Spagine della domenica 33 0 del 15 giugno 2014

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s p a g i n e Periodico cu lturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòd aro e A. L. Verri Spagine della domenica n°33 - 15 giugno 20 14 - anno 2 n.0

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La copertina di Spagine è dedicata al laboratorio di arte natura “Creature dei Paduli”, condotto dall'artista DEM, in collaborazione con la docente Laura Basco... Rivolto a bambini dal 6 ai 9 anni, il laboratorio è promosso dall'associazione Lua (Laboratorio Urbano Aperto) e rientra nel progetto “Gap, la città come galleria d'arte partecipata”, finanziato da Fondazione con il Sud.

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Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

Spagine della domenica n°33 - 15 giugno 2014 - anno 2 n.0

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La neve sulla politica italiana incomincia a scio-gliersi e qua e là appare quello che c’è sotto, ilbuono e il cattivo. Si vede quello che c’è sotto ilgrande consenso a Matteo Renzi, il leader uscitodal vuoto della politica. Emerge l’operazione cheha reso possibile la nascita del suo governo in un

contesto di pressoché azzeramento delle posizioni di potereche in genere rendono credibile una democrazia. Tre sono isoggetti che si vedono: Europa, il Presidente della RepubblicaGiorgio Napolitano, il Partito democratico. Poi, il vuoto: zero sin-dacati, zero confindustria, zero chiesa, quasi zero stampa. Zerosignifica ciò che non c’è o non si vede.Renzi è figlio di un’Europa, che tiene a non farlo sapere, di unPresidente della Repubblica sornione che sa che gli altri sannodella parte che ha avuto, di un Partito democratico che ha so-speso il dibattito interno in attesa che la situazione apra versonuove e più chiare direzioni. Per questo Matteo Renzi appare come il personaggio piùstrano che la politica italiana abbia espresso in questi centocin-quant’anni di storia unitaria. Difficile trovare qualcuno a cui so-migli tra i numerosi leader politici italiani del passato. Non haavuto finora vera conflittualità politica per saggiare le sue ca-ratteristiche e le sue capacità. Forse somiglia un po’ a Mussoliniper certa spregiudicatezza e un po’ a Berlusconi per leggerezzadi comportamenti. Vero è che la situazione politica dalla qualeè emerso è assai strana. Da una madre strana non potevauscire che un figlio strano. E’ una stranezza che si è determinata progressivamente da treanni in qua, da quando il Presidente Napolitano, messo allestrette da una crisi assai difficile della nostra democrazia, si èricordato di essere un comunista, cresciuto alla scuola della piùspregiudicata ideologia politica del Novecento e ha pensatobene di comportarsi di conseguenza. Napolitano, che avevamesso da parte l’arte ben appresa, vi ha fatto ricorso quandoha capito che coi metodi della democrazia tradizionale non sa-rebbe riuscito a raddrizzare la barca, che continuava ad imbar-care acqua. Così, bando alle formalità. L’importante è usciredall’impasse. Se serve uno come Renzi, col suo fare da ditta-torello mezzo boy-scout e mezzo travet, va benissimo. Doposi vedrà. Si capisce meglio Matteo Renzi se si pensa a Enrico Letta. Idue incarnano i relativi tipi e modi di far politica nel passaggiodall’uno all’altro di Napolitano: con Letta si era nella vecchia lo-gica democratica, ossequiosa e rispettosa delle leggi scritte enon scritte, che non consentiva però di andare avanti, conRenzi in quella spregiudicata, al di fuori di ogni galateo, di pas-sar sopra a tutto e a tutti e di procedere come uno schiaccia-sassi. Renzi non ha tardato a manifestarsi per quello che veramenteè. Se ne accorse Enrico Letta ai tempi in cui era Presidente delConsiglio, quando da nuovo segretario del Pd in faccia gli rin-

novava fiducia e alle spalle cercava il punto dove colpirlo me-glio. Si disse allora che in fondo la politica è stata sempre così.Ora, però, è come un’escalation di modi inurbani e dispotici, ac-cettati solo perché in Italia continua a farla da padrona la corti-gianeria. Gli esempi dell’arroganza di Renzi incominciano a non contarsipiù. Tanto sono tanti! Il prof. Giorgio Orsoni, ex sindaco di Ve-nezia, lo ha definito «superficiale e farisaico», dopo che, in se-guito alla faccenda del Mose, si era visto abbandonato emisconosciuto da tutti, Renzi compreso, quasi fosse lo sme-morato di Collegno, che, da quel che diceva, non si capiva chifosse e da dove fosse giunto lì a Venezia a sedersi sullo scannopiù alto della città dei Dogi. Nel suo stesso partito, di cui è segretario nazionale – tradizionedemocristiana, non comunista, di ricoprire le due cariche di Pre-sidente del consiglio e di segretario nazionale del partito di mag-gioranza – l’ex sindaco di Firenze è chiamato “dittatore”. Dopola sostituzione di Corradino Mineo nella Commissione Affari Co-stituzionali di Palazzo Madama perché in dissenso con l’ideadi Senato voluta da “Lui”, sempre nel suo stesso partito si parladi un nuovo “editto bulgaro”. Ricordiamo che l’altro editto bul-garo fu quello di Berlusconi contro il trio Biagi-Santoro-Luttazzi.Ben quattordici senatori del Pd si sono autosospesi per prote-sta. Renzi ha risposto con la consueta arroganza padronaleoltre che con disinvolta “utile” ignoranza: «Non ho preso i votiche ho preso per lasciare il futuro del Paese nelle mani diMineo». Linguaggio da basso mercato.Anzitutto i voti non li ha presi lui. A certi livelli la forma è so-stanza. In Italia si è votato per il Parlamento Europeo e non perMatteo Renzi; in secondo luogo il futuro del Paese è del Paese,non solo suo. Un vero leader democratico, come l’inglese Ca-meron, a proposito del voto europeo, ha scritto che chi ha vo-tato alle Europee «lo ha fatto per scegliere il proprioparlamentare europeo» non altro (Corsera, 13 giugno 2014). Eva bene che lo ha detto in polemica con chi avrebbe già sceltoil nuovo Presidente europeo in difformità dai trattati; ma il con-cetto è valido in sé. Sembra ovvio, ma qualcuno dovrebbe ri-cordarlo a Renzi. Se si lascia passare l’idea che il 25 maggio ilpopolo italiano ha votato per lui e non per eleggere il propriorappresentante al Parlamento Europeo, allora veramente l’Italianon riuscirà mai a diventare un paese moderno e serio. Ci sarebbe da chiedersi dove sia andata a finire quella co-scienza democratica che ha caratterizzato il ventennio berlu-sconiano, che aveva nei girotondi, in MicroMega, nellamagistratura, nella Costituzione, in tanta stampa democratica,la rappresentazione di una battaglia che poteva sembrare ec-cessiva nei modi ma sicuramente nobile nei fini. Purtroppo ditutto questo, mentre la neve si scioglie, non si vede traccia; in-vece spuntano dai contorni sempre più chiari e vivaci le cacchedopo il passaggio di una gran mandria di pecore.

Matteo e la nevedi Gigi Montonato

Diario politico

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U na nuova edizione ampliataper Viaggio a Finibuster-rae. Il Salento fra passionie confini di Antonio Erricoche diventa una guida d’au-tore per Lecce Capitale

della Cultura 2019. Un viaggio suggestivoe poetico, un reportage letterario e cultu-rale dei luoghi più belli del Salento chesono luoghi dell’anima, paesaggi interiori eanche chiese, vicoletti, storie di genti. Illibro sarà presentato sabato 21 giugno,alle 18.30 alla libreria Feltrinelli di ViaTemplari. Con l’autore interviene Massimo Bray.Lecce. Città dove la pietra lievita, si sol-leva verso il cielo quasi svaporasse, si famodulazione di decorazioni, immagine ar-moniosa di volute, slittamento ondosodelle prospettive, nuvolaglia di decora-zioni.Poi Otranto. Il silenzio che allaga le strade,

si rapprende nell’aria, ammutolisce il vo-ciare, si attacca alla pelle come lo sci-rocco, si apposta in ogni angolo comeun’ombra, acquieta i tumulti del pensiero,è velo sugli affanni di ogni giorno.Poi Castro. Che ha tempeste luminosequando albeggia, bonacce quando comin-cia ad imbrunire, gorghi di luce alla metàdel giorno: mulinelli, vortici che accer-chiano la mente, che disorientano, fannovacillare.Poi la malinconia di Santa Cesarea; e di-venta tristezza, se non si ha un amore.Poi Gallipoli, le sue chiese. Una dopo l’al-tra. Una accanto all’altra. Come per fer-mare il vento, o almeno disorientarlo,ingannarlo, per farlo sfrenare lungo i ba-stioni, fino a sfiancarsi, a dissolversi,senza entrare rapinoso nei vichi, senza ro-vesciarsi sul mare. Poi i poeti, le piazze, i fari...

