Spagine della domenica 35 0

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s p a g i n e Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri Spagine della domenica n°35- 29 giugno 2014 - anno 2 n.0

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Ecci le Spagine della domenica. Un numero per riflettere sulle cose dei luoghi...

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spa gin e

Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

Spagine della domenica n°35- 29 giugno 2014 - anno 2 n.0

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spagine

di Gigi Montonato

Al Mondiale di Calcio è finita come doveva finire. Espulsi pernon aver giocato. Giocare al calcio significa correre con larabbia in corpo per buttare il pallone dentro la porta avver-saria. Che lo butti dentro un nero o un bianco non contanulla, l’importante è fare goal. Anche i più digiuni di calcio lohanno capito dopo aver visto tante altre squadre nazionali

giocare. Noi no; noi in campo passeggiavamo, camminavamo, incerti comechi, smarrito in una grande città, non sapesse orientarsi per trovare la stradadi casa. Ma la miserrima fine degli Azzurri ha marcato l’ennesima débâcle nazionale,voglio dire dell’intera nazione. “Fuori dai Mondiali. Un caso nazionale” ha ti-tolato in prima pagina il “Corriere della Sera” di mercoledì, 25 giugno, tra-dendo un retropensiero. Attraverso il calcio volevamo fare altro,probabilmente, con l’operazione Balotelli, esibire la nostra politica di integra-zione. Di questo si è trattato. E’ inutile girarla: siamo rimasti vittime delle no-stre storiche ipocrisie, della nostra incapacità di essere seri, moderatamentee criticamente aperti, senza spalancamenti o abbattimenti di porte. Il simbolo di quest’ultima furbata andata a male s’incentra sul calciatore dicolore più discusso della storia del calcio italiano. Doveva essere lui a far

trionfare gli Azzurri; è stato lui a farci perdere la faccia: lui, la rappresenta-zione plastica dell’Italia multirazziale, multietnica, del Paese migliore delmondo in fatto di accoglienza. La commistione calcio-politica era già prima. Nelle sigle della Rai create peri Mondiali i ragazzi e le ragazze che palleggiavano, piroettando, erano quasitutti di colore, tutti con la maglia azzurra; sembrava che in Italia non ci fosseropiù bambini e ragazzi bianchi. Si dirà: nell’ideazione non erano italiani, eranobrasiliani, come il Cristo Redentore in maglia azzurra dall’alto del Corcovado.Ma il messaggio era un altro: coi Mondiali di Calcio l’Italia voleva far passarel’immagine di un’Italia nuova, aperta al mondo, chiusa alla storia e alla tra-dizione nazionali. L’ostinatezza di puntare su un giocatore come Balotelli daparte del Commissario Tecnico Prandelli, in ciò sostenuto dalla grancassamediatica, è la prova che non sempre veniva mandato in campo per ragionitecniche. E’ stato riconosciuto dallo stesso Prandelli. Il quale dovrebbe direa questo punto quali altri condizionamenti e quali altre pressioni ha subito eda chi per mettere in campo una squadra da marcia della pace o da escur-sione di boy-scout piuttosto che da calciatori degni di quattro titoli mondiali,di un titolo olimpico e di un titolo europeo. “Il fatto è – ha detto in una brevedichiarazione dopo la sconfitta col Costa Rica – che certe squadre quandogiocano lo fanno con lo spirito nazionalista, che a noi è estraneo”. Questoha detto il tecnico che non ha impiegato poi nemmeno un’ora a dimettersi

Una significativa fotografiadi Fabio Ferrari (LaPresse)

di Italia-Uruguay. Mondiali Brasile - 2014

L’Italia e i Mondiali,è fallito il calcio multiuso

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Debacle Italiadopo la figuraccia rimediata sul campo con l’Uruguay. Ma scaricare tutte le colpe su Balotelli, esibirlo a testa all’ingiù nel suo Piaz-zale Loreto, è ancor più indegno di ogni altra cosa detta e pensata. Non sipuò incolpare una persona per quello che è. Balotelli ha dimostrato di essereun talento calcistico autentico ma anche un soggetto labile, con grossi pro-blemi di inserimento e di adattamento. Una persona del genere andava la-sciata ai fatti suoi. Una squadra di calcio, a qualsiasi livello, non può essereun’équipe di assistenti sociali. A Balotelli si è chiesto quello che lui non potevadare. Nemo dat quod non habet, dicevano i latini. Già, ma noi dobbiamo di-menticare anche i latini se veramente vogliamo diventare il Paese più apertodel mondo.Cacciati dal Mondiale, tutti si sono scagliati contro questo giocatore che nonha lesinato, a sua volta, accuse all’Italia e agli Italiani. “Gli Africani – ha detto– stanno più avanti di voi Italiani veri. In Africa non si tradisce un fratello”.Non gli si può dare torto. L’orgoglio di appartenenza, come la classe, non èacqua. Almeno in questo bisogna dargli atto di una maturità invidiabile.Ma in Italia è così e non è detto che per saperlo occorra conoscere la storia.Bastano episodi come una sconfitta al calcio perché certe verità emerganoin tutta la loro bruttezza e crudezza. Non si era tutti entusiasti fascisti duranteil fascismo; tutti ostinatamente antifascisti dopo? E non è accaduta la stessacosa con comunisti e anticomunisti, democristiani e antidemocristiani, so-

cialisti e antisocialisti, berlusconiani e antiberlusconiani? E non accadrà cosìcon renzismo e antirenzismo? Aspettiamo, aspettiamo; e vedremo! Già tanti che erano ostili a Renzi, anchedel suo stesso partito, ora gli stanno accanto, lo difendono, lo lodano, lo esal-tano. Per cui le cose che dicono e che fanno non sono criticamente meditate,ma rispondono a pulsioni emotive di comodo immediato. Proprio come Pran-delli, che in quattro anni non si è mai sognato di dire: signori, una squadrasi fa per vincere, con criteri tecnici; ogni altro criterio deve rimanere fuori, senon mi consentite di fare il mio lavoro come ritengo giusto, tanti saluti e gra-zie. No, non l’ha mai detto, perché, tutto sommato, il modo conventuale difare le cose in Italia finisce per deresponsabilizzare, per lavarsi le mani almomento opportuno. Ha detto: il mio progetto tecnico è fallito. Sicuri che era un progetto tecnico?Quattro anni di conduzione della Nazionale hanno dimostrato che non ai ri-sultati si mirava ma a qualcosa di più politico e sociale, di più pedagogico emoraleggiante. Se è così, allora, meno male che è fallito. Perché almenocosì il calcio può tornare ad essere uno sport con tutta la sua fisicità e la suaeticità, ma soprattutto con la sua più immediata finalità, che è gareggiarecon onore, nella consapevolezza che si può vincere o perdere, ma senzamai perdere la faccia o perdere per ragioni, anche nobili se vogliamo, maestranee allo sport.

L’Italia e i Mondiali,è fallito il calcio multiuso

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spagine Spagine della domenica n°35- 29 giugno 2014 - anno 2 n.0

In questa società frammentata e confusa,abbiamo bisogno più che mai di solide eluminose figure di riferimento. Quantevolte cercammo disperatamente unpadre amabile, accogliente, capace di in-dicarci la strada, di darci le dritte giuste,

di mostrarci con chiarezza e senza fraintendi-menti il senso di realtà e del limite?Alex Zanotelli, padre Comboniano, missionariostraordinario, ebbi modo di sentirlo a Lecce,nel maggio 2004, in un incontro pubblico al-l’Università. L’ Aula Magna, era strapiena, pul-lulante di giovani entusiasti, venuti a ricevere ea salutare il loro angelo con la barba bianca.Quel giorno, il Padre parlò dell’insania delleguerre, che sono la sciagura del mondo; ci sisoffermò sulle storture di certo sistema produt-tivo economico, teso sempre a ottimizzare ilprofitto, a mercificare l’esistente. Alex era uno dei più accesi sostenitori della ri-pubblicizzazione dell’acqua e uno strenuo di-fensore dei beni comuni, come la cultura,Internet, l’amore, che dovrebbero essere adappannaggio di tutti.Ricordo, quel giorno: una vivace confusione, unfluire di ragazzi e ragazze. I loro giovani corpi,i loro freschi visi, i loro occhi innaffiati di luce,vivevano d’ansia: un’ansietà di pace, di fratel-lanza, di libertà. Giovani di tante e tante scuolemedie superiori convenuti per abbracciare Alex,protagonista di centomila battaglie di civiltà.Padre Zanotelli venne presentato da alcuni stu-denti. “La guerra, in quanto tale, è da eliminare.La guerra va espulsa, messa fuori dalla storia”,sentenziò un ragazzo. “Noi siamo il seme d’unmondo migliore”, aggiunse un altro. “Noi siamo la nuova generazione, possiamofarcela, se vogliamo”, declamò con dolcezzauna studentessa del Tecnico per periti aziendaliGrazia Deledda di Lecce. Alex diede a tutti unascossa: “Dopo Hiroshima, non si può più pen-sare ad una guerra giusta. Dobbiamo renderela guerra tabù. Tutte le guerre ingiuste”. È proprio così. Le stolte guerre sono la vigliac-cheria conclamata, sono la manifestazione piùpalese dell’arbitrio di certo potere dominante,che erompe invasivamente, ad inquinare laTerra, a farne cencio, straccio, contrada di nes-suno, dove annegano i dannati, gli ultimi, i de-relitti, i disperati.

Gridare il nostro “no” assoluto, deciso, assor-dante, alla ferina guerra, vuol dire esprimere ilpiù assoluto diniego al sistema finanziario do-minante, alleato contro i diseredati. Malattie,nuove povertà, esseri umani sterminati perfame: questo criminale meccanismo di controlloeconomico- finanziario, nelle mani di pochi spi-riti eletti, invogliato dai vari padroni del mercatoglobale, lo si deve necessariamente abbatterecon la forza stritolante e dirompente del pacifi-smo e della non violenza. L’opinione pubblica non può tollerare che unaesigua minoranza di spettrali detentori del po-tere economico decida i destini di tutte le genti,le ingiuste distribuzioni delle risorse naturali.

Ricordo: mentre guardavo Alex, angelo bianco,amabilmente dissertare di privatizzazioni, di as-surde militarizzazioni, delle mille guerre nellacalda Africa, dimenticate dai poteri politici e datanti mezzi d’informazione, mi prendeva una

moltitudine di pensieri. Pensavo alla pace e allagiustizia vera, che non sono pensieri astratti,su cui numerosi politici pietosamente arzigogo-lano e annaspano, in prima e seconda seratatelevisiva. La pace non è quiete, stagnazione,tutt’altro: essa rompe gli schemi, esce veloce-mente dalle chiuse stanze. La pace è un valoreinsopprimibile. La pace è vita, vuole scavare frale coscienze, interrogarle. La pace non vuoleandarsene più. La non violenza è pace. Dob-biamo sfidare, con truce ghigno, i cosiddetti po-tenti del mondo, che dovranno costantementesentire il fiato sul collo d’una consapevole cit-tadinanza. “Tu non sai le colline, dove si èsparso il sangue. Tutti quanti fuggimmo, tuttiquanti gettammo l’arma e il nome. Una donnaci guardava fuggire. Uno solo di noi si fermò apugno chiuso, vide il cielo vuoto, chinò il capoe morì sotto il muro, tacendo. Ora è un cenciodi sangue e il suo nome. Una donna ci aspettaalle colline”, scriveva Cesare Pavese. E il poeta

torinese, fra le sue vigne, i suoi contadini, lesue radiose colline, aveva conosciuto l’insultoe la volgarità della guerra. I grandi, i giganti delpensiero ripudiano le guerre. I potenti, invece,se ne fanno scudo, sono “costretti” a farle innome della lotta al terrorismo. Di quel giorno dimaggio, di dieci anni fa, rammento che sedevofra i giovani e, a fine incontro, scesi da Alex Za-notelli per formulargli una breve domanda. Tra-versavo un periodo d’intimo travaglioesistenziale, di intensissimo dolore per alcuniaccadimenti umani. Gli chiesi: “Caro Padre, èpossibile che da un po’ di tempo non riesca avedere nitidamente, ma solo confusamente, ilmio cielo oltre le nuvole?”Alexcon voce pianami rispose di non sconsolarmi e di continuaresempre con pazienza il cammino. La stradadella vita si deve fare a piedi nudi sul selciato.Vita che vuole vita, amore terreno che s’illu-mina di celeste.

