine Fierro.

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LA VOCE

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LEALE FEDELE CORAGGIOSA

è quella giusta

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RADIO VOCELunedì 7 novembre ore 19.00Galà di 100%Brescia in occasione della partita Brescia-Sampdoria con collegamenti e anticipa-zioni nel prepartita dallo stadio Rigamonti

VOCESASGiovedì 3 novembre ore 20.30“Arie”, spettacolo teatrale di Giorgio Gallione con Lella Costa, nella stagione teatra-le dell’amministrazione comu-nale di Edolo e ospitata dalla Sala della comunità San Gio-vanni Bosco di Edolo

LA VOCE DEL POPOLOSabato 5 novembre ore 18.30S. Messa trasmessa in televi-sione dalla parrocchia S.S. Pietro e Paolo di Leno su Te-letutto, Tele nord e Super Tv.Celebra don Adriano Bianchi

Giornata di Voce

6 novembre 2011Fra dieci giorni, il 12 e 13 giugno,

si celebreranno nel nostro Paese

i referendum su tre questioni

sulle quali la politica ha dibattuto

e si è accapigliata lungamente,

aiutando assai poco i cittadini a

formarsi un’opinione matura e

coscienziosa sui temi in gioco.

Senza entrare nel merito di

ciascun quesito (acqua, nucleare,

legittimo impedimento) una

riflessione credo vada fatta

anzitutto sullo strumento

referendario e, parallelamente,

sullo sperpero di tensione

partecipativa che esso oramai

veicola non aiutando i cittadini a

una partecipazione consapevole e

motivata, comunque scelgano.

Riguardo allo strumento, non

credo si scandalizzi alcuno se si

dichiara la sua “consumazione”

per abuso eccessivo. Nei decenni

scorsi l’uso selvaggio, ad opera

soprattutto dei radicali, ne ha

ridotto la portata “rivoluzionaria”

che i costituenti gli avevano

affidato: la chiamata del popolo a

dare il proprio parere nonostante

l’approvazione legittima di una

maggioranza parlamentare;

potremmo dire un baluardo

contro un’eventuale “dittatura

della maggioranza”. Non solo

uno strumento estenuato per

cattivo uso, ma pure per la

debolezza insita nel meccanismo

istitutivo: sono poche le firme

necessarie per invocarlo (bassa

barriera d’accesso) e troppo alto

il quorum richiesto (alta barriera

d’uscita) per renderlo valido.

Questa forbice eccessiva ha dato

spazio a forme di estremismo

referendario inutili e dannose per

la qualità della partecipazione

democratica dei cittadini. Non

è poi così difficile raccogliere

almeno 500mila firme e aprire

una campagna, comunque vada

il referendum. Molti su questo

meccanismo hanno costruito

vere e proprie fortune politiche.

Varrebbe la pena di apportare

alcune semplici modifiche, come

tra l’altro suggeriscono da tempo

autorevoli costituzionalisti:

innalzamento decisivo del

numero di firme necessarie

ed eliminazione del quorum, il

che obbligherebbe i cittadini

alla partecipazione attiva,

soprattutto quando le questioni

in discussione sono delicate e

gravide di conseguenze per il

bene comune del Paese.

Una seconda osservazione va

fatta, con altrettanta onestà:

il dibattito sugli attuali quesiti

referendari finora non c’è stato.

Silenzio totale, pochissime

le trasmissioni televisive e

radiofoniche dedicate, gravi

le responsabilità della Rai.

Sembra che molti abbiano

paura a far crescere coscienza

e consapevolezza nei cittadini:

un’informazione seria,

attendibile, fondata sulla realtà

e non sullo slogan da qualunque

parte provenga, aiuterebbe il

Paese a comprendere la rilevanza

di almeno due dei tre quesiti

posti. I nodi legati alla gestione

di un bene comune come l’acqua,

come pure il reperimento di

energia che renda l’Italia per

quanto possibile autosufficiente,

sono due questioni di rilevanza

strategica per lo sviluppo del

nostro Paese. La ricerca di

alternative credibili e di modelli

di gestione dei beni comuni

attraverseranno il dibattito dei

prossimi anni.

Ne abbiamo parlato? Ne siamo

consapevoli? Non da ultimo

non va sottaciuto il tentativo di

dissuadere la partecipazione dei

cittadini per stanchezza da urna:

alcuni milioni di persone sono

chiamati in 30 giorni al voto per

tre volte. Un po’ troppo. Come

pure è apparso un escamotage

sgradevole l’approvazione nel

decreto omnibus di un comma

che cercava d’inficiare il quesito

sull’uso dell’energia nucleare.

Non è un bel vedere.

A questo punto credo valga

davvero la pena di andare a

votare, per dire che ci siamo,

comunque vada.

Essere dentro il miracolo delle relazioni è stupore, an-

cora, per il dono immeritato, per l’intreccio di vite non

cercato. Intersezioni di legami.

Ho per molto tempo pensato che i legami fossero da

tenere sempre un po’ sciolti, potenziali fonti di prigio-

nia per una vita che deve scorrere libera. Ma poi si è re-

alizzato un capovolgimento: l’altro è indispensabile. Il

legame, quel legame, è indispensabile; proprio tu mi sei

indispensabile.

Nessuno potrà sostituirti, né alcuno potrà essere sostituito

da te. La tua perdita sarà senza riempimento, e non cancellerà

il legame, forte, tenace come la morte, insistente come la soffe-

renza. “Ho bisogno di te, che sei partecipe / d’ogni tormento mio:

compagno dolce / d’ogni mia pena; mio fratello solo. / Ho bisogno

di te, come del pane!” (da: R. M. Rilke, “Il libro del pellegrinaggio”).

Referendum,

per un voto

non ideologico

Matrimonio, una

realtà sempre

meno conosciuta

Giovani bresciani

testimoni

a Palermo

Famiglia, incontro

mondiale con il Papa

a Milano nel 2012

Brescia, c’era una

volta il capitano,

ora non c’è più

Aib, la parola

d’ordine

è riforme

aleg

indi

Ness

da te. L

il legame

renza. “Ho b

compagno do

di te, come de

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l mese di ottobre porta con sé una lunga proposta culturale che ormai da tempo è parte integrante dell’industriosa vita di Lumezzane: “Percorsi

superiori”. Nata nel 2000 e sempre svoltasi con il fattivo sostegno del Lions Club Valtrompia, la propo-sta riguarda una serie di corsi per adulti e giovani ed è strutturata dalla biblioteca civica “Felice Sa-leri” con l’aiuto dell’Agenzia for-mativa “Don Angelo Tedoldi” e gli universitari dell’associazione cul-turale “Il lume della ragione” per la parte organizzativa.“Si tratta di un’iniziativa ormai di-ventata una tradizione nella nostra cittadina – spiega l’assessore alla Cultura, Lucio Facchinetti –, che con un costo d’iscrizione contenu-to (due corsi da 60 euro e tre da 35 euro) consente a tutti di potersi avvicinare a materie di studio pra-tiche e teoriche con buono frutto. Quest’anno è stata ripensata se-condo il vecchio modello, impo-stando il programma su sei corsi: infatti, avremo dizione, economia, fotografia digitale, internet (base e avanzato), psicologia, storia e tra-

dizioni della Valtrompia”. A essere partiti con la prima lezione sono i corsi di fotografia digitale tenuti dal fotografo professionista Gian-franco Ferri e quello di internet con l’informatico Amos Ziliani, co-munque ancora fruibili da chi fos-se interessato alle materie.Partiranno, invece, con i primi giorni dell’anno 2012 gli altri quat-tro appuntamenti, cominciando dai tre incontri di natura econo-mica tenuti dai commercialisti Francesco Menoncin, Franco Bai-guera, Cristian Carini: la volatilità dei mercati con la prevalenza del-la finanza sull’industria (19 gen-naio), il ruolo dell’euro nei Paesi emergenti e nella concorrenza in-ternazionale (9 febbraio) e le cri-si e le manovre dei Governi (16 febbraio). Traccia, invece, una parabola su

uomo e donna come universi di si-gnificato il corso di psicologia che prenderà il via il 24 gennaio, men-tre quello avviato l’anno scorso e relativo alla dizione si svolgerà in primavera (prima data il 3 aprile), seguendo gli insegnamenti dell’at-trice Elena Bettinetti.Ultima ma curiosa novità il doppio appuntamento del 12 e 26 genna-io su “Storia e tradizioni della Val-trompia”, tenuto dallo studioso Leonardo Peli sulla storia mino-re della Valle e approfondendo la questione particolare delle streghe (ingresso libero). Informazioni dettagliate si pos-sono ricevere presso la bibliote-ca (indirizzo e-mail, [email protected], tel. 030.8929259) o sul sito web del Comune (www.comune.lumezza-ne.bs.it).

Dallo scorso anno le squadre di palla-volo e pallacanestro gardonesi hanno traslocato nella nuova struttura poli-funzionale che l’amministrazione ha adattato alle esigenze delle società sportive in località Rovedolo. Un tra-sloco forzato a causa dell’inagibilità del vecchio palazzetto dello sport, che si trova all’interno dell’oratorio San Giovanni Bosco. Ora, il progetto per la ristrutturazione è pronto e i lavori dovrebbero prendere il via nei primi mesi del 2012. Pochi oratori possono godere di ampi spazi come quello di Gardone Val Trompia e di strutture così grandi come il palazzetto, utili per la pratica di svariate discipline sportive e necessarie per una molti-tudine di attività ricreative che si pos-sono tenere in ambiente oratoriano. “La struttura – spiega il parroco don Francesco Bazzoli (nella foto) – ha ospitato per tanti anni le classi degli istituti superiori del territorio per le ore di educazione fisica e adesso è ve-nuto il momento di intervenire”. Una ristrutturazione che vedrà ridefinita l’area di gioco che, per motivi di spa-zio, verrà destinata soltanto alla pal-lavolo. “Soprattutto – riferisce l’asses-sore ai Lavori pubblici del Comune di Gardone, Fausto Gamba – verranno rimessi a nuovo gli impianti di riscal-damento ed elettrico, rifatta intera-mente la pavimentazione, sistemate le opere a muro; inoltre, verrà edificata anche una struttura attigua all’attuale con sbocco su via Roma, in modo che venga a crearsi un accesso indipen-dente proprio per l’edificio a caratte-re sportivo”. Una sistemazione non

da poco, anche in termini finanziari, dato che l’investimento complessivo è fissato in un milione 350mila euro, che sono ancora da reperire. “La spe-sa – dice don Bazzoli – è ingente, per questo ci rivolgiamo ai gardonesi, che da sempre si sono dimostrati sensibili nel sostenere le opere di valenza col-lettiva per la comunità come questa, spazio troppo importante per giovani, ragazzi e adulti”. (a.a.)

A Marmentino il Comune ha messo mano alla ristrutturazione di Malga Croce a Pian Del Bene, quota 1.500 metri sotto il monte Ario, luogo che deve il suo nome alla ricchezza d’acqua e pascoli. La malga è ora costituita da due corpi di fabbrica separati: la parte vecchia con stalla, casinetto con camino a legna e locali per la lavorazione del latte, ormai inadeguati alle normative; poi un portico con stalletta, ricovero del bestiame. Il crollo di parte della copertura per

troppa neve è stata l’occasione per ripensare l’intera struttura, realizzando un edificio a norma sia per la lavorazione del latte che per la vendita del prodotto. Si tratta di 140 mq: quattro stanze per la lavorazione, adeguato servizio igienico e negozio. Ci sarà acqua corrente, impianto elettrico e forza motrice alimentati con pannelli fotovoltaici. Una spesa di 210mila euro: 164mila euro dai fondi del Piano sviluppo rurale regionali e il resto con risorse comunali.

La “Fondazione Angelo Canossi Centro Culturale professor Aldo Cibaldi” di Bovegno celebrerà in modo particolare il 150° dell’Unità d’Italia il 4 novembre alle ore 20 presso l’auditorium parrocchiale Paolo VI. Lo farà ricordando idealmente il grande poeta dialettale Canossi (definito “il poeta della brescianità”) che a 53 anni cercò di arruolarsi nella Grande Guerra: non accettato per la malferma salute, con letture e recite contribuì alla

raccolta fondi a favore di feriti e malati negli ospedali cittadini. Dal 1914 iniziò a soggiornare a Bovegno che ispirò la sua opera, e, sempre in quell’anno, comparve la sua prima raccolta di poesie in dialetto bresciano. La serata vivrà tre momenti: nel racconto (una rapida sintesi della storia italiana); nelle poesie (da Manzoni a Canossi); nei canti (dal Coro dei Lombardi all’Inno nazionale) eseguiti dalla Corale parrocchiale di Bovegno. (e.b.)

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ªi è tenuto venerdì 21 ottobre il centenario della dedica-zione della chiesa dei San-ti Vigilio e Gregorio Magno nella frazione concesiana

di S. Vigilio alla presenza del vesco-vo mons. Luciano Monari. “Quella di venerdì – dice il parroco don Dome-nico Castelli – è stata davvero una grande festa e l’incredibile numero di persone accorso in parrocchiale mi ha riempito di gioia. La serata è cominciata alle 20.30 con una pro-cessione dalla Casa della solidarietà, quindi con il saluto da parte dei bam-bini più piccoli e un simpatico sipa-rietto che ha visto protagonista pro-prio il vescovo: egli si è presentato a un bimbo con un ‘Piacere Luciano’ e lui ha risposto ‘Piacere Lorenzo’, an-ticipando con i sorrisi dei presenti la celebrazione. Al momento dell’offer-torio – continua don Domenico – sono stati i ragazzi prossimi alla Cresima a portare i doni all’altare, in una Messa che soltanto nelle celebrazioni solen-ni del normale anno liturgico ha visto la nostra chiesa così colma di gente”. Una serata durante la quale la comu-nità cristiana ha dimostrato il proprio affetto per quella parrocchiale, sorta al centro del paese nel 1237, succes-sivamente alla chiesetta di S. Velgio in monte che ancora oggi domina dall’al-to l’abitato. “All’inizio – spiega sempre il parroco concesiano – era poco più

che una cappella, fino all’anno 1632, quando venne interamente rifatta e divenne parrocchiale. La chiesa subì anche alcune trasformazioni più re-centi, l’ultima nel 1932 con il prolun-gamento di due campate e proprio in quell’anno venne consacrata al culto divino da mons. Giacinto Gaggia”. La

Sono vicine le festività dei Santi e dei Morti. Sembra giusto ricordare un sa-cerdote straordinario, don Gherardo Amadini. Dal giorno della sua morte, 13 luglio del 1836, si sviluppò una re-ligiosità popolare. Don Sandro Gorni (infaticabile autore di libri di ricerca storica) approfondì la figura di don Gherardo attraverso la lettura di al-cuni documenti. Ora, stampato in proprio dalla parrocchia dei SS.Pietro e Paolo di Virle, ha pubblicato il ri-sultato. Una “dispensa” (come lui la chiama) “dono soprattutto agli amati sacerdoti della zona XX Alta Valtrom-pia” affascinante perché, la vicenda di don Gherardo è immersa nella re-altà quotidiana. Parlando della sua nascita a Ludizzo di Bovegno ne an-nota sacerdoti e vicende, ricordando che era una Amadini anche Maria, la veggente della Madonna del Santua-rio di Predondo. L’ordinazione avven-

ne per don Amadini il 28 maggio del 1831, subito inviato a Tavernole per la dottrina ai fanciulli, poi maestro (ultimo sacerdote ) alle regie scuole elementari. L’11 luglio del 1836 scop-piava un’epidemia di colera fulmi-nante. Lui si prodigava senza badare al pericolo: “impavido, intrepido e coraggioso” fino al 12 , quando aveva pure fatto catechismo e celebrato. Testimonianze sotto giuramento dei presenti alla sua agonia del 13 luglio, affermano che moriva sospirando “Si-gnore ricevete la vittima ma salvate il mio popolo, e vivendo, e sia che ab-bia a morire, sia fatta la vostra santa volontà”. Il colera finiva il 5 agosto. Subito don Gherardo fu invocato co-me “santo”. Prima sepolto affrettata-mente in luogo segreto, 13 anni dopo viene riesumato per una più degna sepoltura rivelatasi un po’ corta (sta scritto nel documento scovato da don

Gorni) “con qualche sconciatura sulle gambe” ripiegate all’indiana. Nel 1954 (parroco don Angelo Bianchi) la sua salma, ancora intera, venne “distesa senza difficoltà” in un’urna coperta da un vetro collocata in bel sarcofa-go marmoreo, al centro della piccola abside cinquecentesca in fondo al portico della chiesa di S.Filastrio nel cimitero di Tavernole. Nel volumetto vengono citate anche tre testimonian-ze (da Lodrino e Gardone del 1888, Brescia del 1938) di eventi miracolosi. La seconda domenica di luglio, con la prima messa alle 8 il sarcofago viene scoperchiato e la salma è offerta fino a sera alla devozione dei fedeli. Tra l’altro ora si sta studiando come mi-gliorarne la conservazione in modo da sottrarla completamente alle ingiurie del tempo con più efficiente copertu-ra in cristallo. In paese gli sono state dedicate una via e l’oratorio.

Il Gruppo teatrale “La Betulla” all’interno della 19 edizione di Nave teatro presenta “I sogni muoiono all’alba” di Indro Montanelli. Quando? Sabato 5 novembre alle 20.45 e il 6 novembre alle 15.30 presso il Teatrino della Betulla di via Monte Dragoncello 3 a Nave. L’iniziativa gode del patrocinio del Comune con l’assessorato alla cultura. Dopo la presentazione di “Copenaghen” di Michael Frayn, ora tocca all’opera di Montanelli: la pièce riferisce la drammatica

situazione di cinque reporter italiani, alloggiati nella periferia di Budapest, quando, all’alba del 4 novembre, un rombo di cannone annunzia la controrivoluzione. Che cosa fare? Fuggire o restare? Le diverse scelte portano sulla scena la storia personale di ognuno, in un intrico di miseria morale e di riscatto. La commedia è solcata da un senso di tristezza per il tramonto dei sogni. Dal testo teatrale nel 1961 è stato tratto anche il film “I sogni muoiono all’alba”.

È arrivata sulla Gazzetta ufficiale della Commissione europea la domanda di registrazione presentata dal Comitato promotore per la valorizzazione del formaggio “Nostrano Valtrompia” per l’omonimo prodotto. “Tale passaggio – dice Mauro Sigurtà, assessore all’Agricoltura in Comunità montana – arriva quasi 10 anni dopo la presentazione dell’istanza ed è fondamentale nel complesso iter previsto dalla normativa, dato che è l’ultimo

prodromo al riconoscimento della Denominazione di origine protetta (Dop) per il “Nostrano Valtrompia”. Infatti, se entro il 15 aprile 2012 non perverranno alla Commissione opposizioni a tale domanda, il passo successivo sarà il riconoscimento del diritto a diventare “Nostrano Valtrompia Dop”. Questa notizia – prosegue Sigurtà – viene accolta in Valle con soddisfazione, soprattutto da parte del Comitato promotore che ha visto attivamente impegnato il suo presidente Silvio Zanini”.

lunga serata di festa di venerdì scor-so è poi proseguita con un rinfresco all’oratorio. “Sono davvero molto con-tento per la giornata della dedicazio-ne che abbiamo vissuto – chiude don Domenico Castelli –, anche perché la partecipazione della gente non si è limitata soltanto a venerdì, ma tutta la comunità ha seguito la preceden-te settimana di preparazione fatta di adorazione e dei momenti del Rosa-rio meditato, trovando anche il tem-po di seguire due incontri molto pro-ficui: uno relativo alla nostra chiesa nell’arte e nella storia tenuto da don Giuseppe Fusari; l’altro intitolato ‘La Chiesa nella Bibbia’ e condotto da don Flavio Dalla Vecchia”.

