Venite e guarite - estratto libro - Paoline

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VENITE E GUARITE F RATEL MICHAEL DAVIDE I « dieci gesti » di Gesù per una nuova umanità

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Una Chiesa che vuole essere soggetto affidabile di evangelizzazione, deve essere prima di tutto oggetto sensibile di una misericordia che guarisce, attraverso una compassione ricevuta che trasfigura l’umanità e la rende trasparente a quella forza divina che abita il cuore di ogni uomo e di ogni donna. http://www.paoline.it/blog/chiesa/604-venite-e-guarite-chiesa.html

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Fratel MichaelDaviDe SeMeraro, mo-naco dal 1983, vive nella Koinonia de la Visita-tion a Rhêmes Notre-Dame in Valle d’Aosta. Dopo i primi anni di formazione monastica, ha conseguito il Dottorato in Teologia Spiri-tuale presso l’Università Gregoriana di Ro-ma. Coniugando la sua esperienza monastica con l’ascolto delle tematiche che turbano e appassionano il cuore degli uomini e don-ne del nostro tempo, collabora con alcune riviste e, compatibilmente con le esigenze della vita monastica, tiene conferenze e ac-compagna ritiri. Per ulteriori informazioni vedi: www.lavisitation.it

Con Paoline ha pubblicato: Etty Hillesum: umanità radicata in Dio (2013), Saliamo a Ge-rusalemme. Itinerario quaresimale quotidiano(2014), Andiamo a Betlemme! Itinerario quo-tidiano per l’Avvento (2014) e con altri auto-ri, Felice di essere cristiano. Un anno con papa Francesco (2014).

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«Nuovo umanesimo non significa un modello monolitico. Umanesimo è – a ben considerarnela storia – un termine che si declina al plurale, e l’umanesimo nuovo in Cristo è un umanesimosfaccettato e ricco di sfumature – prismatico… dove solo dall’insieme dei volti concreti, di bambini e anziani, di persone serene o sofferenti, di cittadini italiani e d’immigrati venuti da lontano, emerge la bellezza del volto di Gesù. L’accesso all’umano, difatti, si rinviene imparando a inscrivere nel volto di Cristo Gesù tutti i volti, perché egli ne racco-glie in unità i lineamenti come pure le cicatrici ».

(dalla traccia del Convegno di Firenze 2015)

« Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la miseri-cordia di Dio».

(dalla bolla di indizione dell’Anno santo della Misericordia)

In copertina: Trento Longaretti, I miracoli di Gesù, 1998-99, Chiesa di San Zeno, Treviglio (BG).

Il Convegno della Chiesa italiana,a Firenze nel mese di novembre 2015, ha come tema: In Gesù Cristo un nuo-vo umanesimo, un invito a ritornare al Vangelo, affinché le parole, ma pure i gesti del Signore Gesù divengano il lievito del nostro essere uomini e donne in questo tempo. Anche il prossimo Anno santo straordinario della Misericordia, proclamato dapapa Francesco, apre a un percorso impreziosito di tenerezza e perdono da dare e ricevere.

Per la preparazione a questi due importanti eventi ecclesiali l’Autore propone una rivisitazione dei « die-ci segni » (cfr. Mt 8-9) che il Signore Gesù compie subito dopo aver am-maestrato le folle e i discepoli con il Discorso della montagna.

Attraverso il metodo monastico della lectio divina, queste pagine ri-percorrono alcune parole chiave delprossimo Convegno della Chiesa Ita-liana a partire da uno di quei «die-ci gesti » che l’evangelista Matteo ci fa contemplare come la medicina cheil Signore offre a quanti incontra sul suo cammino per riconquistare lapropria integrità e aprirsi a una gioia ritrovata e sempre più condivisa.

