Spagine della domenica 71

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spagine Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0

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La copertina è dedicata al 25 aprile e all’appuntamento con gli ulivi dei Paduli. All’interno i contributi di Luigi Montonato, Mata Hari Selenica, Marcello Buttazzo, Giuseppe Spedicato, Ilaria Seclì, Gianluca Costantini, Maira Marzioni, Paolo Vincenti, Francesco Pasca, Antonio Zoretti, Giuliana Coppola, Rocco Boccadamo, Alessandra Margiotta, Daniela Estrafallaces.

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spaginePeriodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0

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spagine della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0l’opinione

Lo strano casodel democraticoRenzi Matteo

di Gigi Montonato

Chiedo scusa per lapersonalizzazione del-l’ouverture di questodomenicale di “Spa-gine”. Come i due-treche mi conoscono

sanno, io non sono democratico pervocazione, lo sono per mestiere. Do-vendo vivere in un paese democratico,ho dovuto imparare il mestiere del de-mocratico; come s’impara la lingua delpaese in cui per costrizione o perscelta si vive. Per questo credo diavere più titoli per parlare di compor-tamenti democratici rispetto ai demo-cratici per vocazione. Qualcuno sichiederà: che differenza c’è tra un de-mocratico per vocazione e un demo-cratico per mestiere? Che ildemocratico per vocazione qualchevolta se ne dimentica, il democraticoper mestiere no. Ecco un esempio.Spesso a scuola, dove insegnavo, mirifiutavo di mettermi il distintivo “Sofriinnocente” su invito di tanti colleghiiperdemocratici per vocazione, i qualientravano in classe così bardati. Io no,perché il mio mestiere di democraticomi suggeriva di non farlo nell’ipotesiche ci fosse in classe anche uno soloche per convinzioni personali o di fa-miglia fosse di altro avviso. Chiuso ildiscorso personale, con l’augurio diessermi spiegato.

E veniamo a Bomba. Assistiamo dapiù di un anno ad uno scontro all’in-terno del Partito democratico tra Mat-teo Renzi, segretario nazionale e capodel governo, ma soprattutto capo diuna compagnia di bulli & pupe, da unaparte, che ha la maggioranza nel par-tito, e una minoranza che finora pur tramugugni e insofferenze ha garantito ilsostegno a tutta la compagnia, qual-che volta col torcicollo e con la ghi-gliottinadel voto di fiducia. Questa minoranza– lungi da me dal dire quanto vale sulpiano della serietà e della democrati-cità – chiede soltanto di condividere le

scelte governative, soprattutto quellestrategiche come la legge elettorale. Come tutti sanno questa legge fu con-cepita all’interno del famigerato Pattodel Nazareno tra Renzi e Berlusconi,oggi schierato contro. Essa contienedei punti preoccupanti per la democra-zia: premio di maggioranza al partito enon allo schieramento, un premiosproporzionato di 340 deputati su 630;i capi lista nominati e non votati daglielettori, ed altri meno clamorosi manon meno gravi punti, autentici abusi,come la possibilità di un leader di can-didarsi in più circoscrizioni in modo dagestire poi la nomina di qualche altrobullo e di qualche altra pupa di suopiacimento. Se si considera l’aboli-zione – per così dire – del Senato, cheresta ma non è più eletto dal popolo, ilquadro che viene fuori è di un governoche ha la preminenza forte sul parla-mento, ridotto alla sola Camera, di unuomo che ha la preminenza sul go-verno e di un governo fatto, come sidiceva, di bulli & pupe.

A me, democratico per mestiere, sem-bra che questa democrazia, se para-gonata ad un vaso, sia alquantosvuotata.Di recente (mercoledì sera, 15 aprile)l’assemblea dei parlamentari Pd ha re-gistrato un dissenso consistente, no-vanta, un terzo circa, non sonod’accordo con la legge elettorale chesi vorrebbe approvare e dopo averchiesto di poter apportare qualche ag-giustamento, avendone ricevuto unnetto rifiuto dal capo compagnia, haabbandonato l’assemblea minac-ciando che non avrebbe votato lalegge in parlamento.

Preoccupato Renzi? Nient’affatto.Come già altre volte è accaduto, met-terà il voto di fiducia e tutti si adegue-ranno per non far cadere il governo eandare a nuove elezioni. E’ democra-tico questo modo di comportarsi? Nonso, anzi dovrei saperlo, perché basta

scorrere la storia politica prerenzianaper trovare illuminanti esempi.Nella cosiddetta prima repubblica,quando il capo del governo non avevala maggioranza in parlamento, in se-guito alla defezione di una compo-nente alleata o di alcuni membri delsuo stesso partito (i franchi tiratori),semplicemente si dimetteva. Pren-deva atto cioè che non c’era più lamaggioranza e che non poteva più go-vernare, a prescindere dal dato tec-nico pur importante e decisivo. Lastoria della prima repubblica, maanche della seconda, è piena di casisimili. Prodi nel 2008 e Berlusconi nel2011 sono gli ultimi importanti casi dipremier dimessisi per non avere più lamaggioranza. Anzi, addirittura Berlu-sconi si dimise senza essere stato sfi-duciato dal parlamento. Lo stessoLetta si dimise nel febbraio del 2014dopo la sfiducia della direzione nazio-nale del suo partito.Qui ora, con Renzi, siamo in presenzadi un gruppo consistente di parlamen-tari che fanno parte della maggioranzadi governo, fra cui il capogruppo allaCamera, i quali chiedono semplice-mente di “condividere” la legge che sivuole approvare. E, invece, che ac-cade? Accade che Renzi si rifiuta ditrovare un sia pur piccolo accordo einvece di dimettersi lui, come do-vrebbe, si dimette il capogruppo Pa-zienza. Se la legge elettorale, detta “Italicum”,passerà col voto di fiducia, rischiamodi avere una legge che, a prescinderedai suoi contenuti di merito, è condi-visa e sostenuta da una minoranzaparlamentare, formata da una partedel Pd e dal Nuovo centro destra; con-tro una parte del Pd, Sel, Forza Italia,Movimento 5 Stelle, Lega e Fratellid’Italia. Francamente siamo al para-dossale.Pur mettendo da parte toni catastroficie visioni apocalittiche di dittature, nonsi può non considerare l’assurditàdella situazione. Di fatto una mino-

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Tranne il vostro terapeuta (se neavete uno), che lo fa per lavoro, vicapita spesso di incontrare personerealmente in ascolto e capaci distare in silenzio per tutto il tempo

che vi occorre per dire di voi?Oppure fate esperienza di corpi e sguardi in attesa

fremente e solo finalizzata a raccontare le propriestorie, come se la vostra sia solo occasione perloro di prendere respiro e poi continuare il loro rac-conto?Ego (ergo) Sum.Tutto ciò mi lascia un grande senso di solitudine.

Mata Hari Selenica

Ego ergo sum

ranza impone una legge ad una maggioranza che la su-pera in numero di parlamentari e la surclassa in numero disoggetti politici. Vogliamo tenere conto che la folla di par-lamentari Pd è frutto del premio di maggioranza e non dicorrispondenza proporzionale ai voti ricevuti? Che Renziè capo del governo senza che nessuno lo abbia votato?

Che è capo del governo solo perché ha vinto le primariedel suo partito, che, come tutti sanno, sono un’autenticaporcheria? Se non vogliamo tener conto di tutto questo, teniamocipure un capo di governo che purga e un parlamento di pur-gati.

xxxxx

pensamenti

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spagine

della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0contemporaneaAl cospetto di epocali mi-

grazioni, noi cittadinicon l’animo dimesso cichiediamo: è giusto al-largare le maglie deimessaggi di carità e di

misericordia, fino ad estenderli ad ampiesfere della comunità, in modo che essi di-ventino gesti concreti di azione politica, re-ligiosa, umana? Ed ancora: è legittimo e moralmente ac-cettabile l’atteggiamento di chi sostiene diessere in comunione con l’altro da sé e, alcontempo, poi vorrebbe innalzare invere-conde frontiere e steccati disumani? A questi quesiti risponde, su Avvenire didomenica 29 marzo, il direttore Marco Tar-quinio: “Arrendersi a paure, calcoli, irreli-giosità e a grettezza, chiudendo le porte infaccia alle persone che subiscono perse-cuzioni o che fuggono da una mortificantemiseria non è giusto, mai. Basta che guar-diamo in faccia l’uomo o la donna o il bam-bino che sta scampando alla morte o cheporta i segni della miseria e della fame”.Effettivamente, è così. La misericordia nonè una “bandierina” di buonismo ostentato,ma è una pregnante manifestazione ine-rente all’umano sentire. Gli uomini in fuganon sono numeri da “enucleare” in freddestatistiche, ma sono storie vivide, sono ra-dici sradicate. Il vero scandalo di questasocietà contemporanea non è la povertà,eventualmente gestibile, ma l’indigenzaassoluta, che colpisce vaste fasce. LaSiria brucia, è squassata, profughi si muo-vono dalla Libia, dal Libano, dalla Giorda-nia, dall’Iraq. Il direttore Tarquinio,giustamente in controtendenza con certevulgate xenofobe, scrive che “se questifratelli di umanità li pensiamo a uno a uno,famiglia per famiglia, sentiamo che è do-veroso salvarli”. Papa Francesco ci incoraggia a respiraree a vivere questo tempo conflittuale e con-traddittorio come tempo di svolta. L’impe-gno programmatico della politica mondialedovrebbe essere quello di costruire condi-zioni di pace, di giustizia, di libertà, comin-ciando magari a porre fine alle piattaformerapinose di spoliazione dei Paesi a Suddel mondo. Gli spostamenti dei popoli mi-granti, in un truce stagione di guerre ferinee di persecuzioni etniche, sono di fatto ine-ludibili. Il mare nostro è traversato quoti-dianamente da carrette fatiscenti carichedi esseri umani, che chiedono solo ristoroe un civile trattamento. Le politiche popo-lazionistiche sono un aspetto primariodelle agende dei governi democratici.Esse devono essere affrontate de visu,con intraprendenza, coraggio, pragmati-smo. Il governo Renzi si prodiga, nono-stante le croniche e colpevoli indecisioni

