Spagine della domenica 62 0

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s p a g i n e Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri della domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0 PPP in una foto di Sandro Becchetti

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I dubbi sull’elezione di Sergio Mattarella di Gigi Montonato. La morale delle cellule da Marcello Buttazzo. Il ricordo di Silvio Nocera da Sara Nocera. Una riflessione sulle migrazioni di Maria Grazia Presicce. Lucugnano, Comi e le rose per Giuliana Coppola. Gianni Ferraris racconta l’ultimo libro di Pati Luceri sugli Internati Militari Italiani. L’abecedario di Costantini e Marzioni fa da spalla alle Asinerie di Paolo Vincenti che scrive anche del “fotti fotti” nazionale. Per le letture Giuliana Coppola legge Rocco Boccadamo e Oronzina Greco “La cultura dei Tao” di Antonio L. Verri. Rocco Boccadamo racconta la saga dei venditori di nocelle. La copertina è dedicata a due serate dedicate alle visioni di Pier Paolo Pasolini il 6 e 7 febbraio al Fondo Verri.

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spa gin ePeriodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un om

aggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

della domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0

PPP in una foto di Sandro Becchetti

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spagine

Sergio Mattarella è il nuovo Presidente

della Repubblica, però…di Gigi Montonato

Uno che in democra-zia dice non vi offrouna rosa di nomi,dalla quale sce-gliere il presidentedella repubblica, maun nome secco, eaggiunge che non

avrebbe accettato veti da nessuno, o è unfesso o agisce in un mondo di fessi.Come si fa a saperlo? Semplice: sequell’uno alla fine non la spunta vuol direche si tratta proprio di un fesso; se, in-vece, l’ha proprio vinta, vuol dire che è ilmondo che lo circonda ad essere abitatoda fessi. Ma in questo secondo caso nonsi può più parlare di democrazia. Quell’uno, che è Matteo Renzi, ha ordi-nato di votare Sergio Mattarella; e quelmondo che lo circonda ha eseguito. Dun-que, si capisce a chi spetta la qualifica difesso. Ora nel mondo che circonda quell’uno,per la carica politica che ricopre di altoprofilo rappresentativo, non può non rico-noscersi ogni cittadino di questa disgra-ziata repubblica, che aborre la qualifica difesso tanto quanto quella di dritto. Perso-nalmente mi sarebbe piaciuto che l’esitodella partita dell’elezione del suo presi-dente mi avesse risparmiato l’una e l’altraqualifica per sentirmi cittadino di una re-pubblica dove non ci sono né dritti néfessi. Così, purtroppo, non è stato. Pa-zienza. Ci sono stati altri nella storia diquesto paese prima di Renzi e altri ce nesaranno dopo a fare fessi gli italiani conmodalità diverse. Intendiamoci, il neoeletto presidente Ser-gio Mattarella è fuori discussione. Questi,come già accaduto per tanti altri suoi pre-decessori, potrà far conoscere negli annia venire una dimensione di sé diversa daquella finora nota. Nei presidenti della re-pubblica italiana spesso alla dimensionejekylliana è seguita, in senso anchebuono, quella hydiana. Segni, Cossiga,Scalfaro, Napolitano hanno saputo ge-

stire, ora in bene ed ora in male, le duedimensioni. Ognuno potrà dire quale equando in bene e quale e quando inmale. In politica tuttavia non si fa arte divinatoriae perciò Mattarella lo consideriamo perquello che conosciamo: un uomo della si-nistra democristiana, scaduto come poli-tico da un pezzo e congelato in uno diquei freezer- dispensa di lusso della re-pubblica in attesa di essere rietichettato,un grigio uomo d’apparato, mediatica-mente insignificante, nominato da quel-l’uno di cui si parlava in apertura non perla sua qualità ma per la sua inoffensività.Ad oggi, presunta, domani chissà.Berlusconi, uno che gli italiani li ha fattifessi, sia pure saltuariamente, per unaventina di anni, si è doluto per esserestato fatto fesso da Renzi. Ma come si fa– dico io – ad essere improvvisamentecosì fessi da pretendere che un lupo sicomporti come una volpe o viceversa? Civoleva tanta intelligenza per capire chenel momento in cui non ci fosse stato piùbisogno di certi numeri per far trionfare il“nome secco”, Renzi avrebbe fatto dasolo mandando a puttane patti veri o pre-sunti? Machiavelli ipotizzava l’ideale delprincipe in una bestia che fosse volpe eleone insieme, a seconda dell’occor-renza; non si può, sapendo di stare travolpi e leoni, non prendere le dovute pre-cauzioni. In politica è bravo chi vince,anche se lo fa mancando di parola. Losleale, chi inganna e vince viene osan-nato come grande, abile e capace, men-tre l’ingannato fa la figura penosa eumiliante del fesso.Ora Berlusconi prende scoppole e umilia-zioni a non finire. Condannato, decaduto,ridotto a mendicare una licenza di pochigiorni per espletare al meglio il suo eser-cizio politico, peraltro negatagli, speran-zoso che prima o poi qualcuno gliconceda la grazia, che lo recuperi allanormale vita politica, continua a credersiun combattente, mentre è solo un pove-

raccio, soldi a parte. Dà l’idea, in un con-testo diverso, di un Gheddafi insultato ecolpito a calci e pugni, a sputi e a schiaffi,prima di essere finito da quelli che per di-versi decenni aveva fatto fessi, come latelevisione ci fece impietosamente ve-dere qualche anno fa in Libia. Berlusconiè sotto linciaggio. E con lui tutto il suo se-guito di persone che hanno abdicato allapropria coscienza e alla propria intelli-genza per un malinteso senso di coe-renza e di lealtà. E con loro tuttoquell’elettorato, che per interessi, per cul-tura, per sensibilità non si riconosce nel-l’universo della sinistra, né moderata néradicale, né cattolica né atea e continuaa stare con lui. La questione, ché tale ormai è diventata,è come ora uscire dalla condizione difessi. Chi è a destra o chi di destra si ri-tiene non può più votare per quella for-mazione politica guidata da Berlusconi;non può riconoscersi più negli uomini checontinuano a tenergli stupidamente bor-done, non può continuare a querelarsiogni giorno per i torti e gli affronti subiti inuna mistica del piagnisteo. A nessunopuò imporsi una condizione di fesso sinedie. Ricordiamo che la parola jacquerie,che vuol dire sollevazione contadina con-tro i signori feudali, come accadde nellaFrancia del Trecento, prende la parola dalcontadino simbolo Jacques bonhomme,il contadino buono, aduso a subire senzamai ribellarsi, il fesso, insomma, che sadi essere fesso ma non sa ribellarsi equando alla fine lo fa succede il fini-mondo, appunto la jacquerie. Oggi, in Italia, non si può invocare unajacquerie a destra se non come metaforaper indicare una reazione forte e chiara,non più tollerante dei suoi inetti rappre-sentanti. I quali continuano a prenderesganassoni e a far prendere sganassoniai loro rappresentati solo per difendere unsignore, si fa per dire, che ormai, dopoaver fatto fessi gli altri, è in una condi-zione di fesso ad interim.

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della domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0diario politico

Letizia Battaglia - Omicidio di Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia. Palermo, 6 gennaio 1990.

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spagine della domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0

La ricerca sulle cellule stami-nali, nel mondo, procede ala-cremente. La medicinarigenerativa, verosimilmente,nel XXI secolo vivrà unapiena rivoluzione liberale.

Nonostante le promesse delle biotecnolo-gie, c’è chi pervicacemente continua ascatenare una falsa contrapposizione: dauna parte i sostenitori unicamente della ri-cerca sulle staminali adulte, ritenute “eti-che” o capaci addirittura di fare “miracoli”;dall’altra parte i fautori della sperimenta-zione sulle staminali embrionali, conside-rate da certuni “immorali”.Si tratta, ovviamente, d’una questionedogmatica, perché è evidente che scienti-ficamente tutte le strade vanno battute. LaChiesa cattolica ha una visione sullo Sta-tuto ontologico dell’embrione troppo rigida. Molti osservatori laici affermano che la co-siddetta “sacralità dell’embrione umano”basi la sua impalcatura filosofica su tesimolto fragili. Lo stesso Jacques Maritain,grandissimo pensatore cattolico, era cate-gorico nel prospettare che la supposta di-gnità antropologica dell’embrione umanofosse nient’altro che un falso filosofico. Avarie latitudini, si sperimenta sugli em-brioni. In Italia, vige per la famigerata legge40 del 2004 sulla procreazione medical-mente assistita, voluta fortemente dagli al-lora “devoti” berlusconiani e dall’agguerritoe trasversale “partito della vita”, un divietotassativo a manipolare embrioni autoctoni. Eppure, la speranza è una mansione pret-tamente umana, non è un artificio. L’Ame-rica, da un po’di anni, grazie alla lineainnovativa di Obama, ha dato il via liberaalla sperimentazione, nell’uomo, con cel-lule staminali embrionali. Fra i bioeticisticattolici c’è la tendenza a vedere come“ostinata” e “ideologica” la “pretesa” a ma-nipolare e a distruggere embrioni, “sven-tolando strenuamente la bandiera dellalibertà di ricerca scientifica”. La manipola-zione degli embrioni, però, non ha nulla diideologico, ma con carenze di risorse, conforzature religiose, avviene in alcuni partidel mondo semplicemente per motiviscientifici. Dagli embrioni, con opportune tecniche, sipossono ricavare cellule totipotenti, bam-bine, di fatto “immortali”, in grado di diffe-renziarsi in tutti i tipi di organi e di tessutidell’organismo.Le cellule embrionali sono cellule mallea-bili: non sono certamente la panacea chetutto risolve. Anni fa, il Nobel Renato Dul-becco dichiarò: “Gli embrioni sovrannume-rari possono rappresentare una nuovasperanza per i pazienti colpiti da malattieper cui non c’è possibilità di cura. La spe-ranza è il centro della vita. Non distruggia-

mola”. Nel nostro Paese, per ragioni con-fessionali, finanche la ricerca sugli em-brioni sovrannumerari congelati ètotalmente vietata per normativa. Da noi,è “più cristiano” buttarli nei water, nei la-vandini dei laboratori, o lasciarli morire inazoto liquido, piuttosto che impiegarli perla sperimentazione. Su questa nuova fron-tiera della medicina, la condanna dellaChiesa cattolica è netta: “L’utilizzazionedell’embrione umano riceve un giudiziocompletamente negativo non solo dallamorale cattolica ma da chiunque rispettil’individuo umano, la persona umana”. Cattolici e laici non sono ancora riusciti adedificare rudimenti d’una bioetica quanto-meno parzialmente condivisa. Soprattuttolo Statuto ontologico cattolico dell’em-brione umano è molto austero, lontanis-simo da quello laico, molto più morbido eflessibile, che trova comunque rispon-denza nella scienza embriologica. Su prin-cipi antitetici, conflittuali, è di fattoimpossibile trovare punti di contatto, vie dicompromesso praticabili. Negli Usa, l’amministrazione Obama, fi-nanziando la ricerca sugli embrioni confondi pubblici, ha seguito una condotta piùlineare, più coerente rispetto alle chiusure