Contemporanea

ZanotelliQuella volta

di Marcello Buttazzo

Padre Alex Zanotelli in un bellissimo ritratto in bianco e nero della fotografa Sparanza Casillo

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Divertentismo

Il Salento una “terra effeminata” così scriveManuela Mimosa Ravasio su “Sette”...

Luoghi

di Gigi Montonato

Se essere ricchi di cultura-spetta-colo è uguale ad essere effemi-nati, esserlo di cultura-pensiero èuguale ad essere virili? Mah!Prendiamola alla larga. La sera dimercoledì, 18 giugno, al Must di

Lecce, al termine della presentazione del ro-manzo di Vittorio Bodini “Il fiore dell’amicizia”, direcente riproposto da Besa, nel corso dellaquale avevano conversato Teo Pepe e AntonioLucio Giannone, prese la parola il mio amico Va-lentino De Luca e disse alcune cose; due, inparticolare.La prima. Disse che della manifestazione pre-sente la stampa non aveva dato adeguata infor-mazione e che lui lo aveva appreso per casoleggendo il “Quotidiano” in un bar. In verità lastampa quotidiana ne aveva abbondantementeparlato fin dal giorno prima: “Quotidiano”, “Gaz-zetta del Mezzogiorno”, “Corriere del Mezzo-giorno”. Teo Pepe gli fece simpaticamenteosservare che forse sarebbe meglio che non percaso leggesse il “Quotidiano” ma per buona abi-tudine comprandolo. Allora Valentino – ed è laseconda che disse – virò di bordo: sì, ma perchéla mattina radio e televisioni, quando fanno larassegna stampa, saltano le informazioni sullacultura? E qui ebbe proprio ragione. Chi fa radio e tele-visione salta a piè pari le notizie relative a fattied eventi culturali. Si prese l’applauso.

***Ma lo spunto polemico di Valentino è assai piùdegno dell’applauso per alcune lievitazioni. Nei confronti della cultura, nella fattispecie dellacultura fondata sulla scrittura, anche i giornalistampati fanno gli schizzinosi, gli spilorci; le de-dicano cascami di pagina, rimasugli di colonne,stringati annunci. Così anche nei confronti dellearti figurative; addirittura peggio per gli studi sto-rici e politici. Mentre si dà ampio spazio alla cul-

tura dello spettacolo: teatro, cinema, musica leg-gera, canzonette, spesso con commenti e inter-viste nei giorni successivi. Ovvio che qualcunopotrebbe anche replicare che non è così o addi-rittura che nel campo della cultura scritta si pro-duce così poco di qualità che non è davvero ilcaso di sprecare spazio per minchiatine di nes-sun valore, tutto sommato autoappaganti o au-tofrustranti, a seconda dei casi. Io che ho le fissazioni dello storico, per deforma-zione professionale – ho insegnato storia perquarant’anni – mi chiedo: ma tra cento-duecentoanni o quando fosse, nell’ipotesi tanto disgra-ziata quanto remota che tutto venisse distrutto erimanessero intatti e leggibili solo i nostri quoti-diani, che conoscenza dei nostri tempi avreb-bero i posteri? Penserebbero che ai nostri tempinon c’erano scrittori di letteratura, di storia e dipolitica e che la cultura si esauriva in canti esuoni e qualche rappresentazione. Come se unmarziano, giunto sulla Terra avesse incontratosolo me prima di tornarsene dalle sue parti; aisuoi direbbe: sono stato sulla Terra e colà gli uo-mini non sono più alti di un metro e cinquanta,hanno baffi, pizzo e becco, capelli spettinati, di-mostrano dubbia età. Questo accadrebbe.Un’ingiustizia per il mio amico Valentino e pertanti altri, più alti, più belli e più giovani di me. E, infatti, la giornalista del “Corriere della Sera”Manuela Mimosa Ravasio, in un servizio ap-parso su “Sette” del 23 maggio scorso, nel qua-dro di uno “Speciale Viaggi”, è giunta allaconclusione che «Il Salento oggi è terra effemi-nata votata al divertimento». Non le si può daretorto. Il Salento, per quello che mostrano imedia, è l’Eden dei suoni, dei canti, delle danze,del teatro, di location per film, di sagre, di festepaesane, del “chi vuol esser lieto sia”.Lasciamo lusco e brusco: il tema lo richiede. Amio avviso il Salento ha finalmente trovato il suotempo, contenuti e forme, per realizzarsi ap-pieno secondo i suoi caratteri di fondo. Siamoportati per tradizione alla scrittura e alla stampa.

Non vorrei scomodare Adamo ed Eva, che pro-babilmente non erano di queste parti; ma vogliocitare Ennio e Pacuvio. Lecce è stata da sempreper numero di testate giornalistiche a ridossodelle grandi realtà nazionali; grandi avvocati eoratori, parlatori e conversatori. Ma, pur notati eapprezzati nel resto d’Italia – penso ai principidel foro – mai hanno raggiunto i vertici raggiuntidalle nuove forme di cultura. Quale poeta o scrit-tore, scienziato o artista del passato leccese esalentino può essere paragonato per successoconseguito a Carmelo Bene, a Emma Marrone,ad Alessandra Amoruso, a Dolcenera, ai SudSound System ai Negramaro, a Edoardo Win-speare? Situazioni imparagonabili. Giornali e te-levisioni hanno creato le condizioni perché ilSalento finalmente producesse i suoi migliori ar-tisti, le sue migliori forme di cultura, quasi tuttericonducibili allo spettacolo.Ma se pure tutto ciò fosse vero – e lo è – non ètutto quello che il Salento produce.

***C’è un Salento nascosto; un Salento che è oscu-rato perché non si sintonizza con la cultura dimassa, che è quella della musica, delle canzoni,dei balli. C’è un Salento frivolo ed effeminato, secosì si può dire, votato al divertimento; ma c’èanche un Salento più serioso e laborioso, cheproduce nell’editoria, che crea nel lavoro, che di-segna, dipinge, scolpisce, progetta, pensa escrive di politica, di storia, di filosofia, di sociolo-gia. Pettini – dirà qualcuno – per teste pelate; e per-ciò non hanno mercato. Ragione per la quale imedia non se ne occupano più di tanto. E’ perquesto che i forestieri oggi si fanno un’idea uni-dimensionale del Salento. Non so se essere effeminati e votati al diverti-mento sia proprio un complimento; mi viene dinegarlo e di pensare piuttosto ad altri attributi. Ilguaio è che avere questi attributi conta poco sepoi non si riesce a mostrarli.

salentino

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“ I paesaggi culturali vitivinicoli del Pie-monte di Langhe-Roero e Monferratosono una eccezionale testimonianza vi-vente della tradizione storica della colti-vazione della vite, dei processi divinificazione, di un contesto sociale, ru-

rale e di un tessuto economico basati sulla cul-tura del vino. […] I vigneti di Langhe-Roero eMonferrato costituiscono un esempio eccezio-nale di interazione dell'uomo con il suo am-biente naturale: grazie ad una lunga e costanteevoluzione delle tecniche e della conoscenzasulla viticoltura si è realizzato il miglior adatta-mento possibile dei vitigni alle caratteristiche delsuolo e del clima, tanto da diventare un puntodi riferimento internazionale. I paesaggi vitivini-coli di Langhe-Roero e Monferrato incarnanol'archetipo di paesaggio vitivinicolo europeo perla loro grande qualità estetica”.

Questa è parte della motivazionecon cui l’UNESCO ha pro-mosso il territorio di Langhe,Monferrato e Roero come pa-trimonio dell’umanità. In parti-colare il riconoscimento

nomina: la Langa del Barolo, il Castello di Grin-zane Cavour, le Colline del Barbaresco, NizzaMonferrato e il Barbera, Canelli e l'Asti spu-mante, il Monferrato degli Infernotti.

Non solo vino in realtà. In queste terra c’è arte,cultura, sudore, fatica, emigrazione, terra disso-data. C’è, meglio, c’era quel mondo dei vinti rac-contato da Nuto Revelli quando raccolsetestimonianze di miseria, di vita strappata ai ca-

stagni e di capelli di ragazza venduti per farneparrucche per ricche signore. Allora il vino erauna cosa da bere, non una ricchezza. E’ terradi strade voluttuose come orgasmi che si sno-dano fra colline verdi e ordinate, pulite, linde. Eil vino si conservava negli infernot, camere sca-vate nel tufo e nella roccia, spesso cave dallaquali si erano estratte pietre per costruire lacase. Sono diffusi nel Monferrato, sotto le case,dove la luce non arriva e la temperatura è co-stante. Quale luogo migliore per conservare ilvino? La pietra da cantoni, facile da cavare e la-vorare, diventava muro e casa, e lasciava ilposto per il riposo delle bottiglie.Monferrato, Langhe e Roero sono fatte di collinee paesi, uno accanto all’altro, li passi, se capitaentri nel bar e ascolti vita che scorre. Alcunihanno come secondo nome Cavour, magariGrazzano è diventato anche Badoglio.E un paese, in fondo, significa “non essere soli”come diceva Cesare Pavese: “…Così questopaese, dove sono nato, ho creduto per moltotempo che fosse tutto il mondo. Adesso che ilmondo l’ho visto davvero e so che è fatto di tantipiccoli paesi non so se da ragazzo mi sbagliavopoi di molto. (…) Un paese ci vuole, non fosseche per il gusto di andarsene via. Un paese vuoldire non essere soli, sapere che nella gente,nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, cheanche quando non ci sei resta ad aspettarti...”.Stanno in queste parole le emozioni e le sensa-zioni, ci sta il Nuto, il falegname amico di Pa-vese, e ci sta il ritorno al paese. Perchésuccede, capita, di sentirsi soli nelle città grandi,fuori dal proprio mondo. Succede, capita di sen-tirsi spaesati e di avere quella saudaji che tichiama, ti sibila nelle orecchie un nome che può

essere di Lei o di chissà chi, ti riporta saporivecchi, emozioni, profumi di erba falciata, ma-gari di mosto. Quella Langa che è stata vita e cordone ombe-licale mai tagliato per Pavese, Per Davide La-jolo, per Beppe Fenoglio. La cantano, laaccarezzano, nelle loro parole si trasforma inNuto, in una donna sinuosa, un fiume impe-tuoso. Nei loro scritti esistono modi e vezzi chesolo chi conosce quei territori sa cogliere alvolo, esiste quella malinconia (saudaji) che faparlare di partenze e ritorni. Terra di “Masche”,streghe, arpie, cattive o buone, dipende da chiraccontava la storia ai bimbi, misteri, perché “ilfantastico sa che non ci sono solo gli spiriti, masoprattutto fatti misteriosi che l’uomo non sipotrà mai spiegare” (Davide Lajolo, Le Ma-sche).E chi arriva si accorge che l’appartenenza adun territorio è totale: “…Si rese definitivamenteconto che le colline li avessero tutti, lui com-preso, influenzati e condizionati tutti, alla lunga,come se vi fossero nati e cresciuti e destinati amorirvi senza conoscere evasione od esilio...”(Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny) E Pavese che finì i suoi giorni quel 27 agostodel 1950, “Perdono tutti e a tutti chiedo per-dono…” lasciò scritto e poi “…Ho cercato mestesso”… Comunista, ateo, funerali frettolosi,laici per lui.“Il vizio assurdo” lo chiamò Davide Lajolo scri-vendo del suo amico Cesare. Lui, Davide, conun passato da segretario del PNF passato poialla resistenza dopo l’otto settembre con il nomedi Ulisse, divenne deputato del PCI. “Vederl’erba dalla parte delle radici” fu il libro con cuilo conobbi. La narrazione della sua notte in

Il paesaggio è culturaI vigneti del Monferrato

Divertentismodi Gianni Ferraris

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I vigneti del Monferrato

compagnia dell’infarto a Roma, e il fluire dei ri-cordi sapendo di essere prossimo a vederlequelle radici. A Vinchio, il paese langarolo in cuinacque e in cui è sepolto, così si diceva di chimoriva, che andava a vedere l’erba dalla partedelle radici.