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VENITE E GUARITE

Fratel MichaelDaviDe

I « dieci gesti »di Gesù per una nuova umanità

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INTRODUZIONE

Il Convegno della Chiesa italiana previsto per il mese di novembre 2015 ha come tema un appello: In Gesù Cristo un nuovo umane-

simo. Così pure le prime parole della Bolla di indizione del Giubileo della misericordia risuo-nano come l’appello dello shofar1 (šôpar): « Ge-sù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth ». Le varie comunità ecclesiali sono chiamate a prepararsi a questi due appun-tamenti – uno più puntuale come il Convegno e uno più ampio come il Giubileo – non solo con riflessioni teoriche, ma attraverso l’elaborazio-ne di uno stile incarnato. Bisogna assumere il Vangelo nella propria vita, fino a farsene volto leggibile per tutti quelli che incontriamo sulle strade della nostra esistenza quotidiana. La do-manda si fa naturale: « Dove possiamo attingere

1 Lo shofar è un piccolo corno di montone usato come strumento musicale per l’inizio delle grandi feste e, in particolare, del giubileo (cfr. Lv 25,8-13).

Questo testo è un'anteprima del libro. Il numero delle pagine è limitato.

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i tratti di questa umanità nuova per farcene te-stimoni affidabili? ». Non è difficile risponde-re: « Bisogna ritornare al Vangelo lasciando che non solo le parole, ma pure i gesti del Signore Gesù divengano il lievito del nostro essere uo-mini e donne nel nostro tempo, portatori di una testimonianza di speranza per il nostro tempo ».

In Cristo Gesù ci è dato di contemplare l’ico-na e l’archetipo della nostra umanità in cammi-no verso se stessa per ritrovare l’immagine e la somiglianza con Dio. Come diceva Tertulliano, Cristo è l’uomo « certior et verior/il più certo e il più vero »2, ed è alla scuola del Signore Gesù che possiamo camminare verso un’umanità più certa e più vera che si offra come speranza e come testimonianza nell’incertezza che viene dalla particolare complessità del tempo che vi-viamo, in cui il nostro stesso modo di pensarci « in umanità » è scosso.

Dal punto di vista della grande tradizione spirituale – in particolare quella monastica –, per ritrovare il nostro volto autentico di uomini e donne è necessario accettare di entrare in un cammino di purificazione che apra a una illumi-nazione, capace di farci ritrovare quell’armonia che dall’interno di noi stessi si effonde attorno a noi, restituendo pienezza di senso alle nostre relazioni. Si tratta di un cammino di guarigione da tutto ciò che ha imbrattato, fino a renderla

2 Tertulliano, Contro Prassea 12,4.

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illeggibile, la moneta della nostra umanità per riconoscervi l’immagine stessa del Creatore. Si tratta di ripulire, fino a far brillare di nuova lu-ce, ciò che è stato sempre là ed era solo un po’ incrostato di disumanità.

Per fare questo cammino ritorneremo insieme ai « dieci segni » (Mt 8-9) che il Signore Gesù compie subito dopo aver ammaestrato le folle e i discepoli con il Discorso della montagna. Le « dieci parole » delle Beatitudini diventano così « dieci gesti » di guarigione attraverso cui il Signore Gesù ci indica la via per diventare, a nostra volta, uomini e donne « più certi e più veri »: più affidabili per noi stessi e per gli altri. Attraverso il metodo monastico della lectio divi-na, cercheremo in queste pagine di ripercorrere alcune parole chiave del prossimo Convegno della Chiesa Italiana a partire da uno di quei « dieci gesti » che l’evangelista Matteo ci fa con-templare come medicina che il Signore offre a quanti incontra sul suo cammino per ritrovare la propria integrità e aprirsi a una gioia ritrovata e sempre più condivisa.