Contemporanea

di Marcello Buttazzo

del predecessore George W. Bush. Gli uo-mini di Stato hanno l’obbligo di non pena-lizzare la ricerca scientifica. In un’ottica dietica pubblica, la scienza dovrebbe proce-dere sempre in quadri rigorosi, con ampigradi di libertà, senza venire frustrata daimpedimenti religiosi. E, forse, negli espe-rimenti di questi ultimi anni, in Inghilterra ein America, il problema etico non si ponenemmeno: pare che gli scienziati riescanoa ricavare cellule staminali embrionalisenza distruggere gli embrioni.Siamo all’inizio d’una nuova era. Lascienza s’instrada per tentativi e fallimenti,prima di giungere a qualche successo ap-prezzabile. Una questione che si pone di-rompente è la socializzazione delleconoscenze. Le aziende proprietarie deibrevetti sulle cellule staminali non dovreb-bero essere troppo chiuse, refrattarie allalibera circolazione e divulgazione delle no-tizie. Nell’era di Internet, è un controsensoassoluto essere proibizionistici, arroccatinei fortini delle proprietà intellettuali. La se-natrice a vita Elena Cattaneo, straordinariastaminalista italiana, ritiene che “in questocampo sarebbe necessaria una ricercapubblica più attiva. Una ricerca, cioè, con-dotta nell’interesse del malato”.

La moraledelle cellule

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La vita bambinasui sentieri di cave,

il mirto il timo il rosmarinoun paesaggio di sogno.

I fioronida coglierecon amore,

cibo degli dei.La vita contadinad’oro e d’argento

di sofferenza e di faticadi devozione e di terra.

Terra rosso sangue.Eppoi lei,

la sacra civettacon gli occhi dolci

di lucerna.L’animaletto familiare,

incontrato da Silvioprima dell’alba,

quando il cielo promette lucorie cadono gli ultimi

spaventi.

Marcello Buttazzo

spagine della domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0

Di papà e di Bellail ricordo

Silvio Nocera, Io e la civetta, Spagine edizioni Fondo Verri

di Sara Nocera

Scrivere di papà e per papà, è sempre un grande travaglio perme. Era così anche per lui, ogni volta che doveva dipingere.Aveva l’idea in mente, il soggetto, i colori, i materiali… Era tuttolì, a portata dalle sue belle mani, ma c’era una fatica interioreagli altri incomprensibile. Si isolava nei suoi silenzi e poi lenta-mente creava… Per voi, Silvio è un’artista; per alcuni, un amico;

per altri un conoscente, per altri ancora un collega. Ma per me è Papà… E nonè mai facile raccontare o parlare delle persone che si amano… perché l’amore,merita la preziosità dei “luoghi silenziosi”… Se ci pensate gli amanti (inteso come: prediletti per qualcuno) bastano semprea se stessi. E’ un incantatore papà… uno di quegli illusionisti capaci di magicheincongruità; come ad esempio far uscire della polvere di tufo da una tela, mo-dellare l’argilla, forgiare il bronzo e scrivere una favola sull’amicizia. Un'amiciziaelettiva inserita nello schema della favola, che ci ricorda che la realtà è ben di-versa. Però, come insegna l'esempio che ci dona, un racconto leggendario puòguidare una vita, basta crederci. Basta attraversare il mare che ci divide dal-l'ignoto e capire che la differenza non è un segno di sottrazione, ma uno scrignodi “addizioni preziose”.Una favola luccicante, per raccontare la cecità del pregiudizio e l'ottusità dellasuperstizione. In questo gioco di specchi e porte gemelle, a ognuno il turno di“riflettersi” e riflettere su legami importanti e trasformativi. A papà un giorno capita di "incontrare" Bella, e per un naturale destino lui vuolecrescere con Lei. Con "Lei" trova una vita nuova. E come sempre accade inqualunque innamoramento, Lui e Lei, si scoprono l'un l'altra, si raccontano l'unoall'altra, si arricchiscono l'uno dell'altra.Tutto splende, nel loro rapporto. Senza necessariamente aver bisogno di pa-role!Come se attraverso il loro “linguaggio segreto” scrivessero lettere d’amore perchi è invece incapace di trovar parole per i propri sentimenti. Papà inventa e crea amore: il suo amore per Bella e l'amore di Bella per sé. Ogni sua parola nuova suscita una nuova ”parola” di lei. E vale anche il con-trario: con i suoi gesti, con ogni differente stridio,Bella inventa e crea il proprioamore per lui. La storia dell'uno scrive la storia dell'altra e ne è scritta. Papà e Bella vivono in-sieme ancor più, che se fossero entrambi di carne.A che cosa può tendere di meglio, un legame d’amore?Mentre scrivevo di questo amore e del mio amore per lui (e vi assicuro, che ciho messo giorni interi) per qualche strana connessione inconscia ho pensatoall’attentato a Parigi di pochi giorni fa, e per qualche rara coincidenza fra qual-che giorno è il Giorno della Memoria. Forse perché questa favola evoca unapossibilità. La possibilità di integrazione e la capacità di Riflessione, intesacome un rimando di luce (conoscenza) in ciò che è sconosciuto e quindi “spa-ventoso”. È una storia di amicizia e di amore che oggi, diventa appello civile e morale inquesto momento storico, in cui la MEMORIA non ci ha concesso ancora nes-sun insegnamento. Papà e Bella ci offrono una zona franca, in cui scambiarsiemozioni, ricaricare il cuore e risollevare lo spirito. Nonostante la cultura abbiacostruito fra di loro una barriera invalicabile, (Bella nella tradizione popolare èsimbolo di malaugurio) le ragioni del cuore li ha uniti, allentando i ruoli, aprendola possibilità di guardarsi in modo diverso e progredendo verso una reciprocacomprensione.E non è forse quello a cui ognuno di noi, ogni più minuta parte del mondo, do-vrebbe anelare? Concludo con una splendida frase di Lao Tze che ci riporta a ciò che è il verosenso di ogni rapporto: “I legami più profondi non sono fatti né di corde, né dinodi, eppure nessuno li scioglie…”.

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spagine

D olore e sdegno mi op-primono e se non loverso su queste tersi,innocenti fogli non riu-scirò a darmi pace.Sono comunque con-

sapevole che anche dopo che questotorrente di emozioni, animandosi insegni indelebili, qui sosterà, stenteròa prendere sonno e il mio riposo nonsarà certo tranquillo.Ho l’animo in subbuglio e ogni mioistante è un fiume in piena di imma-gini di disperazione di una moltitu-dine di cristiani costretta a condurreuna vita di stenti, di fatiche inutili, didisagio, di angoscia, di abissale sof-ferenza e desolazione. Mi riferisco aquella multiforme umanità affranta evessata indotta ad un esodo forzatoche arranca e s’angustia e come unoscarabeo spinge fardelli di misericor-dia trasformati “in fagotti scelleratipuzzolenti d’ infamia e d’ obbrobrio”. Scarabei umani prostrati, rotolano za-vorre inumane per provare a dare unsenso alla vita e cercare di assapo-rare briciole di libertà! Ma come può l’essere umano dirsi “ci-

vile” e rimanere inerte di fronte a tantosfacelo? Come può questa società delbenessere, rimanere impassibile al-l’inumano stillicidio di cuori?Quanto è più dignitoso lo scarabeo equanto deve essere più piacevole perlui arrotolare e spingere quieto la suatenera palla di sterco!Mi hanno trafitto l’animo il cuore lamente le immagini documentariodella7 in tv nella trasmissione “For-tezza Europa”. Angosciata annichilitadisgustata son voluta, comunque, “re-stare” per riscontrare fino a che puntol’essere umano è INUMANO! L’uomo, spesso, è l’animale piùabietto e spietato che esista su que-sto suolo oltraggiato!E non si tratta di essere di un partitoo di un altro, di appartenere a correntie correntine diverse. Non c’è colorepolitico che regga e non aspiro a farparte di nessuno spiffero insulso, mirendo sempre più conto, però, chel’unica vera “corrente” tra gli uomini èquella truce dell’avere a tutti i costianche a costo del sangue e del sacri-ficio di chi non ha nulla per difendersi,se non la propria dignità di essere

uomo alla faccia di tanti politic-uominiche la rispettabilità l’hanno completa-mente persa dietro effimere facciatedi buonismo stucchevole. Continuo a interrogarmi come pos-sono i granpolitic-uomini stimarsi traloro, ossequiarsi e stringersi mani,ignorando le efferate umiliazioni chel’umano, semplice popolo di qualsiasirazza e colore è costretto a subire peril loro fare, spesso, insensato e dis-sennato.Avrei voglia di urlarlo questo livoreche non trova pace e dal profondo misconquassa, vorrei sputarlo in facciaa questa falsa europeaggine che con-tinua a difendere il nulla a parole,sprecando ingenti risorse per stupi-date, mentre là fuori un’umanità silen-ziosa s’affanna soffre muore.Dov’è questa sorda europa salvificache hanno a tutti i costi voluto? Oltreche sorda, è cieca, è illusoria se nonode le urla strazianti di quella tanta,troppa gente sfruttata seviziata co-stretta a imbarcarsi su fradici legni,spingere miserevoli “fagotti” per con-quistarsi il nulla e dopo questi sacrificiorrendi, è pure abbandonata a mar-