Il Monferrato (Mons Ferratus) è zona collinare,compreso nelle province di Alessandria e Asti,alla destra del Po giunge fino all’Appennino Li-gure e con la Liguria confina, a volte ci si fondee confonde nella parlata, nei gesti. In provinciadi Alessandria molti paesi sono “liguri” nelnome, spesso nella cadenza dei dialetti, nonnella geografia (Novi Ligure, Gavi ligure ecc.).In Monferrato passava la via del sale, con gli ac-ciugai cantati da Nico Orengo ne “Il salto del-l’acciuga” che andavano con i loro carretti amano a portare acciughe e contrabbandaresale, loro fondevano mare e collina ed arriva-vano oltre, si diramavano per la pianura pa-dana, portavano terra, sale e sole. E a Genova(per noi che stiamo in fondo alla campagna) an-davano migliaia di contadini langaroli, monfer-rini, andavano a prendere quei bastimenti versol’Argentina e gli Stati Uniti. Per vivere, per so-pravvivere. Le Langhe confinano con il Monferrato e stannoa cavallo delle province di Asti e Cuneo. Collinedefinite dai fiumi Tanaro, Belbo, Bormida di Mil-lesimo e Bormida di Spigno. Alta e bassa langa.Colline sinuose terre ora ricche.

Il Roero è nella parte nord orientale di Cuneo,prende il nome dalla famiglia Roero che per se-coli dominò queste terre sfruttando coloni.

Erano luoghi da cui si fuggiva per cercare for-tuna altrove, si emigrava in Liguria, in città, nelleAmeriche, in Francia. Terre in cui il passato re-moto nel parlato non esiste. E non esiste il su-perlativo , come fa notare Aldo Grasso in unbell’articolo su Repubblica. Il superlativo non esiste perché “esagerumanen” fa parte del lessico comune (non esage-riamo) il passato remoto perché occorre, sag-gezza contadina, vivere qui ed ora.Forse è la discrepanza più immensa che ho tro-vato con il Salento dove respirano ancora i mar-tiri d’Otranto, dove i messapi siedono sugliscogli la notte a parlare dei loro dei, o i romanipasseggiano fra l’anfiteatro e Rudiae.

E parlando di Monferrato viene in mente Ei-naudi, ricordiamo Vittorio Alfieri, astigianocome Paolo Conte, e perché non dire di un un

patriota, poeta, anticlericale che a modo suofece storia?Angelo Brofferio nacque a Castelnuovo Cal-cea, (At) il 6 dicembre 1802. Male vedeva ilCavour, troppo monarchico e troppo servo degliinglesi. Disse di libertà di stampa, di abolizionedella pena di morte. Di lui qualcuno scrisse: “Brofferio e compagnia si dan tra lor del ladro edella spia. Altro sul conto lor non vi so dire cheli credo incapaci di mentire.”E scrive Carlo Dossi: “Vittorio (Emanuele)amava personalmente l' oratore Brofferio, altrogran chiavatore, cui domandava e quante voltefacesse e come ecc. con quell' interesse con cuistava al corrente delle sorti d' Italia. Brofferio glifaceva poi da araldo e pacificatore colle nuovee vecchie amorose…”.

Ci piace ricordarlo con tre strofette di una suapoesia in dialetto:

Slarghè pur tute le pàgine'd col gran lìber mal ciadlàche an sla tèra e che an sl’océanoDòmne Dei a l’ha stampà:pì lo guarde, pì lo médite,pì lo vòlte ’n su e ’n giù,pì 'v acòrze d’esse 'd ràcole,pì 'v conòsse 'd fòj-fotù.

Da una part i vëdde d’nùvole'd citi pòpol, 'd citi rè,ch’as ciapulo, ch’a s’anìchilo,e saveiss-ne almanch përchè!Ël furor as ciama glòria,Ël delit as dis virtù,e l’onor a pianta fàbricada bindej p'r ij fòj-fotù.

Con un’aria diplomàticaguardé coj dël pòrta-feujcon la sàussa dla polìticaa fé ‘l bàlsam d’ògni ambreujl’onestà, la fede pùblical’han venduje al feramiù,e a distilo ‘l ben dla patriaal lambich dij fòj-fotù.

Voltate pure tutte le pagine di quel gran mal fatto libroche sulla terra e sull’oceano Domine Iddio l’ha stampato:più lo leggete, più lo meditate, più lo voltate in su e in giù,più vi accorgete di non contare niente, più vi rendete conto di essere dei fessi fottuti.

Da una parte vedete nuvole di mediocri popoli, di mediocri re che si fanno a pezzi e si distruggono e almeno saperne il perché.Il furore si chiama gloria,il delitto virtùe l’onore impianta una fabbrica di decorazioni per i fessi fottuti.

Con aria diplomatica guardate i potenti dell’economiache con la salsa della politica preparano il balsamo di ogni imbroglio.l’onestà, l’ideale del bene pubblico l’hanno venduti al ferrivecchie distillano gli interessi della patria con l’alambicco dei fessi fottuti.

E poi, è vero, ci sono anche i vini, elenco infi-nito, lungo, giusto per citare fra i millanta nomi:Nebbiolo, Barolo, Barbaresco, Dolcetto, Bar-bera, Moscato, Asti spumante… quei vini che,nel secondo dopoguerra, trasformarono unaterra di miseria, povertà infinita, emigrazione,mortalità per fame, quelle colline che si eranosvuotate di persone, in un ricchissimo feudo dicoltivazioni dotte e colte, che l’hanno risollevatada un destino infame. Colline che nascono dalmare, un tempo lì era tutto acqua, ancora oggidissodando capita di trovare conchiglie. Macome parlare di vini in modo asettico? Comedirne particolarità e caratteristiche per chi eno-logo non è? Il profumo di quei vini, il loro saporeche esplode quando lo bevi, noi umanamenteed umilmente “consumatori” non esperti (comelo scrutatore non votante di una canzonetta), loleghiamo ai ricordi, a quella mano sfiorata, aquella risata con gli amici, a quel panino con ilsalame mangiato un pomeriggio invernale inuna bettola fra cielo e vigneti. I mulini non eranobianchi, allora, però c’era nell’aria voglia dinuovo, di ribaltare lo stato delle cose e trasfor-mare l’universo mondo in qualcosa di etico e vi-vibile. Poi passa… Poi è passato.Sono rimasti i testardi piemontesi, un po’ chiusi,un po’ orgogliosi, a volte nostalgici. Rimangonoalcune piccolissime osterie dove puoi mangiarefritto misto alla piemontese e bere vino sfuso“che abbiamo fatto noi”. E può succedere, misuccesse qualche anno fa, di andare in una fra-zione chissà dove nell’astigiano, entrare nel-l’unico locale aperto, una sorta di negoziettobar, successe di chiedere “un caffè” e la signorame lo fece, con la moka sul fornello.

Dal Piemonte e dall’Unesco una lezione per il Salento: “I vigneti di Langhe-Roero e Monferrato costituiscono

un esempio eccezionale di interazione dell'uomo con il suo ambiente naturale...”

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spagine

I l Re è nudo! il Re non ha più le vesti... orafinalmente il bimbo lo ha detto... La gentes’accorge, i bambini lo sanno... e alloraperchè non li ascoltiamo? Vogliono dirciche, questo mondo, così come l'abbiamotruccato, non funziona più. Le maschere

non riescono più a coprire i volti arcigni degli ar-ricchiti e di chi, ignorantemente, desidera per sèsolo denari... Facciano pure, si vendano tutto: gli ulivi secolaritanto falsamente cantati, la terra dei contadiniche contadini non sono più ma avvelenatori, nelpiccolo e nel grande... Continuate con le discari-che, questi tappeti dove incoscientemente na-scondono le schifezze che ormai non si contanopiu...Ora è tutto più visibile, tutto nudo, come il prover-bio che recita allu scuagghiare de la nie se iteneli strunzi, e crititime, su tanti.Sono tanti i falsi eroi, i falsi predicatori, i falsi ar-tisti, se artista vuol dire sopratutto "guardianodelle greggi, guardiano della comunità, guardianoprotettore della natura, guardiano della saggezzache fa progredire.Ma qui dove sono i guardiani?I politici? Macchè... costoro son stati i primi asvendere la bellezza già in tempi antichi, daquando esistono... e allora, me li caco quasi tutti,anche quelli dei compromessi, perchè sotto-stando ai compromessi hanno perduto l'inno-cenza della poesia, e gli sono venute le orecchied’asino, allora, tutti in coro, ai politici Ciuccindamu dicere...E poi, chi viene? La chiesa? Quale chiesa?Quella che ha gli orari degli uffici? Che è quasisempre chiusa? Che non da nemmeno un postoda dormire al pellegrino che passa? Ma che èaperta per visite "turistiche" agli orari nel cartelloindicati... bene... abbiamo capito... apposto....Ma chiesa, io ricordo, mi dicevano vuol dire co-munità. Vuol dire raccolta di gente, vuol dire per-sone grandi e piccole vecchi e giovani senzadifferenza di colore (visto che mi hanno ancheimpiantato anche sta cazzo di falsa idea che dob-biamo essere antirazzisti, e poi a microchipspento ognuno continua a pensare i cazzi suoi...Molti continuano a pensare che chi arriva ruba illavoro, ma quale lavoro? Quello che non vo-gliamo fare più (nnu momentu ca mo mencazzu... ma quale rubare, sta gente sta face lafatia ca nu bbulimu facimu cchiui, ma ancora peg-gio: fanno i lavori che diabolicamente ci siamo in-ventati per loro. Penso ai campi di angurie, pienidi plastica, di veleni e gli Africani piegati a racco-glierle nelle ore in cui il sole brucia (loro, non pos-sono più bruciare, sono già stati marchiati dalfuoco nei loro paesi... Cazzo ma vogliamoaprire gli occhi?).Chi pianta adesso non è contadino, no... è uomod'affari, un rapace che se ne strafotte delle deva-stazioni che compie alla terra e ai disperati chela lavorano. Ancora più dannati, non si accorgonodella devastazione che lasciano ai loro stessifigli, e allora via anche loro, li mando tutti alpaese dei Balocchi dove anche loro diventer-ranno ciucci: siri, matri e figghi...E comu faci cu nu nte ncazzi quandu poi per-finu li cossiddetti artisti parlano bene e razzolanomale anche loro compromessi, con le lobby, conle aziende forti... Loro, gli artisti, gli “intellettuali”devastano anche di più: sciolgono le menti inquesto fottio di grandi eventi, cancellano le co-scienze rendendoci tutti spettatori de sti spetta-coli in cui non possiamo fare altro che guardare,devastarci di alcool e porcherie, mo mencazzu...Loro la chiamano cultura, ieu la chiamu sonnodella coscienza, sonno attenzione non morte,perchè ieu tegnu speranze, ho ancora certezze,che vengono non dal falso credo di tutti sti falsipraticanti ca sta facene ccene? Eventi? E si suc-

