Il codice di Tarso - estratto - Paoline

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MARCO GARZONIO IL CODICE DI TARSO Romanzo www.paoline.it

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Romanzo storico. Un modo originale di presentare la figura di san Paolo al vasto pubblico sensibile al genere letterario “Codici… manoscritti”.

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« SE OGNUNO DI NOI FA LA SUA PARTE,

TUTTI CE LA CAVIAMO E CRESCIAMO.

LA CADUTA DI UNO SOLO, INVECE,

PUÒ AVERE RIPERCUSSIONI DEVASTANTI

PER L’INTERA COMUNITÀ UMANA.

IL CODICE DI TARSO È UN ESEMPIO

CHE SI PUÒ CONTINUARE A SPERARE,

NEL NOSTRO PICCOLO.

E ALLORA AVREMO LA FORZA

DI PENSARE IN GRANDE.

DI SOGNARE!

TUTTI QUELLI CHE SI RECANO IN TERRA SANTA

DOVREBBERO ESSERE SPINTI

A CERCARE IL LORO CODICE, CARA RUTH! »

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In copertina: foto di Tor-Sven Berge.

MARCO GARZONIO, psi-coanalista e psicoterapeuta, collabora al Corriere della Se ra, dove ha lavorato per anni come giornalista. È do-cente di psicologia del sogno alla Scuola di Psicoterapia del Centro Italiano di Psico-

logia Analitica (CIPA) e coordinatore scientifi-co del corso di perfezionamento del l’Associa-zione per la Sandplay Therapy (AISPT). Insegna anche allo IULM presso il corso di laurea in co-municazione e gestione nei mercati dell’arte e della cultura. È autore di numerosi volumi, tradotti anche all’estero, tra cui i più recenti sono: Il Cardinale. Il valore per la Chiesa e per il mondo dell’episcopato di Carlo Maria Marti-ni (Mondadori, 2002); Le donne, Gesù, il cam-biamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei Vangeli (La biblioteca di Vivarium, 2005); La vita come amicizia (San Paolo, 2007). Con Paoline Editoriale Libri ha pubblicato: Lazzaro. L’amicizia nella Bibbia (1994).

D 19,00

« Cose preziose, cose antiche, sa? Prego, guardi... Qui dentro è padrone. E troverà ». In effetti, girando tra gli scaffali della bottega di un antiquario arabo alla ricerca di un sou-venir « di qualità » da Gerusalemme, qual cosa Giovanni Picapedra aveva trovato. Qualcosa di attraente e inquietante al tempo stesso: un antico codice con due epistole di san Paolo sinora sconosciute. Da quel momento Gio-vanni non ha più pace. Perché tanto interesse per un manoscritto da parte di un medico di cinquantasei anni ormai affermato? Che cosa cerca tra le parole di san Paolo?

Il viaggio nei Luoghi Santi si rivela per Gio vanni un’esplorazione dei luoghi della sua anima, abitati da speranze disilluse, ma anche dal desiderio di rispondere al male con il be-ne, proprio come esortava san Paolo.

Lo stimolante incontro con Ruth, la guida ebrea, il diverbio con l’ingegner Fedrigoni sui fondamentalisti che mettono in scena il battesimo nel Giordano, i discorsi con padre Holger, « un prete con cui si può parlare », l’interazione con gli altri compagni di viag-gio, la presenza misteriosa dello Sconosciuto (Satana in persona o una parte oscura del protagonista?) suscitano in Giovanni dubbi, timori, interrogativi, che prendono la forma di un lungo incubo da cui egli si sveglia con una certezza: quel codice è per lui ragione di vita o di morte, è la condizione per un cam-biamento interiore. Di nascosto da tutti, lo acquista e riesce a portarlo fuori da Israele.

Le due epistole – la Prima lettera ai Mila-nesi e la Seconda lettera ai Romani, riportate in appendice – sono « apocrifi » finalmente ritrovati dopo una sofferta ricerca umana e spirituale, testimonianza di un san Paolo che « è qui, oggi, tra noi », come dice Pasolini.

