Spagine della domenica 60

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sp agin e Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0

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In copertina Antonio Gramsci che sarà ricordato in un incontro giovedi 22 gennaio al Fv. Un riflessione su Papa Francesco di Gigi Montonato, sulla Lega che cerca il Sud di Marcello Buttazzo, sulla coscienza civica di Rocco Boccadamo. Un saggio sul mito del “buon governo” di Silverio Tomeo. Una nota sull’educare di lea Barletti e su “Je suis Charlie” di Giuliana Coppola. Per le recensioni Ilaria Seclì per Vito Antonio Conte e Marcello Buttazzo per Alessandra Peluso. L’Abecedario di Gianluca Costantini. Un componimento di Ilaria Secli e Antonio Zoretti che “legge” il film di Carlo Michele Schirinzi e poi ancora il risvegliar coscienze del “rap” sardo per Alessandra Margiotta, le “mille bolle blu” di Paolo Vincenti, l’andar per presepi di Giuseppe Corvaglia e un agenda ricca di appuntamenti…

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spaginePeriodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0

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spagine

Il nuovo cristianesimo

di Papa Francescodi Gigi Montonato

Un modello dipapa, evi-dentemente,non esiste.Ne abbiamovisti tantinella storia! Euno diversod a l l ’ a l t r o .Papa Fran-

cesco, dunque, è uno dei tanti. Maforse lascerà parlare di sé un po’ piùdegli altri. Non solo e non tanto per lesue dichiarate intenzioni di cambiare lachiesa quanto per il modo di farlo; esoprattutto per il suo linguaggio, conimmagini e categorie che gli vengonocosì strada facendo. Se si dovesse tro-vare un paragone per lui, dovendo at-tingere alla letteratura popolare, assairicca, si potrebbe definirlo un don Ab-bondio, un pievano Arlotto, un don Ga-leazzo, un don Camillo. Di ognuno diquesti archetipi ha qualcosa, in cui ad-dirittura è superiore.L’ultima sortita l’ha fatta nell’aereo chelo portava a Manila. A proposito del-l’eccidio parigino del 7 gennaio nellaredazione della rivista satirica “CharlieHebdo”, se n’è uscito con una battutache ha lasciato sconcertati tutti. Hadetto che se uno ti offende la mamma,si deve aspettare un pugno. Una robadel genere non sta né in cielo né interra, per lo meno non nel cielo di Cri-sto né nella terra dei cristiani. PerPapa Francesco i redattori della rivistahanno avuto quello che si meritavano,avendo offeso più volte Maometto.Un’affermazione di una gravità asso-luta, per quanto mitigata dalla subita

stereotipata contraddittoria afferma-zione, che comunque non si uccideper un’offesa. E vorrei vedere! Addio, dunque, al cristiano che porgel’altra guancia a chi gli dà unoschiaffo? Addio tolleranza cristiana?Addio cristiano perdono? La nuovadottrina di Papa Francesco è chiara:ad un’offesa bisogna rispondere con lemazzate. Così accadeva una volta perstrada tra ragazzi discoli. Se dovessepassare questa nuova versione “fran-cescana” della dottrina cristiana do-vremmo andare tutti armati. Papa Francesco ha un modo di esseree di parlare poco attento, che gli fa diredelle cose non pensate né ponderate.Lo stesso si diceva, ma a livello deci-samente diverso, di Papa Ratzinger,quando con alcune sue affermazioniprovocava risentite reazioni internazio-nali, che tanto hanno scandalizzato eallarmato gli intellettuali sofisticati diuna certa sinistra radicale. Il discorsodi Ratisbona ancora fa testo del suoessere avventato. Francesco parlatroppo senza pensare, Ratzinger pen-sava troppo prima di parlare.I soliti defensores del Papa, senza see senza ma, incominciano a venirmeno di ventose nei loro arrampica-menti sugli specchi. Tirano fuori il buo-nismo per non dire dabbenaggine oche parla alla buona per farsi megliocapire; danno la colpa alla scarsa co-noscenza della lingua italiana mentreesaltano i suoi neologismi, che altronon sono che improprietà lessicali de-sunte da una sorta di “spagnitaliano”,come chi non conoscendo l’italianoparla in poleto semplicemente italianiz-

zando il dialetto. Altri nobilitano la gaffe“francescana” con la preoccupazionedi mettere un freno alla satira sacri-lega, offensiva, oscena che colpisce isentimenti religiosi dei credenti, di qua-lunque religione essi siano.Ma c’è una tempistica anche negli in-terventi del Papa. Pur prescindendodall’altra sua storica uscita “chi sono ioa giudicare?”, finora non lo si è sentitomai dire mezza parola contro gli spet-tacoli osceni e indecorosi, contro il tur-piloquio pubblico e sistematico, controle gratuite e disgustose indecenzedella televisione. I suoi interventi mi-rano sempre a stabilire con la gente unrapporto di affetto e di simpatia, di gio-vialità e anche di comicità. Cerca sem-pre di far ridere la gente, di farsiapprovare, amare; denuncia una ca-renza di affetto ancestrale. Fa il durosolo con i preti, con la curia, contro cuitorna con accuse di vanità, di arricchi-menti, di agi e comodità eccessivi, dicorruzione. Come se le piaghe socialifossero tutte e solo nella chiesa. Tra-disce un astio covato per anni nellachiesa argentina; un astio nutrito dalpensiero al mondo dorato dell’Occi-dente romano.Toh, mi accorgo di aver preso le difesedei preti, nei confronti dei quali non homai avuto l’appetito del mangiapreti,ma neppure particolare benevolenza,anzi. Ma Papa Francesco incominciadavvero a renderli simpatici, deboli eindifesi.Non credo che i suoi defensores glirendano un buon servizio assecon-dandolo o esaltandone i limiti caratte-riali e culturali come se fossero qualità.

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della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0diario politico

Certo, attaccare il Papa è come pren-dersela con chi lo ha fatto, che sa-rebbe lo Spirito Santo. Il quale, daqualche tempo in qua, si distrae confacilità; o forse, più laicamente, sono leLoro Eminenze che non sanno più in-terpretarne la volontà. Un difetto di co-municazione, si dice in politica. Piùrealisticamente nel mondo complessoe complicato della chiesa cattolicahanno smarrito il senso di un ruolo,l’importanza del Papa, che non puòessere né un professore d’universitàné un parroco di campagna. La feliceeccezione di Giovanni Paolo II ha fatto

diventare regola l’elezione di uno stra-niero al soglio pontificio, rinunciandoalla millenaria consuetudine dei papiitaliani, che erano di altra prepara-zione, con altri vizi sicuramente maassai più esperti. E’ ben vero che la chiesa cattolica hatante realtà diverse nel mondo, chevanno tutte capite e rispettate. Ma pro-prio per questo è necessario che ilPapa sappia rappresentarle tutte.Un Papa come Francesco rappresentaegregiamente la chiesa latino-ameri-cana con tutte le caratteristiche politi-che, sociali e culturali. Come può il

Vescovo di Roma riconoscere nel giu-sto uno che invece di perdonare colpi-sce chi lo ha offeso? Me lo chiedo conl’angoscia di chi ha sempre ricono-sciuto in chi perdona uno spirito supe-riore rispetto a chi cerca vendetta, purriconoscendomi per carattere e culturapiù nella vendetta che nel perdono,che è prerogativa esclusiva di Dio.L’angoscia di chi si accorge di vederspenta una luce, che pure gli servivaper orientarsi nel buio della vita, ma-gari solo per prendere una strada di-versa per libero arbitrio.

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La Lega Nord, dismesse per il mo-mento le inammissibili idee para-secessionistiche, si proponeaddirittura di cercare consenso edi fare proselitismo a Roma e nelMezzogiorno.

Evidentemente, il Carroccio condurrà la suapervicace lotta non più contro “Roma ladrona”e contro gli “improduttivi” cittadini meridionali,ma prenderà di mira particolarmente gli inde-siderati migranti. Il segretario Matteo Salvini, inanticipata campagna elettorale, traveste la suapropaganda chiaramente xenofoba e vaga-mente razzistica con motivazioni economiche.In nome del mercato che tutto determina e tuttopuò, qualcuno vorrebbe sbarrare anacronisti-camente le porte agli extracomunitari, vorrebbeaddirittura respingerli o fermare in qualchemodo i flussi.L’ “inedito” concetto leghista, vecchio e obso-leto come un arnese in disuso, è il seguente:“Con tanti stranieri attualmente disoccupati,quante nazioni ne farebbero entrare altri?Nuovi arrivi di extracomunitari, che il mondo dellavoro non può assorbire, verrebbero ad inne-scare una pericolosa bomba a livello sociale”.Per attirare facile approvazione elettorale, c’èchi si candida come supposto e improbabile di-fensore degli “interessi” nazionali, ingaggiandouna spietata lotta intestina fra i più poveri, fragli ultimi della terra. Ma la piaga della disoccu-pazione è un grave, frustrante, invalidante pro-blema, che tocca pressoché tutte le latitudini,le popolazioni autoctone e quelle che vengonoda fuori. Anzi, i migranti, per una loro culturapiù morbida e più umile della nostra, sono di-sposti ad accettare lavori modestissimi, che gliitaliani solitamente rifiutano.Quanto sarebbe limitato e povero il nostroPaese senza l’apporto di genti diverse?Quanto sarebbe triste e poco armonica unaterra di confine senza la coesistenza di culture,di tradizioni di varia provenienza?Sul banco degli imputati devono essere messecerte concezioni economiche mondiali, che, in-vece d’includere e di assottigliare le sperequa-zioni sociali, invece di creare prosperità,crescita, sviluppo, possibilità per tutti, generanosolo vasti squilibri e dolorose sacche di esclu-sione.Da noi, sul banco degli imputati vanno collo-cate soprattutto le trascorse politiche popola-zionistiche inadeguate e securatarie, volutedalla Lega Nord quando era al governo. Unasuperiore ragione interpella a fondo e diretta-mente la coscienza d’ogni cittadino e delle isti-tuzioni. L’etica della responsabilità, che èmansione ineludibile, dovrebbe essere sempreguidata da un inesauribile senso di umanità edi solidarietà, al cospetto di migranti, che fug-gono da miserie, da guerre, da carestie, dapersecuzioni etniche.Un’umanità ferita, dolente, che scappa, premee chiede ospitalità. Il cammino del popolo er-rante deve essere certamente disciplinato, manon può essere frenato o frustrato da politichechiuse dal fiacco impatto, dal fiato corto. Chi haconosciuto gli odi, non può essere rifiutato dallaricca e opulenta civiltà occidentale.L’Europa delle banche e della finanza sovranasi è dimostrata inadeguata ad affrontare saggee razionali istanze immigratorie: non si può

continuare a eludere drammaticamente il pro-blema, a demandare ai vari governi nazionalil’onere gravoso d’una intricata questione.Anche la recentissima missione Frontex del-l’Europa nelle acque del Mare nostro è limita-tissima e deficitaria. In Italia, gli ultimi governisi sono adoperati per salvare le vite dei dispe-rati, che vengono da lontano. Ma, in passato,le istituzioni hanno fatto ricorso a misure insen-sate. Un passato governo Berlusconi, solerte-mente incoraggiato dalla Lega Nord, ha saputoconcepire inverecondi pacchetti sicurezza, as-surdi e orripilanti reati di clandestinità, Centri diidentificazione ed espulsione (già strutturati dalcentrosinistra in un governo precedente), an-cora più impraticabili, fatiscenti e invivibili. Ungoverno dell’ex Cavaliere, con Maroni ministrodell’Interno, ha avallato per un momento i fe-roci respingimenti in mare, ha stretto rapporti“significativi” con un dittatore come Gheddafi.Ciononostante, da noi, ha sempre allignatouna solidale cultura dell’accoglienza, della be-nevolenza, della misericordia, vivida fra l’opi-nione pubblica, la Chiesa, le tante associazionicristiane e laiche. Importanti esponenti del Car-roccio si sono sempre addirittura meravigliati

