Spagine della domenica 45 0

18
spa gine Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri della domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0 Carlo Michele Schirinzi, Ballata naufraga (particolare)

description

Un'opera di Carlo Michele Schirinzi per “Reference #aggiorniamo l’immaginario” dell'Associazione ASSAY. Non un festival, non una rassegna, non un workshop ma semplicemente una serie di sei appuntamenti e incontri dedicati in programma ad ottobre, nei Cineporti di Puglia/Lecce, con altrettanti autori e autrici, provenienti da diverse regioni italiane e scelti in base alle loro opere, ai temi trattati, ma anche alla valenza sociale e solidale di alcune delle loro produzioni, quella valenza che fa del cinema un fattore aggregante, di scoperta e conoscenza continua.

Transcript of Spagine della domenica 45 0

Page 1: Spagine della domenica 45 0

spaginePeriodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

della domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0

Carlo Michele Schirinzi, Ballata naufraga (particolare)

Page 2: Spagine della domenica 45 0

spagine

Idiciottisti una volta erano nel gergo universitario quegli studenti chesi accontentavano del 18, il voto minimo per superare un esame,pur di passare da Italiano uno a Italiano due; da Analisi uno ad Ana-lisi due e giungere quanto prima alla laurea. Poi sapeva Dio a chidare i guai! In verità i diciottisti erano pochi; la gran parte degli stu-denti consideravano il 18 un’onta e lo rifiutavano. Ma quelli di sto-

maco tosto c’erano, c’erano! Oggi i diciottisti sono i difensori dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori(Legge n. 300 del 20 maggio 1970), quello che obbliga il datore di lavoroal reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa. Questa norma appare anche ad un orbo mentale essere una sacrosantae irrinunciabile conquista a tutela della libertà e della dignità del lavora-tore. Libertà, perché il lavoratore deve essere libero di votare partito co-munista anche se il suo datore di lavoro è fascista e direttamenteinteressato alle votazioni; e viceversa. Ovvio, ho estremizzato per ren-dere più chiara l’importanza della norma. La dignità, perché il lavoratore,licenziato senza giusta causa, riceve un’offesa universalmente inaccet-tabile. Ma, poiché non si vive nell’Iperuranio ipotizzato da Platone, in tempi disindacatocrazia e sinistrocrazia – e ci sono stati, oh se ci sono stati! –un giudice poteva far passare senza giusta causa un licenziamento piùche legittimo e supermotivato. Non stiamo qui ad elencare tutte le pos-sibili situazioni. I tempi e i luoghi – si sa – dettano legge oltre la legge.Sappiamo che i datori di lavoro prepotenti ci sono sempre stati e ci sono;ma sappiamo anche che i giudici di sinistra, cosiddetti democratici, nonci sono sempre stati, ma sono giunti a partire dalla fine degli anni Ses-santa, in così forte numero da configurare una sorta di invasione. Sicchéin forza dell’art. 18 un imprenditore non poteva praticamente licenziaremai, neppure se l’azienda era in crisi e occorreva ridurre il numero deidipendenti, rischio fallimento. Neppure se un lavoratore era stato coltonel mentre boicottava l’azienda. Questo spiega perché gli imprenditori ela parte sociale e politica che li rappresenta se la siano presa tanto conl’art. 18. A maggior ragione quest’articolo è stato colpevolizzato da cinqueanni in qua per la nota crisi economica e finanziaria che si è abbattutasull’Italia. Già nel 2012, col governo Monti e con la riforma del lavoro del MinistroFornero, l’art. 18 è stato modificato in maniera non banale perché alposto del reintegro del lavoratore, ove licenziato senza giusta causa,sono state previste delle opzioni risarcitorie, a seconda dei casi. In-somma, invece del reintegro, soldi per un certo numero di mensilità, finoa ventiquattro. L’indennizzo al posto del reintegro già lo prevedeva ilpunto XVII della Carta del Lavoro del 1927 previa conciliazione tra leparti. Figurarsi che passo…avanti!Pare – non se ne discuterebbe tanto altrimenti! – che la riforma Fornero

non abbia sortito gli effetti sperati e che l’art. 18, come un killer impren-dibile, una sorta di primula rossa, continui a mietere vittime nel mondodell’imprenditoria. Così il governo Renzi, che è dipendente dal centrode-stra come un rimorchio dalla motrice, col cosiddetto Jobs act – non si ca-pisce più un cazzo, in quest’Italia che ha rinunciato perfino alla sualingua! – vuole addirittura abolirlo. Basta con gli abusi da una parte edall’altra: gli imprenditori più liberi di licenziare; i giudici non più liberi direintegrare. Contro l’ipotesi abolizione si sono scagliati i difensori, unacospicua parte, diciamo la sinistra, del Partito democratico; e ovviamentei sindacati, specialmente la Cgil, che oggi ha in Landini, segretario dellaFiom, più che nella Camusso, segretario generale, il portabandiera piùagguerrito. In Italia, come sempre, è sorta la nuova contrapposizione: diciottisti-an-tidiciottisti. I difensori del governo Renzi, che a volte diventano più ren-ziani di lui, per delegittimare le ragioni dell’opposizione interna, lancianol’accusa di strumentalizzazione: voi siete contrari non all’abolizione del-l’art. 18 ma al rinnovamento dell’Italia e sperate di giungere ad una resadei conti con chi invece è più che intenzionato a cambiarla quest’Italia.Simile modo di confrontarsi è incivile oltre che impolitico; ma tant’è, ormaiin Italia è cavalleria rusticana. Se n’è accorto perfino Ferruccio de’ Bortoli,direttore del “Corriere della Sera” (editoriale del 24 settembre).Vero è che nel Pd nessuno spera in una conta, che sortirebbe solo l’ef-fetto di rendere meno vivibile una convivenza che resta innaturale – exdemocristiani ed ex comunisti hanno in comune solo la particella ex – edunque le ragioni della sinistra dem appaiono oneste. L’art. 18 è qualcosa che va ben oltre l’ideologia, pur scomodata da chi lovuole abolire, è una conquista irrinunciabile. Che poi, sul piano dell’ap-plicazione, possa avere delle storture o delle forzature, non giustifica lasua abolizione. Quando mai si abolisce una legge per l’incapacità di ap-plicarla correttamente? Invece di rispondere, menando il can per l’aia, chi pensa di risolvere ilproblema della crisi del lavoro, dell’occupazione e della crescita abolendouna norma di civiltà e minacciando gli avversari, farebbe bene a crearloil lavoro. Ove, infatti, di lavoro ce ne fosse a sufficienza chi starebbe abattersi per una norma che sul piano pratico non avrebbe più impor-tanza? Il problema vero è che questo governo, come quelli precedenti,è incapace di fare una politica di diminuzione delle tasse, di accesso alcredito, di investimenti, di abbattimento delle pastoie burocratiche, di ac-corciamento dei contenziosi giudiziari, di tempestivo pagamento dei de-biti da parte delle pubbliche amministrazioni. Incapace di creare lavoro,il governo se la prende con una norma, che, a questo punto, c’è o nonc’è, conta poco. Se scarseggia la materia del contendere, ossia il lavoro,abolire l’art. 18, è uno sfregio all’idea stessa di progresso, è un precipitareall’indietro di quasi un secolo. E per che cosa? Per nulla!

L’abolizione,un inutile regresso

Diario politico

di Gigi Montonato

Page 3: Spagine della domenica 45 0

“Popoliamo le strade, mangiamo in strada,portiamo fuori dalle case tavoli e seg-giole… condividiamo con la giuria lo spa-zio democratico della città… facciamonela giornata dell’utopia…” Questo è l’invitodel sindaco e del comitato organizzatore

per il 6 ottobre prossimo venturo, quando la giuriache dovrà decidere sulla Capitale della Cultura Eu-ropea da scegliere per il 2019 visiterà Lecce. Facciamo il tifo perché Lecce si aggiudichi questocompito, auspichiamocelo, anche se il blindatissimobild book lo conoscono in tre o quattro solamente cisarà tempo per discuterne e magari condividerlo. Lanota stonata sta invece nell’utopia. Perché deve es-sere utopia vedere vissuta la città? Quel giorno saranno finiti i lavori di ripulitura, comequando nelle case ci si prepara a festeggiare un ma-trimonio, i muri saranno finalmente liberi da quellescritte fatte da quattro imbecilli che si vestono daMarcos, giocano a fare la rivoluzione e cacciano fuorile armi, lo spray nero, per scrivere idiozie su muri an-tichi. Gli stessi rivoluzionari che quando incontranodue avversari e se la fanno sotto. Ma tant’è, final-mente quelle scritte saranno eliminate. Una domanda solamente: tenere pulita la città nondovrebbe (il condizionale si impone) essere praticaquotidiana? Il 6 ottobre si trasformerà allora nel giorno dell’utopia,addirittura non ci saranno auto nel centro storico,tutto sarà ovattato, ovunque si canterà e si ballerà,spettacoli e probabilmente il meglio delle arti e del-l’artigianato presentati dignitosamente (le pagodinedi plastica bianca a sant’Oronzo non ci saranno,quelle le metteremo per il popolino). Il problema è cosa succederà il 7 ottobre. I tavoli ele seggiole dovranno essere rimossi entro la mezza-notte del sei per lasciar posto alle auto a Piazza San-t’Oronzo? Il traffico riprenderà il suo flusso naturalenel centro storico imbottito di parcheggi in ogni piaz-zetta? I turisti torneranno ad essere costretti ad unoslalom poco dignitoso fra le le auto per vedere unachiesa o un museo? Le biciclette dovranno guardarsidal traffico quotidiano? Sarebbe stupendo veramente se la richiesta fossestata “portate fuori tavoli e seggiole, vivete le stradee le piazze perché DAL 6 ottobre Lecce sarà così”invece DAL non c’è, al suo posto un misero IL e ladichiarazione che si tratta solo di utopia. Che bellosarebbe il sapere che esiste un piano traffico soste-nibile, e sapere che nel centro storico non ci si pas-serà più con auto e moto. Che bello arrivare inPiazza Castromediano senza dover passare nei par-cheggi che servono a noti cinque stelle, passare dalCorso a Piazza Sant’Oronzo senza il pericolo di ve-nire arrotati. Che bello sarebbe poter lasciar liberi ibimbi di giocare. Utopia… forse solo quello. Però ilsei sarà così (almeno, speriamo).