Tra cristianie politic-uomini

di Maria Grazia Presicce

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della domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0contemporanea

cire in campi lager diretti da squallidifiguri che sfruttano quest’esodo senzanessuna pietà, approfittandosi persinodell’altrui sfacelo. Quest’europa dal volto salvifico èpronta a proteggere solo la corte deisuoi componenti, perdendosi dietrostupidi cavilli di misurazioni di carotee banane mentre di là dalle loro con-fortevoli sale, per la gente comune, larealtà e tutt’altra cosa. E così, senza tregua, uomini donneragazzi vecchi e vecchie sdentate ecieche storpi malandati continuano aspingere balle, cercando di varcaresbarramenti, ammassandosi comemosche sul miele, ferendosi a sangue,mutilandosi, crepando per un pugno disogni. Sono tanti i muri della vergogna suquesto suolo che si dice “civile” e sonotroppe le tombe di chi non riesce ascavalcarli! E anche chi, dopo tante traversie, cela fa e immagina di aver raggiuntol’ambita meta, trova sì un po’ di ristoroper le sue membra spossate, ma in-vece della sperata serenità riceve solofatui aiuti e ancora patimento. Riman-

gono là in attesa, sospesi come animein pena in un purgatorio immondo, sirigano di lacrime amare i loro voltisgomenti e implorano misericordia aqualsiasi Cristo che dalla croce, purelui grida allo scempio, all’inganno. Siamo nel 2015, l’era del progresso

che invia satelliti a esplorare lo spazio,ma poco è mutato dal tempo di Cristose il politic-umano non s’accorge diquesto disastro e continua a concor-dare parlare parlare e sbafare intornoa tavole rotonde quadrate rettangolari,spoglie, però, di valide risoluzioni e al-lora mi chiedo davvero cos’è questaeuropa senza il rispetto dei semplicidiritti umani. Ma di quale umanità discutono suquelli scranni, intorno a quei lucidi ta-voli? Chissà se quando blaterano,hanno mai dinanzi agli occhi le faccedi quelle donne violentate, di queipadri affranti, di quei ragazzi indifesiche seguitano senza sosta a scap-pare, spingendo “fagotti” di dolore. Io, misera mortale che nulla posso senon dolermi, non riesco a togliermi dalcuore quei visi emaciati, quegli occhigonfi, quelli sguardi straziati, quelle

braccia tese nell’ultimo sforzo, queipiedi nudi graffiati scorticati, quei corpistipati sui battelli tra le onde, incolon-nati nel deserto tra sole e sabbia, ar-rampicati sugli sbarramenti, piegati aspingere spingere fino allo spasimo,ammassati come sacchi di crusca neicentri di accoglienza e non so capaci-tarmi come si possa rimanere staticidavanti a quest’umanità vessata. I convegni, intanto, si sprecano, i pre-senti si perdono dietro assurde con-getture, confabulano, polemizzanocon la pancia piena, l’orologio alpolso, il vestito impeccabile, le scarpelustrate e s’ergono a giudici su un pie-distallo arrotolando balle di parole perquesta umanità “grulla” che continua afantasticare, credere e sperare ancoranelle loro balle! Quanto sarebbe me-glio per loro e per tutti, se ogni tantocominciassero a tacere e meno appa-rire e, dando voce alla coscienza, ope-rassero. Solo quello dovrebbe essere,in effetti, il loro senso di dovere civileverso questa fragile umanità che at-tende!

Ad illustrare due fotografie di Francesca Speranza

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spagineIl rumoredella memoria

di Giuliana Coppola

“Il rumore della memoria”….ma come poteva una grumeccanica sentire il rumore della memoria? Invece, per-ché il rumore della memoria non è stato ascoltato da co-loro che la guidavano la gru? Perché hanno deciso di“non sapere, non vedere, non capire”? Perché? Se lochiede l’alberello superstite dalla decimazione di massa

qui, nel giardino di casa Comi a Lucugnano; se lo chiede mentresente ritornargli lungo il tronco sottile, brivido d’angoscia e di paura,ché, anche lui, d’un tratto ha capito che davvero era arrivato il mo-mento; gru meccanica, guidata da mano d’uomo, divorava ad unoad uno i suoi fratelli alberi, le rose sue sorelle e nulla rimaneva atestimone d’un’utopia, d’un sogno, d’un progetto, d’una speranza. Sulle macerie della seconda guerra mondiale era nato ed era at-tecchito quel giardino di rose, il giardino delle rose a Lucugnano,ad immagine del giardino delle rose di Parigi; chè là aveva vissutoGirolamo Comi, proprio ad un passo dal giardino delle rose, fre-quentato dai suoi amici, i poeti francesi; “i rosai di qui – biondo/clamore di calde spalliere/ di luce – vivai di raggiere/ di porpora eviola profondo…”.Versi su versi dedicati a un fiore simbolo di poesia, di giovinezza,del mistero racchiuso in un colore, in un petalo, in un profumo; edintorno alle rose, quasi a proteggerle, il glicine e l’oleandro, i viburnie i ligustri e i cipressi e il melograno; nei vasi, gli alberelli d’ulivo,testimoni anche loro dell’illusione d’un poeta.Si illudeva Girolamo Comi che la poesia avrebbe dato forza alle ra-dici della sua terra, avrebbe ingentilito e ricreato duro lavoro deicampi; olio e poesia, Minerva e Venere, a proteggere generazionipresenti e future del paese di Lucugnano, eletto a dimora d’armo-nia; quando arrivava febbraio, forte e deciso nella sua timidezza, ilprofumo delle viole annunziava il ritorno “dei violini del sole”…“Sento i violini del sole/ in archi – viola – di suoni/ ardere sulle co-rolle/ ed incendiarne gli aromi…”.Come fa gru meccanica, guidata da mano d’uomo, a sentire ru-more di memoria? Me lo chiedo oggi che qui, in un angolo ad os-servare l’alberello superstite, non posso neppure avvicinarmi aconsolarlo.Come fa a sentire rumore di memoria un paese che ha deciso di“non sapere, non vedere, non capire?” Intanto rumore di gru di-struggeva sinfonia di violini e profumo di rose che avevano il nomedi Maria Corti, Oreste Macrì, Vittorio Pagano, Rina Durante, Sal-vatore Toma, Stefano Coppola… la scrittura travolta dal silenzio.Ecco, in fondo, l’aveva già scritto Girolamo Comi, in tempi non so-spetti “Memoria – singhiozzo più spesso: - un ricordo del caldo diallora… mi risale l’ardore smarrito/ strozzato nel pianto del cuore”…Così è stato a Lucugnano… non sapere, non vedere, non capire epoi? Singhiozzo più spesso, memoria.

A Lucugnano si fa “sterminio” di rose nel giardino Casa Comi

Memoria - singhiozzo più spesso: - un ricordo del caldo di allora

nella valle di luce d’estarerutilante a traverso me stesso;

lago di azzurro scolpitonel riposo delle foreste -

mi risale l’ardore smarritostrozzato nel pianto del cuore -

Di tutta la flora beatad’allora, porto il profumo:(una bionda conca di ritmi

sprofondata nell’estate ubriaca) ...

Soggiorno lungo o passeggiatadi qualche istante: lo ignoro

il corpo è ancora tutt’orodi vegetalità illimitata.

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spagine

Come un giardino schiuso a me daccanto- di cui non toccherei fiore nè frutto -tu, respirando, in me generi un cantoche mi riempie e m’illumina tutto.

Gioia di un giorno, la tua ala tremanella memoria come se volessearricchire l’attesa del mio essered’una germinazione non terrena.

Tu sei la primavera che aspettavo,oh visione musica e figuradi un’arcana armonia da cui ricavo

l’essenza della mia gioventù futura:fremito di un mattino che m’investecon l’alito di tutto il suo celeste.

Girolamo Comi

della domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0accade nel salento

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spaginedella domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0

Dopo l’otto settembre 1943, l’armistizio di Cassi-bile l’esercito italiano si ritrovò sbandato, senzapiù ordini. Il Re e Badoglio fuggirono vilmentea Brindisi lasciando l'Italia intera senza guida. Imilitari avevano due possibilità: aderire alla Re-pubblica di Salò e rimanere alleati dei nazisti,

oppure prendere altre strade, ribellarsi, sbandarsi, salire inmontagna con i partigiani. La stragrande maggioranza decisedi abbandonare la sciagura della guerra e l’infamia del nazifa-scismo, solo il 10% accettò l’arruolamento nella bande di Mus-solini e Hitler, molti si aggregarono ai partigiani, chi riuscì tornòa casa, moltissimi vennero disarmati e considerati dai nazisti“prigionieri di guerra”. Per loro era valida la Convenzione di Gi-nevra, i nazisti, nella loro viltà, decisero di non rispettarla chia-mando i prigionieri IMI (Internati Militari Italiani) e deportandolinel lager, la Germania di Hitler aveva bisogno forza lavoro acosto zero. Infami nell'infamia.

