Teresilla. Riconciliazione e carità - estratto libro - Paoline

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Chi era Teresilla? Una caparbia sostenitrice della possibilità di riscatto del genere umano, una instancabile credente nella misericordia di Dio, una persona capace di portare su di sé la sofferenza di quanti incontrava. http://www.paolinestore.it/shop/teresilla.html

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PAOLINE Editoriale Libri

© FIGLIE DI SAN PAOLO, 2006Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milanowww.paoline.it

[email protected] Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.

Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI)

Si ringrazia la Congregazione delle Serve di Maria Riparatrici per aver gentilmente messo a disposizione il materiale fotografico.

Prima edizione 2006Nuova edizione 2016

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NOTA DELL’AUTRICE

Chi era Teresilla?Una caparbia sostenitrice della possibilità di riscatto

del genere umano, una instancabile credente nella miseri-cordia di Dio, una persona capace di portare su di sé la sofferenza di quanti incontrava.

Era un’infermiera che si occupava di malati, detenuti, poveri e gente comune. Sicuramente era anche una suora sui generis.

Con estremo riserbo è stata amica di terroristi e familia-ri delle vittime, non smettendo mai di tessere tra loro la possibilità di una riconciliazione.

Quella che segue è una biografia senz’altro parziale di questa suora tenace che aveva trovato, nella Congregazio-ne delle Serve di Maria Riparatrici, il senso che ha guida-to la sua esistenza.

Della sua vita, in queste pagine, parlano alcuni dei suoi molti amici, e stralci dei suoi stessi scritti.

Molte testimonianze sono necessariamente rimaste fuo-ri, anche se importanti e significative. Alcuni fatti, soprat-tutto quelli che attingono agli scritti personali di Teresilla, sono raccontati, quando necessario, omettendo i nomi dei protagonisti. Anche senza citare direttamente le persone coinvolte, infatti, resta pur salvo il valore dei pensieri e dei gesti.

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LE ORIGINI

Quando le carte di Morucci furono posate sulla scriva-nia di Cossiga, l’allora presidente della Repubblica lesse il volume sulla ricostruzione del caso Moro e lo passò alle autorità competenti. Era il 13 marzo del 1990.

Solo un anno più tardi i giornalisti seppero che quel memoriale aveva raggiunto lo studio della più alta carica dello Stato attraverso una suora cocciuta vestita di nero. Da anni frequentava galere e galeotti. E da anni faceva la spola tra terroristi, politici, magistrati e familiari delle vit-time. Si chiamava Teresilla, ma per i titoli dei giornali di-venne « la suora dei misteri ».

Non le faceva piacere quella definizione. E la pubbli-cità le dava fastidio. « Non era neppure una definizione calzante », chiarisce Valerio Morucci, tra i fondatori della colonna romana delle Brigate Rosse e uno degli autori della strage di via Fani. « Misteri, attorno a lei, non ce n’e-rano. Il rapporto con noi brigatisti era molto chiaro. Era venuta a cercarci in carcere con una convinzione: che avessimo inferto delle ferite ai familiari delle vittime, al Paese, alla Democrazia Cristiana. E, dunque, dovevamo sanare quelle ferite e tentare una riconciliazione. Col tem-po si avviò un dialogo e la frequentazione si infittì. Ma sa-rebbe riduttivo e ingiusto circoscrivere la vita di suor Te-resilla a quel periodo e al rapporto con i terroristi. Fu certamente una parte importante della sua storia, ma la sua attività era molto più ampia ».

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Questo testo è un'anteprima del libro. Il numero delle pagine è limitato.

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Ai funerali erano in tanti: donne e uomini famosi e sco-nosciuti, ex detenuti, malati, barboni, politici. Gente sem-plice e uomini di cultura. Una folla immensa, che neppu-re i familiari sospettavano. Ciascuno vantava un suo rapporto speciale, e in qualche modo unico, con quella suora spigolosa e tenera, che aveva imparato a non tratte-nere il tempo per sé.

Verso il santuario andava di fretta, a precedere tutto il gruppo, come se il tempo non potesse aspettare. Quel-l’essere avanti agli altri le era stato fatale la notte tra il 22 e il 23 ottobre 2005, quando una macchina l’aveva inve-stita, al buio, lontana dal corteo, mentre attraversava la strada per mettersi sul marciapiede a pochi metri dal ca-valcavia del raccordo anulare.