di Gianni Ferraris

Lecce 2019

di Fabio A. Grasso

La torreinutile

Éstata presentata sui quotidiani locali lanuova torre per Lecce 2019, sorgerà in-prossimità della costa e sarà alta 40 metriin legno e metallo, costerà cinque milioni e746mila euro. Si ispira alla focàra di Novoli,dicono i progettisti, ma solo perché, ag-

giungiamo, non hanno visto evidentemente un pescatorecostruire una nassa. Basterebbe andare a Gallipoli o aOtranto per rendersene conto. Nassa o focàra che siapossiamo dire che il legame con la tradizione formale delterritorio è assicurato? Assolutamente no, sembra di es-sere in presenza, al contrario, di una curiosa fiera dellevanità. La torre nascerebbe per guardare lontano. Per ve-dere cioè quale orizzonte? Quale orizzonte particolare sivede da un'altezza proprio di 40 metri? Cosa ha questoorizzonte (visibile dai 40 m.) in più di quello che si vede(o vedeva) da una torre cinquecentesca di avvistamentomolto più bassa? Meglio sarebbe stato investire tutto ildenaro impiegato per la costruzione di questa torre in unsicuramente più utile parco che sottolinei la dominante ecaratteristica dimensione orizzontale di questo nostro ter-ritorio. I simboli non sono solo verticali, c'è bisogno didirlo? Evidentemente sì. L'agganciarsi alla Storia archi-tettonica, alla tradizione di un luogo è utile ma in alcunicasi, servendo solo a giustificare spese, di fatto mette inscena quel curioso spettacolo, molto chic, che è il suoabuso ovvero il citare il passato attraverso una sorta dimordi e fuggi, roba da fast-food insomma. Questo dellatorre non è un evento isolato, esso infatti fa i paio archi-tettonico, a dire il vero, a un altro intervento pure “archi-tectonical chic and choc” recentemente realizzato a portaRudiae (lo stesso è stato spostato oggi a piazza san-t'Oronzo, tanto un luogo urbano vale esattamente quantoun altro) dove sono stati collocati in terra blocchi di pietraleccese alti circa 30 cm che, in parte colorati, sono statisalutati su qualche social forum come elementi di una“...nuova installazione che è al servizio della città e deicittadini come spazio per il dialogo e il ristoro”. Chiariamosubito che un sedile alto solo 30 cm è scomodo (per unanziano ad esempio) e scomodo e pericoloso è anchemettere questi blocchi vicini, troppo vicini (così come èstato fatto) gli uni agli altri perché è facile che qualcuno,un bambino in particolare, inciampi. Per quanto riguardala grandiosa torre “Lecce 2019”, infine, vengono due do-mande tanto semplici quanto spontanee: prima di arrivarealla progettazione, dato il paesaggio e soprattutto la suavicinanza ad una torre più antica, è stato sentito il pareredella Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggi-stici di Lecce? E poi, last but not least, perché a Leccenon ci si comporta come in un qualunque paese europeonormale? Perché non è stato bandito un concorso inter-nazionale per la progettazione di questa torre? A far tuttoda soli si finisce con il commettere errori. Lecce ha biso-gno di molteplicità è questo che la renderà più europea eforse più grande simbolicamente della stessa torre chevorrebbe costruire come suo simbolo.

http://quotidianodipuglia.it/lecce/lecce_capitale_della_cultura_2019_torre/notizie/923905.shtml

Belli perun giorno?

della domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0

Page 4: Spagine della domenica 45 0

spagine della domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0

In questa contemporaneità che non ricono-sce, che sovente rinchiude e ghettizza, ab-biamo il dovere di allargare le consuetemaglie, di respirare aria nuova, di prospet-tare inedite possibilità a vantaggio di tutta lacittadinanza. Da vari indicatori emerge che

accanto alla famiglia tradizionale, canonicamentericonosciuta, esistono anche altre forme di fami-glia, uomini e donne che conducono una vita or-dinaria e che attendono di essere legalmentetutelati. L’Italia è drammaticamente fanalino dicoda in Europa per quanto concerne la pianifica-zione dei diritti civili. Chissà, forse nel “pro-gramma dei mille giorni” del premier Renzi ci saràun piccolo spazietto dedicato alle coppie omoses-suali. Di certo, da sempre, il nostro Paese pagaretaggi antichi, vecchie incomprensioni, conteseideologiche d’una classe parlamentare litigiosa.Forse, dovremmo partire da una serena conside-razione. Nessuno vuole mettere in crisi la sacra-lità della famiglia naturale fra un uomo e unadonna: lo scopo prioritario, semmai, è solo quellodi proteggere con dovute normative la comunitàLgbt. In questi ultimi anni, diversi consigli comu-nali, con Torino e Milano in testa, hanno appro-vato il registro delle unioni civili. È evidente che,in Italia, ci sia una frattura netta fra il Paese realee la classe politica parlamentare, che ancora nonsi decide a legalizzare le coppie di fatto. In parti-colare, qualche anno fa, a Torino, i Radicali conun apprezzabile atteggiamento hanno coinvolto icittadini, i quali si sono fatti sentire con le lorofirme, portando ad una delibera di iniziativa po-polare. L’obiettivo dei registri, ovviamente, non èquello di omologare le unioni civili al matrimoniocanonico, depotenziandolo della sua intrinsecaconnotazione. Il proposito è quello di assicurarepari diritti, stesse possibilità, ai conviventi. Garan-tire comunque alle coppie (eterosessuali e omo-sessuali) l’accesso ai servizi sociali, sanitari,educativi, ai benefici relativi alla casa.Ancora oggi, le anime belle della politica (i Ga-sparri, le Binetti, i Giovanardi, le Roccella, i Sac-coni) definiscono i registri come una “presa ingiro” e come una “farsa giuridica”.In realtà, è incomprensibile, ingiustificato, il com-portamento di chi vuole lasciare migliaia e mi-gliaia di famiglie (eterosessuali e omosessuali)senza alcuna tutela: è questo un grave vulnusgiuridico che andrebbe sanato. L’intervento dicerte amministrazioni virtuose non è solo simbo-lico: è anche marcatamente politico, perché apredi fatto la strada a più specifici intendimenti. A pro-posito di diritti, a settembre dello scorso anno, laCamera ha approvato il disegno di legge control’omofobia, che però giace da allora nelle secchedel Senato. Il deputato del Pd Ivan Scalfarotto èstato molto attivo nella proposta di legge e, dasempre, denuncia sulla “questione gay” il “silenziospaventoso delle persone oneste”.Di tanto in tanto, la cronaca dei giornali impieto-samente fa rimbalzare notizie d’una ferinità rac-capricciante: giovani fidanzati gay chepasseggiano tenendosi teneramente per mano, iquali vengono insultati fra l’indifferenza generale;ragazzi omosessuali vestiti con abiti attillati pestati

da gruppi di giovinastri. Il branco è rozzo, vio-lento, non rispetta la diversità. Il branco non co-nosce la tolleranza e le regole basilari della civileconvivenza. Ma in questa società contraddittoriae paradossale, come al solito, si sbaglia atteggia-mento. Come può scandalizzare il “diverso” inquesta triste civiltà, in cui il vero oltraggio al-l’umano sentire è la tendenza omologante versol’appiattimento, la corsa dissennata ad appariretutti eguali, a vestire tutti allo stesso modo, a de-siderare tutti le stesse “meravigliose”cose? L’omosessualità, la transessualità, l’eterosessua-lità dovrebbero essere solo dettagli, varianti di viteumane, che contribuiscono a definire un tutto, manon sono il tutto. Una cosa però è certa: non èpossibile, non è ammissibile, che gay, lesbiche,trans, vengano quotidianamente disconosciuti, vi-lipesi, osteggiati, vigliaccamente presi a botte. Lapolitica, che ha una funzione primaria di regola-zione e di disciplina, deve a questo punto inter-venire risolutamente, approvando una rigorosanormativa contro l’omofobia. C’è chi, purtroppo,è contrario ad una legge generale contro l’omo-fobia, perché “sarebbe una legge ideologica, conterribili contraddizioni da un punto di vista cultu-rale”. L’unica regressione, però, è la sottoculturafiglia della discriminazione, cioè il volgare diffe-renzialismo di chi divide le persone in bianche enere, in omosessuali ed eterosessuali.

Chi esprime, agisce odio eviolenza contro i citta-dini deve essere duramente sanzionato. È neces-sario schierarsi contro la triste “omofobia deglionesti” e contro quella dei superficiali. Censura-bile è, soprattutto, l’omofobia di chi ricorre ad unlessico povero per emarginare la gente, per bol-lare le coscienze: nell’ingiuria e nell’arbitrio se-mantico c’è la cifra più avvilente delladiscriminazione. Solo qualche sprovveduto puòasserire, ancora oggi, che l’omosessualità debbaessere intesa come una “devianza dalla norma”,come una “espressione di costumi sessuali disor-dinati”. Una società rispettosa e assennata do-vrebbe cominciare a comprendere meglio sestessa, ad avere più cura delle sue individualità.Una società moderna e liberale dovrebbe comin-ciare a emarginare i discriminatori: chi fa diffe-renze fra gli esseri umani vale il nostro disprezzo.Le strette securitarie sono indispensabili ma nonsufficienti per assicurare maggiore giustizia. Lavera rivoluzione deve essere culturale. La famiglia, la scuola, levarie agenzie educativedovrebbero diffondere i germogli della compren-sione, dell’amore, del rispetto dell’alterità. Si è uo-mini di questo mondo se si riesce a dialogarerazionalmente e umanamente con il proprio sé,se si veicola un appropriato messaggio all’inter-locutore, se pazientemente si ascolta ciò cheviene dall’altro da sé.