Quanti furono gli IMI italiani ce lo dice uno studio di Pa-mieri e Avagliano: «In pochi giorni i tedeschi disarmarono ecatturarono 1.007.000 militari italiani, su un totale approssima-tivo di circa 2.000.000 effettivamente sotto le armi. Di questi,196.000 scamparono alla deportazione dandosi alla fuga o gra-zie agli accordi presi al momento della capitolazione di Roma.Dei rimanenti 810.000 circa (di cui 58.000 catturati in Francia,321.000 in Italia e 430.000 nei Balcani), oltre 13.000 perserola vita durante il brutale trasporto dalle isole greche alla terra-ferma. Altri 94.000, tra cui la quasi totalità delle Camicie Neredella MVSN, decisero immediatamente di accettare l’offerta dipassare con i tedeschi. Al netto delle vittime, dei fuggiaschi edegli aderenti della prima ora, nei campi di concentramento delTerzo Reich vennero dunque deportati circa 710.000 militari ita-liani con lo status di IMI e 20.000 con quello di prigionieri diguerra. Entro la primavera del 1944, altri 103.000 si dichiara-rono disponibili a prestare servizio per la Germania o la RSI,come combattenti o come ausiliari lavoratori. In totale, quindi,tra i 600.000 e i 650.000 militari rifiutarono di continuare laguerra al fianco dei tedeschi».

E il Salento leccese come è stato interessato dai deportatiIMI? Finalmente c'è materiale di studio, Ippazio Antonio Lucericon una colossale opera di 600 pagine ha elencato nomi,schede e numeri della sciagura. "Deportati Salentini Leccesinei lager nazifascisti" restituisce memoria e dignità a questi pa-trioti, i numeri impressionanti.La dettagliata presentazione di Maurizio Nocera inquadra sto-ricamente gli eventi, mette in fila le date della sciagura del ”se-colo più violento” il ‘900. In particolare ci ricorda come la storiadei campi di concentramento non fosse stata solo nazista, mariguardò l’Italia.

Estrapolo il passaggio di Nocera in proposito:“5 settembre 1938, R.d.l. n. 1390, Provvedimenti per la difesadella razza nella scuola fascista;23 settembre 1938, Rdl. n. 1630, Istituzione di scuole elemen-tari per fanciulli di razza ebraica;17 novembre 1938, Rdl. n. 1728, Provvedimenti per la difesadella razza italiana;15 novembre 1938, Rdl. n. 1779, Integrazione e coordinamentoin un unico testo delle norme già emanate per la difesa dellarazza nella scuola italiana;9 febbraio 1939, Rdl. n. 126, Norme di attuazione relative ai li-miti di proprietà immobiliare e di attività industriale e commer-ciale per i cittadini di razza ebraica.4 settembre 1940, Mussolini emana il decreto definitivo che isti-tuiva i primi 43 campi di internamento per gli ebrei, gli antifa-scisti, i rom e i sinti, gli omosessuali e i minorati. Furonoimmediatamente recuperati differenti luoghi di detenzione,spesso dei reclusori isolati dalle città e dai luoghi di vita civile.

È superfluo descrivere com’erano fatti questi luoghi di confina-mento, perché la letteratura in merito è molto ricca e basta fareun semplice clic su internet per leggere l’abnorme livello di mi-seria e di abbandono. In Italia furono alcune decine di migliaiagli internati nei 400 campi di concentramento prima di venirespediti nei lager nazisti tedeschi.Alcuni di questi campi sono ormai noti e su di essi non man-cano gli studi di approfondimento specifici. Eccone qui elencatialcuni: Agnone, Aosta, Alberobello, Ariano Irpino, Bagni diLucca (Lucca), Bagno a Ripoli, Bioano, Calvari di Chiavari,Campagna (Salerno), Casacalenda (solo femminile), Casoli,Castel di Guido (Roma), Città Sant’Angelo (Pescara), Civitelladella Chiana (Arezzo), Civitella del Tronto, Colfiorito di Foligno(Perugia), Corropoli, Fabriano, Farfa Sabina (Rieti), Ferramontidi Tarsia (Cosenza), Ferrara, Fertilia (Sassari), Forlì, Fraschettedi Alatri (Frosinone), Gioia del Colle (Bari), Isernia (Campo-basso), Isola del Gran Sasso, Istonio (Chieti), Lama dei Peligni,Lanciano (Chieti) (due campi, uno maschile e l’altro femminile),Lipari (Messina), Manfredonia (in un ex mattatoio), Montalbano(Firenze), Montechiarugolo (Parma), Monteforte Irpino, Nereto,Notaresco, Piani di Tonezza (Vicenza), Petriolo (Macerata)(solo femminile), Pisticci (Matera), Pollenza (solo femminile),Ponticelli Terme (Parma), Roccatederighi (Grosseto), Sasso-ferrato (Ancona), Scipione di Salsomaggiore, Solofra (Avellino)(solo femminile), Servigliano (Ascoli Piceno), Sforzacosta Son-drio, Tollo (Teramo), Tortoreto, Tossicia, Treia (solo femminile),Trieste, Tremiti (Foggia), Urbisaglia (Macerata), Ustica (Pa-lermo), Vinchiaturo (Campobasso) (solo femminile), Verona,Vo’ Vecchio (Padova).Il più noto fra tutti questi campi fu la famigerata Risiera di SanSabba a Trieste, in un primo momento classificato come campo

di Gianni FerrarisInternati Militari Italiani

Ippazio Antonio Luceri – Deportati Salentini Leccesi nei lager nazifascisti – Grafiche Giorgianni

IMI

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il libro

La resa di un soladato italianoe la copertina del libro

di polizia e di transito, dove si perpetrarono torture, esecuzionicapitali e lo sterminio di ebrei e comunisti (oltre 5000) infornatie cremati nel forno di cui era provvisto quell’impianto indu-striale. Altri campi di polizia e di transito verso la Germania fu-rono quelli di Fossoli, Gries e Bolzano e provincia, attraverso iquali transitarono più di 11 mila deportati italiani”…E così Ippazio Antonio (Pati per gli amici) elenca un rosario chepare infinito: 7158 nomi, cognomi, schede compilati da Pati.581 deceduti fra questi: 421 in prigionia nei campi di concen-tramento nazisti; 156 morti nei naufragi delle navi: Petrella, Do-nizetti, Oria, Sinfra partite dai porti di Rodi, Creta, Cefalonia,Leros, Scarpantos, Coo; 4 vennero fucilati mentre tentavano lafuga; 6 morti al loro ritorno in patria per malattie contratte acausa della detenzione.Queste ricerche hanno impegnato Pati per lunghi anni, ha spul-ciato archivi storici, Istituti Storici della Resistenza, Archivi Va-ticani ecc. e questo è suo il terzo volume dedicato agliantifascisti, partigiani, combattenti e deportati salentini.Come si evince dai numeri siamo di fronte ad una vera e pro-pria sciagura, una strage perpetrata con metodo. Gli IMI ven-nero ignorati per molto tempo, anzi, in molti casi, al loro ritornoin Patria, vennero definiti “imboscati” come dice Luceri nellaprefazione, invece, secondo l'autore, erano: “RESISTENTI, atutto tondo, pur essendo stati etichettati come “imboscati”, permolto tempo, con affermazioni a dir poco umilianti, offensive,ancora una volta disumane, soprattutto quando ci si accorgevache, per molti ma soprattutto per il potere costituito, il loro sa-crificio era stato inutile, come ha ben documentato il LazzeroRicciotti. Che non avevano collaborato con i nazifascisti ma non

avevano nemmeno impugnato un’arma per combatterli e con-tinuo, sempre con il Ricciotti, “I partigiani parlano nelle piazzedi combattimenti e di nemici sterminati. Gli scampati, invece,parlano soltanto della fame che li ha sterminati”.Un libro importante per la memoria, dedicato a quanti nelmondo stanno soffrendo la galera, le torture per una societàequa. Fra questi Luceri cita nella presentazione: “… i nomi diBIASCO Rocco di Alliste, COSTA Alberto di Alezio, COSTAUmberto di Matino ed ELIA Pantaleo di Vernole. Sono i nomi diquelli che non ce l’hanno fatta, essendo stati scoperti e pertantofucilati, durante il tentativo d’evasione…”.

Per quanto riguarda il prezzo il discorso è apertissimo, Pati Lu-ceri vuole diffondere e divulgare, scrive nella prefazione: “il librosi aggira intorno alle 600 pagine e il prezzo per un libro di talformato e dimensioni, nelle librerie si aggira intorno alle 100euro. Ho ricevuto un contributo di 2800 euro e ciò mi permettedi abbassare i costi di 28 euro. Ma la mia ricerca non è finaliz-zata a lucrare su chi ci HA DONATO la LIBERTÁ e pertanto lodiffonderò a prezzo politico. Mi si dia - come dico SEMPRE -quello che si può e si vuole dare e se qualcuno non può per-metterselo e ci tiene a farlo divulgare, LO CHIEDA GRATUITA-MENTE: (questo è il numero telefonico: 339.8277593)”.

Gli altri volumi di Pati Luceri editi da Grafiche Giorgianni: Partigiani, antifascisti e Deportati di Lecce e Provincia

Partigiani e antifascisti in Terra D’Otranto

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spagine della domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0

Mi marcarono come miserosi millantavano nei maestosi mantelli

nelle mense mangereccesi mostravano migliori

mielosi magnati del magazzino Mondo

Non negavo nullanon avevo necessità di noiosi notabili

ero nato naturalì mi nutrivo

lì negoziavo il mio nome.