Due chilometri la separavano dal Divino Amore e poi dalla messa delle cinque e ancora dall’incontro in piazza San Pietro con i suoi parenti venuti da Reggio Calabria per la beatificazione di un concittadino. Se non avesse da-to appuntamento ai suoi fratelli e cugini, l’avrebbero aspettata in ospedale o in carcere, dove andava sempre la domenica mattina dopo la notte passata a camminare e a pregare.

Al pellegrinaggio era assidua. Si presentava puntuale davanti al palazzo della Fao, all’Aventino, tutti i sabati, da quello subito dopo Pasqua all’ultimo di ottobre. E poi, dopo il raduno iniziale, si metteva in marcia con gli altri, per cinque ore, sostando davanti alle Fosse Ardeatine e all’ospedale Santa Lucia.

Camminava in silenzio, senza unirsi ai cori. La grossa corona del rosario sgranata piano, una candela da accen-dere all’arrivo davanti all’altare. Conosceva quasi tutti i suoi « compagni di viaggio » e quasi tutti conoscevano

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lei, anche se non si metteva mai in mostra, se non guida-va la marcia, se non prendeva il microfono per intonare la preghiera.

« Il pellegrinaggio del sabato sera », appunta la stessa Teresilla in uno dei suoi tanti quaderni, « è la preghiera nella notte fonda con le stelle e la luna che sembra che camminano con noi. Questa preghiera ci carica di una forza nuova e ci aiuta ad affrontare le inevitabili difficoltà che ogni giorno incontriamo (…). Ad ogni pellegrinaggio, per me chiedo la grazia di farmi santa, è la difficoltà più grande di una religiosa. Poi, vivendo nel sociale, porto con me ogni notte tutte le sofferenze fisiche e morali dei detenuti che in carcere pagano il loro debito con la so-cietà, le sofferenze fisiche cariche di solitudine dei malati che assisto quotidianamente e alla Madonna del Divino Amore affido gli uni e gli altri. Poi contando le stelle chie-do vocazioni per la mia congregazione ».

L’abitudine al pellegrinaggio aveva radici lontane, che affondavano nella Calabria della sua infanzia e che attin-gevano alla devozione alla Madonna di Polsi. Anche a quel santuario si arriva a piedi. Ore di cammino nel cuore dell’Aspromonte, in piena notte, per arrivare all’alba a inginocchiarsi ai piedi della Madonnina cara a calabresi e siciliani.

Un percorso che suor Teresilla conosceva bene per averlo fatto tante volte, quando ancora si chiamava Chia-ra e aveva i boccoli dorati lunghi sulle spalle. Con una ma-no alla coroncina e l’altra a stringere quella di sua madre Teodora, si incamminava fiduciosa in mezzo ai fedeli. Procedeva a passi veloci insieme agli altri, un po’ cantan-do le litanie popolari e un po’ pregando. E molto in silen-zio, per conto suo, a pensare a cosa avrebbe fatto dei suoi giorni a venire.

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Parlava poco dei suoi progetti, ancor meno da quando, a poco più di otto anni, era stata avviata a Maiori a fre-quentare le ultime classi della scuola elementare. Una zia di Salerno conosceva la Congregazione delle Serve di Maria Riparatrici e ne aveva parlato ai suoi parenti cala-bresi come di una opportunità per far studiare Caterina, Pina e Chiara. Le sue due sorelle maggiori erano partite prima di lei, ma poi avevano deciso di tornare a casa e ri-prendere la loro vita di sempre a Reggio Calabria. Chiara era rimasta a Maiori. Quel posto vicino Salerno le ricor-dava in parte il mare della sua Calabria e in parte le abi-tudini di Bagaladi, il paese materno dove era nata il 1° agosto del 1943. In piena guerra la famiglia Barillà era sfollata da Reggio e si era rifugiata in Aspromonte per tro-vare riparo dalle bombe e dalla fame. Era nata Chiara. Dopo qualche tempo i genitori con i loro cinque figli era-no ritornati in città. Ma quei primi anni, tra le asperità della montagna, avevano già cominciato a forgiare il ca-rattere della bambina: determinato e brusco, capace di lunghi silenzi e asperità come le rocce tra cui era nata.

« Giocava volentieri con noi », ricorda il fratello mag-giore Giovanni. « Ma non ci parlava mai molto di se stes-sa. Anche quando decise di farsi suora, ci comunicò la co-sa senza grandi discussioni ».

« Non si era confidata nemmeno con noi sorelle », di-cono Caterina e Pina. « A un certo punto disse semplice-mente che sarebbe andata a Roma a fare l’aspirante e poi, quando aveva sedici anni, ci comunicò che si spostava a Rovigo come novizia ».