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Marco Garzonio

Il Codicedi Tarso

Romanzo

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I

Il tesoro è oltre il ponte

« Le cose veramente grandi possono fare grandi anche piccoli uomini che le discutono tra loro ».

Agostino d’Ippona, Contra Academicos I,2,6

« No stamp, please ». Glielo avevano tanto raccoman-dato di non lasciarsi timbrare il passaporto. La giovane poliziotta lo fissò, gli occhi verdi, grandi, brillanti, in-quisitori. « Giovanni Pi-cà-pe-dra? ». « Sì, Picapèdra. Sono io ». Era imbarazzato. Voleva dire a quella ragazza che per lui sarebbe stato indifferente avere o meno il segno del suo ingresso in Israele. « Guarda che con quel timbro, però, non ti lasciano più entrare nei Paesi arabi. Devi rifare tutto », era stato l’avvertimento di Ferrari, il collega al quale aveva confidato il viaggio in Terra Santa. La poliziotta gli restituì il passaporto vergine. Con lieve, altero cenno del capo aveva già invitato l’altro turista in coda dietro Giovanni ad avanzare e a sbrigarsi nell’esibire i documenti.

Fuori dall’aeroporto di Tel Aviv aspettavano i funzio-nari dell’agenzia. Con discrezione, un giovanotto dalla pelle bruna chiese a ciascuno il nome, che andò a spun-tare man mano su un elenco. Giovanni avvertì un’aria

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tiepida, umida, di mare. Respirò profondamente, con gusto. Fin da bambino la salsedine era una sensazione di piacere e di stacco dalla città. « A posto. Ci son tutti. Sì, anche i bagagli sono stati caricati », disse il giovanotto alla guida e all’autista. Ancora qualche convenevole e il pullman partì. Prese la strada che portava al Nord del Paese, in Galilea.

La guida si presentò. « Mi chiamo Ruth Friedenthal. Faccio questo mestiere da anni. Sono arrivata in Israele bambina, dal Sud America. Lì la mia famiglia si era ri-fugiata per sottrarsi alle persecuzioni razziali. Abbiamo beneficiato della legge del ritorno. Sapete cos’è? Sì? No? Beh, è la legge che dà diritto a ogni ebreo di stabilirsi in Israele per il solo fatto di essere ebreo. Non importa sia praticante. Avremo occasione di parlarne. Mi sono lau-reata in storia dell’arte a Gerusalemme. Avrei avuto belle prospettive come ricercatrice e insegnante, ma ho scelto di non proseguire nell’accademia. Mi sono sposata gio-vane. Ho un marito – è uno scienziato, un fisico – e due figli grandi. Il mio lavoro mi piace. Amo illustrare i tesori di questa terra, farla apprezzare nella sua straordinaria unicità. Appunto a nome del mio Paese vi do il benvenuto in Israele: Shalom, che equivale un po’ al vostro “ciao”, ma in realtà vuole dire “pace”. Sì, proprio: pace. Sentirete dire la stessa cosa in arabo, Salam. Questo vi annuncia che siete nella culla delle tre religioni monoteiste. Ebraismo, cristianesimo, islam vivono qui. Lungo il viaggio avrò modo di darvi notizie su questa realtà che dal 1948 è lo Stato d’Israele ».

Le ultime parole di Ruth giunsero all’orecchio di Giovanni come provenissero da molto lontano, sulla scia

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d’un’eco. La testa gli si piegava sul petto. Le palpebre si fecero pesanti. Cercò di sollevare il capo, che però gli ricadde in avanti. Stese le braccia, scivolando leggermente sul sedile. Il movimento del pullman cullava quel corpo stanco e abbandonato.

Mi recavo a un incontro. Il Professore mi aveva dato appuntamento a mezzogiorno. Ci tenevo a vederlo. Glielo avevo chiesto io. Non ricordo se per la competenza che aveva nella professione o per l’autorevolezza morale che gli veniva riconosciuta. D’improvviso il taxi sbanda: ha un testacoda. L’auto gira più volte su se stessa. Il mondo attorno ruota. Mi spavento. Ho paura. Sto per urlare, ma il conducente riesce a riportare il mezzo in carreggiata. Sol-levato, commento: « Ci è andata bene! ». Il tassista guarda attraverso lo specchietto retrovisore e sorride. Ha un’aria d’intesa che mi lascia di stucco. Dice: « Il tesoro è di là dal fiume, oltre il ponte ».