chiano i soldi e l'anima di questa terra? E poi teci è la curpa? Sempre degli altri, di quelli chevengono da fuori, dei non osservanti, ma gli os-servanti, mi chiedo, cosa CAZZO STANNO OS-SERVANDO? SE VERAMENTEOSSERVASSERO VEDREBBERO IL BENE E ILMALE CHE INTORNO ESISTE, LA NATURACHE E' AMMALATA...LA QUERCIA VALLONEA DI TRICASE, QUEL-L'ESSERE MERAVIGLIOSO CHE DOVREBBEESSERE CONSIDERATO IL NOSTRO ALBEROGENEALOGICO, L'AVETE VISTO RECENTE-MENTE?O VOI CHE OSSERVATE, LA QUERCIA DI TRI-CASE STA MORENDO DI TRISTEZZA PER ILGENERE UMANO CHE QUI SI CREDE PER-DUTO. E NON PARLO DI TRICASE PARLO DITUTTO IL SALENTO, QUELLO CHE A MOLTI SISEMPLIFICA CON IL MOTTO LU SULE LUMARE E LU IENTU E ALLORA ME STA NCAZZUNTORNA ANDATE A VEDERLA LA QUERCIACAZZO, RELEGATA TRA DUE STRADE CHEQUASI LE CALPESTANO LE RADICI, E UNABELLA RECINZIONE... LA TIENE PROTETTA,DITE? LO CREDETE VERAMENTE? NO, LA SE-GREGA! LEI, VECCHIA DI MILLE ANNI, ERAABITUATA ALL’ABBRACCIO, ALLA CAREZZADELLA GENTE DI CHI SI DAVA AMORE E NERICEVEVA DALLA SUA INEFFABILE BEL-LEZZA...E NOI, CHE VOGLIAMO FARE? ANDARLA ANCORA A VEDERE SENZA NO-TARE CHE IL SUO MAESTOSO TRONCO E' RI-COPERTO DA UNO STRANO FUNGO GRIGIOE CHE LE ESTREMITA',I VIRGULTI PIU' RE-CENTI, SONO SECCHI E MALATI?RICORDATE, QUEL TRONCO SIAMO NOI!QUELLE ESTREMITA' SIAMO NOI! SIAMO NOIANCHE TUTTA LA SUA INEFFABILE BELLEZZAE IL SUO VERDE E I SUOI MASTODONTICIRAMI CHE ASSOMIGLIANO A BRACCIA DI GI-GANTESCHI ANIMALI PREISTORICI PACIFICICHE ACCOGLIEREBBERO I BAMBINI CULLAN-DOLI, GLI INNAMORATI RINFRESCANDOLI EINCORAGGIANDOLI A TENDERE ALLA BEL-LEZZA ALLA GRANDIOSITA' D'ANIMO, ALLAMAGNANIMITA' DI NON FREGARSI PIU' DI AC-CUMULARE FALSE RICCHEZZE... TALENTI CI VOGLIONO, TALENTO CI VUOLEMIO CARO SALENTO. CORAGGIO DI DIRE“NO”.MEMORIA CI VUOLE! QUELLA DI CHI QUESTATERRA L'HA DIFESA CON AZIONI, PAROLE,CANTI, PITTURE... NOI CHE ERAVAMO FIGLIDI OMERO CUGINI DEI GRECI DI LA' DEL-L'ADRIATICO, CUGINI DEGLI ALBANESI, DADOVE LE QUERCE VENGONO E PRENDONOIL NOME!

E ALLORA' CHE FACCIAMO? LA SALVIAMO?SAPREMO SALVARE LE NOSTRE ORIGINI? LENOSTRE RADICI?SE L'ALBERO GENEALOGICO STA BENEANCHE IL POPOLO IN ESSO RAPPRESEN-TATO STA BENE, E' MATEMATICO... POTARE

DOBBIAMO, INIZIARE CON L'ARTE DELLA PO-TATURA, QUELLA CHE RIDA' VITA ALLEPIANTE STANCHE, MA NON LA QUERCIA, LEIPIU' DI TUTTO HA BISOGNO DI CAREZZE ECANTI... COMINCIAMO NOI A POTARE I SEN-TIMENTI STREGATI, AVVELENATI, INQUI-NATI...NON LA RABBIA SARA' LA MANIERA, MA LAGRAZIA.COMINCIAMO A ELIMINARE CIO' CHE E' VEC-CHIO E FALSO, FACCIAMO SPAZIO ALNUOVO, PREPARIAMOGLI IL TERRENO,ESTIRPIAMO LE ERBACCE, I CATTIVI PEN-SIERI E LASCIAMO QUELLE VERE, CHE SONOL'ANNUNCIO DELLA PRIMAVERA... IL SUOMESSAGGIO SEMPRE INNAMORATO, CHENOI SEMPRE DISERBIAMO, DISATTEN-DIAMO... CAZZO! CCCE CU TE NCAZZI MA CI TENCAZZI RI-MANI A SSULU E TE CHIAMANE PACCIU E SA-PIMU CCOMU LI TRATTANE E COMU L'AMUTRATTATI, MA IOU ULIA ME NCAZZU E POI CUMME CALMU E CU SPIEGU,SPIEGO LE VELEDELLA RAGIONE CA LU CORE A SSULU NUBBASTA, ABBIAMO DETTO SEMPRE LU COREMA LU CORE SAPIMU E' UN TEATRO DOVE AVOLTE LA TRAGEDIA SCONQUASSA L'ARIA, ELO SAPPIAMO, SIAMO PIENI DI "DICE CHE"...

"Dice che era depresso, dice che era addolorato,dice che era emarginato, dice che aveva pro-blemi di soldi, dice ca li usurai, se lu sta mangia-vane vivu e allora è decisu cu lla spiccia disentirsi mangiatu, dice ca era cilusu e ha uccisol'amore della sua vita, i figli, e allora lu core assulu nu basta ci vuole anche ragione, ragione ecuore, e non soltanto Dionisiaco abbandono nellebraccia della morte, ci vuole equilibrio tra le no-stre divinità...

E qui, cari miei, arriviamo al punto più dolente, ladivinità, lo spirito, lo spirito della terra, lo spiritodi tutte le terre, quello che cementando abbiamomesso a tacere... dico io: non ci accorgiamo chenon serve a nulla? Che non serve a nulla tapparele bocche di quelli che chiedono il suo ritorno, equanti, quanti che ne ho perso il conto, ma non inomi ma non la bellezza donchisciottesca ab-biamo tradito in vita e in memoria, sempre perl'avidità di un mondo ingordo senza oggi e ne do-mani.Mo me ncazzu ntorna, tenimu li libri tenimu licomputer sapimu leggere e scrivere e far di contofinalmente liberi dall'asservimento dei nostri padrie delle nostre madri, le madri ragazzi! le madri...C'e' un testo di Pier Paolo Pasolini, il teneroguardiano, che per primo ha denunciato lo scem-pio quasi prevedendolo, preannunciandolo nellascomparsa delle lucciole... Le lucciole per Paso-lini erano anche le nostre lanterne, la lanterna diDiogene Laerzio che nel buio, dotato di ragionee coraggio illumina le tenebre per tutti! Atten-zione, non per se, ma per tutti! E allora Pasolininella Ballata delle Madri si chiede: “mi domandoche madri avete avuto” e io con lui “che madri e

Ddiscitatibbe!di Fabio Inglese

Il Salento deve imparare a dire “no”

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Spagine della domenica n°35- 29 giugno 2014 - anno 2 n.0

padri abbiamo avuto?”. Lo sappiamo, lo sap-piamo bene, li sacrifici, li lamenti, le mazzate, liciucci te fatia... ma anche la bellezza dei dolci ge-nitori che sapevano... nonni che ci crescevano,che ci accompagnavano nel cammino, che ci nu-trivano, ci dissetavano, che ci raccontavano lestorie e cantavano per farci addormentare.

E ALLORA AMICI... NUI NU TENIMU TUTTU?Abbiamo tutti i mezzi, pure troppi a volte, spettaa noi cambiare direzione, fermarci, ritirarci daquesta cieca corsa, unirci in comunità che torninoa cantare e danzare le stagioni che ancora esi-stono, lu sule ca ancora ncete, lu mare che an-cora e ancora e ancora c'e' e il vento questovento che da occidente soffia che è tutto nuovo...Tanto maestrale, tanto ponente e tanta pioggia suquesta terra arida e desolata.Tanta acqua, tanta pioggia, quella che moltiscambiano per sciagura... diluvio... inondazione,senza pensare che siamo stati noi abbiamo ad in-nalzare senza coscienza e onestà cio' che leacque seppelliscono con la loro furia. E i lampi e tutti i tuoni di questi giorni cosa stannoa dire se non:DDISCITATIBBE!!! SVEGLIATEVI!!!

Svegliamo i nostri sensi addormentati, i cervelliannullati dalla disinfromazione usata per aume-tare tirature di inutili giornali e di inutili consensiper inutili politici che faranno inutili leggi pen-sando solo alla tutela dei loro miseri utili. Lascia-moli nelle case cassette di sicurezza, con le lorochiavi, con le loro donne abbruttite dalla falsa bel-lezza e i loro figli che poverini non sanno di man-giare la mmerda che i genitori gli stannopropinando, la mmerda cibo la mmerda spazza-tura la merdosa aria di discarica totale, la mer-dosa realtà, in cui non si può far nulla e allorafacciamoci ancora di piu' male...

NO NO NO NO NO NO NO NO NO. Tutto ciò stafinendo, e non con i giudici o almeno non solo conquelli dei tribunali - che pure di loro e delle lorotragiche solitarie morti siamo stanchi e addolorati- troppi i martiri della lucidità e nessun miracolonelle nostre menti e nel cuore... ma solo spessoassurde sterili polemiche da gallinaio, solo di-spute faziose: ignoranza travestita di sapere... Ma se sapessimo veramente come SOPHIA in-segna, se sapessimo veramente cominceremmoa dire veramente basta. Basta con le lotte tra fazioni. Come quelle di chisi lamenta di aver suonato e che gli altri non ave-vano cantato e quelli che dovevano cantare e ac-cusavano gli altri che non volevano usare glistrumenti...Basta...