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volte ritornano. Stiamo parlando dell’imposta di soggiorno che, abo-lita nel 1989, potrebbe essere reintrodotta sul

Garda, come già avvenuto a Roma e Venezia. “L’imposta – dichiara Giorgio Passionelli, vicepresidente della Co-munità del Garda e sindaco di Torri del Benaco – è uno strumento utile e necessario per migliorare la qualità e la riqualificazione dell’offerta turisti-ca dell’intero lago di Garda. Sarà uti-lizzata nel pieno rispetto delle finalità che sono state condivise da una tren-tina di sindaci e non sarà un onere pe-nalizzante per i milioni di turisti che, ogni anno, arrivano sul Benaco”. Lo strumento riguarda i Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche che dall’1 aprile al 31 ot-tobre avranno la possibilità di istitu-ire un’imposta a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive. I sindaci dei Comuni gardesani inten-dono avvalersi di tale opportunità in-trodotta dal federalismo municipale per il “miglioramento della accoglien-za turistica, la riqualificazione delle strutture e le manifestazioni, ma an-che il finanziamento di capitoli quali

sicurezza, manutenzioni e recupero di beni e servizi pubblici locali”. I rappre-sentanti delle categorie si dicono con-trari. “Il momento è difficile – afferma Paolo Rossi, presidente di Federalber-ghi Lombardia e degli albergatori bre-sciani – e vogliamo essere propositivi. Ai sindaci diciamo che applicare l’im-posta produrrebbe una grave caduta d’immagine per il Garda, che fonda il proprio successo turistico sullo stra-ordinario rapporto qualità-prezzo del-le strutture ricettive”. Anche Asshotel Confesercenti esprime parere nega-tivo. “Siamo fermamente contrari – dichiara Marco Polettini, presidente provinciale – alla reintroduzione di questo balzello. È ora di abbandona-re la logica secondo cui in ogni occa-sione in cui assistiamo alla carenza di risorse pubbliche debbano essere le imprese turistiche e i loro ospiti a pagare”. E secondo il vicepresidente

Paolo Bertini: “Altre devono essere le iniziative a favore di questo setto-re e non provvedimenti che rischia-no di deprimerlo creando non solo problemi di natura commerciale, ma introducendo inutili appesantimenti burocratici. La sola gestione ammi-nistrativa di questo provvedimento costerà alle imprese turistiche decine di migliaia di euro in risorse umane e vane perdite di tempo”. Le prime sti-me del gettito dell’imposta di soggior-no quantificano in circa 10 milioni di euro gli introiti. Il ventaglio di paga-mento va da 0,5 a 2 euro (a fronte di un massimo di 5 euro del decreto) per ciascun giorno di presenza e il calcolo avviene in base al numero di stelle del-la struttura. Esenzioni sono previste per under 13, portatori d’handicap, e altre categorie. Per diventare operati-vo il regolamento dovrà poi essere ap-provato dai singoli consigli comunali.

“Creatività e ingegno. Istruzioni per l’uso” è il titolo dell’incontro che si svolge venerdì 28 alle 20.30 presso il Teatro Don Gorini di Bedizzole. All’incontro, organizzato dalla Ban-ca di credito cooperativo di Bedizzo-le Turano Valvestino e dedicato alla consegna dei riconoscimenti ufficia-li del “Premio allo studio 2011”, sa-ranno presenti personaggi del terri-torio che si sono distinti proprio per qualità riferite a creatività e ingegno. Quest’anno la Bcc festeggia il venten-nale del Premio allo studio e ha volu-to valorizzare questa ricorrenza am-pliando le 80 borse di studio previste dal regolamento, portandole a 100. Un’attenzione al mondo dei giovani e all’eccellenza scolastica che, nono-stante la congiuntura economica, pro-segue e vuole essere un investimento per il futuro. Forte il coinvolgimento di questa iniziativa con il territorio e con il mondo della scuola: i 100 gio-vani premiati giungono in simbolica rappresentanza di 17 istituti superiori e di 15 scuole secondarie della zona operativa della banca, oltre a 19 diver-se facoltà universitarie distribuite su tutto il territorio nazionale.L’iniziativa del Premio allo studio na-sce nel 1992 come incentivo al merito scolastico e sono in totale oltre 1.600 gli studenti che in questo lasso di tem-po si sono visti riconoscere dalla Bcc un premio per il proprio impegno.“La nostra banca vuole lanciare un segnale forte di fiducia nelle giovani generazioni – sottolinea il presiden-te, Albino Zabbialini – premiando e dando risalto all’impegno e all’eccel-

lenza scolastica. Siamo orgogliosi di portare avanti questa iniziativa che ci consente ogni anno di incontrare e conoscere giovani che lasceranno il segno. Ci piace pensare che il nostro rappresenti un investimento a lungo termine che possa supportare sia il percorso del singolo studente che favorire la promozione della comu-nità locale nella quale la Bcc si trova a operare”.

Riparte sul Garda il progetto “Noi Musica” voluto da don Luca Nicocelli, parroco di Centenaro di Lonato. Tra eventi, concorsi, musical e corsi, da questa estate il progetto ha allargato i propri orizzonti con la creazione di una Web Radio per dare sempre più ai giovani la possibilità, i mezzi e le occasioni di esprimere la loro passione con coscienza e creatività. Le attività cominciano con un corso per giovani Dj: dal 7 novembre, ogni lunedì dalle 20, all’oratorio

di Padenghe. E nella sala prove e registrazione dell’oratorio le band possono trovarsi per testare pezzi e incidere il loro ‘demo’. Pronto a salpare anche il Concorso per rock band, con canzoni inedite e cover, che si terrà presso il Teatro Italia di Lonato. L’evento si svolge in due serate: audizione e selezione di 15 band sabato 5 dalle 16, concerto finale dei migliori 6 gruppi e premiazioni, sabato 12 dalle 21. Quest’anno è anche prevista l’assegnazione del

‘Premio Fan Club’, uno speciale riconoscimento al gruppo che porterà più sostenitori e farà sentire il proprio tifo. L’ingresso è libero. Continuano, il venerdì dalle 18 alle 20, nel teatro parrocchiale di Rivoltella, le prove del laboratorio di teatro dirette da Marisa Binatti e Massimiliano Giovanazzi, per la preparazione di due musical. Altri appuntamenti, tra serate musicali e aperitivi con gli autori, rientrano in “Noi Musica”, vero e proprio contenitore” artistico, progetto

fondato a partire dal 2007 da don Luca e alimentato dalle energie di uno staff di volontari. “Con proposte musicali, teatrali e culturali – commenta il parroco – ci rivolgiamo agli adolescenti e ai giovani dai 13 fino ai 15 anni, riunendo anche più generazioni attraverso gli spettacoli e i concorsi, che in inverno, per adempiere alla finalità del progetto, trovano spazio negli oratori parrocchiali, mentre d’estate si trasferiscono all’aperto”. Per informazioni www.noimusica.org.

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Il Sistema bibliotecario Ovest bresciano fa parte della Rete bibliotecaria bresciana e raccoglie 16 biblioteche dislocate tra la Franciacorta e il Sebino. Il suo ruolo è quello di assicurare la catalogazione dei documenti, il prestito interbibliotecario, la fornitura di servizi, tra i quali quello della promozione della lettura. Il suo presidente, Gianni Stucchi, assessore alla Pubblica istruzione di Palazzolo sull’Oglio, Comune capofila del Sistema, ha presentato

l’evento: “Nelle terre dell’Ovest. Biblioteche, persone e culture tra la Franciacorta e il Sebino”. Vuole essere un’occasione di incontro tra il lavoro di promozione delle biblioteche e quello proprio del Sistema stesso, in una sinergia dove la conoscenza della biblioteca come luogo culturale diviene parte di quell’integrale servizio all’Utenza che le Amministrazioni comunali sono chiamate a fornire. L’evento, patrocinato dalla Rete bibliotecaria bresciana, dislocato nelle realtà

locali, prevede aperture, momenti musicali e teatrali, degustazioni, convegni e mostre. Gli incontri con gli autori (Giovanni del Ponte, Anna Lavatelli, Gek Tessaro, Antongionata Ferrari, Anna Vivarelli e Andrea Vitali) sono stati creati con la collaborazione dell’ufficio promozione della Cooperativa Zeroventi di Brescia. Nutrito il calendario delle proposte che terminano il 19 novembre. Per informazioni: Biblioteca civica G.U. Lanfranchi: 030 7405590.

o scopo primario è quello di “valorizzare la famiglia riconoscendo il grande valore sociale che oggi riveste”, mentre, nel frat-

tempo, le profonde trasformazioni socio-culturali nell’odierna società, ne condizionano l’evolversi: basta pensare, per esempio, all’aumento delle donne inserite e impegnate nel mercato del lavoro o alla crescita di famiglie di tipo monoparentale. In questo ambito di nuove esigenze, è stato concepito il “Buono a soste-gno delle famiglie con bambini da zero a tre anni” che, il Piano Finan-ziario 2011, per l’intero Distretto nu-mero 7 dell’Ambito territoriale Oglio Ovest (comprendente i Comuni di Castelcovati, Castrezzato, Cazza-go San Martino, Chiari, Coccaglio, Comezzano-Cizzago, Roccafranca, Rovato, Rudiano, Trenzano e Ura-go d’Oglio) destina per l’erogazione di 15mila euro da assegnare tramite formazione di una graduatoria sti-lata in base al reddito Isee. L’aiuto economico è rivolto a tutte quelle famiglie che usufruiscono di servizi pubblici, privati autorizzati o di baby sitter per l’accudimento e l’educazio-ne dei propri figlioletti (con un’età compresa tra zero a tre anni) e nel-le quali entrambi i genitori convi-venti, o l’unico genitore presente, lavorano. Nel dettaglio è richiesta la frequenza per almeno tre mesi

nel corso del 2010 di asili nido, pre-asili o nidi famiglia (sono escluse le scuole materne), oppure la regolare assunzione di una baby sitter per lo stesso periodo. Entrambi i genitori conviventi, o l’unico genitore pre-sente, dovranno così dimostrare di aver lavorato per un periodo almeno

pari a quello di fruizione del servizio da parte del minore. Per accedere al buono, oltre a risiedere in uno degli 11 Comuni del Distretto, è richiesto anche possedere un reddito Isee in-feriore ai 25mila euro. Per parteci-pare al bando è necessario infatti presentare l’attestazione Isee del nucleo familiare con redditi relativi al 2010, abbinata, nel caso di servizi pubblici o privati, alla dichiarazio-ne di frequenza per il 2010 con spe-cificazione delle spese sostenute, mentre in caso di assunzione di una baby sitter, al contratto o alla lettera di assunzione della stessa con tanto di copie delle ricevute di pagamen-to e versamenti Inps. Il buono sarà quantificato percentualmente come rimborso della spesa effettivamente sostenuta e ne avranno diritto tutte le famiglie che presenteranno do-manda ritenuta conforme ai criteri fissati: qualora le richieste superino il budget disponibile sarà effettuata una riduzione lineare delle percen-tuali di rimborso. Tutte le famiglie interessate avranno tempo fino al 10 novembre 2011 per presentare, nel proprio Comune di residenza e com-pilando il relativo modulo, domanda di partecipazione al bando. Per infor-mazioni è possibile rivolgersi diret-tamente all’Ufficio Servizi sociali del proprio Comune, oppure contattare la Responsabile dell’Ufficio di piano allo 030/7008254.

Fino al 30 ottobre prosegue la mostra allestita presso il Museo San Fedele - Collezione Mario Pedrali dal titolo “Documenti storici del Risorgimento italiano”. Per l’occasione è stato concesso un annullo delle Poste di tre cartoline che riproducono una macchina da scrivere Olivetti, la famosa Lettera 22 del giornalista Indro Montanelli e un documento dell’archivio storico del Pedrali. L’esposizione è aperta nei giorni festivi dalle 9.30 alle 12, nei feriali dalle 16 alle 19.

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l cronoprogramma stabilito dal tavolo di lavoro provinciale per arrivare alla definitiva bonifica delle aree industriali di Forno d’Allione ha avuto la prima im-

portante conferma: la bonifica del sito ex-Ucar, oggi di proprietà della Graftech S.p.A., un colosso multina-zionale con la testa a New York e fi-liali in Cina, Regno Unito, Sudafrica, Italia (Forno d’Allione e Caserta) si farà e al più presto. L’idea di un tavo-lo provinciale venne posta in campo dal Sindaco di Berzo Demo (Comune su cui insistono le aree in questione). Su proposta del sindaco Corrado Sco-lari, infatti, il Comune aveva attivato una conferenza di servizi che, con-frontandosi in svariate occasioni, ha raggiunto nei giorni scorsi un accordo definitivo con Graftech, attuale pro-prietario dell’area. L’accordo prevede una prima fase di stesura del capito-lato degli interventi concordati, entro il tempo massimo di sei mesi. Quindi dovrà essere attuato il piano di sicu-rezza permanente, affidato a una ditta specializzata di livello internazionale, individuata da Graftech e certificata a livello europeo. Il tutto è contenu-to nel protocollo siglato dalle parti e

accettato in via definitiva nella sedu-ta di giovedì 20 ottobre, contenente il piano definitivo della bonifica totale delle aree industriali dove, da oltre 60 anni, la Union Carbide ha versato i suoi rifiuti industriali. Il piano prevede quattro passaggi fondamentali: il pri-mo riguarda la sicurezza a monte del-la discarica con una trincea drenante le acque piovane; il secondo step ri-guarda l’intervento sul corpo della di-scarica con una copertura a “capping” totale, isolante verso il basso e verso l’alto, con una sorta di “sarcofago” che sarà interamente coperto da ve-getazione. Quindi verrà implementato l’attuale monitoraggio posto ai piedi della discarica, con una serie di sen-sori posti a diverse profondità. Senso-ri che già esistono e che peraltro oggi non hanno mai registrato alcun feno-meno di infiltrazione di prodotti della discarica verso il basso e quindi verso

le acque reflue. La zona intorno alla discarica sarà completamente chiusa a persone o animali. Il monitoraggio continuerà nel tempo, per molti anni a venire (si parla di almeno 50 anni). Soddisfatta l’amministrazione comu-nale di Berzo Demo che può, a ben di-ritto, vantare un risultato impensabile anche solo qualche tempo fa. Dalla sicurezza della zona potrà ripartire la ripresa degli investimenti industriali a Forno d’Allione. Il secondo importan-te passo da compiere sarà la bonifica anche dei materiali stoccati all’inter-no dello stabilimento ex-Selca, area di grande interesse industriale che potrebbe essere liberata a favore di nuove attività, su un’area di almeno 100mila metri quadrati già tutti dota-ti di servizi tecnologici: fibre ottiche, centrale elettrica autonoma, ferrovia con interscambio, uscita dedicata dal-la nuova SS42 (pronta a Natale 2012).

Un cuore, con un lungo e sinuoso cammino per raggiungerlo. O un pal-loncino a forma di cuore, con una cor-dicella che lo tiene legato. È il logo della seconda edizione di “Scrittura di donna”, il ciclo di incontro con l’au-tore – meglio con le autrici – promos-so dalla Biblioteca comprensoriale di Breno insieme al Comune e al Siste-ma bibliotecario di Valle Camonica. Cinque serate con altrettante autrici, per un modo di scrivere tutto in rosa, ma con tematiche che toccano diver-si campi. Dal 28 ottobre, per cinque venerdì consecutivi al Palazzo della Cultura di via Garibaldi a Breno si in-croceranno – sempre con l’introduzio-ne di presentatrici al femminile – sei scrittrici legate alla terra bresciana, due delle quali di origine valligiana. Spiccano le figure di Maria Venturi e di Cinzia Tani. La Venturi presenterà al pubblico il suo nuovo lavoro dal titolo “Come prima”, per le edizioni Rizzoli, introdotta da Barbara Zanot-ti. La Tani, attesa da tempo in Valle, racconterà il suo romanzo “Io sono un’assassina”, edito da Mondadori, la sera dell’11 novembre, presentata da Roberta Ricci. La giovane camuna Cinzia Franceschinelli poi intratterrà l’uditorio parlando del suo secondo libro “Torno indietro per un bacio”; il testo è pubblicato dalle edizioni La Gru. Oltre a Venturi, Tani e Fran-ceschinelli le altri scrittrici protago-niste dell’iniziativa sono l’avvocato bresciano Sabrina Baglioni che pre-senta il suo “Canto delle cicale” (il 18 novembre, con introduzione di Anna Facchini) e Carla Boroni (nella foto)

che, con Marta Mai, farà conoscere “Favole del Novecento: per una edu-cazione alla legalità” (4 novembre). Per Simona Ferrarini, assessore alla Cultura del Comune di Breno e in Co-munità montana: “Il pubblico del ci-clo di incontri non è solo femminile, l’iniziativa si rivolge un po’ a tutti, sia giovani che adulti. Il libro e la lettura sono amici, compagni e una continua fonte di arricchimento spirituale”.

A cura di Angelo Giorgi è uscito “Lettere a Guido Lonati 1928-1935” dello storico don Romolo Putelli (1880-1939), pubblicato da Edizioni Torre d’Ercole di Travagliato. 59 epistole dallo studioso brenese all’amico Lonati che costituiscono una documentazione notevole per restituire idee, scelte, percorsi dei due ricercatori. Purtroppo non sono state rintracciate le responsive, forse distrutte, assieme all’archivio personale alla morte del Putelli. Tra i due

nacque un’amicizia sincera, oltre le scelte politiche e le collaborazioni non sempre condivise: Lonati collaborò frequentemente con mons. Paolo Guerrini, che nutriva forte avversione per il “pretino brenese”, anche per le dichiarate scelte filofasciste di costui; don Romolo lavorò spesso isolato e nell’ostracismo culturale valligiano e bresciano. I “due fratelli di studio” condividevano certo il metodo storiografico che li aveva visti impegnati nell’opera di salvaguardia,

ricostruzione e pubblicazione delle fonti storiche del Bresciano. Dagli scritti di Romolo Putelli, oltre alla figura dello storico e dell’uomo che si racconta in prima persona senza pudore all’amico, esce tratteggiata la personalità di Lonati, uomo di notevole spessore culturale, attivo nella ricerca, stimato da molti, “studioso retto, paziente, sagace”. Guido Lonati era nato a Brescia nel 1896, diplomato ragioniere fu bancario. Dal 1920 si impegnò in numerosi studi di storia locale,

collaborando con importanti giornali, riviste ed enti culturali, con principali interessi riguardanti la storia della Riviera del Garda e il Quattrocento bresciano. I contatti epistolari tra i due iniziarono nel 1928, mentre don Romolo, dal 1925, era impegnato nella sistemazione dell’Archivio storico diocesano di Brescia. Nel 1928 Lonati compì una visita a Breno e al “Museo Putelli”. Nel 1929 l’isolamento dello studioso camuno è una realtà: scrive “Qui vivo nel deserto”. (e.g.)

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“Cesare Monti: libertà espressiva tra Novecento e post-impressionismo” è il titolo di una mostra che, all’interno di Rassegna Antiquaria” celebra l’aurore bresciano, protagonista del secolo scorso. La storia di Monti è nota a tutti o quasi: nato a Brescia nel 1891, si trasferì a Parigi per imparare il mestiere del coiffeur, ma una volta respirata l’atmosfera della capitale francese decise di seguire la sua vocazione pittorica. La mostra, che anticipa l’uscita del catalogo ragionato

dell’artista, vuole iniziare a dare ordine visivo all’evoluzione pittorica di Monti, che negli anni è stata presentata in maniera un po’ disattenta, alimentando confusione soprattutto riguardo la cronologia delle opere. Cesare Monti iniziò a dipingere in Valsabbia, alla maniera divisionista francese, con Edoardo Togni. Trasferitosi a Milano nel 1912, portò con se soltanto il candore di quella pittura, che dopo la guerra, divenne simbolista e

attenta ai modi dei Nabis. Ma già nel 1919 la sua pittura traspira aria di Novecento.È amico di Carrà, con cui gioca interminabili partite a carte. Forse non gode appieno dei favori di Margherita Sarfatti, ma questo non gli impedisce di essere presente a quasi tutte le esposizioni, nazionali e internazionali del gruppo capeggiato da Sironi e Funi. Partecipa a 14 edizioni della Biennale di Venezia e a tutte le Quadriennali romane. Negli

anni Venti la sua tavolozza vira nuovamente verso toni più accesi, per esplodere nei chiaroscuri decisi che delineeranno la produzione degli anni Trenta. La Seconda Guerra porta via con se generazioni di artisti della tradizione, per far posto alle nuove leve intellettualoidi, ma Monti non si scora e continua il suo percorso, che sfocia, sul finire della sua vita, nella produzione di opere strabilianti per freschezza e invenzioni cromatiche.

on l ’edizione 2011 di “Rassegna Antiquaria” in programma dal 29 ottobre al 6 novembre, ritorna al Centro fiera

di Montichiari un appuntamento ormai divenuto tradizione per il pubblico di collezionisti e appas-sionati. “Rassegna Antiquaria ha un’identità perfettamente ricono-scibile nel panorama degli eventi dedicati all’antiquariato.”, spie-ga Ezio Zorzi, direttore del Cen-tro Fiera. “L’offerta è senza dubbio di alto pro-filo e non mancherà di riscuotere in-teresse tra i numerosi appassionati che, ogni anno, confermano l’atten-zione del territorio per l’arte e l’an-tiquariato”. “Rassegna Antiquaria”, dunque, si ripropone all’insegna della qualità. Nelle giornate della mostra, i visi-tatori potranno ammirare proposte che spaziano dai mobili antichi al-le tele e ai dipinti, dall’oggettistica d’alto antiquariato ai pezzi da col-lezione, con legni antichi, tappeti

orientali e caucasici, libri d’epoca, olii, tempere, in un percorso che attraversa la tradizione del Vecchio Continente, con aperture all’arte popolare europea e americana, fi-no ad arrivare a inserti di vintage e collezionismo. “Una rassegna co-me la nostra deve sempre puntare a rinnovarsi, senza mai rinunciare a coinvolgere e stupire il visitatore.”, spiega Silvia Dalcò, curatrice della mostra. “Per Rassegna Antiquaria è giunto il momento di sperimentare nuovi percorsi. Per questo, con l’edi-zione 2011, abbiamo voluto immagi-nare una disposizione degli spazi an-cora più accattivante e coinvolgente

che, siamo certi, saprà valorizzare al meglio le opere presenti ngli spazi espositivi. A impreziosire l’edizione 2011 di “Rassegna Antiquaria”, inol-tre, è in programma un evento colla-terale di assoluto prestigio dal titolo “Cesare Monti: libertà espressiva tra Novecento e post-impressionismo”, a cura di Guido e Stefano Cribiori. La mostra, che anticipa l’uscita del catalogo ragionato dell’artista bre-sciano (a cura di N. Colombo, G. Cri-biori e E. Pontiggia), vuole iniziare a dare ordine visivo all’evoluzione pittorica di Monti, che negli anni è stata presentata in maniera un po’’ disattenta, alimentando confusione soprattutto riguardo la cronologia delle opere. In oltre 20 anni di storia, “Rassegna Antiquaria” ha dimostrato la capa-cità di rinnovarsi, senza snaturare i propri punti di forza. L’edizione 2011 si preannuncia an-cora più ricca di novità, proposte e contenuti, con un’offerta espositiva destinata ad accontentare i collezio-nisti più esigenti ed il pubblico degli

appassionati. “Rassegna Antiquaria” s’inserisce in un mercato vivace e ricco di opportunità e, grazie a una proposta espositiva ben articolata, si rivela un’esperienza appagante per ogni visitatore. La crescita del numero di esposi-tori registrata nelle ultime edizioni si è accompagnata a una selezione rigorosa degli stessi, con l’obbiet-tivo di consolidare il livello quali-tativo della mostra.