dell’Europa delle banche e dell’alta fi-nanza, per tentare di facilitare l’apprododei disperati sulle nostre coste. Chi, in-vece, è da sempre arroccato nel suo ine-spugnabile fortino nazionalprovincialistico,propalando una propaganda xenofoba eparzialmente razzistica, è la Lega Nord delprode Salvini. Le sue diffuse campagnecontro i clandestini ed anche contro i romsono anacronistiche. Addirittura, importantiesponenti del Carroccio si meravigliano fi-nanche della missione umanitaria dellanostra Chiesa cattolica. La cultura dei va-lorosi della Padania, da sempre, mira a dif-fondere il “civile decoro”, ad edificare città“pulite” e dignitose”. Siamo stanchi dellademagogia dei Salvini e dei Borghezio, al-fieri del fittizio ordine, che scriteriatamenteconducono una caccia grossa al rom, al“disadattato”, all’extracomunitario, in nomedel “vincente” rigorismo.La Chiesa cattolica dell’accoglienza, chepoggia le basi su una radicata dottrina so-ciale, non ha mai accettato passivamentela politica immigratoria, voluta soprattuttodalla Lega Nord, nei passati governi Ber-lusconi. Come poteva la Chiesa non ripu-diare l’anticristiano “reato di clandestinità”e gli orripilanti respingimenti dei migrantiin mare? Un Cristo clandestino e pelle-

di Marcello Buttazzo

grino, anima errante, sofferente edescluso, batte e ribatte nel cuore di tantiuomini. Gesù fu un uomo che ramingo sene andò per il mondo, perseguitato dallapervicacia, dalla violenza e dall’ottusità delpensiero dominante. La Chiesa cattolica, che è madre, sa spa-lancare le braccia, sa diventare sangue, sastringere forte gli ultimi della terra. Qualche politico del nostro Paese vor-rebbe chiudere con la forza le frontiere. Mai flussi dei popoli mai si fermeranno. Nonha alcun senso antropologico formulareleggi restrittive, mortificanti e frustranti. Sul-l’immigrazione le normative devono es-sere necessariamente blande, sempreaperte all’inclusione. Il mescolamento e lostesso meticciato sono ormai realtà in atto. Quanto bieco populismo lascia il tempoche trova? È fuori registro. Non è, forse,senza fiato, senza storia, la politica ches’accanisce contro il clandestino o controil rom, contro gli anelli deboli del sistema? La povertà è davvero una “vergogna”, una“minaccia”, un “insulto”? E se cominciassimo ad amarci intima-mente, magari tentando di perdonarci tuttala nostra vita, che resta comunque clande-stina?

Noi, nel tempodella svolta

Lequile, Convento dei Frati Minori, particolare di un affresco

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spagine della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0diario politico

Lo Stato islamico viene da tutti rappresentato come la piùgrande minaccia per il mondo intero. Sgozza gli occidentali,perseguita i cristiani e le altre minoranze religiose. Ci diconoancora, che non abbiamo alternative, dobbiamo reagire, dob-biamo armare le milizie curde e bombardare le loro basi in Iraqed in Siria. Questo nuovo nemico ci inquieta anche perchésembra venuto dal nulla, ma non è così, ha tanti padri anchese nessuno di questi lo vuole riconoscere come figlio. Lo Stato islamico è il logico riultato di tante politiche e di tantierrori, che hanno provocato la destabilizzazione del MedioOriente e non certo per promuovere la pace e la democrazia inquest’area. Non poche volte chi sollecita iniziative militari controquesta grave minaccia, nel recente passato ha lavorato nonpoco per alimentarla. È da decenni che si utilizzano i movimenti islamisti per com-battere i nemici comuni degli USA, dei Paesi del Golfo Persicoe di altri paesi islamici e non. Sono stati utilizzati per indebolire,a volte annientare, le forze progressiste in molti paesi arabi eper combattere l’Unione Sovietica in Afhanistan.In questi ultimi anni in Siria si è utilizzata la stessa strategia, sisono armati gruppi islamisti per fare la guerra al regime siriano.Non dimenichiamo che l’Inghilterra per molti anni ha offertoospitalità ad esponenti di primo piano dei movimenti islamisti.Ben prima dell’attentato alle “torri gemelle” un diplomatico ma-rocchino mi confidò che quando la polizia marocchina era vi-cina alla cattura di qualche capo islamista, questo fuggiva inInghilterra e oltre a non averne l’estradizione, costui nella suanuova residenza continuava indisturbato a fare il suo lavoro.Mi disse ancora: “In Europa presterete attenzione a questi mo-vimenti criminali solo quando inizieranno ad uccidere degli oc-cidentali; le nostre morti non fanno notizia”. Così è stato.

Lo Stato islamico è anche il risultato delle devastanti impresemilitari in Iraq ed in Afghanistan.Tutto ciò ha partorito dei “mostri” come Al qaida e lo Stato isla-mico, che forse sono sfuggiti ad ogni controllo e si muovonocon proprie forze e con una propria strategia. Fatto sta che loStato islamico opera in Siria, Iraq ed ora anche in Algeria. LaSiria e l’Algeria sono paesi che da molti anni hanno legami pri-vilegiati con la Russia e l’Iraq è un paese che forse stava perabbandonare la forzata alleanza con gli USA. Inoltre, entrambii paesi, soprattutto Siria ed Iraq, anche se abitati soprattutto dapopolazioni islamiche, sino ad un recente passato si potevanoconsiderare laici.

Ma mentre tutti parlano e scrivono della questione Stato isla-mico, molto poco dibattuto è un altro pericolo: il clima di odioche si sta alimentando nei paesi arabi contro l’Occidente. Que-sto odio, sapientemente veicolato, rischia di trasformare la re-ligione islamica in islamismo. Ovvero in una nuova religione,vuota di valori religiosi (a partire dalla misericordia) e culturali,e molto poco disponibile al dialogo. O per dirla in altro modo glisforzi fatti per globalizzare ogni cosa, per omologare ogni cosa,nei paesi islamici, arabi in particolare, stanno producendo una“modernità” differente da quella sperata. Si rifiuta la “modernità” occidentale creandone una nuova par-tendo dalle proprie radici culturali, ma anche modificandoleadottando sempre di più quelle wahabbite.In Afghanistan i talebani sono arrivati a distruggere le statuedel Budda con l’intento di modificare la storia remota del loropaese, dove tutto deve essere riferito alla loro interpretazionedell’Islam. Ciò vuol dire che sarà sempre più difficile costruireuna vera politica mediterranea, sempre più difficile creare un’in-tesa tra le due sponde del Mediterraneo, sempre più difficile ildialogo tra i popoli arabi e quelli europei. Vale a dire che si con-soliderà lo status quo. I popoli continueranno ad odiarsi e le ri-spettive élites continueranno a fare affari sulla pelle dei rispettivipopoli e come tutti sappiamo uno degli affari più redditizi èquello del traffico delle armi. Per far meglio comprendere di cosa si sta parlando, riportiamoquanto riferito da Giorgio Beretta, esperto dell’Osservatorio per-manente sulle armi leggere di Brescia, intervistato da GiustinoDi Domenico: «Il Medio Oriente è la zona nel mondo verso cui– secondo l’autorevole istituto di ricerca svedese SIPRI (Stoc-kholm International Peace Research Institute) – è diretta lamaggior parte di sistemi militari: nell’ultimo decennio ne sonostati inviati per oltre 51 miliardi di dollari, che rappresentano piùdel 20 per cento di tutti i trasferimenti mondiali di armamenti.Un quinto di tutti i sistemi militari venduti nel mondo va quindia finire proprio in Medio Oriente». Aggiunge ancora: «Detto in breve, chi più di altri sta armandoil Medio Oriente non è qualche strano “Paese canaglia”, ma lemaggiori potenze occidentali e, tra queste, anche i paesi del-l’Unione europea: sommandoli, infatti i trasferimenti di arma-menti da tutti i Paesi dell’Ue verso il Medio Oriente superano i15 miliardi di dollari».

http://www.cittanuova.it/c/438733/Perch_Usa_e_Unione_europea_ven-dono_armi_ai_Paesi_del_Medio_Oriente.html),

di Giuseppe Spedicato

Lo Stato islamico,gli “errori” dell’Occidentee l’altra “modernità”

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spagine della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0cronachette

Vede? Sono queste lecandelette per le die-sel. Quelle per la ben-zina si chiamanocandele. Tra un'ora puòpassare a riprenderla.

Ok. Dentro le mura i passi vanno soli.Centrifugato ai piedi di porta San Biagio edi quella burlona geniale e anarchica delNaviglio innocente. Innocente, non nuocee apre mondi. Non vale portarsi un libro, illibro si apre camminando, declara mappeumane. Restituzioni, testimonianze vive,tracce, echi. Il libro ha passi, voci, saluti,sedie aggiunte al tavolino di un bar. Latela opera senza tregua, affamata di inizie prosegui, intreccio famelico di cose an-date e presenti. Ecco.Ecco Maurizio Nocera col dottore biblio-filo suo pari. Invitano a sedermi. Gettanole reti immediatamente, pescatori abilis-simi, a proprio agio con acqua e tesorimarini. Inchiostro di seppia e rosa. E sìche altrettanto velocemente emergonopesci di ogni taglia, vivi, brillanti. Guizzanocome schegge d' argento al sole.Ecco una creatura marina grossa e pre-giata. Il tipo di origini slave a 60 anni sicongeda da moglie e figlio, parte in Africacon la lambretta. Ritornato da poco a Sud,prepara i motori della sua compagna adue ruote per la volta di Vladivostok. Ste-fano Medvedich.Il dottore dice che è un matto a rischiaretanto. Maurizio dovrebbe dissuaderlo: nonlo farà. Maurizio porta con sé da sempreun rosario di perle geografiche che sgranacon facilità infantile mentre parla, ride,beve un rosso, canta, balla. Con lui simuove uno sciame birichino e scintillante

di nomi di città, aneddoti, passaggi, aerei.Inesorabilmente pagine. Un mondo cheper lui si riduce a firmamento disegnatonella camera di bimbo. È tutto sotto il suosguardo, domina la sfera ricamata di nomie oceani, capitali e fiumi. È uomo di viag-gio. Senza ostacoli ha viaggiato. Fede dicompagno. Fede rossa. Fede di parola.Parlano di edizioni lussuose del Galateo,si rimbalzano nomi, ricordi. Pingpong disecoli e città, scrittori, continenti, pagine epagine, edizioni. Costellazioni di vite vive.Orbita e egida di ideali e entusiasmi maiassopiti. Amicizia e letteratura, poesia evita. Tavolate sotto il porticato della storia.- In quel tempo Gallipoli era un porto im-portante, ci venivano signori e mercantidalle Americhe, dall'Inghilterra, dall’est.Venivano per il cotone, per il bisso... - Bisso? - Sì bisso, la bava di origine animale chela Pinna nobilis secerne. La cozza penna,in pratica... Poi dal bisso alla mussola mentre dardeg-giano cielo e mare di Gallipoli e venti bi-blici e bizantini spingono le porte del bar,agitano gli alberi di quel placido giardinomedievale della città dei lecci. Ci siamo.Primavera e rondini.- Maurizio, eravamo ricchi, avevamo tanterisorse. Oggi, invece. Gli ulivi, per esem-pio. Che accadrà secondo te.– Accadrà che passerà anche questo. Al-cuni dei miei si sono un po' ammaccati.Ma li curo coi metodi dei vecchi contadini.Calce, rame.- Ho paura che il dio denaro farà soccom-bere la poesia millenaria di questa terra. Mi prende la mano Maurizio, entra in unsentimento preciso, lo zumma, lo guarda

in faccia, proprio quello, e sorride – Ilaria,la poesia vincerà sempre, sempre! Ricor-datelo e stai tranquilla.