Contemporanea

La forma famigliadi Marcello Buttazzo

Page 5: Spagine della domenica 45 0

spagine della domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0

Così ho deciso; ritorno a Marit-tima ché mi è rimasto nel-l’anima il sapore forte d’uncaffè, quello che Rocco Bocca-damo m’ha offerto mentre sfo-gliavo già “Compare, mi vendi

una scarpa?” raccolta di luoghi, vicende e voltid’un “cantastorie salentino” fresco fresco distampa per Capone Editore, offertomi in donoda Rocco, accanto a tazzina di caffè, nellapiazza di Marittima. Sto qui ma è un’altra la Marittima che oggi os-servo; c’è il lento passaggio di un gregge e c’èla voce del pastore e d’un tratto anche il rin-tocco della campana di S. Giuseppe; c’è laCampurra e son sicura che se volto strada, li ri-trovo i miei artigiani del cuore. Questo è il mistero-miracolo della scrittura cheentra dentro, come un sorso di caffè e la dol-cezza del ricordo che è immagine e visione,mai triste ma ironica e serena. Tanto si sa cheè il presente a regnare ed è lui ad abbracciarci,oggi; il futuro incalza ed è voce d’acqua di fon-tana che mi riporta alla realtà e mi fa piacereche esista, che abbiano pensato allo scrosciodell’acqua quando s’è deciso di sacrificare cap-pella. Avrà perdonato S. Giuseppe.Il “cantastorie” come Rocco sceglie di chiamarsiin questo momento del suo lavoro impareggia-bile, il cantastorie racconta e il racconto diventaparte di me che rivivo vicende e rileggo i luoghie riaccarezzo i volti; m’è compagno di viaggio ilracconto e so già che dal momento in cui letturami assorbe, tutto avrà gusto diverso e ritorneròsui luoghi per accertarmi che almeno una bri-

ciola rimanga, che non siano state cancellateradici; da loro si rinasce e si ricomincia.Rocco Boccadamo questo riesce a fare; guidai passi del lettore, un po’ come fa con il suo ni-potino Andrea in “Note di diario da Marittima” ementre il ricordo assale, il presente incalza e leimmagini dei volti di generazioni diverse stabi-liscono “un magnifico collegamento, un belsegno di continuità fra le realtà di ieri, il pre-sente e il tempo a venire”. Così mi ritrovo a ri-petere la filastrocca che sotto la cappa del miocompare c’era un vecchio che sapeva suonaree intanto raccolgo carrube che continuano adesistere e mi perdo nell’infinito del mare e delcielo che s’abbracciano a Torre Lupo, a Castro“mio grande amore”, all’Acquaviva “un luogodell’anima”; seguo i passi di Rocco e mi con-vinco sempre di più che onore e merito va a tutticoloro che, come Rocco sottolinea, sanno in-nestare a tradizione antica “un virgulto vitale einteressante per l’attenzione dell’utenza delterzo millennio”.Scelta coraggiosa di “Compare, mi vendi unascarpa?” che già nel titolo è tutto una sorpresa,un segreto da non rivelare; non solo s’abbrac-ciano in questa nostra terra e nelle pagine chesfoglio, terra e cielo, ma anche passato e futuroa proteggere e coccolare presente; i cantastoriequesto l’hanno capito bene; Rocco lo ha rive-lato; egli ricorda e procede a vela sciolta convento in poppa su barchetta-scrittura che ci ac-coglie come suoi ospiti-lettori ed è così allegrae scanzonata e giovane la traversata.Grazie, Rocco, e al prossimo viaggio!

Come un cantastorieLetture

di Giuliana Coppola

I racconti salentinidi Rocco Boccadamo per Capone Editore

Page 6: Spagine della domenica 45 0

spagine

L ’utopia anarchica nasce alle origini delleconfuse e plurime istanze di liberazione edi emancipazione dall’assolutismo dellemonarchie autoritarie e dal maturare delleguerre imperialiste, e assieme alleprime-configurazioni del potere “produttivo”, e

non soltanto repressivo, della borghesia come classegenerale e del capitalismo come generalizzazione delsistema di produzione e circolazione. L’utopia sociali-sta e quella comunista prenderanno presto il soprav-vento e già a partire da Karl Marx e Friedrich Engelsinnerveranno la teoria politica del movimento operaiopost-tradeunionista, il movimento politico del lavoro,come lo chiamava Hannah Arendt.“Dalle rivoluzioni del 1848 alla rivoluzione ungheresedel 1956, la classe operaia europea, la sola organiz-zata e quindi la frazione dirigente del popolo, ha scrittouno dei più gloriosi e probabilmente dei più promettenticapitoli della recente storia”, scriveva la Arendt in Vitaactiva, del 1958, e già allora vedeva prossimo a finireil ruolo politico e rivoluzionario del movimento del la-voro (ma non di quello sindacale né di quello di altrimovimenti collettivi). Una storia tragica e assiemegrandiosa di più di un secolo, che va dalla I alla III In-ternazionale e oltre, che si esaurisce quando la classeoperaia non può più essere la classe “generale” equando il movimento operaio “si fa Stato”, quando ilsocialismo diventa “reale”, quando il comunismo sto-rico da utopia diventa regime politico nell’ex “camposocialista” e più avanti in Cina. Non deve meravigliare, allora, che l’elaborazione lut-tuosa della fine del movimento operaio internazionaleoccupi tanti decenni, né che la crisi dei marxismi lasciriaffiorare vecchie correnti minoritarie ed eretiche piut-tosto che la presenza forte e immediata di un nuovopensiero post-marxista di liberazione e transizione.Marx, in una polemica politica con i marxisti belgi,avrebbe detto: «Tutto quello che so è che non sono unmarxista», ed era ben titolato a poterlo dire, da teoricooriginario e da leader internazionale del primo movi-mento operaio.L’utopia anarchica è sin dall’inizio un insieme di no-biltà, ingenuità, aporie, pratiche libertarie, oscillanti tranon violenza ed esaltazione salvifica dell’uso del gestoviolento, spesso individuale. Nel secolo delle guerre edelle rivoluzioni, nel Novecento, mai ebbe luogo unarivoluzione anarchica, e quel pensiero può al massimoriguardare una piccola comunità autogestita, mai uncorpo sociale o una formazione statale nazionale.Michel Foucault, che ironicamente si definiva unanarchico di sinistra, che tanto ha dato e dà ancora dapensare, ha prodotto un pensiero sul potere niente af-fatto rozzo, dal biopotere ai micropoteri. Foucalut sientusiasmò per la “rivoluzione khomeinista” che ebbeesiti niente affatto libertari, segno che sui macropoterinon ci indovinava poi troppo. Da Pierre-Joseph Prou-dhon a Michail Bakunin, da Wlliam Godwin a PetrKropotkin e Errico Malatesta, da Max Stirner a Er-nest Jünger, si va dal socialismo libertario utopisticoall’anarco - individualismo, dall’anarco - comunismo al-l’anarco - sindacalismo, dall’insurrezionalismo a ver-sioni propriamente di destra. Non si coglie quasi mai nel pensiero anarchico una cri-tica dell’economia politica, al massimo un anticapitali-smo esistenzialistico o morale, così come è presentepersino un anarco - capitalismo nel versante ameri-

cano. Nessuna delle eresie del movimento operaio,dallo stesso anarchismo al trotskismo, sino al bordi-ghismo, rappresentò mai un’alternativa possibile realenel proprio orizzonte storico, senza con ciò inoltrarsinelle aporie filosofiche, storicistiche e politiche, dellostesso Marx, di Lenin e molto oltre. La fine del movi-mento operaio come movimento politico internazionaleresta ancora da elaborare a lungo, ma la sinistra nonè un “cane morto”, è presente nella società, nelle cul-ture, nei movimenti collettivi. Altra storia e travagliata è quella della sinistra nellasua forma politica. L’“altro mondo possibile”, vagheggiato dai movimentialtermondialisti, ha significato riaffacciare la necessitàdi un’orizzonte globale di cambiamento non semplifi-cabile in un –ismo, né riconducibile alle ideologie sto-riche. Una democratizzazione radicale globale conelementi seri di socialismo e ambientalismo rappresen-terebbero giàuna controtendenza al dogma neoliberi-sta e al clima da stato d’eccezione permanente cheproduce post - democrazia e guerra civile globale en-demica.Quello che ama autodefinirsi come l’“originale operai-smo italiano” ha rappresentato un’aporia del post-mar-xismo, una delle tante a livello europeo. Neo e post -autonomi sono entrati spesso in competizione, con-flitto, alleanze episodiche con istanze anarchiche or-ganizzate. L’autonomia sociale, che è già molto megliodell’autonomia del politico, va rispettata nella sua re-altà di movimento collettivo così come nelle occupa-zioni sociali che da decenni si misurano sulle pratiche,indipendentemente dai relativi riferimenti teorici più omeno plurali, in un melting plot spesso produttivo.Rimarcare ossessivamente la necessità dell’antagoni-smo politico, quando è già difficile l’agonismo e lacompetizione, è puro sfogo di parole, oltre che linguag-gio propriamente e inutilmente guerresco. Senza il rin-novamento dei linguaggi e delle categorieinterpretative si reagiscesolo con la regressione alledifficoltà storiche del momento.Se poi ci si rinserra in maniera settaria in quelle cheFreud chiamava “formazioni reattive” si va oltre le re-sistenze reattive nevrotiche e le regressioni da diffi-coltà o da scacco politico-esistenziale.La formazione reattiva implica che l’individuo debba di-fendere con le unghie una sua costruzione nevroticacompensativa ed auto-giustificativa. La cosa funzionacosì anche collettivamente. Alcuni circoli anarchici, di-stinti e distanti da una tradizione libertaria e riflessivastorica tutt’ora presente, tendono a rinchiudersi in ununiverso paranoide e autistico da cui vedono incom-bere un tutto unico fatto di potere, istituzione, oppres-sione e repressione. Tendono ad avere unatteggiamento strumentale rispetto ai movimenti collet-tivi reali, ad esprimersi spesso in “azioni parallele” inpiena scelta soggettiva. Spesso non solo non sono dia-loganti, ma si manifestano come insultanti, con lin-guaggi che attingono a stilemi da teppa sottoproletaria.Tendono a darsi un’identità mitica in una immaginariastoria parallela del movimento operaio e del Nove-cento, delle lotte e delle repressioni delle stesse.Amano rappresentare il gesto improntato all’esteticadel conflitto. Tutto sommato potrebbero rappresentareun esito post-moderno del nichilismo reattivo, in uncontesto situazionale già segnato pesantemente dalpopulismo e dal nichilismo politico.