Viaggio a Finibusterraein Agenda Sabato 21 giugno alla Feltrinelli la presentazione della nuova edizione

“Dobbiamo destagionalizzare il turi-smo”. “Il Salento è tutto bello, non cisono solo Gallipoli e Otranto”. “I no-stri centri storici sono meravigliosi eda visitare”. “Lavoriamo perché il tu-rista venga in Salento, usufruisca del

nostro stupendo mare e la sera magari vadaun po’ nell ’entroterra per riposare nella quietedei paesini immersi nel verde e circondati dauliveti secolari”. Sono solo alcune frasi che sento ripetutamentecome un mantra in ogni luogo del Salento lec-cese. Badate, tutto assolutamente condivisi-bile, il mare limpido che si sposa a centristorici pieni di cose da dire e da offrire. Giro-vagando fra alcuni di questi paesi tuttaviaci si imbatte in situazioni che ti fanno direcome lo slogan dovrebbe essere: “Caro turista,vieni da noi, spendi, in cambio ti diamo unbel calcio nel denti”…Tralasciamo il fatto che se uno arriva a Leccela domenica in treno non ha alcuna possibi-lità di raggiungere il capo in tempi decenti, itreni della Sud Est la domenica stanno fermi.Non si sogni poi, il turista, di arrivare la do-menica di Pasqua verso le 13.

I bus urbani sono fermi perché è Pasqua, itreni non esistono, i Taxi non ci sono perché“sono tutti a pranzo, è Pasqua!” (E’ successoveramente la domenica di Pasqua di tre nnifa).I più audaci arrivano in auto, poi subito apasseggio per le vie del centro storico vannoa vedere l ’anfiteatro nella centrale PiazzaBianca (già sant’Oronzo), cercando spaziotra pagodine di moplen e leccornie d ’ognifatta… ecco voilà: la storia si palesa.Fatta indigestione di barocco, vanno verso ilcapo ed iniziano a girare per vedere questifamosi centri storici. A Poggiardo, la ChiesaMatrice di San Salvatore, con facciata delXVIII secolo, si trova in una piazzetta, latarga in ceramica dice, come ovvio, storica-mente giusto, “Piazza della Chiesa”. Pochimetri dopo un’altra targa in bianca plasticache fa a pugni con il contesto dice “PiazzaPapa Giovanni Paolo II°”. Delle due una, osi mantiene una toponomastica che ha unsenso o la si stravolge. Senza nulla togliere alPapa Santo Subito, almeno gli amministra-tori non confondano le idee ai turisti.Ma questo è, per rimanere in ambito reli-

gioso, un peccatuccio veniale. Se andiamo aCasarano, in un centro storico dignitoso, cisono due palazzi con facciate meravigliose,Palazzo d ’Elia e Palazzo de Judicibus. E’pur vero che sono in stato di abbandono equasi degrado, ed è vero che la proprietà(l ’amministrazione comunale) probabil-mente non ha quattrini per recuperarli, e quisi dovrebbe aprire un discorso con i ministriad hoc. Per fortuna Tremonti ha tolto il di-sturbo, per lui la cultura non si mangia(anche se è una sonora idiozia). Però pare cheil comune di Casarano sia veramente, comesi dice in gergo popolare, con le pezze al culo.Se non ha i soldi neppure per comprare unflacone di vetril (o simili anche sottomarcheche costano meno) e mandare qualcuno a pu-lire le targhe che raccontano la storia del pa-lazzo una letteralmente ricoperta daescrementi di colombi, l ’altra illeggibile, sa-rebbe, quanto meno da commissariare. Ameno che, dicono i maligni, anche qui nonamino prendere a calci nei denti i turisti.Cosa che pare quasi più credibile.

di Gianni Ferraris

Corsivo

Lavoriamoper il turista

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Le migrazioni dei popoli, special-mente in quest’era funestata daguerre, persecuzioni, prevaricazioni,avvengono quotidianamente. L’Italiaè terra di confine e d’approdo. Inquesti giorni, il sottosegretario all’In-

terno Nicola Manzione ha reso noto che nel girodi qualche settimana al massimo si potrà esten-dere ai figli dei rifugiati lo “ius soli” ( il diritto di cit-tadinanza per il fatto di essere nati sul nostrosuolo). “Pochi giorni. Giusto il tempo di mettere apunto la circolare. E poi anche i bambini degli asi-lanti, arrivati magari nella pancia della mamma onati in Italia successivamente all’arrivo dei genitoripotranno avere la cittadinanza italiana”, ha soste-nuto il sottosegretario. Un provvedimento al momento ancora di portataridotta, ma che potrebbe essere l’inizio d’un pro-getto più ampio. Il nostro Paese durante il seme-stre di presidenza in Europa potrà piùincisivamente farsi sentire, cercare di coinvolgeremaggiormente chi finora è stato latitante, total-mente assente sulle politiche immigratorie.

Sarà utopico sperare di costruire un mondonuovo, più aperto, più solidale? È legittimo attendere di edificare l’Europa dei po-poli e non quella vorace delle banche?

Il ministro degli Esteri Federica Mogherini è pun-tuale nella sua analisi: “Dobbiamo lavorare sullaprevenzione e sulla gestione dei conflitti”. Noi oc-cidentali dovremmo mutare strategie d’approcciocon i Paesi a sud del mondo, guardare ad essicon una visione più umana e lungimirante, vederlinon solo come serbatoi inesauribili e ricettacoli ter-minali di risorse naturali e materie prime da depre-dare con mano rapinosa, ma come terre sacre darispettare. E più di tutto dovremmo saper costruireponti di comunicazione e conoscenza: fondamentivividi per una convivenza pacifica. Per intanto, iflussi delle genti diverse dovranno essere discipli-nati, comprensivamente e morbidamente.

Da noi, la possibilità di cominciare a discutere ed’introdurre in qualche modo lo “ius soli”, ventilatadal governo e da una parte cospicua della classeparlamentare, è stata prontamente bocciata dagliintransigenti leghisti: “Alfano smentisca o si di-metta: la cittadinanza non è un regalo, ma unacosa seria. Renzi, come un novello Re Sole, pre-tende di cambiare uno status con una circolare”.È vero, alcuni pronunciamento d’un certo riguardonecessitano diversi passaggi parlamentari, unesame attento e accurato. Ma i politici del Carroc-cio non brillano certo per concezioni antropologi-che credibili. L’ex ministro all’Interno Maroni,artefice della politica dei respingimenti in mare euno degli ispiratori del reato di clandestinità, annifa, strinse accordi bilaterali con il dittatore Ghed-dafi. E la Libia non aveva sottoscritto la Conven-zione di Ginevra sui rifugiati. Da tempo, c’è chi avanza l’eventualità di prenderein considerazione lo “ius soli” per migliaia di mi-granti. I cori stonati dei leghisti parasecessionistisono stridenti e sempre gli stessi: “La cittadinanzanon si può acquisire solo per il fatto di essere natiin Italia”. Si potrebbe obiettare ai Salvini, ai Bossi,ai Borghezio, ai Maroni, e agli altri eminenti statistidel Carroccio, che chi nasce sul nostro suolo, in-dipendentemente dal gruppo etnico di apparte-nenza, è nei fatti uno di noi, perché porta addossosulla pelle, insieme ai suoi tipici caratteri somato-metrici, anche una nuova acquisita italica memo-

ria. Un figlio di migranti, nato da noi, è italiano apieno titolo, perché respira il nostro stesso cielo,calpesta gli stessi selciati. In generale, gli immigrati incrementano l’economianostrana, sono rispettosi delle leggi dello Stato edella Costituzione, lavorano e pagano le tasse.

Perché tante ritrosie a concedere ai loro figli unostatus normalissimo?

Una giovane scrittrice italiana di origine somalaIgiaba Scego si è sempre interrogata: “L’Italia èdi chi nasce, di chi la ama o di chi fortuitamente siè ritrovato con una goccia di sangue italiano nellevene?”.

I gruppi umani sono da sempre in movimento, incammino. Chi difende anacronisticamente la sup-posta “superiorità” dei gruppi etnici autoctoni mo-stra una cultura sconcertante, ristretta, provinciale.Secondo le acquisizioni della biologia delle popo-lazioni, la nostra civiltà si è sostanziata e rafforzatain seguito agli inarrestabili flussi, ai continui spo-stamenti. La politica, purtroppo, non sempre è me-ritocratica. Talvolta premia i mediocri, relegandoai margini chi avrebbe ancora molto da dire e dadare. Nel maggio 2010, quando impazzava lafuria leghista e la vulgata antropologica contropro-

ducente e securitaria del centrodestra, GianfrancoFini in controtendenza annunciava di aver prontauna proposta di legge sulla cittadinanza breve.L’ex presidente della Camera non fa più politicaattiva; in compenso, i Salvini, i Bossi, ealtri mode-sti epigoni vari, s’aggirano con il piglio insoppor-tabile dei “vincenti” nei palazzi del potere. In questianni, la Lega Nord s’è opposta in tutti i modi allo“ius soli”e ad altro, ammannendoci al contempouna povera filosofia razzistica e xenofoba dal fiatocorto. Anni fa, il Caroccio, quando “impreziosiva”il governo Berlusconi, con un emendamento aldecreto legge sugli incentivi propose d’introdurreun test di italiano per gli immigrati che volevanoaprire un negozio. La Lega chiese anche che ve-nissero vietate le insegne multietniche dei locali,per far posto ai dialetti. Rappresentanti delle isti-tuzioni non dovrebbero mai alimentare alcunaforma di pregiudizio, non dovrebbero mai soffiaresul fuoco del differenzialismo. Da cittadini, pos-siamo dire che, in un Paese multietnico e multi-culturale come il nostro, si dovrebbe comunquefavorire la coesione e l’interazione. I nuovi diritti dicittadinanza sono una insopprimibile necessità.Dovremmo sempre rapportarci agli immigrati conle dovute aperture, con animo sereno, con la con-sapevolezza di far parte tutti assieme d’una vastacomunità di individui.