Contemporanea

di Marcello Buttazzo

Matteo Salvini

della missione umanitaria della nostra Chiesacattolica. Si può notare ancora un’altra dete-riore tendenza da aborrire tout court.Da anni, nel Belpaese, la mania politica domi-nante (di centrodestra e di centrosinistra) miraa supportare il “civile decoro”, a edificare città“dignitose”. Da tempo, in alcune città italiane,certe amministrazioni di vario colore partiticohanno avviato la caccia grossa al rom, al “di-sadattato”, al clandestino, in nome del vincente“rigorismo”, d’un supposto ordine. La Chiesacattolica, per fortuna, ha sempre mostrato unbel volto caritatevole. Un Cristo profugo, animaerrante, sofferente, batte e ribatte nel cuore ditanti uomini, lumeggia i giorni ordinari. LaChiesa cattolica, che per l’innanzi è madre, saspalancare le sue braccia, sa diventare sanguee cuore, sa consolare i derelitti. Perché i leghi-sti, avvezzi alla propaganda di basso livello, sistupiscono che i religiosi siano accanto ai rome agli immigrati? La povertà davvero è una“vergogna”, un “insulto”, una “minaccia” per lanormale e civile convivenza? E se comincias-simo a rispettarci un po’ nell’intimo, magari ten-tando di perdonarci tutta la nostra vita, cheresta comunque clandestina?

La Lega a sud

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spagine della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0la riflessione

L’ispirazione e le radici che sono sottintese a que-ste note vogliono partire da lontano e da un arco-baleno d’umanità, con correlati drammi,abbracciante i continenti a tutto tondo. Non solo11 settembre 2001, Iraq, Afghanistan, MedioOriente, Siria, svariati e disgraziati Paesi africani,

discriminazioni razziali, fondamentalismi e diatribe religiose, ca-restie, realtà diffuse di fame e miseria, ma anche ciò che fa nonparte dell’elenco esemplificativo, ma c’è.

***Non possiedo galloni di penna da richiamo, né, tantomeno, difonte di cultura e di opinione. Sono soltanto un comune narra-storie. Purtuttavia, sentendomi cucito addosso -per mero fatto naturale - un dignitoso abito di cittadino e iden-tificandomi quindi, nel mio piccolo, come tassello della colletti-vità, non mi stanco -è più forte di me- di guardarmi intorno.E così, osservo, rifletto su ciò che accade: chiaramente, snoc-ciolo un rosario senza fine di vicende, minuscole ed enormi, or-dinari fatti di cronaca, drammi e tragedie, col risultato cheorecchie e sentire interiore finiscono con l’essere, quasi ognigiorno, assordati da immagini e frastuoni di eventi, reati, delittie stragi, che si caratterizzano tristemente per via dei loro ecla-tanti contenuti o per la particolare scorza di crudeltà che, so-vente, li ispira e li avvolge. E però, ancorché una simile sequenza ravvicinata e incalzantedi azioni negative e crudeli valga a giustificare, in linea di prin-cipio, il sentimento di netta repulsione e di condanna verso lelosche figure degli autori, giammai, tale inferno, deve indurre,perché non è giusto, a generalizzare e a criminalizzare a tuttocampo con leggerezza.A motivo, anche, giova ricordarlo, che sulle strade del male edella devianza, non ci si imbatte solamente in gente venuta dafuori e da lontano, essendo i protagonisti in negativo, talvoltase non spesso, nati e cresciuti in mezzo a noi, in seno alle no-stre normali famiglie.A questo punto, mi sovviene il titolo di un articolo, uscito intornoa Natale di alcuni anni addietro, a firma del famoso giornalistae scrittore Enzo Biagi. Recitava: “E’ tornato Erode e la pietà èmorta”. Analogamente al sentimento che mi pervase di primoacchito all'epoca, mi viene ancora oggi spontaneo di dare attoa Biagi della puntualità e della profondità di pensiero offerte ailettori, attraverso tale titolo, proprio con riferimento agli accadi-menti che, ora come già allora, si susseguono senza soluzionedi continuità sul pianeta, sotto forma di eventi tragici, sanguinosie distruttivi.Andando a maggior ritroso, eravamo invece abituati a registraree a vivere fatti di carattere eccezionale, ossia a dire che la-sciano il segno, vuoi da diretti partecipanti vuoi da testimoni vi-cini o lontani, con scansioni non a ritmo costante e neppurefrequenti, nella mente e nell'anima ne registravamo la riso-

nanza e gli effetti grazie a processi fisiologici particolari, letracce dei medesimi episodi restavano realmente e profonda-mente impresse nel nostro interiore, tanto che, a lungo, ci ca-pitava di farne rievocazione, a guisa, davvero, di passaggicruciali e indelebili dei nostri ricordi e della nostra stessa esi-stenza.Adesso, ahinoi, come è noto, di sconvolgimenti, calamità, sfra-celli o catastrofi sensazionali, ne arrivano invece a ripetizione,in ogni angolo della terra. E questo, al pari di altre non pochesfaccettature su solchi di peggioramento, potrebbe leggersi einterpretarsi come un beffardo rovescio della medaglia in senoal processo di globalizzazione. Se siamo giunti al punto che la strada tracciata davanti all’uma-nità reca, più che segnali di diverso genere, muretti di lutti,ombre di distruzioni, impronte di disdegno assoluto della sacra-lità della vita e di disprezzo dell'esistenza del prossimo, bellaconquista ha compiuto la società del terzo millennio!Né importa se i pupari che preordinano ciò che accade agi-scono da soli o in scellerate congreghe, se si tratta di dittatorioppure di politici aridi o potentati economici e finanziari oppuredi tiranni assetati di potere oppure di singoli fanatici religiosi ofondamentalisti.Magra consolazione è aggiungere che la nostra coscienza nonpuò che rimpiangere taluni modelli di ieri, ma forse sbaglio, iocomune narrastorie, a parlare di coscienza: mi sa che, nell’am-bito della realtà che andiamo attraversando, la componente co-scienza, già costituente - consciamente o inconsciamente - labase fondante delle manifestazioni e dei comportamenti d’ogniessere vivente e pensante, sia andata a farsi benedire.Che peccato!Conclusione, di questi tempi, dunque, si può restare vittime in-nocenti a ogni piè sospinto e in mille modi differenti e inimma-ginabili; peggio ancora, la vampa del terrore che attanaglia nonpromana tanto dai drammi, uno per uno, che si succedono,quanto dal sospetto e dall'aspettativa della loro progressiva in-tensificazione e recrudescenza, sia come numero, sia come in-tensità di reiterazione, sia come dimensione e conseguentieffetti deleteri.Addirittura, finiscono con l'apparire unicamente un segno este-riore, non un autentico e concreto motivo di partecipazione edi solidarietà, iniziative del genere di lumini accesi, di selve dicartelloni, striscioni e slogan e, finanche, di riunioni dei respon-sabili di numerosi e svariati paesi tutto il mondo.Se il coinvolgimento si esaurisce, come sin qui accaduto, inbreve arco temporale, non appena rientrato il primo effettoemotivo, e, subito a seguire, gli interessi di parte, di schiera-mento e di natura materiale tornano a prevalere schiaccianti ri-spetto a linee di condotta e politiche mirate al vantaggio ebenessere comune.

di Rocco Boccadamo

Se non c’è coscienza...

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spagine

N ei tempi della crisi della democrazia e dellapolitica, in quelli della “solitudine del cittadinoglobale”, esiste ancora lo spazio pubblico perla politica locale? Ed ha ancora senso, oggi,il sogno del buon governo? Dico subito cheha ancora senso, prima ancora di tematiz-

zarne la problematica, considerando che esistono nel Paesereti di comuni virtuosi, vedi http://www.comunivirtuosi.org/,reti di comuni partecipativi vedi: www.nuovomunicipio.net/do-cumenti/statuto.html.Ed esistono buone pratiche amministrative, soprattutto in pic-coli centri dove le specificità, che sempre esistono, non ven-gono viste come eccezioni, ed il “globale” non viene rimosso.Le domande di fondo preliminare da farsi è: esiste oggi unospazio politico locale? esiste uno spazio territoriale, demo-cratico, comunitario, nei tempi travolgenti della globalizza-zione e dell’uniformazione? Dalla risposta a queste domandederiva la stessa possibilità di immaginare politiche locali, diavanzare nuovi modelli di democrazia partecipata e di citta-dinanza attiva, di costruire un’ agenda politica locale. Per ov-viare a queste difficoltà del lessico politico oggi si parlaspesso di “glocal”, cioè di quell’intersezione che definisce unanuova territorialità situata tra locale e globale. L’altra questione odierna è che le politiche di austerità, con ivincoli di bilancio che ne derivano, riducono di molto le fun-zioni classiche del governo locale, riducono i trasferimenticentrali, spingono all’aumento della tassazione comunale peri servizi. Con la crisi economico-finanziaria che perdura, cheincrementale diseguaglianze sociali, escludendo e precariz-zando, soprattutto i giovani. Le leggi 142/1990 e 81/1993hanno riformato poteri e modalità di elezione dei sindaci edelle amministrazioni comunali, con a seguire la legge120/199. Si tratta principalmente dell’elezione diretta del sin-daco, che passa da primus inter pares al ruolo diprimussolus,e che ha portato di conseguenza a una personalizzazione diquesto ruolo.Con il sistema maggioritario, variamente coniu-

gato in base al numero dei votanti,queste riforme istituzionalihanno stabilizzato maggioranze e minoranze, distinguendonemeglio i rispettivi ruoli. Dove non si incrostino blocchi di po-tere, storici o più recenti, questo nuovo sistema ha comunquefavorito la dialettica dell’alternanza verso una moderna de-mocrazia competitiva tra due o più schieramenti. La figura centrale in democrazia è il cittadino, ma il cittadinoè in primo luogo il cittadino socializzato. L’egoista e il familistarestano sullo sfondo se il processo democratico comporta lasocializzazione, l’apprendimento, l’informazione, la pluralitàe la cittadinanza attiva. “Il cittadino è l’individuo socializzatoa e nella sfera pubblica”, afferma Carlo Donolo, secondo cui“il buon governo è l’insieme di processi che cooperano allariproduzione allargata dei beni comuni”. Il buon governocome processo politico legittimo dei processi sociali, primaancora che come istituzione e amministrazione. Ed è più fa-cile capire cosa sia il malgoverno che capire come si possaaffermare e consolidare il buon governo. La società civile, le reti civiche, le associazioni, possono aiu-tare in modo determinante a riformare la politica dal basso.Sono decisive per connotare il microclima democratico chesi respirain loco, diventano costitutive della stessa sfera pub-blica. Le reti sociali ci ricordano che il processo democraticodeve avere un contenuto sociale. Il ruolo dei legittimi interessiorganizzati è parte della dialettica democratica, ma è l’esattocontrario dell’ irruzione di potentati economici in corto circuitocon la politica. Una nuova alleanza sociale e politica può le-gittimamente aspirare ad esprimere un’amministrazione lo-cale, su programmi, progetti, idee, per l’interesse generaledella comunità democratica. Nell’agire politico vanno distintilo scopo, il fine e il senso, scriveva HannahArendt, e lo stessoprincipio dell’agire. La crisi dei partiti ha spesso portato al loroevaporare, aridurli a comitati elettorali, a sterilizzarne il radi-camento sociale, a frammentarli in cordate e fazioni. Ciò no-nostante le alleanze civiche di liste locali, non sempredefinibili politicamente, vanno a formare a tutti gli effetti,