È buono il centrifugato: zenzero, carota,mela e kiwi, l'ha offerto il dottore.Ti devo dare il libro su Neruda!Sì, sì! A presto

Un'ora è passata ma continuo. Mi godo lasperanza insufflata con forza. Ci vogliocredere. Ci credo. Chiesa di San Matteo.Bianco, celeste, sostanze astratte e pal-pabile materia. Silenziosi i turisti sorri-dono. Se la prendono intera la pace di questi vi-coli santi. Lo dice il viso, spiaggia senzacrepe e larga, linda.Marcello ripara le moto d'epoca in piaz-zetta Epulione, accanto alla casetta diGiulietta corteggiata da mesi. - La vuoi ve-dere? Ho le chiavi... Dopo facciamo ungiro tra Guzzi e lambrette, fotografie, tro-fei, coppe. - Lavoravo al Monopolio distato, riparavo le macchine. Avrei conti-nuato a lavorarci ancora, ho sempreamato il mio lavoro.Ritorno. Prendo l'auto. Poi Vinicio rac-conta la sua storia sommessa, flebile ecolossale, tormentata. Itaca e i padri. Lacomunità, la famiglia, le cuccuvascie. Suetaurinerie. Torno dal padre. In mezzo lacampagna. Fulgida, accecante. Perturbala sua bellezza colorata di primavera.Raggruma insieme tutti i punti cardinali. Ogni voce, fatto, parabola, ellisse. Nelnome del creato. Nel nome di natura, suocompasso. Il centro e l'assoluto. Nel cer-chio perfetto. Sì, è vero. La poesia vincesempre. Sto tranquilla.

Di un navigliodi Ilaria Seclì

“Lettore, chi serve il declaro è preso da una incredibile,ridicola spietatezza: non vorrebbe lasciar dietro briciole,

lische, residui. Per altro è spossato”Antonio Verri, Il naviglio innocente

Candelette, porte, pinna nobilis, Vladivostok ovvero spacciatori di tranquillità nella città dei lecci

innocente

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spagine della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0

L’abecedariodi Gianluca Costantini e Maira Marzioni

A zonzocon un zavorra zoppicante di ouzo

zigzagava zorbazigzagava zoppicante Zorba

Z o r b a... Zzzz...

La sua zolla di zagare e zefiro vento

lo zigomo al sole

su un mare svariato di zirconi...

Nella zucca zingara di zorbaun intero ziggurat

Zorbazerbino di Zeus

A zonzo senza zolla senza Amore

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spagine della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0l’osceno del villaggio

In fila all’Inps per una praticacontributiva. Molta gente inattesa. C’è uno che, sedutoaccanto a me, impaziente,batte rumorosamente ilpiede per terra e quel pic-

chiettio distoglie la mia concentrazionee mi fa scollare la faccia dal giornalenella cui lettura sono immerso. C’è lasfitinzia che da quando sono entratoparla ininterrottamente delle sue cose altelefonino, noncurante del rischio con-creto di essere sgozzata da un mo-mento all’altro. C’è quello in piedi che conciona di tassee malgoverno davanti ad una piccolaplatea distratta ed ha un tono di vocecosì alto che sembra abbia inghiottito unmegafono. La telecamera a circuitochiuso dell’ufficio intanto riprende tutto.Mi vedo nel monitor e concepisco per unattimo la singolare fantasia di essere unaltro e di potere guardarmi dall’esterno,dall’alto o dal basso. Sul giornale leggodell’intensificazione dei controlli e dellemisure di sicurezza in Francia in seguitoagli attentati di Parigi e alla strage algiornale Charlie Hebdo. Ben presto Pa-rigi supererà Londra che detiene il pri-mato di città più video sorvegliatad’Europa . Ma anche qui in Italia non sischerza quanto ad invasione della pri-vacy dei cittadini, sebbene la sicurezzasia un nodo centrale e un’esigenzamolto avvertita da tutti.Mi viene in mente quella canzone di Jo-vanotti, “Io danzo”, che dice: “Ci ascol-tano al telefono. Ci guardano i satelliti.Ci intasano nel traffico. Controllano gliartisti. Ci rubano le password. Ci fru-gano nel bancomat. Ci irradiano. Ciscannerizzano. Ci perquisiscono”.Un omone butterato e dalla voluminosazazzera, con evidenti difficoltà a deam-bulare per via dell’obesità, non mi

stacca gli occhi di dosso. Cosa avrà daguardare? Sbircio la telecamera e poi ilmonitor per verificare se sono ancorapresente in carne ed ossa o se mi sonoliquefatto come piombo fuso, dissoltocome fantasma d’inverno. La telecamera fa tutto il giro e poi arrivadi nuovo a me. Sono ancora qui, nel miogiaccone e nelle mie scarpe, la borsa dipelle appoggiata a terra fra le gambe.Ad un certo punto fa il suo ingresso unuomo alto ed emaciato con il collo e ilbraccio ingessati, reduce forse da un in-cidente stradale. Lancia delle impreca-zioni a mezza bocca alla sala affollata eall’aria davvero pestilenziale cheadesso la satura. Non bada a staccareil numerino ma, appena alcuni avventoriescono da quel lungo budello che è ilcorridoio, vi si infila prontamente, allavolta degli uffici, con una faccia tostache al confronto l’acciaio Inox sembra ilburro Granarolo. Come dire, “il fine giu-stifica i mezzi, ma il rozzo non se nefrega nemmeno”. Intanto il mio vicino diposto batte sempre più nervosamente ilpiede in terra e io raccolgo gli ultimiavanzi di concentrazione per mante-nermi calmo e non urlare. Leggo sul giornale della cosiddettamafia romana e ritorna il tema delle in-tercettazioni telefoniche. Quando holetto o ascoltato per la prima volta i dia-loghi fra il boss Carminati, il presidentedelle cooperative romane Buzzi, ed altriesponenti della cricca, sono restato sbi-gottito e ho pensato che si trattasse diuno scherzo, che stessero girando lescene dell’ultimo film di Tomas Milian, “Ilritorno del Monnezza” , o al più che sitrattasse di una finzione a vantaggiodell’”Arena” di Massimo Giletti. Perché,suvvia, non è possibile che questi lesto-fanti non sapessero di essere intercet-tati, se davvero possiedono la caratura

criminale che vien loro attribuita. Ri-cordo che con alcuni amici che sono inpolitica, pur non avendo nulla da temeredi legalmente rilevante, non si parla maial telefonino, e anche quando ci si in-contra di persona si utilizza il linguaggiodei segni per paura delle intercettazioniambientali. Chiunque sia in politica o ri-vesta qualche carica ufficiale sa di es-sere sorvegliato da parte delle forzedell’ordine. E i mafiosi de noantri pia-nificavano bellamente al telefono le loroardimentose azioni criminali? Mah! Houn amico che non comunica per tele-fono alla moglie nemmeno quanto haspeso al supermercato, per paura di ri-trovarsi la Guardia di Finanza in casa. Adesso una signora di età avanzata stacincischiando che gli uffici pubblici sonopieni di parassiti che paghiamo noi, pro-prio noi, e che è una vergogna l’an-dazzo in certi posti. L’oca giuliva altelefonino continua a starnazzare deifatti propri. La tensione si fa palpabile,si potrebbe tagliare col coltello. Ma nes-suno invita la signorina ad andare affan-culo fuori dalla porta? Dovrò farlo io? Mitrattengo e tiro un lungo respiro. Ora le mie gambe fremono incontrollatee iniziano a danzare un nevrotico tip tap.Quando sembra che il mondo mi stia ca-dendo addosso, sul display si illuminamagicamente il mio numero: 43. Tocca a me entrare. Mi detergo la fronteimperlata da due gocce vagabonde disudore, riconnetto le sinapsi obnubilatedalle esalazioni nocive dell’umanità de-relitta che affolla la sala d’attesa, prendola borsa di pelle marrone che era strettafra le gambe e raggiungo l’ufficio pre-posto all’evasione della mia pratica. Assolto il mio tributo quotidiano alla fol-lia metropolitana, esco finalmente fuoriall’aria fresca, che inalo a pieni polmoni.

Un giorno di ordinaria follia

di Paolo Vincenti

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spagine della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0l’osceno del villaggio

Dice “scusa, scusa senti / potrei passare avantila fila è lunga ed io non posso aspettare

Dico “prego, prego, faccia / lo so, una giornataccia a pioggia, il traffico e le scadenze del mese”

“diamoci del tu” mi dice lei / “io mi chiamo Samantha”/Io le do la mano e intanto penso “madonna, quanta!”/

Samantha – Daniele Silvestri

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spagine

Si assiste ve lo assicuro. As-sisto anch’io al teatrino delquotidiano poetico, lo dico ene scrivo e, di quell’insuf-flato e anche del continua-mente dico che, dello e

nello starci non mi rassegno con metodicaed uguale passione sulle rotte telematichedei social cinguettanti o nei più e nei menodi un farsi soffiare dentro per un altrettantoe qualsivoglia social book. Confesso, nonsono adattabile o adottabile, sono piutto-sto instabile in un farsi infondere o lontanoda un lasciarsi ispirare, non mi faccio insi-nuare dai polmoni di un asfittico.(Ma sarò stato sufficientemente dedito nelverbo al transitivo o sono tuttora nell’erroredi esser stato condotto, intransitivamentein errore, con un meritato “insufflarmi”?) Nell’assurdo è il difficile distinguo fra unminimo e un massimo, fra il fare e il di-sfare, fra lo scrivere e il parlare.Il problema così come da me posto è solodi chi ci crede o di chi ci prova per farmelo,ma solo se lo preferite, credere? Il tentativo può chiudersi in una secca ri-sposta? Invece, a pensarci me ne dispiace, ec-come, e non è nell’unico breve dell’enun-ciare di un minimo o di un massimo o inquel ch’è sopra o sotto, ma come lo starcie chiudersi per intero, sia nell’esser soprao sotto o, se credete, solo nell’intento delfarmelo apparire. Ma per e dell’l’insufflo?