Contemporanea

Questa terra di Marcello Buttazzo

Igiaba Scegoe la copertina del suo libro

è la mia terra

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La danza nella biblioteca/museodella scrittura braille, all’Istituto Antonacci di Lecceche nel suo catalogo conserva le opere del repertorio musicale sinfonico e lirico N ella ricerca delle utopie possi-

bili della vita sociale delle cul-ture accessibili, nell’esigenzadella definizione di una nuovagrammatica di come interpre-tare il tempo e abitare lo spa-

zio, la Danza nel braille di Toni Canderolovuole essere un tentativo di modello di comepensiamo di prefigurare la solciapoliseutopiadi Lecce 2019, nella sua candidatura a Capi-tale della Cultura europea.L’Istituto Anna Antonacci, già nel 1930,aveva un importante biblioteca braille, tra leprime in Italia, per lo studio dei non vedenti.Oggi, la biblioteca mantiene valido il suo ruoloculturale e si impone come museo specialedel libro braille, nei suoi scaffali, tra le tanteopere anche una ricca collezione che riguardai repertori della musica sinfonica e della mu-sica lirica; perfettamente conservati, volumiscritti manualmente con ol “punteruolo”,quando il braille era fatica e la tecnologia spe-ciale del libro braille doveva ancora comin-ciare la grande rivoluzione culturale nellostudio dei non vedenti.

Un museo particolare perché il codice brailleè speciale: leggere con le mani è come met-tere il corpo nelle parole, sentirle e non averebisogno per la comprensione della mente.Anche la danza è il linguaggio del corpo cheracconta lo spazio e riempie il silenzio.La danza vive di spazio e mette nel tempo ilcorpo come racconto di emozioni vissute sen-tite percepite sognate desiderate cercateaperte alla vita. Nei libri il racconto della vitaconservato per il progetto di sperare di rein-ventare “eutopia”.Nella danza il piacere di scoprire il corpo comebellezza di vita, come esperienza di armonianel rapporto corpo mente nel sogno verso ildesiderio del diritto all’amore e quindi deltrionfo della diversità come ricchezza di rap-porti di una vita plurale nelle emozioni. Ladanza è arte sincera del corpo esercizio di li-berazione del profondo: specchio dell’incon-scio oltre le parole, dentro le immagini. Artedella vita e per la vita: la possono fare tutti,sempre, in ogni stagione dell’esistenza.La danza nel braille vuole essere un “segno”,un percorso di diritto alla vita sociale di sentirsiaffermato nei propri bisogni nella relazione trae con gli altri.

La danza nel braille vuole raccontare il corponel pensiero e cercare nell’unità corpo mentela leva per superare le barriere e i pregiudiziche sono le prigioni sociali della città costruitaper corpi separati. La danza di Toni Cande-rolo, tra libri braille della biblioteca dell’IstitutoAntonacci può essere un momento di rifles-sione su quella città delle eutopie che vo-gliamo proporre per il titolo di Capitale dellaCultura europea nel 2019.La cultura vive quando riesce a parlare di tutti:è una scommessa che dobbiamo e possiamotentare di fare. Con questa breve riflessioneauspico un incontro, si potrebbe svolgere, pre-parandolo bene, tra settembre ottobre, coin-volgendo la Compagnia di Toni Candeloro,l’Università del Salento, l’Accademia di BelleArti e le associazioni culturali interessate.

Lecce 2019

La danza

Toni Candeloro

di Luigi Mangianel braille

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C'è un pozzo chiamato identitàad aprire il territorio di Cibiche fanno comunità. È acquanecessaria quella del pozzodell'identità. Ed è necessaria-mente selezione, l'identità. È

geografia necessaria. Parola necessaria.Paesaggio necessario. Risposta necessaria:nel fluire delle possibilità dell'esistenza, es-sere umani vuol dire sceglierne alcune escartarne altre. Forse anche essere animale, vegetale, mine-rale, spirituale è selezione necessaria. Forseessere ed esistere è selezione identitaria.Forse.Necessario ma non sufficiente. L'identità umanamente necessaria se non in-calzata dai boschi o dai mari rischia di nutrirearroccamento e isolamento. Di avvelenare ipozzi. Un antidoto solo conosce il veleno del-l'arroccamento: nomadismo e vicinanza.L'avvicinarsi di quattro pozzi ha aperto que-st'anno lo spazio che abbiamo abitato conconvivialità a Borgagne. Accostare le identità, accostare quei neces-sari sistemi di selezione e particolarizzazione,ha reso manifesto il comune, il pubblico e l'al-tro. Senza maiuscole.E dopo il vino del saluto, ogni identità è rima-sta tale, non si è dissolta nel relativo, ma hafatto esperienza, ha avuto l'occasione di abi-tare attraverso la condivisione dell'acqua deipozzi altrui, le possibilità che necessaria-mente, per essere quel tipo di umani, ha do-vuto escludere. Non si è dissolta ma si èsicuramente fatta più tollerante, più ospitante.Più curiosa.Piu usa alla domanda.Al domandarsi ad esempio perché chiamareda Sannicola qualcuno a cucinare fave e ci-corie. Come se intorno al pozzo di Borgagnenon si fosse abbastanza bravi a cucinarle. Mafave e cicorie ci ha raccontato che non è que-stione di ricette. Fave e cicorie è stato un fuoco intorno a cuici siamo seduti con i ragazzi di Sannicola. E

ci siamo raccontati il loro viaggio. La riformu-lazione di una identità. Si può essere agricoltori della crisi e sarchia-tori di futuro. Si può condividere una do-manda e comunitariamente organizzare unarisposta aperta. Si può scegliere come pro-durre le fave e come produrre le cicorie. Sipuò generare una identità dalla crisi che at-traverso la rigenerazione della terra, la salva-guardia dei semi, l'abbandono della chimica,il rispetto del lavoro, generi nuovi stili di vita.Moderne cosmologie. Altri modi di essere co-munità. Mutate identità. Trasformate crisi.Fave e cicoria nelle mani dei ragazzi di Spazipopolari di Sannicola ha reso nutrimento,cibo, una scelta di fiducia e ottimismo. Perquesto abbiamo chiamato da Sannicola per-sone a prepare fave e cicoria: il cibo fa comu-nità non solamente sotto l'identita dellaricetta.

E domandarsi perché chiamare qualcuno daCarpino per maneggiare latte e farlo diven-tare caciocavallo, podolico. Come se vicinoal pozzo di Borgagne non ci fossero mani suf-ficientemente esperte. Ma il caciocavallo, e ilegumi che lo hanno accompagnato, ci hannoraccontato che non è solo questione di ma-nualità o di prodotto tipico. Il caciocavallo po-dolico è stato un fuoco intorno a cui ci siamoseduti con gli spiriti transumanti di Carpino eci siamo cantati il loro viaggio. La rigenera-zione di una dignità.Riconoscere che è stato un errore, una sceltavincolante non solo per noi, far coincidere lostudio, la scuola, l'istruzione, la cultura, la sa-pienza con il riscatto dalla terra. E scegliereper una scuola che riparta dalla dignità dellaterra. Per un'istruzione, una sapienza che siail riscatto della terra.Che è dalla terra e dalle mani e dalle voci chela lavorano che germina la relazione di di-gnità. Senza offrire il fianco ad una poesia bu-colica annacquata in una cittadina apologiadella terra: la terra era e rimane bassa anchedopo aver rigenerato dignità. Che c'è dignità

Di pozzi, Tracce di parole per i quattro giorni

di Cibi che fanno comunitàa Borgagne

per Borgo in festa 2014

di Simone Biso

e di identitàdi fuochi

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Spagine della domenica n°33 - 15 giugno 2014 - anno 2 n.0La riflessione

nell'essere pastori, nel profumare di pascolo.Dignità per la parola che fa comunicare conl'anarchica vacca podolica: Briòòòòòòòòò; ip-taaaaaaaaaa. Parole di un tentativo di dia-logo mai interrotto tra umanità e natura.Dignità di una identità rimasta cocciutamentead abitare il territorio aperto dell'esistere in re-lazione ad un mondo. Coraggio nel sedersiintorno al fuoco dei dubbi dell'esserci e dialo-gare irrimediabilmente con le scintille che daquesto zampillano. Costruendone un linguag-gio.Il caciocavallo, podolico, nelle mani degli spi-riti transumanti di Carpino, ha reso nutri-mento, cibo, una scelta di dignità e onestodialogo. Per questo abbiamo chiamato daCarpino persone a prepare legumi e for-maggi: il cibo fa comunità non solamentesotto l'identita del prodotto tipico o della ma-nualità.

