Spagine della domenica 24

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s p a g i n e Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri U n o m a g g i o a l l a s c r i t t u r a i n f i n i t a d i F . S . D ò d a r o e A . V e r r i d e l l a d o m e n i c a 2 4 - 1 3 a p r i l e 2 0 1 4 - a n n o 2 n . 0

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Oggi e domani Marco Baliani è ospite al Teatro Paisiello di Astràgali. Spagine dedica a lui la copertina...

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spagin ePeriodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un om

aggioalla scrittura infinitadi F.S. D

òdaro e A.Verri

della domenica 24 - 13 ap rile 2014 - anno2 n. 0

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Strasburgo, il Parlamento Europeo

Diario politico

Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24

70%È

un errore rile-vante e gra-vissimo quellodi interpretarele elezioni eu-ropee del 25maggio come

una prova del PD di Matteo Ren-zi al Governo del Paese. Il dise-gno politico del giovane fiorenti-no è limitato proprio nella con-cezione del Governo della politi-ca nazionale. Renzi si sente diappartenere al miracolo politicodei Principi d’Italia nel tempodei Medici a Firenze ed ha in Co-simo Medici I il modello di idealepolitico.

Il Presidente Renzi è a PalazzoChigi ma vive invece del fascinodi Palazzo Vecchio fiorentinodelle grandi pitture del Vasari. Ilmodello sindacocentrico della ri-forma del Senato, con la nostal-gia monarchica della nomina dei21 senatori, è la prova della cul-tura del falso riformatore MatteoRenzi.

L’Europa è centrale nel Go-verno dei singoli Paesi: oltre il70% delle leggi infatti sono presedal Governo europeo a Bruxel-les. Ora solo per questo le elezio-ni europee valgono molto, e forsepiù di quelle politiche. Noi le ab-biamo sempre considerate poco,sbagliando, e abbiamo mandatoal Parlamento Europeo o politicispremuti ormai in età di pensio-ne, o politici poco rappresentati-vi, magari fastidiosi, da tenerelontano in esilio dorato dal pro-prio territorio.

Per noi, per il Sud, cominciamolto male questa campagnaelettorale perché perdiamol’Onorevole Paolo De Castro,Presidente della Commissionedell’agricoltura europea, cheaveva lavorato molto bene e mol-to bene aveva fatto per l’agricol-tura meridionale. Come sempregli interessi e la forza del Nord siimpongono, e così l’OnorevolePaolo De Castro viene candidatoal Nord privando l’agricolturadel Meridione di un dirigentemolto esperto valido e competen-

te. L’Europa politica conta mol-to, quindi è decisivo il principiodi mandare a Bruxelles politiciforti preparati e competenti lega-ti al proprio territorio.

La scelta di Elena Gentile, dicandidarsi per Bruxelles, doveportare la sua esperienza dellepolitiche delle disabilità è moltoimportante perché l’Italia è ingrave ritardo rispetto ai Paesieuropei (Germania, Olanda eFrancia) dal momento che noiabbiamo solo ottime leggi sulledisabilità sulla carta ma rimasteperò inapplicate e proprio suquesti temi l’Italia è stata spessosanzionata dall’UE; quindi ab-biamo bisogno di rappresentantiche sappiano portare in Europail problema delle politiche socia-li dell’Italia. Elena Gentile inquesto senso sicuramente è unacertezza di lotta politica.

***Il credito è l’altro problema di

grande importanza. La BCE delprofessore Mario Draghi, degnoallievo dell’economista FedericoCaffè, fissa il costo del denaroallo 0,25% per sostenere l’eco-nomia e facilitare gli investimen-ti. In Germania il costo del dena-ro è del 2% e le imprese per averesoldi dalle banche non devonosudare le sette camicie. In Italiail costo del denaro è del 10%, del13% al Sud. Le imprese per averedenaro fanno molta fatica, da noiinfatti non bastano neanche lesette camicie sudate. Le piccoleimprese o sono inascoltate dallebanche o sono costrette ad averesoldi al tasso vicino all’usura. Ilcosto del denaro è il vero cappioche soffoca l’economia e pena-lizza le imprese più deboli, comequelle piccole.