Per molti ero nessunoper me ero nobile Mulo.

spagine

L’abecedariodi Gianluca Costantini e Maira Marzioni

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della domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0l’osceno del villaggiospagine

Asinerie“Ah, formidabile / Il tuo avvocato è pro-

prio un asino /no, certe cose non siscrivono / che poi i giudici ne soffrono”

Parole d’amore scritte a macchina - Paolo Conte

Nel numero precedenteparlavo di asini. In sensoproprio e in senso figu-rato, nel senso degli ani-mali e nel senso degliuomini. Dalla parte degli

animali, sempre. Infatti, come si fa a nonamare il simpatico ciuchino, non fossealtro che per solidarietà con la sua vitanon certo facile, maltrattato e angariatocome è sempre stato. Per quanto ri-guarda gli esseri umani poi, ce ne sonodi simpatici e ce ne sono di detestabili.Ma non sarei coerente e credibile se noncominciassi da me medesimo. Il miolibro “NeroNotte. Romanza di amore emorte”, pubblicato qualche tempo fa,contiene un certo numero di svarioni,grammaticali intendo, che tacer nonposso. A farmeli notare è stato il solito profes-sore del tempo che fu, di quelli che oggibisogna cercare col lanternino come fa-ceva Diogene: un professore vecchiostampo, rigoroso quanto severo, chesulla forma giustamente non transige eal quale porto in visione il libro sempretroppo tardi (ossia quando è già pubbli-cato), per paura del suo implacabile giu-dizio. Ebbene, anzi purtroppo, di fronte a“un idiota” scritto con l’apostrofo, “so-vrappensiero” scritto con una sola “p” e“orticarie” invece di “orticaria” (queste leperle collezionate da quello sciaguratomio libercolo), non ci sono scuse. Hai voglia ad attribuire la responsabilitàalla tipografia oppure alla casa editrice,a dire che di vere case editrici non esi-stono qui nel Salento, con un comitato dilettura e un editor preparato che eviti al-l’autore certe figuracce. Hai voglia a chiamare in causa il titivillus,cioè il demonietto delle tipografie (Anto-nio Verri ci intitolò anche una rivista),quel folletto dispettoso che porta i refusi,oppure ancora dar la colpa al computero alla trasmissione elettronica che fasballare i dati. La firma sul libro è mia e

mia la responsabilità di quegli strafal-cioni. Asino io, dunque, prima e più ditutti. Pagato questo debito di onestà in-tellettuale, passiamo alla categoria degliasini pubblici, cioè dei personaggi famosila cui asinità, a loro maggior danno,viene accentuata proprio dalla sovrae-sposizione mediatica: tanto più è in altola posizione che occupano nella scalasociale, tanto più sarà fragorosa la ca-duta. Ma così va la vita (“O quam citotransit gloria mundi").Avevo proposto ai lettori di scegliere fra itre personaggi più di spicco nella vitapubblica del 2014: Papa Francesco, Mat-teo Salvini e Matteo Renzi. Da un son-daggio molto poco professionale (nonsono mica la Ghisleri!) condotto fra i let-tori e gli amici, al primo posto assoluto èrisultato essere Matteo Salvini.Il super arrabbiato esponente della LegaNord, infatti, oltre a collezionare unaserie incalcolabile di errori grammaticali,lessicali e di organizzazione delle frasinei suoi interventi pubblici, dovuti forsealla foga con cui esala la propria vis po-lemica, ha conquistato il poco invidiabilerecord di politico che legge di meno nellamedia già sconfortante degli altri. Pre-messo che la nuova classe politica na-zionale, se l’ attentato alla consecutiotemporum fosse un reato, sarebbe giàtutta agli arresti, Salvini ha innescato inmondovisione una polemica con Renziproprio sui rispettivi livelli culturali. Nel suo intervento al Parlamento euro-peo,in occasione della chiusura del se-mestre di presidenza italiana, MatteoRenzi ha citato Dante Alighieri, esatta-mente il canto di Ulisse nell’Inferno. E su-bito cori di “buuu” si sono sollevati dallefile della Lega Nord. «Capisco che leg-gere più di due libri è difficile, per al-cuni...» ha velenosamente osservatoRenzi.E Salvini, di rimando, gli ha rinfacciato ilfatto di poter leggere perché nonavrebbe nulla da fare, mentre lui, novelloAtlante che porta il mondo sulle spalle,sarebbe impegnato tutto il giorno a risol-vere i problemi del paese. E come?Schizzando a velocità supersonica dauna trasmissione televisiva all’altra, damattina presto fino a notte inoltrata? Egli

infatti è, fra i leaders politici, il più pre-sente sui media. Ma per non farsi pas-sare la mosca sotto il naso, il“celodurista” Salvini, che è pure collegatopermanentemente in contemporanea sututti social network del globo, ha inseritol’immagine dei due ultimi libri cheavrebbe letto: “Sottomissione» di Mi-chelle Houellebecq e «Mondo nuovo» diAldous Huxley. Passi per Huxley ( ma ildubbio viene), ma come avrebbe potutoleggere il libro di Houellebecq (che im-magina nell’immediato futuro una Fran-cia conquistata dall’Islam con unpresidente musulmano) che era appenastato quel giorno distribuito in Italia? Let-tura veloce? “Ma mi facci il piacere!” . Il cappello con le orecchie d’asino dun-que è super meritato dal Salvini nazionalpopolare. E a proposito di asinerie televisive, da-vanti al confronto, svoltosi qualchegiorno fa nella trasmissione televisiva “DiMartedi”, fra Massimo D’Alema e MarineLe Pen, ovvero l’astro decaduto della si-nistra italiana e quello nascente della de-stra francese, chi, dico chi, non haimmediatamente pensato al noto dettopopolare “l’asino dice al bue cornuto”?.Peccato che il siparietto sia durato moltopoco perché poi la trasmissione condottada Giovanni Floris è tornata ad occuparsidi politica interna e di corruzione e ma-laffare. Il somaro, inteso come equide,ci fa sbollentare la rabbia e ci riporta ilsorriso (guardare in rete il filmato del-l’asino che ride per credere). Nel film “Asini” con Claudio Bisio, la sto-ria è ambientata in un collegio france-scano dove si trovano ragazzi un po’disagiati, asini a scuola, insieme ad asiniveri, e dove il protagonista Bisio vienemandato a fare l’insegnante di ginna-stica. Ma, come ho già scritto, ci sono so-mari e somari. Ci sono quelli simpatici,che ispirano affetto e tenerezza e ci sonoquelli antipatici,pedanti: la carota ai primi,il basto ai secondi. E quelli simpatici pos-sono decorare spillette, magliette e gad-gets vari ed anche aiutare l’uomomultiproblematico. infatti esiste la onote-rapia. Il ciuchino dunque sia la mascottedelle giornate più liete.

di Paolo Vincenti

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spagine

C apita di passare mattinate intere dietro allaburocrazia. La legislazione degli ultimi anni inmateria di semplificazione amministrativaavrebbe dovuto rendere la vita più facile alcittadino, invece l’ha complicata ulterior-mente. Ci vuole una marca da bollo anche per

andare al gabinetto. “Chi siete? Cosa portate? Un fio-rino!”. Come fotografava bene, questa scena esilarantedel film “Non ci resta che piangere” (già il titolo era profe-tico), l’ottusità del burocrate tipo il quale, quando non è acasa per malattia o a donare il sangue, ti presta attenzionee si premura di evadere la tua pratica solo se gli allunghiuna generosa mancia. Ma è l’Italia, bellezza, e il supermagistrato Cantone dovràfarsene una ragione (già uno che si occupi di lotta alla cor-ruzione con l’accento napoletano è un ossimoro, vogliamodirlo?). Certo, il politicamente corretto impone di non ge-neralizzare, per rispetto nei confronti di quei dieci onestisu un milione di mariuoli, e noi allora, che siamo sensibilialle minoranze protette, non generalizziamo (e viva la focamonaca!). Comunque nel fotti fotti endemico di questopaese, ognuno cerca di arrabattarsi come può. E imbrogli, malaffare, raccomandazioni e bustarelle hannotalmente inquinato il sistema che uno non pensa nemmenoche ci potrebbe essere un’altra via, diciamo più traspa-rente, per ottenere le cose. Chiunque dà per scontato checi si debba rivolgere all’amico, al compare, insomma al fa-cilitatore di turno, per ottenere qualcosa che gli spetta didiritto, e la filosofia del “ tirare a campare” sembra con-naturata al modus vivendi italiano.

Un giorno della settimana scorsa, mi trovo a Lecce perl’odioso quanto consueto disbrigo di pratiche amministra-tive. Quando è ormai mezzogiorno, dopo essermi scirop-pato tre file in tre diversi uffici, mi accingo a scalare ilquarto. “Scalare”, in senso letterale, poiché in mancanzadi ascensore, fermo per un guasto, devo percorre ben cin-que piani a piedi. Lungo i gradini essudanti in un’umiditàdavvero mefitica che conferisce alla tromba delle scale unodore nauseabondo, penso che prima o poi mi trasferiròin Svizzera o in Germania, insomma in uno di quei climifreddi e secchi del nord che ti riconciliano con la vita. “Bu-rocrazia” è un termine coniato nel Settecento dall’econo-mista Vincent de Gurnay, (da “bureau”, ufficio e “crazia”,potere). Giunto nella sala d’attesa dell’ufficio in questione,

trovo a precedermi un gruppuscolo disassortito di variaumanità. C’è l’anziana signora che in un deliquio mistico impiega iltempo recitando preghiere a mezza voce, il pensionato af-fetto da Parkinson che sfrega furiosamente il braccio sulcappotto liso, lo pseudo intellettuale che legge un libercolodi cui non riesco a intravedere il titolo. Un giovane ciccio bombo col cappellino, che assomiglia aChris, il figlio dei Griffin, solo che questo è marezzato eallupato e non stacca gli occhi dalle gambe generosa-mente accavallate della “gnocca” di turno. E su tutti si staglia giunonica lei, la vamp, una bambolonadipinta e vanesia, con minigonna e tacchi a spillo (comecavolo avrà fatto ad arrampicarsi sulle scale per cinquepiani..) che ascolta il vaniloquio di un ruffiano accompa-gnatore (capisco che i due sono insieme perché esibi-scono un unico numerino), un giovinastro ben vestito epettinato, che mi ricorderebbe un dandy fuori stagione senon ostentasse un atteggiamento alquanto effeminato. Ead una battuta di quello, la bambolona prorompe in una ri-sata uterina. Tutti volgono lo sguardo nella direzione deidue e nell’espressione del cicisbeo si coglie un moto di im-barazzo per aver destato quella malvoluta attenzione.Un avventore esce dall’ufficio e subito il pensionato tre-mens infila il corridoio per prenderne il posto. Altri stamiinfecondi di esistenza vanno e vengono. Poi è la voltadella Circe col suo Ulisse all’acqua di rose, ma l’attesa perme è ancora lunga. Non ho l’abitudine di smanettare coltelefonino se non il minimo necessario e dunque mi cercoqualcosa da leggere per poter ammazzare il tempo. Ma, aparte una copia spiegazzata del Quotidiano di Lecce, cheio ho già letto la mattina presto, sul tavolino malfermo dellasaletta giacciono, in ordine sparso: un “Oggi” vecchio diqualche mese, un “Vero” ancora più vecchio, un “Di più” euna ”Diva e donna” di cui non leggo la data. Ok, mi con-netto col telefonino. Apro e da “Il Fatto Quotidiano online”, su cui ho impostato da qualche tempo la mia homepage, leggo che l’Italia è prima in Europa per corruzione,sopra la Bulgaria e la Grecia, dati 2014.