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Maffeo Ferrari è scultore di opere in legno, bronzo, marmo, rame, sempre i temi sono vicende di Santi, momenti evangelici e biblici, raffigurazioni cioè che offrono consistenza di immagine alla dimensione religiosa cristiana. Si tratta sicuramente un artista apprezzato tanto in Italia quanto all’estero. Le sue realizzazioni non arricchiscono soltanto chiese e cattedrali del sud America. Per una serie di fortunate coincidenze (oltre che

per le sue indubbie capacità) l’artista bresciano ha avuto modo di lavorare all’estero in cattedrali e basiliche (quindi chiese molto importanti) tra cui anche la cattedrale della cittadina albanese di Vau-Dejëssede della diocesi di Sappa. Si tratta di una diocesi suffraganea dell’arcidiocesi di Scutari-Pult. Maffeo Ferrari ha anche avviato contatti per il presbiterio e gli arredi liturgici di una nuova cattedrale che dovrebbe sorgere

nei Balcani. Tutt’altro che esaurita, poi, è la collaborazione con le Chiese del Brasile (nella foto l’ambone della basilica di Nostra Signora di Nazarè). “Sono opportunità – afferma lo scultore – che ho colto molto volentieri. Sono state e sono esperienze importanti perché in ogni luogo in cui ho lavorato ho potuto incontrare persone nuove, abitudini nuove, esigenze liturgiche diverse che mi hanno arricchito”

ontinua la collaborazione tra l’artista Maffeo Ferra-ri e l’arcidiocesi di Belém nello Stato brasiliano del Pará. I padri barnabiti che

nella cittadina brasiliana si prendono cura della basilica di Nostra Signo-ra di Nazarè hanno commissionato all’artista bresciano numerose opere. Sono, infatti, di Maffeo Ferrari l’alta-re, l’ambone, la cattedra, le sedi e un particolare supporto su cui viene is-sata la venerata statua della Madon-na in occasione della processione che annualmente chiama nella cittadina del Parà più di due milioni di fedeli. Si tratta di una statua del ‘700 che venne ritrovata nelle acque del fiume e che in breve tempo divenne oggetto di un culto sempre più vasto, tanto che oggi la già ricordata processione è uno dei più importanti appuntamenti religiosi dell’intera America. L’intera opera di Ferrari per la basilica risente, come è ovvio, della dedicazione della stessa chiesa a Maria di Nazaret. L’altare raf-figura l’annunciazione con la figura dell’arcangelo Gabriele intagliato nel marmo bianco della mensa e la figura di Maria realizzata in bron-zo. “La scelta della duplice materia – afferma lo stesso Ferrari – è stata dettata dalla volontà di differenzia-re il puro spirito dell’arcangelo e la figura più umana di Maria”. L’altare, nelle sue fattezze, richiama forme sostanzialmente classiche. La sua originalità, invece, è data dal fatto che le figure dell’arcangelo e di Ma-

ria sono incastonate una nella men-sa e l’altra nel contesto del basamen-to. “Da lontano – continua l’artista bresciano – sembra un altare clas-sico lineare, mentre con queste due figure il tema dell’annunciazione rie-sce a esprimersi in un contesto nuo-vo, come quello dell’altare, struttu-ra solitamente usata per esprimere altri temi”. Con le sue opere Ferra-ri ha voluto dare forma al raccon-to evangelico dell’Annunciazione e

così, dopo il momento raffigurato nell’altare, si passa all’ambone in cui “si racconta” dell’incontro tra Maria e Elisabetta. Il complesso realizzato per la cattedrale-santuario di Nostra Signora di Nazarè ha impegnato Maf-feo Ferrari per quasi un anno. Questo è il tempo necessario alla lavorazione del marmo e alla fusione delle parti in bronzo, realizzata dall’artista bre-sciano con la tecnica della cera per-sa. Tempi di lavoro abbastanza ridot-ti, dettati anche dal fatto che le ope-re commissionate a Ferrari avrebbe-ro dovuto essere pronte per la festa del Sirio Nazarè del 2010. L’impegno è stato rispettato e oggi le centinaia di migliaia di devoti che si recano in preghiera nella basilica-santua-rio di Belém apprezzano la capacità espressiva del marmo e del bronzo lavorati da Maffeo Ferrari.

Si realizzano impianti elettrici civili industriali, impianti domotici my home bticino; illuminazione chiese e monumenti; antifurti, telecamere a circui-to chiuso; assistenza tecnica in genere.

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A Rovato si riscopre la storia artistica recente, con l’antologica postuma di Elisabetta Rossi (Rovato1908-2009), una pittrice di ottimo talento, fino a ieri praticamente sconosciuta, perché in vita non espose mai Un destino simile a quello del suo grande maestro Girolamo Calca, “gloria” di Rovato, riconosciuto, dopo la morte, come uno dei massimi esponenti della pittura del Novecento bresciano. La Rossi ne segue le tracce, tanto che

alcuni suoi ritratti possono essere tranquillamente confusi con quelli del Calca: parenti e amici sono ritratti con vigore espressivo e capacità di guardare dentro la vita domestica con affettuosa attenzione e partecipazione. Oltre al ritratto i generi praticati dalla pittrice sono stati quelli “classici” della natura morta e del paesaggio, dove dimostra il suo attaccamento alla pittura “tradizionale bresciana” di fine Otto e del primo Novecento, legata al realismo. Le nature

morte colgono umili tavoli dove appaiono oggetti di domestico vasellame, qualche fiore, immersi in un’atmosfera sospesa che esalta la poesia delle piccole cose La mostra si inaugura il 29 ottobre alle ore 17.30 nella sede espositiva dell’ex Palazzo Sonzogni in via Bonomelli 22 a Rovato (feriali dalle 17 alle 19; festivi dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19 fino al 6 novembre). Dal 10 al 20 novembre la mostra prosegue presso la sala Bcc Agrobresciano di Brescia, in via Triumplina 237.

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Progettazione e restauri

estaurare la città antica per restituirla alla “frui-bilità” della comunità ci-vile: questa la proposta degli incontri proposti

dall’Aab, con un ciclo aperto da una tavola rotonda sul “Restauro e riuso funzionale dei centri storici: il caso Brescia” a cui erano stati chiamati una serie di notevoli personaggi, e non solo bresciani. Un discorso che forse è apparso un po’ troppo tecni-co per il grande pubblico, che non ha certo affollato la sede dell’Aab giovedì 20 ottobre scorso. Un pec-cato perché, al di là dell’approccio di carattere tecnico-culturale, si so-no toccati alcuni dei problemi della città e delle sue prospettive future. Vasco Frati, presidente dell’Aab, ha sottolineato come il recupero delle strutture storiche della città abbia, sì, un “valore”, non solo per una “doverosa” tutela dei beni storico- artistici, ma anche per incontrare fattivamente la cittadinanza, e Tino Bino ha indicato come il centro sto-rico costituisca il “centro simbolico dei diritti e dei doveri perché va a toccare la sfera della nostra identi-tà”, che si fondano sul passato, ma che si riflettono anche sul presen-te. Il recupero di consistenti beni e strutture storico-monumentali, co-me l’“abbandonato” ciclo di super-bi affreschi di Lattanzio Gambara di Palazzo Avogadro, o il tentativo di destinare a un uso non confacente allo storico passato edifici come il

“Mercato dei grani” in piazzale Ar-naldo o la “Crociera di San Luca”, indicati da Frati, non serve sem-plicemente alla memoria storica. Alberto Folonari, presidente del-la Fondazione Cab, che si è fatta capofila per l’imponente restauro della Chiesa della Carità (cosid-detta del “Buon Pastore”) e che ha contribuito in modo notevo-le per far riconoscere Brescia co-me sito “longobardo”, ha indicato

nel recupero monumentale anche una consistente possibilità di in-crementare ulteriormente il flusso turistico, facendo fronte alla crisi dei tradizionali settori industriali. Il presidente dell’ordine degli archi-tetti di Brescia, Paolo Ventura, si è soffermato sull’inserimento delle nuove architetture in ambiti stori-ci, che innovino gli spazi urbani, ma che non li stravolgano, come po-trebbe accadere, con opere come il garage sotto il Castello o il traforo della Maddalena. Infine da Franco Iseppi, presidente del Tci, un forte appello per una valorizzazione an-che dei centri storici “minori” e l’at-tenzione non solo allo storico pas-sato, ma anche alle manifestazioni che abbiano carattere di proposte innovative, conciliando il passato con la prospettiva del futuro.

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Lo straordinario ambiente delle chiese ha ispirato e ispira ancora l’attività di un’azienda che continua a conquistarsi consensi con la sua esperienza nel settore e con una vocazione che è divenuta cultura stessa della sua attività. È questo il biglietto da visita dell’“Elettroimpianti Orizio” di Castrezzato, grazie al quale ha saputo, con trasparenza, dare ai rapporti azienda-cliente un’importanza primaria, fatti di assistenza tempestiva, mirata,

e durevole nel tempo, con una competenza nella progettazione che prevede la combinazione dei metodi più tradizionali e con le più avanzate tecniche di installazione.La qualità del prodotto e del lavoro affidato a mani esperte, la possibilità di costi contenuti, accessibili per questo a un numero molto vasto di clienti, costituiscono un’indubbia garanzia dell’esistenza dei positivi valori che hanno

consolidato e reso grande nel corso degli anni il nome della Elettroimpianti di Orizio. Negli anni l’azienda di Castrezzato ha operato nelle parrocchie di Pisogne, nella foto (con interventi sulle campane e sulla struttura di sostegno realizzate recentemente), di Salò (con la sistemazione delle vecchie campane anche nelle frazioni), di Lumezzane S. Sebastiano, di Manerbio, con la realizzazione del nuovo sistema

di automazione campane. Numerosi sono stati anche gli interventi per la realizzazione degli impianti di diffusione audio e di sicurezza (allarme e videosorveglianza) per chiese, oratori e sale convegno affidate alla ditta Elettroimpianti Orizio. L’azienda castrezzatese può dunque vantare lavori già realizzati o interventi ancora da realizzare anche nelle province di Trento, Lodi, Cremona, Mantova, e Parma.

ono terminati nelle scor-se settimane i lavori al-la chiesa parrocchiale di San Giuseppe di Rova-to. Gli interventi hanno

interessato le superfici esterne e la torre campanaria. L’intervento condotto sulle superfici esterne della chiesa ha di fatto mantenu-to le previsioni della fase proget-tuale. L’attenta analisi sullo sta-to degli intonaci condotta prima dell’avvio dell’intervento ha così consentito di ridurre al minimo gli imprevisti e un sostanziale rispet-to della tempistica preventivata. Sulle pareti della chiesa sono sta-te sostituite le parti di intonaco in cemento con malte dalle caratteri-stiche tecniche piu vicine a quelle originarie. Il restauratore Lorenzi-ni, grazie all’impiego di sabbie da polvere di marmo, ha cercato di ricreare tonalità cromatiche simili a quelle delle altre parti della par-rocchiale. Diverso, invece, è stato l’intervento sulla torre campana-ria, oggetto di un precedente in-

tervento di restauro condotto ne-gli anni ottanta del secolo scorso. In quell’occasione la torre era sta-ta intonacata completamente con

malta di cemento. Col passare degli anni questo tipo di materiale, come spesso accade, aveva finito con da-re luogo a numerose fessurazioni. Di concerto con la sovraintendenza il restauratore ha deciso di toglie-re completamente questi intonaci e di procedere a una ricostruzione con malte a base di calce e polve-ri di marmo in grado di integrare il campanile al resto della chiesa.

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La Tecno Domus s.r.l. continua con successo il suo operato nelle parrocchie bresciane per restituire decoro agli interni delle chiese in tutte le parti che le compongono come superfici decorate e a tinta unita, intonaci, opere lignee, superfici lapidee/marmi e fregi in stucco con doratura. La conseguenza di questa particolare attenzione a tutto ciò che esiste all’interno delle chiese contribuisce a un accurato chek- up fotografico/informativo che individua lo stato

di conservazione degli interni delle chiese stesse. Il parroco a questo punto, oltre ad avere la chiesa “pulita ad arte” ha una documentazione fotografica che lo aiuta ad individuare le priorità di interventi di restauro/pulitura da eseguire nel corso del tempo.Attraverso l’esperienza della Tecno Domus i parroci vengono informati dove riporre più attenzione all’interno delle chiese; per esempio un’indicazione che è stata molto apprezzata riguarda la pulizia dei

cornicioni interni che delimitano la volta della chiesa e, dove nel corso degli anni, il riscaldamento ad aria, ha formato strati su strati di polvere che danneggiano ed impoveriscono gli arredi della chiesa. Un ulteriore apprezzamento è dovuto alla rapidità dell’intervento senza creare disagi alle normali attività liturgiche; la chiesa non viene infatti “occupata” da ingombranti ponteggi ma con moderni macchinari che consentono di eseguire i lavori di pulizia in quota con sicurezza e

velocità. Un altro argomento che invoglia le parrocchie ad eseguire la pulitura con il sistema Tecno Domus è la mancanza di costosi progetti che necessitano di tempi lunghi e complessi iter burocratici. Il nostro sistema adottato dalla Tecno Domus è rapido e con costi certi per la parrocchia. L’azienda ha poi avviato una fruttuosa collaborazione con la Aircon di Paderno Franciacorta di Stefano Sacrato per il risanamento di ambienti degradati dall’umidità.

quasi un anno dal loro avvio, i restauri della chiesa di Santa Maria della Carità, più co-nosciuta in città come

chiesa del Buon Pastore, prose-guono alacremente e tutto lascia sperare che, almeno la facciata, entro un mese possa essere libe-rata dai ponteggi e presentarsi ai cittadini bresciani nel suo bianco splendore.Insieme alla facciata risalteranno i materiali lapidei e in particolare la statua della Madonna con Bam-bino, in marmo di Efeso (località storicamente riconosciuta come ultima abitazione della Madonna e senz’altro proveniente da un reperto rilavorato di origini romane), i due splendidi angeli in marmo di Botti-cino, uno recante il giglio simbolo dell’Annunciazione e l’altro che por-ta in braccio la Santa Casa di Loreto. All’interno della chiesa, invece, i lavori proseguiranno ancora per diversi mesi, per il restauro degli affreschi, gli altari, i quadri, le cap-pelle, la sagrestia e, non ultima, la cappella della Casa della Madonna di Loreto che si trova dietro l’Alta-re maggiore. Parallelamente agli interventi con-servativi e di recupero dell’edificio, fervono i lavori e proseguono le at-tività di promozione tese a far cono-scere la chiesa a coloro che non la frequentavano e a sensibilizzare l’in-tera cittadinanza sull’impegnativa

opera di recupero di questo impor-tantissimo bene storico, oltre che religioso, che, una volta ultimato, rappresenterà un ulteriore gioiello artistico e culturale a disposizione della città di Brescia. La chiesa di Santa Maria della Cari-tà è a tutti gli effetti un gioiello da godere per i cittadini bresciani e da offrire ai turisti che, visitando la no-stra città, trovano ubicata la chiesa sul tragitto di via dei Musei, che va dalle piazze del centro storico al Museo di Santa Giulia. Tra le inizia-tive e in particolare per l’impegno

di un gruppo di bravissime signore, sono frequenti in queste settimane le visite guidate al cantiere con i la-vori in corso. Chi è interessato, con l’aiuto degli architetti e degli addet-ti ai restauri, può ascoltare le storie della chiesa, vedere sulle immagini proiettate e salire sui ponteggi per avvicinare gli operatori e le operatri-ci che stanno lavorando sugli affre-schi. In questo modo è anche pos-sibile osservare da vicino particolari artistici che, una volta tolti i ponteg-gi, non sarà più possibile vedere. Gli interessati a partecipare alle prossime visite, alcune delle quali sono già in calendario, può telefo-nare all’Associazione amici della chiesa di Santa Maria della Carità, o alla Fondazione Cab, entrambe in via Trieste 8, al numero di telefono 0302807540.

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C E N T R O F I E R A D E L G A R D AM O N T I C H I A R I · B R E S C I A

Segreteria organizzativa CENTRO FIERA S.p.A.Via Brescia, 129 - 25018 Montichiari (BS) - tel. 030 961148 · 030 961062 · fax 030 9961966 - www.centrofiera.it - [email protected]

29 Ottobre - 6 Novembre 2011

O R G A N I Z Z A Z I O N E :

EVENTO COLLATERALE

"Cesare Monti: libertà espressiva tra Novecento e Post-impressionismo"

a cura di Guido e Stefano Cribiori

ORARI:Sabato, Domenica e Martedì: 10.00 - 20.00

Lunedì, Mercoledì, Giovedì e Venerdì: 15.00 - 20.00

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Pregare perché? È il tema della Gior-nata della santificazione universale che il Movimento Pro Sanctitate ha scelto in sintonia con il Magistero del Papa che sta svolgendo le catechesi del mercoledì sullo stesso argomen-to. Siamo sollecitati a rimettere la preghiera al centro dei nostri interes-si, a non stancarci di educare il cuo-re e la vita al contatto vitale con Dio, perché la preghiera, come esperienza viva di ricerca, attesa, bisogno, incon-tro, dialogo vero, inscritta nell’animo umano, educhi a vivere in pienezza la propria umanità, riporti continua-mente alla sorgente, sia un crescere nella somiglianza con l’Autore della vita, sia il segreto di un cristianesimo veramente vitale. Rivolgiamo l’inter-rogativo ai santi, nostri modelli, per i

È il punto di vista di Dio: l’uguaglian-za dell’essere dipende dall’avere un solo Padre; e per questo nessuno è veramente padre sulla terra, soprat-tutto quando il termine viene appli-cato alla paternità spirituale.Così come nessuno è maestro per-ché sulla terra non si può che inse-gnare quello che il Maestro ha inse-gnato. Sarebbe appropriarsi di un sapere non nostro. L’uguaglianza dipende dal non esse-re e dal non avere nulla di nostro se non come dono di Dio e l’apparire è negare questa dipendenza, negare questo riferimento a Dio. Che non vuol dire diventare passivi, solo ri-cettivi. Anzi.Chi sa di aver ricevuto sa di dover rendere. È fatale che l’apparire sia di chi non sa leggere in profondità la sua con-dizione e la sua vita. Tanto più che accorgersi di quanto sia complesso il mondo e la nostra interiorità rende al contrario più consapevoli della propria piccolezza e del bisogno sempre di compren-

dere. E questo anche per chi non crede. Tanto più dovrebbe essere per chi il riferimento in Dio dovreb-be averlo. Per questo scandalizzano gli scribi e i farisei; e per questo con-tinuano a scandalizzare quelli che, pur dicendo di credere, vedono nell’apparire la fonte del loro esse-re. Nessuno eccettuato. Ma non è compito nostro guardare e giudica-re.Gesù non insegna questo: non dice di giudicare gli scribi e i farisei ma di evitare il loro errore; non dice di guardarci l’un l’altro ma di guardare ‘in alto’ verso la fonte, il motivo del nostro essere e del nostro agire. Non è compito nostro incolpare ma evitare una colpa che è nella radice stessa, nel cuore dell’uomo. È una tentazione di tutti e una colpa laten-te che non possiamo non sentirci addosso. Così come l’ammonizione di Gesù che ci riguarda e ci dovrebbe forni-re l’antidoto per non cadere nello stesso errore. Se già non ci siamo.

ea culpa. Siamo tutti lontani dalla necessi-tà che Gesù mette da-vanti agli occhi della folla e dei discepoli.