Page 7: Spagine della domenica 45 0

della domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0Pensiero

di Silverio Tomeo

non vuol dire bombeAnarchia

Page 8: Spagine della domenica 45 0

spagine della domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0Accade in città

Le viedella vitaLuoghi, teatro, ju jitsu

Il Teatro di Ateneo trova casa nell’ex-segreteria del Principe Umberto

S iamo tornati al punto iniziale, esatta-mente dove eravamo dieci anni fa,quando abbiamo aperto le porte di e aquello spazio che oggi è ritornato al suopunto iniziale, forse con qualche gabiottoe saldatrice in meno ma fermo, statico e

scaricocome un tempo… ma questa ormai è già storia vecchiaper tutti. Noi rinasciamo, ripartendo da zero, dall’inizio, almenoper il luogo. Ci ri-carichiamo il peso della storia rin-chiusa in quattro mura e rinasciamo con esse.Ci troviamo così in una storia di passaggi lenti, di di-scussioni, di attese, di documenti, di percorsi di vita.L’ex segreteria degli studenti situata nello stabile delPrincipe Umberto, sede dell’Università del Salento.La vita di questo luogo fu interrotta nel 2009, quando,a causa di un cortocircuito, un grosso incendio divampònell’aria retrostante il Principe Umberto; l’ex segreteriaè uno dei luoghi che venne coinvolto, se pur in minorparte. Milioni di carte, avvisi appesi in bacheca, annuncidi affitti, libri in sconto, interruzioni, fiamme, archivi,chiusura, questo rappresenta il luogo di cui vi stiamoparlando.Per noi e per chi pian piano inizia ad incuriosirsi, sta di-ventando come un dojo giapponese. Un luogo cioè, incui si segue la via.Dallo scorso agosto, la compagnia teatrale “Teatro diAteneo” si è stabilita proprio qui, facendosi spazio trale insidie delle fiamme e della burocrazia.Jō (場) dō (道), letteralmente: luogo dove si segue lavia. Nella tradizione giapponese si intraprende la via delBudō, la via (武) marziale (道), che al tempo stesso puòsignificare “percorrere una via verso la guerra” o che“conduce alla pace”, fino a “cessare una guerra attra-verso il disarmo”. Un ideogramma giapponese puòvoler dire molte cose, seppur con sottili differenze,ancor di più in questo caso dove Bu (道) è composto asua volta da due altri ideogrammi, che vogliono volerdire “lancia” e “fermare”. Quindi, Bu (武), nella lingua enello spirito della tradizione giapponese, significa lette-ralmente “fermare, arrestare, lasciare le lance”. Mentrel’ideogrammadō (道) vuol dire “ciò che conduce” vistocome “percorso”, “via”, “cammino”, non in senso fisicoma piuttosto etico e morale. Il significato del termine Buquindi, implica quello di “abbandono delle armi” e quindidi “disarmo” e non di “guerra”.Noi abbiamo deciso di intraprendere la via della vita, in-trecciandola con la viamarziale giapponese. Teatro e Ju

jitsu, due pratiche che si intersecano dalle origini. I primisensei (maestro) praticarono le prime tecniche proprioin un teatro. Qui non si parla certo di un teatro vero eproprio con loggioni, prime file, palchetti e quant’altro,anzi, l’ex segreteria somiglia per lo più, proprio ad unvero e proprio dojo giapponese.Un atrio esterno dove poter fare meditazione ed alter-nare gli esercizi tra luogo chiuso e aperto. Un porta tra-sparente come ingresso, aperta all’esterno, una salavuota e verde intorno. Somiglia veramente poco ad unteatro, ma per fare teatro un dojo è perfetto.Masajūrō Shiokawa, Presidente della Fondazione Nip-pon Budōkan dice: «Le arti marziali giapponesi sonostate tramandate fino ad oggi mantenendo inalterata laloro caratteristica principale, che risiede nel fine ultimodi far progredire lo spirito, attraverso il rafforzamento fi-sico del corpo e l’apprendimento della tecnica. Di con-seguenza, l’approccio con l’avversario deve esseredettato non da ostilità, ma piuttosto da un senso di ri-spetto e di gratitudine: a conclusione di un combatti-mento in cui ognuno ha dato prova delle propriecapacità senza risparmiarsi, nasce spontaneo il desi-derio di un ringraziamento che riconosca all’avversariotutto il suo valore. Ecco dunque che, infine, si puòaspiarare alla costruzione di una società pacifica in cuivalorizzare se stessi e gli altri». E cosa è il teatro se nonun rafforzamento, un allenamento del corpo rapportatoalle sue sfaccettature e allo svuotamento della mente.La voce ondula con il corpo, da ogni suo movimentofuoriesce un carattere, un sibilo, una tecnica. è il movi-mento del corpo stesso che indica la via all’attore, comenello Ju Jitsu dove l’allenamento, la concentrazione ela meditazione portano alla via marziale, ad intrapren-dere un percorso.Nascono in questo modo i due percorsi della compa-gnia “Teatro di Ateneo”: il teatro e lo Ju jitsu, nellostesso luogo, nello stesso teatro, nello stesso dojo.L’istruttore di Ju Jitsu Guglielmo Scozzi, presente nelmondo delle arti marziali dal 1984, ha spesso mesco-lato il teatro e l’arte marziale, concentrandosi sul trai-ning fisico, fondamentale per intraprendere i duepercorsi, per riprendere il controllo del proprio corpo edarrivare a capire le proprie potenzialità ed i propri limiti.

Per informazioni sui corsi: 338/[email protected], fb: Unisalento

Teatro di Ateneo

Page 9: Spagine della domenica 45 0

spagine della domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0

M irko Signorile è un pianista pugliese. In attivo ha benquattro album, l’ultimo ‘Magnolia’, e molteplici colla-borazione. In questa intervista parla della sua pas-sione musicale e dei suoi progetti. Il tuo percorsoartistico nasce da una formazione classica manel tempo si è evoluta verso altri stili. Come è

avvenuta questa tua evoluzione?Ho iniziato a studiare la musica classica all’età di 6 anni portando acompimento gli studi accademici a 21 anni, quando mi sono diplomatoin pianoforte. Ma all’inizio il mio interesse era soltanto di tipo tecnico.Una specie di palestra dove allenarmi. Ciò che ascoltavo e che miemozionava di più era la musica pop; fino a quando, grazie ad unacassetta di Pat Metheny che mi fu regalata dal mio insegnante di sol-feggio di allora, ho scoperto il jazz, dapprima nella sua forma più mo-derna e contemporanea come la fusion; poi, attraverso un percorso aritroso, nella sua forma più tradizionale. Il jazz è stato un colpo di ful-mine, una di quelle cose che cambia la vita e indirizza i desideri. Lamusica che suono e ricerco è fatta di tutte le mie esperienze passate,gli amori che fanno girar la testa, ma anche di quello che ho in testaoggi e che rappresenta la mia personale visione del mondo. Mi sonoevoluto in un modo naturale e direi, guardandomi indietro, guidatodalla curiosità.

Come definisci il tuo stile?Le definizioni sono sempre un po’ pericolose e io, in generale, non leamo particolarmente; questo perché non amo confinarmi in un piccololuogo. La musica che esprimo, come dicevo prima, ha elementi diclassica, di cinematica, di rock, di pop. In generale, il brano che com-pongo mi convince se ha una bella melodia e un potenziale di sviluppoforte. E poi mi piace aprire porte che mi facciano entrare in luoghi chenon conosco, e mi costringano, in senso positivo, a rimettermi in di-scussione e ad evolvermi. Quello che cerco è l’emozione, il brividosulla pelle. Direi che il mio stile è musica suonata con il cuore.

“Magnolia” è il tuo ultimo lavoro discografico. Come è nato equali sono le novità?“Magnolia” nasce come evoluzione di “Clessidra”, il disco del 2009prodotto da Universal. L’idea è stata quella di esprimere elementi mu-sicali nuovi ed arrangiamenti più particolareggiati. Per esempio Ma-gnolia contiene elementi fiabeschi, suoni di glochenspiel che riportano

ai magici mondi musicali dei bambini. Ma ci sono anche pezzi rock erichiami all’Africa. Quello che volevo esprimere è evidente nella fotodi copertina: una bambina che cammina con una scarpa coi tacchirossi, cioè l’incontro tra l’uomo Mirko delle passioni e il piccolo Mirkoche vuole vivere ogni giorno come se fosse tutto da scoprire, esatta-mente come un bambino. E poi la novità è anche nell’ingresso nellaband di Giovanna Buccarella al violoncello, che in qualche modo sot-tolinea la parte più romantica dell’intero album.

Hai collaborato con diversi artisti internazionali. Quale collabo-razione ti ha lasciato maggiormente soddisfatto?Tutte le collaborazione mi hanno fatto crescere. Ricordo l’energia diDave Liebman, la capacità di fare assoli lunghissimi riuscendo a te-nere sempre alta la tensione. Dave Binney mi colpì per il suo linguag-gio moderno e per la semplicità della sua persona. Ricordo anchePaolo Fresu la prima volta che ho suonato con lui: la sua capacità ditrarre fuori il meglio da ogni musicista. Ognuno di loro mi ha dato qual-cosa e spesso, oltre a idee musicali, anche consigli su come gestirela carriera; penso alle chiacchierate al tavolo alla fine di un concertocon Greg Osby avvenuto all’Orsara Jazz Festival.

Mirko Signorile Quintet. Come nasce?Come dicevo il Quintet è la naturale evoluzione del quartetto nato nel2007 per Clessidra. I musicisti che ne fanno parte sono stati sceltisulla base della loro preparazione tecnica ma soprattutto sulla basedell’ampiezza di vedute che li contraddistingue. Con loro è un piaceresuonare ma anche lavorare “in coro” sugli arrangiamenti. Sono indi-spensabili alla riuscita musicale e a rendere tutto “forte” dal punto divista emotivo.

In attivo hai quattro album: In full time, The magic circle, Clessi-dra e Magnolia. Quale consiglieresti a chi non ti conosce e vor-rebbe ascoltare un tuo disco?Gli consiglierei di partire dall’ultimo, Magnolia, e poi di andare a ritrososenza dimenticare i due album che ho realizzato con Giovanna Ca-rone (Betam Soul e Far Libe).