La classifica, Corruption Perception Index, è stilata da unanon meglio precisata Transparency International, che ri-porta le valutazioni degli osservatori internazionali sul li-vello di corruzione di 175 paesi del mondo. L’indice 2014colloca il nostro paese al 69esimo posto nella classifica

di Paolo Vincenti

“Paese di zucchero, terra di miele/ Paese di terra di acqua e di grano/ Paese di crescita in tempo reale/ E piani urbanistici sotto al vulcano/

Paese di ricchi e di esuberi/ e tasse pagate dai poveriPaese di banche, di treni di aerei di navi che esplodono/

Ancora in cerca d'autore/ Paese di uomini tutti d'un pezzo/ Che tutti hanno un prezzo / e niente c'ha valore!”

Tempo reale – Francesco De Gregori

Nel fotti fotti

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della domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0l’osceno del villaggio

mondiale, come negli anni precedenti. La corruzione am-monterebbe a 60 miliardi di euro. Non so se questa cifra(riportata anche dal blog di Beppe Grillo) sia esatta. Infattisu “Corriere.it” c’è una secca smentita. Si tratta di una cifrainventata, dice il Corriere, che non si basa su dati scienti-fici tanto che anche il Segretario Generale delle NazioniUnite, Ban Ki-Moon, ne ha confermato l’infondatezza . Pur-troppo questa curiosa storiella continua a circolare dibocca in bocca, o meglio di media in media, e finisce peressere accreditata come ufficiale. Certo è che, se fossevera, o anche verosimile, sarebbe una notizia stratosfe-rica.Quante cose si potrebbero fare con 60 miliardi? Quante opere pubbliche si potrebbero completare? Quante strade, quanti asili, quanta nuova edilizia popolarein quartieri meno degradati? E quanta ricerca scientifica si potrebbe finanziare nellalotta a quelle malattie, come il cancro, che non hanno an-cora una cura certa? Viene il mal di testa. Invece di migliorare i trasporti pub-blici, eliminare le barriere architettoniche nelle città, creareservizi più efficienti, alcune migliaia di funzionari e politicipensano ad ingrassare alle spalle dei milioni di pirla cheinvece tirano la carretta. E si dedicano ai loro loschi affari,alle piccole e grandi convenienze, alle scalate a banche esocietà di Stato. Intanto guardo il presunto intellettualechino sul suo libercolo e penso che per avere successodovrei scrivere dei libri per quel genere di persone che,quando leggono, muovono le labbra. Escono la vamp in minigonna e tacchi a spillo con accom-pagnatore, ed entra il ragazzotto simile a Crhis Griffin chelancia un’ultima infuocata occhiata alla signorina tuttacurve.Ad un certo punto, mentre credo di dover ancora attendere, odouna voce oltretombale che richiama la mia attenzione. La vocefa proprio il mio nome. Ma mi inganna la tromba di Eustachio oè reale? Nessuno mi aspettava, o almeno nessuno dovrebbe cono-scermi in questo posto. Percorro il corridoio e mi sento un po’Fantozzi quando sale nell’ufficio all’ultimo piano del mega di-rettore galattico. Ad un certo punto, un viso conosciuto mi vieneincontro. Un mio vecchio amico, che è diventato direttore diquel posto e, avendomi visto entrare, ha pensato bene di favo-rirmi mettendomi un impiegato a disposizione. Lassù qualcunomi ama.

Dopo i convenevoli di turno, mi infilo nell’ufficio indicatomi. Ildepravato impiegato, che evidentemente non era al correntedella mia vista, spegne fulmineo il pc su cui stava guardandoun porno e si mette a mia disposizione. In breve, evado la pra-tica, ringrazio la mia buona stella e mi affaccio all’ufficio deldirettore per un ultimo saluto. “Entra, entra” mi invita l’amico eio penso che aver usufruito di una corsia preferenziale è statodel tutto inutile. “Come va, come va?”, mi si rivolge mellifluo. Così ci aggiorniamo sulle rispettive vite privare. Mi dice di es-sere spostato anche lui ma separato, con due figli piccoli. “Midispiace” asserisco, “sono cose che capitano. È davvero pre-occupante quanto sia aumentato il numero di separazioni e di-vorzi negli ultimi anni.” “Già”, fa quello con un’espressione tritae contrita. “Comunque io e la mia ex moglie manteniamo unrapporto civile, almeno fino a domenica scorsa”. “Perché, cosaè successo?” domando. “Sai, ci siamo riuniti per il pranzo. Ognitanto lo facciamo, per amore dei figli”. “Eh..” “ Solo che io hoavuto un lapsus freudiano e lei è montata su tutte le furie. In-vece di dire «Carla passami il sale», ho detto «Maledetta put-tana mi hai rovinato la vita!»”. “Urka!” strabilio.Si crea un silenzio di imbarazzo e, dopo un po’, quello inizia adigrignare i denti e quindi prorompe in una risata grassa “Masto scherzando, minchione, ahhhaahh! è una battuta, l’ho sen-tita ieri sera in televisione, a Zelig!”. “Ma vaffanculo!”. Il silenzio si squaglia come cera che ci cola sulle teste. Avevodimenticato, dopo averlo perso di vista per alcuni annetti,quanto questo amico fosse un buontempone e un amante deglischerzi pesanti. “Con mia moglie andiamo d’amore d’accordo”,mi rassicura, “ed è tutto ok!” “Bene”. Finalmente ci salutiamo e io mi metto in macchina per ritornarea casa. I dati sulla corruzione in Italia continuano a ballonzolarenella mia testa. “Ladri, ladri, ladri!”, una vocina esce dai pre-cordi ed ha la voce di Pannella. È davvero una vergogna de-tenere un primato del genere. Quel che è peggio, ma nonvoglio fare vieta retorica, è che questo sistema continua ad ali-mentarsi da sé, come dire per partenogenesi, nella connivenza,collusione, compiacenza di molti, e nell’acquiescenza, nella su-pina accettazione di altri ( “si è sempre fatto così. Munnu era emunnu ete”). È la mentalità della gente che dovrebbe cam-biare. Ma si sa, tra il dire e il fare c’è di mezzo “e il”, come di-cono Elio e le storie tese. Il paese dovrebbe cambiare con atticoncreti, dal basso, non con pistolotti come rischia di apparirequesto mio articolo. Così non si può continuare. Per dirla conCorrado Guzzanti , “per cambiare veramente le cose ci vo-gliono le idee. Io ci metto questa”.

“Italia si' Italia no Italia gnamme,

se famo du spaghi. Italia sob Italia prot,

la terra dei cachi”La terra dei cachi - Elio e le Storie Tese

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“Non possiedo galloni dipenna da richiamo, né,tanto meno, di fonte dicultura e di opinione.Sono soltanto un co-mune narrastorie… e

così osservo, rifletto su ciò che ac-cade: chiaramente, snocciolo unrosario senza fine di vicende, mi-nuscole ed enormi….”: questoscrive Rocco Boccadamo, in Spa-gine della domenica n. 60, par-lando naturalmente di sé e m’hafatto pensare, naturalmente, chese la Madonna di Marittima leggequesta spagina – anche la Ma-donna, io penso, s’interessa aifatti nostri – lei, la Madonna, riflet-terà su questa storia e non saràmolto d’accordo con Rocco; infatti,prima di lui, nessun narrastoriecon galloni di penna da richiamol’ha mai notata e quindi descrittasu trainella, mentre, davanti a pu-teca, gustava profumo di vino; chèlà sostava, attendendo mesciuMiliu; lui sì chè s’era bagnate lelabbra, parcheggiando Madonnasu trainella. Bastano i particolari,a volte, per guadagnarsi tanto digalloni al merito, perché non ci sistanchi mai di snocciolare que-st’altro “rosario senza fine di vi-cende, minuscole ed enormi” cheRocco Boccadamo ci regala e cheoggi ha per titolo “L’asilo di donnaEmma”.“Asilo”: chissà se deriva da auxi-lium, questo sostantivo; l’ho con-tinuato a pensare mentre, paginadopo pagina, incontravo le storie,i personaggi, i profumi di terra miae non solo, le sfumature dei montid’Albania, il sorriso di bocciolisenza tempo, Abano e l’abbracciodei fanghi mescolato all’abbracciodei ricordi; asilo – auxilium dellamemoria; la scrittura in aiuto allamemoria, perché non svaniscanostati d’animo, sensazioni, emo-zioni, il passo di un nipote alla sco-perta di mondi nuovi, mano nellamano del nonno osservatore e