E se il discorso colpiva gli scribi e i farisei colpiva allo stesso tempo an-che quelli che stavano ascoltando Gesù: tutti tentati allo stesso modo di voler essere al di sopra, di essere notati, di contare. Essere ammirati. Se lo vediamo così potremmo ri-schiare di credere questo invito pressante di Gesù solamente come una volontà di uguaglianza, un livel-lamento di merito. E la tentazione c’è, anche qui: ridur-re così il Vangelo è farlo diventare pretesa umana di solidarietà socia-le, legittima ma riduttiva nella sua pretesa di insegnare non solo a vi-vere ma a credere, cioè a inserirsi in un ordine che non è solo quello umano. È per questo che Gesù indica il pun-to di vista. Quello che scribi e farisei hanno perduto.

quali il desiderio di Dio, vertice e con-tenuto della preghiera, ha ricevuto pienezza nel cielo. La loro incessan-te preghiera è diventata lode piena, azione di grazia perfetta, comunio-ne indefettibile. Pregare perché? Be-nedetto XVI ha detto: “L’immagine del Creatore è impressa nell’essere (dell’uomo) e egli sente il bisogno di trovare una luce per dare risposta al-le domande che riguardano il senso profondo della realtà: risposta che egli non può trovare in se stesso, nel progresso, nella scienza empirica”. È un bisogno primario. Una domanda a cui la Giornata della santificazione universale vuole dedicare spazio di riflessione, di confronto, nel solco di un tempo liturgico e di una festività che dona risalto alla testimonianza

dei santi, alla invocazione forte per la santità di tutti, al riconsiderare la propria personale chiamata a diven-tare santo. Il Movimento pro sancti-tate celebra la Giornata della santifi-cazione universale, invitando tutti i gruppi e fedeli alla celebrazione euca-ristica, presieduta da mons. Monari, il 1° novembre, alle 10 nella Cattedrale di Brescia. La solennità sarà precedu-ta, il 28 ottobre alle ore 20.30 (al Cen-tro Oreb di Calino), da un incontro di preghiera e riflessione guidato da don Marco Busca. Il terzo appuntamento proposto è la celebrazione eucaristi-ca presso la parrocchiale delle SS. Ca-pitanio e Gerosa (vedi foto) a Brescia il 4 novembre alle ore 20.30, seguita dall’adorazione eucaristica diocesa-na fino alle 24.

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo” (...).

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due comandamenti dell’amore. Una domanda insidiosa e una ri-sposta semplice e, nello stesso tempo, impegnativa, perché da quei due comandamenti che Ge-

sù propone ai farisei “dipendono tutta la legge e tutti i profeti”, come scrive Matteo nel suo Vangelo. Siamo a Ge-rusalemme e Gesù è messo alla prova: ha già dovuto rispondere alla doman-da sul tributo da pagare a Cesare. E i sadducei – che davano peso solo alla parola scritta che veniva da Dio e ne-gavano la resurrezione e l’esistenza degli angeli – lo avevano interrogato proprio sulla resurrezione, ottenen-do una risposta che aveva “stupito la folla presente”, come scrive il primo evangelista. Ecco, allora, la domanda: “Maestro, nella legge, qual è il grande comandamento?”. Gesù risponde con assoluta semplicità: “Amerai il Signo-re tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento”. Poi ne aggiunge un secondo che “è simile” scrive Mat-teo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Il duplice comandamen-to dell’amore diventa così la sintesi efficace di tutte le norme e i precet-ti contenuti nella legge mosaica e di tutti gli insegnamenti dei profeti che ne costituiscono l’interpretazione. Cosa ci dice Gesù con queste sue pa-role? Che tutta la legge, se vogliamo la nostra esistenza, il nostro rappor-tarci a Dio e ai fratelli, cammina sui binari dell’amore. Ed è proprio la pa-rola “simile” che ci aiuta a compren-dere l’originalità del pensiero di Gesù che ci chiede di coniugare assieme il

Si è chiusa l’assemblea nazionale del Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale): i 258 delegati hanno eletto il nuovo Consiglio nazionale che il 5 novembre indicherà il nome del presidente per il prossimo triennio. “Le parole della verità. Meic, culture e fede” era il tema dell’assemblea. Il Meic è un movimento impegnato nella “ricerca dell’unità delle differenze”, ha spiegato il presidente Carlo Cirotto (nella foto), aprendo i lavori dell’assemblea. “Il compito

affidato all’uomo, non solo nel campo religioso ma anche in quello più genericamente socio-culturale – ha detto Cirotto – è di cercare e trovare un’unione imperniata sulla diversità. Ciò significa che nostro compito è di far nascere l’unione non malgrado la differenza, ma grazie al confronto anche radicale di opinioni che, solo così, hanno modo di misurare se stesse”. “La scelta di usare al plurale, nel titolo della vostra assemblea, la parola ‘culture’ riflette al meglio la situazione

attuale della nostra società, per la pluralità delle provenienze, delle generazioni e delle sensibilità diverse”, ha sottolineato Vittorio Sozzi, responsabile del Servizio nazionale per il progetto culturale della Cei, per il quale “è importante che ci domandiamo qual è il nostro compito di testimoni del Risorto in questa realtà: nell’ottica dell’impegno educativo che la Chiesa si è assunta per il decennio appena cominciato il Meic può offrire un contributo alto”. Anche

il presidente dell’Azione Cattolica, Franco Miano, ha parlato del “ruolo fondamentale” del Meic nel progetto di “elaborazione culturale della grande famiglia dell’Ac” di cui il Movimento è “parte viva”: insieme occorre rispondere alla “sfida di una chiara presa di posizione per il presente”. Nell’ultima giornata dell’assemblea, il presidente Cirotto ha spronato gli intellettuali del Meic a “impegnarsi insieme per partorire idee nuove e credibili: il Movimento può fare questo servizio al Paese”.

La città di Assisi è di nuovo sotto i ri-flettori il 27 ottobre per la Giornata di preghiera e riflessione per la pace. Per l’occasione il settimanale cattoli-co dell’Umbria, “La Voce”, ha intervi-stato il vescovo di Assisi-Nocera Um-bra-Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino. In questa giornata compare la pa-rola verità. Come pensa che possa arricchire l’incontro?Questo riferimento dice con chia-

rezza che il 27 ottobre non sarà una pura ‘commemorazione’ dell’evento del 1986. Quell’icona storica è irripe-tibile. Il Papa la conferma e la rilan-cia. Al tempo stesso la arricchisce di qualche elemento che non è per nulla accidentale. Il tema della verità è par-ticolarmente caro a papa Benedetto. E l’invito ai non credenti?È una novità importante, ma che non stupisce chi, dalla migliore teologia, come quella autorevole del Concilio

Vaticano II, ha imparato che l’espe-rienza della fede affonda le sue ra-dici nelle regioni profonde del cuore umano, lì dove spesso si invoca Dio senza saperlo e lo si incontra senza chiamarlo con questo nome. Si può proporre a persone non credenti uno spazio di preghiera?Un non credente non la chiamerà pre-ghiera. Il 27 ottobre non ci sarà nes-suna forma di preghiera esplicita. La preghiera sarà il silenzio.

prontato l’intera loro esistenza. In di-verse situazioni e con diversi carismi, essi hanno amato il Signore con tutto il cuore e il prossimo come se stessi così da diventare modello per tutti i credenti”. Chi sono i nuovi Santi? In-nanzitutto un vescovo, monsignor Guido Maria Conforti, che da Par-ma ha spinto il suo sguardo fino alla lontana Cina, seguendo così le orme di San Francesco Saverio. Ha fonda-to l’ordine missionario dei Saveriani perché sentì forte l’urgenza di annun-ciare l’amore a Dio “a quanti non ne avevano ancora ricevuto l’annuncio”, commenta il Papa, che così prosegue: “La sua vita fu segnata da numerose prove, anche gravi. Egli seppe ac-cettare ogni situazione con docilità, accogliendola come indicazione del cammino tracciato per lui dalla prov-videnza divina”. Don Guanella non ha bisogno di tante presentazioni e le sue “case” sono un punto di riferimento in molti Paesi. San Luigi Guanella, ha detto il Papa, è stato “un profeta e un apostolo della carità”. Con le sue ope-re “è diventato compagno e maestro, conforto e sollievo dei più poveri e dei più deboli. L’amore di Dio animava in lui il desiderio del bene per le persone che gli erano affidate, nella concretez-za del vivere quotidiano”. Infine una donna, Santa Bonifacia Rodriguez de Castro, una operaia che seppe coniu-gare il suo ruolo di religiosa ed educa-trice nella fede a quello del laborato-rio di cucito dove accoglieva le don-ne costrette al lavoro dalla povertà, vivendo l’intuizione di Sant’Ignazio che diceva di “cercare e scoprire Dio in tutte le cose”.

comandamento dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo: il primo vive nella misura in cui il secondo è mes-so in pratica; si potrebbe dire, grazie a quella parola “simile”, che l’amore a Dio richiede proprio l’amore al prossi-mo, e chi ama Dio non può non amare anche il proprio fratello. Commenta papa Benedetto: “Dichiarando che il secondo comandamento è simile al primo, Gesù lascia intendere che la carità verso il prossimo è importante quanto l’amore a Dio. Infatti, il segno visibile che il cristiano può mostrare per testimoniare al mondo l’amore di Dio è l’amore dei fratelli”. In quanto siamo creati a immagine e somiglian-za di Dio, l’uomo può amarlo proprio nell’amore che dona all’altro, cioè “un

altro te stesso”. Nel giorno in cui la Chiesa celebra la Giornata missiona-ria mondiale, queste parole fermano l’attenzione sui tre nuovi Santi. Tre Santi “che si sono lasciati trasformare dalla carità divina e ad essa hanno im-

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l Movimento cristiano lavorato-ri della Lombardia ha organiz-zato nella chiesa di San Gior-gio il convegno “La festa: per la famiglia, per il lavoro”. “La vita

dell’uomo – afferma Monari – è fatta di ritmi. Lavoro e riposo si sostengo-no a vicenda: il lavoro dà significato al momento del riposo e il riposo è il ricostituente del lavoro”. E per spie-garlo cita la Genesi. “Nel racconto della creazione troviamo il significa-to della festa. Per sei giorni Dio ha lavorato e si è impegnato fino a crea-re l’essere supremo che è l’uomo e il settimo giorno Dio si riposa e benedi-ce e consacra il giorno del riposo”. Il lavoro conduce a una pienezza di va-lori: “Nel lavoro l’uomo porta a com-pimento se stesso e continua l’opera creatrice di Dio. Nel giorno della festa quest’opera arriva a compimento. Ci si può compiacere e gioire”. Nella no-stra società la domenica è diventata weekend, pausa, intervallo, diversi-vo, divertimento, fuga, evasione. “Se la festa diventa shopping siamo più poveri umanamente. La domenica è memoria della Pasqua; è memoria di un’esistenza che non è terminata nella morte, ma in Dio, nella sua pienezza. Il giorno del Signore è giorno di salvezza e di servizio verso la famiglia, verso i figli, verso gli anziani. Recuperiamo la bellezza della vita e del mondo in cui siamo. Nella domenica ci sono i valori di umanità, di contemplazione,

Francesco Belletti evidenzia il legame che famiglia e lavoro hanno nel tessu-to sociale. “Anche fare famiglia è in-sieme un lavoro e una festa. Occorre un disegno sociale che faccia capi-re come l’esperienza lavorativa non sia ostile all’esperienza famigliare”. Gianluigi Petteni sollecita a mettere in campo valori e proposte, ma anche concretezze. “La famiglia è la chiave di lettura: quanto sono impoverite le famiglie e come, malgrado le difficol-tà, sono proprio le famiglie che contri-buiscono ad arginarla e contrastarla. Dobbiamo seminare elementi nuovi, dobbiamo ricostruire un rapporto di

di libertà, di amicizia”. Noè Ghidoni indica i danni di una società indivi-dualistica. “Come portare le istanze etiche, fatte di carità, solidarietà e co-operazione, a fondamento del nostro vivere, dell’economia e della politica?

In preparazione della Marcia naziona-le per la pace, che si terrà a Brescia il 31 dicembre (promossa dalla Cei, da Pax Christi e dalla Caritas) si è svol-to il 21 ottobre in Cattolica un conve-gno su pace e giustizia nel magistero di Giovanni Paolo II. Sono intervenuti i due relatori mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente nazio-nale di Pax Christi, e il prof. Ivo Lizzo-la, pedagogista, preside della Facoltà di scienze della Formazione dell’Uni-

versità di Bergamo. Mons. Giudici, prima di delineare le linee portanti dell’insegnamento di Giovanni Paolo II sul tema della pace, con una rico-struzione storica ha richiamato l’inse-gnamento della Chiesa su questo te-ma, a partire dalla Pacem in Terris di Giovanni XXIII (1963), che ha “messo al bando il concetto di guerra giusta”. Il Concilio Vaticano II, secondo il Ve-scovo di Pavia, è stato invece più pru-dente. Il successivo magistero di Pao-

lo VI ha sottolineato l’importanza del-la giustizia sociale e tra i popoli quale condizione imprescindibile per la pa-ce, in particolare con la Populorum Progressio. Per il Vescovo di Pavia, la novità più dirompente nell’insegna-mento di Giovanni Paolo II sulla pace è rinvenibile nel messaggio dell’1 gen-naio 2002, di pochi mesi successivo al-la strage dell’11 settembre, laddove si afferma che l’autentica pace non pre-suppone solo la giustizia sociale e il

rispetto dei diritti umani, ma anche il principio del perdono (non solo, cioè, il perdono come esperienza personale e talvolta eroica, ma anche il perdono nelle relazioni internazionali, da parte dei popoli e degli Stati). Questa tesi, per mons. Giudici, è una novità asso-luta nell’insegnamento della Chiesa e costituisce un messaggio profetico che ha già iniziato a dare i suoi frutti (come esempio l’azione di Mandela in Sud Africa). Al prof. Lizzola è toccato

il compito di tratteggiare le condizio-ni per un proficuo percorso educativo dei giovani alla pace. Ha riconosciuto che il nostro tempo non è favorevo-le all’educazione alla pace, perché è “tempo dell’incertezza”, in cui prevale la ricerca di “troppo rapide sicurezze”. Per Lizzola l’educazione alla pace ri-chiede due precondizioni: il recupero del senso del tempo come promessa e il recupero del valore simbolico dei gesti e delle parole.

fiducia per far uscire il meglio del no-stro Paese. Altrimenti veniamo meno anche noi dalle nostre responsabili-tà”. “Sbagliamo – ha concluso il Ve-scovo – se riduciamo l’uomo al model-lo consumistico. Bisogna valorizzare i valori autenticamente umani, fatti di armonia, fiducia, fraternità, che non costano nulla, ma che creano welfare umano e che consentono di superare le difficoltà. E questi valori li ritrovia-mo nella famiglia. Anche la crisi che stiamo vivendo, come tutte le crisi, è una opportunità: tocca a noi essere creativi per costruire ciò che serve per rispondere ai bisogni”.

È deceduto lunedì 24 ottobre presso l’Ospedale di Belo Horizonte (nello Stato del Minas Gerais) in Brasile il vescovo bresciano mons. Enzo Rinaldini. Nato a Gardone Valtrompia il 27 dicembre 1925 e ordinato sacerdote a Brescia il 26 giugno 1949, il Vescovo lo destinò alla parrocchia di Cellatica come vicario parrocchiale, incarico che mantenne fino al 1952, quando assunse il compito di vice assistente diocesano dell’Ac e di insegnante in Seminario. Poi lo spirito missionario

lo portò in Brasile (nel 1960 come fidei donum) dove è stato rettore e insegnante nel Seminario di Araçuai, parroco di Itinga, di Itaboim e di Padre Paraiso. Nel maggio 1982 venne eletto vescovo di Araçuai e consacrato a Brescia il 4 luglio dello stesso anno. Ha svolto il ministero episcopale fino al 2001, anno in cui si è ritirato diventando vescovo emerito della diocesi di Araçuai. I funerali sono stati celebrati mercoledì 26 ottobre ed è stato sepolto nella terra brasiliana che

ha servito con tanto amore. In sua memoria in diocesi sono previste le seguenti celebrazioni: domenica 30 ottobre presso la parrocchia di Gardone Valtrompia alle 10.30 e presso la parrocchia di S. Maria Crocifissa di Rosa in città, alle 11.30; mercoledì 2 novembre alle 20.30 in Cattedrale, celebrazione presieduta dal Vescovo. Sulla figura di mons. Enzo, sulla sua testimonianza di grande spessore spirituale e di umanità, parleremo più ampiamente in uno dei prossimi numeri.

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Venerdì 28 ottobreOre 20.30 – Brescia −Incontro con la commissioneper il Sinodo presso il Centro pastorale Paolo VI.

Sabato 29 ottobreOre 16.30 − Bedizzole −Santa Messa e inaugurazione oratorio.

In ricordo di mons. Faustino Guerrini, a un anno dalla sua scomparsa, sarà celebrata una Messa in suo suffragio, quale segno di riconoscenza per la sua fervida e costante passione nei tanti anni di reggenza della Scuola dioce-sana di musica Santa Cecilia. Novello sacerdote nel 1947 è cura-to per quattro anni in S. Alessandro a Brescia. Dal 1950 ha inizio il lungo periodo di servizio pastorale in Se-minario, prima come insegnante ed economo, poi, dopo una parentesi di nove anni parroco di Palazzolo, co-me rettore fino al 1992, anno in cui è scelto dal vescovo Bruno Foresti come vicario per gli affari economi-ci e delegato per il clero fino al 1999; da questa data è nominato canonico della Cattedrale. Nei primi anni Ottan-ta, sorretto dalla mai sopita passione

giovanile per la musica liturgica, fon-da con la collaborazione dell’allora vicario generale e vescovo ausiliare mons. Vigilio Mario Olmi la Scuola diocesana di musica Santa Cecilia di cui è presidente e animatore per più di 25 anni, fino alla morte. È promos-sa nel periodo del suo rettorato del Seminario anche l’istituzione della Scuola di teologia per laici. La con-celebrazione, presieduta dal vicario generale mons. Gianfranco Mascher, si svolge sabato 29 ottobre alle ore 17, presso la chiesa di S. Antonino (in via Maternini a Mompiano).Sempre sabato 29 ottobre, ma alle 18, anche la comunità di Cellatica ricorda mons. Guerrini con una Santa Mes-sa nella parrocchiale dedicata a San Giorgio; la celebrazione è officiata da mons. Vigilio Mario Olmi.

Ore 20.30 − Brescia − Vegliamissionaria diocesana in Cattedrale.

Domenica 30 ottobre Ore 9 – Villaggio Violino –Cresime e prime comunioni.

Ore 11 – Paderno Franciacorta– Cresime.

Ore 16 − Brescia S. Giacinto− Cresime e prime comunioni.

Martedì 1 novembre Ore 10 – Brescia –Santa Messa nella Giornataper la santificazione universalein Cattedrale.

Mercoledì 2 novembre Ore 18 – Brescia −Santa Messa pressol’Hospice della Domus Salutis.

Ore 20.30 − Brescia −Santa Messa per tutti i fedeli defunti in Cattedrale.

Giovedì 3 novembreOre 9.30 – Mompiano –Santa Messa pressola Domus Caritatis.