Nell’iniziare a contarlo occorre l’Uno o ilDue? Pensate, pensate, pensate. Io così,proprio così, fra l’Uno e Due, vado in con-fusione, voi no? Credete forse di storcereil naso e cavarvela? Grossomodo, dai confezionatori delle mi-stificazioni imbastite con la scrittura dettadi poesia, occorre uscire per quel fumo e,chi lo crede, non ha scampo. Pertanto, dall’Uno lasciate che inizino imangiatori di parole, poi a quest’ultimi siaggiungano pure gli onnivori lettori. Dal Due, ad iniziare, mi spiace, non cisiamo tutti. Dal Tre invece v’è chi crede es’illude di sfuggire a queste semplici regoled’accomodamento domestico e poietico,al dubbio del chi non ha scampo. Un-Due-Tre e, per il Tre, parrebbe l’ini-ziare.Sorge il dubbio che non è solo l’attribu-zione di una semplice conta, né l’esserefra quel ch’è certezza, ma l’ennesimo ro-vello dialettico. Riconduciamoci all’insufflo, al teatrino delquotidiano poetico. Il concetto è nell’ap-pena enunciato del e nel breve del Tre, ènella e dell'ipocrisia parlata, è del e nel-l’atto di una contraddizione del non dire edel non poter dire: Basta! Quel che genera e sostanzia la conse-guenza dell’Uno e la probabile continua-zione del Tre ch’è l’iniziare. Tutto È da verificare solo il perché s’ade-gua al tutto, alla circostanza.

Mi hanno detto: Un bravo maestro per al-lontanare da sé il dubbio di un’ipocrisiapuò dirci: «Ascoltate quello che dico, manon insufflate né fatene esempio di quelche, normalmente, faccio e, se non riu-scite a star zitti, ch’è l’equivalente dello“scrivere”, sappiate “tacere”.» Continuando, scorrendo per il ricordo delmaestro: «Del Due ch’è prosieguo del-l’Uno cosa ne facciamo?» Trovarsi con questa interrogazione è il gia-cere nella pratica del solo dire e del nonfare nonché dinanzi all’insufflo di un’ipocri-sia con l’avvertire l’inspiro di un bilico, dellapropria finzione o del o nel mostrarsi di-spiaciuto, commosso e quant’altro con-viene per non distrarre la mente poetica:«veramente … forse… vedrei di… bello,bello, bello …» (così è che m’insufflo in-transitivamente) Comunque, è facile trovarsi in quella con-traddizione. Lo assicuro, avviene ed è da questa affer-mazione che scaturisce sempre l’esigenzadel: “Dio Salvi ... etc …” Nell’indugio è dar luogo e al contempo esenza far trapelare vanto alcuno, è la-sciare all'ipocrisia silenziosa il sottile dive-nire con la più sofisticata delle sostituzioni,quella della sottilissima e nascosta affabu-lazione e dimenticando e sottintendendoe alludendo e comunque lasciando a tuttiche i verbi diventino intransitivi. Suvvia, mai farli divenire transitivi anche

di Francesco Pasca

“Dio salvi…” Ma Chi?

Fatelo da voi il chi salvare,ma non rivolgetevi a Dio né per i Re,

né per la Poesia

Ad illustrare un particolare da Antonello da Messina, “Salvator Mundi”, 1475 ca. - Olio su tavola. Londra, National Gallery

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spagine della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0scritture

se già lo sono. Lo so è scomodo. Nell’indugio sottintendo che, può ancheaccadere che altri l’avvertano quel transi-tare. Persino il Nostro Poeta che canta e vantalodi di bontà e d'amore può cadervi inquell’intenzione, sebbene a lui è remota e,fra un transitivo e l’intransitivo può scate-nare, cioè, destare, con l'altrui ammira-zione, quel sottile distinguo che si chiamadissimulazione da un’ipocrisia. È poetico simulare. È poetico in virtù o insentimenti o in quel che non v’è attinenzacon la realtà e che porta ad ingannare, alusingare in nome del: «Dio salvi…»Qui l’arte più raffinata è dell’ipocrita poesia. Il dubbio in me è che, dal momento che nescrivo, possa anch’io essere caduto nel-l’insufflo e che mi accomuni a quanti scri-vono sui “muri” delle loro e nostre anime:"Io odio i falsi ", "Io odio le ipocrisie", “ioodio le simulazioni IN e per L’OUT di poe-sie”. Per questo motivo inizio dal Due, perchénon ho certezza d’inizio e simulo il proba-bile Tre ch’è per altro inizio. La mia scrittura sta per concludere e siavvia e diventa la più qualunquistica delleaffermazioni e, di questi tempi, mi parefatta solo per far bisticcio in una categoriadetta: “generale”. Per non agitare un mare ch’è magnum edare opportunità ad un canale d’esser dipuro scolo, ch’è di parole, v’è il mio decan-tare nel Tre e da non dare e da non con-cedere per l’iniziare. Ma ri/torniamo al teatrino poetico, al soc-corso iperventilato ch’è del: "bello, bello,bello, così bello che, rinuncio a compren-dere.” Veramente, il mio soccorrere è un po’dopo il bello, deve cioè essere il foto-gramma che si verifica come un eventoclamoroso, un “Booom” da fumetto. In breve, mi racconto e da intransitivo dola mia contraddizione". D’accordo, la non rinuncia imprevista feri-sce e fiorisce nella mia non menzogna.D’accordo, quando, insomma, il compor-tamento e i sentimenti sfuggono alla com-prensione la chiamiamo apertamenteipocrisia consapevole e ne indichiamo l'in-coerenza voluta tra parole dette e valorisemantici enunciati, spesso tacitamente emai esplicitamente, nel “Uff! Puff! Pop!Gulp! Snap!” D’accordo, l’idea espressa nel Due èanch’essa contraddittoria e non sostituisceil vero che finge, è solo il dimenticaredrammaturgico del consapevole come

nell’antica Grecia, come l’Ypokrites ch’eral’Attore. Ancora più d’accordo se, quella dramma-turgia così grossolana è oggi spesso risul-tato dei profondi moti interiori. Ma, vi è una colpa nel NeoAttore? In fondol’Attore non è solo il Teatrante, è il sé Pro-tagonista, è l’Ombra che fa parte di noi oche è e diventa la Cosa che la necessita ela perseguita.Anche su questo siamo d’accordo? (Omis-sis) Ma s’è manifestazione proiettata diun’opportuna e se tentiamo di eliminarladobbiamo azzerarne necessariamente laluce per non farla apparire come scoria diun sé? (Omissis)Con l’Ombra, ch’è meglio del Due, è la-sciare tutto in attesa di un far diventare im-provvisa la manifestazione di una causanel distruggere. Suvvia attendiamo, diverrà prima o poi lanostra ombra morale. Ecco l’auto inganno, il ricorrere, eccocome prelevare un parametro altrettantocontraddittorio in una cosiddetta improv-visa modestia.Certamente? La modestia è l’altro sé, è ilconvenzionale, il modo dichiarato di un an-ticorpo ombra capace di scatenare l’ipocri-sia in orgoglio. Così, come dichiaravaGiovanni Papini. Ma, cosa sarà mai la modestia nell’insufflose non una falsa modestia? Ma, per uno come me che assiste al tea-trino della Poesia la voce che insegue è:facciamo “mica” le pulci sulla Parola, sullaPoesia? Come possiamo dichiarare lo stato di unfalso quando per il gioco delle antinomiepotrebbe essere anche vera o apparte-nere ad una forma raffinata di vanità det-tata dalla proiezione di un’ombra di veritàoppure trovarsi in un’altra menzogna abil-mente camuffata da un inizio di Uno e il di-chiarato di un Tre? (Qui l’insufflo èlunghissimo, da apnea)Per Concludere “citiamo” Aristotele. Aristo-tele afferma che la modestia assomigliapiù ad una sofferenza che non ad unaqualità, è come voler scacciare da sé l’om-bra. La sofferenza, quindi, parrebbe modestiasincera al pari della stessa modesta ipo-crisia e ne diventa il suicidio della stessaparola e del suo fare. Per concludere citiamo anche Rousseau.Anche Jan Jacques Rousseau affermavache la modestia comincia con la cono-scenza del proprio male.Ma, per tornare al più sottile distinguo,

nell’essere d’accordo termino col Tre, conl’ennesima citazione. George Bernard Shaw la cui visione,come sinora scritto è nella drammaturgiami ha consegnato: «L'ipocrisia è l'omaggioche la verità rende all'errore.» Non so se questa affermazione gli resequell’omaggio, l’insufflo con l’assegna-zione del premio Nobel del 1925. La motivazione allora fu: «Per il suo lavorointriso di idealismo ed umanità, la cui satirastimolante è spesso infusa di una poeticadi singolare bellezza». Suppongo fosse riferita esclusivamentealla sua eccezionale pratica drammatur-gica. Lo spero. Lo fu sicuramente?! Sì!? No!? Boh! Ma, se fu omaggiato anche per la sua al-talenante condizione politica, mi giungonofaticosamente poetiche le affermazioninegli aneddoti su “George”. Mi sorge il dubbio che, i teatrini poetici fu-rono solo le sue affermazioni.Come lo furono le dettate e le ritenute ne-cessità, ad esempio dettare: “… lo stermi-nio di persone inutili alla società come i‘pigri e gli invalidi’. Aggiungo (poetici).” George come ogni Tre mi lascia comun-que nel dubbio di un insufflo. Nell’appellolanciato ai chimici, ad esempio sprona persollecitarli all'invenzione di un gas pietosoin grado di uccidere senza far soffrire ‘gliinutili e gli invalidi. Qui il Due è più ipocrita e più vanitosa-mente sincero di un Tre. Qui del Due è fatto l’Uno e, di quell’Uno,la condizione psicologica può essere det-tata dall’individuo solo se portato a giusti-ficare il suo comportamento, poi divenutoNobel.Qui del Tre è il perché ed è il dovuto percause ambientali a lui estranee. In buona sostanza, l’attribuire un’azione erenderla partecipe agli altri con un altret-tanto omaggio poetico è e diventa, comein precedenza dichiarato per bocca di Ge-orge, «L'ipocrisia è l'omaggio che la veritàrende all'errore.» Non resta che continuare ad essere ipo-criti e, se volete, anche non tanto modestipurché nell’errore. Oggi che ne scrivo la differenza sappiatech’è su: “in qualità di (omissis)” o “in vestedi (omissis)” Fate voi, ma non credetevi né Jan Jac-ques, né George, né Aristotelici seguaci diuna sofferenza. Nell’assurdo salvatevi dai gas pietosi in-sieme ai Re e alla Vostra Poesia.Rispettosamente, BOOOM!