Questo modello non va;quest’Europa è sbagliata. Labattaglia politica nel nuovo Par-lamento deve convintamente es-sere quella di battersi per avereun costo del denaro uguale pertutti per le imprese grandi e pic-cole senza le attuali differenzetra Paesi poveri e Paesi ricchi.

di Luigi Mangia

La “questione” De Castro e la risorsa Gentile...

La battaglia politica nel nuovo Parlamentodeve convintamente essere quella

di battersi per avere un costo del denaro uguale per tutti

QuelElezioni europee

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zia e della politica. Le controtendenzevirtuose, le lotte per i beni comuni, lebuone pratiche sociali, quelle esistonocertamente, come pure il conflitto so-ciale e la cittadinanza attiva.

L’altro mondo possibile fu lo slo-gan semplice ma non semplicista deimovimenti del decennio trascorso, eoggi deve apparirci un'altra Europapossibile rispetto al modo in cui si staimpantanando oggi la costruzione eu-ropea tra austerity, risorgere dei nazio-nalismi, populismi reattivi, destraestrema.

I dieci punti proposti da Alexis Tsi-pras per la sua candidatura in Europaappaiono semplici ma non semplici-sti, sufficienti a unire forze politiche,sociali e della società civile anche inItalia. Si tratta di aprire uno spazio po-litico comune tra il populismo sguaia-to e reattivo del movimento di Grillo el’avventura di Renzi e dell’ormai

“suo” PD. Non si tratta allora di ricostruire un

partito, ma di aprire uno spazio favo-revole anche alla ripresa di soggettivi-tà di forze della sinistra politica fram-mentate e oscillanti tra subordinazio-ne culturale e tentazione minoritaria eideologica.

Chi coltivava la mistica della “clas-se operaia” nelle sue varie perfomati-vità più o meno immaginarie o quelladel politicismo del partito-dominusoggi non comprende il momento, eironizza sull’agire della sinistra dellasocietà civile quando non cavalcal’antintellettualismo che è invece unpatrimonio storico delle destre e deipopulismi.

L’azione di migliaia di volontariper la raccolta delle firme per la listaAltra Europa con Tsipras ha già apertospazi di visibilità e interesse, e ora siva alla breve e intensa campagna elet-

Il trascorso decenniodei movimenti so-ciali collettivi haavuto con la carova-na delle sessioni delForum Sociale Eu-

ropeo (FSE) l’ambizione di essere co-stituente di spazi comuni e sociali, diriflessioni tematiche sui beni comuni,sul ruolo della cittadinanza attiva edella società civile nell’idea di una de-mocrazia radicale.

Dal FSE di Firenze nel 2002 (a ri-dosso del tragico luglio del 2001 a Ge-nova) a Parigi nel 2003, da Londranel 2004 ad Atene nel 2006, da Mal-mö nel 2008 a Istanbul nel 2010. AdAtene già trovammo, pur prima del-l’irruzione della crisi, un’aspra tensio-ne sociale e incontrammo nell’orga-nizzazione il gruppo greco più attivo,quello che poi fu alla base della co-struzione di Syriza come soggetto po-litico unitario attivo.

I movimenti reali oltre l’andamen-to carsico possono avere pur semprelimiti intrinseci nella loro parzialità,ma è soprattutto l’assalto al cielo dellapolitica che li può lasciare sguarniti esenza sponde nella complessità delconflitto postmoderno. Luciano Galli-no pose già la questione nel suo testoFinanzcapitalismo : come è possibileriformare democraticamente il siste-ma finanziario e “incivilire” la nuovaperformatività del capitale finanziarioglobale? Movimenti come Occupy ocome gli Indignados possono aprirespazi necessari di conflitto, come han-no fatto, ma non possono agire facil-mente su livelli di scala che solo de-mocrazie sovranazionali e soggettivi-tà politiche e sindacali europee e inter-nazionali potrebbero affrontare, népossono formulare facilmente pro-grammi e proposte all’altezza dellacomplessità delle forme della finan-ziarizzazione dell’economia globale.

Oggi le ondate dei movimenti piùgenerosi sono spesso sfiancate dagliesiti della crisi che non è solo econo-mica, vengono messe alla prova dal-l’austerity e si trovano di fronte al pa-radigma neoliberista che si presentacome un dispositivo teologico-econo-mico, un impianto, un sistema, quasiuna forma di macchinazione non di-scutibile e non oltrepassabile.