narratore; in aiuto alla memoria sisnocciola il rosario di Rocco, chenon annoia mai perché non ècome un ripetere continuo di ave,padre e gloria, ma è un rinnovarsidi volti, luoghi, tradizioni e voci esinfonie, quelle che per un istantegli sono appartenute e che Roccodecide di regalare agli altri perchédiventino patrimonio di comunità enon se ne perda il profumo.Ecco perché, io penso, la Ma-donna della trainella di mesciuMiliu, di tanto in tanto se la va a ri-leggere la sua storia a pagina 79di “L’asilo di donna Emma”; ha vo-glia anche lei che tutto sa e tuttopuò, di staccare un attimo gli occhidal male del mondo; di sorridereun attimo e di pensare ad “unanotte leggera” prima che ritorni ilrito d’una processione, d’un canto,d’una preghiera; rosario di nostal-gie e di pensieri ed è ancora unavolta scrittura di Rocco che se liguadagna sul campo i suoi gal-loni, in questo suo andare con lamente, con l’anima e col cuore,lungo le strade dell’esistenza chenon stanca mai se si riesce aguardarla nella minuzia, appunto,di un particolare per scoprirequella smagliatura nella rete deimisteri che lei ci offre; così varial’esistenza da meritare d’essereraccontata; in questo momento miperdo nella nuvola di fumo delmezzo sigaro toscano che Stinu ‘uPativitu “gustava, fumava e con-sumava col contagocce”; ritorno aleggere la storia per risentirne pro-fumo; mi sarebbe piaciuto rega-lare a Stinu, giorno dopo giorno, lasua porzione di quel cibo che nonha mai potuto gustare, perché nonglielo permettevano i suoi spic-cioli….Un’altra pagina, fra le tante, daleggere e meditare e snocciolarecome grane di un rosario diverso,il rosario della vita.

di Giuliana Coppola

della domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0letture

Rocco Boccadomo, L’asilo di donna Emma, AGM

spagine

I galloni del narrastorie

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spagine della domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0letture

Lo scritto “ La cultura dei tao”, del 1986, composto peril catalogo pubblicato in occasione della mostra Lacultura contadina” curata dal distretto 42 di Maglie,mi spinge ad interrogarmi su quanto Antonio L. Verriabbia preso e interiorizzato dalla cultura contadinanella quale era nato e cresciuto (a Caprarica in pro-

vincia di Lecce).C’è, in questo testo(dalla scrittura piana e di agevole lettura) , lanostra gentecon le sue aspettative e le sue malinconie,la madrecon i suoi ammalianti racconti e i luoghi con le loro misteriose bel-lezze, popolatida esseri fascinosi e dispettosi. La gente di quiviene definita da Verri “ stupenda” e presenta “l’umore di questaterra, ad essa confida i suoi mali, le sue gioie, i suoi dubbi, le sueondulate tristezze”. I luoghi sono “paesi che sembrano piantati tragli ulivi, paesi dai pozzi profondi, dalle infinite cisterne per grano,per olio, per tutto…”.Cito solo questi, ma diversi sono i passi che parlano di gente eluoghi e la sensazione che ne ricavo, leggendo ciò, è che Antonioabbia colto il senso profondo della terra che influenza e plasma ilpensiero degli uomini e soprattutto il pensiero di chi sa racco-gliere, custodire e far rivivere echi e segreti che essa racchiude.Dalle narrazioni di questa gente, egli coglie lo spirito autentico eprofondo, il valore immenso e immutabile, il respiro della terra elo fa diventare mitico.La vita del piccolo paese contadino di Caprarica di Lecce, arche-tipo della vita di tutti i paesini, specialmente del Sud, in un certosenso lo ispira. Egli osserva e descrive tutto: gli ulivi, i rigidi inverni,il pane fatto in casa per distribuirlo il giorno di Sant’Antonio, ladoppia cotta di pane per i matrimoni, la fiera di San Marco, lesquadre per la monda… Da tutto questo prende l’avvio e, su que-sto, Antonio Verri costruisce, costruisce il nuovo.Dalla letteratura di questa gente egli prende “pane” e nutrimentoper la mente, per farlo crescere e vivere in altri posti e contesti,per creare stupore e organizzare eventi che aggregano e fannodiscutere. “Carismatico tessitore di nuove trame di fili rosso Sa-lento” dice di lui Raffaele Nigro in un articolo su “La Gazzetta delMezzogiorno”.

Osserva e ascolta! Ascolta i racconti, le storie di questa culturacontadina, la quale comunica con la forza, l’efficacia, il colore e ilcalore dell’oralità senza la mediazione della scrittura.

Scrive Verri: “Durano conti…Parole rugose, cantilenanti, sogni,costruzioni le più audaci (da far impallidire scrittori di profes-sione)… Ecco, durano i conti… e ci sarà sempre un povero favo-

lista a narrarvi di un cuecolo di neve che molto tempo fa dei ra-gazzi festosi, goliardi, furenti, cominciarono ad appallottolare nellapiazza bianca” .Nelle affabulazioni e con le affabulazioni, in questa cultura, passaanche la vita vera perché, oltre la durezza del lavoro, il sudoredella fronte e il sacrificio, c’è sempre la ricerca di un “altrove”, c’èsempre, in questo universo, la tensione di una ricerca, pur nel-l’apparente immobilismo, fosse anche solo per mitigare un’esi-stenza grama e difficile, per rendere più accettabile la fatica delvivere quotidiano.Cogliere, respirare, vivere, interiorizzare le storie di questo mondocontadino attraverso la madre perché “è lei la depositaria, è lei larappresentante di questo mondo” è stato naturale, per Verri, neltempo della sua infanzia e adolescenza così come è stato natu-rale far tesoro di tutte le storie che “sono cariche di quella lusione,…storie intorno al tavolo, col fuoco, …” e recuperarle, trasfigu-randole, e inserirle, mitizzate e trasformate, metaforiche e nasco-ste, negli scritti successivi.Osserva, ascolta, trasforma. Crea sogno e immaginazione.“Parlava, la mar, di freddo, di neve, mi raccontava la storia dei tregiorni della merla…io ci legavo il pane, la meraviglia della pastache cresceva”.La cultura della madre che è la cultura del mondo contadino diquesto nostro Salento dell’altro ieri, conserva e tramanda, ac-canto ad elementi di vita materiale, anche elementi favolisticicome i tao, spiritelli che vivono a mezz’aria, buoni e dispettosi cheincutono leggeri timori ma anche rispettose riverenze, elementidi cui ci si fida e che sono dappertutto: sui comignoli delle case,vicino al fuoco, sui campanili dei paesi. I tao, accompagnanoanche le storie dei “narratori di cunti”, le quali mitigano il dolore, idolori della gente comune, facendola volare con la fantasia versouna vita diversa, meno dura e faticosa, anche solo semplice-mente sognata.In tutto ciò Verri è stato “impastato” sin dall’infanzia; l’ascolto dinarrazioni semplici e complesse insieme, favolistiche, fantastichehanno senza dubbio aiutato a costruire, costituire il “sé narrabiledello scrittore-poeta di Caprarica di Lecce se è vero quello chescrive Adriana Cavarero che “ ogni essere umano, senza nean-che volerlo sapere, sa di essere un sé narrabile immerso nell’au-tonarrazione spontanea della sua memoria…”. La ricchezza, l’originalità, l’inventiva, l’estro dello scrivere di An-tonio Verri passano anche per questa via.

C’èLa culturadei Tao...

al FondoVerri, un audio libro

che è necessario acquistaree conservare nella propria

biblioteca per ascoltare la "fiaba" contadina

di Antonio L. Verri... e persostenere l'attività delFondo a lui intitolato.

di Oronzina Greco

La cultura dei tao in una fotografia di Santa Scioscio

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spagine

E sistono, nel Salento,due località, distintee anche un po’ di-stanti, che però for-mano un tutt’uno aifini dell’ambienta-zione, dello scenarionaturale e delle ra-

dici della semplice, antica e ancora vivastoria proposta in queste righe.La prima è Calimera, buongiorno ingreco, uno dei nove paesi, in un certosenso il cuore, della Grecìa Salentina,insieme di comunità e tradizioni ormaiassurto a notorietà internazionale, senon addirittura mondiale, sia per il parti-colare e straordinario substrato di cul-tura di cui trovasi permeato, sia pertalune eccezionali manifestazioni folclo-ristiche e di spettacolo, a cominciaredalla pizzica o ballo della “taranta”.L’altra è Marittima, luogo di nascita dichi scrive, piccolo e ameno paese delSud Salento, a ridosso di una costierarocciosa assai suggestiva e carica dimagici richiami e affacciato su distesed’onde che si snodano in un’autenticamiriade di colori e sfumature: come dire,un sublime abbinamento fra natura e ipiù delicati profumi che possano imma-ginarsi e gustarsi.Nella popolazione di Calimera risultaabbastanza diffuso il cognome Di Mitri.Immediatamente dopo la seconda

guerra mondiale, intorno al 1948-1950,arrivò a stabilirsi a Marittima, in una mo-desta abitazione ubicata dietro la chiesae presa in affitto, un omone sui cinquan-tacinque/sessanta anni, tanto robusto,quanto cordiale e buono, originario giu-stappunto di Calimera, tale Nicola DiMitri, esercitante un duplice mestiere.Venditore di nocciole, arachidi, man-dorle, ceci e fave abbrustoliti, semini,datteri e castagne; inoltre, acquirente diuova fresche (in dialetto, perciò, “ova-luru”) direttamente dalle famiglie, in sin-gole partite minute, finanche minime, aseconda del numero di galline che ogninucleo possedeva, uova che poi riven-deva all’ingrosso a industrie dolciarie.Nella nuova residenza, il buon Nicolasoggiornava spesso da solo, provve-dendo quindi anche alla cucina e allefaccende domestiche, mentre saltuaria-mente era raggiunto dai familiari, vale adire dalla moglie (ricordo il nome, Lucia)e/o da gruppi dei numerosi figli e figlie(mi vengono a mente Biagio, Gino e l’ul-timogenita Rita), che lo coadiuvavanonell’attività di “nuciddraro”.In realtà, la sua non era per niente unavita stanziale, bensì un girovagare pres-soché quotidiano, specie durante le sta-gioni miti, fra tutti i centri – cittadine,paesi e paesini – del Salento, nelle ri-correnze delle festività patronali e pae-sane in genere.