« Tutto bene? Ha bisogno di qualcosa? », Giovanni si sentì chiedere dalla guida che si era chinata su di lui.

« Grazie. È tutto ok. Mi ero appisolato ».« Certo, un viaggio lungo da Milano. Per ogni neces-

sità, comunque, sono qui ».Giovanni annuì e sorrise, non senza disagio. Era sor-

preso e stralunato. Si sforzava di fissare i particolari del sogno: l’emozione del testacoda; la mancanza di punti di riferimento; la paura che tutto finisse all’improvviso, con un botto. Forse era stata quest’ansia a procurargli il sussulto che aveva richiamato Ruth. E che lo aveva fatto svegliare, con un gemito soffocato.

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Guardò fuori dal finestrino. Aveva nell’orecchio l’eco dell’espressione « oltre il ponte ». Vide scorrere colline, ulivi, campi di terra rossa, pietre, case coloniche, greggi, banani, palme. E fiori. “Che tinte, che violenza di colori”, mormorò tra sé Giovanni. Cascate di buganvillee viola-cee scendevano rigogliose dai muri delle abitazioni e dei recinti. Cespugli di campanule arancioni si levavano alti. Distese di girasoli chiazzavano l’orizzonte.

Nel pullman era sceso il silenzio. Qualcuno dormiva. Altri leggevano. O guardavano di qua e di là della strada. Una signora bisbigliava. Giovanni si incuriosì. Vide il mo-vimento delle mani in grembo. La donna stava recitando il rosario. “Arriveremo finalmente!”, Giovanni disse tra sé con impazienza. E cercò di assestarsi nel sedile che sentiva andargli un po’ stretto.

Era l’imbrunire quando la comitiva giunse a desti-nazione. Una doccia veloce prima di cena e Giovanni telefonò alla moglie.

« Sei contento, allora, di avermi lasciata a Milano e di essere lì da solo », gli fece lei. C’era ironia, oltre a una dose di risentimento nella sua voce.

« Beh, ma anche a te, alla fine, andava bene di non avermi per casa ».

« Certo, con quell’umore che ti ritrovi di questi tempi ».

« Che vuol dire? Ho solo bisogno di staccare. Lo sai anche tu ».

« Certo. Per quando torni ti voglio come nuovo, però. Hai capito? »

Appariva insolito, Giovanni. Era stato abituato a pas-sare oltre le cose, a tirar diritto con spavalderia. E non

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si risparmiava una certa insolenza, quando qualcuno si frapponeva ai suoi obiettivi. Era come se nulla potesse scalfirlo. La professione lo aveva abituato ad assumere decisioni rapide, spesso immediate, sempre risolute. Da un po’ di tempo, invece, si era scoperto vulnerabile, esposto a cadute di tono cui seguivano riprese veementi quasi rabbiose. Delusioni recenti avevano contribuito ad acuire alcuni tratti del carattere e, insieme, a mettere in dubbio le certezze che amici e colleghi gli riconoscevano. Lo irritava l’insicurezza di cui incominciava a sentirsi vittima. Non gli bastava cogliere che il malessere era naturale in un uomo di solide ambizioni e di notevole successo, che però stentava ad abituarsi al mutamento di clima. « La situazione è vischiosa. Siamo nella mucillagi-ne », gli faceva notare Ferrari, l’amico e collega che, per il suo realismo, lui spesso utilizzava come sparring part-ner dialettico. « Allora prendiamo il largo. E ne veniamo fuori », era la risposta di Giovanni. « Da chi andiamo? E dove? Guardati in giro. È una fatica di Sisifo ». « Ci vuole immaginazione e fantasia », tagliava corto lui. Ma era il primo a sapere che quella replica era solo un modo per chiudere un discorso imbarazzante. Non aveva le idee chiare, ma mai lo avrebbe ammesso. Negli ultimi tempi la baldanza era minata da tentennamenti. Lui s’arrabbiava e aveva timore.