Ore 20 − Brescia −Incontro con i giovanidella Gmg di Madrid pressoil PalaBrescia.

l Concilio davanti a noi”. È stato questo il tema dell’intervento con il quale il monaco benedet-tino francese, Ghislain Lafont, ha inaugurato il percorso di

studio sul Concilio promosso a Villa Pace dall’Azione cattolica insieme all’Istituto superiore di scienze reli-giose, alla Scuola di teologia per lai-ci, all’Ufficio diocesano organismi ecclesiali di partecipazione e all’Uf-ficio di pastorale della scuola.La relazione di padre Lafont si è in-centrata su due aspetti: individuare il posto del Concilio Vaticano II all’in-terno della storia della Chiesa, e pre-sentare alcune chiavi per l’interpreta-zione dei testi conciliari. Per quanto riguarda il primo punto, la riflessione si è basata su un’affermazione forte e per certi aspetti sorprendente di Pa-olo VI: il Concilio Vaticano II avreb-be un’importanza simile a quella del Concilio di Nicea. Ci sarebbero stati, nella storia complessiva della Chie-sa, due Concili fondamentali: quello

secondo le indicazioni del presente senza segnare il passo per conser-vare a ogni costo un dato acquisito che non sopravvivrà, per l’appunto, se non modificandosi. Siamo quindi ad un punto di arrivo: il cristianesimo secondo la tradizione di Nicea, e, ad un punto di partenza, il cristianesimo secondo il Vaticano II”.Nella seconda parte, dedicata all’in-terpretazione dei testi, Lafont ha evidenziato il perché il Vaticano II è all’altezza del Concilio di Nicea. Esso prende in considerazione non solo la Chiesa cattolica ma anche “gli altri”; inoltre, pur rispettando gli aspetti ge-rarchici e canonici della Chiesa, li in-tegra in una prospettiva insieme più antica e più contemporanea, segnata dai sacramenti e dai carismi, dalla li-turgia e dallo spirito.“Guardando all’insieme dei docu-menti, possiamo paragonarli a una volta, la cui chiave è la Dei verbum: tutto proviene dalla Rivelazione e si riconduce ad essa. I pilastri sono: la

di Nicea, che avrebbe impresso per duemila anni un orientamento fecon-do all’interpretazione e alla pratica del Vangelo, e quello del Vaticano II, che ha aperto una nuova era. In que-sto senso non ha senso la diatriba tra rottura e continuità. Durante il perio-do ‘niceno’ la Chiesa ha per lo più pensato se stessa volgendosi verso l’evento compiuto della Risurrezione e nell’attesa del giudizio finale. “Oggi viviamo nella traiettoria del Regno in direzione del futuro: possiamo valu-tare con benevolenza tutta la storia che ci ha condotti là dove siamo e, ad un tempo, impegnarci risolutamente

Chiesa cattolica in se stessa (con la liturgia, i ministeri, i laici, i religiosi), la Chiesa nel mondo di questo tempo (persona e comunità umane, lavoro, matrimonio e famiglia, economia e politica), ma anche la Chiesa di fron-te a tutti gli uomini, nelle loro diversi-tà religiose. Fanno da ponte tra i due

pilastri il decreto sulle missioni, nel quale la Chiesa propone il Vangelo al mondo degli uomini e quello sull’ecu-menismo, nel quale essa riconosce la necessità di una riconciliazione fra i cristiani”.In quest’ottica Lafont ha evidenziato l’importanza dei prologhi dei vari do-cumenti che ci dicono come la Chie-sa sia ancora in cammino, chiamata ad intraprendere strade che non so-no necessariamente la pura e sempli-ce continuazione di quelle passate. Egli ha concluso con l’espressione di Giovanni XXIII sul letto di morte: “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo un po’ meglio”.

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Luciano Monari Vescovo di Brescia

bagnolo mella – sede oftal – 17 giugno 2011

PADRE NOSTRO

e il recente seminario svol-tosi a Todi ha fatto emer-gere sollecitazioni sul po-sizionamento e il ruolo dei cattolici nella società in

questo delicato momento politico e storico, Brescia risponde, e lo fa dal 1997, con il Convegno interas-sociativo, nel quale un folto grup-po di associazioni si incontra e si confronta sulle tematiche e sulle problematiche che attraversano la società. Quest’anno l’evento è pro-mosso da Acli, Associazione Geni-tori, Agesci, Associazione Centro Migranti, Associazione nazionale famiglie numerose, Azione cattoli-ca, Cisl, Città dell’Uomo, Comunità e Scuola, Confcooperative, Fonda-zione Cocchetti, Forum delle asso-ciazioni familiari, Mcl, Meic, Mo-vimento dei Focolari, Pax Christi, Società S. Vincenzo de Paoli, Ucid, Unione giuristi cattolici italiani e Università popolare Lunardi, ha il patrocinio dell’Ufficio diocesano di Pastorale sociale e della Cdal e la collaborazione dell’Istituto don Sturzo.Tre gli appuntamenti che si svol-geranno presso i Padri della Pace e che avranno come ispirazione il

concetto di “Generazioni”, un pro-getto politico per dire comunità, innovazione e libertà. A presentare l’iniziativa Roberto Rossini, presi-dente provinciale delle Acli, Paolo Reboni della segreteria Cisl, Luca Pezzoli, presidente di Mcl Brescia e Riccardo Montagnoli, presidente di Ugci. “Il tema delle generazioni – spiega Rossini – prosegue quel-lo di comunità dello scorso anno. Vogliamo indicare le ‘buone pras-si’, le tante cose innovative che danno speranza al nostro Paese, come contributo positivo alla so-cietà”. Non casuale anche il luogo scelto per gli incontri, i Padri del-la Pace, di grande tradizione. “Lì è passato un significativo pezzo di storia, lì sono nati scenari e testi-monianze che hanno dato respiro alla nostra città”.Il ciclo di “Generazioni” inizierà ve-nerdì 28 con l’incontro sulle storie: “Generare storie bresciane. Nomi e volti che hanno reso Brescia un modello nazionale”, nel corso del quale il giornalista Pierluigi Fer-rari e lo storico Paolo Tedeschi ri-leggeranno l’ambito storico a ca-vallo tra ‘800 e ‘900, alla luce delle esperienze di Giorgio Montini e di

Giuseppe Tovini. Nel secondo ap-puntamento in programma vener-dì 18 novembre il tema riguarderà le imprese: “Generare imprese co-muni. Aziende, famiglie e associa-zioni che hanno creato comunità aperte”. Il presidente di “Welfare Italia” Johnny Dotti e Riccardo Bo-nacina, direttore del mensile “Vita” presenteranno esperienze locali che esprimono la capacità di lavo-rare in un territorio che si apre e non si chiude, che crea comunità in cui tutti si sentono responsabili di tutti. Nel terzo appuntamento, venerdì 17 febbraio, si parlerà di arti: “Generare arte. Linguaggi ed opere che comunicano e che fan-no comunità”. Saranno presentate alcune esperienze artistiche locali che hanno saputo far crescere la comunità generando innovazione e partecipazione. Il ciclo si conclu-derà sabato 17 marzo, nella chiesa di San Cristo, al Centro missiona-rio saveriano, con il congresso sul tema “Generare reti di bene comu-ne. L’Italia che nasce dal basso, ma che vede più avanti”, nel corso del quale saranno messe in rete alcu-ne grandi esperienze “generative” a livello nazionale.

Riparte la scuola di formazione all’impegno sociale e politico intitolata a mons. Gennaro Franceschetti, in tre sedi. Il vescovo Monari interverrà in tutte e tre nella prima giornata: il 4 novembre a Bienno, il 5 a Rovato e il 10 dicembre a Gavardo con il tema “Una maniera esigente di vivere l‘impegno cristiano, i cattolici e la politica”. La scuola si rivolge ai giovani che hanno voglia di impegnarsi in attività

sociali o politiche. L’obiettivo è quello di favorire idee, strumenti e percorsi per agire nel sociale e nella politica secondo la dottrina sociale della Chiesa. Un impegno serio, lo stesso che è stato messo da chi ha progettato e visto nascere la Sfisp. A tenere i corsi nomi d’eccezione dal vice presidente della corte costituzionale avv. Contri, passando per illustri professori delle università italiane fino ad arrivare a don Ciotti,

presidente di Libera. Un percorso pensato da don Mario Benedini dell’Ufficio di Pastorale sociale e da Michele Busi, direttore della Sfisp per introdurre ai fondamenti della Dottrina sociale della Chiesa. I corsi oltre che formare alla politica favoriscono l’incontro tra i giovani anche attraverso i ritiri spirituali, in occasione delle festività, e ai viaggi verso organismi nazionali e internazionali, con seminari di approfondimento. (e.b.)

È in distribuzione il testo “Padre nostro” (Edizioni San Francesco di Sales, 1 euro) del vescovo Monari che commenta la preghiera del “Padre nostro” in poche pagine di intensa spiritualità e ricche di spunti per ulteriori approfondimenti. La riflessione pubblicata era stata tenuta dal Vescovo a Bagnolo Mella il 17 giugno 2011 durante un incontro presso la sede dell’Oftal (Opera federativa trasporto ammalati Lourdes).

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Sono 500 i chierichetti che con i loro accompagnatori provenienti da oltre 50 parrocchie hanno “invaso” lo scorso 20 ottobre il centro storico per il consueto meeting di ottobre. La festa si è aperta in piazza Tebaldo Brusato con i giochi poi alle 15.30 il gruppo dei ministranti si è spostato percorrendo via Cattaneo nella Cattedrale dove ad accoglierli c’era il vescovo Luciano che, dopo un momento di preghiera partendo dal vangelo delle nozze di Cana

ha dato loro il mandato: “A Cana è mancata la gioia – ha sottolineato – non si può non essere contenti a una festa di nozze! Quindi ci sono dei momenti nella nostra vita che sono come una festa di nozze ma altri un po’ più tristi. Allora ricordatevi le parole che Maria dice ai servi “Fate quello che Gesù vi dirà!” sentirete un vino buono, capace di dare gioia, consolazione e speranza”. Con queste parole nel cuore i chierichetti hanno ricevuto dal Vescovo la tessera

del chierichetto e una preghiera scritta appositamente per loro da mons. Monari. Va ricordata l’iniziativa (alla quale si può aderire) di promozione de “La Voce del Popolo”: i chierichetti, infatti, possono vendere il settimanale al termine delle Sante Messe con un guadagno netto del 40% sul ricavato. A Bienno, per esempio, i chierichetti stanno portando avanti questo impegno da circa un anno con ottimi risultati. (e.c.)

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nche in quest’anno pa-storale, la Caritas dio-cesana invita ogni par-rocchia a celebrare una “Giornata delle Caritas

parrocchiali”, come occasione per ri-chiamare all’attenzione della comuni-tà il mandato della Caritas: “La vostra azione non può esaurire i suoi compi-ti nella pura distribuzione di aiuto ai fratelli bisognosi. Al di sopra di que-sto aspetto puramente materiale della vostra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica, il suo aspetto spirituale, che non si mi-sura con cifre e bilanci, ma con la ca-pacità che essa ha di sensibilizzare le Chiese locali e i singoli fedeli al senso e al dovere della carità”. Nella fedeltà al mandato di Paolo VI (28 settembre 1972) e nel solco della continuità con il messaggio dello scorso anno, “So-stare per riscoprirsi comunità nella quotidiana prossimità”, la proposta della giornata delle Caritas parroc-chiali 2011/2012 si intitola “Nella Cari-tà, presenze di comunione” e intende nuovamente sottolineare lo specifico pedagogico della Caritas: la scelta pastorale delle relazioni. Una scelta pastorale che certamente troverà rin-novato vigore all’interno del cammino sinodale verso le unità pastorali, forme di capillarità che nascono da un biso-gno sentito, quello della prossimità: “In una comunità cristiana ci si deve sen-tire prossimi gli uni degli altri; non ci possono essere persone o famiglie che nessuno ha in nota; bisogna che ogni battezzato si senta parte viva della co-munità. E tutto questo si può ottenere solo con uno sforzo di prossimità”. Co-

inevitabilmente, diminuisce e, quindi, diminuisce anche l’efficacia del servi-zio pastorale. Bisogna centralizzare la programmazione, non il servizio, che invece deve rimanere il più ampio e dif-fuso possibile”. È in questo tempo di discernimento comunitario che anche le Caritas sono chiamate a contribuire all’armonizzazione del tessuto pastora-le, rinnovando il loro essere “presenze di comunione” nella capillarità quoti-diana del “farsi progetto” accanto agli “ultimi, forza della comunione” (Let-tera pastorale 2010/2011: “Tutti siano una cosa sola”). Mi unisco a voi nella preghiera perché lungo il cammino sinodale possiamo riscoprirci sempre più “comunità di comunione”, conse-gnati gli uni gli altri

sì il Vescovo, al convegno delle Caritas parrocchiali “Chiesa, profumo di rela-zioni” del 30 aprile, rispondendo a una domanda sul rapporto Caritas e unità pastorali: “L’efficacia dell’attività pa-storale dipende molto dalla presenza sul territorio: se sguarniamo il territo-rio, raccogliendo semplicemente tutto in un centro, la vicinanza alle persone,

Alla “scuola dei volti” c’è fame di ascolto, di relazione, di speranza, di futuro. Muove da queste premesse la proposta per l’Avvento di carità 2011: “La tua fame, la mia fame”. Una proposta che, a partire dal 25°Congresso eucaristico nazionale di Ancona (3-11 settembre 2011), mette al centro la figura di Maria che accompagna alla mensa della vita: “Maria, immagine e madre della Chiesa, dà voce al bisogno di Dio e alla fame di amore che c’è in ogni uomo. Maria è talmente “compagna”

(da cum e panis) dell’uomo, da guidare la nostra attenzione su Gesù, il Verbo incarnato nel suo grembo, il Pane di Vita eterna che la Chiesa spezza ogni giorno nell’eucaristia e nei gesti della carità.” Ad aprire la proposta dell’Avvento di carità, la Giornata del pane (I domenica di Avvento: 27 novembre) organizzata anche quest’anno in collaborazione con Unione panificatori artigiani della Provincia di Brescia e finalizzata a sostenere

una delle iniziative di Mano fraterna: la mensa dei poveri “Madre Eugenia Menni”. La mensa infatti, nell’onda lunga della crisi economico-finanziaria, nel 2009 ha distribuito 26.425 pasti, che sono diventati 30.288 nel 2010. Un numero in crescita (1.222 gli ospiti nel 2010) che invita le nostre comunità a “farsi progetto” per assicurare un pasto quotidiano a chi ha fame di pane, fame di cibo. Per info: 030.3757746; [email protected]

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Il 29 ottobre scadrà il termine per la partecipazione al concorso fotografico “Scatti al volo”, rivolto ai giovani dai 15 ai 35 anni sul tema del volontariato. La risposta in termini di partecipazione è stata molto positiva e presto saranno pubblicate sul sito della San Vincenzo di Brescia (www.sanvincenzobrescia.it) anche tutte le immagini. Chi ha avuto la possibilità di vederle dice che la giuria avrà un compito difficile, perché il livello qualitativo delle immagini e dei soggetti è

davvero molto alto. Ne siamo davvero orgogliosi e contenti. La buona riuscita dell’iniziativa è importante sia perché si propone di far conoscere la San Vincenzo e sfatare alcuni giudizi sulla sua utilità e vetustà, sia perchè si propone di portare i giovani a una riflessione sulla propria esistenza e sul proprio agire in un contesto sociale che chiede loro un impegno attivo.Federico Ozanam, guardava a loro come una grande risorsa che andava educata e plasmata e di essi

diceva, anche in modo un po’ forte:“Occorre che questi signorini apprendano che cosa sia la fame, la sete, lo squallore d’una soffitta; occorre che vedano dei miserabili, dei fanciulli malati e in pianto. Occorre che li vedano e che li amino. O tale spettacolo sveglierà qualche battito nel loro cuore, o questa generazione è perduta. Ma non si deve mai credere alla morte d’una giovane anima cristiana. Non è morta, ma dorme”.

artedi 8 novembre la San Vincenzo brescia-na si ritroverà, presso il Centro Paolo VI di Brescia, per l’ormai

tradizionale appuntamento della gior-nata annuale di spiritualità, di amici-zia e di formazione. Quest’anno è sta-to deciso di sviluppare un argomen-to di profondo significato per chi si mette al servizio dei fratelli: “Spirito e azione – Alle radici del nostro agi-re”. Siamo convinti che ci sia bisogno di riflettere sul senso del servizio per il cristiano e in particolare per i vin-cenziani. Assistiamo da più parti ad una pericolosa deriva attivistica, che svuota di significato il servire, lascian-do solo fatica e a volte cocenti delu-sioni, perché le gratificazioni e le vit-torie non sono mai scontate quando si ha a che fare con gli uomini, anzi spesso sono merce rara. Interverran-no, nella mattinata, mons. Federico Pellegrini (direttore dell’Ufficio be-ni culturali ecclesiastici ed assisten-te diocesano della San Vincenzo) e mons. Giuliano Nava (economo della Curia diocesana) che illustreranno la loro esperienza di cristiani e in parti-colare di sacerdoti, nel mondo quoti-diano, che è fatto anche di tante pic-cole cose, apparentemente lontane da una visione mistica della nostra esi-stenza, ma necessarie alla vita.Il tema loro affidato è: “Ogni gesto d’amore avvicina a Dio: il cristiano nel mon-do”. Al termine del loro intervento vi sarà la S. Messa e successivamente un momento di cordiale convivialità. Nel pomeriggio è previsto l’interven-to della presidente della Federazione

ma sempre davanti, perché il numero delle sue beneficenze passate è sem-pre troppo piccolo e perché infinite sono le miserie presenti e future che deve lenire. Guardate le associazioni filantropiche: non sono che assem-blee, relazioni, rendiconti, memorie; a meno d’un anno d’esistenza pos-seggono già grossi volumi di verba-li. La filantropia è un’orgogliosa per cui le buone azioni sono una specie d’ornamento e che si compiace di guardarsi nello specchio. La carità è una tenera madre che tiene gli occhi fissi sul bimbo che porta alla mam-mella, e non pensa più a se stessa e dimentica la sua bellezza per il suo amore” (a Léonce Curnier, Parigi, 23 febbraio 1835).

regionale della S. Vincenzo, Angela Toia. A lei sarà affidato il tema: “Fi-lantropia e carità, due modi di servire secondo Federico Ozanam”. Ci aiu-terà a riflettere, facendo riferimento anche ad alcuni scritti illuminanti di Ozanam. Ci sembra opportuno ricor-darne uno in particolare: “La carità non deve mai guardare dietro di sé,

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stato pubblicato il 4° Rap-porto biennale intermedio sul volontariato, frutto di un progetto portato avanti attraverso il gruppo di la-

voro dell’Osservatorio nazionale per il volontariato che ha collaborato con il gruppo di lavoro dell’Isfol. L’analisi introduttiva del corposo lavoro è stata affidata a Sabina Po-lidori, responsabile della segreteria tecnica dell’Osservatorio. Dall’inda-gine esce un quadro in parte noto – come il mondo del volontariato sia ad esempio una galassia articolata e complessa nelle sue finalità, nelle molteplici forme organizzative, nel-le motivazioni che la guidano – e al-cune riflessioni non di poco conto. In primis la necessità di “ricalibrare l’identità del volontariato, chiarendo il significato della sua irrinunciabile ca-ratteristica: la gratuità”. Suona come un monito, un avviso a non perdersi nelle maglie del profitto a ogni costo la fondamentale irrinunciabilità della gratuità declinata in due diverse acce-zioni: l’assenza di retribuzione da una parte e la predisposizione di spirito dall’altra. Predisposizione di spirito che contraddistingue l’azione volon-taria dalla pura filantropia: non solo far le cose per gli altri, ma farle con gli altri, creando relazioni, partecipa-zione, attenzione e sensibilità diffusa.Tre sono, a parere della Responsabi-le dell’Osservatorio, i concetti chiave che connotano il volontariato: proget-tualità, sfida alla prossimità, connes-sioni virtuose e rivoluzione. La pro-gettualità risulta accresciuta negli ul-timi anni, come capacità di costruire a

riguarda le modalità di approccio, di accoglienza e di accompagnamento flessibili e incentrate sulla persona più che sul problema, con un carico di umanità insito nell’agire volontario. In questa partita si innesta il rappor-to pubblico-privato con il bisogno di maggior sostegno alle organizzazioni per garantirne certezza e continuità d’azione. Quale invece la connotazio-ne rivoluzionaria del volontariato? “Il volontariato vuole riportare al centro dell’attenzione politica e sociale la realtà dell’esclusione sociale, ripre-sentando al centro del dibattito la questione del bene comune, inteso come bene di tutti e di ciascuno”. Con l’auspicio di non combattere contro i mulini a vento.

lungo termine interventi e attività con un senso logico e razionale. Supera-re l’estemporaneità della domanda e l’agire in situazioni emergenziali per giungere quindi a una intercettazione dei bisogni e a una risposta di lunga lena. La sfida alla prossimità (soprat-tutto verso l’emarginazione e la diffi-coltà che a volte si fa rifiuto sociale)

Anche quest’anno “Vivi Non Profit”si propone come piazza virtuale per promuovere e dar voce al Terzo settore del territorio. La formula è quella del “Vivi Non Profit” televisivo, inserito nella trasmissione “Con te in famiglia”, in onda sull’emittente Teletutto nei pomeriggi di ogni giorno alle 17.45, dal lunedì al venerdì. Si ripropone quindi un importante spazio di incontro e di presentazione di organizzazioni e realtà del mondo del volontariato,

dell’associazionismo, della cooperazione e della solidarietà internazionale e delle comunità nella quali operano. Il format prevede che le Organizzazioni ospiti del programma raccontino le proprie storie, le proprie esperienze e le proprie iniziative, facendosi portavoce dei bisogni dei cittadini a fianco dei quali quotidianamente lavorano alla costruzione di una società più equa e solidale. La convinzione con cui vengono programmati

questi spazi sta nel bisogno del volontariato e del non profit in genere di dare un’immagine di sé meno autoreferenziale per far conoscere le proprie realtà anche a chi, per disinteresse o perché non ne ha mai avuto bisogno, non è al corrente sui servizi e sulle organizzazioni che operano sul territorio. Le realtà che intendono partecipare al programma possono rivolgersi alla segreteria ad hoc presso gli studi di Teletutto (tel. 030/3740210).