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El’alba? Chiede il poeta, a chi forse può darerisposta. L’alba! Rapida e radiosa nel cielod’Oriente, autentico incanto d’immensosplendore; ammanta di luce la nostra terrae le altre ad essa accanto. E sempre ci av-volge col suo tenero canto fugace. Sempre

presente per ritrovare il modo di restare in vena per l’amoreche viene, per l’amore che va. La poesia di Marcello forse è il modello della bellezza! Comegli orpelli delle vesti e l’antica forma di un magico splendore.Tutto riluce nella poesia, le donne del coro invocate tacciono,e tutti noi siam pronti ad ascoltarle in pace. Le basi su cui i versi di Marcello poggiamo provengono daun’antica tradizione orale, ove la dottrina della bellezza eraassociata ad una riflessione sull’arte. Essa ci è tramandatada poeti come Omero ed Esiodo, e poi dai frammenti dei pre-socratici. In questi testi, la bellezza comporta alcuni caratteriche rimangono determinanti per tutta la tradizione succes-siva: essa è, per esempio, “luminosità” e splendore del sen-sibile (così, in Omero, sono belle le armi degli eroi perchésono ornate e rilucenti; è bella la luce del sole e della luna, ebello è l’uomo dall’occhio splendente); e d’altro canto, spe-cialmente a partire dai pitagorici, la bellezza è simmetria eproporzione; e ancora, come attesta il potere che Afrodite,dea della bellezza, esercita sull’uomo (per esempio inEsiodo), bellezza è forza di persuasione, capacità di attrarrema anche di “ingannare” (un tema vivissimo nel sofista Gor-gia). Proprio quest’ultimo carattere del bello costituisce labase di uno dei pochi nessi espliciti fra arte e bellezza chesia riconosciuto nel pensiero arcaico: la poesia, infatti, con-divide con la bellezza la forza di persuadere (così in Pindaro,“Nemea” VII, 20-22). La dolcezza della poesia fa di essa unafonte di piacere, e per il potere che esercita sull’animo la poe-sia appare come un dono degli dei (Omero, “Iliade”, II, 484sgg.).

Così piange una donna, prostrata sul corpo dello sposo,caduto davanti ai suoi uomini per proteggere dal giorno funestoi figli e le città. E lei che l’ha visto dibattersi e morireattorno a lui riversa acute le sue grida…

(Omero, Odissea 8, 523 sgg.)

Marcello sembra quasi evocare le Muse, l’eco della loro voce,come ancestrali figure che illuminano l’alba natale. La vocechiama nella nostalgia dell’eco dell’assenza… Un ricordo delprenatale; nostalgia di qualcosa che fu. In questo senso, Mar-cello evoca l’originario e l’arcaico, con ritmo e pulsione mu-sicale, che è il corpo stesso della parola. E’, a suo modo, uneco e un segno del ritorno. Esso incarna una nostalgia del ri-torno, l’eco di una poesia già ascoltata un tempo che non ènel tempo, in un dove senza alcun dove. In breve, in quellaorigine che non c’è e non è stata mai, poiché non è nell’or-

dine delle cose, ma in quello dell’evento: ciò che, essendosempre, non è mai.

[…]Orsù, dalle Muse dunque iniziamo, che a Gioveinneggiando rallegran l’eccelsa mente in Olimpo,e dicon le cose che furono e sono e saranno,con le parole espresse, e dal labbro delle dive la vocefaticante scorre soave.[…]

(Teogonia di Esiodo, vv. 36-40)

E’ così per Marcello l’azione della parola, essa esige dunqueuno svuotamento, e solo allora una originarietà ti visita, seivisitato. Per questo vuoto, in questo spazio creato, è datal’azione salvatrice dell’arte, l’azione poetica che Marcello re-clama per non lasciare la poesia ai corvi della mera culturaintellettualistica e “negativa”, cioè proprio a quel nichilismodel mondo dello spettacolo trionfante e trionfato, che MarcelloButtazzo, assieme ad altri, respinge. Egli recupera la poesiacome canto, come mezzo di trasmissione che fu prevalente-mente orale, scrittura ed essenza diffusa attraverso pubblicheesecuzioni; qualcosa di più antico di ogni passato e di piùnuovo di ogni futuro.

[…] E la tua voceche incantava i passantiper strada, ineffabile cantodelle centomila sirene.La nostra terraun Eden vagheggiato.Come era vivoil tuo corpo,il tuo viso.E poiogni nottele vie popolate di gente.E in piazza,in ogni pietrala tua orma, il tuo passo.

(Marcello Buttazzo)

Noi non sappiamo come andranno a finire le cose, ma sap-piamo come sono cominciate. La creazione è cosa buona egiusta. Questo sigillo di bontà e giustizia resta nonostantetutte le cattiverie di cui l’uomo è stato, è e sarà capace. Que-sta è la speranza radicata in Marcello Buttazzo, il bene el’amore non arriverà domani, ci accompagna sin dalla primaalba.

E l’alba?Da Manni nella collana “Occasioni” una raccolta di versi di Marcello Buttazzo

di Antonio Zoretti

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della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0poesia

“E l’alba?” Arriverà l’alba,ma certo che arriverà; adun patto, però; che ognunoporti con sé i versi di Mar-cello Buttazzo e portarlicon sé, significa avere ac-

canto la sua ultima (in ordine di tempo)creatura poetica, posarla sul comodino,portarla a passeggio tra le strade, pre-sentarla agli amici che amano la poesiae anche a coloro che non la amano. Im-pareranno ad amarla, la poesia, perchéle liriche di Marcello sono l’alba che s’ af-faccia nel cielo ogni mattino e non si puònon aspettare e non desiderare che albaappaia.E non si può non aspettare, non deside-rare un abbraccio. Ecco, i versi di Marcello sono un conti-nuo, incessante, struggente abbracciopoetico “in una divinazione / di stellebianche”.Quasi a conferma di quello che intuivo aduna prima lettura, mi son messa a con-tare gli enjambements, il legame traverso e verso e ho perso subito il conto,immersa nell’abbraccio di stelle bianche,tra urli di gabbiano, “ melodia / di cicalepazze e canterine”, voci di onde sonoree piogge improvvise e rintocchi di cam-pane nella piazza e poi, d’un tratto,

“un’eco lontana / di ninnananne”. Don-dola Federico “su una altalena di luna” emi commuovo, mi perdo, dondolo, mifermo e respiro. Non conto più, so-spendo per un attimo la lettura. Mi godo,nell’anima, questa eco di ninnananne equesto dondolio lieve d’una altalena diluna. Il vento o le nuvole a spingerla,chissà.Ora riprendo a leggere e vorrei consolarequesta “pena d’amore” e so già che nonè possibile. Si è raggrumata nei versi, leiè grumo di sillabe, lei “sbrecciata paura/esfrangiata malinconia”, lei è tutto, lei èanche un “petalo di vermiglia/ speranza”racchiuso ancora nell’abbraccio d’unverso che si aggrappa all’altro per non la-sciarlo mai solo. E’ questo “petalo di ver-miglia speranza” che mi fa cercareancora nelle pagine di“E l’alba?”, questaopera essenziale di Marcello Buttazzo. “E l’alba?” già, e l’alba c’è, sempre; pre-sente anche e soprattutto nei pensieridelle notti insonni; ed è metafora e sim-bolo d’una donna – la donna – che è te-nebra ed è luce, è realtà ed è sogno, èillusione e delusione, è respiro e sin-ghiozzo, lacrima e sorriso, è il saporedolceamaro della vita, si mescola nei co-lori della natura; lei è tutto, arcobaleno,papavero, gaggia, albero del pepe, pro-

fumo d’ aranceto, rosa egelsomino,\manciata di stelle rubate,rosso di melagrana. Lei è l’alba ed è lavita e se il suo pensiero non c’è, non c’èMarcello e non c’è la sua poesia; comeBeatrice per Dante, come Laura per Pe-trarca, come la Musa e il suo poeta,comePsiche ed Eros, come, come “ pensierooltre la notte / e cibo degli dei”. Ecco, ècibo degli dei, la poesia, ma è cibo degliuomini, deve e può diventarlo, se ancoranon lo è, “ per irrorare un fiume di gialligiacinti”, per aiutare a sognare, a spe-rare, ad immaginare.Decido; prendo con me il libro di Marcelloe lo riporto a spasso con me nel sole; hovoglia che coloro che amano e coloroche non amano la poesia sappiano che iversi di questo poeta sono davvero“pane domenicale / sospiro su una con-trada di periferia / l’eterno ritorno / un re-spiro di luna / la magica storia di Sole /ragazza di viola con gli occhi fondi diluna”.Vanno “ oltre le miserie / di questo tempo/ presente”. Incoraggiano a vivere do-nando, per il domani, il domani di Mar-cello e di tutti “il fiore dell’aurora / e unacrisalide / di ali primordiali”.

di Giuliana Coppola

Dedicato a Marcello e al respiro lirico della “sua” alba

Nell’abbraccio della poesia

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di Massimo GrecuccioQuasi niente

Ogni nostra percezione è fede, nel senso che affermapiù di quanto a rigore non sappiamo, dato che l’oggetto è

inesauribile e le nostre cognizioni limitate.

Maurice Merleau-Ponty

Francesco, c’è una continuità evidente tra i tuoilavori presentati a Palazzo Vernazza-Castro-mediano (nell’ambito della mostra Ipotesi, 21marzo / 8 aprile 2015, a cura di Lorenzo Ma-daro), e i lavori che tu hai allestito alla GalleriaFrancesco Foresta, esposizione che hai rac-

colto sotto il titolo Quasi niente (Prima visione / 01, 10 aprile /26 aprile, a cura di Lorenzo Madaro). Intanto, a rimarcare lacontinuità, due opere della precedente esposizione, Quasi su-perficie e Quasi superficie / Leva, sono trasmigrate da palazzoVernazza alla Galleria Foresta. Anche l’avverbio quasi segnala continuità.

UN PUZZLE INCOMPLETOC’è, nelle tue realizzazioni, quasi un rifiuto. Il rifiuto di mostrarealcunchè di forte, di compiutamente forte. Il rifiuto di indicareun senso sovrano, un senso Re Sole. Non c’è più un sensoche abbaglia. Non c’è più bisogno di un senso che abbaglia?Questa è una domanda che mi suscitano i tuoi lavori (questadomanda credo che abbia un lato che confina con l’Etica).La detronizzazione del Re Senso, la attui programmatica-mente con la costruzione (per passi) di quasi un alfabeto diprocedimenti visivi. Un alfabeto di forme che sono come deitasselli, delle tessere. Forme che, considerate insieme, sonocariche di più di quello che lascia intravedere il gesto della di-sposizione singolare nello spazio.