E non domandarsi perché chiamare qual-cuno dalla Palestina per cucinare il Maftul. Èevidente che intorno al pozzo di Borgagnenon ci sono fornelli e tradizioni in grado di cu-cinarlo. Ma il Maftul, ci ha raccontato che nonè solo questione di diversità o tradizione IlMaftul è stato un fuoco intorno a cui ci siamoseduti con gli amici palestinesi e ci siamo as-saporati il loro viaggio. La riproposizione diuna comunanza.Lo stupore è nato in bocca, al di là degliocchi. Fuori dalle parole. Dentro la costata-zione di un sapore familiare in un piatto sco-nosciuto. E la manifestazione di questostupore a dissolvere 4779 chilometri distrade. E la nascita del racconto di un mare.Un mare che non trovava confini. Un mare sucui veleggiava scambio comunitario. Un mareche come un grande pentolone diffondevasapori. Persone che liberamente conosce-vano, tornavano e ripartivano. Trame di viaggiche disegnavano una delle civiltà più tolle-ranti della storia umana. Un mare piazza. Incui si diffondeva una comunanza di odori, disapori, di rispetto. E poi il racconto del sor-

gere di muri. Di clandestinità. Di navi che di-segnano frontiere nel mare. Di territori occu-pati. Di popolazioni cacciate e personericacciate. Di una comunanza oscurata da re-toriche della paura. La storia di una piazzaoramai deserta presidiata dai bravi dellapaura.Il Maftul nelle mani della comunità palesti-nese ha reso nutrimento, cibo, la storia di unmare fattosi piazza e di muri abbattutti dabambine con i palloncini. Per questo abbiamochiamato dalla Palestina persone a prepareMaftul: il cibo fa comunità non solamentesotto l'identita della differenza e della tradi-zione

Ed infine assaporare con Borgagne che l'al-ternativa non è tra comunità locale e comu-nità globale. L'alternativa non è tra rete disolidarietà e maggiori possibilità di crescita.L'alternativa non è una alternativa. Condivi-dere che vicinanza e nomadismo sono fili chedisegnano trame tra rete di solidarietà e pos-sibilità di crescita. L'accoglienza nelle mani della comunità diBorgagne ha reso nutrimento, cibo, l'essereborgo.Per questo abbiamo deciso di accogliere co-munità a Borgagne: il cibo fa comunità nonsolamente per manifestare identità.

Aver avuto la fortuna di vivere e passeggiareda nomade tra i quattro pozzi di Cibi chefanno comunità mi ha mostrato che non si èdestinati ad un identitarismo solitario e arroc-cato. Non si è soli davanti alle possibilità chel'esistere oggi propone. Nè come individui nécome comunità. Si è molti e si è in viaggioabitando i territori aperti tra un pozzo e l'altro.Si è in molti intorno ai fuochi la sera. Molti eumani.Si è umani, strordinariamente umani.

Con sapore,Biso

Sopra l’immagine di Cibi che fanno comunitàe sotto il manifesto dell’edizione 2014 di Borgo in festaentrambi curati da Valentina Sansò

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spagine Spagine della domenica n°33 - 15 giugno 2014 - anno 2 n.0

Straordinaria accoglienza al FondoVerri per il duo Maria Mazzotta -Redi Hasa, con il loro progettod’esordio “Ura”, presentato giovedì 5giugno nella gremita saletta di viaSanta Maria del Paradiso a Lecce.

“Ura” - significa “ponte” in albanese e “adesso” in sa-lentino - porta alla luce i legami possibili tra i repertoriche navigano attraverso l’Adriatico unendo i Balcanie i Carpazi con le regioni del Sud dell’Italia. La vocedi Maria Mazzotta si muove leggera e ricca di millesfumature tra le lingue musicali delle due spondementre le note di Redi Hasa propongono, ogni volta,una e mille soluzioni possibili alle melodie tradizio-nali.

***Nel corso del concerto Maria Mazzotta ha interpre-tato, con voce leggera e ricca di sfumature, un bel-lissimo brano di Rosa Balistreri: Cu ti lu dissi. Possente, altera e tragica si alzava un tempo la vocedi Rosa Balistreri (Licata 1927 – Palermo 1990),cantante e cantastorie siciliana. Cu ti lu dissi rac-chiude un inno al dolore, alla sofferenza; soffocatodalla rabbia di non aver vissuto in un mondo mi-gliore. Acuto e grave il grido si sprigionava nell’aeredella terra natia: la sua Sicilia, coprendola di lacrimee amore. Serbare il ricordo dell’affranta donna io desidero; tra-smettere il suo grido disperato mantenuto con forzae tenacia, con impeto struggente. Pasionaria entu-siasta e combattente, nonostante le avverse vicissi-tudini della vita. Donna d’altri tempi, riusciva adincanalare la sua passione nei cuori e nelle mentidell’altrui gente. Dolce e sottile da giovane, ardua esevera da grande, Rosa – la voce della Sicilia – de-flagrava l’aria; il suo urlo si spingeva nel continente,doloroso e immenso. Linfa vitale sprigionata e tra-sportata dai venti.Abbiamo l’obbligo e il dovere di ricordarla sempre,com’ella desiderava in Quannu moru, “per non sen-tirci soli” diceva; perché non voleva lasciarci soli, solidentro un fosso. E le sue canzoni voleva che can-tassimo agli altri, perché non voleva morire senzavoci che la seguivano dopo. Immensa Rosa, dedi-cava la sua vita e il suo amore agli altri, si offriva, siapriva. Forse, solo chi ha provato tanto dolore si pro-stra e si dona in candido modo a tutti quanti.In Mi votu e mi rivotu sospirava le notti insonni, riflet-tendo fino all’alba; pativa in silenzio, fino all’ultimogiorno. In Mafia e Parrini cantava la povertà dellamafia: uno alza la croce, l’altro punta e spara; Mafiae Parrini si danno la mano; la Sicilia invece invocagloria. In Acidduzzu la sottile metafora del cardellinodi suo marito. Ne Buttana di to mà un rauco grido la-cera il ventre della Sicilia. Nella Virrinedda loda lagiovane bellezza che si specchia nel mare, meritan-dosi una corona. Nei Proverbi siciliani una miticacarrellata di famosi detti di antico sapore ed arcanosapere. In Cantu e cuntu fa scorrere la vita, senza

Ascoltando Ura di Redi Hasa e Maria Mazzottail ricordo dei comizi con la chitarra di Rosa Balistreri

di Antonio ZorettiLa voce politica

perdere il conto, conscia che né pianto né gioia, nécoraggio né paura ferma la vita. Ne La voce miaRosa cantava la voce, come esibizione e dono, ag-gressione, conquista e speranza di consumazionedell’altro; veicolo di se stessa, emigrava dalla suainteriorità ad un’altra con una dolce penetrazione,reiterando la propria natura organica; forza germi-nativa che non cessava mai di essere rappresen-tata. In Addio beddha Sicilia confessa la sua terra,piena di ricchezze ma anche di tanta debolezza;dove c’è tanta brava gente, ma più carogne e fame.In Vitti na beddha elogia la bellezza, affacciata allafinestra. Ne Ninna nanna siciliana una struggentenenia alla figlia che piangeva. In Pirati a Palermo ilricordo del pianto all’arrivo dei pirati che rubaronopure il sole, lasciando la Sicilia al buio. Corri cavad-dhu miu è una ballata, quasi da colonna sonora perun film. O cori di stu cori è una preghiera all’amante,affinché non l’abbandoni. Aciduzzu è la metafora delmaschio in amor. In Si maritau Rosa si sospiral’amore in primavera. Ecc. ecc. ecc.“Si può fare politica e protestare in mille modi, iocanto” diceva Rosa Balistreri; “ma non sono unacantante… sono diversa, diciamo che sono un’atti-vista che fa comizi con la chitarra”. E le ragioni perprotestare non le mancavano di certo, poiché la vitanon le aveva sorriso. Ma nonostante tutto avevasempre combattuto e lottato, anche nelle condizionipiù avverse. Oggi figure così non si vedono neanche con il lan-ternino, purtroppo; affiora solo qualche ebete for-chettone o disappunti vaghi di inutili movimentipopulistici. In questo sciocco e sciancato Duemilasiamo proprio circondati da una massa beota, maparadossalmente intraprendente, atta solo a provo-care danni. Non ci resta quindi che riprendere le grandi figuredel passato, per fronteggiare il presente e incammi-narci nel futuro. Tanto onore e cappello dunque allasignora Rosa Balistreri, e alla sua immensa voce.Ella, dal pulpito disperato diffondeva l’afflizione chel’attraversava, e ci rendeva partecipi del suo dolore.Avvolta dal patos della voce, con l’armonia sonorariempiva i suoi racconti. Lei ha insistito fino alla mortecon i suoi versi, con le sue strofe, concentrandosisulla potenza timbrica delle sue corde vocali. Strug-gente! Copiosa, rispettabile e coraggiosa, frastor-nata ma mai doma. Ella ci faceva piangere, e non ciraccontava certo storielle inutili o confacenti, ma ve-rità crude e dissipate. Nonostante la guardiamodopo tanto tempo, siamo costretti a inchinarci al suocospetto. Quando si mostrava sui palchi era onoratadalle folle che l’acclamavano a lungo, e partecipa-vano alla sua dolorosa vita a cui era pervenuta, esentivano lo stesso sconcerto che prima pareva nonsentissero. Brava, brava, la nostra brava donna. Bene. Anche questo è fare politica. Ogni azione omanifestazione umana è politica, anche nella deri-sione o nel ludibrio. Avanti tutta, allora.