Con la paura di non farcela Giovanni non s’era abi-tuato a misurarsi. Anzi, d’acchito diceva di non averla mai incontrata veramente. Per cui adesso, quando ne intrave-deva anche solo l’ombra, diventava guardingo nei modi e aggressivo nei toni, come se l’interlocutore, a casa o in studio, con amici o colleghi, mettesse in discussione non

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solo le sue competenze, ma anche l’onestà intellettuale con cui egli era convinto di muoversi.

A riprova, era accaduto di recente che gli avessero chiesto aiuto per un progetto di assistenza umanitaria. Lui vi si era lasciato trasportare da uno slancio inusitato. « Non ti conosco più. Meglio: ritrovo il Giovanni degli inizi », gli aveva detto Laura, la moglie, mesi avanti ve-dendo come si buttava nell’iniziativa che presto, però, lo avrebbe deluso acuendo la sua reattività.

« Guarda che stamane si son fatti vivi dall’Associazio-ne di assistenza, solidarietà e cura », gli comunicò Laura andando a toccare il punto dolente.

« Li hai mandati al diavolo? »« A quello ci hai già pensato tu, mi pare », rispose

Laura. Una battuta che provocò fastidio in Giovanni. Gli evocava lo scenario confuso che lo agitava negli ultimi tempi, un groviglio di cui stentava a trovare il bandolo. Aveva intrapreso il viaggio in Israele anche per capirci qualcosa e far luce dentro di sé.

In effetti, uno dei motivi del disagio ultimo stava nelle contraddizioni che vedeva nel progetto dell’As-sociazione. Gli pareva che fosse giunto il momento di mettere in chiaro il perché si andasse ad aiutare gli immigrati e di porre dei paletti nei confronti delle au-torità. Dopo gli entusiasmi iniziali che sembravano aver attivato in lui slanci di tempi lontani – i primissimi anni Settanta – erano intervenuti i dubbi. Giovanni si era trovato a contestare l’atteggiamento dell’Associazione. « Perché dobbiamo supplire alle carenze e agli egoismi delle istituzioni pubbliche? », aveva obiettato al diret-tore. E, alla risposta: « Perché tocca a noi praticare la

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carità, che, come dice san Paolo, ha un cuore grande e agisce con benevolenza », Giovanni era sbottato: « Eh, no, caro monsignore. Non è in discussione l’amore per gli ultimi, i diseredati, le vittime delle ingiustizie, ma il modo di concepire oggi questo servizio ». L’altro aveva abbozzato che si trattava di una scelta nazionale degli organismi ecclesiastici. Al che Giovanni aveva alzato il tiro: « Se turiamo le falle d’una politica priva di ideali, se non denunciamo la strumentalizzazione che vien fatta della generosità dei cristiani, siamo sciocchi e tradiamo pure lo spirito del Vangelo ». « Ma la Chiesa non fa poli-tica! », era stata la replica dura, seccata. « La fate quando accettate un ruolo di supplenza e non evidenziate che manca la visione di bene comune. Vi rendete conto che, tacendo, trasformate schiere di buoni samaritani in un esercito di assistenti sociali di complemento? ». « Cosa dice? ». « Che offrite l’immagine di una Chiesa omologa-ta al sistema, presa dall’organizzazione e preoccupata di non turbare gli equilibri istituzionali. Mentre la Chiesa è una realtà spirituale e ha un ruolo profetico! La gente si aspetta che i cristiani siano testimoni credibili, non solo gestori di servizi ».

L’evocazione di quel contrasto provocò in Giovanni un lungo respiro. « Gli ho detto quello che si meritavano: lo sai anche tu », fu la sua risposta alla moglie. Il tono risentito copriva le perplessità che a lui stesso erano ve-nute dopo la baruffa. “Per il modo, non per la sostanza”, si era detto come autodifesa quando aveva ripensato all’accaduto. E a poco erano valsi i richiami di Ferrari a un più saggio pragmatismo. « Vuoi riscattare le delusioni della professione dedicandoti all’aiuto dei poveri? Fallo.