BASTA! COMINCIAMO AD ACCOGLIERE I PEN-SIERI DI PACE VERA, ACCOGLIERE LE GENTIIN FUGA DALLE GUERRE - LORO SI CHEHANNO DECISO CHE LA GUERRA NON LA VO-GLIONO - ACCOGLIAMO IL NUOVO CHE CONMOLTI SEGNI EVIDENTI AVANZA E DICE..BASTA CU STU CRISTU AN CRUCE!

LODE AI GUARDIANI DELLA TERRA, LODE ATUTTI COLORO CHE CON LA LORO VITA, ILLORO SANGUE, LA LORO GRAZIA CI HANNOMESSO IN GUARDIA...I NOMI LI SAPPIAMO! LI SAPPIAMO BENE! IO, I MIEI BUONI AMICI, IL MIO BUON AMORE,I MIEI FIGLI, RICORDIAMO I POETI NOSTRI DIQUI E POI TUTTI GLI ALTRI E ALLORA AN-DIAMO, DECLARIAMOLI, RINGRAZIAMOLI...

GRAZIE ALEANDRO EZECHIELEVERRI ANTONIODE CANDIA EDOARDO

DURANTE RINATOMA SALVATORERUGGERI CLAUDIABUTTITTA IGNAZIOPASOLINI PIER PAOLOROSSELLI AMELIASCOTELLARO ROCCOCOSTABILE FRANCOWHITMAN WALTPESSOA FERNANDODICKINSON EMILY

E POI CONTINUATE VOI... CONTINUATE CONLE VOSTRE LISTE

E NON DIMENTICATE QUELLI VIVI, PER FA-VORE, CHE ANCORA TENTANO IL DIFFICILECOMPITO DI GUARDARE, PROTEGGERE,CONSOLARE, CHIARIFICARE, AMARE...COMINCIAMO VERAMENTE AD AMARE!SEMPLICEMENTE AD AMARE...

Una rivoluzione insieme Pacifica e Culturale èAU...SPICABILE. I CANTI LI ABBIAMO, LA MU-SICA ANCHE. E L'IMMAGINAZIONE, LA CAPA-CITA DI SOGNARNE SEMPRE DI NUOVI CHE SONO ANTICHI E' ALCONTEMPO MODERNI ATTUALI AVVENERI-STICI FUTURI PROFETICI DEL BENE CHE E'ARRIVATOBASTA APRIRE OCCHI, ORECCHIE, NASI, IPORI DELLA PELLE, CUORE, MENTE, LEMANI, LE BRACCIA, LI PIEDI, LI FIANCHI, L'AN-CHE... E L'ANCORA...COMINCIARE UNA FESTA NUOVA FATTA AP-POSTA PER QUEST'EPOCA NUOVA.

AL DIAVOLO LE NOTTI DELLA TARANTA! ALDIAVOLO LA TARANTA! AL DIAVOLO TUTTIST'AUCEDDHI CA A SSULI SE LA CANTANE ESE LA SONANE PE L'AMORE TE CCENE? TE LISORDI? E TE LU CUMPARIRE....

A GALATINA NCETE NU RIGATTIERE CA TENELI RESTI DELLA CULTURA NOSCIA E TE LIINDE AL PREZZO MODICO DI 100 EURI E STAPARLU DELLE PORCHERIE CHE INSOZZANOLA MEMORIA DI UNO DEI NOSTRI PADRI SPI-RITUALI ARTISTICI E UMANI, MISTURA PURADI FEDE INTELLETTO E CORE. PARLO DI EZE-CHIELE LEANDRO E DEL SUO SANTUARIODELLA PAZIENZA...E CI ME SENTE?MO ME NCAZZU NTORNA!LA CULTURA SVENDUTA!? LA MEMORIA TRA-DITA E SVENDUTA. LI SFORZI TE LI FURESI ILORO MANUFATTI TRADITI E SVENDUTI...IL NOSTRO PATRIMONIO CULTURALE!QUELLO DELLA GENTE COMUNE!TUTTO PER POCHI, MISERABILI, DENARI EPOI TUTTI CA ANCORA NDI LA PIGGHIAMU CUGIUDA (CAPITEMI IL GIUDA DA ADDITARE CIHANNO DETTO CHE E' SEMPRE E' SOLOUNO) MACCHE' SIAMO TUTTI...TUTTI PRIMA O POI L’ABBIAMO FATTO, VABENE SINE ETE NNA COSA COMUNE MA AT-TENZIONE NON E' UNA COSA NORMALE. NONE' NORMALE CONTINUARE IN QUESTA DIRE-ZIONE.NON E' NORMALE PIANGERE IL MORTOQUANDO ANCORA NON E' MORTO. NESSUNODI TUTTI QUESTI GIUDA SEMBRA POSSA ES-SERE PUNITO E NUI CHIUTIMU L'OCCHI IN-GHIOTTIAMO IL ROSPO E CI ASSUEFIAMO.NO, NON E' NORMALE CONTINUARE COSI'QUESTA, DI TUTTE, SARA' LA NOSTRA VERAFINE. QUESTA LA NOSTRA ESTINZIONE INQUANTO POPOLO TESTIMONE DI CULTUREANTICHISSIME E ANCORA VIVENTI... E PURUTUTTU QUISTU LU SAPIMU. E ALLORA SCU-SATE, PRIMA DI TUTTO FACCIAMO PACE DEN-

TRO DI NOI E POI CON GLI ALTRI RICOSTI-TUIAMO LE COMUNITA'.BASTA CON LE IDEE ASTRATTE DI CIO' CHEDOVREBBE ESSEREBASTA CON QUESTI RECINTI SENZA VERDEDOVE I BAMBINI SOFFOCANO DI TRISTEZZA. COMINCIAMO A PIANTARE ALBERI VERI...OLIVI SI, MA ANCHE QUERCE! QUELLE CHEPOPOLAVANO QUESTA NOSTRA TERRA. NEERA PIENA SON DIVENTATE LEGNO DI NAVIDA QUI SALPATE PER PERPETRARE MASSA-CRI.BASTA NAVI DA GUERRA, AEREI, TECNOLO-GIE INUTILI...

TECNOLOGIA VERDE VOGLIAMO: QUERCEVALLONEE, FRAGNI, QUERCE SPINOSE E POICARRUBBI DI NUOVO, E GELSI, E GIUGGIOLI,E CESPUGLI PER REINFOLTIRE LE POVEREMACCHIE SMACCHIATE DAGLI ASSASSINIDEL PAESAGGIO...PAESAGGIO CHE NON E' MAI SOLOESTERNO, FINE A SE STESSO MA ANCHE IN-TERNO: NOSTRO...NOI CHE NON CI ACCORGIAMO CHE DA SOLIREITERIAMO LA PRIMA STORIA DELL'UOMO,LA PRIMA FALSITA' DEL GENERE UMANO INQUESTA PARTE DI MONDO CONOSCIUTO EALLORA RIFUGGENDO DAL PECCATO ORIGI-NALE CHE ABBIAMO ATTRIBUITO IGNORANTI,ALL'ISTINTO O ALLA CONOSCENZA MA MAI AIDISTURBI DI UN CUORE ALTALENANTE TRAPASSIONE E ODIOODIO ODDIO ODDIO MIO MA DIO NON E' QUE-STO CAPRICCIOSO CHE PONE TRABOC-CHETTI E TRAPPOLE NO DIO PER ME CHE CICREDO SONO IO SIAMO TUTTI MOI INSIEMECON CUORE TESTA MENTE E CORPO INTERO

E ALLORA FACCIAMOLA PURE UNA FESTA MACHE SIA SPECCHIO VIVENTE CHE RIFLETTAQUESTE UNITA' ALLA LUCE DEL NUOVO CHESEMPRE FU E SEMPRE E' SEMPRE SARA'ELEGGIAMO POSTI DA CONSACRARE DINUOVO E NE ABBIAMO TANTI,FACCIAMOCOME I BIMBI QUANDO INCOSCIENTI GIO-CANO E RIDONO E PIANGONO E SALTANO EGRIDANO E ASCOLTANO STORIE SENZANULLA SAPERE DEI MOSTRI DEL MONDODEGLI ADULTI

FACIMU LA FESTA TE LE FURMICULE, TE LIPITUCCHI, TE LE MALOTULE, TE LA COCCINI-GLIA. FACIMUNNI LA FESTA ALLI IERMI CA NNISTA DIVORANE VISTO CA TUTTU SULLATERRA UN GIORNO SARA' DIVORATO DAIVERMI ALMENO ESORCIZZIAMO QUESTO! E POI PURU LE FURMICULE STRESSATE CASIMU, LI PETUCCHI CA SIMU QUANDU NDICHIUTIMU E SUCAMU LU SANGU, LE MALO-TULE CASIMU QUANDU NDI CHIUTIMU INTRAA STA SPECIE TE CASE, LI VERMI CASIMU QUANDU SULI SULI NDI LASSAMU MAN-GIARE TE L'AVIDITA.'E BBU AGGIU CUNTATU LU FATTU... ADESSOVEDETE VOI...

P.S. Stimo i vermi che un giorno si ciberanno del mio cervello

ma non sopporto questi che qui ancora

fanno della terraun immenso macello...

E BUON SAN GIOVANNI A TUTTI...

Luoghi

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Il carrubo, l’asino e i bigodini

Il bello della storia dell'Architettura e dell'Arte di Terra d'Otranto è che gi-rovagando per il territorio anche i piccoli paesi possono nascondere pia-cevoli sorprese artistiche che inducono a qualche riflessione ecollegamento. E' il caso questo di Strudà, piccolo centro abitato a pochichilometri da Lecce. Nella locale chiesa madre, particolarmente interes-sante da diversi punti di vista è l'altare, realizzato fra il 1695 e il 1720,

dedicato a san Francesco di Paola (foto 1). Le ragioni, come si diceva, per cui varrebbe la pena di andare a visitare que-st'opera è che le sue forme scolpite ricordano – eccetto la mensa probabil-mente rifatta in un tempo successivo, quelle di uno dei maggiori architetti escultori leccesi ovvero Mauro Manieri (1687 -1744 circa). Realizzata in pietra leccese colorata, l'opera mantiene quelle che sembrereb-bero essere le tinte originali (andrebbe in ogni caso condotta una indaginespecifica in questo senso). Altro aspetto interessante è rappresentato dalgrande quadro centrale (quello superiore più piccolo è stato sostituito con altrodi più recente fattura, l'originale è disperso) il quale raffigura il Santo di Paolacon l'agnello Martinello. Il dipinto ricorderebbe per forme e colori (anche in que-sto caso però sarebbe doverosa una indagine scientifica di dettaglio dell'operae dei suoi particolari: tratto della pennellata, materiali utilizzati, etc) quelle delpittore alessanese Oronzo Letizia (1659 - post 1733) che ha lasciato per for-tuna più di qualche sua opera autografata. Nel dipinto, in particolare, il voltodel piccolo angelo che sostiene la testa dell'agnello, ritorna pressoché simile,in quello di un personaggio (un ragazzo con conchiglie in mano) presente inun dipinto oggi custodito nel coro della chiesa leccese di santa Irene.Quest'opera, unitamente ad altri tre quadri appesi pure nello stesso coro (2sulla parete di fondo, 1 sulla parete laterale destra, 1 sulla parete laterale sini-stra; foto 2 -5) raffigura scene bibliche della vita del re Davide. Con le solitedoverose cautele, necessarie quando si ha a che fare un dipinto, anche questequattro storie di Davide ricorderebbero stilisticamente la produzione artisticadi Oronzo Letizia. Non è da escludere infine che i modi esecutivi del citato pit-tore alessanese possano riconoscersi pure in un piccolo quadro (frammentoforse di un'opera più grande), custodito nell'antico Seminario leccese (esso ècollocato al primo piano dell'edificio, sulla porta di accesso che conduce allaresidenza vescovile), dove sono rappresentati un angelo adulto orante e duepiù piccoli pure in volo alle spalle del primo (foto 6).