Autori

Rosa Balistreri

Maria Mazzotta e Redi Hasa e sotto la copertina di URA

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Cronopios

spagine Spagine della domenica n°33 - 15 giugno 2014 - anno 2 n.0

Non credo possa dirsi diversamente senon felicità mentale lo stato di chi, sfo-gliando una edizione critica, assiste alfarsi di un capolavoro assoluto comeI Malavoglia attraverso schemi, ab-bozzi, piani di lavoro, frammenti, ca-

taloghi di proverbi e, infine, attraverso correzioni evarianti. Lo stato degli scartafacci e dei manoscritti verghianiè molto precario e in continuo divenire. Molte dellecarte del grande scrittore siciliano sono disperse,parte dei manoscritti è incompleta e amputata, pre-sente solo sotto forma di microfilm o in mano a privati;cosa, questa, da non biasimare in sé, se non quandoil possesso privato diventa occultamento o esagerataspeculazione economica - o almeno questa era la tesidi Contini, espressa in un rabdomantico saggio sullafilologia proustiana. È del 2013, tra l'altro, un consi-stente sequestro di carte verghiane effettuato dai ca-rabinieri, che stavano per essere vendute all’asta aPavia (è stato ritrovato, fra le altre cose, anche l’auto-grafo del primo romanzo del sedicenne Verga), e siaggiungano al corpus degli scritti le ulteriori acquisi-zioni di lettere ai familiari, gran parte inedite, pubbli-cate nel 2011 da Giuseppe Savoca e Antonio DiSilvestro dell’Università di Catania.

Ferruccio Cecco ha riproposto e perfezionato ora,per Interlinea, l’edizione critica dei Malavoglia, dopol’edizione pubblicata dal Polifilo nel 1995, mostrandocon il materiale a disposizione la storia interna del ro-manzo – a partire da quella cellula in espansione chesaranno i primi abbozzi del Padron ‘Ntoni del 1874.Una storia che non è solo interna: non si comprende-rebbero i Malavoglia, infatti, senza il turning point del1877-78, costituito da testi come Fantasticheria, dallenovelle di Vita dei campi, ma anche dalla lettura deci-siva dell’Assommoir di Zola. Per Cecco l’editio princeps edita da Treves nel 1881rimane quella di riferimento, anche se confrontata ecorretta sull’autografo dei Malavoglia – il manoscrittoA – per i molti refusi presenti; la prima edizione Trevesregistrerà inoltre cospicue correzioni e aggiunte d’au-tore effettuate sulle bozze di stampa che, come ènoto, mancano alla storia filologica dei Malavoglia (siricordi, per esempio, l’importantissima aggiunta dellasequenza finale della partenza di ‘Ntoni, assente nelmanoscritto A).

Cecco ha lavorato su due livelli per la sua edizionecritica: da un lato, infatti, ricostruisce in fondo al vo-lume il materiale genetico del gran romanzo; dall’altro,in calce al testo, riporta l’apparato delle varianti maanche la segnalazione e le correzioni dei refusi checomparvero nell’edizione Treves. Storia interessante,questa. Dei Malavoglia Treves fece poi altre edizioni, e inquella del 1907 non molto seguita da Verga, corressei refusi residui dell’edizione del 1881 ma altri se ne ag-giunsero. Ma, cosa ben più importante, in questa edi-zione normalizzò, in maniera assolutamenteimpropria, l’interpunzione del romanzo. L'editore cer-cava in questo modo di mettere la sordina alla inau-dita sintassi verghiana, che si fondava sullatransizione senza segnaletica, o comunque minima,tra discorso indiretto libero e discorso diretto. Risul-tava così compromessa e meno leggibile una sceltastilistica precisa di Verga, necessaria per raggiungerequegli effetti di concertato che, senza l’ingombro di unnarratore esterno, meglio potevano rappresentarequell’universo di voci, di chiacchiere e di commentiche costituivano la comunità di Acitrezza, quasi l'au-tore intendesse procedere per agglomerati verbalisenza soluzione di continuità.La lezione filologica dovrà allora ricostituire il testoconforme alle intenzioni dell’autore e, allo stessotempo, seguire sia il divenire della scrittura, come l’ap-prossimazione alla resa di impersonalità verista, siaquello ideologico dello scrittore nelle oscillazioni diprospettiva e nelle soluzioni finali raggiunte. Cecco,infatti, ci mostra come lo sviluppo dei Malavoglia an-

dasse nella direzione innovatrice, e irripetibile, di darevoce ai personaggi, lasciandoli parlare senza media-zioni visibili: dall’interno del loro orizzonte, potremmodire. Una correzione emblematica, per esempio, è laseguente: nel primo capitolo del manoscritto A, i piedigrandi di ‘Ntoni sono paragonati al "David di Miche-langelo" ma, nell’edizione 1881, i piedi sono grandicome "pale di ficodindia". Il paragone con il Davidscompare perché sentito come troppo letterario etroppo colto in bocca ai pescatori di Trezza e al nar-ratore anonimo e popolare che raccorda le loro vi-cende. Ma potremmo anche seguire le vicendeonomastiche del romanzo: nel caso del cognomedella famiglia protagonista si passa dal corrivo "Pap-pafave" a "Toscano", e soprattutto è splendida la trou-vaille finale del nomignolo "Malavoglia".

Si assiste in Verga a un processo di erosione del pro-prio punto di vista di letterato borghese in favore diun'immersione nella cultura e nell’antropologia di unacomunità siciliana e di una povera famiglia di pesca-tori. Verga non scopre la “plebe”, piuttosto cerca didarle una lingua non mistificata, mediata solo dallostile della scrittura. Una sorta di italiano parlato, che

non voleva scadere nella marginalità dialettale mache intendeva conservarne, tuttavia, il ritmo profondo,l’ossatura segreta, una sorta di eco radioattiva rila-sciata in una sintassi memorabile e artificiale.Si trattava di restituire quelle genti con i loro caratteripropri; in fondo, era quasi averli di fronte, messivi fac-cia a faccia, senza nessuna presentazione, comeVerga scriverà a Capuana. E qualche decennio piùtardi il socialista Pelizza da Volpedo ci presenteràcome fossero vivi e di fronte a noi i braccianti de IlQuarto Stato, con un gesto analogo anche se certo inuna prospettiva opposta a quella dei Malavoglia.Il romanzo verghiano è il primo romanzo che inaugurauna demistificazione della mitologia risorgimentale. A un certo punto la somma di catastrofi che colpi-scono l’universo arcaico e preindustriale dei Malavo-glia, per quanto tutte storicamente plausibili, si fasoffocante e senza uscita, e sembra che le parole piùadeguate per nominare l’ingiustizia necessaria dellastoria e della "fiumana del progresso" (prefazione aiMalavoglia) siano quelle di fato e destino.

Giovanni Verga, I Malavoglia, edizione critica a cura di Ferruccio Cecco, Interlinea, Novara 2014

*http://www.unipd.it/ilbo/content/i-manoscritti-ritrovati-di-verga

Dentro il romanzodi Sebastiano Leotta*

Giovanni Verga, autoritratto 1887

Ricerca L’edizione critica de I Malavogliaa cura di Ferruccio Cecco da Interlinea

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Cronopios

spagine

“Cronopios e famas”. Chi sono questipersonaggi inquietanti e bizzarri diCortazar? Quelli che stanno nel librogiudicato da molti il suo capolavoroassoluto? Italo Calvino era uno chequando scriveva lo sapeva fare vera-

mente. Allora lo faccio dire a lui. Sono tesi e an-titesi, volo e cammino faticoso, sorriso e tristeconsapevolezza dell’oggi. E mentre scrivo invi-dio Calvino per come sa scrivere. E’ uno di quelliche quando l’hai letto ti tocca dire “ma perchénon l’ho scritto io?” Però… a ciascuno il suo. Ac-contentiamoci del nostro orticello. «I cronopios e i famas, due geníe d'esseri cheincarnano con movenze di balletto due oppostee complementari possibilità dell'essere, sono lacreazione piú felice e assoluta di Cortázar. Direche i cronopios sono l'intuizione, la poesia, il ca-povolgimento delle norme, e che i famas sonol'ordine, la razionalità, l'efficienza, sarebbe im-poverire di molto, imprigionandole in definizioniteoriche, la ricchezza psicologica e l'autonomiamorale del loro universo. Cronopios e famaspossono essere definiti solo dall'insieme dei loro

di Gianni Ferraris

comportamenti. I famas sono quelli che imbal-samano ed etichettano i ricordi, che bevono lavirtú a cucchiaiate col risultato di riconoscersil'un l'altro carichi di vizi, che se hanno la tosseabbattono un eucalipto invece di comprare lepasticche Valda. I cronopios sono coloro che, sesi lavano i denti alla finestra, spremono tutto iltubetto per veder volare al vento festoni di den-tifricio rosa; se sono dirigenti della radio fannotradurre tutte le trasmissioni in rumeno; se in-contrano una tartaruga le disegnano una ron-dine sul guscio per darle l'illusione della velocità.Del resto, osservando bene, si vedrà che è unadeterminazione degna dei famas che i crono-pios mettono nell'essere cronopios, e che nel-l'agire da famas i famas sono pervasi da unafollia non meno stralunata di quella cronopie-sca».Quando i cronopios cantano le loro can-zoni preferite, il loro rapimento è tale che piùd’una volta sono finiti sotto un camion o una bi-cicletta; cadono dalla finestra, perdono quel cheavevano in tasca e persino il conto dei giorni.