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er l’apertura dell’anno teo-logico del nuovo Semina-rio è stata scelta una te-matica storica: il compito di svolgere la prolusione è

stato affidato a don Mario Trebeschi, che ha parlato dell’Unità d’Italia in re-lazione alla chiesa e al clero bresciani.Il relatore ricorda che il processo di unificazione, nei suoi momenti cru-ciali, per i cattolici, è problematico: presenta sia aspetti negativi, sia aspet-ti positivi. Infatti, da una parte, essi sono emarginati, attraversano fasi di forte tribolazione e di lacerazioni in-terne; da un’altra parte, i cattolici so-no tra i protagonisti delle fasi risor-gimentali e, nella maggior parte dei casi, difendono l’Unità d’Italia.In particolare, il clero bresciano vive il travaglio dei moti risorgimentali, è calato nella realtà sociale e politica, non è certo indifferente al processo dell’unificazione. Esso, però, si lacera per la questione del potere temporale del papa, come tutto il clero italiano:

Il clero brescianoe l’Unità d’Italia

rica emerge la vera natura del clero bresciano. In primo luogo, la sua ope-rosità, il suo spirito pratico: esso è la-borioso, entra nel “mondo della vita” e vuole capire i problemi concreti delle persone. Inoltre, la Chiesa bresciana mostra di possedere in profondità il valore dell’Unità d’Italia, non sul ter-reno della politica, ma nella dimensio-ne spirituale, costituita da valori, pen-sieri, sentimenti. La vera unità di una nazione si fonda sulla sostanza spiri-tuale di un popolo, non sugli interessi economici, materiali, fiscali. Questo messaggio, che proviene della Chiesa bresciana di 150 anni fa, per noi oggi, è veramente prezioso e attuale.

si verifica una spaccatura tra gli “in-transigenti”, coloro che non accetta-no tale ipotesi, e i “transigenti”, più liberali, che constatano che è ormai inevitabile approdare alla fine del potere temporale. I primi non vedo-no bene neanche la nascita del nuo-vo stato e i nuovi rapporti tra Stato e Chiesa; i secondi vogliono avviare un percorso di reciproco riconoscimen-to e di conciliazione. Questa frattura durerà a lungo e si concluderà defi-nitivamente solo nel 1929, con i Patti Lateranensi.Trebeschi approfondisce tutti i prin-cipali passaggi del Risorgimento, in

cui si nota la presenza attiva del clero bresciano. A partire dal 1821, quando il governo austriaco già esprime un giudizio critico verso una parte della Chiesa bresciana e lo stesso vesco-vo Nava. Nel 1848 inizia la fase decisiva del processo storico. Il clero bresciano partecipa ai conflitti: ci sono alcuni sacerdoti volontari nella guerra del 1848; si segnalano casi di preti che benedicono, durante la messa, il tri-colore. Nel Comitato insurrezionale ci sono vari sacerdoti, tra cui il rettore del Seminario don Pietro Tagliaferri. Durante le “Dieci giornate” del 1849, emergono anche alcuni sacerdoti, come don Pietro Boifava. Gli austria-ci, dopo la restaurazione, effettuano forti controlli sulla Chiesa bresciana, dove viene nominato vescovo Verze-ri. Gli anni più drammatici sono pro-prio quelli dell’unificazione, il 1860 e il 1861, in cui la Chiesa si divide: Pio IX scomunica gli invasori dello Stato pontificio e la questione della fine del

potere temporale diventa ancora più lacerante per la Chiesa. A Brescia, ri-corda Trebeschi, don Antonio Salvo-ni fa un appello al clero, in cui affer-ma che il potere temporale del papa deve essere messo in discussione e, così, si scontra col vescovo Verzeri. In seguito, il governo impone alcune feste, come quella dello Statuto, per cui il clero deve celebrare in chiesa tali ricorrenze. Il vescovo di Brescia si rifiuta di seguire tale ordine; in va-rie parti d’Italia ci sono arresti di sa-cerdoti disobbedienti. La frattura tra i cattolici si aggrava, dopo il “non ex-pedit” del 1874 di Pio IX, in cui il pa-pa invita i cattolici a non partecipare alla vita politica dello Stato italiano. Nel 1878, però, è pubblicato a Brescia il giornale “Il cittadino”, con mons. Capretti e Giorgio Montini, padre del futuro papa, che insiste sulla conci-liazione tra Stato e Chiesa. Negli anni seguenti, la strada del dialogo e della riconciliazione sarà quella dominante.In conclusione, da questa analisi sto-

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mparare ad affrontare la vita vestiti di fragilità. Così Aliza Olmert, artista di fama inter-nazionale, giunta mercoledì 26 ottobre a Brescia in oc-

casione della cerimonia di inau-gurazione dell’Anno accademico dell’Accademia Santa Giulia, ha voluto definire il messaggio lan-ciato da alcune sue opere, che per l’occasione ha illustrato ai ragazzi e docenti presenti nella gremita aula magna della sede di via Tommaseo. Olmert, nata in Germania in un campo di sfollati nel 1946, è di origine israeliana. Nota in tutto il mondo per le sue produzioni cre-ative, ha attraversato diversi lin-guaggi e una grande varietà di mez-zi comunicativi, dalla pittura alla fotografia, passando per il teatro, il cinema, la televisione e varcare persino la soglia del design. “Si trat-ta di un’artista complessa e dalle mille sfaccettature – ha precisato il professor Paolo Bolpagni, storico dell’arte, curatore e grande estima-tore di Olmert – di eccezionale cre-atività e vivace inventiva”. All’in-terno della sua vastissima produ-zione sono state scelte due serie particolari da illustrare al pubbli-co in sala: “Walls” e “Tikkun”. La prima, oggetto della riflessione del professor Bolpagni, mostra “un esempio di trasfigurazione forma-le dei linguaggi urbani attraverso la fotocomposizione”, tecnica che consiste nel sovrapporre diverse immagini scattate in ambienti di-versi, ricomposte in seguito trami-

te l’utilizzo di appositi programmi informatici. Olmert ha preso ispi-razione dai muri di diverse città, ne ha fotografato dettagli come scrit-te, disegni o semplicemente mac-chie di colore e le ha messe insie-me. Ad esempio, alcune macchie di ruggine trovate su un bidone della spazzatura di Berlino sono state inserite sulla base costituita da un muro di una casa in Lunigiana. “Si tratta di prodotti che rivelano la

creatività sotterranea e riescono a riunire le tracce del melting pot e dell’esistenza delle persone in un unico luogo, trasfigurandole ed in-canalandole in un senso artistico dal fascino unico, creando una vera lingua dei muri”, conclude Bolpa-gni. La stessa Aliza Olmert, invece, si è occupata di illustrare “Tikkun”, una serie interamente dedicata ai gusci di uova rotti. “La parola tik-kun – spiega – deriva dall’ebraico e letteralmente significa aggiustare il mondo, e parte quindi dall’idea che la realtà sia qualcosa di rotto, da riparare”. L’ispirazione per questa serie di opere, realizzate e poi fo-tografate, prende spunto da sacchi di uova rotte notate nel deposito di una forneria di Gerusalemme, di-ventati un appuntamento fisso per l’artista, che ogni mercoledì a mez-zogiorno prendeva queste uova e le ricomponeva artisticamente, sia da sole, riunendo ad esempio i due gu-sci spezzati con una spilla da balia, sia in composizione, accostando più gusci inseriti l’uno dentro l’al-tro, “come se i gusci, disposti così vicini, si facessero forza per rima-nere uniti”, spiega l’artista. “L’arte occidentale – conclude – considera l’uovo una forma di perfezione. Io invece cerco di creare un mondo diverso, fatto di pezzi di uovo. La mia sfida è di trovare una bellezza di altro tipo, inaspettata e fragile, per riportare all’intero qualcosa di rotto. Sarà forse un pensiero in-fantile, ma l’arte non ha nulla di logico”.

Doppio appuntamento culturale che coinvolge le carceri bresciane.Gli allievi del conservatorio Luca Marenzio si esibiranno in un doppio concerto, venerdì 28 ottobre alle 14.30 nel carcere di Verziano e alle 16 a Canton Mombello. La proposta ha un significato tradotto nel motto “Reclusi ma non esclusi” e vuole, con il linguaggio musicale, rallegrare la quotidianità di chi vive nelle carceri senza dimenticare il personale oltre ai detenuti. Il programma prevede brani di

Vivaldi, estratti dalla raccolta “L’estro armonico”. Il maestro concertatore è Luca Morassutti.Sabato 29 ottobre alle 15.30 a Canton Momello prenderà il via anche “Storie storie storie”, la rassegna teatrale proposta dal Teatro telaio che riserva il primo spettacolo agli ospiti degli istituti penitenziari di Brescia, all’interno di un progetto sulla genitorialità in collaborazione con l’Associazione Carcere e Territorio. La scelta del Telaio di inaugurare in carcere

la sua principale rassegna dedicata alle famiglie ha due motivazioni: quella di contribuire a una maggiore serenità degli incontri tra genitori detenuti e figli bambini e quella di sensibilizzare la cittadinanza su questo tema. La rappresentazione è riservata esclusivamente agli ospiti di Canton Mombello. Lo spettacolo è “Persi e ritrovati – storia di un bambino e di un pinguino” storia buffa per parlare di mondi sconosciuti che si incontrano. (m.t.)

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i sente cittadina del mon-do (è nata in Iran, ha vis-suto in Francia e oggi abita a Roma), ama l’Iran e ama l’Italia. Ha scelto la teologia

islamica e fatto gli studi nel Centro dello studio (in Occidente è chiama-ta Scuola coranica), poi è venuta in Italia a studiare la teologia cristiana. Lei è Shahrzad Houshmand Zadeh. Ha partecipato a Brescia al convegno promosso dall’Accademia cattolica e ha incontrato alcuni giovani focolari-ni che l’hanno intervistata per il pro-getto “Spot, si gira”. Proponiamo al-cuni passaggi dell’intervista.Ci può raccontare la sua espe-rienza di donna musulmana in un Paese straniero?Quando sono venuta in Italia, mi so-no mancati i miei maestri, i miei luo-ghi di culto, i miei amici con i quali condividere le conoscenze religiose e sociali. In Iran avevo iniziato un percorso di studi sulle altre religio-

ni, in Italia ho voluto approfondire di più il cristianesimo iscrivendomi alla Pontificia università: entravo, unica donna e unica musulmana, in aula con il velo. Mi sono sentita accolta bene, ma non era facile l’impatto con una nuova teologia che usava termini lontani dalla mia comprensione reli-giosa: l’eucaristia o il mistero trini-tario erano lontane dalla mia imma-ginazione. Ho cercato di aprirmi per ascoltare e capire; in questo cammi-no ho avuto la grazia di avere un’ami-ca focolarina che mi ha aiutato nello studio. Il cammino della conoscenza apre nuove finestre al mondo e alla vita. Nella concezione del Corano la vita non è altro che la presenza di Dio: ogni conoscenza mi aiuta a co-noscere meglio la vita perciò a cono-scere meglio quel Dio che è infinito e inafferrabile. Questo per me è stato un grande dono. Alcuni concetti mi hanno aiutato a capire meglio la mia religione. Per anni, infatti, ho studia-

disobbedisce (il diavolo). Il diavolo dice: “Mi ha creato dal fuoco e lui dal fango, perché devo inchinarmi a lui? Razzialmente io sono superiore”. In-tegrazione non significa perdere tut-to. L’integrazione di una donna ira-niana in Occidente non comporta di seguire in tutto e per tutto la donna

to la sharia (il diritto religioso), ma in aula leggevo “Se ami, puoi fare tutto” e mi chiedevo: “Qui non si studia di-ritto religioso?”. Oppure quando veni-va citato che la legge (anche religio-sa) deve essere al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio della legge. Come donna musulmana sono stata accettata bene e nessuno faceva caso al mio velo. Vent’anni fa era diverso: le cose sono cambiate radicalmente con l’11 settembre. Che cosa significa integrarsi in una nuova cultura?Significa perdere tutto e diventare altro oppure integrazione vuol di-re convivere con l’altro, prendere il profumo dell’altro senza perdere il proprio? Penso che il primo peccato dell’esistenza, come dice il Corano, sia il razzismo. Il Corano lo descrive attraverso un racconto dialogico tra Dio e gli angeli nella creazione. Gli angeli devono inchinarsi davanti al-la nuova creatura (Adamo); solo uno

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italiana. Io critico l’idolatria del cor-po della donna occidentale: il corpo non viene prima di ogni cosa. L’islam vede un’unità tra corpo, psiche e spi-rito: non possiamo dividere la psiche e l’anima dal corpo. Possiamo elabo-rare insieme una nuova integrazione.Il quotidiano di Teheran è così di-verso da quello di Roma?Recentemente ho visto “Una sepa-razione” (la recensione alle pagine 40-41, ndr.), un film iraniano che in Europa ha fatto il record di incassi. Questo film, presentato al Festival di Roma, racconta il vissuto quotidiano iraniano. Ha avuto successo perché l’uomo è universale con i suoi dolori e con le sue gioie. Le domande degli iraniani sono compatibili con le do-

mande dell’uomo occidentale: la vita quotidiana ha delle differenze (in Iran da 30 anni in pubblico il velo è obbli-gatorio) con una vita sociale difficile (basti pensare che le classi maschili e femminili sono divise fino all’univer-sità). Nonostante alcune restrizioni per le donne, il 70% degli universitari sono ragazze. Ci sono leggi assurde e pesanti (anche ridere è diventato un reato) che, però, non sono riuscite a togliere la vivacità dei giovani irania-ni: hanno voglia di conoscere e di pre-sentarsi al mondo anche attraverso film e libri. Se poi tutto questo ha a che fare con l’Islam, questa è un’al-tra domanda.Se si pensa alla condizione fem-minile, è inevitabile parlare del velo e della posizione della don-na in una società prevalentemen-te maschile… Vengo da una famiglia non pratican-te, la pratica religiosa è stata una mia scelta. L’islam non chiede di coprirsi il capo, ma pudore; il Corano chiede un comportamento adeguato all’uo-mo e alla donna e per questo ho scel-to di togliere il velo. Milioni di donne fanno quello che vogliono. In Tunisia (Paese musulmano) la legge impedi-sce il velo, in Iran la legge obbliga il velo. In un miliardo e mezzo di per-sone musulmane c’è di tutto, ognuno segue il costume secondo la tradizio-ne locale. In un versetto del Corano si legge che l’uomo e la donna sono creati da una sola persona; l’inizio era l’essere umano, poi è stata creata la coppia. Nel Corano la donna non è la costola dell’uomo, è la compagna di quella persona che era una e poi si è divisa in due. Per il Corano nella coppia dovrebbero esistere l’amore e l’amicizia nello scambio leale; ci so-no poi diverse letture e interpretazio-ni: adesso in Iran la legge dice che la donna non può uscire dal Paese sen-za il consenso del marito o, se non

è sposata, del padre. Ci sono gran-di teologi che si chiedono da dove è tratta questa legge. Alcune norme hanno appesantito il cammino della donna. Non è l’islam che ha oppres-so la donna; la donna viene oppressa da molti secoli. Quanto la figura femminile occi-dentale può influenzare quella orientale?C’è un’influenza. I Paesi a maggioran-za islamica (solo il 20% dei musulma-ni abita nei Paesi arabi) nel mondo sono l’Indonesia, il Bangladesh e il Pakistan: questi tre Paesi hanno un presidente della Repubblica donna e un primo ministro donna. Questo non nega che all’interno del mon-do islamico vi siano delle difficoltà: chiediamo, infatti, alle donne in Oc-cidente di camminare insieme verso una nuova emancipazione umana. Abbiamo aperto un’associazione al femminile (Donne per la dignità) con questo sguardo.Sulla primavera araba e sulla ri-volta iraniana sembra essere ca-lato il silenzio…La rivolta continua in varie forme, perché non si può più uscire nelle strade. Stiamo assistendo ai massa-cri in Siria, Egitto, Bahrein, Yemen: l’onda va avanti. È una questione molto delicata. Questi musulmani, dopo l’11 settembre, nella mentali-tà occidentale sono visti come po-tenziali terroristi. Ma come mai que-sti musulmani terroristi si rivoltano contro i loro governi nelle carceri e nelle università? Sono musulmani e protestano contro le ingiustizie dei loro governi. Sono stanchi di essere oppressi e sono pronti a morire per la dignità. Il Governo iraniano, per esempio, si richiama alla Repubblica islamica, ma secondo gli stessi teo-logi iraniani toglie il diritto alla vita e alla pratica religiosa per tenere in ostaggio un popolo.

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La storia della televisione è scandita da eventi significativi, date precise che raccontano quanto sia cresciuto negli anni il suo potere. Una di queste tappe è sicuramente il 25 dicembre 1989, giorno in cui il dittatore della Romania Nicolae Ceausescu e sua moglie Elena vennero giustiziati. Le immagini della fucilazione vennero trasmesse in tutto il mondo. Si disse che erano l’unico documento atten-dibile, la vera prova: i due in piedi in un cortile, una raffica di mitra, tutto finito. Un resoconto audiovisivo dei fatti a detta di molti necessario per dimostrarne la veridicità.Anche la scorsa settimana le tv di

tutto il mondo hanno documentato la morte di un dittatore. Ma in questo caso non si tratta di dovere di crona-ca, perché lo scempio che abbiamo visto in questi giorni non può esse-re definito ingenuamente un filmato dell’uccisione di un tiranno, la prova ufficiale che un regime di terrore sia finito. È piuttosto la conferma che ora la tv può farci vedere qualsiasi cosa, se riesce a trovare una giustifi-cazione. E noi siamo disposti a guar-dare qualsiasi cosa, se siamo convin-ti che sia necessario. Le immagini di un uomo coperto di sangue, linciato dalla folla e trascinato nella polvere, un trofeo di caccia martoriato dalle

botte festanti dei suoi aguzzini, giusti-ziato in mezzo alla strada e ancora ri-preso da centinaia di fotocamere per-sino nei giorni successivi alla morte.“Vi avvisiamo, sono immagini forti”, dicono alcuni cronisti televisivi, giu-sto un attimo prima di lanciarle nelle case dei telespettatori prima, durante e dopo i pasti. Come se uno schiaf-fo preannunciato non rimanesse co-munque uno schiaffo. Altri tg non se ne curano nemmeno e iniziano il lo-ro video-sommario sparando a raffi-ca gli scatti più violenti, i più effica-ci, selezionati con cura. Ma si parla di un “cattivo”, quindi è doveroso; in questo caso è possibile mostra-

re l’estrema sofferenza di un essere umano: finalmente si può, una buona volta. Finalmente la tv offre impunita lo spettacolo che più attrae e al con-tempo spaventa il pubblico: la morte. Prove tecniche di video-perversione.I giornalisti dei tg nazionali difendo-no il diritto all’informazione e parla-no di “immagini odiose” ma necessa-rie: il Tg5, il 21 ottobre, ha addirittura confezionato un servizio che raccon-ta come le esecuzioni dei potenti del Novecento, da Che Guevara a Sad-dam Hussein, siano sempre state do-cumentate dai giornali e dalle tv. Un po’ come dire: cari telespettatori, a queste immagini vi avevamo già abi-

tuati, ora è il momento di mettervi alla prova con qualcosa di peggio.Qual è il limite che separa il diritto di cronaca dalla difesa dei diritti dei telespettatori, soprattutto i mino-ri? Questo limite, che la tv sta oltre-passando da una settimana, è rego-lamentato dalla Legge; nel 2008 in-fatti una sentenza del Tar del Lazio ha ribadito che in caso di immagini violente trasmesse in fascia protetta il diritto alla tutela della sensibilità dei minori deve prevalere sul diritto di cronaca. A ogni modo, per capi-re qual è la differenza fra cronaca e cannibalismo, è davvero necessario ricorrere al Tar?