Eppure non si tratta affatto di uncomplotto attorno a poteri oscuri esenza radici di classe, è sempre beneribadirlo di fronte al neoirrazionali-smo che nega l’economia politica e ilruolo del capitale finanziario globale(ma non per questo saldato in una for-ma-impero di dominio). Né la criticaal neoliberismo può banalizzarsi inuna critica al liberalismo politico inquanto tale o trarre facile sostanza daun’idea socialista ormai tutta da ride-finire né da un modello storicamentefallito o non esistente oggi in quanto astoricità reale.

La stessa tendenza post-democrati-ca è pur sempre una tendenza e nonuna realtà istituzionale di fatto, è an-cora nel lato della crisi della democra-

Lo spazio

di Silverio Tomeo

torale per l’affermazione della listacon un buon risultato oltre la soglia disbarramento. Una campagna giocatasui contenuti riflessivi e le pratiche dicandidati impegnati nei movimenti,nelle associazioni, nel governo locale.Si tratterà un domani non di affrontarela riproduzione impossibile del partitoideologico di massa novecentesco néquella del partito leninista d’avan-guardia, ma semmai una nuova formapolitica che esprima una soggettivitàunitaria seguendo l’esempio e le sug-gestioni della Syriza greca.

Si tratterà di affermare nuove cultu-re politiche e di re-insediare social-mente la sinistra nella sua autonomiaculturale ed organizzativa oltre le fra-gili forme attuali. Senza corto-circuititra le forme diverse di presenza plura-le nel sociale, potremmo anche direnel corpo bio-politico che resiste .

La memoria d’Europa è nella Resi-stenza europea che fu costituente e co-stitutiva e sognò la sua visione nel ma-nifesto di Ventotene, nel confino del-l’isoletta del Tirreno. Le radici veredell’identità europea sono nell’antifa-scismo e nell’antitotalitarismo. Il mo-dello sociale europeo è fiaccato daitrent’anni di neoliberismo, e si trovaoggi di fronte alla prova della lungacrisi sistemica a partire dal 2008.L’area euro-mediterranea è quella chepiù soffre di fronte ai rigori dell’auste-rity, alla formuletta mistica del3%, alruolo improprio e inadeguato dellaBCE, al debito definito “sovrano” einteso come colpa. La necessità di unnuovo New Deal europeo e di una ri-contrattazione e socializzazione deldebito, sono quelle reali che solo ilmutare dei rapporti di forza in Europapotrà garantire, e non certo il ridicoloe catastrofico proposito di uscita uni-laterale dall’euro.

Costituzionalizzare il pareggio dibilancio e accettare il fiscal compact èstato l’errore della formazione italianache ha avuto accesso obtorto collo allafamiglia del socialismo europeo, cosìcome la pratica inconsulta delle largheintese che rischiano di riprodursi inchiave europea. La frettolosità con cuisi affrontano riforme di sistema chemodifichino il quadro costituzionalein chiave decisionista e post-democra-tica completano questa deriva.

La risposta catastrofista è propriadel populismo reattivo e si avvale diun mix osceno di complottismi mone-tari e irrazionalismi vari che hanno laloro genealogia evidente nella rispo-sta reazionaria all’America del NewDeal di Roosevelt e che oggi si riattiz-zano di fronte alla crisi peggiore deldopoguerra. Con il discorso paranoidecome discorso pubblico che pretendedi pensare il potere e i poteri è moltodifficile interloquire, “Poiché il para-noico percepisce il mondo esterno so-lo nella misura corrispondente ai suoiciechi scopi, è capace solo e sempre diripetere il suo sé in maniera alienata”,come scrivevano Adorno e Horkhei-mer nella Dialettica dell’illuminismodel 1947.

per l’altra

La lista di Alexis Tsipras. “Si tratta di aprire uno spaziopolitico comune tra il populismo sguaiato e reattivo del movimento di Grillo e l’avventura di Renzi e dell’ormai “suo” PD”.

pagine n° 2 e 3

Europa

Alexis Tsipras

spagine

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Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24 pagina n°4

Ci sono alcune inge-nuità nel libro direcente pubblicatodal giornalista sta-tunitense, espertodi economia Alan

Friedman, da anni residente in Ita-lia, Ammazziamo il gattopardo(Milano, Rizzoli, 2014). La prima èproprio nel titolo che è poi intenzio-nale. Ma il gattopardo che dovrem-mo ammazzare noi italiani siamonoi stessi. Dunque una sorta di sui-cidio collettivo, dato che è improba-bile che in Italia vi siano non-gatto-pardi disposti ad ammazzare i gatto-pardi; ovvero una guerra di tutticontro tutti, perché tutti pensano chei gattopardi siano sempre gli altri.