il saggiodella domenica n°59 - 11 gennaio 2015 - anno 3 n.0

di Silverio Tomeo

Politica locale e sogno del buon governo

Ambrogio Lorenzetti,Personificazione della Pace,

dettaglio dalla Allegoria del Buono e Cattivo Governo e dei loro Effetti

Palazzo Pubblico, Siena

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anche giuridici, veri e propri “partiti locali”. Se la dialettica lo-cale è giocata solo su bisogni corporativi, clientele, invadenzadi lobby economiche, si arriva a un gioco distruttivo e incom-prensibile di fazioni civiche che esprimerà amministrazionicon la barra dritta verso il malgoverno, quando non verso ilcommissariamento prefettizio nei casi più estremi ed ecla-tanti.Un governo locale senza adeguata rappresentanza equili-brata di genere dovrebbe insospettire, ad esempio. Un’am-ministrazione che non dà spazio al volontariato e che non sainterloquire con la società civile organizzata, con i sindacati,con i comitati di scopo, non esprime buon governo. Una so-cietà locale che non esprime cittadinanza attiva e nel casocombattiva, e che è invece soggiogata dal clientelismo e dallademagogia, che si affida al populismo dall’altoper confusi

progetti miracolistici di sviluppo in tempi di crisi economica,tende a chiudersi nel gretto particulare e non è in grado di di-fendere i beni comuni e la loro riproduzione per il futuro. Va da sé che movimenti collettivi, società civile organizzata,comitati civici, il mondo dell’associazionismo, le reti civichee sociali, sono il polmone della crescita culturale e del legamesociale, hanno la loro autonomia culturale, hanno tempi eprogetti indipendenti al di là delle scadenze elettorali e dellostesso orizzonte politico-amministrativo.

Riferimenti di studio possono essere: Donatella Della Porta,“La politica locale” (il Mulino, 2006)

Carlo Donolo,“Il sogno del buon governo. Apologia del regime democratico” (Et al, 2011)ZygmuntBauman,“La solitudine del cittadino globale” (Feltrinelli, 2008)

Siena, “Il bene di tutti” – Gli affreschi del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti (Siena, 1290 circa – Siena, 1348), particolare Allegoria della giustiziaL’allegoria domina la parte sinistra dell’affresco: è una donna vestita di rosso, che guarda in alto l’allegoria della sapienza di Dio, da cui riceve ispirazione.

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sull’educare

Senza parolineI nostri bambini imparano a

parlare perché noi parliamoloro. E imparano le parole,tutte le parole, anche le piùdifficili, anche in più lingue:non esistono parole per bam-bini e parole per adulti! Certonessuno si rivolgerebbe a un

bambino dicendogli: "Orsù, dispiegail tuo intelletto e predisponiti al-l'ascolto, che ti voglio estrinsecarecodesto concetto: allorquando ti ac-cingi ad attraversare la strada, è con-veniente che tu mi porga la mano,poiché grazie alla mia esperienza plu-riennale di persona adulta, sono mag-giormente in grado di controllarel'eventuale arrivo di un veicolo da en-trambi i lati, veicolo che, giungendoinatteso, potrebbe investirti e procu-rarti ingenti o addirittura fatali dannifisici" (anche per motivi di sicurezza:mentre gli teniamo questa dotta ora-zione, il bambino è da tempo finitosotto una macchina). Ma tra questodiscorso, e " Attento, strada, manina

a mammina, brum-brum cattive, ahiabua!", esiste un'altra possibilità:"Adesso dobbiamo attraversare lastrada, quindi dammi la mano, perchéè pericoloso, e se una macchina ti in-veste ti può fare molto male". Io nonho mai capito perché un bambino do-vrebbe essere capace di imparare"BRUM BRUM" e non "macchina" o"auto", "Bau-bau" e non cane, "Bua"e non "male" o "ferita".I bambini imparano con una facilitàsorprendente anche parole come "Ti-rannosaurus rex" o "Pterodattilo", senoi gliele diciamo, tanto quanto impa-rano il generico "dinosauro". Impa-rano "margherita", "tulipano", "rosa"così come imparano "fiore",Perché gli adulti mangiano, o addirit-tura pranzano o cenano, e i bambinifanno, per anni e anni, sempre "lapappa"?Che noia! Che barba! Che noia!E poi, scusate, ma anche il continuoabuso di diminutivi: parolina, manina,sederino... è stucchevole! Ma non vi

viene un attacco di iperglicemia?Ogni tanto va bene, ma ogni tanto! E'come con lo zucchero: troppo famale, anche ai bambini!Dell'idiozia e totale incompetenza pe-dagogica della casa editrice "Edicart"che ha in catalogo due diversi libricartonati per bambini "Paroline perbimbe" (naturalmente con copertinarosa) e "Paroline per bimbi" (natural-mente con copertina celeste), non vo-glio neanche parlare, poiché credo sicommenti da sé... soprattutto se uno,come me, ha già un attacco di ortica-ria ad udire "paroline", siano esse perbimbi o per bimbe.La discriminazione, prima ancora chedi genere, è già presente nell'insultoall'intelligenza (e al senso estetico,dato che la veste grafica è orrenda)dei bambini tout-court. In un mondo incui volano parolacce, si sprecano pa-roloni e si sussurrano paroline, ètempo di dare ai bambini qualcosache sia davvero alla loro altezza: PA-ROLE.

di Lea Barletti

spaginedella domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0

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Sono qui, osservo; ai miei piedi sentiero di sassi lu-cidi di fiume; sui sassi, nel sentiero, avanza pianoschiera di omini neri; curvi, a reggere, su spallefragili, cuori rossi come la speranza o l’amore,chissà; è l’opera lirica di Tonia Romano. Un fram-mento d’arte, io penso, uno dei tanti che oggi i

miei amici artisti offrono agli sguardi di tutti perché si rifletta sulsenso della vita racchiusa, a volte in una idea d’artista che di-venta espressione concreta. E d’un tratto i versi, quei versi “…nel cuore/ nessuna croce manca/ E’ il mio cuore il paese piùstraziato…”.Mi dico, San Martino del Carso, 27 agosto 1916, Ungaretti, ilpoeta soldato – chissà perché o forse lo so perché – mi ritor-nano sempre i suoi versi….”Di tanti/ che mi corrispondevano/non è rimasto/ neppure tanto”… “Di queste case/ non è rima-sto/ che qualche/ brandello di muro”….Mi dico, Parigi, gennaio 2015, Charlie… niente o quasi nienteè rimasto di un’idea di laicità… di tanti… non è rimasto nep-pure tanto.Ora io sono qui per strada, a Lecce, vado libera, quei versidentro, nel cuore nessuna croce manca, poi l’edicola e all’edi-cola c’è Charlie chè è vivo Charlie e ora è con me e leggo, su-bito leggo, che la poesia vede le cose e Charlie vede i pensierie allora io leggo “T’es heureux, Antonio? Moi, je suisheureuse.Normal, monmétier c’est rendreheureux. Et il n’y a rien de plusimportant.T’espas d’accoooord?” chiede Elsa ad Antonio Fi-schetti; ed è come se Elsa lo chiedesse a me che leggo, a noiche leggiamo; scrive, parla e sorride Elsa, a me che la leggo,a noi che la leggiamo; il suo mestiere è di rendere felici; ora,grazie ad Elsa, mi lasciano in pace i versi di Ungaretti; c’è Elsa,c’è Parigi, ci sono gli ebrei e di loro forse nessuno ricorda piùil nome, di tante case non è rimasto che qualche brandello di

muro, ma Charlie è tornato e dunque sono vivi gli ebrei, sonovivi nelle pagine coloro che non ci sono più, eppure ci sonograzie alla scrittura, ritorna l’ “enorme rire” di Elsa e di Charliee ora è ancora lui a parlare; lui a dire e a rassicurare “T’inquié-tepas, Mathieu, dansquelquessemaines tout serarentrédansl’ordre. Lesventesretomberont, lesaffichessurlesmursdisparai-tront, les gens se detesteront à nouveau, lespolitiquesnou-schierontsur la gueuledevantlestribunauxcommeavant, et tupourrasenfin te sentir unique.” “J’espére, Charlie, j’espèrevrai-ment…”.Se memoria cadrà, rimarrà l’idea ed ognuno di noi, nel nomedella laicità, si sentirà unico; il est Clarlie, je suis Giuliana, tues Nicola, il est Mauro, noussommesnous et noussommesen-corecescoeurs, questi cuori rossi da dove è partita la storia; icuori rossi di Tonia Romano, pesantissimi su fragili spalle diomini neri che arrancano su ciottoli ma poi i cuori diventano alie il passo si fa più leggero e si sale, si sale e i cuori ora sonofoglie, foglie rosse tra foglie verdi di un albero che è l’alberocreato da Tonia, a simbolo di un unico che diventa tanti perdarsi forza ed il cielo è azzurro; no, è grigio e a Parigi c’è ventoe piove ma Elsa sorride, per rendere felici gli altri perché è duraa morire l’allegria ed è dura a morire la speranza ed è forse “l’Allegria di naufragi” e tutti si è un po’ “vecchi lupi di mare”, lavita si sconta vivendo ma poi c’è sempre una balaustra su cuipoggiare la malinconia; oggi mia balaustra, ancora, è un cuorerosso che avanza su fragili spalle di omini neri; Charlie Hebdocon me; si va; son tornate a casa dalla Siria Vanessa e Greta;sia Eirene, sia peace, sempre; monmétier c’est de rendreheu-reux; il mio mestiere è di rendere felice, un po’, solo un po’, chiincontro.J’espère, Charlie, j’espèrevraiment….

di Giuliana Coppola

spaginedella domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0

pensamenti

Io sono io tu sei tu

Alcune immagini dell’opera di Tonia Romano

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spaginedella domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0

scrittura

di Ilaria Seclì

Pensieri su “Autonome valutazioni” di Vito Antonio Conte Luca Pensa Editore

Non sarà di certo

la pioggia

Ecco una creatura che scrive ed è sana, ride, èlaboriosa, prodiga, porta i figli a danza a boxe acalcio, lavora, ama, è figlio e padre perfetto, ma-rito. Ecco una creatura che scrive e prende dipetto la vita e usa spesso l'acceleratore mentrespara a tutto volume musica imprevedibile, note

che lo fanno sognare ma senza pose né troppe malinconie.Nessun fianco prestato al passato. Poiché non indugia. Comecolui che vive, vive senza tentennamenti né indecisioni. Sarà per questo, anche, che la scrittura di Vito Antonio Conteinsuffla vita, vigore, forza. Spinge ad andare dritti senza se esenza ma. Andare. È come assistere ad un reading con Kero-uac, Burroughs, Corso, Ferlinghetti, Ginsberg.E dalla città in campagna, dalla musica al silenzio più nero,dalla stregante cantilena leccese al moto dialettale con le suebestemmie. Da una performance a un whisky. Questo è VitoAntonio Conte, stordito e ammutolito dalle cose della vita,nuove fresche o antiche non importa. Cammina vicoli civilis-simi e sentieri di breccia con lo stesso rigore e la stessa forza,anche quando più nette e presenti si fanno le voci andate trariverberi di campane di paese o note di blues. Il graffio del ri-cordo non sgualcisce la presa sulla vita. “Per l'unico equilibrio

che davvero importa: l'armonia dei movimenti: terrestre e ce-leste”.No, non sarà certo un po' di pioggia a fermarlo. Anche se in“Autonome valutazioni”, il suo ultimo libro uscito con il fedelis-simo LucaPensa, c'è un po' più di penombra, ma è la stessache constata e usa il leone per elaborare un piano d'attaccomigliore e proficuo. Come la pioggia che poi fa tutto nuovo eno, ripete, non mi ferma. Incantevoli i movimenti dialettali, espressioni e cose nosce chesono traccia, faro, numi tutelari, pietre angolari di una civiltà edi presenze sante di provincia, ultimo baluardo contro il grigioipocritamente conformista e omologante.Poi, in chiusura e dopo le notissime, familiari lamentele di tuttisulle condizioni meteo, scrive: Per me l'importante è che cisono. Apprezzo qualsiasi tempo. Mi basta poterlo vedere. Es-serci. Entrarci. Se voglio, starci. Se credo, uscirne.E l'ironia, il gentile sarcasmo che sono suoi e sono anch'essidegni di nota, e graffiano e strappano un sorriso nella quartadi copertina: Ha deciso di omettere ogni nota bio-bibliografica.Vi basti sapere che i suoi libri sono letti in tutto il mondo, senzaessere mai stati tradotti...No, non sarà di certo la pioggia a fermarlo. Per fortuna.