Le parole e le sfide del Convegno suonano così: un umanesimo in ascolto, un umanesimo concreto, un umanesimo plurale e integrale, un umanesimo di trascendenza. Per guarire da tut-to ciò che offusca e impedisce questo cammino di autentica umanizzazione ci sono offerti cin-que verbi: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. I racconti dei gesti terapeutici del

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Signore ci faranno da guida per comprende-re come realizzare quell’umanesimo cui siamo chiamati e per delineare il modo di attraversare esistenzialmente questi verbi senza i quali nes-sun umanesimo, cristologicamente compatibi-le, sarebbe mai possibile. In queste pagine si vorrebbe delineare una traccia di conversione e di guarigione per ritrovarci più umani e più affidabili in umanità, prima di tutto per noi stessi come pure per gli altri. Al cuore dei « dieci segni » compiuti dal Signore Gesù nel vangelo secondo Matteo, presentati come l’attuazione esistenziale delle provocazioni evangeliche del Discorso della montagna con le dieci parole delle Beatitudini, troviamo un dittico che ben ci tocca e ci rappresenta: la guarigione di un paralitico (cfr. Mt 9,1-8) che introduce e forse spiega la chiamata di Matteo. Così Pietro Crisologo commenta: « Fratelli, seduto al suo banco delle imposte, questo povero pubblicano era in una situazione peggiore di quella del paralitico di cui vi ho parlato l’altro giorno, che giaceva sul suo lettuccio (Mc 2,1-12). Uno era affetto da una paralisi nel suo corpo; l’altro nella sua anima »3.

Potremmo dire che la nostra Chiesa e la nostra esperienza di credenti, chiamati a testimoniare il Vangelo nella realtà irrinunciabile del nostro tempo, assomigliano spesso a questa paralisi da cui il Signore non solo ci libera, ma a partire

3 Pietro Crisologo, Discorsi 30.

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dalla quale ci chiede di rimetterci generosamente in cammino, per essere testimoni affidabili di un modo nuovo di essere uomini e donne all’altezza della loro vocazione di umanità. Un teologo non solo contemporaneo in senso cronologico, ma contemporaneo per le sue intuizioni, spiega ed esorta: « Di fronte al male si reagisce con la mi-steriosa attitudine del soggetto a lasciarsi coin-volgere dall’altro provando in sé compassione e simpatia nel momento stesso in cui si supera l’abisso che lo separa dall’altro »4. Potremmo riassumere l’esigenza propria del Vangelo per il nostro cammino di discepoli e di Chiesa co-me una sfida irrinunciabile e urgente in questi termini: siamo chiamati a coltivare una santità a livello della nostra umanità. Con una parola ancora più semplice: non si può essere santi senza essere sani e la santità non può che essere vissuta e testimoniata come sanità profonda. Per questo deve essere capace di integrare le varie dimensioni e i livelli della nostra personalità fino a essere in grado di incontrare e lasciarsi coinvolgere dal cammino dell’altro.

Non è certo un caso che alla fine del vangelo di Marco – in realtà si tratta di un’aggiunta –, leggiamo così: « Risorto al mattino, il primo gior-no dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva cacciato sette

4 Ch. Theobald, Trasmettere un vangelo di libertà, EDB, Bologna 2010, p. 32.

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demòni » (Mc 16,9). Gli esegeti si sono interro-gati per capire da dove venga questo testo, so-prattutto per comprendere da dove nasca la ne-cessità di aggiungere una seconda conclusione. Sintetizzando le posizioni esegetiche si potrebbe dire che vi è la necessità di evitare la finale così brusca e un po’ inquietante circa l’attitudine del-le donne che « fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento… » (Mc 16,8). Inoltre si sottolinea come l’esperienza della risurrezione sia vissuta per prima proprio da Maria di Màgda-la, che ha sperimentato, per via di questi « sette demòni » da cui è stata liberata, la cura terapeu-tica di Gesù in modo particolarmente intenso. Colei che è stata più guarita da Gesù è colei che può e deve testimoniare di più il Risorto, tanto da essere la « prima » (Mc 16,9) alla quale Gesù si fa vedere ed è lei che « andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e pianto » (Mc 16,10). Una Chiesa che vuole essere soggetto affidabile di evangelizzazione, deve essere prima di tutto oggetto sensibile di una misericordia che guarisce, attraverso una compassione ricevuta che trasfigura l’umanità e la rende diafana a quella forza divina che abita il cuore di ogni uomo e di ogni donna.