La letizia della pitturaspagine Spagine della domenica n°35- 29 giugno 2014 - anno 2 n.0

L’arte di costruire la città

Foto 1. L'altare dedicato a san Francesco di Paola

A sinistra la foto 6. Dall’alto verso il basso: foto 1, 2, 3, 4, 5,

di Fabio A. Grasso

Lo scultoreMauro Manierie il pittore Oronzo Letizia

a Strudà

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spagine Spagine della domenica n°35- 29 giugno 2014 - anno 2 n.0

Scritture salentine: osservando, curiosando e ricordando

A lligna nel Salento unabella e forte pianta, il car-rubo, che, nell’arco dellasua lunga vita, puòanche raggiungere lanon comune altezza di

dieci metri e si mostra con una foltachioma fronzuta sempreverde.E’ un albero che non richiede soverchiecure, aduso e resistente a qualsiasi con-dizione climatica, le erbe e le erbacce,che vanno spuntando naturalmente aisuoi piedi, crescono, diventano rigo-gliose, ingialliscono e seccano, un ciclovegetativo dopo l’altro, mentre il nostrogigante lussureggiante se ne resta im-perterrito lì, quasi a gustarsi la scena.Conferisce un appagamento speciale,durante la stagione calda, la sosta allasua ombra, con l’agio privilegiato di oc-chieggiare fra i minuscoli spazi del fo-gliame e, in tal modo, cogliere frammentidi cielo o di mare, in movimento, oscil-lanti dietro la carezza timida del venti-cello.Il carrubo dà anche frutti, sottoforma digrossi baccelli contenenti, all’interno, al-cuni semi e contraddistinti da buccia dicolore verde quando sono acerbi e di to-nalità marrone nella fase di maturazione:si chiamano, semplicemente, carrube.In passato, i contadini, o agricoltori omezzadri o proprietari dei fondi, provve-devano sistematicamente e puntual-mente a raccogliere le carrube; in parte,erano utilizzate ai fini dell’alimentazionedegli animali da lavoro e domestici, inparte, invece, erano cedute a commer-cianti ambulanti all’ingrosso, i quali cari-cavano i capienti sacchi di iuta su trainio camioncini, li ammucchiavano tempo-raneamente nei magazzini e, da ultimo,conferivano la merce all’ammasso.Correvano, invero, quotazioni bassis-sime e, di conseguenza, contropartite indenaro risicate, appena gocce di entratea beneficio dei magri bilanci familiari deiproduttori venditori.Adesso, purtroppo, nessuno abbacchiae raccoglie le carrube, se si eccettuano imodesti quantitativi colti e conservati incasa, per preparare, con l’aggiunta di

fichi secchi, qualche infuso o decottoche, all’occorrenza, può arrecare leni-mento e rivelarsi rimedio naturale allatosse o al mal di gola.Sicché, i frutti del verde e maestoso al-bero finiscono col cadere da soli sul ter-reno e col marcire, e così da unastagione alla successiva.Eppure, incredibilmente, sul bancone diun fruttivendolo, stamani, si è presentataalla vista una cassetta, contenente pro-prio carrube color marrone, e il relativocartellino prezzo segnava niente poco dimeno che € 5 a chilogrammo.Non c’è che dire, dalla produzione alconsumo, esattamente chilometri zero eneanche l’ombra di ricarico.

***La vetrina di una macelleria ha, invece,dato agio di apprendere una cosa asso-lutamente nuova, in altre parole l’offertaal pubblico, fra le varie specialità, di“carne e salame d’asino”, con l’aggiunta,a beneficio della clientela, dell’appella-tivo dialettale dell’animale, cioè “ciucciu”.La commessa del negozio, per la verità,ha riferito che gli acquirenti di tale generedi carne formano una nicchia limitata,che risente, forse, dei richiami riguar-danti la preparazione e la degustazionedi manicaretti della specie, in occasionedi fiere e sagre. Ha, ad ogni modo, ag-giunto che occorrono molte ore, sino adieci, per cuocere a puntino l’alimento inquestione.Pensare come, lo scrivente, con riferi-mento all’utile animale da soma, fossefermo e arretrato al “latte d’asina”, utiliz-zato per finalità alimentari, particolar-mente dei bambini, o cosmetiche.Poveri asinelli, anche voi, dunque, an-date, talora, a finire al macello, non visono più riservati, esclusivamente, il tra-passo naturale e il meritato riposo persempre!Pensare, ancora, come, il ragazzo di ieri,provasse uno scrupolo non da poco neivostri confronti, come categoria, quando,con i calzoncini corti, per fare dispettoall’anziano contadino del paesello natio,Vicenzu u cuzzune, piccolo e ricurvo, ilquale si muoveva esclusivamente in

groppa a un somarello di pari altezza, gliandava appositamente dietro, sfrucu-liando l’innocente quadrupede, medianteun ramo, esattamente in un precisopunto, al che la bestia, ovviamente, rea-giva saltellando e scalciando, con il ri-schio, per il suo padrone, di esseredisarcionato e cadere malamente a terra.

***Cambiando completamente genere diproposta e di affari, un altro esercizioreca esposto uno strano cartello: “Novitàassoluta – Bigodini per boccoli”.Al che, s’innesca uno stimolo alla curio-sità, la titolare del negozio, intenta a pro-vare una parrucca in capo ad unacliente, incarica il marito di sentire e as-sistere me.Il predetto mi domanda subito se sono,per caso, un parrucchiere. Dopo di che,passa a spiegarmi che si tratta di un’in-venzione freschissima, frutto, però, dilunghi studi, e fa scorrere un breve fil-mato in cui scorgo una serie di aggeggi,cannelle di plastica, intorno alle quali siarrotolano, tutto in una volta e non ca-pello per capello, i boccoli, tenuti poifermi e stretti, per un certo arco di tempo,grazie a mollette, pure di plastica, fattescorrere, dal basso verso l’alto, lungo lecannelle, e fissate con gancetti sino te-nere, i boccoli medesimi, avvolti e bloc-cati.Notevole risparmio di tempo, risultatiegregi, aggiunge l’uomo, che, alla miadomanda al riguardo, precisa di venderekit di siffatti bigodini, ciascuno con qua-rantadue pezzi, alla cifra di euro quaran-totto. Mi saluta con un sorriso, non senzagratificarmi con un “ha fatto bene a chie-dere illustrazioni”.

***Per chiudere in allegria le presenti note,abbondano, in giro, i manifesti pubblici-tari proponenti “Corsi di ballo”, se ne in-contrano proprio tanti, si vede chemoltitudini di persone sono portate per ladanza in coppia. Nulla di male, ovvia-mente, anzi è risaputo che i movimenti,giustappunto del ballo, sono salutari peril fisico e per lo spirito.

Il carrubo, l’asino e i bigodinidi Rocco Boccadamo

Ad illustrare l’acquerello di un carrubo da http://medisketch.blogspot.it

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G irando, come sovente micapita di fare, tra eventiculturali e, in particolarmodo, presentazioni dinuovi libri, ho avuto l'op-portunità d’incontrare e

conoscere due “stelle”, astri specialissimisotto le sembianze di giovani e aggraziatedonne, che, a mio parere, brillano, distin-guendosi, nel firmamento della poesia edella scrittura in genere.Citandole in ordine alfabetico, AlessandraPeluso e Maria Pia Romano.La prima, nata e residente a Leverano(LE), laureata in filosofia, di professioneredattrice editoriale e critica letteraria (sulsito web di Affari Italiani.it, il primo quoti-diano on line italiano, nella pagina Cul-ture, sono pubblicate circa cento suerecensioni di libri di autori vari), è autricedelle raccolte poetiche “CANTO D’ANIMAAMANTE” edizioni Besa (2009) e “RitornoSorgente”, edizioni LietoColle (2013). La seconda, nata a Benevento ma salen-tina per discendenza e in tutti i sensi, hascritto e pubblicato, fra l'altro, i romanzi“Onde di follia”, edizioni Besa (2006),“L'anello inutile” edizioni Besa (2011) e“La cura dell'attesa” edizioni Lupo (2012).Dopo una prima laurea, ha recentementeconseguito il titolo accademico in inge-gneria. E’ giornalista dal 2000. Comeprofessione continuativa, si occupa di uf-fici stampa.Alla luce delle opere prodotte, Alessandrae Maria Pia si pongono già alla stregua diautentiche e genuine eccellenze in campoculturale e, v’è da credere, sono destinatea vie più affinare, completare, arricchire eimpreziosire la virtù dei loro versi e/oscritti in forma di prosa.Personalmente, mi sono soffermato, congrande piacere, attenzione e coinvolgi-mento, sulle suggestive, originali e avvin-centi pagine di Alessandra Peluso e MariaPia Romano; al punto che mi sento disuggerire la lettura dei loro libri. Al termine di queste brevi note, mi piace

allegare un recente scritto “aperto” dellaRomano, indirizzato alla Peluso:

Lettera ad una poetessaSono inciampata per caso nei tuoi versi,in una mattina di marzo in cui il tuo libromi ha chiamata ed ho sorseggiato le tueatmosfere delicate. Accade così da moltotempo per me, che vivo un presente sgan-gherato, sospesa da un capo all’altrodella Puglia, sempre accelerata versodove non so, ma incapace di rallentare.Sono diventata allergica alle presenta-zioni letterarie, ma sono sempre più inna-morata delle stanze di carta e le tue,Alessandra, sono un Ritorno sorgente cheha il colore dei tuoi occhi di mare, nellecui trasparenze si svela un universodolce, in cui entrare in punta di piedi.Ti conosco poco, anzi, non ti conosco af-fatto. Avevo negli occhi il tuo sorriso fre-sco e il tuo sguardo liquido mentre tileggevo. I tuoi versi semplici, musicali, mihanno riportato alla tua armoniosa ed ele-gante presenza, per tutte le volte che cisiamo incrociate e ci siamo scambiatepoche parole e sorrisi accennati.Il tuo Ritorno sorgente è uno scrigno diemozioni che hanno il sapore dei tuoi annie dei tuoi rossori, dei tuoi respiri e dei tuoisilenzi, della natura che a volte tace, avolte si fa parola. Onda increspata, fine-stra sul giorno, tempo lento, certezza de-posta e ritrovata nel vento. La tua poesiacrescerà con te, quando imparerai ad af-filare le parole e ti lascerai attraversareancora ed ancora dalla vita, quella vitache ora, è giusto così, dona bellezza sno-dandosi in immagini armoniose.Tu come me, forse, ti senti nuda non senon indossi il fondotinta, ma se non hai unlibro in borsa. Tu sai di cosa parlo quandodico che la poesia è una vocazione eduna dannazione, perché sa aggiustarci ilpasso nella vita, ma troppo spesso ci co-stringe ad andare fuori tempo, perché iltempo della vita normale non riusciamo acapirlo.