La musica“cuore”

di MirkoSignorile

Musica

https://www.youtube.com/watch?v=6jc753GUwp0

di Alessandra Margiotta

Page 10: Spagine della domenica 45 0

spagine

Al Teatro Garibaldi di Gallipoli,nel cuore della città vecchia,mercoledì 24 settembre,Julia Varley ha dimostrato insintesi la grande mole di lavorosulla voce umana, praticata in

quarant’anni di attività teatrale. Ne “L’eco delsilenzio” ha offerto al pubblico il suo operato,sollecitato dallo stimolo e dal potere delle pa-role e dei suoni. La combinazione di suoni eparole permette – secondo Julia Varley – dicongiungere le due parti dell’emisfero cere-brale: quello creativo e quello razionale. Privi-legiando il primo col suono che, una voltaintonato, costituisce un vero processo di rinno-vamento vitale. Ella condivide le virtù dellapoesia e della voce: della voce-musica, comeattributo e tramite che regge e nutre l’azione.E, per di più, nella sua notevole agiatezza tim-brica, una particolare facoltà espressiva, abilea consigliare ciò che la parola drammatica nonè in condizioni di manifestare compiutamente. Su questo concetto Julia Varley ha inoltrato ilsuo spettacolo e davanti agli astanti riversavaacuta la sua voce. Riflettendo sul significatodella voce, inserita in un contesto teatrale, sce-nico, che unisce gli attori agli spettatori. Affin-ché ascoltatore e cantore si fondono. La vocequindi come veicolo privilegiato, di unione trail palcoscenico e la sala, le persone con gli at-tori, com’era nel tempo degli antichi greci. Unmodo per sondarci, per avvicinarci. Il pensiero di Julia Varley vuole dimostrare chedobbiamo riuscire a “cantare la voce”, che esi-sta in quanto essere, che divenga essenza. Eallora noi saremo e ci apriremo agli altri, fuoridal nostro ‘io’, fuori da sé e al di là del sé. Di-stogliendo l’attenzione da e per noi stessi cirelazioniamo con gli altri, finalmente. Questa èanche la condizione necessaria che aiuta gliattori. E questo spiega l’importanza , che findalle origini, dagli albori, ha assunto il teatro.“Ma esso” dice Eugenio Barba “non ha maicambiato nulla nel mondo, se non gruppi ri-stretti che occupano o si occupano di que-st’arte, ma che comunque rimangonoesperienze di straordinaria bellezza e restanonella memoria di chi le ha vissute e frequentatecome grandi tensioni culturali ed intellettuali.” Julia Varley fruga all’interno e nelle pieghedella voce, rivista nelle piaghe del linguaggioper far uscire qualcosa di nuovo. Questo è ilsuo indirizzo nella sperimentazione vocale.Svincolato dal suo significato verbale, a cui èinvece legato il suo regista, il quale predilige iltesto. La sua voce esplora le possibilità vocaliprodotte, e ne assolve la sua pratica liberato-ria. E’ come recuperare la voce perduta, istin-tiva, grezza, rugosa, in grado di operaretrasformazioni nell’intimo degli esseri umani. Julia Varley sviluppa quindi e pone al centrodello spettacolo la sua stessa voce e ripercorrei sentieri che essa ha tracciato. La vocalità as-sume allora un profondo ruolo, e in questosenso le ricerche dell’attrice assumono un ine-stimabile valore. Voce pronta ad essereemessa nella sua materialità, unendosi alcorpo, in simbiosi e in perfetto equilibrio. “L’intelligenza mi guida nel mio lavoro d’attore,non l’intuizione” ella dice, “l’armonico dellavoce mi dà maggior conoscenza del testo. Il

grande dialogo delle vocali con gli armonici miallarga gli orizzonti” conclude. Quello che perlei da ragazza rappresentava un handicap è di-ventato un attributo, una particolarità, fonda-mentale per la sua vita, in teatro e nel suomodo di fare e intendere il teatro. Inusuale,come sottolinea Eugenio Barba, nell’assolverel’Odin Teatret. Un grande lavoro sulla voce umana, dunque,e su come l’ascoltatore riceve il suono dellaparola, sull’emozione e la sensazione che nericeve. Questa diviene la maggior preoccupa-zione dell’attore. La trance attoriale è per glialtri, in funzione di altri, e non per sé. La rice-zione del messaggio ne pregiudica o ne stabi-

lisce il risultato. La buona riuscita dipendeesclusivamente da questo presupposto. E lepersone che vanno a teatro devono avvertirequesto trasporto, come per induzione. Questaè la tesi di Julia Varley e questo è l’obiettivo diquesta raffinata arte, e questo vale per tutti gliattori.Lavorando, insomma, sui tempi tecnici armo-nici, con vari passaggi, anche con spostamentidella lingua, ella conduce lo spettatore nel suoritmo, e si sa che il ritmo è più importante delsignificato. O quantomeno viene prima. JuliaVarley si libera, con la forza dell’esperienza, diforme, colori e modi tipici e comuni di fare tea-tro. Ella diviene l’inusuale, come emblema e

Nel dono della voceL’Odin Teatret a Gallipoli per il cicloI mari della vita.Dal Mediterraneo al Mare del Nordprogetto internazionaleper i 50 anni di attivitàdel gruppo di Holstebro

Page 11: Spagine della domenica 45 0

della domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0

Nel dono della vocedi Antonio Zoretti

Eugenio Barba e Julia Varley

crescita teatrale e culturale. Per lei conta ilsotto-testo, quello che non si legge ma sisente, inscena le indicazioni non testuali, comeuna scala musicale. Variando anche le lingue,a lei importa come suono quella parola, in unacontinua trasformazione in altezza, intensità,estensione, virata ecc., modificando la velocitàdei gesti e delle parole. Aspira, infine, a comunicare gli affetti, per giun-gere al silenzio, al silenzio dei vecchi - elladice, fonti di saggezza, carichi di speranza.Così noi avvertiamo l’eco del silenzio, l’eco cheprecede la voce. Una voce nostalgica, di ri-cordi passati, che evocano l’originario e l’ar-caico. Julia Varley, con intuizione ammirevole,

Teatro

bile. Favorendo il fascino intramontabile dellavoce, Julia Varley mira al silenzio, riportandonel’eco. Da “Il gioco del silenzio” di Carlo Sini: «Cosìcome il mondo non è mai davanti a me, masempre mi circonda e mi attraversa, così comenon faccio che vedere il mondo provenendodal cuore del mondo, altrettanto accade allaparola.Essa non parla che dal silenzio del mondo:quel silenzio che la parola custodisce e cheessa reca in sé; quel silenzio che è così raro edifficile saper ascoltare». E sia quindi “L’eco del silenzio” a colpirci comeun bacio, nel suono del mare nostrum.

parla del ritmo e della voce, ricordandol’espressività antecedente il linguaggio nellepulsioni primordiali e musicali, che è il corpostesso di ogni parola. Così pure traduce il gestocorporeo nella vibrazione musicale che, cometale, è a suo modo un’eco e un segno del ri-torno. L’attrice dice che anche il gesto è musi-cale, non è semplicemente visivo. In breve, inquel teatro – dice Eugenio Barba – che non ènell’ordine delle cose, ma in quello inconsueto,diverso: in quello dell’ Odin Teatret.Quello a cui abbiamo assistito mercoledì mat-tina a Gallipoli al Teatro Garibaldi lo ricorde-remo come una “Prova di voci d’altrove”, dovesi uniscono senso e suono, sensibile e intelligi-

Page 12: Spagine della domenica 45 0

spagine

di Luigi Mangia*

Da sempre la buona e serena qualità della vita è stata le-gata alla salute degli occhi. Abitare lo spazio e vivere iltempo con gli occhi malati è stato sempre estremamentedifficile e molto faticoso senza la vista. L’ottanta percento delle informazioni nel soggetto avviene attraversole immagini, quindi, attraverso gli occhi. È facile capire

come senza la vista la vita diventa difficoltosa con tanti ostacoli da su-perare in città sempre scarsamente accessibili, con barriere vecchie enuove. Le tecnologie assistive dell’informatica hanno migliorato moltola qualità della vita dei disabili risolvendo tanti problemi, ma per avereuna società accessibile bisogna fare ancora tanto lavoro e tanta educa-zione per cambiare i nostri comportamenti sociali. Oggi parliamo dismartctes e progettiamo città intelligenti ma la salute degli occhi e laprevenzione e la riabilitazione sono nelle pagine della sfida del terzomillennio rispetto alle quali la politica è in ritardo e non sempre attenta.Le età della vita sono cambiate, non sono più quelle della donna rap-presentate nel famoso quadro di Gustav Klimt: bambina donna vecchia.Le nuove fasi sono infatti: bambina adolescente giovane anziana vec-chia. Oggi si vive molto di più quindi le tappe delle fasi della vita e glistati di salute sono cambiate in particolare la stagione della vecchiaia.La ricerca è molto attenta ai nuovi cambiamenti dei tempi di vita e quindidei bisogni della persona. La medicina è sensibile e molto responsabileverso i problemi di salute legati all’età nel terzo millennio. La malattia è un costo, la salute un bene che bisogna raggiungere, rea-lizzare, per questo in politica si parla si patto della salute.A Lecce da venerdì 26 settembre nella sala conferenze dell’Istituto perCiechi Anna Antonacci (in Via De Sumo, 1) si parla della salute e dellaricerca degli occhi. L’Unione Italian Ciechi conosce bene la durezza ela fatica della cecità per questo ne promuove la lotta e ne sostiene la ri-cerca. Il Convegno della Scuola Internazionale di Oftalmologia promosso daldirettore, professor Sergio Zaccaria Scalinci, della Clinica oculistica uni-versitaria degli studi di Bologna e dal direttore onorario della Scuola,professor Renato Alberto Meduri. vuole scrivere una pagina su comevincere la cecità con la ricerca e con la riabilitazione.Di grande interesse scientifico e riabilitativo i temi e le lectio magistralisdella sessione del convegno: “Retina-ipovisione-riabilitazione visiva”. “La neurorigenerazione retinica cellulomediata, quale potenziamentodel residuo visivo” a cura della professore Paolo Limoli; “Retina artifi-ciale: progetto italiano” a cura della professore Roberto Cingolani; “Cel-lule staminali in oftalmologia” a cura della professore Sergio ZaccariaScalinci .“Anti-vegerop and oct in rop” a cura della professoressa Teixeira SusanaPortogallo; “Diagnostica oct ed ipovisione” Professoressa Luisa Pierro;“Micropermetria e riabilitazione visiva” a cura della professoressa MariaRosaria Franco; “Ausili in ipovisione” a cura del dottor Roberto Iazzo-lino.Ieri sabato 27 e oggi domenica 28 settembre, il Convegno terrà le suesessioni di lavoro nell’Ospedale di Tricase Card. G. Panico, le lezionisi svolgeranno nella sala chirurgica dell’Ospedale sotto la direzione delprofessore Romolo Fedeli. Dal Convegno sicuramente verranno informazioni utili ad affrontare lacecità rappresentando la grande occasione per le scuole, per gli asses-sorati e per i medici di avere indicazioni su come gestire la cecità e comerispondere ai bisogni di chi ha problemi con gli occhi.