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spagine

La parolaCosa sarebbe la quotidianità senza il dono della bel-

lezza? Quanto povera e asfittica sarebbe la vita or-dinaria senza l’apporto vivificatrice e nutrientedell’arte? Quanto limitati saremmo noi umani senon potessimo continuamente attingere al pozzo

senza fondo del desiderio, dell’attesa, della passionalità? Holetto, in questi giorni, la silloge “Ritorno Sorgente” ( LietoColle)di Alessandra Peluso. I suoi versi puliti, cristallini, d’uno sconfi-nato slancio vitale, sono davvero rassicuranti. Sono consolatoricome la buona poesia. E come la vera poesia sono portatorid’una incidente e forte musicalità. Musica del respiro. Sospirodelle corde. Ritmo di danza, che è nell’intendere filosofico diAlessandra. Le sue liriche sono un continuum, un soave canto, di gioia,d’amore. Di grazia. Senza abnormi artifici o ridondanze del pen-siero, i suoi versi colgono l’essenza vibratile dell’essere, sca-vano nel profondo, fino alle radici pulsanti. L’inno cantato condevozione filiale alla vita da Alessandra si può scorgere paroladopo parola, perché la poetessa è una donna sanguigna, chesa distinguere i beni essenziali e inalienabili dalle inutili e su-

perflue vestigia che appesantiscono. Alessandra è poetessadell’alba, del giorno e della notte, custode dei sogni. È poetessadella luna. E un raggio di sole per lei è un meraviglioso universoda scrutare con certosina pazienza. È una fine e sensuale can-tora dell’amore sentimentale, sfrondato dai suoi umori più tor-bidi, decantato, purificato, esaltato nel suo volto più scintillante.Dello sfavillio del mondo. Alessandra è una donna che sa emo-zionarsi davanti all’amore. L’amore bambino, stupito, messag-gio universale. Il suo cuore è un forziere di calie preziose, chearricchiscono il lettore e lo guidano passo passo sui selciati d’unardore rossosangue. Mi ha colpito particolarmente una sua pic-cola poesia: “La mia anima è risorta e scorre, come sorgented’acqua zampillante, ritorno sorgente”. L’anima di Alessandraè una fonte profumata, propulsiva. La poetessa, senz’altro, nelcorso delle sue vicissitudini terrene, ha conosciuto anche il do-lore, ma non ha stagnato in esso. Anzi, lo ha saputo trasformarein qualcosa d’altro. In bellezza seconda, nella possibilità di in-travedere nuove aurore frementi. Con piacere sfogliamo questolibro d’una fervente ed originale artista della vita.

Marcello Buttazzo

Ritorno Sorgente di Alessandra Peluso, Lieto Colle

della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0poesia

danza

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della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0

L’abecedariodi Gianluca Costantini e Maira MarzioniIspirava un innesto d'incantesimi

quell'inverno d'immobilità.Innaffiavo l'incavo

dell'immaginazioneimitavo

l' imbutoissato

irriverente elaconico

a lambirele linee

di quel limacciosolago lunare.

spagine

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della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0scritturaspagine

Quarto ReichNello sdoppio nel rovello che arrotina indigesti punti cardinali * mappa-mondi * suole dell’obbligo * ruggine e muffe di storte genesi nel dilemmamai chiuso mai espulso nato una volta per tutte dall’utero inetto infettodeficiente * primo parto di lamiere del primo treno * delle leggi di mam-mona * fatta salva nessuna maiuscola fatta salva nessuna rosa fatto salvonessun sacro né legame * fatte salve solo e per intero le marionette delcirco perverso pedine in coda coi loro numeretti * lo schiavo non superi loschiavo nel depositare se stesso nelle celle obitoriali di qualche invalidacomodità nelle graduatorie di qualche compravendita di titoli di punti diqualche preferenza * sostegno lingua divisa militare orfanità * nella gene-rale servitù di stato * nella tratta degli umani * nelle filiere lunghe * nellatratta Sole-Ade, nel ritorno mancato di Persefone, nell’avantimarche! dellafine, nell’avantimarscc globale, in quel che resta dei maestri frattaglie frat-taglie, frattaglie di affitti a metà stipendio signorsìsignore, frattaglie di ciboimplasticato signorsìsignore, frattaglie di loculi per casa signorsìsignore,frattaglie di comuni fosse padane signorsìsignore, frattaglie di esselunghesignorsìsignore, frattaglie di folle aliene signorsìsignore, frattaglie di trame avvoltoi signorsìsignore, frattaglie di musi ingrugniti e nonèunproble-mamio signorsìsignore frattaglie di morstuavitamea signorsìsignore frat-taglie di automi frattaglie di case al mare e in montagna, frattaglie disperanzebio frattaglie di happy hours frattaglie di solidarietà quotate inborsa * frattaglie di corpi frattaglie di dignità.Signorsìsignore

Coro: Per la figlia che ha e non ritorna, per la figlia amata e persa è lì in un cantuccio ha bruciato il grano è lì si lamenta ha fatto scura l’erba.

di Ilaria Seclì

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spagine

Cos’è quest’eterno rifluireIn spesso strato nebbiosoChe impedisce dio ai fedeli

E le alte fiamme A chi la rabbia le comanda

Il documentario di Carlo Michele Schirinzi si lega al simboli-smo per il suo carattere anti realistico, ma la sua qualitàprincipale risiede negli aspetti violentemente grotteschi eamorali dei personaggi e della storia, diretti a suscitare ef-fetti intenzionalmente provocatori. La figura centrale, C, ècompletamente esente da scrupoli e rappresenta l’epitomedi tutto ciò che Schirinzi ritiene vuoto, insensato e vile nellasocietà borghese, e di tutto ciò che è mostruoso e irrazio-nale nell’uomo. L’azione del dramma mostra come C sogni

di bruciare tutta la storia che non gli è propria, recuperando scolaturedi carburante da R, un amico ex benzinaio sopravvissuto tra i restidelle sue mura. Alla fine arderà solo il mare di quella intima strisciadi terra del Capo di Leuca, ma con la promessa di continuare le suenefandezze altrove. Opinione condivisa col terzo amico, S, bandista. Irrompono sulla scena tre turisti per contemplare le rovine, l’abban-dono, il naufragio esistenziale, i resti di ciò che è stato mancato, dasempre, le macerie che alla fine bruceranno anch’esse.Resti di cose che non ebbero mai un cominciamento, un ricordo diun natale, resti di che mai fu. La frase infine trovata dal ‘terroristaculturale’ appartato in un vecchio faro costiero, un habitat di cui haprovveduto a farsi eleggere guardiano, a seguito del suo fervore asfogliare e poi ritagliare da un grosso libro parole per formare mas-sime ritenute vane, evidenzia solo la sua indignata voluttà. Aspet-tando fiducioso l’insorgere del pensiero brillante, che tuttavia tardaa manifestarsi, un pensiero da lui devotamente sollecitato. Incre-mentando intanto epiloghi del suo ardire, con provocazioni intellet-tuali o omettendo o alterando il linguaggio opportuno. Financonell’ultimo messaggio inserito in una bottiglia e lanciato giù in mare,dove le onde scorrono a trasportarlo invano. Tanto nessuno lo leg-gerà. Così egli non ha nessun rimorso. Nessun rimorso può inquie-tare la sua coscienza. Al di là delle influenze che Carlo Schirinzi abbia potuto avere, il suodocumento può avere un buon seguito per la visione grottesca del-l’uomo che propone, e si può considerare un precursore del cinemadell’assurdo.I suoi personaggi, infatti, sembrano vivere in un mondo che ha subito

profonde devastazioni e pone tragicamente in discussione l’effettivaesistenza dell’umanità. Il regista non si preoccupa tanto dell’uomocome creatura politica e sociale quanto della sua condizione insenso metafisico. I suoi relitti umani sono generalmente isolati inuno spazio immaginario senza tempo, si torturano e si consolano avicenda, e si pongono domande a cui non possono rispondere.Sotto molti aspetti l’opera di Schirinzi riflette l’angoscia provocatadalla minaccia di distruzioni totali. Mentre opere di altri autori, neldenunciare l’irrazionalità del mondo, seguono forme drammatichetradizionali, il ‘nostro’ autore invece, pur assumendo una posizionefilosofica affine, modifica profondamente la struttura del linguaggiocinematografico. Impiegando una successione di episodi uniti sem-plicemente dall’argomento o dalla presenza di stati d’animo, e nonda una relazione di causa-effetto, arriva infatti a costruire una strut-tura filmica in grado di riflettere il caos che costituisce il tema fonda-mentale della sua opera, dove il senso dell’assurdo è rafforzato dallagiustapposizione di eventi incongrui che producono effetti tragici edolorosi. Inoltre, considerando il linguaggio verbale il caratteristicostrumento della cultura razionalistica, l’autore tende a dimostrare lasua inadeguatezza e lo subordina a mezzi espressivi non verbali. La produzione di Carlo Michele Schirinzi può esercitare una buonainfluenza sull’arte di oggi, soprattutto attraverso la sua visione esi-stenzialista. Negando la possibilità di codici fissi di comportamentoe di codici morali, verificabili, ponendo ogni individuo di fronte alladrammatica necessità di scegliersi i propri valori. Nella generale in-sicurezza che caratterizza i nostri tempi e luoghi, l’opera di Schirinzi,mettendo in discussione il conformismo che ha reso possibile la so-cietà piatta e borghese e predicando la necessità di esprimersi al-trimenti, può attirare un vasto pubblico.Non minore importanza hanno le opere del passato del regista, giàdisegnatore e fotografo raffinato, e che quindi quello visto oggi è ilrisultato d’un profondo processo maturato nel tempo. La cui conce-zione è esposta a sostenere che la condizione umana è assurda acausa della lacerazione esistente tra le speranze dell’individuo el’universo irrazionale in cui è posto.