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UMANESIMO PLURALE E INTEGRALE

servire

Siamo ora al terzo passo di questo cam-mino di guarigione della nostra umanità spesso ferita e malata. L’evangelista Mat-

teo ci fa fare un piccolo spostamento logistico che, in realtà, è un ulteriore passo nel cammino di crescita in umanità: dalla strada ci spostia-mo all’interno. Per dire questo e invitarci a un progresso interiore troviamo una nota apparen-temente banale, ma che ha tutto il suo peso di significato: « Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la feb-bre » (Mt 8,14). Dall’esterno passiamo all’in-terno e ci ritroviamo nientemeno che nella casa di Pietro. Tutti sappiamo che cosa rappresenta la casa di Pietro: essa è un rimando alla Chie-sa. La prima cosa che dobbiamo notare è che la casa di Pietro non è il primo luogo in cui il Signore compie i suoi gesti di guarigione, ma arriva in un terzo momento di questa cascata di gesti che rigenerano la vita e dilatano i cammini di umanità, orientandoli verso una pienezza di

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esperienza e di condivisione. La casa di Pietro compare dopo l’incontro del Signore Gesù con il lebbroso e dopo quello con il centurione. Ac-cogliendo questa suggestione dell’Evangelista si potrebbe dire così: mentre noi mettiamo sem-pre la Chiesa al primo posto nei confronti del mondo che ci circonda, il Vangelo sembra parti-re dalla strada e solo dopo creare uno spazio di maggiore intimità, ma sempre, come vedremo fra poco, per far maturare un’apertura ancora più grande. Il Vangelo mette sempre l’umanità prima e la Chiesa dopo. Il primo gesto che Gesù compie è per un lebbroso, vale a dire: il primo gesto è per l’umanità intesa come realtà biso-gnosa di aiuto, malata, lebbrosa, che ha bisogno di essere salvata in una relazione vera e profon-da. Poi c’è il centurione che rappresenta il mon-do degli altri, il mondo che non c’entra con noi e con le nostre abitudini religiose e sociali e che pure rischia di superarci in qualità di umanità che viene rivelata e additata dal Signore come « fede ». Solo dopo arriva la casa di Pietro… so-lo dopo arriva la Chiesa.

Attraverso questo gesto così puntuale com-piuto nella casa di Pietro, l’evangelista Matteo ci parla, ci dice che cos’è la Chiesa e cosa la Chiesa è chiamata a essere al cuore dell’umanità in cammino verso il Regno: « Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva » (Mt 8,15). Il « segno » di guarigione nei confronti della suocera di Pietro avviene « in casa » e si

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rivela come un’intimità che non si ripiega, ma si dilata poiché: « Venuta la sera gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati » (Mt 8,16). È come se proprio la figura della « suocera » rappresen-tasse una sorta di passaggio necessario per una dilatazione ulteriore del ministero del Signore. Questi con le sue parole e i suoi gesti, apre a un umanesimo integrale che si rivela, in modo del tutto naturale, al plurale, tanto che da « molti » si arriva al « tutti ».

Il termine « suocera » rimanda a una « fi-gura » complessa, che ad esempio ricorre nel rotolo di Rut per ben dieci volte, mentre in tutta la Bibbia ricorre solo diciannove volte. Il legame tra suocera e nuora è già presente nei profeti (cfr. Mi 7,6) per indicare le divisioni più profonde che possono toccare e dilaniare la vita di un nucleo umano e viene ripreso negli stessi Vangeli (cfr. Mt 10,35; Lc 12,53). Questa figura viene posta nel cuore stesso del mistero della Chiesa nascente e nella vita neo-nata del gruppo dei discepoli i quali, prima del Cenacolo, si ritrovano proprio e, forse non per caso, in casa della « suocera di Pietro » (cfr. Mt 8,14; Mc 1,30; Lc 4,38). La suocera di Pietro, per prima, inaugura – appena dopo la chiamata dei primi discepoli – il ministero proprio della diaconia espressa in quel « si alzò e lo serviva » (Mt 8,15). Un ministero forse ancora troppo sot-tostimato per la sua carica profetica e tipologica.