Tu senti che la poesia chiede sempre unprezzo e ancora non sai dove può con-durre, ma te lo spiegherà la tua esistenza,quando non farai domande.Imparerai, come ho imparato io, che ilmondo non aspetta i nostri libri. Che oltreal clamore mondano davvero non c’ènulla e inizierai a ridere di coloro che siaffannano per vedersi dedicare un arti-colo su un giornale. Chincaglierie da fari-sei, perché conta più un lettore vero dimille adulatori. Sarà allora che ti ripieghe-rai su te stessa e scriverai le tue poesiepiù belle, che saranno forse meno dolci epiù vibranti. Meno carezze e più schiaffi,nei tuoi versi, immagino di vedere neltempo di-verso in cui la vita si farà ancoramusica dell’anima.Ma ora è giusto così, lascia andare le mieparole. E lascia che il senso al tuo cam-mino lo dia la condivisione autentica, ilresto verrà da sé.Il tuo Ritorno sorgente sono i tuoi occhi,liquidi e belli da far paura.Il verde della copertina, lo sai, non l’hoapprezzato: stride con quello che mi co-munichi, quando in silenzio apro le paginee scopro il tuo mondo.

Nella distesa d’erba e vigneascolto addensarsi la libertà.Taccio un gridare lacci lenti,baratto il poco con la natura umile.È la primavera che s’imbarazza di colori,ho gioia semplice di bimbi nell’acqua.

Alessandra Peluso, “Ritorno sorgente”, Lietocolle

Maria Pia Romano4 giugno 2014

Io, ho trovato eccezionalmente bello ilsuddetto documento, compresi i versi fi-nali che sono opera della poetessa di Le-verano.

di Rocco Boccadamo

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Autori

Lettera ad una poetessaMaria Pia Romano scrive ad Alessandra Peluso

Alessandra Peluso e Maria Pia Romano

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spagine Spagine della domenica n°35- 29 giugno 2014 - anno 2 n.0

I n attesa della riedizione deiprimi tre album dei Ghetonìa,Mara l'acqua (1993), Agapiso(1994) e Malìa (1995), uscitioriginariamente solo su cas-setta e per i quali AnimaMundi

sta preparando una nuova versione indoppio Cd con ricco libretto, l'eti-chetta salentina ripubblica in digitalealtri due album fondamentali per lascena musicale del Salento. Anima-Mundi è convinta che quella dei Ghe-tonìa sia tra le esperienze musicalipiù affascinanti e innovative degli ul-timi vent'anni, non solo per il Salento.Per questo vuole mettere a disposi-zione di tutti queste pietre miliari,anche in ascolto gratuito. Per incan-tamento (1998) e Mari e lune a estdel sud (1999) sono tra i dischi piùconosciuti e amati dei Ghetonìa, en-semble della Grecìa salentina che hainaugurato la riscoperta della musicadi tradizione nei primi anni '90, se-

gnando contemporaneamente i primipassi di un movimento musicale "me-ridiano", che tornava a guardare alMediterraneo e alle sue voci piuttostoche a modelli lontani e slegati dallacultura del Sud Italia. Movimento an-cora molto attivo nel Salento e in tuttaItalia.Un passo successivo, l'entrata del fi-sarmonicista albanese Admir Shkur-taj, portò il gruppo guidato da RobertoLicci e Salvatore Cotardo a dialogarecon la musica albanese. Il primo deitanti risultati è il brano "L'artigiana diLuma" che apre Mare e lune a est delsud.I dischi sono disponibili in downloadsu tutti i digital store e in ascolto li-bero sulle piattaforme di streamingcome Youtube, Spotify e Deezer.

Ulteriori informazioni su:www.suonidalmondo.com

www.youtube.com/AnimaMundiEdizioni

Musica

Il Bando per l’edizione 2014di Ti Racconto e a Caporesidenza teatrale a curadi Ippolito Chiarello

“L’amor perduto”, iltema del nuovoBando per parteci-pare alla Resi-denza Teatrale delprogetto Ti rac-

conto a Capo, organizzatodall’Associazione Idee a SudEst con la direzione artisticadell’attore e regista IppolitoChiarello.Come ogni anno, il lavoro sisvolgerà nel Capo di Leuca,con epicentro a Corsano, dal31 luglio al 9 agosto, la resi-denza è realizzata in collabo-razione con l’Assessorato allePolitiche Giovanili della Cittàdi Corsano e Nasca Teatri diTerra, oltre a vantare nume-rose partnership associative eistituzionali.Il “racconto” sarà “a Capo”, siaperché partirà dall’ultimo spic-chio del Sud - il Capo di Leuca- sia perché ci impegneràsempre in nuove esperienze,convinti che ogni anno biso-gna avere la forza e il corag-gio di mettere un punto sultempo trascorso, imparare

dagli errori, andare “a capo”raccontando una storia cheabbia il sapore del passato eil gusto di un nuovo futuro.Il bando è volto a selezionarei 16 partecipanti che gratuita-mente saranno protagonisti diun periodo di creazione e for-mazione all’interno della Resi-denza Teatrale “Hestia. IlVentre dei luoghi”. “Quest’anno l’unione di imma-gini suoni e parole che da vitaa Ti racconto e a Capo – di-chiara Ippolito Chiarello –parte dalla osservazione cheormai ci mancano le parole eil coraggio per dichiarare il no-stro amore. Le serenate, ilcorteggiamento perduto,l'amore dei nostri genitori. Lemani che si accarezzano dimia madre e mio padre dopomezzo secolo di vita insieme.Un amore antico guardato daocchi ancora ingenui. Come sicorteggiava? Corteggiare conparole antiche. Riscrivere undizionario di parole smarritesarà l’impegno più difficile edaffascinante che realizzeremo

con i partecipanti alla Resi-denza Teatrale, con i residentie con i turisti”.Si avrà come set naturale gliangoli di Corsano e del Capodi Leuca, i luoghi quotidiana-mente abitati dalla popola-zione, le piazze con la loroanima e i loro ricordi, gli scorciarchitettonicamente più sug-gestivi, al fine di unirel’espressione artistica con larivalutazione dei contesti ur-bani ricchi di storia e segni(essi stessi) della storia.La selezione è aperta ad at-tori, danzatori, allievi in forma-zione, italiani e stranieri e, piùin generale, a tutti creativi at-tivi che siano interessati a tra-scorrere un periodo diformazione e produzione.

Il bando è reperibile su:www.tiraccontoacapo.itLe domande dovranno perve-nire entro il 7 luglio 2014.

Recapiti Organizzativi:“Ti racconto a Capo”www.tiraccontoacapo.itemail [email protected]

Teatro

Una fotografiadi Lucia Pagliara

L ’attore dell’anno - vincitore del Premio Ubu 2013 come MigliorAttore, Premio Hystrio 2014 per un “Un bès – Antonio Liga-bue”- Mario Perrotta al Teatro Comunale di Nardò per tenereun laboratorio di formazione attoriale. L’occasione di poter vi-vere un’esperienza formativa con un grande professionista chesta segnando pagine importanti nella storia del teatro, desti-

nate a lasciare tracce indelebili.TerramMare ha fortemente voluto ospitare, nella sua residenza teatrale,Mario Perrotta, organizzando, oltre ad una replica dello spettacolo “Odissea”il 6 agosto, un laboratorio destinato a giovani attori dal titolo: Dal corpoalla parola.Indagare il contemporaneo, indagare il quotidiano, attraverso il corpo del-l'attore per giungere alla parola: non basta raccontare in scena un qualun-que fatto notabile della nostra storia perché si dia teatro. Procedere così,forse è “civile”, ma non è detto che sia “teatrale”. Bisogna, come ogni arti-giano, recuperare gli strumenti del teatro per tradurre un fatto in azione sce-nica, in una drammaturgia necessaria e autosufficiente.Un laboratorio che parte dal corpo e dalle sue possibilità espressive per ar-rivare alla parola intesa come azione. Un concetto base che, spesso, tra-scuriamo: la parola non è nient’altro che azione. E l’azione provoca sempreuna reazione: sperimentare la relazione tra attori sulla scena.

Programma del laboratorioTeatro Comunale di Nardò, da lunedì 4 a mercoledì 6 agosto 2014

Orari: lunedì 4 e martedì 5 dalle ore 16.00 alle ore 22.00mercoledì 6 dalle 12.00 alle 16. 00

La partecipazione al laboratorio ha un costo di € 150,00Info e Iscrizione

Per informazioni telefonare al 348.67.222.42 e 0833.836240. Per l'iscri-zione inviare una lettera motivazionale con curriculum vitae entro il 26 lu-glio al seguente indirizzo di posta elettronica: [email protected]

Il laboratorio è destinato ad un massimo di 20 partecipanti.

Il laboratorio teatraleDal corpo alla parolaal Teatro Comunale di Nardòcon Mario Perrotta

In digitale da Anima Mundidue storici album

dei Ghetonìadisponibili in download

su tutti i digital store

Roberto Licci

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spagine

Rapper cosentino, classe 81, MirkoKiave è tra gli artisti di spicco sullascena della musica hip hop in Italia.Nell’intervista ci racconta dei suoi ul-timi progetti e delle novità.

Chi è Kiave?Kiave è un ragazzo cresciuto a Cosenza. A 24 annisi è trasferito a Roma e successivamente a Milano.Da sempre interessato alla musica, ha scelto il rapper esprimersi.

Perché hai scelto il rap?Il rap ti dà l’opportunità di dire qualcosa in modocreativo e musicale.

Non credi che in Italia fare il mestiere del rappersia rischioso?La mia priorità non è mai stata quella di vivere conquesto mestiere. Ho svolto tanti lavori e non facciouna vita ricca di vizi ma mi basta poco per vivere, miaccontento.

Il tuo disco ‘Solo per cambiare il mondo’ è ba-sato su testi molto impegnati. Non credi di stan-care chi ti segue?Io non faccio dischi per il pubblico ma faccio dischiper dire determinate cose che penso in quel periodo.In quel momento pensavo così e l’ho fatto. Dipendetutto dal momento.

Nel brano ’11 storie’ viene messo in risalto il fattoche in Italia l’arte non viene considerata comeun lavoro. Tu hai la speranza di cambiare qual-cosa?Noi nel nostro piccolo stiamo già portando un cam-biamento sia con la musica che con i progetti. Io pre-ferisco morire lottando per cambiare le cose invecedi accettare una realtà che non mi va. L’Italia èmessa molto male da questo punto di vista ed è im-portante sensibilizzare le persone affinché tutte rie-scano a capire che c’è bisogno di un cambiamento.

Nel tuo disco ti definisci un guerriero. Hai decisodi fare il rapper per combattere cosa?Non ho deciso di fare il rapper per combattere maio ho sempre combattuto. Vengo da una famiglia chenon ha mai fatto dell’accettazione una sua guida edio mi sono sempre opposto a ciò che non mi andava.Ho capito che il rap può essere un’arma molto im-portante perché arriva alla gente. Combatto ciò cheritengo non sia giusto; non voglio restare seduto suun divano ad aspettare che il cambiamento arrivi macerco di esserne parte integrante ed attiva.

Attualmente quali sono i tuoi progetti?Sto seguendo un laboratorio di scrittura creativa nelcarcere di Monza per fornire a loro un mezzo persfogarsi nei momenti di disperazione. Sono contentoperché i ragazzi sono davvero bravi e tutti molto in-teressati. Faccio parte anche di un progetto deno-minato ‘Potere alle parole’. Insieme ad altri mieicolleghi rapper stiamo girando varie scuole portandolaboratori di scrittura creativa improntati contro le di-scriminazioni e contro il razzismo.