Per il corno della mia pancia!Non avremo demolito tutto se non demoliremo anche le rovine!

Ora non vedo altro modo se non di equilibrarle una sull’altraE farne una bella fila di costruzioni in perfetto ordine

Ubu

di Antonio Zoretti

Il terroristaNote su I resti di Bisanzio di Carlo Michele Schirinzi

culturale

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della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0cinema

Due immagini dal film di Carlo Michele Schirinzi

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spagine

Da qualchetempo, il feno-meno delle la-vanderie agettoni si è al-largato e dalNord Italia hapreso piedeanche qui danoi al Sud.

Non c’è paese che non abbia almeno unalavanderia self service. Dici bubble washe pensi all’America, naturalmente. Tutti ri-cordano quel famoso spot della Levis tra-smesso negli anni Ottanta, in cui ilmodello Nick Kamen entrava in una la-vanderia a gettoni e, sotto lo sguardo stu-pito e imbarazzato dei presenti, sispogliava e metteva a lavare i suoi jeans,mentre in sottofondo andavano le note di"I heard it through the grapevine" di Mar-vin Gaye.All’epoca le lavanderie a gettoni non esi-stevano ancora qui da noi ma esistevanogià le lavanderie industriali. E dire lavan-derie industriali, per uno che è cresciutodavanti alla tv negli anni Ottanta, riportasubito alla mente un nome: quello di Ge-orge Jefferson. La serie “I Jefferson”, tra-

smessa dalle tv della Fininvest, era moltoseguita e riscuoteva un enorme successodi pubblico grazie ai siparietti comici fra ilsulfureo e intrattabile George ( star indi-scussa della serie) e la governante Flo-rence, con la moglie di lui, Louise-Wizzie,a far da paciera. Esilaranti anche i diverbifra l’inimitabile George e i vicini di casa,la famiglia bianco nera dei Willis, sui qualil’imprenditore (tipico self made man ame-ricano) esercitava la propria pesante iro-nia, definendoli “zebre” per il fatto che sitrattava di un matrimonio misto (un casodunque di razzismo inverso, esercitatodai neri sui bianchi). Inoltre, per sommodisappunto del vulcanico omino, il figlioLionel era fidanzato proprio con la figliadei Willis. Se volessimo andare alle origini del set-tore delle lavanderie, troveremmo le la-vandaie. Dal Medioevo fino all’Ottocento, non esi-stevano certo le lavatrici, e quello di la-vare i panni era un compito manuale edun’occupazione esclusivamente femmi-nile. Lungo le rive dei fiumi, dove si incon-travano per lavare il bucato, le donninechiacchieravano allegramente fra di lorooppure si scambiavano informazioni di

ogni tipo e molto spesso intrecciavanocanti della tradizione popolare. Il lavareinfatti è sempre andato molto d’accordocon il cantare”. E cadenzato dalla goraviene/ lo sciabordare delle lavandare/ contonfi spessi e lunghe cantilene” scriveGiovanni Pascoli nella poesia “Lavan-dare”. Un mestiere duro ed umile ma molto dif-fuso, e continuò ad esserlo anchequando comparve la prima forma rudi-mentale di lavatrice meccanizzata nel1850. Le lavandaie eseguivano il lavoroa domicilio, oppure presso i lavatoi pub-blici. Le loro forti mani, sformate dall’ar-trite, operavano energicamente sull’assedi legno (“lu lavaturu” era chiamato qui danoi) per smacchiare e sbiancare indu-menti di ogni tipo. Nel Salento arcaico, lemassaie facevano lu cofanu (dal nomedel contenitore di creta che conteneva ilbucato). Sistemavano nella parte bassadel recipiente le robe bianche e in quellasuperiore le colorate, separate da unostrato di teli su cui veniva messa la ce-nere. Con un recipiente più piccolo ver-savano più volte colate di acqua bollenteprocedendo a successivi risciacqui, finquando i panni non ritornavano come

“La bella lavanderina che lava i fazzoletti per i poveretti della città ”

Tradizionale

Blu, blu, blule mille bolle blu

di Paolo Vincenti

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della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0l’osceno del villaggio

Vincent van Gogh - Pont de Langlois

nuovi. Dall’acqua di scolo poi, che fuoriu-sciva da un foro praticato nel cofanu, ve-niva ricavata la lissìa (lisciva) riutilizzataper lavare gli abiti più scuri e come sham-poo per i capelli delle donne.Oggi questa pratica sopravvive solo neimusei delle tradizioni popolari e in alcunemesse in scena tenute durante i presepiviventi a Natale. Il mestiere delle lavandaie viene rappre-sentato dall'impressionista Gauguin nelleopere "Lavandaie a Pont-Aven" del 1886e "Lavandaie al Canal Roubine du Roi"del 1888 e in letteratura da Verga ne “IMalavoglia”. Più o meno nello stesso pe-riodo, anche Zola fa di una lavandaia estiratrice, l’umile Gervaise, la protagoni-sta del suo romanzo “L’ammazzatoio”.Honoré Daumier dipinge molto realistica-mente nel 1863 “La lavandaia”.Ma forse il più bel dipinto che ritrae ledure condizioni di vita di queste lavoratriciè "Il ponte di Langlois" di Van Gogh. La lavatrice moderna viene inventata inAmerica nel 1906 e introdotta in Italia solonel 1946. Dunque passa tanta acquasporca sotto i ponti prima che il progressodella tecnica possa affrancare la massaiada una fatica tostissima. La prima lava-

trice che io ricordi a casa mia, fine AnniSettanta, è una Zoppas. Come quasitutte, si caricava dalla finestrella centrale(pochissime avevano la carica dall’alto),ed era bianca zincata. Essa, insieme alfrigorifero e alla cucina Ariston, rappre-sentava plasticamente il sopraggiunto be-nessere economico nella mia famiglia. Glianni Duemila hanno portato enormi tra-sformazioni sociali, oltre che economichee politiche. Sono cambiate le abitudinidella gente, cambiato il modo di vivere lenostre giornate. L’ultima frontiera del lavae asciuga è la lavanderia self service, cheda principio era appannaggio degli stu-denti universitari fuori sede, dei militari odegli extra comunitari, così massiccia-mente stanziati nelle nostre città. Ora in-vece tante famiglie ricorrono allalavanderia a gettoni, e non solo per ilcambio stagionale (piumoni, coperte,giubbotti voluminosi) ma anche per labiancheria, per il cambio di ogni giorno. Èil segno dei tempi (si dice sempre cosìno?). il segno, in semiotica, è l’unione disignificato e significante. E se il significatoè il contenuto, quello di lavare ed asciu-gare panni e biancheria, il significante èla forma, dunque le bolle blu delle speedy

wash, che diventano addirittura unanuova icona pop (come il gruppo delle djsvedesi Caroline Hjelt e Aino Jawo,quelle che cantano “I love it!”).Alcune lavanderie a gettone sono vera-mente spoglie ed essenziali, altre invecesono attrezzate anche per intrattenere iclienti in quel lasso di tempo necessarioalla lavatura ed asciugatura dei capi.Ecco dunque, in alcune bubble wash,l’angolo giochi per i bambini, la tv sempreaccesa che trasmette i cartoons, o la mu-sica in filodiffusione, altre ancora addirit-tura posseggono un angolo lettura, dovel’utente può sfogliare il giornale o leggereun testo dalla piccola libreria che è all’in-terno.Sono sicuro, si finirà per fare delle pre-sentazioni di libri nelle lavanderie self, ealla lunga, anche delle conferenze o deipiccoli raduni e convegni. Diverranno luo-ghi di ritrovo sociale, o i templi di unanuova popsophia, [a Lecce è accadutocon le mostre di fotografia alla lavanderiaJefferson n.d.r.] che qualche giovane erampante pensatore nipotino di Derridanon tarderà a formulare.Viva le bubble wash, dunque, e viva la fi-losofia pop!

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Dr. Boost, la tua attività musicale inizia il lontano1999, come è nata la tua passione per la musicablack/rap? Nel 94/95 ancora vivevo in Sardegna esuonavo il basso e cantavo nella mia prima band.Facevamo una roba sperimentale, molto rumori-stica. Contemporaneamente però riscoprivo dei

vecchi vinili di Marley e Tosh che avevo sempre avuto in casa. Nel’96 mi sono trasferito a Roma e ho iniziato a frequentare le dance-hall di One Love HP e il mondo del reggae/dub mi ha catturato. Piùche di cultura rap infatti parlerei di passione per il Toasting e i ritmiin levare… il rap mi è sempre piaciuto e mi ha sicuramente influen-zato ma non sono mai stato un B-Boy e non mi sento particolar-mente legato alla cultura hip hop che comunque rispettoprofondamente. Fu il Dub dei “Revolutionary Dub Warriors”, “DubSyndicate”, “Audio Active”, oltre ovviamente a tutta la vecchiascuola di Lee Perry e Augustus Pablo a farmi capire che questa erala dimensione ideale per me, quella con cui mi sentivo più a mioagio sia per le vibes che per la scrittura. Scrivere su un beat in le-vare mi viene sempre abbastanza semplice e naturale.“Allonga” è la tua ultima fatica discografica, come mai haiscelto questo singolo per il video?Il testo di Allonga è stato scritto con Gesuino Deiana, un grandis-simo artista nel panorama della musica sarda soprattutto per le in-novazioni che ha introdotto. “Allonga” vuol dire semplicemente“lontano” ed è un brano che ho visto come perfetto per “B-Powa”perché è un dub profondo, riflessivo e diretto al tempo, un po’ cometutto l’album.Dopo il primo video singolo “O.R.I.Tz.I.N.A.L.E.”, brano abbastanzafresco e veloce, ho voluto puntare su un dub che viaggiasse piùlontano e lento. L’album ‘B-Powa’ è uscito qualche mese fa, come è nato que-sto tuo lavoro discografico?Innanzitutto volevo realizzare un album che fosse completamente“mio”, da ogni punto di vista. Anche se è il 6° album (il 3° da solista),è l’unico dove ho realizzato anche la quasi totalità delle strumentali,ed affrontare questo aspetto mi è piaciuto parecchio. Poi volevorealizzare qualcosa che fosse più cantato in italiano rispetto ai lavoriprecedenti dove il sardo-logudorese era la lingua dominante. Ov-

viamente il sardo è presente anche in B-Powa, ma molto meno ri-spetto ai precedenti album. Descrivilo con tre aggettivi…Diretto, Sincero, Dub.Vanti una lunga discografia e nel tuo ultimo tour si leggonodate anche in Inghilterra. È il successo che speravi di raggiun-gere? Non mi sono mai posto obiettivi di successo particolari. Per mel’obiettivo è raggiunto quanto sento di dare il massimo in ogni cosache faccio. Non faccio musica per scalare le classifiche… per for-tuna questo non mi è mai interessato.Ho vissuto sempre la musica come un mondo in cui mi posso espri-mere senza limiti, senza censure e senza filtri, cosa che nella vitadi tutti i giorni difficilmente possiamo fare. Con queste premessequindi ogni data, ogni serata ben riuscita, ogni tour in Italia o in Eu-ropa sono stati per me grande motivo di soddisfazione e fonti dienergia per continuare. La tua è una musica di protesta rivendicando ciò che non vabene in Sardegna, nella tua terra, e in Italia. Credi che i ritmi inlevare possano contribuire davvero al cambiamento? Più che protestare io rivendico. Rivendico il diritto di esistere delmio popolo e di ogni popolo della terra, al di là di religione, colore,cultura... La democrazia odierna unita al controllo sociale da partedei media altro non è che una dittatura mascherata. Per chi detieneil potere tutto va bene finché la maggior parte delle persone pen-sano e agiscono come loro vogliono che facciano. La musica può servire a risvegliare le coscienze, ad attenuarepaure, a rendere (forse) più lucidi, agli occhi di alcuni, i meccanismidi controllo e minaccia a cui siamo sottoposti. Detto questo le can-zoni sono solo canzoni e gli artisti spesso sono tra i personaggi piùcontraddittori e incoerenti che si possano incontrare… e va benecosì. Le rivoluzioni vere si fanno per strada e nei palazzi del po-tere.Dove è possibile acquistare il tuo album?Le copie fisiche di B-Powa per ora possono essere acquistate soloin Sardegna. Il cd è distribuito da “Zente Noa” e lo si può trovare intutti i negozi di dischi. Per chi invece si trova fuori è possibile ac-quistare l’album in formato digitale su Itunes.