NELLA RASSEGNA IPOTESINei tuoi gesti, quelli che ho potuto vedere, i materiali di par-tenza sono poco variati (sono quasi dei ready made). È unatua caratteristica (un tuo stile) quella di caricare, con interventiminimi, di nuovi significati gli oggetti (anche di risulta) che uti-lizzi. A Palazzo Vernazza, le assi di legno (listelle, travi a sezionequadrata di spessore variabile) sono accostate, con unestremo a terra e l’altro di poco dalla terra innalzato (tramiteun sostegno di legno o di vetro). Lì hai mostrato, per esempio,delle cornici quadrate che racchiudono fili di spago (paralleli atrame più e meno fitte), un quadrato fatto di liste lignee acco-state, una grande cornice (Quasi superficie) con un lato chepoggia sul suolo e quello opposto sollevato da due vetri, unaleva con fulcro, braccio e contrappesi (Quasi superficie / Leva).I materiali (le assi di legno, il vetro, lo spago) hanno subìto in-terventi che li hanno staccati dalla natura di un grado o pocopiù. L’invito è di considerarli nella loro stratificazione pocospessa di tecnologia. Stratificazione che trascina con sé pra-tiche che sono anch’esse vicine al livello zero (il livello delsuolo, della terra anche nella sua accezione di humus).L’esposizione suggerisce una tensione verso la ricerca di

forme rette da regole, da equilibri, da limiti, e poco distanti dallabase di partenza (nell’alveo della base di partenza). Forme(pratiche) nello stesso tempo del presente e ancestrali.

NELLA RASSEGNA PRIMA VISIONE / 01Cinque sono le opere che esponi nella Galleria Foresta. Quasisuperficie, Quasi superficie / Leva, Quasi niente / ago, al livellozero. Quasi niente, al livello meno uno. Quasi superficie / 4aghi, mai visti sotto, sopra, al livello più uno (al quale è impe-dito l’accesso). Rispetto a Palazzo Vernazza ci sono due ma-nufatti in più, l’ago e la piastrella (un aumento dei gradi distratificazione tecnica?). Passo in rassegna le cinque opere, e indico di ognuna unaspetto per me saliente e probante.In Quasi superficie e Quasi superficie / Leva (le due opere chesono passate da Ipotesi a Prima visione / 01) gli oggetti ven-gono sollevati non di molto dal piano di appoggio. In Quasi niente / ago, un ago è incastrato e nascosto tra unatrave e una vetrina dello spazio espositivo. Quasi superficie / 4 aghi, mai visti sotto, è collocata sopra unpavimento vitreo e trasparente (questa opera si può osservaresolo da sotto, così che gli aghi di cui parla il titolo non si ve-dono). Gli aghi sono (dovrebbero essere?) poggiati su alcuneceramiche (quattro), del tipo di quelle utilizzate per la pavimen-tazione di ambienti. Più della disposizione degli aghi sulle pia-strelle (in orizzontale o in verticale?), credo che sia importanteindicare il poco spessore che li separa dal suolo. Inoltre, noncredo che le piastrelle debbano considerarsi un semplice sup-porto. In ogni caso, le piastrelle si elevano di poco.In Quasi niente, un filo è teso verticalmente tra l’anello al cen-tro della volta e un ago infilzato (alla lettera) nel pavimento (inuna fuga). L’ago non tocca il suolo, lo infilza. Questa installa-zione è completata da un altoparlante, che può riprodurre (op-pure no) un file sonoro. Il file restituisce (in loop) una versioneapocrifa (è di Hemingway) del Paternoster (Sia fatto il tuonulla) recitata da un uomo (tuo padre).

NATURA E ARTIFICIONei tuoi procedimenti, non c’è certezza alcuna della ricerca diun’essenza. C’è, invece, un processo che cerca, in luogo del-l’essenza, delle essenze (nello stesso tempo volatili e dure-voli). Il processo si attua mediante la costruzione di dispositiviretorici in cui si confrontano sia qualità sensibili (per esempio:fragile / duro), sia modalità dispositive (per esempio: stabile /instabile). Gli oggetti sono sollevati (se pure di poco) dal pianodi appoggio. I gradi di stratificazione tecnica di questi oggettinon sono molti (soprattutto se utilizziamo come termine di pa-ragone un feticcio del nostro tempo, lo smartphone). Il solle-vamento, i gradi di stratificazione tecnica, i rimandi allememorie, le allusioni simboliche degli oggetti esposti, tutto in-dica (implica) un intervento (una volontà) dell’uomo. Gli oggettihanno acquisito e incorporato un plusvalore. Un surplus che èl’effetto di un fare con finalità. Che può essere riferito sia allapratica artistica (a partire dal ready made e poco oltre, cioè lìvicino), sia a pratiche extrartistiche (le pratiche non meccaniz-zate del lavoro agricolo?). In ognuno dei due ambiti (artistico

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ed extrartistico) le pratiche sono primarie, vicine (quasi) allostato di natura. Rispetto al quale, comunque, si è attuato undistacco (irreversibile?).

QUASI NULLA, QUASI UN AUTORITRATTOL’ago, alla Galleria Foresta, si declina in tre installazioni. In Quasi niente (installazione collocata al piano meno uno),l’ago, legato a un filo che parte da un anello al centro dellavolta, si conficca nel suolo (come l’aratro nella terra?). In Quasi niente / ago (installazione collocata al piano zero), unago è incastrato e nascosto tra una trave e una vetrina dellospazio espositivo. Dall’esterno, solo una visione non distratta(che guarda la punta della trave di legno che tocca il vetro) puòdistinguerlo. Dall’interno, bisogna quasi sporgersi sull’estremosollevato della trave per vedere il piccolo ago, stretto tra illegno e il vetro (tra l’opaco e il trasparente).In Quasi superficie / 4 aghi, mai visti sotto, sopra (installazionecollocata al piano più uno) gli aghi non li vediamo. Il titolo cisuggerisce che gli aghi sono sul lato per noi invisibile delle ce-ramiche (piastrelle) che vediamo da sotto. Questo è certo: nonli vediamo (chiedi allo spettatore un atto di fede).

L’ago, questo minuscolo oggetto di metallo appuntito, così ca-rico di rimandi simbolici (un’intenzionalità direzionata?). L’ago,il piccolo scettro appuntito del senso detronizzato. E le cera-miche, dei piedistalli molto bassi.

Credo che la tua esposizione (pienamente site-specific), dal li-vello meno uno al livello più uno, contenga un’idea di evolu-zione. Prima, ora, dopo sono le fasi a cui la tua azione (fattadi cinque gesti) allude (così, è anche in gioco la variabiletempo, che introduce la durata). Il passato (in confronto colpadre simbolico e non solo biologico), il presente (il lavoro ar-tistico?), il futuro (un’atto di fede?). Le tre fasi convivono, coe-sistono simbolicamente, nella dimensione spirituale di unapersona (tu).

Francesco, Quasi nulla (alla fine di questa disamina ne sonoquasi convinto) è un autoritratto. Che, come gli autoritratti

che catturano, è anche uno specchio per lo spettatore (rac-conti di te e anche di noi).

Non abbandonare il cammino. Continua.

Seconda lettera aperta, con raggiera, a Francesco Romanelli

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spagine della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0itinerari

Adistanza di due anni esospinto da un irrefre-nabile campanellinointeriore, in questa so-leggiata ma fredda èventosa mattina

d'aprile, decido di ritornare a Frigole, ag-graziata - e, forse, poco apprezzata ri-spetto ai meriti della sua cornice naturale- marina leccese.Tengo bene a mente, al punto che mi siripropone quasi familiare, l'impatto con ilviale d'accesso al piccolo nucleo abita-tivo, contraddistinto, sui lati, da lussureg-gianti e svettanti piante sempreverdi;pochissime le persone in giro, caratteriz-zate da movimenti pacati, come se vives-sero in un atmosfera da siesta.Ma è assolutamente fugace la sbirciatinaa quel mondo d'altri tempi da parte del vi-sitatore curioso, la sua metà ponendosiprecisa e determinata: il porticciolo dellalocalità.Indubbiamente bello si rivela il nuovo ap-proccio con i soliti battelli da pesca or-meggiati lungo il molo, tutti ricoperti,all'interno, da inanimati mucchi di reti.Sennonché, merito o colpa della tramon-tana vivace, al di sopra e nei paraggidelle barche non si scorge anima viva,nemmeno l'ombra, tanto per citare, delgiovane e gioviale lavoratore del mareSamuele, incontrato in occasione dellaprecedente puntata a Frigole.Sarà giacché al largo tira aria di burrascao per via, come accennato prima, dellatemperatura niente affatto primaverile e,invece, nella media del nostro pieno in-verno, il luogo in questione è presidiatounicamente dal più assoluto silenzio

umano, rotto dai sibili di Eolo e dallo sci-volare rapido e spumeggiante delle ondeincrespate, sino al loro infrangersi a ri-dosso dell’arenile e dei massi che pro-teggono il molo e le altre superfici diterraferma.In un simile contesto, a me non resta cheindirizzare una sorta di dialogo ideale alladistesa d'acqua, nella sua accattivantetonalità tra il verde e l'azzurro, con losguardo e la mente protesi soprattutto indirezione dell'orizzonte.E, passare in rassegna volti, vicende,episodi inanellatisi, nel tempo, sullo sce-nario del mare di casa nostra, giustap-punto il Canale d'Otranto che ho difronte: sequenze cruciali della trama,gommoni e altri mezzi di fortuna carichidi clandestini disperati o di trafficanti, pur-troppo con una serie di correlati naufragie sacrifici di vite umane.Un pensiero, dedicato con animo più se-reno, anche per i popoli dell’altra partedel Canale, specie per le genti del Paesedelle Aquile, una nazione, come è noto,già alle prese con decenni di buia ditta-tura e ora in promettente fase di svilupposu modello democratico ad impronta oc-cidentale.Riconducendo la mente e lo sguardo allaterraferma e al porticciolo, mi piace ac-carezzare in particolare uno dei natantiattaccati al molo, quello portante il nomedi battesimo di “Santa Maria Goretti”, lagiovanissima Vergine dell'Agro Pontino,venerata, a quanto appreso, anche inseno alla comunità di Frigole.

Dopo di che, il vivace vento di tramon-tana non incoraggia più di tanto la mia

sosta e, tuttavia, non mi sento abba-stanza appagato per ritornare tout courtin città.Fortunatamente, un lampo mi si accendedentro, da un pezzo vado coltivando ilproposito di vedere e conoscere la focedel fiume Idume, piccolo, e in qualchemodo anche misterioso, corso d'acquache scorre sotto l'abitato di Lecce, inlento movimento verso l'Adriatico, emer-gendo alla luce del sole poche centinaiadi metri prima della distesa salata, in unluogo non molto distante da Frigole, pre-cisamente all'altezza del cosiddetto ba-cino di Torre Chianca, altra marina delcapoluogo del Salento ubicata appenapiù a nord.