Meditazione del cronopio:

«È tardi, ma menoTardi per me che per i famas,per i famas è cinque minuti più tardi,andranno a letto più tardi.Io ho un orologio con meno vita, meno casaE meno andarmene a lettoIo sono un cronopio disgraziato e umido».“…Mentre beve il caffè al Richmond di Florida,bagna il cronopio il suo biscotto con le sue la-crime naturali...”.

Sentirsi cronopios o famas? Essere qui ed orao vivere oggi svolazzando fra ieri e dopodo-mani? Vedere il mondo con gli occhi di uno diquelli che si dicono “pragmatici”, (quando sentequella parolaccia, un cronopio qualunque pensaad una brutta malattia che cancella le emozioni)oppure vedere le cose chiudendo gli occhi, conla forza dei ricordi che addolciscono i colori e leemozioni? E’ vero, poi cammini ad occhi chiusi. E’ vero,sbatti contro l’albero che sta corteggiando spu-doratamente il cespuglio lì vicino. E’ vero, è tuttovero. Però vuoi mettere la visione della realtà di-

o famas?

Lo scorso martedì 11 giugno, in contemporaneain tutte le librerie indipendenti d’Italia

a Lecce da Icaro Bookstore per la voce di Gianni Minervala lettura di Un certo Lucas di Julio Cortázar

con la traduzione di Ilide Carmignani per Sur EdizioniUn certo Lucas prosegue il percorso iniziato da Cortázar

con Storie di cronopios e di famas, con cui ha trasformato la letteratura in un mondo ludico e dissacranteNon è una raccolta di racconti, non è un romanzo

né un’opera di saggisticaPubblicato per la prima volta

nella sua versione integrale Un certo Lucas è piuttostouna collezione di bozzetti, di micronarrazioni

l’itinerario nel quotidiano di una personalità unicaChe racconti un ristorante su rotaie, un ricovero in ospedale

o la fine di una storia d’amorela prosa di Un certo Lucas è giocosa e ironica

un vero e proprio antidoto contro magniloquenza e solennità

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Spagine della domenica n°33 - 15 giugno 2014 - anno 2 n.0

Autori

o famas? storta? Forse solo contorta. Forse meno irrealedi quell’altra, quella fatta di numeri e caselle in-casellate?E poi, alla fine, quando anche i famas scopronoche spesso, troppo spesso “il vero è inverosi-mile” quando scoprono, giusto per fare un esem-pio banale, che un paese esporta armi neiterritori in cui manda guerrieri con armature e ar-chibugi e dire che vanno a “fare la pace”? Ah ilrealismo dei famas…..

Salento… i salentini per grazia ricevuta o percasta non ne sono esenti, ovviamente. Anchequi cronopios e famas. Il maestrale può essereun fastidioso vento, oppure un’opportunità pervedere il cielo terso standosene, nelle notti d’in-verno, in campagna a farsi congelare senza sen-tire freddo e guardare le stelle allungando lamano per toccarle una ad una. E riuscirci, e poi

appenderle sui rami di un fico e aspettare chearrivi Natale, accarezzare i capelli di lei chesogna il sogno di colorati palloncini volanti conattaccati bimbi che ridono…. Ah Cronopios.Oppure camminare in riva al mare vedendosbarcare pirati e guardando nocchieri maestosisulle loro navi. Forse vanno a scoprire continenticolmi d’oro e felicità. I famas invece… Lorostanno seduti sulla sdraio davanti allo stessomare pensando che, in fondo, la felicità sta solonelle canzoni ascoltate a San Remo. E sicura-mente hanno la testa appesantita dal vino dopoaverne bevuto mezzo bicchiere.Van Gogh che vendette un solo dipinto in vitaera un cronopio o un fama? Non abbiamo dubbi.E i “pazzi” sciagurati che invece di pensare alguadagno scrivevano odi che nessuno leggeva?“Tempo perso…” diceva il fama più vicino a loro.Ma il tempo non si perde mai così, invano. Una

coda all’ufficio postale può essere eterna e cru-dele, ma può diventare leggera come l’aria men-tre aspetti l’impiegata che ti chiami. E l’impiegataè spesso triste, raramente con un pacato sor-riso, però ben vestita perché “sono a contattocon il pubblico”. E quando lo chiamano “il pub-blico” il fama rivendica la sua intimità, il cronopioinvece offre due petali di viola alla signora dietroil bancone, anche se lei non sorride. Ed è ancorapiù leggera l’attesa se immagini che i bollettiniche ti trascini in mano siano aquiloni. Lo so, poidevi tornare con i piedi a terra. Ti tocca pagare.Però intanto hai scippato il tempo. Gli hai rubatola noia. Vuoi mettere la differenza? E cosa erano i briganti che facevano boccacceai piemontesi tristi e cupi?Non ne ho idea…. Forse non voglio, semplice-mente, parlarne.

Nella pagina precedente un edizione Einaudi di Storie di cronopios e famasSopra la copertina di Un certo Lucas e ad illustrare la pagina uno stencil dedicato a Julio Cortazar nelle strade di Buenos Aires

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spagine Spagine della domenica n°33 - 15 giugno 2014 - anno 2 n.0

D opo l’uscita del suo secondoalbum “‘Nta sta ruga” l’arti-sta calabrese ‘Ntoni Mon-tano, all’anagrafe AntonelloPascuzzi, è in tour per pre-sentare il suo nuovo lavoro

discografico basato su salde radicireggae/roots ma con uno sguardo attentoverso i ritmi della sua terra, la Calabria. Nell’intervista ‘Ntoni Montano racconta di sémettendo in risalto le novità.

Ciao ‘Ntoni Montano, sei al tuo secondoalbum ‘Nta Sta Ruga’, come è nato?“’Nta Sta Ruga” è un disco al quale ho de-dicato due anni di lavoro. Molto più intimo eintrospettivo rispetto al precedente “RightMood”, per quest’occasione mi sono presoil lusso di prendermi del tempo per curaremolto gli arrangiamenti e le tematiche.Anche la track list è stata concepita con uncerto filo logico in modo che arrivi all’ascol-tatore come una vera e propria storia da se-guire tutta d’un fiato. Sono soddisfatto delrisultato e del fatto che a molti risulti comeun disco maturo e raffinato.

Tante le collaborazioni che hanno impre-ziosito il tuo lavoro discografico, vuoiparlarne?Sì, dai produttori, alcuni dei quali comeDavid Assuntino aka Shiny D e Simone Em-pler con i quali collaboro da più tempo, aCatchy di Greezly productions a SKG,amico di lunga data che ha prodotto due deibrani più apprezzati dell’intero album. Inol-tre è stato interessante l’incontro con Ra-phael, artista che da sempre seguo eapprezzo. Affascinante l’incontro tra dialettoe versi della tradizione calabrese con le liri-che in patwa, ancora di più se servono adaffermare concetti universali come quelloche abbiamo affronto.Oltre a Raphael ha riscontrato molto suc-cesso la combo con Jovine,uscita comesingolo su Hitmania Spring 2013 – StreetArt- Urban Sound vol.1 , di cui è stato pro-dotto anche il video. Molto suggestiva è lacollaborazione con Loop Loona, per nonparlare del brano composto con l’amico fra-terno Eman, canzone che parla d’amicizia,arricchita dall’intervento del rapper di ori-gine marocchina Isham.

Come è nato l’incontro con l’etichetta

RedGoldGreen?Sono orgoglioso di essere uno dei coofon-datori di quello che in principio è nato comemovimento che avesse come scopo quellodi creare i presupposti di scambio e di con-divisione sia a livello artistico che umano,ma che man mano, e sempre con lo stessospirito, sta crescendo e si sta determinandocome realtà impegnata a promuovere e faremergere nuovi talenti della scena italiana.RGG è un collettivo composto da cantanti,producers, musicisti, dj e professionisti divaria natura che si impegnano a creare edare servizi a chi intraprende questa car-riera con serietà e passione.Perché i testi del tuo album sono preva-lentemente in dialetto calabrese?Il mio percorso artistico parte dalla musicatradizionale della mia terra. Da lì poi hofatto la scelta di continuare a seguire il“ruolo” di divulgatore di quella che è la tra-dizione ma semplicemente modificando co-dici. Il reggae per me è appartenenza eorgoglio per le proprie radici, quale migliormodo se non quello di farlo attraverso lapropria lingua.