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Risvegliare le coscienze

musicaL’orgoglio sardo nella musica di Dr. Boost

di Alessandra Margiotta

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spagine della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0racconti salentini

N el quasi cuore della sta-gione invernale, qui,madre natura, offre unmattino assai bello, solesplendido, luce sfolgo-rante del tipico genere

salentino, nemmeno una nube in cielo,aria fresca e frizzantina, leggera a respi-rarsi e che ti rigenera dentro. Corniceideale e stimolante, dunque, per unapasseggiata in direzione del centro cit-tadino.Oltre che l'effetto dei propizi elementi at-mosferici di cui anzi, l'appagamento delpedone narratore va man mano arric-chendosi grazie, anche, a un piccolo ro-sario d’immagini e situazioni che si hacasualmente modo di incontrare e visio-nare.All’interno della villa comunale, nel-l’agorà delimitata da una serie di bustiin pietra leccese raffiguranti concittadiniillustri, lo sguardo si volge verso duepanchine quasi contermini.Sulla prima, sostano tre giovani uominidall'aspetto gioviale e tranquillo, trattid'origine mediorientali o arabi, verosimil-mente facenti parte della nutrita coloniad’immigrati che vive da queste bande.Sembrano intenti a una conversazionecosì semplice e pacata che, a osser-varli, danno la parvenza, quasi, di vec-chi amici.Sedute sull'altra, invece, due ragazzecarine, intorno ai sedici/diciassette anni,trucchi appena accennati, capigliaturegarbate, niente sigarette o gomme damasticare in bocca, con accanto i rispet-tivi zaini. Anche loro, calme e distese.S’accosta, il curioso, e non riesce a trat-tenere la domanda: “Niente scuola,oggi?”. Al che, le interessate, non modi-ficano l’espressione e si mantengonosorridenti; all’ulteriore domanda: “C’è,forse, un compito in classe?”, una di loroprecisa di buon grado: “Si, di matema-tica”. E così, via allo scambio di un ciao. Nei pressi della Basilica di Santa Croce,proprio tra Palazzo dei Celestini e Pa-

lazzo Adorno dove hanno sede gli ufficidell'Amministrazione Provinciale, nelmezzo della strada, si nota un gruppettodi persone chiaramente intente a darvita a una manifestazione. Dagli agenti di polizia presenti in zona,si apprende che trattasi di prestatorid'opera precari, della categoria dei co-siddetti lavoratori socialmente utili, iquali, a fronte di servizi resi al citatoente, a causa della dichiarata mancanzadi fondi nell’attuale fase di ridimensiona-mento delle Provincie, lamentano di nonaver ricevuto il corrispettivo previsto espettante. A loro sostegno, un uomo conpiccolo microfono in mano, si sbracciaaffinché sia dato il misero pane a queipoveri, arrivando a proporre, se proprioc’è completa assenza di danaro incassa, il taglio del dieci per cento sulleretribuzioni alte, ossia a dire dei dirigentie dei capi dell'Ente, i quali incassereb-bero cinque/sei mila euro netti al mese. Digressione nella cronaca, a propositodi dieci per cento, viene alla mente lamedesima aliquota, calcolata a valeresu commesse e/o appalti di dimensionirilevanti, che un manipolo di ufficiali, sot-tufficiali e dipendenti dell'Arsenale Mili-tare di Taranto, per fortuna testéscoperti, inquisiti e finiti in carcere, sonoandati a lungo pretendendo, a titolo ditangenti e mazzette. All'inizio del salottino buono del centrostorico, via Vittorio Emanuele, tre gio-vani turiste cinesi passeggiano beate,completamente a loro agio, quasi fos-sero di casa. Una volta tanto, un posi-tivo risvolto della globalizzazione.Sul percorso del ritorno, rallento, al so-lito, all'altezza della Sala Bingo (untempo, il glorioso Teatro Ariston), l'unicaesistente nella capitale del barocco. Eperò, nella circostanza, eccezional-mente e per la prima volta, mi fermo eardisco tirare la maniglia dell'uscio edentrare. Nell’anticamera o hall dell’eser-cizio, un impiegato è pronto a mettermigarbatamente in mano un talloncino nu-

merato. Ma io, più che altro, passo lesto a chie-dergli se, rispetto agli anni passati e lon-tani, la crisi abbia o meno fatto sentire isuoi morsi anche lì. L’addetto, sempregentilmente, mi risponde che l’attuale si-tuazione non è proprio identica a quelladei primi tempi, ad ogni modo la genteaffluisce tuttora nel locale in buonaquantità, tutti i giorni, con la speranzad’imbattersi nella fortuna, in ciò insi-stendo, in parte, proprio perché il mé-nage della vita è diventato difficile. Non manca, l'uomo, d’accennare anchea situazioni di dipendenza ludica evi-denziate da taluni soggetti, cosa che,del resto, accade non unicamente nellaSala Bingo e si nota chiaramente met-tendo piede nei tabacchini e ovunque sigiochi o scommetta con gratta e vinci ostrumenti similari.A completamento della breve conversa-zione, l’interlocutore fa presente che ilsuo datore di lavoro offre agli avventorisoluzioni di confort durante la perma-nenza nel locale, compresi pasti, prepa-rati da servizi di catering e/o ristorantiesterni, davvero a buon mercato: cita,ad esempio, per la colazione meridiana,il primo e il secondo piatto al prezzo disoli due ciascuno. Dopo la Sala Bingo, nell’ultimo tratto distrada, manco a dirlo, l’incrocio con unasignora sfoggiante una tuta di lavoro daicolori accesi e vistosi: di nuovo sull’al-tare della curiosità, la domanda circal’attività svolta e la relativa risposta“operatrice ecologica”. Piccolo ma indi-cativo particolare, la donna ha finito ilsuo turno odierno e, al momento, ser-vendosi di una moneta di soli due euro,è impegnata a grattare su un mucchiettodi tagliandi sazia popoli, anzi forieri diricchezze e mirabilia.I rintocchi di mezzogiorno segnano il ri-guadagno del mio portone di casa: conl'animo appagato e contento, in virtù siadel bel mattino sotto il sole, sia degli sti-molanti incontri.

Passeggiata in cittàdi Rocco Boccadamo

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Quest’anno ero proprio soddisfatto del presepenuovo: il cielo con l’asparagina che reggeva lelucine e le nuvole di ovatta, i nuovi abusi edilizi,che mi avevano consentito di ampliare la piazzadel mercato di Betlemme, il borgo lontano conle case soprane, il forno nuovo, la circonvalla-

zione rifatta per collegare la zona artigianale e infine il laghettodel pescatore fatto con la pellicola trasparente che traeva in in-ganno anche mio figlio che andava a toccare la superficie pen-sando fosse acqua vera. Così il giorno dell’Epifania mi sonopreparato per andare a vedere qualche mostra di presepi. Mi stu-piscono sempre. Mi piace vedere l’ingegno e la fantasia dei pre-sepisti anche per fregare qualche idea, non lo nego.Non ne ho visti tanti quest’anno, ma di quelli visti due sono statistraordinari e mi hanno proprio colpito (e affondato o meglio in-nalzato). Sono stati due Presepi non presepi (come comune-mente intesi): uno a Spongano e l’altro a Onzo in provincia diSavona.

* * *Il primo, che mi ha stupito, l’ho visto a Spongano nel contestodel Presepe vivente a Natale durante una bella manifestazioneaccolta nel frantoio ipogeo del palazzo baronale. Quel frantoio,modificato da Filippo Bacile per ottenere un olio buono, quellopremiato all’esposizione di Vienna all’inizio del secolo scorso, eche è stato restaurato dal nuovo proprietario Fabio Bacile il qualenon perde occasione per mostrare sincero amore per questa terrae per la sua casa.Ha voluto ospitare questa manifestazione e gli Sponganesi ac-corsi numerosi, ma da uomo colto e raffinato ha voluto, graziealle sue preziose amicizie, fare un altro cadeau di rango agliSponganesi e ai Salentini in generale: l’allestimento di una instal-lazione d’arte interattiva dagli alti contenuti artistici, spirituali edintellettuali.Si tratta del Presepe Apparente che i Fratelli Michelangelo eMassimiliano Galliani (fratelli, scultore uno e video maker l’altro)

e il pittore Marco Petacchi, con il commento musicale degli Stoop,avevano già allestito a Reggio Emilia nel 2011 e a Milano nel2013. Non ho visto gli altri allestimenti (quella di Milano era in SanBernardino alle ossa, chiesa del ‘600), ma questo allestimentosponganese già nel luogo mostrava una sostanziale novità.Non più un luogo sacro, una chiesa, ma una grotta scavata nellaparte seminterrata del Palazzo baronale con tutto il suo aspettodi vera come noi potremmo immaginarci la grotta di Betlemme:rifugio per bestie e qualche pastore e alla fine, nella sua freddapovertà, asilo per il Salvatore del mondo. Già l’ingresso, con lesue asperità, caricava di mistero l’evento.L’allestimento, rispetto agli altri allestimenti, non cambiava erasempre presente l’inginocchiatoio e il proiettore che mandava im-magini fisse, e ma rese vive dal fruitore che le faceva progredirenel loro ciclo, parlando in un microfono. Infatti perché progredis-sero le immagini, necessitava il contributo vivo del fruitore che,parlando nel microfono, diventava parte dell’installazione artisticacon il suo indispensabile interagire.Sull’inginocchiatoio venivano offerti testi di preghiera per agevo-lare il coinvolgimento dei visitatori. Le parole pronunciate e il tonodella voce non solo facevano vedere l’immagine ma le restitui-vano anche i toni della luce, creando non solo un gioco di suonie di luci, ma attivando un percorso intimo di interiorizzazione spi-rituale.Non starò a parlare della splendida resa artistica delle immaginicon quella illuminazione che richiama Caravaggio e nemmenodella scelta dei soggetti, davvero coinvolgente.Le figure non sono personaggi a tutto tondo, sono personaggiche si immaginano. Così l’Angelo che annuncia ai pastori, maanche il pastore che va alla grotta con l’agnello sul collo e i pastoriche offrono al Redentore del mondo pochi doni e, apparente-mente , di poco conto: la terra e i frutti (dell’ uva passa o delleolive, ma si può immaginare qualcosa di più grande della terra edei suoi frutti?) son solo visti in parte, ma dicono perfettamenteche cosa siano.