*Responsabile Biblioteca Antonacci

La salutedegli occhi

All’Istituto Anna Antonacci di Lecce e all’Ospedale Tricase un convegno promossodalla Scuola Internazionale di Oftalmogia dell’Università di Bologna

in Agendadella domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0

Dal 9 al 12 ottobre Trepuzzi si trasformerànella città del giornalismo. Seminari, incontriformativi, lezioni e workshop. Questo emolto altro saranno Le Giornate del Gior-nalismo, un’occasione di confronto sullenuove sfide e sulle prospettive future della

professione giornalistica.Dagli open data ai social network, dalla trasparenza ammi-nistrativa alla partecipazione attiva dei cittadini nella costru-zione delle notizie. Il giornalismo cambia rapidamente, e persvolgere al meglio un mestiere così difficile è indispensabileun consistente bagaglio tecnico di knowhow e competenze. Questo lo spirito delle Giornate del Giornalismo, l’iniziativaideata dal giornalista Lucio Lussi dell’Associazione Cultu-rale Fermenti Intraprendenti in collaborazione con la Re-gione Puglia e l’Arti (Agenzia Regionale per la tecnologia el’innovazione) nell’ambito del progetto Laboratori dal Basso(azione della Regione Puglia cofinanziata dall’Unione Eu-ropea attraverso il PO FSE 2007-2013) è patrocinata dalComune di Trepuzzi, dal Gal Valle della Cupa, dal Comunedi Squinzano e dall’Associazione Amici di Maurizio Ram-pino. Le lezioni e i workshop saranno tenuti da docenti uni-versitari, giornalisti ed esperti del settore, presso l’aulaconsigliare del Comune di TrepuzziTra i relatori interverranno Tommaso Labate del Corrieredella Sera, Paolo Bracalini de Il Giornale, Michele Mezza,vicedirettore di Rai International, Federico Bastiani (fonda-tore della prima realtà di social street), Marzia Antenore (do-cente di comunicazione alla Sapienza di Roma), ErnestoBelisario (esperto di open data) e Sergio Talamo (giornalistaed esperto di trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni)e un nutrito gruppo di giornalisti locali (Marco Renna, Pier-paolo Lala, Mauro Marino, Emilio Faivre, Vincenzo De Fi-lippi, Salvatore Papa).Le Giornate del Giornalismo rappresentano, inoltre, un utilemomento formativo. Ai giornalisti che parteciperanno alle le-zioni pomeridiane del 9 e dell’11 ottobre saranno rilasciati icrediti formativi obbligatori dal 2014. Numerosi gli eventi col-laterali. Il giornalista di Rai 3 Fulvio Totaro racconterà il gior-nalismo agli alunni delle scuole medie ed elementari.Presso la libreria Fanny di Trepuzzi nella serata di venerdì10 ottobre si terrà la tavola rotonda “Il Salento degli scrittorie dei poeti”. L’incontro sarà moderato da Mauro Marino evedrà la partecipazione di Luisa Ruggio, Osvaldo Piliego,Danilo Siciliano, Simone Giorgino, Ada Fiore e altri. Le Gior-nate del Giornalismo si chiuderanno domenica 12 ottobrecon il convegno “Un giornalismo libero e indipendente:come costruire una professione autonoma dalla politica”.Parteciperanno all’incontro il responsabile Comunicazionedel Pd Francesco Nicodemo, Stefano Cristante (docentedell’Università del Salento), Valentino Losito (presidente del-l’Ordine dei Giornalisti di Puglia), giornalisti, parlamentari eamministratori locali. Il dibattito sarà moderato dal direttoredi TG Norba 24 Vincenzo Magistà.

Per informazioni pagina Facebook (Le Giornate del Giornalismo).Iscrizioni alla mail: [email protected]

Le Giornatedel Giornalismo

A Trepuzzi dal 9 al 12 ottobregli incontri promossida Lucio Lussiper Fermenti Intraprendenti

Page 13: Spagine della domenica 45 0

spagine della domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0

Oggi, domenica 28 settem-bre negli spazi del ParcoTafuro a Lecce parte La Bi-bliovaligia, a cura dellAsso-ciazione Culturale LabLib,iniziativa che rientra nel pro-

gramma di Rigenerazione Urbana del quar-tiere Leuca (II stralcio).Il progetto vuole stimolare e rendere un ser-vizio alla comunità locale, in particolare aibambini, tramite l'installazione nel quartiereLeuca di Lecce di una biblioteca mobile perl'infanzia: La Bibliovaligia - che contiene unaselezione accurata di libri per l’infanzia, conuna piccola sezione in lingua tedesca - vuoleoffrire ai bambini l’opportunità di provare ilpiacere della lettura ad alta voce, insieme algusto di scoprire nuove cose, storie fantasti-che e giochi all’aperto. Sarà allestita una biblioteca all'aperto conaree lettura e anche uno spazio dedicato albaratto in cui i bambini, e non solo, potrannoavviare una pratica di scambio e cessionedei libri, attività che potrà proseguire nelcorso del tempo tramite la creazione di unavera e propria libreria di quartiere.Per due settimane la postazione mobile di bi-blioteca all’aperto, sarà presente tutti i po-

meriggi nel parco. La Bibliovaligia porta i libri laddove solita-mente i libri non ci sono e, in questo caso, illuogo scelto è l’area giochi del parco Tafuro,collocato nel quartiere Leuca, oggetto di ri-qualificazione urbana. L’intento dell’Associazione LabLib è quellodi ricreare un luogo fantasioso e allo stessotempo reale in cui i bambini, i ragazzi e leloro famiglie possano ritrovare situazioni ac-coglienti, stimolanti, invitanti e attraenti. Unluogo che diventa spazio di condivisione incui riunirsi, socializzare, scambiare espe-rienze, condividere storie attraverso la con-sultazione e la libera circolazione dei libri,piacevole da frequentare, un luogo in cui lalettura è vissuta come gioco e partecipa-zione, in linea con le tendenze dello swap-ping (baratto) e del bookcrossing, cheritroviamo oggi diffuse nelle più grandi capi-tali d’Europa, a partire dalla città di Berlino,con l’esempio del Book Forest, con la qualesi portano i libri gratuitamente negli spazipubblici di tutto il mondo. Con la Bibliovaligia il parco potrà essere vis-suto, anche al termine del progetto, comeuno spazio appartenente alla collettività, davivere, curare e far ‘crescere’.

in Agenda

La bibliovaligiaDa oggi l’iniziativa di LabLib nel Parco Tafuro a Lecce

Dal 28 settembre al 12 ottobre 2014 Tutti i giorni dalle 15.30 al tramontoSabato e domenica anche la mattina dalle ore 10.00 Parco Tafuro, Lecce (Quartiere Leuca)

Associazione culturale LabLibInfo: [email protected] Tel. 3398168515

Page 14: Spagine della domenica 45 0

Lo scorso martedì 23 settembre, alle 18.00, l'architetto Augusto Ressa della Soprinten-denza per i Beni Architettonici e Paesaggisticiper le province di Lecce, Brindisi e Taranto,progettista del MARTA (Museo Nazionale Ar-cheologico di Taranto) – ha presentato a

Praga “La tomba dell'alteta di Taranto”. Il tema è doppia-mente interessante sia per l'importanza storico-archeologicadi quest'opera (descritta di seguito) sia per l'allestimento mu-seale curato proprio dal relatore.Il nuovo volto del MARTA, infatti, è in Puglia e nell'Italia me-ridionale uno dei più interessanti interventi di restauro e ri-qualificazione di un museo archeologico. Se è vero che lacultura è un punto fondamentale da cui far partire lo sviluppodi un territorio il MARTA è un esempio positivo del qualeoramai non si può fare a meno a cominciare dall'attenzionee dagli sforzi compiuti dal progettista per far capire al visita-tore una materia difficile come l'archeologia. Avremo mododi ritornare sull'argomento, inevitabilmente.I due brevi filmati, che presentati durante l’incontro, sonostati realizzati uno per l’esposizione a Pechino, in occasionedei Giochi Olimpici, nel Beijing World Art Museum per la mo-stra “Games and athletes in the ancient world”, nata dallacollaborazione tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali(Direzione Generale per i Beni Archeologici e Direzione Re-gionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia) el’istituzione museale cinese. Il corredo della tomba del fa-moso Atleta, proveniente dal Museo Nazionale Archeolo-gico di Taranto (MARTA), è il più importante esempio di artefuneraria tarantina di età arcaica (fine VI - inizio V secoloa.C.). La tomba, rinvenuta nella città pugliese nel 1959, tra-manda la memoria di un atleta più volte campione olimpicodi pentathlon. La sepoltura era costituita da una cassa mo-numentale costruita in blocchi di pietra locale, all’internodella quale era stato inserito un sarcofago litico, con paretidecorate da un fregio dipinto con palmette alternate a fioridi loto. La copertura a spiovente, formata da due parti unitea incastro in una pietra più tenera, era decorata a motivi ve-getali negli spazi frontonali e a meandro sulla fascia peri-metrale inferiore; il rosso, l’azzurro, il verde e il nero i coloriutilizzati. Il corpo del defunto era stato deposto all’internodel sarcofago su una kline (letto) in legno. Vicino alla manosinistra era stato collocato un alabastron, un contenitore inalabastro per gli oli e gli unguenti usati nella preparazioneatletica. Agli angoli erano state sistemate le anfore panate-naiche, trofei dell’attività agonistica del giovane defunto: leanfore, infatti, contenenti l’olio ricavato dagli uliveti sacridell’Attica, erano il premio simbolico dei vincitori delle garedelle Grandi Panatenee, che si svolgevano ad Atene ogniquattro anni e nelle quali si sfidavano concorrenti provenientida tutte le aree di cultura greca del bacino del Mediterraneo.Realizzate con la tecnica a figure nere, rappresentanoAthena Promachos (combattente), la dea in onore dellaquale si gareggiava, e scene sportive riguardanti diverse di-scipline. Prodotti della ceramica attica dei primi decenni delV secolo a.C., sono state attribuite all’officina del Pittore diKleophrades e raffigurano diverse gare: una corsa con laquadriga, un incontro di pugilato, il salto con gli halteres(pesi di piombo) e il lancio del disco, le ultime due specialitàdel pentathlon. Il secondo filmato, realizzato alcuni anni fadalla BBC, si basa sulle ricerche scientifiche sui resti ossei.La struttura ossea, molto ben conservata, ha fatto stimareun’età intorno ai trent’anni, una statura di circa un metro esettanta, eccezionale per l’epoca, e una corporatura robu-sta, oltre a fornire indicazioni sulla dieta e sulle possibilicause della morte, tra le quali non si esclude l’avvelena-mento da arsenico. Il relatore ha illustrato, inoltre, il proce-dimento di rilievo del complesso funerario e di riproduzionecon tecnica laser scanner, che ha consentito l'esposizionea Pechino del sarcofago e dello scheletro, inamovibili per laparticolare fragilità.