Mondo Reggae

di Alessandra Margiotta

La copertina di Nta sta ruga

Reggae di Calabria‘Nta sta ruga, secondo album di ‘Ntoni Montano

Chi sono stati i tuoi artisti di riferimento?Tendo sempre a prendere spunto da ciò chea livello stilistico e di metrica mi desta piùstupore.Sono cresciuto anche con l’hip hop neglianni 90’, quindi sono un feticista del flow edelle rime geniali. Oltre ai mostri sacri gra-zie ai quali sono entrato in contatto colmondo del reggae, da sempre sono stato unfan di Shabba Ranks, Super Cat, CuttyRanks,Barrington levy e di tutti quegli artistiche tra gli anni 80 e i 90 hanno dato vita aquello che poi è diventato il dj style.Nella nuova scena apprezzo molto Busy Si-gnal, Konshens, Tarrus Riley e tutti quegliartisti che ce la stanno mettendo tutta perriportare il reggae sulla via maestra…

Dove è possibile acquistare il disco?“‘Nta sta ruga” si può trovare on line su ITunes e tutti i digital store, mentre da finegiugno sarà possibile acquistarlo in tutti inegozi di dischi e ai concerti, in una vestenuova. Una gold edition che conterrà dueulteriori brani inediti!

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D acnomania, Licantropia clinica,Hexakosioihexekontahexafobia,sono solo alcuni dei numerosi di-sturbi mentali e fobie selezionatiper la mostra "Disorder" - a curadi Cecilia Leucci - che trae il

suo elemento innovativo dalla selezione di pa-tologie psichiatriche per lo più ignote che per-metteranno di far luce su disturbi ed infermitàraramente presi in considerazione, in grado diaprire scenari d’indagine fortemente suggestivie proporre quesiti e riflessioni che spazianodall’arte alla psichiatria, compenetrandole e ren-dendole l’una lo specchio dell’altra.

All'interno degli antichi spazi di un ex manicomiopalermitano, le cui pareti sono impregnate dagliumori e dalla sofferenza dei “matti”, oltre ventiartisti provenienti da tutta Italia - ognuno con unbackground ed una storia artistica differente - in-terpreteranno svariate patologie mentali: chi conironia, chi partecipe dell'angoscia, chi sperimen-tando mezzi e supporti innovativi in grado di sti-molare i sensi dello spettatore e di trasportarloall'interno della malattia.

Come contraltare al trend dell’outsider art ov-vero l’arte dei “matti”, “Disorder” intende inda-gare la psicopatologia dal punto di vista del“sano”, facendolo immergere totalmente nellamalattia, contagiandolo, in un certo senso e ren-dendolo protagonista principale della propriaopera. Durante la mostra, ogni opera sarà af-fiancata da una “cartella clinica”, con una rela-zione sulla patologia: eziologia, sintomatologia,conseguenze fisiche e psicologiche. Le opere ele cartelle confluiranno in un catalogo che avràl'aspetto di un vecchio registro ospedaliero. Pertutta la durata della mostra saranno previstepresentazioni di libri sull'argomento ed un incon-tro su arte e disturbi mentali tenuto da addetti alsettore dell'arte e psichiatri.

Perché una campagna di crowdfunding?Perché le spese per una mostra sono numero-sissime, dalla pubblicazione del catalogo ai tra-sporti, inoltre le opere per quest'esposizionesaranno create ad hoc, l'evento ha quindi uncosto in più: un piccolo rimborso spese per gli

artisti, i quali - di solito - non solo non ottengonoalcun supporto per la produzione, ma spessosono invitati ad offrire il proprio contributo eco-nomico per partecipare alle esposizioni. Nellafattispecie i fondi raccolti con questa campagnaandranno a finanziare: produzione delle opere,trasporti ed allestimenti, grafica e stampa cata-logo, grafica e stampa cartoline, locandine emanifesti, ufficio stampa e comunicazione, affittie service.

Qual è lo scopo della mostra e perché offriresostegno?Lo scopo di ogni mostra dovrebbe essere quellodi offrire spunti di riflessione e stimoli d’appren-dimento. Molte esposizioni si manifestano comevetrine per artisti e curatori e non garantisconoalcun contributo artistico, culturale o educativo.“Disorder” vuole rappresentare una piccola fine-stra sul mondo delle patologie psichiatriche,perché entrarne in contatto può contribuire arenderle meno spaventose e più accessibili.L’arte è il mezzo didattico per eccellenza, ingrado di raggiungere e suggestionare chiunque;è per questo che si è scelto di creare una mo-stra nella quale i primi a mettersi in gioco fos-sero gli artisti.

Chi sono gli artisti attualmente coinvolti?Francesco Cuna, Alessandro Amaducci, Eleo-nora Manca, Giancarlo Micaglio, Gianluca Mari-nelli, Davide Russo, Marcello Nitti, FrancescoRomanelli, Luca Beolchi, Giammaria Giannetti,Jean-Paul Charles, Luigi Cannone, Mirco Mata-rante, Riccardo Gavazzi, Salvatore Masciullo,Lorenzo Romano, Mina D’Elia, Hernan Chavar,Luca Musacchio e Pierluca Cetera.

Per ulteriori informazioni?Si può contattare la curatrice del progetto, Ce-cilia Leucci per ricevere informazioni sull'evento,sull'organizzazione, sulla raccolta fondi e sullapossibilità di supportare "Disorder" come par-tner e/o sponsor, inoltre puoi seguire gli sviluppidel progetto tramite Facebook, cliccando su:http://www.eppela.com/ita/projects/818/disorder-mostra-darte-contemporanea

spagine Spagine della domenica n°33 - 15 giugno 2014 - anno 2 n.0

Arte contemporaneaUna campagna di crowdfunding per sostenere l’iniziativa

che avrà luogo negli antichi spazi di un ex manicomio palermitanoa cura di Cecilia Leucci

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spagine Spagine della domenica n°33 - 15 giugno 2014 - anno 2 n.0

in Agenda

Éin corso il percorso di lettura ad alta voce del libro di JulianBarnes, Livelli di Vita, Einaudi, 2013, gli incontri si ten-gono negli spazi del Museo dell’Ambiente, MAUS, Eco-tekne, Polo delle facoltà scientifiche dell’Università delSalento, a cura dell’associazione e presidio del libro, Ger-minazioni.

***Scrive Teresa Ciulli: “Chi si vuole unire all’ascolto è libero di partecipare.Non si paga nulla se non con la moneta, rara, in alcuni contesti addiritturafuoricorso, del desiderio di ascoltare; così che possa arrivare la storiadei primi aeronauti, gente vissuta fra due secoli, l’800 e il ‘900. Genteche ha messo insieme per la prima volta cose che non erano mai, maistate insieme, e da lì è accaduto il Nuovo, l’Altro. Un immenso e irrever-sibile cambiamento. Come ogni storia d’amore. Sono tre le vite che Bar-nes racconta: del colonnello Fred Burnaby, dell’attrice Sarah Bernhardt,del geniale inventore Félix Tournachon, conosciuto anche come Nadar,grande interprete dell’infanzia della fotografia.La nostra piccola combriccola di lettori è ospitata dal Museo dell’Am-biente, accolta dalla gentilezza e generosa disponibilità del prof. Genua-rio Belmonte, direttore del Museo; disposto a spiegarti cosa è quella liscadi pesce chiusa in una pagina di pietra morbida risalente a 10 milioni dianni fa; una pietra, quella leccese, quella delle sequenze degli angeliche si buttano dai cornicioni delle chiese barocche di qui, una pietra chetestimonia il passato relativamente recente di questo territorio, all’epocacompletamente sommerso da acque profonde, tanto da ospitare pescigrandi 16 metri, come l’unico esemplare al mondo di zygophisoster, del-l’esattezza del nome, ma anche delle dimensioni non sono affatto sicura;una “specie di specie” di enorme delfino. L’ingresso è libero e gratuito, vale però la puntualità. I prossimi due in-contri il 19 e il 26 giugno, cominciamo alle 17 e finiamo alle 19. Una formadi rispetto necessario all’obiettivo che vogliamo raggiungere: leggere adalta voce, per intero, il nostro libro: compiere fino in fondo il nostro viaggionegli appuntamenti stabiliti. Oltre domani, anche giovedì 19 e 26, aglistessi orari; allo stesso posto. Fra reperti, pagine di pietra, testimonianzefossili che ci arrivano da 70 milioni di anni fa. La storia che ci raccontaBarnes è di stamattina, manco, di un’ora fa, rispetto alla grande Casadel Tempo in cui la leggiamo, a voce alta.Per informazioni ulteriori, http://germinazioni.blogspot.com

Il dono dell’ascoltoIl presidio del libro Germinazioni legge ad alta voce

Livelli di vita di Julian Barnes edito da Einaudi

“Che cazzo mi saluti?”