spagine

Andar per presepidi Giuseppe Corvaglia

La rappresentazione della grotta nel Presepe Apparente “I chiodi, così mirabilmente disposti, fanno pensare a un involucro freddo nella notte di Betlemme, poco accogliete

ma ci richiamano già l’epilogo della vicenda terrena di quel Bambinello”

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della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0reportA Spongano Il presepe apparente di Michelangelo e Massimiliano Galliani e del pittore Marco PetacchiE “Nel nome della Madre…” a Onzo in provincia di Savona, pensando che non c’è figlio senza Madre

Il percorso così prosegue fino ad arrivare alla tenerezza strug-gente della Sacra Famiglia con il Pargolo illuminato che illumina,adorato dai genitori perdutamente innamorati di quell’Amore.Mi ha particolarmente colpito l’apparizione dell’Angelo che inizial-mente è neve che turbina nell’aria per poi diventare piumaggio diala appoggiato su una scapola di giovane biondo: questo è l’An-gelo, la Buona Novella.I pastori si avviano verso la capanna come ha indicato l’Angelocon tutto il loro carico di pene e l’estrema povertà dei loro doni.L’offerta, però, non racchiude solo un dono. E’ come se si voles-sero presentare queste cose al Salvatore in fasce per chiederglidi salvarle dalla nequizia di cui l’uomo è capace per egoismo esmisurata ambizione.Particolarmente bella la capanna, non solo per linea ed essen-zialità, ma anche per le sensazioni che evoca. I chiodi, così mira-bilmente disposti, fanno pensare a un involucro freddo nella nottedi Betlemme, poco accogliente, ma ci richiamano già l’epilogodella vicenda terrena di quel Bambinello che viene sulla terra perAmore, per portare Amore, per convertire all’Amore ma che verràcrocifisso dai suoi fratelli in Dio con tre grandi chiodi e un cartelloche lo prende in giro. Eppure quell’Esserino avrebbe una potenzainimmaginabile per asservire qualunque cosa animata e inani-mata.

* * *Il secondo presepe inusuale l’ho visto il giorno dell’Epifania aOnzo (Savona), nell’entroterra di Albenga, che si intitola “Nelnome della Madre…” con un sottotitolo: “un presepe a Onzo pen-sando che non c’è figlio senza Madre”.Qui Giuliano Arnaldi, giornalista ed operatore culturale responsa-bile del Museo e della Fondazione Tribale-globale che si articolain presidi sparsi fra Genova, Onzo, Imperia, ha voluto allestire unpresepe che presenta una preponderanza di statuine e figurinefemminili tutte inneggianti alla fecondità e alla nascita. La nascitadiventa non la presentazione del figlio ma l’opera della madre chedona la vita.

Nella teca africana vengono esposte bambole rituali della culturaMossi che le donne portano con se dal concepimento o dal mo-mento in cui si vuole avere un figlio, fino al parto. Sempre in que-ste teca ho visto una sacra famiglia un po’ sui generis ottenutasempre con bambole rituali.Nell’altra teca si possono ammirare piccole terracotte di Tell Allaf(area mesopotamica) e della valle dell’Indo che ci mostrano que-ste madri, alcune fatte 4000 anni prima di Cristo, archetipo dellafloridezza, della procreazione e della vita.La postazione centrale è quella che più si avvicina al presepe tra-dizionale, perché propone una figura centrale circondata da tantestatuette. La figura centrale è una donna di età precolombianache si propone, come molte delle nostre Madonne, con le manirivolte in avanti verso chi a loro ricorre e la bocca lievementeaperta come se stesse alitando la vita, come il Creatore primige-nio.Le statuette bronzee che la circondano sono esempi di fine artecontemporanea. L’autore, Rainer Kriester, noto per le sue sculturemegalitiche poste in tutto il mondo e soprattutto in un parcoall’aperto in questa terra ligure, si misura proprio con queste figureapotropaiche che con le loro caratteristiche implicite ed esplicite(la fessura di un triangolo, le semisfere sul busto, o un’asta cheparte dal basso ventre… ) sono un inno alla fecondità, alla ripro-duzione, alla vita.E’ così che opere antiche di millenni dialogano con opere mo-derne, come dice il curatore della mostra, “parlano fra loro il sor-prendente e muto linguaggio della bellezza”.Ma è intrigante questo presepe centrato più che sulla Natività,sulla Maternità che vuole “dichiarare l’urgenza del bisogno di unosguardo femminile sul nostro mondo…. ” considerando che“quello maschile sta facendo molti danni”.

P.s. nel presepe di Onzo c’erano anche delle magifiche foto diIrina Ionesco. Donne bellissime, ma troppo seducenti e misterioseper essere Madonne.

Presepe di Onzo, statue di area africana

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L o scultore lucano Pier Francesco Mastroberti, periniziativa del circolo culturale “La Scaletta”, esponei suoi presepi artistici nel complesso rupestre di Ma-donna delle Virtù nei Sassi di Matera. "In questesculture di gesso e garza, si avverte un richiamo allascultura classica e una modernità plastica nord eu-

ropea improntata sulla potenza espressionista… il tutto in un con-testo espositivo, quello del complesso rupestre di Madonna delleVirtù, realizzata intorno all'anno mille, luogo attualmente utiliz-zato come spazio espositivo per prestigiose mostre di arte con-temporanea" scrive il giornalista Rino Cardone.Pier Francesco Mastroberti è stato allievo di Giovanni De Vin-cenzo, tra i maggiori esponenti della scultura partenopea con-temporanea.Il presepe artistico esposto nei Sassi, a Matera è una personaledi scultura dell’artista, nei suggestivi scenari della chiesa di “Ma-donna delle Virtù”, luogo che ha accolto quest’estate la 27° edi-zione delle Grandi Mostre nei Sassi, che ha raggiunto il numerodi circa 15.000 visitatori, con una media di 120 al giorno.Mastroberti è uno dei 12 scultori che ha partecipato, quest’anno,alla mostra di Scultura Lucana Contemporanea nei Sassi, inizia-tiva a cura del circolo culturale materano ”La Scaletta” e ha espo-sto insieme ad altri importanti nomi della sculturacontemporanea, rigorosamente scelti dalla curatrice Beatrice Bu-scaroli (docente di arte contemporanea all'Università di Bolognae curatrice del padiglione italiano della Biennale di Venezia2009).Oltre che scultore Mastroberti è uno dei medici fondatoridell’A.M.Ar.S., Associazione dei Medici Artisti Salernitani.Negli anni ’70/’80 ha realizzato vignette e caricature per il Bollet-

tino Ufficiale dell’Ordine dei Medici e per alcune riviste mediche.Negli anni successivi ha partecipato a mostre e rassegne d’artein Italia e in Francia.Nel 2012 ha creato il Pulcinella Mentore per il World Forum forChild Welfare per l’associazione Mentoring Italia/USA.Il 25 novembre 2013, nella cattedrale di Salerno, alla presenzadell’arcivescovo, è stato insignito del “Premio Ippocrate” comecreatore del “Lumen et Magister”, la scultura che, nel corso deglianni, è divenuta simbolo internazionale del Premio delle Gior-nate della Scuola Medica Salernitana.Il suo percorso artistico è stato oggetto di due tesi di laurea instoria dell’arte contemporanea.Mastroberti è autore di diverse opere pubbliche tra cui: il “LOGOdell’ospedale di Salerno”, realizzato in collaborazione con il prof.Guarino, dove il concetto di ospedale è genialmente raffiguratonell’evoluzione del DNA umano; il monumento di “Padre Pio Con-fessore”, sito nei giardini dello stesso ospedale; il cristo in bronzo“Il Grido” nel chiostro dei frati cappuccini di Salerno a piazza S.Francesco; la fontana monumentale di “Bacco e Arianna”(bronzo 2 mt) a Sant’Angelo le Fratte (PZ), la “Lapide comme-morativa”, in memoria degli avvocati Gassani, Barbarulo e Torre,per il Palazzo di Giustizia di Salerno nel 2009 .

Ha realizzato numerosi ritratti commemorativi a: “Clelia Sessa”,Baronissi; “Nicola De Cesare”, Agenzia marittima Nicola De Ce-sare di Salerno;“Giovanni Siniscalchi”, Centro Commerciale Si-niscalchi di Salerno; “Andrea Fortunato” (Policlinico di Perugia);“Pasquale Atenolfi” , Galleria dei Presidenti di Palazzo S. Ago-stino a Salerno. Alcune sue sculture sono presenti in musei d’artecontemporanea.

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Gitaa Materain agenda

“Presepi di garza e gesso” dello scultore lucano Pier Francesco Mastrobertifino a domenica 25 gennaio

Complesso rupestre “Madonna della Virtù” a Matera - Circolo Culturale La Scaletta

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spagine

Un pomeriggio dedicato allapoesia, all’affabulazione,al potere magico della pa-rola, al “gran teatro delmondo”. E un progetto de-dicato alla voce e all’arte

del narrare storie.Si inaugurano martedì 20 gennaio, alTeatro Paisiello di Lecce, alle 18.30, gliappuntamenti del progetto “Nel giardinodelle parole magiche. La voce e l’artedel narrare storie” promosso dal Comunedi Lecce – Assessorato alla Pubblica Istru-zione in collaborazione con Astràgali Tea-tro, con la conversazione tra Fabio Tolledi,direttore artistico e regista di Astràgali Tea-tro e il drammaturgo e scrittore GiulianoScabia, inaugurando così, eccezional-mente, un ciclo di incontri sulla parola ealla favola dedicati, oltre che alle alunne eagli alunni e alle loro famiglie, alle docentie ai docenti delle scuole primarie e secon-darie di primo ordine.Poeta e uomo di teatro, grande affabula-tore e inventore di parole, Giuliano Scabiaè uno dei protagonisti delle esperienzeteatrali più rilevanti degli ultimi decenni.Come lui stesso ha scritto recentemente:“il teatro che mi piace di più è quello dilet-tantistico amatoriale – fatto per diletto eper amore – per stare in gioco – come ibambini quando fanno le improvvisazioni,o i matti quando si mettono a cavalcare –e a cantare. In una delle scene de Il Dia-volo e il suo Angelo dicevo appunto: ed èper me in questo andare parlare e cantareconoscere e rappresentare il gran teatrodel mondo”. Sarà, quella di martedì, anche l’occasioneper riflettere intorno all’esperienza matu-rata nella scrittura e nella messinscena di“Lettere a un lupo” da cui muove lo spet-tacolo di Astràgali Teatro realizzato per“Leccelegge”.

* * *Dopo l’incontro con Giuliano Scabia, pros-simi appuntamenti il 4 febbraio con Anto-nio Errico, il 18 febbraio con Carlo

Formigoni, il 3 marzo con Salvatore Co-lazzo, il 12 marzo con Andrè Bella, il 31marzo con Fabio Tolledi.