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I condizionamenti ci saranno sempre. La dialettica tra spirituale e temporale è il paradosso della Chiesa sin dalle origini ». « Ma se non stai attento, ti rendi complice della confusione collettiva, fai il gioco di chi continua a colti-vare i suoi interessi e di quelli che puntano a mantenere le cose come stanno », aveva contrattaccato Giovanni. L’altro, ironico e spazientito, si era divertito a rievocargli: « Non fare il don Chisciotte all’età che hai! Ricordati di quando pensavano di buttarti fuori dalla FUCI ». E Gio-vanni, alterato: « Che c’entra? A parte il fatto che allora stavo in buona e numerosa compagnia nel sostenere il no all’abrogazione del divorzio ». « Se però non ti salvava don Giorgio… ». « Macché, capirono che non gli conve-niva tirar troppo la corda. Ferrari, non possiamo imporre la nostra visione a chi non la pensa come noi: allora e adesso. Questa è la nostra Costituzione! Lo capisci? ». « Oggi, forse, puoi parlare così, alla luce dell’esperienza, ma allora… ». « No, lo stesso papa era diviso a quei tempi. Intimamente lacerato. Lo sai anche tu. Col cuore Pao -lo VI stava con i vecchi amici della FUCI, proprio gli stessi che avevano contribuito in modo determinante a stabi-lire i principi della Carta costituzionale. Poi, nell’azione pastorale finiva per sostenere la DC e la destra neofascista che ci portarono al referendum e allo scontro politico. Ne paghiamo ancora le conseguenze ».

Laura assunse un tono maternamente ammonitore. « Però loro, quelli dell’Associazione, hanno compiuto il primo passo, sono tornati a farsi vivi. Col viaggio avrai il tempo per pensarci. I Luoghi Santi ti aiuteranno. A proposito, oggi ha telefonato anche la signora Robotti. Chiedeva un appuntamento ».

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« Ma son via… »« Gliel’ho detto, figurati se non gliel’ho detto. Soltan-

to che quando ha sentito che eri partito per la Terra Santa se n’è uscita in un urletto di gioia: “Sto meglio, sto meglio, signora Picapedra, non glielo dica neanche quando lo sente. Sarà per quando torna”. Hai capito? »

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II

Una città matrigna

Tutto cominciò quasi per gioco, in un kibbutz sul lago di Tiberiade. Avevano concluso la prima parte del viaggio, che li avrebbe portati a Gerusalemme: la meta. Giovanni si era sistemato con una chaise-longue sul prato che declinava dall’hotel verso la spiaggia in ghiaietto, chiusa dal picco-lo molo di legno. Un ombrellone bianco lo riparava dal sole abbastanza alto sopra la valle di Genezareth. I raggi radenti esaltavano i colori del grano, delle piantagioni di banane, degli agrumeti, dei campi di foraggio e di cotone che rendevano i pendii e la piana lussureggianti. « Questi ebrei sono incredibili! ». Giovanni pronunciò queste pa-role a mezza voce. Se in quel momento qualcuno gli fosse stato vicino avrebbe potuto udirlo e rimanere sorpreso dallo stupore quasi infantile con cui rimarcava le sue consi-derazioni. “Sono rimasti gli ultimi a credere nel socialismo e a praticarlo”, si disse. Stentava a capacitarsi che centinaia di uomini e di donne fossero giunti dall’Europa Centrale e dai Paesi dell’Est, dall’Iraq e dall’Africa, dall’America Latina e dagli Stati Uniti con l’unico obiettivo di coltivare la terra organizzati in un sistema d’impronta collettivistica. E che continuassero a farlo, nonostante avessero aggiun-to alle attività agricole un’iniziativa industriale ad alta

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tecnologia e una struttura alberghiera, che era quella che ospitava il gruppo. “Un regime da annuncio messianico, ma di tipo comunista: non giriamo intorno alle parole. Questa terra ha davvero un potere d’attrazione speciale”, aggiunse. Pensava, infatti, all’ideologia del kibbutz che la guida aveva illustrato mentre il pullman scendeva lungo gli ampi tornanti della strada che dal monte delle Beatitudini va verso il lago. E rinumerava mentalmente i pilastri del credo che aveva guidato quei pionieri: spartizione dei beni; uguaglianza di diritti e di doveri tra i membri; lavoro col-lettivo senza ricompensa in denaro in quanto la comunità provvede il necessario a ciascun membro.