Rispondo a questa piccola diffamazione a mezzostampa, perché sono stato attaccato direttamentepiù nella dignità umana che come tecnico. E propriocon la stessa umanità con cui una sera ho parlatoad Aldo Augieri, scrivo due righe perché sono unapersona e se non dovrei salutare almeno possoscrivere. Solo due cose. “Non potevate continuare a stare rinchiusi in quelposto, nella più totale illegittimità con le porte sem-pre chiuse e la paura che una qualsiasi ispezionevi potesse mettere in seri guai. Pensala così: questaè un’occasione per rinascere, ottenere di meglio erivedere il vostro rapporto con l’esterno”. Questo hodetto. Altroché “Dai Ragazzo ce la farai”.

E poi che cosa mai si può scrivere per rispondere aqualcuno che confonde la difesa di un privilegio conla lotta per i diritti? Il bene comune, gli spazi pubblicie gli spazi privati sono un intreccio che a volte offu-sca anche le menti più raffinate. Uno spazio privatopuò essere usato per scopi pubblici, il bene comunepuò essere un complesso di azioni che ognuno dinoi attua per non sentirsi solo al mondo ma è moltoimbarazzante quando uno spazio pubblico diventala casa di qualcuno senza alcuna regola e senzaneanche la dichiarazione ufficiale di un'occupazioneche avrebbe avuto di certo tutt'altro valore.

Ma alla fine uno spazio lo hai ottenuto. Non avevodubbi.

Juri Battaglini

Il nostro periodicoha pubblicatodomenica 1 giugnoun intervento di AndreaCariglia e domenica 8giugno una piccatalettera di Aldo Augierisulla “questione” dellospazio di AsfaltoTeatro all’ex Cnos.Di ieri la rispostadell’architettoJuri Battaglini.

Accade in città

Lo spazio pubbliconon è la casa di qualcuno

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spagine Spagine della domenica n°33 - 15 giugno 2014 - anno 2 n.0

C inque statue, tutte in pietraleccese e tutte sulla facciataprincipale della chiesamadre di Surbo. Tre angeliinginocchiati reggi-candela-bro (foto 1, forse inseriti

nella sede attuale in seguito alla risistema-zione settecentesca della facciata) e duealtre raffiguranti i “mori” (foto 2) che untempo reggevano la trave su cui era appesala campana (o le campane) dell'orologiopubblico della città.Queste cinque opere, in parte danneggiate,ricordano stilisticamente quelle dello scul-tore leccese Francesco Antonio Zimbalo(1567 – 1633 circa). I tre angeli sono collocati sulla parte som-mitale centrale della facciata, il maggiore alcentro, i due più piccoli ai lati. I due “mori”,a breve distanza dai tre angeli, sono invecesulla torre dell'orologio datata 1586 (nel fre-gio della stessa è inciso PUBLICI COMODI-TATIS 1586) e “appoggiata” sul latosuperiore destro della stessa facciata.I volti dei tre angeli, compatibilmente conquanto di essi oggi è ancora leggibile, sem-brano richiamare quelli che, nella chiesaleccese di santa Croce, sono sulla portaprincipale, opera documentata e datata(1606) dello scultore leccese (foto 3, in par-ticolare utile è il confronto fra le parti meglioconservate del volto dell'angelo sommitalesinistro di Surbo - nella foto 3, volto a destra- con quelle omologhe del volto dell'angelocentrale inferiore posto sotto lo stemma la-terale destro della porta principale di SantaCroce, nella foto 3 è il volto a sinistra). Un discorso simile si potrebbe fare ancheper i due “mori” della torre campanaria neiquali la struttura compositiva dei volti (gli zi-gomi pronunciati, le fronti corrucciate) edegli abiti ricorda i motivi analoghi presentiin alcune opere assegnate a F. A. Zimbalo(i panneggi delle vesti delle due statue dellatorre campanaria sono simili, per esempio,a quelli dell'abito dell'arcangelo che domi-nava, forse già a partire dal 1620, la fac-ciata della leccese chiesa di Santa Mariadegli Angeli). Il caso dei “mori” diventa particolarmente in-teressante in termini generali. Se fosse con-fermata la paternità esecutiva di essi a F. A.Zimbalo ci troveremmo infatti dinanzi alcaso in cui queste due statue, plausibil-mente eseguite con il resto della torre cam-panaria, potrebbero essere le opere piùantiche oggi note dello scultore leccese chenel 1586, anno inciso nel fregio della torrecome già ricordato, aveva circa 19 anni. Itre angeli di Surbo ricordano in più, per al-cuni loro elementi (come ad esempio le

vesti e la struttura anatomica delle braccia),i motivi analoghi presenti nei due angeli la-pidei che sormontano la porta principaledella chiesa madre di Novoli (Lecce). Alcentro, in alto, di questa stessa porta e inmezzo ai detti angeli è la rappresentazionelapidea scolpita a tutto tondo della VergineMaria con il Cristo bambino in braccio.I lineamenti di queste ultime tre statue nonsono più leggibili ma la capigliatura (per ilcaso dei due angeli) ritorna simile in operecerte di F. A. Zimbalo come gli angeli som-mitali che nell'altare di San Francesco diPaola (Lecce, chiesa di santa Croce) reg-gono gli strumenti della Passione di Cristo(anche il panneggio dell'abito della Ma-donna e del Bambino posti sul detto portaledi Novoli ritorna analogo nelle figure di que-sto stesso altare). La tipologia delle ali degli angeli di Novoli si

L'arte di costruire la città

di Fabio A. Grasso

Foto 1, i tre angeli inginocchiati

Diangeli e dimoriSurbo e lo scultore Francesco A. Zimbalo

ritrova inoltre simile nella già citata statuadell'Arcangelo Michele in Santa Maria degliAngeli a Lecce. Un'altra statua - raffigurante, come la pre-cedente, san Michele Arcangelo, attribuibilesempre a Francesco Antonio Zimbalo e col-locata nella chiesa dell'Immacolata a Miner-vino di Lecce - aiuterebbe molto aimmaginare come doveva apparire proprioquella appena ricordata che, analoga persoggetto, è collocata, come detto, non piùsulla facciata ma nella navata sinistra dellacitata chiesa leccese di Santa Maria degliAngeli. Anche quest'ultima scultura è infattifortemente danneggiata mancandole latesta e una parte del corpo (la strutturacompositiva delle sue ali è simile inoltre aquella che caratterizza gli angeli del portalemaggiore della Matrice di Novoli).

Foto 2, i “mori”

Foto 3, confronto

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spagine Spagine della domenica n°33 - 15 giugno 2014 - anno 2 n.0

Prenderà il via lunedì 16 giugno esi concluderà il 22 dello stessomese con una grande festa finaleil laboratorio di arte natura “Crea-ture dei Paduli”, condotto dall'arti-sta DEM, in collaborazione con la

docente Laura Basco. Rivolto a bambini dal 6 ai 9 anni, il laboratorio èpromosso dall'associazione Lua (Laboratorio Ur-bano Aperto) e rientra nel progetto “Gap, la cittàcome galleria d'arte partecipata”, finanziato daFondazione con il Sud, che si concentra sui“margini”, in questo caso territoriali, con unaserie di iniziative tra arte e sociale che campeg-giano su 6X3 collocati in alcuni luoghi strategicidella provincia.

Creature dei Paduli è una mappa navigabile sulweb che disegna una geografia fantastica delmondo del Parco Paduli, ne ricostruisce inchiave immaginaria la varietà e la ricchezza na-turale, facendo dialogare i segni pre esistenti coni nuovi landmark (nidi ecc).La scenografia e le storie di questo singolareregno saranno costruite attraverso un laboratoriodi arte natura che vede come artista in resi-denza, DEM, e come destinatari i ragazzi. I visi-tatori del sito potranno comporre l’itinerario delproprio viaggio immaginario nel Parco Paduli, at-traverso la mappa, consultando e storie e se-guendo le nature gemelle de Parco, quella reale

e quella straordinaria.L’esperienza si basa sulla necessità, per i ra-gazzi, di scoprire la propria realtà territoriale, inparticolare l’ambiente naturale, che in questa oc-casione diventa spazio laboratoriale, adeguatoalla sperimentazione di forme artistiche e di re-lazione. Al centro dell’attenzione vi è il Parco Pa-duli, la sua ricchezza e varietà.L’arte e la natura sono due mondi in continuodialogo fra loro, un universo di immagini, sugge-stioni ed emozioni che si intrecciano e suggeri-scono punti di vista sempre nuovi; la natura haispirato l’arte di ogni epoca e ne ha fatto il fulcrodella sua poetica in modo nuovo ed originale. Illaboratorio è uno spazio per sperimentare lacreatività, scoprire che nei materiali della naturaed in ogni altra cosa, si nascondono forme e sto-rie che aspettano di essere raccontate e l’arterappresenta lo strumento per narrarle.Sono previsti momenti di didattica ambientale,attività ludiche e di socializzazione, osservazionee raccolta dei materiali, attività di progettazionein gruppo mirate alla realizzazione di un’operad’arte con l’artista DEM (www.supranatura.org)con materiali naturali.

Info e [email protected] tel. 3358758545 - 3391687199

Dem saràfino al 22 giugno

nel Parco dei Paduliper il laboratorio

di arte natura che vedrà

la partecipazione di circa 30 ragazzi

tra i 6 e 9 anni in arrivo dai comuni

limitrofi

copertina Arte natura

Creature dei Paduli al via la residenza artistica di Dem