Ecco alcune brevi note di geografia fisicae di carattere storico.Il fiume Idume taglia il centro di Lecce,facendo capolino nei sotterranei di di-versi antichi palazzi nobiliari, come quellodegli Adorno, fatto costruire dal geno-vese Gabriele Adorno intorno al 1568.Si dice che, in periodi andati, una fami-glia ebrea dimorante nel citato palazzousasse purificarsi proprio all'interno dellafalda acquifera posizionata nel corrispon-dente sottosuolo.Il passaggio del fiume è testimoniatoanche da iscrizioni sulle antiche pietredell'edificio.Si tratta di uno dei corsi d'acqua più im-portanti del Salento e la zona che cir-conda il suo bacino, definita “Le macchiedei Rizzi”, offre uno spettacolo naturaledavvero suggestivo. Colori brillanti dellavegetazione uniti al profumo intensodelle ginestre, incredibile trasparenza

La traccia

di Rocco Boccadamo

d’acquaRitorno a Frigole, incontro ravvicinato con l’Idume

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dell'acqua soprattutto in primavera.Così la righe descrittive.Riprendendo invece i ritmi dell’odiernamattina d'aprile, è automatico il prosegui-mento in auto, da Frigole, in una definitadirezione, ci vuole poco per arrivare, latramontana seguita a soffiare, anchenella nuova meta regna la solitudine,salvo una donna, accompagnata da ca-gnolino, che sfida le raffiche per il suo,evidentemente irrinunciabile, footing.A me basta un gesto con la mano daparte della predetta signora e mi trovo sulgreto, su una delle sponde dell’Idume, in-torno piccoli e bassi canneti, il rio serpeg-

gia dolcemente fra le distese di terrarossa, le acque, posso confermarlo, ap-paiono di eccezionale lucentezza e cri-stalline, un quadro d'insieme, seppure inminiatura, che sembra irreale.La visione mi suscita dentro una ridda diriflessioni e pensieri, del genere più sva-riato, che si affastellano in copiosità, mala reazione dominante e prevalente èquella di accostare questo modesto trattofluviale della terra natia alle visioni di ru-scelli e fiumi con cui mi è stato dato, inpassato, di familiarizzare a latitudini bendiverse, ai piedi di montagne o fra boschie pinete.

Rivedo e sento ancora accanto tali im-magini naturali di anni lontani, nel lororuolo di testimoni di momenti pieni e, in-sieme, spensierati e leggeri del ragazzodi ieri.Al presente, insieme e in unisono con lui,in aggiunta a mare, vela, fiumi, montagnee ricordi, scorrono altre stazioni (non sta-gioni) della vita.Vita che, però, sia come sia, continua omeglio - volere, sempre volere, fortissi-mamente volere, riprendendo Vittorio Al-fieri - deve continuare.

L’immagine è tratta dal sito http://www.parconaturaleidume.it/ un documentario a cielo aperto

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spagine della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0musica

Ciao Mimmo, da componente storico de ‘Ilparto delle nuvole pesanti’ ad OndAno-mala. Raccontaci il tuo percorso artistico.Sono un “musicante” come molti della scenaindipendente, poca accademia e tanto suo-nare! Dopo i primi gruppi e in particolare gli

“Uvistra” che è stata, insieme a Francesca la mia prima rockband, ho suonato con diverse formazioni fino all’incontro conil Parto nel 1995. Da rockettaro mi intrigava la contaminazionee lo stridore tra musica elettrica e acustica. Il folk mi era inparte estraneo e credo di avere portato nella band proprio l’in-fluenza del rock mediterraneo. Crescere come bassista mi haspinto verso i diversi generi e tecniche ma sempre con approc-cio “naif”! Questo è stato un bene per l’approccio istintivo e ori-ginale ma è stato un male per le lacune teorico/tecniche chemi sono trascinato, inoltre ho speso molto tempo sui libri di artee sociologia, infatti ho chiuso la mia lunga carriera universitariacon una tesi di sociologia delle arti sui Mutoid… Come è nata la tua passione per la musica?Gli ascolti di tutto il rock anni ’70 e ’80 sono stati fondamentalied ho seguito la scia anche nelle svolte new wave che sonoseguite, mescolando nel mio gusto le influenze dark e punk.L’ascolto dei grandi musicisti mi ha avvicinato al jazz elettrico,ho sempre cercato di “mimare” le tecniche ma sempre in modoistintivo…da autodidatta. Non voglio esaltare l’assenza dellostudio musicale, semplicemente è stato così! A 13 anni hoavuto in regalo una chitarra classica, verso i 15 anni ho cam-biato le mie frequentazioni ed ho conosciuto un gruppetto acui mancava il bassista. Da quel momento non ho più smessodi amare questo strumento pur continuando a suonare la chi-tarra soprattutto per le invenzioni! Con questi ragazzi avreicontinuato per anni a suonare per lo più cover rock fino aquando con Kecco Salerno ho cominciando a inventare quelloche con gli Uvistra definivamo Rock Mediterraneo. Eravamoun trio con batteria elettronica, poi tirammo dentro la sorella diKecco, Francesca (Lady U), lei amava scrivere ma soprattuttoamava il palco, era spigliata e originale. In seguito si unironoa noi Saverio e Carlo Cefaly e per qualche anno ci sentimmoun gruppo vero. Ricordo bene tra i primi concerti a nord quellodi Bologna perché suonammo nella Sala Borse, aprimmo laserata e facemmo scintille! Poi in Tenax a Firenze…poi la di-spersione della band!OndAnomala è il tuo nuovo progetto musicale. Perchéquesto nome e quali sono le particolarità? OndAnomala perché volevamo sottolineare l’anomalia del faremusica in Italia e soprattutto del nostro fare musica, lasciandointatto il gioco senza prendersi troppo sul serio! Forse per di-fendersi da una convenzione che non ha mai dato il giusto

peso alla musica…e col senno di oggi, alla cultura in generale!Il mio stesso percorso insieme al Parto era anomalo e le in-tenzioni artistiche e umane che volevamo praticare volevanoessere anomale, ripescando negli istinti sonorità passate dimoda e testi un po’ dark che guardano all’angoscia cosmica,nelle crisi individuali e all’utopia!! Quanto è stato ‘doloroso’ il distacco dallo storico gruppo‘Il parto delle nuvole pesanti’ di cui ne facevi parte?E’ stato un distacco lento, quindi in parte indolore! Un po’ allavolta non sentivo più mia la direzione presa dal gruppo negliultimi anni e visto che gli impegni di gruppo non mi lasciavanoil tempo e la concentrazione per attivare progetti paralleli, horitenuto di dovere liberare il mio tempo e il mio modo di faregruppo e fare musica.Il tuo progetto ha vinto la finale di ‘Musica contro le mafie’,un grande traguardo raggiunto… Siamo felici del risultato! ‘Salta Anita’ ci piace molto per la sto-ria che racconta e per la felice contaminazione con il folk. ‘Mu-sica contro le mafie’ è una manifestazione seria, la mafia hainfluito negativamente nella nostra terra e nella nostra vita e cisembra fondamentale agitare ogni mezzo per rivoluzionare ilfenomeno nella direzione di una cultura anti-mafiosa! Ma il pre-mio ci permette anche di avere la stampa e la distribuzione delnostro primo disco con MK Records e collaborare con l’eti-chetta per la promozione del progetto.Come è nato l’incontro artistico con la voce di Lady U?Come dicevo prima, ho conosciuto Francesca intorno ai 14anni ed è poi diventata la cantante della mia prima vera bande quindi si può dire che siamo cresciuti insieme. Quando hocominciato a suonare più seriamente con il Parto, ho semprecercato di coinvolgerla fino a quando, nei primi anni ’90, ab-biamo ricomposto gli Uvistra per una “seconda vita” della bande da lì Francesca ha ricominciato a cantare fino alla naturalescelta di chiamarla in questa nuova avventura. Dove è possibile trovare informazioni su OndAnomala?OndAnomala è giovane! Principalmente informiamo attraversole nostre pagine in rete.Stiamo lavorando per l’uscita del discoa settembre 2015, abbiamo già fatto qualche concerto e oracontinueremo a lavorare sullo spettacolo per creare semprepiù feeling con i bravi musicisti che abbiamo la fortuna di averenella band! Abbiamo in programma di fare le registrazioniaudio/video di un concerto a Bologna proprio per far vedere esentire OndAnomala live. Il resto è nel futuro.

www.facebook.com/pages/Ondanomala-MimmoCrudo-Lady-U/626822274046115www.facebook.com/mimmocrudo

www.facebook.com/crudo4battute.www.youtube.com/channel/UCHCq-jfAhVgFTxNMuRQIVxg

https://soundcloud.com/mimmocrudo-partonuvolep https://twitter.com/mimmocrudo

Dalle nuvole all’onda di Alessandra Margiotta

Intervista a Mimmo Crudo

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spagine della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0libri

Èraro che ci si accorga al primo sguardo. Il sensodella prospettiva ha i suoi tempi e vita propriache coltiva secondo catalogazioni con l'eti-chetta sul dorso. Vuole chiamare le cose pernome e portarle a spasso quando la luce delgiorno è calda ed inequivocabile e quando la

polvere si mette a gocciolare sulla punta delle scarpe. È il modomigliore per dare una bella strigliata ai panni delle convenzioni ese c'è qualcuno che non ne conviene, la ragione della ritrosia varicercata nella scarsa sintonizzazione sul climax che rende ilvuoto ed il pieno spazi a tutti gli effetti, con uguale dignità e stru-menti a disposizione per vivacizzare la scacchiera polverosa piùin basso. Perché a ben guardare, la vera domanda sui fatti chesi animano all'interno della loro cornice è cosa una dialettica diinterscambio spaziale porti alla luce, e come queste informazionipossano essere interpretate dopo essersi lasciati alle spalle il ru-more sordo ed energizzante del mucchietto di intonaco che fumaancora ai nostri piedi. Quello che sentiamo, una spiegazione chela spunta sulla razionalità con la naturalezza di tutto ciò che ir-rompe dai pori della pelle, è la ragione semplice e immediata del-l'istinto che forma lo specchio dal quale possiamo guardare ilpassato intrecciarsi al presente, il nuovo portare alla luce il vec-chio modellando l'azione su un lavoro di cesello, le ragioni di unmondo lontano prendere la scorciatoia della narrazione storicapresentandosi agli occhi del lettore-osservatore con la densa im-parzialità del cassetto aperto di una scrivania. Possiamo guar-darci dentro. Trarre infine le nostre conclusioni ampliando laprospettiva di quel pezzetto di mondo che scopre se stesso neltessuto storico-leggendario del saggio Maria D'Enghien. Donnadel Medioevo (2015, Edizioni Grifo) di Rossella Barletta.