La celeberrima frase «dobbiamocambiare tutto perché tutto rimangacom’è» è importante in sé; ma lo sa-rebbe di meno se a pronunciarla nelcelebre romanzo di Tomasi di Lam-pedusa fosse stato il vecchio Princi-pe di Salina. La si sarebbe potutaprendere per la saggezza di un an-ziano aristocratico che ne ha vistetante nella vita. Invece no, la pro-nuncia il nipote, il giovane Tancrediche partecipa ai cambiamenti risor-gimentali con la convinzione che bi-sogna farlo “perché tutto rimangacom’è”.

Si può discutere a lungo sul signi-ficato di una simile filosofia di vita,che, a ben riflettere, non è solo sici-liana, ma di un intero popolo, dalleAlpi al Lilibeo, se non vogliamoproprio riconoscere che è una cate-goria universale. Del resto se vo-gliamo beneficiare del sole e dellaluna, l’eterno stato di cose, dobbia-mo seguirne i percorsi, voltandociora da una parte ora dall’altra.

Passando al piano concreto-esi-stenziale, chi mette a rischio la pro-pria vantaggiosa posizione per cam-biamenti veri ma dagli esiti incerti?E se il cambiamento, in questo casofinto, assicura la conservazione, chinon è disposto a farlo? Non è chel’abbiano capito solo i siciliani; lasicilianità dell’assunto è nella con-sapevolezza e nel dirlo con cinicocompiacimento.

Nel libro di Friedman il gattopar-do è un po’ banalizzato e ridotto allastregua di uno che fa finta di volercambiare per conservare l’inconser-vabile, l’inutile, perfino il dannoso.Oggi in Italia bisogna cambiare, macum grano salis, magari pure con

qualche strappo, ma senza avventa-tezze e gesti demiurgici. Il docu-mento sottoscritto da Zagrebelsky,Rodotà e compagni sulle modalitàgovernative di Renzi per moltiaspetti è condivisibile. Zagrebelskye Rodotà sarebbero i gattopardi eRenzi no? Bisognerebbe piantarlacon le esemplificazioni.

Noi italiani siamo culturalmenteincapaci di operare una vera rivolu-zione – questo è assodato – di più,non riusciamo nemmeno a fare ri-forme radicali e coerenti. E’ un be-ne, è un male? Si può discutere alungo. Siamo come un albero daltronco solido, su cui possiamo inne-stare qualsiasi varietà compatibiledi pianta ma alla fine i nuovi virgultivengono deprivati di linfa dai pollo-ni che rispuntano più in basso sulvecchio tronco e prendono il so-pravvento. Non direi che è un casti-go di Dio o della Natura; dico che

siamo fatti così e che per sopravvi-vere ci dobbiamo regolare di conse-guenza. Come? Come fanno i con-tadini, i quali ripassano a togliere ipolloni per far meglio crescere inuovi virgulti.

Torniamo al libro. L’aspetto piùimportante di questo libro sotto ilprofilo cronachistico e perciò a fu-tura storiografia è quello relativo aFriedman, il quale per la sua autore-volezza scientifica e per l’essereuno straniero, ha goduto di confi-denze che i soggetti interessati nonavrebbero mai fatto ad un giornali-sta italiano; testimonianze che illu-minano ciò che prima si poteva in-tuire, ossia che il passo indietro diBerlusconi e l’incarico a Monti nelnovembre del 2011 fu un piano risa-lente ad almeno cinque mesi prima,qualcosa che i costituzionalisti defi-niscono «forzatura», un’azione bor-derline, che forse è esagerato defini-

Alan Friedman e il gattopardo da ammazzare

Alan Friedman

Perchè tuttore golpe, come altri senza tanti scru-poli hanno detto. Testimonianze delcalibro di De Benedetti, di Prodi e diMonti stesso non lasciano dubbi.Per poco nella rete di Friedman noncascava pure Napolitano, il qualeprudentemente declinò la richiestadi un’intervista.