dell’atleta

spagine in AgendaA cura della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Pugliae dell’Istituto Italiano di Cultura di Pragacon l’Associazione Pugliesi in Repubblica Ceca un ciclo di incontri con cadenza settimanale, a Praga per far conoscere l’offerta culturale della Puglia

della domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0

La pagina è a cura di Marisa Milella* e Fabio A. Grasso.*Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia

La tomba

Sopra il ritrovamento della sepoltura

e a fianco l’allestimento che la mostra

al MARTA

Page 15: Spagine della domenica 45 0

Nato e, sino all'età di diciannoveanni, vissuto costantemente inun paesello del Basso Salentoabitato da poco più di duemilaanime, con l'unica eccezionedelle brevi trasferte in autobus

per e dalla cittadina di Maglie durante le Mediee le Superiori, Martino aveva poca dimesti-chezza e confidenza con le ferrovie e i treni,anche a motivo che la relativa stazione più pros-sima, delle Sud Est, si trovava a quattro chilo-metri di distanza, nella località di Spongano.Per la massima precisione, due viaggi su stradaferrata li aveva, invero, compiuti, rispettiva-mente nel 1952 e nel 1953, accompagnato dalpadre, al fine di raggiungere Anagni, in Ciocia-ria, dove avrebbe potuto attendere agli studi,senza alcuna spesa, in una struttura-convittodell’Inadel, Ente di previdenza e assistenza peri dipendenti degli enti locali, cui faceva capol’anzidetto genitore.Chiaramente, in quella circostanza, fu moltal’emozione a bordo del direttissimo notturnoLecce- Roma. Particolare, la memoria delle vocidei venditori che sfilavano lungo i vagoni, du-rante la sosta nella stazione di Benevento, conla proposta di torroni e liquore Strega, e il cam-bio intermedio di convoglio, a Caserta, per uti-lizzare il diretto che avrebbe consentito diraggiungere la destinazione.Due esperienze, reiterate con esito purtroppoinglorioso, giacché Martino, sia la prima che laseconda volta, rimase in collegio appena unpaio di settimane, per, poi, fra nostalgia della fa-miglia, accampata disperazione, sconforto,pianti eccetera, farsi ricondurre a casa, lì rico-perto di commenti non proprio belli: “Il Padre-terno dà i biscotti a chi non ha denti permangiarli” oppure “Questo ragazzo è un rovinafamiglie”.Episodi, a ogni modo, rimasti impressi nellamente del piccolo protagonista, a causa dellacoincidenza temporale rispetto a due eventi,anche se del tutto avulsi dal “dramma” diretto epersonale, ovvero la scomparsa del grande efamoso filosofo Benedetto Croce e la morte, inun incidente stradale presso Cento dove pre-stava servizio, del soldato specializzato LuceM., di vent'anni, cugino per parte materna.A prescindere dalle “fughe” da Anagni, per Mar-tino, in seguito, si compirono regolarmente icorsi scolastici, fino al diploma, conseguito -

mette conto di ricordare - con una sfilza di ottoe nove.Correva il 1960, da un po' il giovanotto avevapreso a fare il filarino a una pari età originariadel paesello ma residente altrove, la quale sa-rebbe successivamente divenuta sua moglie e,tuttora, è accanto al ragazzo di ieri.Sempre grazie all’ottimo profitto scolastico,ecco, a questo punto, presentarsi l'opportunitàdi andare a frequentare il quadriennio universi-tario a Parma, con spese di viaggio, tasse, librie soggiorno, analogamente a carico dell’Inadel.Cosicché, esattamente a distanza di un secolodalla spedizione dei Mille, ai primi di novembre,ebbe luogo la spedizione di Martino verso lacittà emiliana, con itinerario da percorrere, ov-viamente, in treno, e però non sulla tratta Lecce-Milano, bensì su quella Taranto-Milano,dovendo l'interessato, prima della partenza, ac-comiatarsi dalla fidanzata ivi residente.Anche nella circostanza, viaggio di notte.Montato sul treno, Martino si sistemò in unoscompartimento, dove il suo sguardo si posòsubito su una ragazza, semplice e nello stessotempo di bell'aspetto, in compagnia dellamadre.Iniziò la corsa il convoglio, prima sosta a Gioiadel Colle, animata dall'annuncio dell'altopar-lante sulla partenza di un altro treno per Roc-chetta Sant'Antonio, Lacedonia e Avellino, metesconosciute e misteriose per il non assiduoviaggiatore del Basso Salento.Passò poco e Martino si trovò sistemato in piedinel corridoio, guarda caso al pari della ragazza,a far finta di scrutare fuori dal finestrino, nelbuio.In realtà, fra i compagni di viaggio e coetanei,prese subito abbrivo, con naturale scioltezza,una fitta e intensa conversazione: come tichiami, dove abiti, chi sei, quanti anni hai, qualisono i tuoi gusti, dove vai, a fare che cosa, chetipo di scuola hai frequentato, quali cantanti tipiacciono, hai un ragazzo, e ancora a proce-dere su lunghezze d’onde del genere.Martino a Parma, la ragazza, della quale, pur-troppo, a distanza di quasi cinquantacinqueanni, non si serba più il ricordo del nome, eradiretta, invece, a Bologna, presso il cui Ateneos’era iscritta alla facoltà di Lettere, con l'obiettivodi svolgere, una volta laureata, lo stesso lavorodella madre, l’insegnamento.Carina, gentile e apparentemente a modo la

partner dei dialoghi in corridoio, aperta al sor-riso, i suoi occhi mandavano lampi scintillantinel semi buio della notte che s’andava viepiùinoltrando, piacevole parlare con lei, con saltuaristacchi per spuntini a base di biscotti o di cara-melle mou.Le ore si susseguivano, le stazioni lungo il tra-gitto si oltrepassavano, ma la coppia si mante-neva più vispa che mai, fresca come se sitrattasse di un incontro in riva al mare e non diun lungo e, oggettivamente, pesante viaggionotturno. Completamenti inascoltati gli inviti conun gesto della mano, ogni tanto, della mammadi lei, a ritornare a sedere nello scompartimentoe a provare a dormire.Parola dopo parola, un discorso dietro l’altro, ildirettissimo raggiunse la grande stazione di Bo-logna, dove, per l'amica, appena e occasional-mente incontrata e tuttavia, nel volgere di unanotte, divenuta conosciuta, se non intima, ilviaggio sarebbe terminato, mentre per Martinosi sarebbe reso necessario cambiare treno,prendendo cioè un diretto che avrebbe fattososta a Parma.Sia perché la ragazza non potette lasciare l'in-dirizzo di Bologna, non avendo ancora reperitoun alloggio definitivo, sia in mancanza, allora, dicellulari e via dicendo, sia per mera distrazioned’entrambi i temporanei partner dell’avventurasul treno, il saluto a terra fu cordialissimo ma siconcluse, semplicemente, con l’incrocio delladomanda o meglio auspicio “chissà che non cisia dato di rivederci”.In realtà, come sovente se non nella norma ac-cade, le stagioni successive andarono a porre,innanzi ai due giovani, strade distanti e scono-sciute, a ciascuno, insomma, il proprio distintodestino.Del resto, così girano le cose per i comuni mor-tali.Certo è, però, che, adesso, all’ombra degli spa-ruti capelli bianchi e di una vita sostanzialmentegià vissuta, con uno scorcio ancora da trascor-rere che, almeno nella mente e nel sentire inte-riore di uno come Martino, potrebbe ancoracontenere, senza tema d’azzardo, un immagi-nario nuovo piacevole viaggio di notte in com-pagnia, sulla strada ferrata, non dispiacerebberecuperare il ricordo di un nome e, possibil-mente, rivedere quel volto.

Una memorabile notte in trenospagine della domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0

Scritture

di Rocco Boccadamo

Page 16: Spagine della domenica 45 0

La ricerca artistica di Ales-sandra Chiffi e GiancarloMustich comincia per en-trambi presso il Liceo Arti-stico “Lisippo” di Taranto,prosegue presso l'Acca-

demia di Belle Arti di Lecce per poiavere un punto di svolta significativo,dicono i giovani artisti, a Berlino dovesono rimasti per circa due anni.La scelta della capitale tedesca non av-viene casualmente ma sulla base diesperienze precedenti di uno dei due,Giancarlo Mustich. Ciò che caratterizzaentrambi è una passione particolareper Carmelo Bene, per la filosofia fran-cese (e non solo), la voglia di indagarel'Arte come campo della conoscenzasenza porsi i limiti ideologicici, a volte,delle singole discipline. L'immagine deldoppio e la ripetizione sono chiavi dilettura e strumenti comuni ad entrambianche se in modo diverso. Cosa attrae,attira due giovani artisti verso Berlinoovvero una realtà che è tanto lontanaquanto diversa dal nostro Sud quoti-diano? “In effetti dicono Chiffi e Mu-stich, Berlino è un laboratorio d'arte acielo aperto con oltre 6000 artisti doveè facile organizzare e partecipare a unaesposizione, fare Arte per dirla in unaparola. La città offre molti luoghi perl'arte sia indipendenti sia quelli più isti-tuzionali come le gallerie. E' questa ladoppia faccia di Berlino, città interna-zionale. Edifici abbandonati, vecchie in-dustrie recuperate come luoghidell'arte, molteplicità degli spazi artisticie mutevolezza con rapidità”.Difficile descrivere e riassumere nell'at-timo di queste righe un'esperienza cosìdensa e per questo è meglio avvicinarsimaggiormente all'agire artistico a trattiuguale, a tratti diverso, si potrebbe dire