Intorno al personaggio di Maria D'Enghien esiste una vasta bi-bliografia, consultata dall'autrice per dar corpo ad un nuovo testoe ad un tessuto narrativo che si costruisce sulla rilettura critica esulla buona calibratura della tensione leggendaria e del raccontostorico, che fanno dell'opera uno strumento dialogico immediatoche non si fossilizza sull'esclusività della ricostruzione, predili-gendo di tratteggiare l'esistenza del personaggio secondo dina-miche sociali e private che lasciano spazio anche alla fonteimmaginifica. Conosciamo così Maria D'Enghien, contessa diLecce, principessa di Taranto e regina di Napoli vissuta tra il 1367e il 1446, attraverso momenti di vita privata e pubblica, matrimonie guerre di conquista e difesa, idiosincrasie e ricapitolazioni a fa-vore delle necessità di governo. L'autrice descrive la personalitàdi Maria come il riflesso di un mondo sfaccettato che filtra attra-verso la narrazione ed il suo costrutto snello ed essenziale, mo-dellato sull'impianto del racconto verticale in cui il senso di ascesaè dominante non solo nella ricostruzione degli spazi intimi dellavita di Maria D'Enghien (basti pensare alla torre di Belloluogo,quasi un limbo nella sua funzione di luogo rigenerativo dei mo-menti di pace della principessa) e nel rapporto di equilibri delicatinel corso dei due matrimoni (con Raimondello Orsini del Balzo econ Ladislao di Durazzo) ma anche nel caos primordiale dellavita pubblica e nella diversificazione del ruolo nel teatro com-plesso del regno di Napoli con le dinamiche socio politiche in con-tinua evoluzione che portano con sé l'impronta del cambiamento.L'idea di verticalità narrativa, ben sviluppata dall'autrice, rag-giunge il culmine lirico nella descrizione degli affreschi dellachiesa di Santa Caterina d'Alessandria in Galatina, in cui l'icono-grafia diviene trade d'union fra passato e presente, proiezionedella realtà nei suoi aspetti di idealizzazione, veridicità storica eleggenda in un viaggio libero dai freni inibitori del tempo.

Una donna del Medioevo

Un libro su Maria D’Enghien da Rossella Barletta per il Grifodi Daniela Estrafallaces

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spagine

H24 FabriKa dome-nica 19 aprile alleore 20.30 nell'am-bito della rassegnaSpecial Guest pro-pone “Visione vie-

tata ad unpubblico adulto” - installazionied happening a cura di NEEA.BROSnella sede di H24 FabrìKa in Vico DietroSpedale Pellegrini, 29/a- Lecce.

Così scrive il critico e curatore d'arte Ro-sanna Gesualdo nella sua presenta-zione:“-VISIONE VIETATA AD UN PUBBLICOADULTO- è un progetto firmatoNeea.Bros al secolo Andrea Mariano eSimone Corvaglia, entrambi artisti salen-tini con lo spiccato obbiettivo di traslarci

al di là dei confini di un provincialismospesso colpevole di chiusura. Il progettoideato appositamente per lo spazio diH24 FabriKa pone l'attenzione e si in-terroga sulle probabili riflessioni di unbambino all'interno di uno spazio esposi-tivo. Un bambino a cui i Neea ricono-scono una statura intellettualeinversamente proporzionale all'altezza fi-sica. Un atto tutt'altro che ingenuo cheintende nella sua provocazione visualiz-zare le dinamiche correlate alle capacitàcognitive dell'infanzia.Le opere, tutte create appositamente perl’evento, avranno come filo conduttoreuno spirito ludico-riflessivo tipico delmondo infantile considerato come mo-mento di autenticità e possibilità creativapura ed incorrotta slegata da logiche ri-

gide e limitanti.H24 FabriKa si trasformerà in un open-space interattivo dove il fruitore coinvoltoin un effetto domino, sarà condotto dagliartisti stessi in una sorta di flusso di co-scienza collettivo.Oggetti bidimensionali esposti all'altezzadi circa cinquanta cm da terra,musica difondo, illuminazione studiata apposita-mente e l'invasione del genio creativo diquesti due giovani artisti ricreeranno lasensazione costante nelle operazioniNEEA.BROS di uno spazio vivo e vitaleall’interno del quale nulla è definitivo e in-flessibile e tutto può ancora accadere”.La mostra sarà visitabile fino al 24 aprile.

Visione vietataad un pubblico adulto

NEEA.BROS per “Special guest” di FabrìKa, oggi domenica 19 aprile 2015 alle 20.30

della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0agenda - arte

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spagine della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0agenda - fondo verri

Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Fondo Verri

esce la domenica a cura di Mauro Marinoè realizzato nella sede

di Via Santa Maria del Paradiso, 8.a , Leccecome supplemento a L’Osservatore in Cammino

iscritto al registro della Stampa del Tribunale di Leccen.4 del 28 gennaio 2014

Spagine è stampato in fotocopia digitale a cura di Luca Laudisa Studio Fotografico San Cesario di Lecce

Programma delle Attività Culturali della Regione Puglia2015 Artigiana - La casa degli autori*SpagineFondo Verri Edizioni

“Silvio Nocera, la Grotta delle Veneri e le altre”

Incontro con Rino Bianco al Fondo Verri giovedì 23 aprile, dalle 19.00

Giovedì 23 aprile 2015,alle 19.00, al FondoVerri, incontro con RinoBianco sul tema “SilvioNocera, la grotta delleVeneri e le altre”. Silvio

Nocera artista e poeta, nelle campagne traTuglie e Parabita, nella sua contrada Mo-naci, è stato alle perenne ricerca dei suoiantenati, che avevano abitato in epoche re-mote quelle contrade lasciando testimo-nianze della loro esistenza e del lorosapere nella grotta delle Veneri, grotta dileggende da cui era attratto fin da bam-bino.La sua passione per la profonda cavernaesplode quando Antonio Mario Radmilli e

Giuliano Cremonesi dell’Università di Pisa,che avevano messo in piedi da poco l’in-segnamento di Paletnologia (archeologiapreistorica) presso l’Università di Lecce,iniziano nel 1966 le ricerche all’internodella grotta dopo la scoperta nel 1965 delledue famose statuette in osso: le cosidette“Veneri”. Le importanti scoperte archeolo-giche, in particolare i ciottoli incisi e la dop-pia sepoltura di Homo sapiens,infiammarono Silvio Nocera di passioneper la sua grotta e il paesaggio di pietra dicontrada Monaci. La “sua” grotta divenneun “libro di pietra”, che l’artista prese a sfo-gliare per leggere i messaggi arrivati a luie alla comunità dalla lontana preistoria.Poi la grande delusione. Silvio Nocerà sco-

pre che tutti i materiali raccolti nella cam-pagna di scavo sarebbero stati trasferiti permotivi di studio a Pisa e dice “Io non con-divido che quel tesoro trovato qui nel bassoSalento sia portato a Pisa… E i politici chesono stati votati dal popolo salentino chefanno?”.Domande legittime cui nel corso dell’incon-tro con Rino Bianco si cercheranno dellerisposte: per la Grotta delle Veneri maanche per tante altre grotte, altrettanti sim-boli della storia del basso Salento maancor più dimenticate, “libri di pietra” dallepagine ormai scompaginate o strappate, icui materiali sopravvissuti o dispersi sonoestranei anche ai salentini di oggi.

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spaginel’appuntamento

Sabato 25 aprile l’olivetopubblico di San Cassiano(località “Le rene”) ospi-terà la prima edizione del“25 aprile ai Paduli”,evento dedicata alla terra

e alla libertà, che pone al centro dell'at-tenzione il tema del valore ambientale edella condivisione. L'intera giornata (apartire dalle 10 del mattino) sarà dedi-cata a una festa campestre, tra labora-tori, degustazioni e passeggiate. E dalpomeriggio lo spazio musicale aperto,che ospiterà una serie di musicisti cheprenderanno parte all'evento.

Nel contesto difficilissimo che il territoriosalentino si trova a vivere, dovuto al-l’emergenza del disseccamento degliolivi, l’oliveto pubblico di San Cassiano,luogo emblematico per le attività che ani-mano il Parco Agricolo dei Paduli, di-venta quindi la location di un evento checelebra la “multifunzionalità” agricola,che associa l’agricoltura alla cultura, peruna fruizione multidisciplinare e rispet-tosa dell’ambiente circostante, dellecampagne e dei piccoli centri abitati,strumento imprescindibile per combat-tere incuria e abbandono, utile a stimo-lare un presidio continuo e consapevolesul territorio.Tra alberi di olivo riconvertiti ad agricol-

tura sostenibile di qualità, una casetta ru-rale recuperata con i principi della bioe-dilizia ed esperimenti di land art, “25aprile ai Paduli” è una festa popolare checelebra la gioia della socialità e dellacondivisione.

Associata alla fase conclusiva del pro-getto “Gli sposi degli alberi” (Vestimi#2),iniziato alle Manifatture Knos nel mese dimarzo, l’evento lascia spazio alla spon-taneità dei partecipanti che, dalla mattinaall’imbrunire potranno partecipare a labo-ratori, visite guidate, degustazioni enoga-stronomiche e esibizioni musicali.L’evento è promosso dall’associazioneLua (Laboratorio Urbano Aperto) nell’am-bito del progetto Gap, il territorio comeGalleria d'arte partecipata (Fondazionecon il Sud), in collaborazione con “Abi-tare i Paduli”, Regione Puglia, Unione deiComuni delle Terre di Mezzo.Ingresso gratuito.

PROGRAMMA DELLA GIORNATAMattinaore 10 Escursione in bici“Itinerario tra vore, canali ed ulivi seco-lari”.Ore 10 - Raduno presso il LaboratorioMobilità, via della Vittoria n°151, S.Cas-siano (Le).L'itinerario passa da Porta Parco di San

Cassiano, sita tra un bosco di lecci ed ilPunto Panoramico, da dove è possibileammirare la vastità dell'area olivetata deiPaduli. Il percorso prosegue verso unavora naturale, attraversa sentieri delimi-tati da canali, ed arriva in uno degli ulivetisecolari dell'agro di Scorrano, caratteriz-zato da alberi dalla bellezza ammalianteper maestosità e forma.Attraverso ulivi, querce e pajare, l'itinera-rio arriva nell'Uliveto Pubblico, caratteriz-zato da suggestivi esempi di Land Art.Durata percorso 3 ore circa.Lunghezza percorso 17/20 km circa.Difficoltà bassa.Durante il percorso sono previste dellesoste per il racconto dei luoghiOre 11 Laboratorio di aquiloniOre 11 Laboratorio vestimi.

Stand permanente di degustazione del-l'olio

Ore 13 Degustazione ricettario a base dierbe spontanee e prodotti a km0 a baseLab gustoApertura “braceria”.

PomeriggioOre 16 - Inizio spettacoli musicali – esi-bizioni libere da parte di artisti che hannodato adesione la progetto.Ore 18 - Sfilata progetto vestimi

L’oliveto pubblico di San Cassiano ospita la festa della liberazione

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