Dove è possibile conoscere le date del tuo tour?Questa estate farò poche date ma mirate. Si trovatutto sul sito www.mirkokiave.com oppure sullemie pagine facebook e twitter.

Spagine della domenica n°35- 29 giugno 2014 - anno 2 n.0Musica

Rapperdi Alessandra Margiotta

guerriero

Il laboratorio teatraleDal corpo alla parolaal Teatro Comunale di Nardòcon Mario Perrotta

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spagine

N essuno si fa i conti in tasca al mattinoquando prende il pomo della porta e loruota (dalla parte giusta, suppone qual-che lontano parente dell’ipotalamo in unghigno che ci piace definire giurassico)e mette il naso fuori.

La faccenda è semplice come lo è l’istinto di sopravvi-venza, come l’idea per nulla retrograda di non prevari-care il passo che si dimena sotto di noi, perché lui sadove deve andare. Esiste con buone probabilità un fee-ling di natura elettiva fra le creature che si muovono nelminuscolo camping a macchie bianche blu e verdi chegalleggia nell’universo e il parto travagliato del caro,vecchio big bang, con il suo frutto che pulsa di vita ingrumi magnetici da puzzle di cui non possediamo il li-bretto d’istruzioni tutto intero, perché dritto sul punto chestiamo osservando, c’è una grossa patacca traslucidae opaca messa lì apposta da chicchessia perché i mes-saggi subliminali che sono custoditi là sotto non scivo-lino giù e non vogliano dare uno sguardo con la codadell’occhio al drive in che c’è fuori, o semplicemente,perché no? lasciarsi guardare, sbranando il fondo deicalzoni all’idea dei compartimenti stagni. Il gioco si con-suma la suola delle scarpe sul campo minato dell’equi-librio, ciabattandoci sopra con caparbietà ed energiavariabile, fino a che la terra stessa decide di scrollarsidi dosso quell’andatura ritmica, straordinariamente ma-gnetica, questo sì, e un brulicare dei nervi più profondimostrano se stessi, in fine, nel paradosso salvifico del-l’autodistruzione. Non è semplice avvertire a filo d’orecchio lo scalpellodelle convenzioni che muoiono schiantandosi al suolo. Eppure è così, ragazzi. La realtà non può essere mutata a nostro piacimentocon i palmi madidi della consapevolezza dell’errore e lacertezza che quello che ci sbatte dritto in faccia sta co-lando dalla linea della vita, addensandosi come nebbiain una pratica secolare di risposte svariate agli inquie-tanti perché del mondo, ti tira il tappeto da sotto i piedimentre cammini.Con lo sguardo rivolto al nuovo orizzonte, i coni d’ombraformano il limbo della riflessione su se stessi e sul pro-prio percorso esistenziale, giocato su rocamboleschi

fuori pista e prese di coscienza da motore a scoppio.Siamo nel centro nevralgico ad alta reattività nuclearedi Godzilla (2014) di Gareth Edwards, pellicola di fanta-scienza in cui l’aspetto apocalittico di genere assumevalore documentaristico sfruttando la vena ampia, pul-sante nella terra come ventre simbolico riproduttivo,della metafora della vita nel suo elemento primordiale.L’incipit mostra la prospettiva di un canovaccio del filonecine-catastrofico che si svolge lentamente, in un anda-mento tentacolare che prevede effetti domino e solobrevi pause nella prospettiva dell’osservazione di quelloche è stato. È l’azione ad afferrare il timone del co-mando fin dall’inizio partendo dall’incidente della cen-trale nucleare di Tokyo, dove un potente ed ignotosegnale elettromagnetico disperde la colonia umana, to-talmente all’oscuro dei fermenti di un antico mondo inincubazione nelle profondità della terra. La tragedia siporta dietro il suo strascico di vittime. Ad essere colpito in prima persona è il supervisore sta-tunitense Joe Brody (Bryan Cranston) che perde la mo-glie Sandra (Juliette Binoche), risucchiata nel vestiboloradioattivo dell’incidente, purgatorio simbolico di ungran processo alle intenzioni dell’errore umano. Quindici anni dopo, la verità è una patina che ricoprebuona parte del pianeta riducendolo ad un’immensascacchiera in cui la sfida fra i “mostri” del mondo prei-storico è interpretazione su vasta scala dello scontroumano come marchio del territorio e primarietà del-l’istinto di sopravvivenza. Così la lotta diviene confrontospietato con il riflesso rettiliano delle proprie origini,nella caparbietà delle crisalidi preistoriche dischiuse cheprogettano la nidificazione nel mondo in rovina e laforza primordiale di Godzilla, la creatura che emergedalle profondità dell’oceano come le crisalidi dalla terra,intraprende una lotta che è simbolo di confronto di ele-menti dominanti della creazione e scompare eroica-mente riscattando la furia distruttiva del suo esserenell’eliminazione degli avversari, i M.U.T.O., salvandoin extremis il suo alter ego umano, il tenente FordBrody (Aaron Taylor-Johnson), ripristinando un vecchioequilibrio che ha il sapore del confronto viscerale contutto ciò che si annida nel profondo.

Spagine della domenica n°35- 29 giugno 2014 - anno 2 n.0Cinema

Quando di Daniela Estrafallaces

la terrascotta

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spagine Spagine della domenica n°35- 29 giugno 2014 - anno 2 n.0

copertina Beni culturali

Dopo aver rilanciato il CastelloAragonese di Otranto e aver ac-colto oltre 250 mila visitatori conle mostre di Joan Mirò, Pablo Pi-casso, Salvador Dalì, Andy War-hol e Giorgio de Chirico,

l’Agenzia di Comunicazione Orione di Magliee la Società Cooperativa Sistema Museo diPerugia, con il coordinamento generale di LuigiOrione Amato e la direzione artistica dell’archi-tetto Raffaela Zizzari, lanciano una nuovasfida, in collaborazione con la Cooperativa Ka-lecò. Aprire, per la prima volta al pubblico, dopoanni di chiusura e incuria, il Castello di Gallipoli.Il raggruppamento di imprese ha vinto il bando,fortemente voluto dall'amministrazione comu-nale di Gallipoli e in particolare dal sindacoFrancesco Errico, per mettere in sicurezza,rendere fruibile e gestire l'antico maniero.

Dall’Adriatico allo Jonio la sostanza non cam-bia: competenza, passione, cura dei dettagli, in-novazione, arte ed eventi per riconsegnare agliabitanti, alla Puglia e soprattutto alle centinaiadi migliaia di turisti che ogni anno affollano lacittà bella, un patrimonio da troppi anni nasco-sto. La campagna di comunicazione annuncia: Sichiude un'era. Apre il Castello di Gallipoli.Nelle sale, nei torrioni, nelle gallerie e nei corri-doi troveranno posto mostre e produzioni cultu-rali, uno spazio per iniziative di respirointernazionale. L'apertura al pubblico è prevista da sabato5 luglio (luglio e agosto ore 10-24; settembreore 10-21).

Il castello si erge all'ingresso del borgo antico diGallipoli, città da sempre fortificata e, per la suaposizione strategica, contesa. È circondatoquasi completamente dal mare. Ha pianta qua-drata con torrioni angolari, di cui uno poligonale.

Nei periodi successivi furono effettuati numerosiinterventi di ristrutturazione e fortificazione. I la-vori più importanti vennero progettati dagli Ara-gonesi. Quando il Duca Alfonso di Calabriavenne nel Salento tra il 1491 e il 1492, con-dusse con sé il celebre architetto militare se-nese Francesco di Giorgio Martini e volle chequesti rinnovasse le fortezze salentine secondoi progressi dell'arte della guerra, che tendeva adabbandonare la conformazione quadrilateraereditata dal sistema romano per passare alpentagono. Il senese, non potendo demolire ericostruire ex novo, ideò il “Rivellino” medianteil quale rese di forma pentagonale l’intero ma-niero. Prima dell'Unità d'Italia, quando nel 1857il castello venne radiato dal Novero delle for-tezze del Regno Borbonico, perse la sua fun-zione difensiva, ma mantenne e anzi intensificòla sua funzione civile e soprattutto commerciale.Durante il 1800 divenne deposito di sali e tabac-chi, oltre che sede della Dogana nel 1882 e,successivamente, sede della 17^ Legione dellaGuardia di Finanza.

Nel 2014, in soli sei mesi, è stato reso fruibileun percorso di visita che mira a ricostruire la sto-ria della città e dell’antico maniero, senza alte-rarne il carattere e senza avere la pretesa diessere un restauro integrale del monumentoche richiederebbe ben altre risorse per ritornareagli antichi splendori.

Sino al 28 settembre le sale del Castello ospi-teranno, inoltre, Scatti di cinema, la Puglia alcinema, realizzata da Apulia Film Commissione curata da Daniele Trevisi. Sono passati ap-pena quattro anni dalla prima edizione della mo-stra allestita per la prima volta nel 2010 allaMostra del Cinema di Venezia. Dopo il suc-cesso dell’anteprima veneziana, sono stati di-versi i luoghi che hanno accolto la mostraitinerante, anche fuori dal territorio regionale e

nazionale. In questi quattro anni, grazie ancheal lavoro di Apulia Film Commission, la Pugliaha ospitato numerose produzioni audiovisivenazionali ed internazionali. Ed è per questo chela Fondazione, ha deciso di riproporre un'edi-zione aggiornata della mostra con nuove e ine-dite fotografie di film che si sono avvicendatesul territorio in questi ultimi quattro anni, con unallestimento composto da circa 70 fotografiescattate durante la lavorazione dei film di Ales-sandro Piva, Edoardo Winspeare, Pupi Avati,Sergio Rubini, Mario Martone, Ferzan Ozpetek,Giovanni Veronesi, Daniele Ciprì, Pippo Mezza-pesa, Giacomo Campiotti, Leone Pompucci, Er-manno Olmi, Eugenio Cappuccio. Fotografiescelte con l’idea di mostrare le location, i prota-gonisti e i backstage. La mostra vuole creare,infatti, un viaggio nel territorio pugliese attra-verso le immagini dei film. Un percorso in cuivengono sottolineati tutti gli elementi caratteriz-zanti della Regione: la natura, il mare, le archi-tetture, i colori, i centri storici e la particolareluce che ha sempre incantato i registi di tutto ilmondo.

Emporio di Puglia è il titolo della rassegnadegli eventi collaterali, omaggio alla citazioneche il Vernole utilizza per descrivere l’impor-tanza commerciale e strategica di Gallipoli: “…ove cicalavano ogni dì mille favelle e lingue edialetti, vicini e lontani, italici ed orientali, medi-terranei e nordici…”. La rassegna collaterale of-frirà inconsuete esplorazioni del nostro territoriopugliese, attraverso un ricco programma di mo-stre ed eventi, dall’originale sperimentazionedelle potenzialità della cartapesta di FrancescaCarallo, alla forza materica delle ceramichedella Bottega Vestita, dalla poetica artistica diBeppe Labianca agli incontri d’autore con i re-gisti e gli addetti ai lavori dei film in mostra. Unsusseguirsi di concerti en plein air ma anche la-boratori didattici per grandi e piccini.

“Si chiude un'era.Apre il Castello di Gallipoli”

Da sabato 5 luglio Gli orari: luglio e agosto dalle 10 alle 24;settembre dalle 10 alle 21Philipp Hackert - Porto di Gallipoli 1790