Testimonianze che chiariscono ivari ruoli, soprattutto quello di Pas-sera, il quale nel documento econo-mico che gli era stato richiesto daNapolitano aveva previsto la patri-moniale, che avrebbe prodotto ot-tantacinque miliardi di euro. Cosa,poi, non accaduta per l’opposizionedi Berlusconi.

Friedman si spoglia dell’osserva-tore scientifico e indossa le armi delcombattente per ammazzare il gat-topardo, proponendo una ricetta indieci punti, che spiega uno per uno.E qui dimostra la sua ingenuità, nontanto perché per ogni punto impor-tante presuppone condizioni che inrealtà non esistono, quanto perchélegge tutto in maniera ottimistica,come se non avesse a che fare conuna realtà complicatissima, come lanostra.

Carattere piuttosto gioviale e di-retto Friedman non nasconde anti-patie e simpatie. Le prime nei con-fronti di D’Alema, di Letta, di Casi-ni, di Alfano, di ex democristiani edex comunisti in genere, nei qualiravvisa i gattopardi; le seconde, an-che se non esplicitate, nei confrontidi Berlusconi e in ultimo di Renzi, acui concede un’apertura di creditofrancamente eccessiva.

Stupisce che un americano, cosìligio alle leggi dello Stato, nulla di-ca sulla posizione quanto menoanomala di Renzi. Che questo gio-vinotto si trovi al potere, in condi-zioni di sostanziale vantaggio per-sonale, senza aver mai superato unaprova elettorale, solo in seguito adun’operazione di partitocrazia de-generata e ridotta a “quattro amicial bar”, a Friedman sembra non in-teressare nulla. Per lui Renzi è comese fosse stato investito dalla più ri-gorosa procedura democratica. A luipensa si debba affidare la spada diSigfrido per ammazzare il drago-gattopardo. Cui Friedman si pregiadi aver dato con questo libro il suocontributo.

di Gigi Montonato

Diario politico

rimanga così...

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La questione èa t t u a l i s s i m a :s u p p o n i a m oche un’aziendaprimaria pro-duca pacema-

ker, e supponiamo che, vistala bontà dei suoi prodotti e lasua capacità imprenditoriale emonopolistica, detenga fettedi mercato immense. L’azien-da in questione avrebbe in-ventato un modello particola-re che riscuote successo mon-diale, per comodità lo chia-meremo KP.

I suoi studi però non si fer-mano, dopo dieci anni dall’ot-timo KP e di prodotti succes-sivi di livello medio basso,contando appunto sul suo mo-nopolio, mette a punto unnuovo sistema, che per como-dità chiameremo 8. Tuttavia,visti i costi del nuovo prodot-to e la bontà del KP, fatica adecollare, mentre il 30% deipazienti al mondo (parliamodi molti milioni di persone)utilizzano ancora il suo KPdecide che dall’otto aprilel’azienda non darà più alcunsupporto tecnico a quel pro-dotto e che nessun’ altraazienda è in grado di fornire. Iportatori di KP cambino epassino al nuovo modello, di-ce l’azienda che potremmochiamare SOFT, altrimenti sa-ranno affaracci loro.tità delprodotto nel mondo, si sa percerto che il 15% degli utiliz-zatori di KP non è al correntedi questo vero e proprio cri-mine.

***Solo ipotesi, nessun Pace

Maker, però Microsoft sta fa-cendo questa porcata con XP,dall’otto aprile non forniscepiù aggiornamenti al 30% deicomputer esistenti al mondo,compresi bamcomat, aziendepiccole e grandi e una marea

Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24

di privati. Chi non vuole subi-re attacchi di hacker passi(pagando) a Windows otto.Solo se il suo computer losupporta però, in moltissimicasi di privati, come il mio,occorre aumentare la ram ecomunque intervenire fisica-mente sul computer, altrimen-ti, dice dolcemente il sito Mi-crosoft, “cambiate computer,ne abbiamo un sacco in offer-ta, vuoi visitare le nostre pa-gine?” Non ho neppure vogliadi rispondere che sto infor-mandomi per passare a Linuxche è completamente gratuito.

La domanda alle Associa-zioni Consumatori è la se-guente:

può un’azienda monopoli-sta fare una simile porcata?

ci sono mezzi per contra-starla?