« Son salito al monte Rosa / dov’è nato Gesù Cristo / che fu il primo socialisto / e morì per la libertà », Giovan-ni si era sorpreso a canticchiare sottovoce quando Ruth ebbe finito di illustrare cos’era il kibbutz che li avrebbe ospitati. E aveva provocato un sorriso a denti stretti nel compagno di viaggio seduto accanto a lui. « Sa, era uno dei canti anarchico-libertari rispolverato e adattato ai tempi del liceo. Roba da radicali, un po’ sessantottina », cercò di giustificarsi. Ma la spiegazione non aveva am-morbidito i muscoli facciali del vicino. Il quale, anzi, nel tentativo di dissimulare l’evidente giudizio d’inopportu-nità circa l’uscita di Giovanni, sentenziò: « Lo so, lo so: in quegli anni ne sono state dette e fatte tante di strava-ganze ». Aggiungendo: « Chiamiamole così », per nulla preoccupato di aumentare l’irritazione nell’interlocutore imbarazzato già di suo.

Ruth arrivò con un cestino pieno di frutta. Intendeva anche lei sistemarsi su una sedia a sdraio. Vide Giovanni solo e pensoso.

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« Ne vuole? », gli chiese.Lui se ne servì con abbondanza, giustificandosi: « La

frutta fa bene. Oltretutto a me piace molto ».E Ruth: « Non la disturbo, allora, se mi siedo anch’io

qui accanto. Così potrà attingere di nuovo ». Mentre parlava trascinò di pochi metri la chaise-longue vicino a quella di Giovanni e inclinò l’asta dell’ombrellone che anche lei s’era procurata.

Quando si fu accomodata fu Ruth ad avviare la con-versazione:

« L’ho vista un po’ appartata rispetto agli altri del gruppo ».

« È vero. Non conoscevo nessuno di loro prima di partire ».

« Non gravita attorno all’organizzazione che fa queste iniziative? »

« No. Sono capitato qui per caso ».« In Israele si viene sempre perché v’è una ragione

che ci porta ».« Forse vale per chi è credente ».« Lei non lo è? »« Beh, sì, sono cattolico. Anche se un po’ a modo

mio ».« Siamo tutti un po’ a modo nostro nelle appartenen-

ze. Il problema è dove si vuole che cada l’accento », disse Ruth con inflessione intrigante.

« Che vuol dire? », domandò Giovanni sorpreso e incuriosito.

« Se mette l’accento sul “modo”, lei sottolinea, di-ciamo, il pluralismo. Rimarca cioè che esistono svariati “modi” di essere una certa cosa. Se invece insiste sul-

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l’aggettivo possessivo, allora l’indicazione equivale a una sorta di “mi faccio i fatti miei”. Il riferimento è a sé. Nella convinzione, magari inconscia, che questo è l’unico modo praticabile, non solo il migliore. E io sono nel giusto ».

Giovanni fece un gesto, come per rannicchiarsi sul-la sdraio. Non gli vennero subito le parole adatte. Un pensiero gli attraversò la mente: che Ruth fosse di quelle donne che sanno intuire degli uomini cose che loro non hanno ancora capito, sulle quali essi nutrono idee appena abbozzate o confuse.

Prese altra frutta, accompagnando il gesto con ap-prezzamenti un po’ enfatici. Riavviò quindi la conversa-zione, uscendo in un banale: « E lei? ».

« Io, cosa? Come sono a modo mio? Intende chieder-mi se sono religiosa? »

Giovanni arrossì, impercettibilmente. Si incaricò Ruth di toglierlo da ogni imbarazzo e proseguì con schiettezza: « Io sono agnostica. Ma ebrea. E per me questa terra è tutto ».

Tutto. La parola rimase come sospesa tra i due. Per Giovanni che cosa poteva definirsi « tutto »? Non fece in tempo a porsi il quesito. Perché Ruth proseguì: « È medico lei, vero? ».