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UMANESIMO D’INTERIORITÀ E TRASCENDENZA

oltre

Abbiamo percorso un piccolo pezzo di strada in quel cammino di guarigione che fa del Vangelo il farmaco capace di

guarire le nostre ferite più profonde, tanto da farci recuperare la nostra umanità. L’umanità che siamo chiamati ad accogliere come dono e a costruire come compito è un luogo di auten-tica esperienza di creazione che si fa premessa necessaria della nostra stessa divinizzazione, nel senso di una piena riscoperta della nostra identità di figli di Dio che sta alla base della nostra esperienza di fraternità con tutti. Sceso dal monte delle Beatitudini, il Signore Gesù sembra mettere in pratica quello che ha ap-pena enunciato e annunciato come stile per vivere e convivere in un modo non solo nuovo, ma capace di dare speranza in ogni situazione, persino in quelle in cui la costrizione, la neces-sità, l’umiliazione sono più forti. Un lebbroso, un centurione, una donna che ritrova la sua

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capacità di servire come dimensione della sua identità all’interno di una casa. Quest’ultima figura diventa simbolo della Chiesa come luo-go intimo di guarigione che non si rinchiude in forme di intimismo, ma diventa uno spazio di salvezza aperto e augurabile per tutti. L’e-vangelista Matteo, a questo punto, è come se si rendesse conto della necessità di una piccola pausa di chiarimento che sembra spostare la telecamera dalla folla di poveri e di sofferenti, che si accalcano attorno al Signore Gesù in cerca di salvezza, per avvicinarsi a quanti si sentono o vorrebbero essere più prossimi al cammino di discepolanza.

Il racconto continua così: « Vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva » (Mt 8,18). Un po’ più in là, dopo l’in-termezzo della tempesta sul lago che rivela il turbamento che agita il cuore dei discepoli, tro-viamo così: « Giunto all’altra riva, nel paese dei Gadarèni… » (Mt 8,28). Il Signore Gesù si muo-ve da una sponda all’altra del lago e in questo modo si rivela come capace di andare sempre oltre per incontrare e lasciarsi incontrare da altre sofferenze, fino a lasciarsi interpellare e persino cambiare da altri linguaggi. Questo spostarsi di Gesù da una parte all’altra del mare di Tiberiade diventa simbolo di un dinamismo di trascen-denza che si concretizza esistenzialmente in un atteggiamento di apertura, che comporta l’acco-glienza della dinamica del provvisorio, e che non

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si sedentarizza neppure sugli allori dei successi spirituali e pastorali, ma è sempre in viaggio… in perenne navigazione. La trascendenza come atteggiamento di riconoscimento di una dimen-sione spirituale della propria struttura umana non si dà in modo utopico e misticheggiante, ma in modo incarnato e concreto, in una parola attraverso un movimento fisico verso altro da sé che rivela l’interiore apertura alla trascendenza in modo storico. La casa di Cafarnao, in cui il Signore Gesù stabilisce la sua dimora, non è che un punto di approdo per quella barca che è sem-pre in movimento da una sponda all’altra della storia incontrata nella vita vissuta delle persone.