Non parliamo, per carità, diproblemi etici, questi mono-polisti non consocono altraetica che il guadagno, pecunianon olet e loro non vanno peril sottile, dico di problemi le-gali. Si può lasciare senzasupporto il 30% dei computeral mondo e costringere le per-sone ad acquistarne di nuovicon le semplici, banali paroli-ne: “tutto ha una fine” (sic) ?Se propri otutto deve avere unfine è tempo di abbandonaremicrosoft.... o no?

Lettera aperta alle Associazioni Consumatori

pagina n° 5

Un classicodesktop di XP

Orfanidi Gianni Ferraris

Mondo digitalespagine

di Microsoft

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Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24

Contemporanea

di Marcello Buttazzo

La bellezza del-l’incontro, che èmagia, calore,giorno che simostra. La dol-cezza dell’in-

contro, che è sole alto levato, cie-lo aranciato, conforto che piana-mente procede. Un raggio infinitol’incontro con l’altro, che sciogliela densa e cinerea bruma del cuo-re, che spezza le ferree catenedella noncuranza, aprendo squar-ci d’impreveduto. Scenari di ga-iezza, percorsi d’amore. Stradebattute da uomini e donne, coi gi-nocchi piagati e con l’ingegnoaguzzo, con la speranza immuta-ta, vorticosamente legati nel lu-singare l’attesa. Di qualcosa cheverrà.

In quest’era veloce, iperconsu-mistica, che tutto brucia e consu-ma, a noi uomini all’antica rima-ne il gusto e il piacere di coccola-re lo spazio e il tempo. Lo spaziodell’incontro. Il tempo lento, dialtre civiltà, quello che comunqueabbiamo apprezzato da fanciulli,quando i nostri giochi erano av-volti da un’aura di sogno e sem-bravano non finire mai. È meravi-glioso l’incontro, quello vissuto,ma anche quello narrato.

Quello raccontato da altre per-sone, che stimi e ami per il valore,i carismi, la vita esemplarmentecondotta. Tempo fa, un sacerdotecampano di questa contempora-neità, don Maurizio Patriciello,attivamente impegnato nel de-nunciare ad alta voce le nefandez-ze perpetrate dagli uomini nellacosiddetta Terra dei Fuochi, trat-teggiava mirabilmente, su unquotidiano, l’incontro con Maria,donna malata, incapace di artico-lare parole, conosciuta in parroc-chia. Cosa è la felicità per unadonna sobria del popolo? Nientedi artefatto, di complesso. Mariaera contenta nel condurre nellasua minuscola casetta padre Mau-rizio, il quale era solito scambiarequalche sensazione con la vec-chia madre della donna, immobi-lizzata su una sedia a rotelle. Inquesto triste tempo avvilito, chetende sovente al soddisfacimentodi edonismi iperbolici, una donna

del popolo sa ancora essere com-pagna, sa spezzare il pane del-l’amicizia, della condivisione, sagodere dell’amore disinteressato,che è sguardo che luccica, strettadi mano. Gesù mostra la strada esvela davvero il buon cammino:beati gli ultimi, gli afflitti, i pove-ri.

La vita è, senz’altro, un portosconfinato, che sfugge in parte al-l’analisi razionale: possiamoscandagliare a fondo le nostreidentità, ma fra le pieghe dell’esi-stenza persisteranno sempre trac-ce indefinite di mistero.

Possiamo ripiegarci su noistessi per decodificare il doloreche a volte ci assale, ma capitache dobbiamo alzare bandiera

bianca quando imbocchiamo isentieri dell’indecifrabile. Ci sipuò affidare agli uomini, perchiede aiuto, sollievo. Ci possia-mo rivolgere al Signore, per scor-gere lampi di luce, quel lucoreche non abbiamo. Maria, soffe-rente, povera, malata, riesce aprovare vera contentezza incon-trando un padre spirituale. DonMaurizio Patriciello scrive che“saranno i poveri a salvare ilmondo, perché ancora capaci dimeraviglia e stupore”. Emozionee davvero sbigottimento dell’in-contro. Quello vissuto in primapersona con gli amici e le amichedel cuore. Forse, ciò che ci dà for-za autentica, riconoscimento del-l’individualità, gratuità, solida-

rietà, compartecipazione, è l’altroda sé. Rapportandoci con le per-sone care possiamo imparare adamare, a comprendere, ad esserepiù umili, meno onnipotenti.