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Per una giovane iraniana, la vita sarà migliore andando all’estero o rima-nendo nel suo Paese? È la domanda da cui prende avvio “Una separazio-ne”, il film di Asghar Farhadi vincito-re dell’Orso d’oro all’ultimo Festival di Berlino, che ha anche premiato in massa tutti gli attori protagonisti. Con pieno merito, perché il racconto di Farhadi, condotto dall’inizio alla fine con il talento di un grande nar-ratore, non si limita a mostrare a noi occidentali la complessità della so-

e per certi film la colonna sonora è elemento vitale e imprescindibile, ci so-no alcune colonne sono-re per le quali le immagi-

ni non sono indispensabili, grazie alla forza ineluttabile che deriva dalle canzoni che le compongo-no. Un esempio lo ritroviamo nella “soundtrack” di uno dei film di mag-giore successo di oggi, “This must be the place” di Paolo Sorrentino. Il film descrive la vicenda di una ric-ca e annoiata rockstar (interpretata da un grande Sean Penn) che, ritira-tasi dalle scene, decide di mettersi alla ricerca dell’uomo che durante la Seconda guerra mondiale ordinò l’uccisione di suo padre in un cam-po di concentramento. Sorprendentemente l’album ha rag-giunto in poche ore la Top 5 della classifica dei più venduti su iTunes, caso piuttosto raro nell’ambito di questo genere particolare di dischi. Il titolo del film è ispirato ad una famosa canzone dei Talking Heads, straordinaria band inglese nata al-la fine degli anni Settanta durante i fermenti della new wave che, sotto la guida del carismatico David Byr-ne, riuscì ad imporsi con una serie di album difficilmente etichettabili quanto facilmente identificabili co-

me prodotti di alta classe e di rara originalità. Dischi come “Speaking in Tongues” (dal quale è tratta la canzone cha dà titolo al film) e co-me “Stop Making Sense”, colonna sonora live del film girato su di loro dal regista Jonathan Demme, sono il segno della statura di questo grup-po, che negli anni Ottanta venne poi conosciuto anche dal pubblico di massa. Lo stesso David Byrne appa-re con un cameo nel film, interpre-tando la figura di sé stesso. L’album comprende 17 tracce interpretate da artisti noti e meno noti, tutti co-munque ugualmente qualificati. Tra i nomi già conosciuti anche Iggy Pop, fondatore degli Stooges e amico e collaboratore di David Bowie, en-trambi oggi quasi sessantacinquen-ni sopravvissuti a parecchi eccessi. L’Iguana interpreta quello straor-dinario inno alla notte che è “The

Passenger”, una dei suoi più gran-di successi. Da segnalare anche la bella “I’m coming” di Gavin Friday, fondatore dei Virgin Prunes e amico fraterno di Bono Vox degli U2. Tra le canzoni merita un cenno anche la classica “Charmaine”, di Paolo Mantovani & His Orchestra. Tra le altre canzoni molte sono eseguite da The Pieces Of Shit (nome che è tutto un programma…), la band di cui fa parte Sean Penn nel film, tra cui la ripresa di “This Must Be The Place”. Il disco, oltre a meritare una segnalazione, ci stimola ad alcune considerazioni. La prima è che la musica di oggi ha molto bisogno del-la musica di ieri, anche quella di un periodo strano come gli anni Ottan-ta, nei quali si mescolavano diver-se pulsioni, da quella rock a quella dance a quella techno-elettronica, che all’epoca erano viste con molto scetticismo ma che oggi ci appaiono sotto un luce diversa e sostanzial-mente migliore. La seconda è che spesso il pubblico si ferma al nome e alla fama dell’artista, quando inve-ce ci sarebbe una grande necessità di non arrestarsi davanti alle appa-renze ma di andare a scavare con cu-riosità, per scoprire quante sorprese inaspettate e splendide può riserva-re ancora oggi la musica.

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cietà iraniana, della quale abbiamo spesso un’immagine troppo schema-tica. Sollecita anche i sentimenti e le coscienze di ciascuno, orchestrando un crescendo di pulsioni, sofferen-ze, contraddizioni, mezze verità che generano conflitti dai quali diventa impossibile districarsi.Una coppia si ritrova davanti a un giudice per discutere della propria separazione. La donna, Simin, ha ottenuto il permesso di espatrio, e vuole portare con sé Termeh, la figlia

undicenne. Nader, il marito, rifiuta di seguirla per restare a casa ad accu-dire il padre malato di Alzheimer. In cerca di una soluzione, Simin si tra-sferisce per qualche giorno da sua madre, mentre Nader resta con la figlia a casa e trova una donna che accudisca l’anziano malato durante il giorno. La badante, che ha a sua volta una bambina piccola, è incin-ta. Durante una discussione dovuta a una sua trascuratezza, Nader le dà una spinta facendola cadere per

le scale; poche ore dopo il bambi-no muore.Inseguendo nervosamente i prota-gonisti nelle loro case e nell’aula di tribunale, Farhadi ne mette a nudo la personalità, senza lasciar spazio a una risoluzione rassicurante. Ognu-no ha torti e ragioni, i mariti incalzati dalle urgenze, sempre più esasperati e furiosi, e le mogli addolorate ma te-naci nel far valere le loro convinzio-ni. Spiega il regista che il confronto tra Simin e Razieh, la donna che ha

perso il figlio, rappresenta “due vi-sioni del bene in conflitto. Ed è qui che, a mio avviso, nasce la tragedia moderna”. Sotto lo sguardo attonito e silenzioso di vecchi e ragazzine, la tragedia narrata nel film è anche quella di una società inconciliata, do-ve è ammesso il divorzio ma in ogni momento si invoca il Corano; dove le donne sono presenze attive nella società ma il loro sguardo, più sen-sibile e duttile, è ancora destinato a soccombere.

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“Obiettivo crescere: l’innovazione nella finanza aziendale” è il titolo di un incontro aperto alle imprese bresciane che si è tenuto nei giorni scorsi presso l’Associazione industriale bresciana di via Cefalonia È stato Paolo Chiari, della società bresciana di consulenza Clarium, illustrerà le conclusioni cui è giunta una ricerca sulle operazioni di finanza straordinaria nel

Bresciano. L’incontro è poi proseguito con una serie di testimonianze portate dagli operatori finanziari Francesco Sogaro (senior partner di Sgr) che ha parlato del Fondo italiano d’investimento come nuovo strumento di sviluppo per la crescita delle aziende, e Barbara Lunghi, responsabile mercati per le pmi di Borsa italiana che ha affrontato il tema del mercato dei capitali per la piccola e media impresa

e Angelo Facchinetti, direttore generale di Hopa che ha trattato il tema della finanza a sostegno dell’impresa. Le ragioni dell’incontro vanno ricercate nel fatto che la crescita competitiva del tessuto imprenditoriale passa anche dalla struttura finanziaria e societaria delle imprese che, tradizionalmente, restano ancorate a una governance prevalentemente di tipo familiare e mediamente a elevato utilizzo del debito bancario.

re, tanti sono i giorni che l’Europa, per voce del presidente del Consiglio Ue Van Rumpoy, ha da-to all’Italia per mettere

in campo le misure necessarie per la crescita del Paese, a partire dalla ri-forma del sistema pensionistico. Al diktat si è aggiunto il sarcasmo con cui il duo Sarkozy-Merkel ha liquida-to la credibilità delle assicurazioni for-nite dal premier Berlusconi nel corso del vertice a tre tenuto a Bruxelles. Da Berlino e Parigi sono poi giunte smen-tite che non sono però servite, su un piano politico ed economico, a pla-care i toni di una polemica che si sta sviluppando su più livelli. Il primo ri-guarda l’Italia; la perentorietà con cui il Presidente del Consiglio europeo ha chiesto l’adozione di misure in tempi praticamente impossibili da rispetta-re e l’ironia franco-tedesca la dicono lunga su un Governo che da settima-ne sta parlando di misure per la cre-scita e lo sviluppo senza mai giunge-

ne “Maroni” di qualche anno fa), così come il rifiuto di Berlusconi di intro-durre la patrimoniale che anche gli industriali ormai non sembrano più vedere come il male assoluto, sono la prova evidente di un sistema che non riesce (o non vuole) andare oltre ren-dite di piccolo cabotaggio. La politica nazionale, insomma, non sta dando il meglio di sé, preoccupata forse dalla necessità di trovare risposte a questio-ni tutte interne (il difficile equilibrio tra le ragioni della sopravvivenza del Governo e il mantenimento dei propri elettorati da una parte, e l’imperativo categorico di mettere la parola fine all’Esecuivo Berlusconi dall’altra). C’è, però, un secondo piano da cui guardare alla polemica in corso tra Italia e Europa. È quello dell’autore-volezza dei soggetti da cui sono giunte le critiche. Sarkozy e Merkel, Francia e Germania, si sono assurti, in una sta-gione di crisi generalizzata, a censori all’interno dell’Ue, ruolo non previsto da nessuno dei trattati che regolano

re a nulla di concreto, così come non vuole affrontare in modo strutturale un tema delicato come quello della ri-forma in chiave europea del sistema pensionistico. L’Europa, al di là del-la forma utilizzata, ha messo il dito nella piaga di un Paese incartato dai veti incrociati della politica eviden-temente più preoccupata di non tur-bare gli elettorati di riferimento che non di mettere mano a scelte, magari dolorose, ma necessarie. I ribaditi no della Lega a possibili interventi sulle pensioni (molti dei quali, a detta de-gli esperti, parenti stretti se non ad-dirittura cloni del famigerato scalo-

Istituire una nuova Autorità finanzia-ria mondiale super partes che “rego-li il flusso e il sistema degli scambi monetari”; prevedere “la tassazione delle transazioni finanziarie, median-te aliquote eque”; ricapitalizzare le banche “anche con fondi pubblici”, per sostenere l’economia reale: so-no le principali proposte contenute nel documento del Pontificio Consi-glio della giustizia e della pace sulla gravità della crisi mondiale in corso, intitolato “Per una riforma del siste-ma finanziario internazionale nella prospettiva di un’Autorità pubblica a competenza universale”, presenta-to nei giorni scorsi nella Sala Stampa vaticana. “L’autorità – ha spiegato du-rante la conferenza stampa il cardina-le Peter Kodwo Appiah Turkson, pre-sidente del Pontificio Consiglio della

giustizia e della pace – dovrà avere il fine specifico del bene comune e do-vrà lavorare ed essere strutturata non come ulteriore leva di potestà dei più forti sui più deboli. In questo senso, essa dovrà svolgere quel ruolo super partes che, attraverso il primato del diritto della persona, favorisca lo svi-luppo integrale dell’intera comunità umana, intesa come ‘comunità delle nazioni’”. La costituzione di un’Au-torità pubblica mondiale, al servizio del bene comune” è “l’unico orizzon-te compatibile con le nuove realtà del nostro tempo”, si legge nella nota, che vuole offrire “un contributo ai respon-sabili della terra e a tutti gli uomini di buona volontà” di fronte all’attuale crisi economica e finanziaria mon-diale che “ha rivelato comportamen-ti di egoismo, di cupidigia collettiva”.

le relazioni tra i 27. Questo, forse, è l’aspetto meno importante. Quel che è grave, invece, è lo stato in cui ver-sano i due Paesi. La Francia, infatti, è alle prese con problemi di crescita simili se non più gravi di quelli italiani. La Germania, invece, deve fare i conti con un sistema bancario che ha fatto incetta dei “titoli spazzatura” emessi da quella Grecia, che insieme all’Ita-lia, la Merkel ha rinviato a giudizio. La predica è giusta, il pulpito sbagliato.

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l terzo ciclo di incontri dedicati alla crisi economica e alla con-seguente distruzione dell’orga-nizzazione del lavoro, voluto dalla Fondazione Micheletti in

collaborazione con Cgil e Camera del lavoro, ha avuto come primo ospite Sergio Bologna, professore e scrit-tore, già docente di storia del Movi-mento operaio e della società indu-striale in diversi atenei in Italia. Oggi il lavoro è tutto precario? È questa la domanda di fondo a cui ha provato a rispondere il professore che per molti anni ha seguito l’evoluzione delle mo-dalità contrattuali. I dati sono preoc-cupanti, i giovani hanno condizioni di lavoro sempre più precarie e c’è un insidioso avanzamento dello sfrutta-mento professionale. Molte aziende offrono estenuanti tirocini gratuiti ai neo-laureati, dai tre mesi all’anno, con la falsa promessa di un lavoro che in realtà non arriverà mai. Uno scacco pericoloso viene anche dalle universi-tà che fanno da intermediarie per l’of-ferta di lavoro gratuito degli studenti, lavoro che viene tolto ai professioni-sti. Viene definito percorso di forma-zione, un’infinita formazione che pare non arrivare mai a dare i suoi frutti. Il miraggio di un lavoro fisso è sempre più lontano, in modo particolare per chi ha una laurea. L’Italia, a differen-za delle grandi nazioni europee, ha sì reso flessibile il lavoro, per poter

essere competitiva, salari più bassi e contratti a termine, ma non ha mai attuato le necessarie manovre di am-mortizzazione sociale con il risultato di creare una classe giovane sempre più povera. Le ragioni di questo in-cessante stato di stallo economico vanno viste, secondo Bologna, nella

Nuovo confronto a Brescia tra Im-prese e Governo. Nella sede di Apindustria a riflettere “Dallo Sta-tuto dei lavoratori allo Statuto dei lavori. Quali risposte per rispon-dere alla crisi?” sono intervenuti il ministro del Lavoro e delle po-litiche sociali, Maurizio Sacconi (nella foto), il presidente nazionale di Confapi, Paolo Galassi e quello provinciale di Apindustria, Mauri-zio Casasco. La forza delle Picco-le e medie imprese sta nei nume-ri. “Su 4 milioni e 400mila aziende italiane – precisa Casasco - ben 4 milioni e 200mila, pari al 95%, hanno meno di 20 dipendenti. Su queste pesano come macigni l’ec-cesso di burocrazia, le lentezze e l’incertezza delle relazioni con la pubblica amministrazione”. La no-ta più dolente riguarda le banche, il loro atteggiamento di mancanza

di credito e fiducia nei confronti delle piccole e medie imprese. Co-me superare l’impasse? “Visto che il sistema bancario della grande fi-nanza ignora il valore del rischio, piccole e medie imprese devono rivolgersi alle banche del territo-rio, riscoprendo il valore del ‘pic-colo è bello’”. Galassi, a capo del-la confederazione che raggruppa 120mila imprese che danno lavoro a 2 milioni 300mila addetti, spiega: “Quando chiediamo aiuti a Roma ci viene risposto che tanti soldi ven-gono destinati alle imprese, ma io chiederei alle aziende quanti soldi hanno ricevuto. Noi vogliamo inve-stimenti per la crescita, soprattutto puntando all’innovazione e alla for-mazione. Chiediamo attenzione al mondo manifatturiero, anche per-ché è l’unico che può creare occu-pazione in modo stabile”.Sacconi

gela le aspettative: “Nessuna nuova iniezione di soldi pubblici, nessun poderoso trasferimento statale per far ripartire il nostro Paese. Il do-vere dello Stato è quello di scatena-re la vitalità sociale nella stabilità, cioè lavorando concretamente per il pareggio di bilancio che è anche un obiettivo culturale per un Paese abituato al debito e sopra un pavi-mento di certezze, poggiato su re-gole semplici e certe. Chi pensa che lo sviluppo si faccia per decreto, immettendo soldi pubblici nell’eco-nomia, è fuori dalla storia”. Bisogna avere il coraggio della discontinui-tà. “Stiamo vivendo una trasforma-zione epocale dettata da tre fattori: il salto tecnologico basato su inter-net e genomica, la fine del coloniali-smo geoeconomico e geopolitico e la fine dell’uso smodato del debito privato e di quello pubblico”.

Amanti dei telefonini dalla prima ora gli italiani sono ora grandi appassionati di smartphone: l’Italia è al primo posto in Europa con 20 milioni di smartphone. Anche i tablet, l’ultima evoluzione tecnologica, sono stati accolti molto favorevolmente dal mercato e si stima che entro il 2013 si arriverà ad una base di 4 milioni di dispositivi installati. Sulla base di questi elementi Bresciatourism ha realizzato il nuovo sito mobile

raggiungibile da smartphone all’indirizzo m.bresciatourism.it, con una grafica studiata per la visualizzazione ottimale sugli schermi dei telefonini. Il sito è stato realizzato in italiano, inglese e tedesco.È presente una photogallery, un calendario dinamico degli eventi, la possibilità di ricercare e telefonare direttamente ad alberghi, servizi ricettivi e ristoranti visualizzandoli su mappa.

Il programma regionale Ergon è un’iniziativa di Regione Lombardia - direzione generale industria, artigianato, edilizia e cooperazione realizzata in collaborazione con Unioncamere Lombardia, che prevede la realizzazione di una serie di attività e servizi, diretti a sostenere il sistema delle micro, piccole e medie imprese lombarde, favorendo la creazione di nuove aggregazioni stabili di imprese, il consolidamento, lo

sviluppo e la stabilizzazione delle aggregazioni esistenti. Il bando “Creazione di aggregazioni di imprese” - Azione 1, realizzato in attuazione del programma Ergon verrà presentato presso la sede territoriale di Brescia di Regione Lombardia il prossimo 2 novembre dalle 15.45 alle ore 18 presso la sala convegni di Regione Lombardia nella sede territoriale di Brescia, in via Dalmazia 92/94.

mancanza di investimenti nella ricer-ca e ammodernamento del lavoro. Nessuna azienda si fa produttrice di novità per il mercato, facendosi solo trascinare dai grandi colossi, per lo più tedeschi e richiedendo finanzia-menti statali per stare al passo. Bre-scia e la sua provincia sono da rite-nersi, secondo l’autore di “Vita da free lance”, aree fortunate perché ancora fortemente impiegate nell’industria, ma zone come quella milanese dove domina il terziario sono al tracollo. I giovani, in conclusione, devono ri-nunciare all’idea dell’impiego fisso e lavorare insieme per ottenere più ammortizzatori sociali. Un panorama realistico, ma desolante.

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urtroppo non è la prima volta che ci tocca piange-re un campione nel fiore degli anni, un giovane cen-tauro che sta cominciando

ad affermarsi e la cui carriera viene bruscamente a cozzare con l’evento improvviso, la tragedia che in uno sport come quello dei motori, è sem-pre dietro l’angolo. Eppure neanche stavolta riusciamo a rassegnarci al fa-talismo: Marco Simoncelli se ne è an-dato e il dramma si tinge dei colori più cupi perché coinvolge persino il suo grande amico Valentino Rossi, che in-sieme all’altro collega Edwards non è riuscito ad evitarlo nella mattanza di Sepang. Si dirà nel dopo gara (appena due giri) che il ventiquattrenne roma-gnolo avrebbe potuto lasciarsi andare sull’asfalto, evitando così il terribile impatto con gli altri due piloti: ora si parla di tragica fatalità, di morte as-surda, di dramma che non era possi-bile prevedere. L’elettronica in questi anni ha evitato tanti lutti, eppure al volante di un bolide si è continuato a morire, in misura minore. Marco era un ragazzo esuberante, un guascone che si era fatto valere nelle serie mi-nori a forza di sgasate furiose, virate irresistibili e sorpassi mozzafiato. Il “Circus” lo aveva accolto senza gran-di entusiasmi: si diffida sempre di un nuovo ragazzo che non ha paura di niente, che gareggia con la baldan-za di un campione. Con Pedrosa era

nato quasi un incidente diplomatico che lo costrinse a girare scortato, al-la vigilia di un Gp in Spagna. Lui era rimasto quello di sempre: romagnolo verace, capace di dare battaglia sem-pre, fino a quel secondo giro maledet-to di domenica in Malesia. A noi piace ricordare il suo modo di correre, tutto cuore, fin dalle scorribande in mini-moto con uno di quelli che si sareb-be poi rivelato un grande rivale anche

in MotoGp: Andrea Dovizioso. Figlio di quella Romagna che ha dato tanti suoi figli alle quattro e alle due ruote, che vive, respira e si nutre di motori, Marco aveva debuttato con l’Aprilia nel 2002, fresco di titolo europeo nella 125. L’apprendistato è veloce, la voglia di emergere tanta, la paura non esiste: così il primo successo arriva neanche due anni dopo, in Spagna. Poi il salto in 250 nel 2006, con la Gilera. Tre sta-

Nessun dramma. Nonostante la prima sconfitta in campionato, in casa Centrale del Latte Brescia l’umore resta alto. Tre vittorie nelle prime quattro giornate di campionato e il comando della classifica della Lega 2 assieme a Reggio Emilia (autentica bestia nera), Pistoia e Scafati non deve procurare falsi allarmi. E per i ragazzi di coach Dell’Agnello il cammino proseguirà con un doppio impegno in anticipo al venerdì. Domani, alle 20,45, il derby

casalingo contro la Tezenis Verona e il 4 novembre a Pistoia. Cambio di palinsesto, dunque, non solo in campo ma anche sulle frequenze radiofoniche. Entrambe le partite verranno seguite in diretta su Radio Voce Fm 88.3-88.5 a partire dalle 20.30 con il commento affidato ad Alberto Banzola. Per tutti coloro che risiedono fuori città e provincia, le partire si potranno ascoltare sul sito internet www.radiovoce.it nella sezione dello streaming. (m.r.)