« Sì », rispose, lasciando trasparire un’ombra di tur-bamento.

« L’ho visto dagli elenchi che l’organizzazione ci dà, perché possiamo conoscere meglio i nostri interlocutori, così da sapere quali sono le esigenze di chi abbiamo di fronte ».

« E lei ritiene che si possa stabilire una qualche corre-lazione tra il mio essere medico e il trovarmi qui? »

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TUTTI CE LA CAVIAMO E CRESCIAMO.

LA CADUTA DI UNO SOLO, INVECE,

PUÒ AVERE RIPERCUSSIONI DEVASTANTI

PER L’INTERA COMUNITÀ UMANA.

IL CODICE DI TARSO È UN ESEMPIO

CHE SI PUÒ CONTINUARE A SPERARE,

NEL NOSTRO PICCOLO.

E ALLORA AVREMO LA FORZA

DI PENSARE IN GRANDE.

DI SOGNARE!

TUTTI QUELLI CHE SI RECANO IN TERRA SANTA

DOVREBBERO ESSERE SPINTI

A CERCARE IL LORO CODICE, CARA RUTH! »

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In copertina: foto di Tor-Sven Berge.

MARCO GARZONIO, psi-coanalista e psicoterapeuta, collabora al Corriere della Se ra, dove ha lavorato per anni come giornalista. È do-cente di psicologia del sogno alla Scuola di Psicoterapia del Centro Italiano di Psico-

logia Analitica (CIPA) e coordinatore scientifi-co del corso di perfezionamento del l’Associa-zione per la Sandplay Therapy (AISPT). Insegna anche allo IULM presso il corso di laurea in co-municazione e gestione nei mercati dell’arte e della cultura. È autore di numerosi volumi, tradotti anche all’estero, tra cui i più recenti sono: Il Cardinale. Il valore per la Chiesa e per il mondo dell’episcopato di Carlo Maria Marti-ni (Mondadori, 2002); Le donne, Gesù, il cam-biamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei Vangeli (La biblioteca di Vivarium, 2005); La vita come amicizia (San Paolo, 2007). Con Paoline Editoriale Libri ha pubblicato: Lazzaro. L’amicizia nella Bibbia (1994).

D 19,00

« Cose preziose, cose antiche, sa? Prego, guardi... Qui dentro è padrone. E troverà ». In effetti, girando tra gli scaffali della bottega di un antiquario arabo alla ricerca di un sou-venir « di qualità » da Gerusalemme, qual cosa Giovanni Picapedra aveva trovato. Qualcosa di attraente e inquietante al tempo stesso: un antico codice con due epistole di san Paolo sinora sconosciute. Da quel momento Gio-vanni non ha più pace. Perché tanto interesse per un manoscritto da parte di un medico di cinquantasei anni ormai affermato? Che cosa cerca tra le parole di san Paolo?

Il viaggio nei Luoghi Santi si rivela per Gio vanni un’esplorazione dei luoghi della sua anima, abitati da speranze disilluse, ma anche dal desiderio di rispondere al male con il be-ne, proprio come esortava san Paolo.

Lo stimolante incontro con Ruth, la guida ebrea, il diverbio con l’ingegner Fedrigoni sui fondamentalisti che mettono in scena il battesimo nel Giordano, i discorsi con padre Holger, « un prete con cui si può parlare », l’interazione con gli altri compagni di viag-gio, la presenza misteriosa dello Sconosciuto (Satana in persona o una parte oscura del protagonista?) suscitano in Giovanni dubbi, timori, interrogativi, che prendono la forma di un lungo incubo da cui egli si sveglia con una certezza: quel codice è per lui ragione di vita o di morte, è la condizione per un cam-biamento interiore. Di nascosto da tutti, lo acquista e riesce a portarlo fuori da Israele.

Le due epistole – la Prima lettera ai Mila-nesi e la Seconda lettera ai Romani, riportate in appendice – sono « apocrifi » finalmente ritrovati dopo una sofferta ricerca umana e spirituale, testimonianza di un san Paolo che « è qui, oggi, tra noi », come dice Pasolini.

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