La più felice per la sua scelta fu la madre, donna devota e accogliente. « Tutto il vicinato si rivolgeva a lei per l’occor-renza », racconta Caterina. « E lei c’era sempre. Nonostante

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dovesse badare a sei figli non si risparmiava se c’era qualcu-no da aiutare. Chiara era ammirata da nostra madre ».

È lei che firma le poche righe scritte a macchina che au-torizzano la figlia a entrare nell’istituto religioso come aspirante. E che la segue particolarmente – con i silenzi e la preghiera, ricordano i fratelli – fino al giorno dell’emis-sione dei voti, che avverrà a Rovigo il 21 ottobre 1966.

Un cammino di cui Chiara vorrebbe bruciare le tappe, e che, invece, si mostra da subito più arduo del previsto. Il suo temperamento, già a quei tempi fuori dagli schemi, le attira più di una critica. « Carattere buono, ma talvolta poco riflessiva e facilmente parla senza controllarsi, per cui è spesso ripresa », annotano le sue maestre di formazione.

« È una figliuola sempre triste », scriverà qualche anno più tardi la suora che la segue in classe. « Non sembra neppure contenta della sua vocazione che invece dice di non voler abbandonare a nessun costo. Vorrebbe far be-ne, ma dice che non le riesce. Prega poco. Non apre qua-si mai bocca durante le preghiere comuni. Parla poco, non si apre e per me rimane un caso difficile ».

« Non si umilia abbastanza », è il giudizio ricorrente di quei primi semestri. Eppure, proprio in quegli anni, suor Maria Teresilla del Bambin Gesù comincia a scegliere per sé i posti più scomodi, i lavori meno gratificanti.

Prega spesso davanti al quadro della Madonna Addolo-rata, custodito a Rovigo. Sa bene che per la sua Congre-gazione, fondata a Vidor, in provincia di Treviso, il 12 lu-glio 1900 da madre Elisa Andreoli, quell’immagine ha un significato speciale. Proprio legandosi alla devozione per l’Addolorata, infatti, le suore avevano deciso, dopo esse-re già state aggregate all’Ordine dei Servi di Maria accet-tando la regola di Sant’Agostino, di assumere, nel 1913,

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anche il carisma della riparazione. Da quel momento le suore, con questo spirito, si erano dedicate con particola-re impegno al servizio agli ultimi, stando accanto a orfani, malati e anziani e curando l’educazione dei bambini.

Teresilla riflette molto sul significato della riparazione già dai primi anni del suo noviziato. Chiedendosi cosa possa significare questo nella sua vita personale e per le esistenze di quanti le sono intorno. Pensieri che restano ancora relegati a qualche appunto preso sui suoi quader-ni durante gli esercizi spirituali o a qualche rada discus-sione con le compagne di noviziato.

Più tardi, quando arriva nella comunità di Colle Val d’Elsa, vicino Siena, le affidano il servizio della cucina. Si alza presto per mettersi a preparare minestre e a sbuccia-re patate. Il pavimento della cucina è tappezzato di fogli di giornali. Così, mentre agita il mestolo, può leggere i ti-toli e le notizie più importanti. Sfoglia i quotidiani tra una padella e l’altra, mentre cerca di uniformarsi a ciò che le superiore si aspettano da lei. Non protesta, non di-subbidisce.

L’unica cosa che non le va giù è quel nome – Teresilla – che lei avrebbe voluto cambiare in Teresa. « Suor Maria Teresilla », scrive nell’agosto del 1963 alla priora genera-le, « desidera cambiare il nome con quello di suor Maria Teresa. Il grande amore che io nutro per la piccola santa Teresa mi spinge a fare questa domanda. Espressi anco-ra questo desiderio ma non fu accettato, poiché questo nome era portato molto degnamente dalla nostra cara e santa madre Teresa. Ora che è libero, ho osato farne ri-chiesta ».

Ma anche questa volta la sua domanda viene respinta. Alcuni dei suoi amici raccontano che le avevano detto: « Teresa non ti ci puoi chiamare perché sei una peste ». Anche se continua a rimuginare sul suo nome, non ne

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parla quasi più. E, come spesso faceva quando un’aspira-zione andava delusa, concentra le sue energie su altro. Sullo studio, innanzi tutto.

Aveva cominciato da autodidatta. Con le suore aveva completato le scuole dell’obbligo, e aveva conseguito l’a-bilitazione magistrale, ma poi si era dedicata completa-mente ai servizi che le avevano assegnato in comunità. Nel tempo che le rimaneva a disposizione leggeva tutto quello che aveva a portata di mano.