Si spostava mediante un traino, dalle al-tissime ruote a raggi, tirato da un pre-stante cavallo, attrezzato di cavalletti eassi di legno con cui allestiva la suabancarella, di lampade ad acetilene, bi-lance e una cassettina di legno dove ri-porre gli incassi e, ovviamente, fornitodi una serie di sacchi e sacchetti di iutae di cartone ricolmi dei vari prodotti (sa-pientemente mantenuti tiepidi grazie astrati di teli di iuta e di coperte incerateche li ricoprivano durante i viaggi), ven-duti agli avventori nei classici piccolicartocci di color marrone.Rammento un particolare: mandorle,nocciole, arachidi e la restante fruttasecca erano tostate con un procedi-mento naturale, lento ed efficace, all’in-terno di un vano in pietra, detto fornello,che sovrastava ciascuno dei tre forni alegna, per la cottura del pane, esistentied attivi nel paese. Nicola riponeva a ro-tazione la sua mercanzia nel fornello ela ritirava tranquillamente bella e prontadopo alcuni giorni: niente lucchetti,niente porte chiuse a chiave, bastavasolo l’occhio della fornaia perché tuttorestasse integro al suo posto, fino all’ul-timo semino. Davvero altri tempi!Con una bancarella a parte, più piccola,girava per le feste anche un fratello diNicola, Brizio: si potrebbe parlare,quindi, di una vera e propria piccola di-nastia di “nuciddrari”. Da notare che in

la saga dei nuciddraridi Rocco Boccadamo

Tra Calimera e Marittima

“Un girovagare pressoché quotidiano, specie durante le stagioni miti, fra tutti i centri – cittadine, paesi e paesini – del Salento,

nelle ricorrenze delle festività patronali e paesane in genere”

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tutte le località che raggiungeva, Nicola,grazie alla sua lunga storia di commer-ciante e alla stima di cui godeva diffusa-mente, occupava con la sua baraccainvariabilmente il posto più centrale ed“ambito”, attiguo alla “cassarmonica” sucui si esibivano le bande musicali, unpunto dove la gente presente alla festao transitava o si fermava.In verità, di venditori di noccioline, aparte Nicola (e il fratello), n’esistevanoaltri, ma quella bancarella emanava unasorta di speciale attrazione, quasi chefosse una calamita, sia per la simpatiadella persona, sia per la buona qualitàdella merce. Nei saltuari spazi tra unafesta e l’altra, Nicola – il quale, è benericordarlo, doveva mantenere una fami-glia assai numerosa, anche se talunicomponenti gli davano una mano – acavallo di una vecchia bicicletta e condue grosse ceste di vimini appese ai latidel manubrio, girava, più spesso a piedie raramente inforcando il mezzo, per lestrade e i vicoli di Marittima, richia-mando l’attenzione dei residenti con lasua voce possente:” Ove, ci tene ove!”.Ad ogni sosta o incontro con i paesanid’elezione, un saluto cordiale, una pic-cola chiacchiera.Chi scrive, da piccolo, la domenica mat-tina era solito sostare accanto alla ba-racca di Nicola e ascoltava i suoidiscorsi con gli acquirenti, talvolta fatti

anche di confidenze e particolari circa irisultati del suo lavoro e le sue sostanzefinanziarie. Di quei tempi, il massimo,come ricchezza, in un piccolo centro delsud, veniva considerato il possesso diuna somma pari a un milione di lire; eb-bene, un giorno, ricordo nitidamente,mentre si discorreva sul tema, il bravo“nuciddraro” ebbe a confessare che, senon avesse dovuto far fronte ad alcunigravosi esborsi per ragioni di salute infamiglia, anche lui sarebbe arrivato apossedere il mitico milione di lire.L’ultimogenita di Nicola, Rita, una bellae dolce ragazzona dai capelli biondo-rossi, era pressoché mia coetanea: tranoi correva una buona intesa confiden-ziale anche perché Rita si era innamo-rata, con la pudicizia dell’epoca, di unmio amico. Da allora, non l’ho mai rivistae, purtroppo, ho recentemente appresoche, ormai tanti anni fa, ancora giovane,se n’è andata con il suo sorriso: ad ognimodo, nel mio immaginario, lei trovasituttora presente e viva come la simpa-tica ragazza di ieri conosciuta e fre-quentata in tempi ricchi d’entusiasmo eappaganti, e ciò anche perché io stessomi sento esattamente, anzi null’altro cheun ragazzo di ieri.Da più lunga pezza, il capo famiglia Ni-cola non abita più, né a Marittima, né aCalimera; probabilmente, anzi ne sonopressoché sicuro, è salito a vendere

noccioline e ad acquistare uova nel vil-laggio degli angeli, con la sua banca-rella allestita tra esclusive luminarie difichidindia e in prossimità di uno chapi-teau di arcobaleni. Per chi è rimasto, larealtà bella e, diciamo così, miracolosaè che, in ogni caso, questa saga fami-liare continua a distanza di oltre mezzosecolo: nelle feste paesane che resi-stono e a cui mi capita di avvicinarmi, ri-trovo, infatti, allestita al solito nel postomigliore e con la mercanzia più gustosa,la baracca dei Di Mitri, con Gino, il gio-vane dei miei ricordi, e suo figlio Leo in-tenti a vendere.Certo, ora, essi non si muovono con iltraino, sostituito man mano da un motofurgoncino, un camioncino sino all’ul-timo comodo furgone, ma, per il resto,la scena ed il rito sono immutati. Oltreche nelle feste, incontro Gino e Leo, conla bancarella, puntualmente la dome-nica mattina nell’affascinante piazzettadi Castro città e, ogni volta, è per mecome fare un bagno nella distesa friz-zante e profumata della fanciullezza. Difronte, il fantastico spettacolo del Ca-nale d’Otranto e spesso le montagnedell’Albania come sfondo. Può essere, la presente narrazione, unospunto, a beneficio dei lettori, per even-tuali partecipazioni alle feste paesanedel territorio salentino e per una visita aCastro?

della domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0racconti salentini

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Le arti, il desiderio espressivo,si mischiano in “Tutto questoho trovato nascendo –Omaggio alle visioni di PierPaolo Pasolini” (Bologna, 5marzo 1922 – Roma, 2 no-

vembre 1975), le due serate che MassimoPasca e Mauro Marino propongono il 6 e il7 febbraio dalle 19.00, al Fondo Verri invia Santa Maria del Paradiso a Lecce, nelquarantesimo anno della tragica morte delpoeta.La poesia, l’illustrazione, la fotografia e an-cora la poesia in un gioco di rimandi tutti fi-nalizzati all’incontro. Sei componimenti diPier Paolo Pasolini - tratti da “Le ceneri diGramsci”, “La religione del mio tempo,Poesia in forma di rosa” - sono stati sceltie affidati - omettendo titolo e autore - ad al-trettanti illustratori; le matite e i pennelli Giu-

seppe Apollonio, Gianluca Costantini,Adriano Imperiale, Valeria Puzzovio,Chiara Spinelli hanno creato la materia peruna nuova ispirazione poetica… l’invito èstato “consegnato” a sei poeti: MarcelloButtazzo, Stefano Donno, Alessio Errico,Gabriele Leopizzi, Maira Marzioni e IlariaSeclì.Ma non è bastato… come tutti sanno le im-magini sono state materia fondante dellacomplessa poetica di Pasolini: il cinemapagina su cui scrivere la radicalità del suoimmaginario… Per rendere omaggio aquesta qualità che ha reso unico e singo-lare Pasolini nel panorama intellettuale ecreativo del suo Tempo ma anche dopo,sino a noi - Gabriele Antonio Albergo,Brizzo, Lorenzo Papadia e Giacomo Ro-sato sono stati invitati a dare ulteriori “luo-ghi” – con le loro fotografie - alle visioni

proste nelle due serate a questi si ag-giunge (nella serata di sabato 7 gennaiodedicata al cinema pasoliniano) Massimi-liano Manieri con la performance “Memoriadalle superfici: astinenza & redenzione”.Un percorso creativo di creativi per sostan-ziare l’urgenza di trovare nella contempo-raneità riferimenti capaci di chiarirla perdare energia alla necessità - sempreaperta - del cambiamento: «“Un essere nelproprio tempo, nel quale la retorica - stru-mento dell'argomentare, del persuadere,dell'insegnare, leva essenziale di ogni"passione e ideologia" - è esibita, non ve-lata, non nascosta, non lenita da strumentidi "sordina"». Si ringraziano per la collaborazione AdaManfreda per la scelta dei testi e GiuseppeArnesano per la nota critica che accompa-gnerà le illustrazioni.

Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Fondo Verri

esce la domenica a cura di Mauro Marinoè realizzato nella sede

di Via Santa Maria del Paradiso, 8.a , Leccecome supplemento a L’Osservatore in Cammino

iscritto al registro della Stampa del Tribunale di Leccen.4 del 28 gennaio 2014

Programma delle Attività Culturali della Regione Puglia2015 Artigiana - La casa degli autori*SpagineFondo Verri Edizioni

Un mostro senza storia,feroce della ferocia barbaricache compie le sue persecuzioni......tutto questo ho trovatonascendo, e subito mi ha dato dolore:ma un dolore glorioso, quasi, tantom’illudevo che il cuorepotesse trasformare ogni dato,dentro, in un amore unificante…Pier Paolo Pasolini, Il glicine da La religione del mio tempo

“Tutto questo ho trovato nascendo”

copertina spaginedella domenica n°62 - 1 febbraio 2015 - anno 3 n.0

in agenda

omaggio alle visioni di PPP al Fondo Verri il 6 e il 7 febbraio