Dirompente e sovversiva bel-lezza dell’incontro. In questi ulti-mi giorni, le mie giornate casalin-ghe di letture e meditazioni sonostate lietamente interrotte da trevisite inaspettate e benaccette co-me una grazia di Dio. Giorni fa, èvenuto a trovarmi Tonio, artista efine scultore dell’argilla, animasensibile e pura, francescanod’elezione. Mi ha parlato, tra l’al-tro, rattristato, con trasporto ecommozione, d’un suo amico chevive un difficile periodo. Tonio èun oceano sconfinato d’amore,interloquire con lui è un privile-gio, stempera sempre ogni tristez-za. Alla mia porta ha bussato disorpresa Vito Antonio, poeta pro-fondissimo e sensuale. Vederlod’improvviso è stata una gioiaimmensa.

La sua semplicità e spontaneitàmi affascinano. In lui ritrovo partidi me, lui sa donarmi l’universoche gira e ciò che mi manca.Quello che non ho. Con l’amicaSerena, in questi ultimi giorni,siamo stati assieme ad un eventospeciale, ad un laboratorio artisti-co corale di musica e poesia. Uo-mini e donne straordinari hannosaputo miscelare parole e note pernarrare le storie, per sprimere ilprodigio del sapersi ritrovare conafflato, empatia, cortesia. L’in-contro vissuto. E quello solo im-maginato, solo vagheggiato, desi-derato.

Ultimamente, sogno d’incon-trare per la via una fanciulla diviola, per lasciarmi stupire da lei,per lasciarmi incantare e incate-nare, per cantarle i seguenti versidi Alfonso Gatto: “Trapeli unpo’di verde, il limone, il sifone, ilpiccolo portone della pensione,trapeli il blu, anche tu vestita coltuo nudo rosa, ogni cosa amorosa.Amore è amore, liscio alla sua fo-ce. Un’alpe zuccherina, l’amore èbrina. Che sogno averti vicina,notturna, fresca, sottovoce”.

“La vita è un porto sconfinatoche sfugge all’analisi razionale...”

Un’immagine dalla terra dei fuochi...

La vitapagina n° 6

è incontro

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Poesia - La città e il cambiamento - Per Lecce 2019

spagine

C'è un cambiamento che ti scivola addossoe uno che lento comincia dalle tue radicinasce in te, dal tuo cambiamentoquello più segreto.

C'è un cambiamento a cui ti adeguie uno che fabbrichicon la tua armonia.

C'è un cambiamento che muoresulla punta della linguamuore prima ancora di esseree c'è un cambiamento che arriva come il ventocome soffio, come respiro, come alitoe ci porta insieme lontanospinti da una stessa vela.

Giuseppe Semeraro

Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24 pagina n° 7

I precedenti articoli su “La città e il cambiamento” sono pubblicati su: http://issuu.com/mmmotuspagina 4, Spagine della domenica del 30 marzo 2014,Poesia - La città e il cambiamento,di Ilaria Seclì

pagine 2 e 3, Spagine della domenica del 6 marzo 2014, Poesia - Quando Lecce era periferia di Rudiae di Vito Antonio Conte

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“In grazia di Dio” di Edoardo Winspeare

Edoardo Winspeare fotografato da Cosimo Cortese

Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24

Uno scrittopagina n° 8

polemico

Finalmente sonoriuscito a vederequesto benedet-to – in sensostrettamente let-terale – questo

benedetto film di Edoardo Win-speare – In Grazia di Dio. Leaspettative non sono state delu-se: nel senso che il film è esatta-mente come me l’aspettavo:Cioè un film coraggioso, forte-mente didascalico e strettamenteconnotativo.

Questi non sono evidentemen-te difetti; ma scelte stilisticheben ponderate; come lo stessoautore ha più volte dichiarato.Quindi provocare una discussio-ne sul perché abbia scelto di nonutilizzare un accompagnamentomusicale, o perché abbia sceltodi usare il dialetto di quelle partio perché abbia immaginato il ba-ratto come soluzione plausibileai nostri rapporti commerciali inepoca moderna, è in effetti il fineultimo di questo lavoro.

Perché tali scelte stilistichesono state compiute ponderata-

mente appunto. Perché è un opera che spinge

al confronto, che solleva l’inte-resse della gente e la sprona a fa-re dei ragionamenti diciamo co-sì: contro tendenza.