È in cucina il giorno in cui la priora la informa che han-no deciso di affidare all’esterno il servizio della mensa.

« Adesso avrai più ore a disposizione e, se vuoi, puoi studiare », le dice, senza insistere troppo. Teresilla ci pen-sa, attirata e intimorita al tempo stesso. Poi, com’era soli-ta fare, comunica fulminea la sua decisione: « Farò l’in-fermiera ».

Nel giro di poche settimane fa le valigie. Non ha molto da traslocare: quasi niente vestiario, quasi niente oggetti personali, pochi libri e una Bibbia.

Arriva nella capitale nel 1972, mentre è in preparazione l’appuntamento ecclesiale che sarà ricordato come « Il convegno sui mali di Roma ». L’impatto con la città è im-mediato. Bastano pochi giorni alla giovane suora per ca-pire di essere capitata nel posto giusto per la sua missione. Vive con entusiasmo il clima di cambiamento che si respi-ra in quegli anni. E si dà subito da fare per inserirsi al me-glio nell’impegno sociale. Chiede e ottiene di poter fre-quentare da volontaria le carceri della città.

Già in quei primi mesi diventa assidua frequentatrice di Regina Coeli. Sale spesso quei famosi tre scalini « chi non sale i quali non è romano veramente », come recita un vecchio adagio popolare.

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Lei invece diventa romana subito, negli atteggiamenti e nel cuore. Della capitale prende anche l’accento. E da « romana » a tutti gli effetti partecipa nel 1974 al conve-gno ecclesiale La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di giustizia e di carità nella diocesi di Roma, che se-gnerà così fortemente l’impegno della Chiesa negli anni futuri. In quei giorni ascolta per la prima volta don Luigi Di Liegro, direttore della Caritas di Roma. Basta uno sguardo a Teresilla per intuire che farà molta strada insie-me con quell’uomo mite così appassionato dei poveri.

Non si incontrano ancora direttamente, ma l’amicizia è già nell’aria. L’occasione per parlarsi verrà più avanti, nel novembre del 1980.

« Il giorno che ho incontrato per la prima volta don Luigi », appunta in uno dei suoi quaderni, « è stato in un giorno di pioggia, un giorno che ha segnato la mia vita. Erano i giorni della ricostruzione del grande terremoto dell’Irpinia. Chiesi alla Caritas dove potevo andare a dare un po’ del mio tempo per la ricostruzione, ma in partico-lare per rasserenare un po’ le persone dando la mia di-sponibilità. L’avevo sentito più volte, mi aveva colpito la sua immagine accanto al cardinale Poletti il giorno della strage di via Fani, il 16 marzo 1978. Il suo discorso sui mali di Roma al famoso convegno ecclesiale segnò vera-mente la mia vita ».

Intanto si era iscritta alla scuola infermieri del Gemelli. Ma in quell’ambiente non si trovava a suo agio. Finché le incomprensioni erano divenute insanabili e aveva deciso di ritirarsi. Non aveva abbandonato, però, la sua idea di fare l’infermiera. Quasi immediatamente si era iscritta di nuovo per il diploma. Il corso è quello dell’ospedale San Giovanni-Addolorata, dove conclude gli studi nel 1979. L’anno dopo viene assunta in quella stessa struttura e prende servizio in chirurgia.

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INDICE

Prefazione pag. 7

Nota dell’autrice » 11

I Le origini » 13

II Infermiera a tempo pieno » 21

III Pianosa e dintorni » 27

IV Cercando riconciliazione » 39

V La soluzione impossibile » 75

VI La sesta opera » 97

EpilogoTeresilla, la carità che germoglia » 119

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« Io credo che suor Teresilla fosse davvero “una ca-parbia sostenitrice della possibilità di riscatto del genere umano”, e che avesse una profonda fiducia negli uomini, nella loro capacità di capire dagli errori, anche dai più tragici, e di cambiare. Non è un caso che i suoi rapporti con i terroristi nacquero tutti in carcere, perché è lì – oltre che nelle corsie di ospedale, al San Giovanni – che suor Teresilla da sempre aveva speso se stessa per gli altri, e in particolare per gli ultimi, per gli sconfitti dalla vita che però la vita avevano ancora l’opportunità di riprendersela, se solo avessero avuto un sostegno, un aiuto, un conforto ».

Dalla Prefazione di Walter Veltroni92

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ISBN 978-88-315-4781-9