* * *Giuliano Scabia è nato a Padova nel1935, poeta, narratore e drammaturgo, èstato uno degli iniziatori del Nuovo Teatro,"protagonista di alcune tra le esperienzeteatrali più vive e visionarie degli ultimianni" (Gianni Celati, I narratori delle ri-serve), "uno dei pochi, forse l'unico scrit-tore mitico in circolazione" (MarcoBelpoliti, La Stampa-Tuttolibri), "viandantein un tempo sospeso dove si può ancorasperare di entrare in una foresta e trovarvimagari delle fate e poi discutere di comu-nismo"Claudio Meldolesi per presentarlo: “Giu-liano Scabia è stata una delle rare figuredel teatro italiano a darsi un sistema dicreazione, quindi un’intelligenza capaci direnderlo anche soggetto politico, quindianalitico, e diventare poi straordinario pro-fessore, uno straordinario intellettuale.Con questa sua capacità di vedere, dipensare, sapeva che bisogna lavorareall’arricchimento delle doti umane. Giu-liano è poeta innanzitutto, diventa attore euomo di teatro, e in quanto attore diventadrammaturgo, e in quanto drammaturgodiventa rinnovatore del teatro insieme apochi altri maestri degli anni Sessanta-Settanta. Allora qual è il suo messaggio?In questa valle di lacrime dobbiamo darciuna presenza molteplice. Dobbiamo nonessere soltanto uomini a una dimensione,come diceva un celebre libro, ma dob-biamo essere capaci di articolare tutte lenostre doti. Il suo Cavallo era il ricongiun-gimento di tutto, compresa appunto la fol-lia con la volontà di trasformazione dellasocietà, con lo spostamento della logicadella salute oltre le abitudini correnti. Giu-liano è un testimone che è riuscito a de-cantare tante presenze umane. Insieme alui lodiamo il teatro che è il luogo in cui ilmolteplice si rimanifesta unitario”.

Giuliano Scabia in una bellissima fotografia di Maurizio Conca

della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0in agenda

GiulianoScabiaper Astràgalial Teatro Paisiellomartedì 20 gennaio

Al via il 22 gennaioStasera è di Teatro Stagione di Prosa del Moderno di Maglieper la direzione artistica di Salvatore Della Villa

I l primo spettacolo in pro-gramma, giovedì 22 gennaio,porte 20.30 - sipario alle21.00 è “Coppia aperta...Quasi Spalancata” uno deitesti più famosi e dissacranti

di Dario Fo e Franca Rame inter-pretato da Antonio Salines e Fran-cesca Bianco, curiosamenteconiugi anche nella vita. Scritto nel

1983, è la storia grottesca di dueconiugi alle prese con un matrimo-nio che sta andando allo sfascio eche decidono di sperimentare laformula della “coppia aperta” per ri-solvere i problemi della loro rela-zione. A trent’anni dalla primarappresentazione la forza e l’attua-lità di quest'opera sono più che maievidenti. Nulla sembra essere cam-

biato. Si finge una parità, una nor-malità, ma le conquiste delle donnee il rapporto con l’altro, sono sem-pre al limite. La commedia è unasorta di vaudeville sulla liberalizza-zione della vita coniugale degnodel miglior Feydeau, al quale l'iro-nia surreale di Fo sembra ispirarsi.La produzione dello spettacolo èdel Teatro Belli.

giovedì 22 gennaio

martedì 10 febbraio

giovedì 19 febbraio

martedì 10 marzo

martedì 24 marzo

giovedì 16 aprile

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http://issuu.com/milellaleccespaziovivo/docs/generazionidiscritture

spagine

“...Mi svegliai di primo mattino, era ancora buio quando milevai dal letto, indossai i pantaloncini e avvisai i miei genitoriche andavo alle “cave”. Uscii, e mi avviai. Nel cielo c’era unquarto di luna che diffondeva una candida luce bianca sullecase tinteggiate di calcina, l’orologio della piazza annunciò

con quattro rintocchi l’ora, contadini e carrettieri si preparavanoad affrontare il nuovo giorno.Cercai di contenermi nei pressi della legnaia per non far rumorema, quando passai sotto gli alberi di fico adiacenti all’ingressodell’anfratto, non riuscii a vedere dove mettevo i piedi e inciampaiin una radice rompendo il silenzio. Tutte le mie attenzioni eranosfumate. Deluso, mi sedetti su un cubo di tufo, che si trovava al-l’ingresso della legnaia; da quel momento tenevo sotto controllotutto l’interno. Restai immobile, ormai era quasi l’alba; ad un trattovidi passare a mezzo metro dal mio viso la civetta che andò a ri-fugiarsi in un buco, sulla parete in alto, di fronte a me; restai pa-recchi attimi senza respirare poi un impeto di gioia mi fece soffiaretutta l’aria che avevo accumulato nei polmoni; ero finalmente riu-scito a scoprire il punto esatto in cui si trovava la “dimora” della ci-vetta!...”

della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0in agenda

Silvio Noceraal Fondo Verri

Silvio Nocera con la sua civetta

Mercoledì 21 gennaio, dalle 18.30

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spagine della domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0in agenda

Da martedì 12 gennaio è online GenerAzionidi scritture, rivista nata dalla fucina di MilellaEdizioni che intende proporsi come alveo diriflessione e dibattito sull'accadere culturaledel presente.Concepita e diretta da Carlo Alberto Augieri,GenerAzioni di scritture pone in dialogo ac-cademici, scrittori, giovani studiosi e profes-sionisti provenienti da settori eterogenei alloscopo di mettere in circolo visioni della realtàibride, oblique, o animate da una logica di"leggerezza", per usare la felice espressionecontenuta nelle Lezioni americane di ItaloCalvino. Una riflessione che è già, in sé,un'"azione", una forma di incisione attivasulla realtà. Al centro, la scrittura, protagoni-sta sulla pagina attraverso la preminenza as-soluta data alle recensioni, ma anche come"scrittura del presente", nei segni che nedanno gli eventi e le iniziative culturali su cuipure si intende riflettere."Il bimestrale, di cui il presente fascicolosegna la nascita, si intitola non a caso “Ge-nerazioni di scritture”, volendo indicare giànel nome l’intenzione che lo giustifica: incon-tro generazionale di giovani e uomini/donnedi esperienza umana e culturale, che in-

sieme generano scritture critiche, aventicome referenti di osservazione la cultura chescrive e la cultura che organizza eventi pro-mozionali di lettura e di condivisione semi-nariale" così nall'editoriale Carlo A. Augieri,direttore della rivista. Con lui, vicedirettore èMarco Gaetani, capo redattore e segreteriadi redazione Giorgia Salicandro, il coordina-mento delle recensioni è affidato a ChiaraAgagiù, la progettazione grafica a EmanueleAugieri. Giovedì 22 gennaio alle 18.30 la redazionee i collaboratori della rivista presenteranno ilnuovo progetto editoriale nelle sale di LecceSpazio Vivo, in via Taranto n. 22/A a Lecce.A dialogare con il direttore Carlo Alberto Au-gieri vi sarà Mauro Marino, direttore delFondo Verri e della rivista culturale Spagine.Nel numero zero della rivista, in primo pianosono l'agone culturale, mediatico, econo-mico che ha visto Lecce competere per il ti-tolo di "capitale" e il più importante evento dimarketing editoriale del Salento con i qualisi è chiuso il 2014, ma anche lo spirito co-munitario da affidare al nuovo anno e altriimportanti progetti legati alla lettura e allascrittura.

GenerAzioni di scrittureOnline la nuova rivista di riflessione, recensioni e interviste della casa editrice MilellaGiovedì 22 gennaio alle 18.30la redazione incontra i lettori nelle sale di Lecce Spazio Vivo

C’èLa culturadei Tao...al Fondo

Verri, un audio libroche è necessario acquistaree conservare nella propria

biblioteca per ascoltare la "fiaba" contadina

di Antonio L. Verri... e persostenere l'attività delFondo a lui intitolato.

Sabato 24 gennaio la presentazione a Tuglie al Museo della Civiltà Contadina del Salentointerverranno Eugenio Imbriani e il cantautore Mino De Santis

La cultura dei Tao in una fotografia di Santa Scioscio

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copertina spaginedella domenica n°60 - 18 gennaio 2015 - anno 3 n.0

in agenda

Per il 97° anniversario del PartitoComunista d’Italia sezione ita-liana dell’Internazionale Comu-nista, a Lecce, giovedì 22gennaio 2015, alle 17.00, alFondo Verri, in via Santa

Maria del Paradiso nei pressi di Porta Rudiae,avrà luogo la presentazione del libro “La sto-ria di una famiglia rivoluzionaria. AntonioGramsci e gli Schucht tra la Russia e l'Ita-lia” di Antonio jr. Gramsci, Editori Riuniti. Par-teciperanno all’incontro l’autore, MaurizioNocera segretario del Centro Gramsci di Edu-cazione e Tonino Mosaico della Direzione Na-zionale del Partito Comunista.***Non si può non concordare con AntonioGramsci jr. – scrive Raul Mordenti nell’introdu-zione - quando afferma a proposito del suolibro: «Man mano che il lavoro procedeva, hocapito che la storia della famiglia Schucht erainteressante di per sé», cioè non solo comefonte per aspetti poco illuminati della vicendabiografica del massimo pensatore politico delNovecento italiano, suo nonno Antonio Gram-sci. Questo giudizio dell’Autore sarà condivisoda qualsiasi lettore di questo libro, che è dav-vero più romanzesco di qualsiasi romanzo nel

narrarci una storia familiare, cioè un concertodi tante storie personali intrecciate vitalmentefra loro sullo sfondo del «mondo grande e ter-ribile, e complicato», (per usare le parole cheil nonno del nostro Autore scrisse più volte asua moglie). “Nonostante il libro tratti la storiadella famiglia Schucht, al centro della narra-zione, anche se a volte non manifestamente,c’è sempre la figura di mio nonno, AntonioGramsci. Sono fermamente convinto che lostudio della sua opera e della sua vita, comedel resto di altri grandi classici del marxismo,non è affatto anacronistico, anzi, penso chesia molto attuale e necessario proprio ora,quando sembra che i pilastri della civiltà occi-dentale stiano per crollare e quando dobbiamoricevere risposte alle domande essenziali: chisiamo, in quale direzione ci muoviamo e perquali ideali viviamo.Antonio Gramsci jr., è nato a Mosca nel1965 da Giuliano, secondogenito di AntonioGramsci, e Zinaida Brykova. Laureato in bio-logia, ha insegnato Morfologia, sistematica eecologia delle piante presso l’Università peda-gogica di Mosca.Ha ricevuto anche una formazione musicale:inizialmente dal padre – noto musicista e pe-dagogo, uno dei primi promotori della musica

antica in Unione Sovietica – successivamenteai corsi di musica antica nell’istituto mu- sicale«Carta Melone» e percussioni etniche. Inse-gna alla scuola italiana a Mosca e partecipa avarie attività musicali suonando gli strumentiantichi a fiato e percussioni etniche in varie for-mazioni di Mosca: «Volkonsky consort», «LaCampanella», «La Spiritata», «Al-Mental» ealtri. Dirige la scuola di percussioni etniche,«UniverDrums» presso l’Università Statale diMosca e presso il laboratorio di musica elet-tronico-acustica del Conservatorio di Mosca,effettua ricerche sugli aspetti matematici delritmo. In collaborazione con la Fondazione Isti-tuto Gramsci ha effettuato ricerche sulla storiadel Pci negli anni Venti e sulla famiglia delnonno. Nell’Archivio del Comintern e in quello della fa-miglia Schucht ha rinvenuto molti documentiimportanti che hanno contribuito a colmare la-cune sia nella storia del Pci, sia nella biografiadi Antonio Gramsci. Nel 2007-2008 ha colla-borato a l’Unità. Ha scritto La Russia di miononno. L’album familiare degli Schucht, pub-blicata dall’Unità nel 2008 e nel 2010 è uscitopresso Il Riformista il libro I miei nonni nella ri-voluzione. Gli Schucht e Gramsci.

Antonio Gramsci jr.al Fondo Verrigiovedì 22 gennaio, alle 17.00per il 97° anniversariodel Partito Comunista d’Italia

La storia di una famiglia rivoluzionaria