Mentre Gesù si rende conto della « folla », che lo attornia e lo acclama, « ordinò di passare all’altra riva » (Mt 8,18). Quest’ordine del Signo-re di andare oltre, incontro ad altri e ad altro, sta al cuore del suo ministero e rappresenta una sfida di stile per la comunità dei discepoli di ogni tempo e di ogni luogo e, massimamente, per la Chiesa del nostro tempo. Matteo si fa in-terprete della nostra stessa tendenza a bloccare questo dinamismo volto all’andare « oltre », e lo fa mettendo in scena due domande poste l’una da « uno scriba » e l’altra da « un altro dei suoi discepoli ». Due risposte che il Cristo dà a due interlocutori senza nome che sembrano quasi impedire a Gesù di « passare all’altra riva ». È come quando qualcuno chiede qualcosa mentre si sta partendo o si sta uscendo di casa… è co-

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INDICE

Introduzione pag. 5

uManesiMo in ascolto » 11Compassione » 11

uManesiMo concreto » 25Meraviglia » 25

uManesiMo plurale e integrale » 36Servire » 36

uManesiMo D’interiorità e trascenDenza » 52Oltre » 52

priMo passo: uscire » 67Non c’è tempo da perdere » 67La sfida della libertà » 76

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seconDo passo: annunciare » 84La liberazione dal peccato » 84La bellezza di essere cercati » 94

 terzo passo: abitare » 110Accogliere il medico del corpo » 110Non temere lo sposo dell’anima » 121

 Quarto passo: eDucare » 133Poter gridare » 133Riprendere la parola » 138

 Quinto passo: trasFigurare » 145Conclusione » 145

 Bibliografia » 155

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Con Paoline ha pubblicato: Etty Hillesum: umanità radicata in Dio (2013), Saliamo a Ge-rusalemme. Itinerario quaresimale quotidiano (2014), Andiamo a Betlemme! Itinerario quo-tidiano per l’Avvento (2014) e con altri auto-ri, Felice di essere cristiano. Un anno con papa Francesco (2014).

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«Nuovo umanesimo non significa un modello monolitico. Umanesimo è – a ben considerarne la storia – un termine che si declina al plurale, e l’umanesimo nuovo in Cristo è un umanesimo sfaccettato e ricco di sfumature – prismatico… dove solo dall’insieme dei volti concreti, di bambini e anziani, di persone serene o sofferenti, di cittadini italiani e d’immigrati venuti da lontano, emerge la bellezza del volto di Gesù. L’accesso all’umano, difatti, si rinviene imparando a inscrivere nel volto di Cristo Gesù tutti i volti, perché egli ne racco-glie in unità i lineamenti come pure le cicatrici ».

(dalla traccia del Convegno di Firenze 2015)

« Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la miseri-cordia di Dio ».

(dalla bolla di indizione dell’Anno santo della Misericordia)

In copertina: Trento Longaretti, I miracoli di Gesù, 1998-99, Chiesa di San Zeno, Treviglio (BG).

Il Convegno della Chiesa italiana, a Firenze nel mese di novembre 2015, ha come tema: In Gesù Cristo un nuo-vo umanesimo, un invito a ritornare al Vangelo, affinché le parole, ma pure i gesti del Signore Gesù divengano il lievito del nostro essere uomini e donne in questo tempo. Anche il prossimo Anno santo straordinario della Misericordia, proclamato da papa Francesco, apre a un percorso impreziosito di tenerezza e perdono da dare e ricevere.

Per la preparazione a questi due importanti eventi ecclesiali l’Autore propone una rivisitazione dei « die-ci segni » (cfr. Mt 8-9) che il Signore Gesù compie subito dopo aver am-maestrato le folle e i discepoli con il Discorso della montagna.

Attraverso il metodo monastico della lectio divina, queste pagine ri-percorrono alcune parole chiave del prossimo Convegno della Chiesa Ita-liana a partire da uno di quei « die-ci gesti » che l’evangelista Matteo ci fa contemplare come la medicina che il Signore offre a quanti incontra sul suo cammino per riconquistare la propria integrità e aprirsi a una gioia ritrovata e sempre più condivisa.

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