Continua a piovere sul bagnato, dice-vano i nostri nonni per indicare quan-do un evento andava a peggiorare una situazione già brutta o a migliorarne una già molto bella.La lunga lista degli infortunati, ormai noti (a cui aggiungere Berardi sicura-mente assente, Dallamano acciacca-to come El Kaddouri) si allunga con quelli che saranno forfait a causa del-le squalifiche: De Maio, un turno per espulsione nella gara con il Grosseto,

e Jonathas, che deve scontare un tur-no per doppia ammonizione a cui se ne aggiungono tre per un calcio nella schiena di Pompeu Da Silva Ronal-do rilevato dal giudice sportivo con prova tv, visto che l’arbitro non l’ave-va notato. “Siamo sconcertati” ha di-chiarato il direttore sportivo Iaconi. Situazione strana. Se Jonathas ha commesso il fatto, che venga valuta-to e punito. Su questo non si discute. Fa pensare che non vengano prese

in considerazione altre situazioni co-me la manata a Zambelli e gli insulti di razzismo di cui sono stati oggetto De Maio e El Kaddouri. Anche questi vanno ripresi, scovati e puniti, forse più pericolosi di una pedata che, nel bene e nel male, può rientrare negli scontri di una partita. Ne va della co-erenza, dell’efficacia degli interventi e inviti fatti ai tifosi di non esporre frasi e fare cori razzisti. Per il resto si lasci spazio alla fantasia

di Scienza (nella foto). Un ossimoro, per la verità, accostare la capacità di sognare alla capacità di calcolo e pre-cisione. Ma il Brescia passa da qui, per ritrovarsi e per rilanciarsi: sabato 29 ottobre arriva al Rigamonti la Reggina (alle 15). Serve una vittoria figlia della fantasia di Scienza. Leali, in settima-na, ha anche ricordato la sua voglia di restare al Brescia, almeno fino a fi-ne stagione. I conti in cassa però non tornano, e allora fantasia anche qui...

gioni, e nel 2008 la conquista del Mon-diale a mani basse, con sei trionfi che gli schiudono nel 2010, le porte della MotoGp, dove non paga il dazio de-buttanti, ma si getta a capofitto nella mischia conquistandosi in pista il ri-spetto degli avversari.Il dolore ora è immenso, come quan-do qualcosa finisce, come un incubo che irrompe in una fresca mattina d’ottobre: Marco era tifosissimo del Milan, che, dopo neanche due ore, dalla tragedia è sceso in campo a Lecce, con il lutto al braccio e come tramortito da quella notizia, ha bec-cato tre gol in 45 minuti. Poi forse, in qualche giocatore rossonero che co-nosceva Marco e che avrebbe dovuto rivederlo proprio due giorni dopo a Milanello, è scattato qualcosa dentro, tanto che alla fine il Milan ha compiu-to una rimonta storica, vincendo 4-3. Tutti alla fine hanno dedicato l’im-presa al “Sic”, eroe sfortunato di uno sport che a volte diventa una trappo-la terribile, che non possiamo e non vogliamo dimenticare.

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ove le pietre parlano e la pace è ancora un sogno. Il Csi torna da Gerusa-lemme carico di energia e speranza. Come ogni an-

no la bandiera arancioblù è stata pian-tata sul confine tra Israele e Palestina spalancando le porte del check point almeno per un giorno nel segno del-lo sport e della memoria di Giovanni Paolo II. Il momento cruciale è stato la maratona della pace Betlemme–Gerusalemme, 12 chilometri di corsa non competitiva dietro alla fiacco-la benedetta nei giorni scorsi da pa-pa Ratzinger. Tra i corridori giovani, adulti e anziani provenienti da Israe-le, Palestina, Italia e Haiti. La madri-na della corsa è stata la campionessa paralimpica Giusy Versace, accom-pagnata da un gruppo di ex calciatori come Damiano Tommasi, Gigi Di Bia-gio, Angelo Peruzzi e Fabio Pecchia, che hanno vinto il quadrangolare di-sputato all’ombra del check point; in campo anche una rappresentativa di Lega Pro, una squadra palestinese e una israeliana. Al termine del torneo si è disputata un’amichevole tra una formazione haitiana ed una squadra mista composta da due palestinesi, due israeliani e un italiano. Tra i bre-sciani presenti all’evento mons. Clau-dio Paganini. Il consulente ecclesia-stico nazionale del Csi, sempre pre-sente all’iniziativa internazionale, ha ricordato l’eccezionalità dell’edizione 2011, in concomitanza con la prima ri-

La stagione del calcio a 7 è appena iniziata, ma il Csi è già al lavoro per gettare le basi dei campionati futuri. L’intento è comprendere le esigenze pratiche delle società calcistiche, ma anche le loro ambizioni. Il comitato ha deciso di raccogliere i pareri di tutte le formazioni della categoria open inviando un questionario a ogni società. Viene richiesto di esprimersi sulla struttura delle categorie e sulle formule da adottare già a partire dalla prossima stagione. Bisognerà

scegliere tra due opzioni. La prima propone un campionato di Elite provinciale da un lato e un’unica categoria composta da campionati zonali dall’altro. Ciò esclude playoff e playout promuovendo alle finali la vincitrice di ogni girone, ma consente trasferte più agevoli. La seconda prospetta una suddivisione in tre categorie (Elite, Eccellenza e Promozione), con playoff e playout in grado di aggiungere competitività, ma con il rischio di dover affrontare qualche trasferta fuori zona.

correnza liturgica del beato Giovanni Paolo II. “Sul Monte delle Beatitudini sono riecheggiate le sue parole – ha spiegato –. Con questa rinnovata cari-ca spirituale è stato più facile affron-tare la corsa e testimoniare al check point la voce di ogni coscienza che invita a scegliere tra bene e male”. Esordio in Terra Santa, invece, per la presidente del Csi Brescia Amelia

Morgano: “La nostra presenza qui mi dà grande entusiasmo. È la testimo-nianza del valore dello sport, che può superare tutte le barriere e contribui-re alla pace. Abbiamo dato dimostra-zione di fede a questa terra schieran-doci contro le guerre. Da soli siamo piccoli, ma uniti nel Csi siamo grandi e forti”. Sport, spiritualità e un forte desiderio di pace, ma non solo. I John Paul II Games sono stati vissuti anche nel nome della solidarietà con l’arrivo a Gerusalemme di una delegazione di 120 haitiani, all’insegna del gemellag-gio con il Csi. La popolazione caraibi-ca, infatti, continua ad avere bisogno di aiuto anche ora che i riflettori sulla situazione si sono spenti.

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Un Papa tra noi, un Beato tra noi

Egr. direttore, Roma, ma anche alcune diocesi d’Ita-lia e del mondo, hanno festeggiato la memoria liturgica di Giovanni Paolo II. Conferenze, esposizione di reliquie e celebrazioni eucaristiche sono le iniziative promosse per “offrire l’op-portunità di ricordare, in gratitudine orante, il grande dono del Papa venu-to da lontano”, come ricorda mons. Alberto Maria Careggio, vescovo di Sanremo-Ventimiglia.I fedeli bresciani, devoti del Beato Giovanni Paolo II, pur a titolo perso-nale, hanno potuto certamente unirsi spiritualmente a tutti i fedeli del mon-do nel ricordo di un uomo che ha se-gnato non solo la storia della Chiesa, ma anche quella di molti popoli che oggi lo venerano, certi di avere in lui un intercessore specialissimo, come lo è stato quando era vivo.Giovanni Paolo II non è stato solo un grande papa, un fine intellettuale, un poeta e filosofo di rara profondità. In Giovanni Paolo II l’uomo contempo-raneo, spesso smarrito e fragile, ha riconosciuto un padre, un amico, un fratello sempre pronto a donarsi in nome dell’Amore che avvolgeva l’in-tera sua esistenza, ogni istante, ogni gesto, ogni parola. Per Giovanni Pa-olo II Dio non era oggetto di studio, oggetto di analisi esegetiche e teolo-giche, ma esperienza viva, reale che coinvolgeva tutto il suo io, la sua vita di uomo, sacerdote, vescovo, ponte-fice. Lo ricordano spesso quanti gli sono stati vicino: Giovanni Paolo II non distoglieva mai lo sguardo da quel Mistero in cui era totalmente immer-so, in un’immedesimazione tipica dei mistici, dei mistici santi. Viveva nella

dimensione del Mistero, “respirava” il Mistero. Il suo essere tutto in Dio non lo disto-glieva, non lo allontanava dall’umano di cui coglieva la grandezza e la bel-lezza che derivano all’uomo dal suo essere immagine del Dio Creatore, del Dio Amore. In un certo senso, quando nel 1962 di-ceva ai giovani universitari di Craco-via che “Cristo non ci strappa da noi stessi. Cristo non annulla nessuno di noi. Non ci svaluta!”, non proponeva la tesi conclusiva di studi teologico-accademici o di analisi ecclesiologi-che, che sarebbero magari confluiti in libri di successo. No, quella frase conteneva in sé qualcosa di più pro-fondo e vero. Egli aveva sofferto per la perdita delle persone più care (al-la sua ordinazione non erano presen-ti né i genitori né il fratello, morti an-ni prima); da solo aveva affrontato il dramma dell’occupazione tedesca e la tragedia della guerra; i suoi più cari amici erano stati internati e tor-turati. E proprio per tutto questo, già allora era un testimone credibile, un maestro autorevole, come lo sarebbe stato fino alla fine.Egli, con la sua vita, oltre che con i discorsi e gli scritti, ha reso visibile la verità di quanto proclamava ai gio-vani suoi amici universitari. Non ha avuto paura di “ vivere in pie-nezza”, di essere uomo tra gli uomini, consapevole che proprio l’Incarnazio-ne è il centro, il fulcro della nostra fe-de. Non ha avuto paura di incontrare l’uomo, l’uomo reale, che “vive, gioi-sce, piange e soffre” e, questo, in ogni latitudine, in ogni circostanza, in ogni condizione. “Qualcuno si chinò lungamente su di me../..Chiuso in quella stretta – come ad una carezza sul volto/ dopo la quale

vi è stupore e silenzio, silenzio senza parole/senza nulla comprendere o bi-lanciare/ in quel silenzio sento, sopra di me, il chinarsi di Dio”. Così scrive-va Karol Wojtyla Vigoroso e debole, forte e tremante, con voce possente e con un sibilo di voce, tutta la sua esistenza si è dipa-nata come risposta ad una chiamata d’Amore, risposta a “quel chinarsi di Dio” che ogni giorno sperimentava nella sua vita. All’uomo, all’umanità smarrita e in-quieta del XX secolo e dell’inizio del XXI, il Beato Giovanni Paolo II non ha proposto grandi discorsi, non ha of-ferto esegesi e lectiones magistrales di altissimo valore. Semplicemente ha offerto se stesso, la sua esistenza, la sua persona, il suo amore. Egli, come spesso si dice di lui, ha insegnato a vi-vere, a gioire per le cose semplici; ha insegnato a contemplare la natura, a godere della vita, ad amare la vita, a ri-spettarla sempre e comunque; ma, so-prattutto, ha insegnato che cosa signi-fichi donarsi totalmente fino all’annul-lamento di sé, annullamento possibile solo a chi è “ tutto in Dio”, come lui ha meravigliosamente e stupendamente testimoniato. La sua umanità, la sua fragilità, la sua debolezza, persino la “deformità” del corpo irrigidito dalla malattia, vissute in Cristo e per Cristo, sono divenute segno visibile dell’Invi-sibile, un segno così potente da poter “parlare” ancora oggi al cuore degli uomini che vivono nel “deserto” di un mondo sempre più secolarizzato ed “ostile a Dio”.Come ricorda mons. Piero Marini, per 18 anni suo maestro delle celebrazioni liturgiche, Giovanni Paolo II ha messo il suo corpo a disposizione di tutta la Chiesa e di tutte le piccole comunità per dire “siamo una sola Chiesa, sia-

mo un popolo in cammino, dobbiamo vivere nella comunione, uniti dalla stessa fedeLa beatificazione di Giovanni Paolo II costituisce un dono speciale della Chiesa che, l’1 maggio 2011, ha volu-to indicarci un esempio di santità in-carnata in un uomo che molti di noi hanno conosciuto ed amato, un uo-mo, un padre da molti sentito ancora vicino e presente.Sabato 22 i suoi “figli” hanno fatto fe-sta chiedendo a Dio, attraverso l’inter-cessione del Beato Giovanni Paolo II, di potere testimoniare con la loro vita la bellezza di essere cristiani e la gio-ia della fede nell’unico amore capace di dare senso al nostro vivere, amare, gioire, soffrire e morire.

Carmela Randone

“Homo consumens”

Egr. direttore,le scrivo per rimarcare un segno dei tempi che sempre più noto e sempre più mi interroga. L’ homo consumens, cioè noi tutti nessuno escluso, è blan-dito e corteggiato dai media, in ogni modo, ormai fin dall’infanzia. Un gior-no qualsiasi, mercoledì scorso: Scorro le pagine di un quotidiano nazionale a grande tiratura. Otto facciate dedicate alla moda; altre otto facciate dedicate alle automobili, che ci guardano con i loro fari-occhi rivolgendoci anch’esse un esplicito invito al possesso. Insieme a ciò le notizie e gli articoli, moltissimi dei quali denunciano e de-precano l’amoralità e gli sprechi della vita politica, così come la fatica del vivere d’oggi, tout court. Ho l’impressione che, così abilmente congegnati, i nostri maggiori media non raccontino “le notizie”, ma metta-no in scena una sola notizia, sempre la

stessa: il peccato strutturale del desi-derare e del possedere ad ogni costo. Esso ormai ci pervade, incistato nel-la nostra antropologia. Così, persino l’indignazione e il voler dire al mondo attraverso le colonne di un giornale “Adesso basta! Così non va!” passa attraverso le leggi del mercato, forche caudine che stravolgono ogni altro messaggio, cannibalizzandolo e depo-tenziandolo pro domo propria, cioè del sistema produrre-consumare. È come se da un lato ci fossero la stam-pa di sinistra, di centro, di destra. Ma il vero “centro” ontologico, l’essenza di tutta questa comunicazione, fosse la pubblicità, longa manus del sistema: essa, come una sapiente mezzana, lu-cra da ogni schieramento, dando ov-viamente l’illusione all’uomo “libero e democratico” di potersi pronunciare come più gli aggrada sulle “questioni fondamentali”, spesso ridotte a gossip di infima lega. L’importante è che, di destra, di centro o di sinistra, il citta-dino-consumatore compri il tal pro-dotto, la tale auto, le tali scarpe. Non penso di dire nulla di nuovo, del resto un altro medium, la tv commerciale, nasceva decenni or sono non per fa-re spettacoli da godere, ma per ven-dere prosciutti e mortadelle. Il fatto è che ormai a questo meccanismo non prestiamo nemmeno più attenzione. Ci pare normale. Ne siamo talmente pervasi che sa-rebbe come chiedere ad un pesce se si accorge dell’acqua. È questo il ve-ro problema. Sappiamo infatti che la massima conquista per ciò che è dia-bolico è di far dimenticare la propria esistenza.Allora anch’io, come molti altri in que-sto periodo, avanzo una proposta di “riforma strutturale”. Che non tende a rilanciare la produttività e suo figlio,

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UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

FEDERAZIONE ITALIANA SETTIMANALI CATTOLICI

Associato Associato

il consumo. Piuttosto auspica la ri-flessione sul nostro esistere (in)feli-ce. Sarebbe bello che ognuno di noi si adoperasse per sottrarre mezz’ora della propria giornata sia al produrre che al consumare. E che si osasse, quei trenta minuti, “sprecarli” nel più puro stile dell’unzione di Betania: al-la ricerca del bello nella propria vita innanzitutto chiedendosi: “Cosa ren-de felici le mie giornate?”.

Giammaria Manerba

Il rispetto del creato, la solidarietà tra i popoli

Egr. direttore,promosso dalla parrocchia, con il sostegno organizzativo delle Acli di Chiari, martedì 11 ottobre si è svol-to, presso il Centro giovanile, un in-contro con don Gabriele Scalmana, responsabile della Pastorale del cre-ato della diocesi, e lo psicologo Mi-chele Metelli di Chiari che si occupa di promozione sociale delle persone che presentano situazioni drammati-che, o comunque, vantaggiate. Erano presenti una quarantina di persone di varie età ed impegno sociale. Si è cercato di rispondere ad alcune domande centrali: come rendere la terra più ospitale, più accogliente, e come essere noi più disponibili all’ac-coglienza ed alla ospitalità; acquisire la cultura del limite, sapendo che le risorse non sono infinite. Dobbiamo partire dal fatto che viviamo in un mondo limitato, molte delle risorse che noi consumiamo non sono ripro-ducibili. Ad esempio, la terra coltiva-bile, se viene asportata per far posto a delle strade, o diverse altre costru-zioni, che magari rimangono inutiliz-zate, non può più produrre. Anche il clima, negli ultimi decenni ha perso

quello che era il suo equilibrio, e ciò provoca notevoli danni alla vita sul-la terra. Diciamo subito che servono le idee, la programmazione e poi le buone pratiche. In Lombardia man-ca un piano dei trasporti, e pertanto, ogni realtà locale si comporta come meglio ritiene. Per rendere la terra più ospitale bisogna assumersi una nuova mentalità, e non soltanto da parte dei gruppi ecologici, ma a li-vello politico in generale. Renderci conto che tutto l’equilibrio sul quale regge la vita di ogni essere vivente è molto delicato, e non può subire degli scossoni troppo forti, perché rischia di infrangersi. Sapere, inol-tre, che abbiamo in mano dei beni limitati. Pertanto dobbiamo puntare sulle energie rinnovabili, al riciclo e riutilizzo di alcuni beni, proprio per evitare un consumo sproporzionato rispetto ai reali bisogni secondo una cultura ed un etica della responsa-bilità. Dal punto di vista cristiano, questo significa povertà evangelica, che è beatitudine. Sapere amare la terra, avendone cura, per sé e per gli altri, produce felicità. Quando le cose diventano superflue nasce l’in-felicità. Quindi, per avere una terra più ospitale dovremo avere degli stili di vita più sobri, con quello spirito di povertà prima richiamato. Come es-sere ospitali in una società multietni-ca e multiculturale ? Ci vogliono idee nuove, sapendo che nessuna cultura è perfetta e completa. Pertanto, dob-biamo creare le condizioni per poter dialogare con tutti, anche qui da noi, nella comunità di Chiari, rendendola più accogliente, superando pregiudi-zi e paure, frutto della mancanza di conoscenza della realtà di vita delle persone che vivono nelle contrade e nelle piazze di Chiari. Amare la ter-

ra che è di Dio vuol dire far nostro il principio della destinazione univer-sale dei beni di questa terra, quin-di, non possiamo impedire che altri popoli, meno fortunati di noi, o che vivono i drammi della carestia e dei conflitti interni, abbiano ad approda-re qui nella vecchia Europa. Oltre tutto, non dimentichiamo che proprio gli Stati occidentali sono re-sponsabili dei danni provocati dal co-lonialismo, ed ancora fino ai giorni nostri del sostegno politico a regimi dittatoriali, che si sono succeduti in numerosi Paesi africani. È la scarsa speranza di una vita dignitosa che spinge le popolazioni dei vari con-tinenti a muoversi verso di noi. Te-nendo conto di queste realtà siamo invitati ad essere aperti ed ospitali. Certo, ci vuole sempre il rispetto del-la legalità e delle leggi che devono essere coerenti con la Carta costitu-zionale italiana e quella europea del 2000, che pure contiene dei principi umani molto importanti. Spetta a tut-ti, in particolare coloro che hanno re-sponsabilità sociali e politiche impe-gnarsi per creare le condizioni adatte a migliorare la vita anche negli altri Stati, sostenendo pure uno sviluppo democratico dei popoli che si stan-no liberando dai loro tiranni. Anche in questo, la nostra fede cristiana ci può aiutare a vivere secondo il co-mandamento dell’amore.

Giuseppe Delfrate

Un concorso per festeggiare l’anniversario

Egr. direttore,per festeggiare il decennale dell’As-sociazione artigiani e commercianti di Montichiari all’Istituto don Milani viene indetto il concorso intitolato

“Noi siamo l’originale, la grande di-stribuzione ci copia”, con l’obiettivo di invitare i giovani a riflettere sul commercio e artigianato in paese, attraverso immagini e racconti de-stinati a raffigurare i luoghi dove esi-ste ancora il senso di appartenenza e l’aggregazione. Suddiviso in più sezioni (un totem pubblicitario, una poesia, un’inter-vista, un lavoro multimediale e fo-tografie, tutto rigorosamente inedi-to), il concorso è aperto a tutti gli studenti che vorranno partecipare con opere inedite da consegnare al-la segreteria della scuola di via Mar-coni entro le ore 12 del 30 novembre 2011. I lavori pervenuti saranno va-lutati da un’apposita giuria. Le opere vincitrici di ogni sezione saranno co-municate ufficialmente e premiate, in una cerimonia che si svolgerà nel mese di dicembre al Garda Forum di via Trieste. Ai primi tre vincitori degli istituti par-tecipanti saranno assegnati buono acquisto rispettivamente del valore di 200, 100 e 50 euro. Tutti i testi sa-ranno pubblicati sul sito e sul giorna-le dell’Istituto oltre che sul sito www.arco-montichiari.it .

Flavio Marcolini

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