di Alessandra Chiffi e Giancarlo Mu-stich.Per entrambi la ricerca artistica attualeè la naturale continuazione di quellaprecedente filtrata, però, attraversol'esperienza berlinese. Muovendosi frapensiero orientale e i concetti della fi-sica moderna Alessandra Chiffi, in par-ticolare, affronta la tematica nonsemplice del vuoto e del pieno dove icolori bianco e nero svolgono un ruolofondamentale nel rendere concreta-mente artistico questo confronto. Ilbianco e il nero, il pieno e il vuoto dove“l'uno è l'opposto dell'altro ma sononella stessa misura uguali.” Paradosso,contraddizione che sia questo concettoappare un nodo che solo l'eserciziodella pittura o di una installazione può,forse deve, sciogliere.E quando si chiede di esporre il suomodo di agire sulla tela AlessandraChiffi afferma: “Nel disegnare un al-bero, ad esempio, parto dalle radici epoi strada facendo, si gioca con le strut-tura e si procede per sottrazione. Laprospettiva è parte integrante del pro-getto e del disegno ma è solo una delleprospettive possibili”.Simile il modo e il mondo operativo diGiancarlo Mustich: “Agisco diretta-mente sul supporto avvertendo una esi-genza, un' urgenza. I lavori nasconoall'insegna di una improvvisazione chepotrebbe definirsi jazzistica. Si parte daun tema e da qui si sviluppa un di-scorso che riguarda la tela e il rapportocontemporaneo di artista e ambienteesterno fosse anche la strada nellaquale si espongono i lavori”.Un'ampia rassegna delle opere dei dueartisti sono a link segnalato a piè di pa-gina.

http://chiffimustich.altervista.org/works/?doing_wp_cron=1411803623.7767629623413085937500

spagine

Se la pittura

Due opere di Giancarlo Mustich

Alessandra Chiffi e Giancarlo Mustich

è vitadi Fabio A.Grasso

Page 17: Spagine della domenica 45 0

Artedella domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0

Un’opera di Alessandra Chiffi

Page 18: Spagine della domenica 45 0

copertinaspagine della domenica n°45 - 28 settembre 2014 - anno 2 n.0

AggiorniamoFotografia

Itempi sono ormai maturi per aggiornare imodelli, i temi e le personalità di riferimentonel campo dell'audiovisivo italiano, nellesue accezioni di cinema di finzione, film do-cumentario, illustrazione e animazione,opera cinematografica, fattore sociale. Una

prima riflessione in questo senso la propone Re-ference #aggiorniamo l’immaginario, non unfestival, non una rassegna, non un workshop masemplicemente una serie di sei appuntamenti eincontri dedicati in programma ad ottobre aLecce nei luoghi del Cineporto, con altrettanti au-tori e autrici, provenienti da diverse regioni ita-liane e scelti in base alle loro opere, ai temitrattati, ma anche alla valenza sociale e solidaledi alcune delle loro produzioni, quella valenzache fa del cinema un fattore aggregante, di sco-perta e conoscenza continua.La via prescelta per raggiungere l’obiettivo è l’at-traversamento, inteso proprio come il passare at-traverso i generi, soffermandosi sui tre diversilinguaggi di scrittura di un'opera audiovisiva -sceneggiatura, regia, montaggio - per analizzareulteriori narrazioni e linguaggi personali e speri-mentali, che, partendo da modelli di riferimentoclassici, ne rielaborino di ulteriori, capaci di inda-gare, raccontare e rappresentare una societàsempre più complessa e in piena trasformazione.

***Gli autori e le autrici ospiti di “Reference #aggior-niamo l'immaginario” saranno introdotti da altret-tanti critici cinematografici, docenti universitari,curatori indipendenti, artisti relazionali, cartooniste visual makers. Per ogni data, l'appuntamento comincia alle19.00 con “Chiacchiere e degustazioni”: laCantina Quattro Casali di Copertino proporrà adautori e pubblico una degustazione dei propri viniautoctoni, accompagnati da assaggi di prodottitipici locali a cura del neonato laboratorio di cu-cina e marmellate Impero Verde, sempre di Co-pertino.A seguire, l'incontro preliminare e, intorno alle20.30, l'inizio delle proiezioni. Subito dopo siaprirà il dibattito sui temi affrontati. Si comincia, quindi, il 6 ottobre con la presenta-zione della rivista di cultura cinematografica Mo-viement, edita da Gemma Lanzo Editore, inprogramma durante la degustazione. Moviement analizza lo statuto estetico dell’imma-gine cinematografica nelle sue componenti ma-teriali e si avvale del supporto di esperti di settorenazionali ed internazionali. Subito dopo, ci saràl’incontro con Francesca Marciano, scrittrice disuccesso, autrice e sceneggiatrice di vari film diSalvatores, Verdone, Bertolucci. In quest'occa-sione l'attenzione sarà focalizzata su Miele, filmche segna l'esordio alla regia di Valeria Golino,per cui la Marciano firma soggetto e sceneggia-

tura, e che tratta il complesso tema della praticaillegale della ''dolce morte''. A dialogare con laMarciano e il pubblico sarà Gemma Lanzo, cri-tico cinematografico del SNCCI, nonché editore.Il 7 ottobre ci attende invece una selezione di la-vori e opere cinematografiche di Carlo MicheleSchirinzi, autarchico dell'immagine con cui siparlerà di sovversione dei linguaggi, rielaborandopratiche e poetiche audiovisive al limite della nar-razione, ma anche dell'antinarrazione. Con lui cisarà Gianluca Marinelli, storico dell'arte, cura-tore e artista relazionale, nonché socio fondatoredi ASSAY, il quale ha selezionato dal vasto reper-torio di Schirinzi una serie di 7 opere che, per l'oc-casione, assumono il titolo Voglia di tracheanon di tramonti.L’8 ottobre ospiti saranno Giovanni Piperno eAgostino Ferrente con Le cose belle. Il film rac-conta la fatica e la bellezza di crescere al Sud inuna narrazione che attraversa tredici anni di vitadi quattro persone. Autentico caso cinematogra-fico dell'estate, apprezzato dalla critica e dal pub-blico, il documentario si è aggiudicato anche ilGrand Prix come Miglior Film alla settima edi-zione del Festival Internationale del Documenta-rio – Faito Doc Festival. Dialogherà con i registiLeonardo Gregorio, autore del saggio L’arte delsogno. Il gioco dell’enfant Gondry, compreso nelvolume Michel Gondry. L’eterno dodicenne, acura di Emanuele Protano (Edizioni Il Foglio,2012), giornalista e critico cinematografico colla-bora con il Manifesto e riviste specializzate di set-tore come UZAK, Point Blank, Sentieri Selvaggi,CineCritica.Il 9 ottobre sarà la volta di Virginia Mori e dellevideoinstallazioni e proiezioni di una serie di illu-strazioni, disegni animati e corti d’animazione

che, per l'occasione, sono raccolti sotto il titoloBisbigli Nero Inchiostro. La sua arte, in pennabic e non a matita, si sviluppa attraverso diversilinguaggi, non ultimo quello delle pagine del libroVento con Virgilio Villoresi per i tipi della Whit-stand. Converserà con la Mori Hermes Mangia-lardo, cartoonist, visual maker, 3D mappingexpert, nonché socio fondatore di ASSAY.Il 15 ottobre sarà dedicato, invece, al progettoSpace Metropoliz di Fabrizio Boni e GiorgioDe Finis, un esperimento sociale di riqualifica-zione e progettazione urbana partecipata, un filmdocumentario, un corto di finzione, uno spaziotemporaneo per l'arte. De Finis dialogherà conDavide Ricco, curatore indipendente e artista re-lazionale, per raccontare il percorso e lo sviluppodi un'ex fabbrica di salami alla periferia di Roma,che oggi ospita circa 200 persone di varie nazio-nalità ed anche il MAAM - il Museo dell'Altro edell'Altrove di Metropoliz che pian piano sta tra-sformando l'ex salumificio in un oggetto d'artecollettiva.Si chiude venerdì 17 ottobre, con SebastianoRiso e Marco Spoletini, regista e montatore diPiù buio di mezzanotte. Presentato a Cannes2014, è un film sui confini fluidi, labili, ispirato al-l'adolescenza di Fuxia, regina trasgender del mi-tico Muccassassina di Roma, e racconta, in unaCatania degli anni '80, l'emancipazione e la for-mazione di un ragazzo 'diverso'. Ha destato scal-pore il fatto che la visione del film sia stata vietataai minori di 14 anni. A dialogare e discutere congli autori Mimmo Pesare, docente di Piscopeda-gogia dei linguaggi e coordinatore del centro ''La-boratorio Studi Lacaniani'' del dipartimento diStoria, Società e Studi sull'Uomo dell'Universitàdel Salento.Questa serata finale proseguirà, poi, dalle 22.30circa con una festa aperta a tutti. Protagoniste sa-ranno le PLAYGIRLS from CARACAS, il cui pro-getto musicale-culturale e live show invaderà iCineporti di Puglia/Lecce con sonorità e video-proiezioni ricercate e ispirate dalla video-arte edalle tematiche di genere.

l'immaginario

Reference #aggiorniamo l'immaginario è un percorso ideato e organizzato da Lara Castrignanò per ASSAY. Con il sostegno di Apulia Film Commission, il patrocinio del Comune di Lecce, della Provincia di Lecce,e a sostegno della candidatura di Lecce2019. In partenariato con: MOVIEMENT - pubblicazione di culturacinematografica; LABORATORIO STUDI LACANIANI delDipartimento di Storia, Società e Studi sull'Uomo dell'Uni-versità del Salento; Associazione LEA - Liberamente eApertamente; Spazio Cineforum - CINIT, Lecce; CantinaQUATTRO CASALI - Copertino; Laboratorio di Cucina eMarmellata IMPERO VERDE; SOUNDPUSHER. Media partner: SPAGINE - periodico culturale dell'Associa-zione Fondo Verri, Lecce; POINT BLANK - rivista web di cri-tica cinematografica; URKA! Eventi e Luoghi del Salento.

Dal 6 al 15 ottobre, al Cineporto di Lecceun percorso ideato e organizzato da Lara Castrignanò per ASSAY

Un’opera di Carlo Michele Schirinzi ospite degli incontri di ASSAY