Quindi questo film induce ilpubblico ad un atteggiamentovalutativo attento. Fatto un po’raro al giorno d’oggi, in quantogeneralmente il pubblico è unesaminatore distratto. E gli inte-ressa solo svagarsi.

In questo modo si può secon-do me dimostrare che EdoardoWinspeare non solo rispetta ilsuo pubblico; non solo sa vera-mente mettere in chiaro le sueidee ( grazie ovviamente all’aiu-to del suo geniale sceneggiatoreAlessandro Valenti); ma ci tieneanche e fortemente a dimostrarela sua onestà intellettuale, la suasincera preoccupazione per quel-lo che accade alla sua gente.

Alla sua gente; questa sua pre-occupazione ha delle caratteristi-che un po’ ambigue, però. Unaambiguità che ha molto a che ve-dere con la figura artistica del

personaggio Winspeare. Quel ti-pico atteggiamento vampirescoun po’ voyeuristico, se voglia-mo, che si ritrova nel teatro.Guardando il film infatti non po-tevo fare a meno di figurarmiEdoardo Winspeare come unaspecie di Harun al-Rashid che abraccetto con il suo visir Jafar (Alessandro Valenti) va in giroper le sue terre a vedere un po’cosa accade fuori dagli splendoridel suo palazzo regale (che oggi,ad onor del vero, è una piccolacasetta in un piccolo paesinosperduto nella campagna salenti-na). E una volta fuori dal suo pa-lazzo si finge – in maniera un po’teatrale appunto – qualcun altro.Qualcuno che va in cerca di sto-rie più vere di quelle che evoca-no le regali sale tra le quali passail giorno. Come giustamente fa-rebbe notare san Giovanni dellaCroce: ogni immaginazione vie-ne dai sensi!

E succede così che Winspearenon si accontenti di trasfonderela realtà in tutto e per tutto – sen-za sentire la necessità di utilizza-

re alcuna metafora – contraria-mente a quello che scrive MauroMarino nell’editoriale di dome-nica scorsa su Spagine.it – tra-sformarla in tutto e per tutto inun realismo tout court. Propo-nendoci inoltre quella sua parti-colare visione un po’ adolescen-ziale: in cui le cose ci sono per-ché non possono mancare. Equindi questo perenne affibbiareai poveri la parte dei poveri. Aiquali non deve essere sufficienteessere poveri come lo si può es-sere oggi, ma bisogna togliereloro anche la luce elettrica e an-che – per esigenze della produ-zione esecutiva naturalmente –sbatterli in un fondo il più lonta-no possibile dal paese in pienoinverno e a maniche corte. Manon solo: bisogna spingerli al-l’oratorio e fargli spalare unatonnellata di merda per concima-re mezz’ettaro di terra. Insom-ma: non solo poveri, ma nel Set-tecento: al tempo dei feudi!

Una visione spiacevolmenteun po’ monarchica in cui il giocodelle parti resta invariato se nonaddirittura – paradossalmente èovvio – capovolto. Donde i po-veri si sentano ricchi per un pez-zetto di terra sotto la luna incan-tatrice e i ricchi si sentano piùonesti per essere riusciti final-mente a comprendere i problemidei loro miserabili concittadini.Quelli che solo da pochi decennisono i loro concittadini.

In definitiva: Winspeare non ècerto uno di quei tipici intellet-tuali del sud che sono da semprestati il cancro della nostra terra eche in più di un’occasione l’han-no scambiata per una cattedra inparlamento. Egli la ama sincera-mente come ho detto, seppur diun amore platonico. Il suo para-dosso sarà stato presumibilmen-te quello di aver voluto essere ungrande fuorilegge. E non essen-doci riuscito ha trasformatoquello che un tempo fu per i suoiavi il gabinete de fisica in unacasa di produzione cinematogra-fica.

di Andrea Cariglia

Cinema

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Appuntazzi Gianluca Costantini con Piero Manzoni

Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24 pagina n° 9

spagi ne

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Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24

idiomi, non meno nostri, però. Cero-netti da dotto e avveduto è capaced’ascoltare, d’esplorare i meandri dellastoria della medicina. Sentenzia condecisione, scruta civiltà vicine e lonta-ne, prende nota dei miracoli e delle il-lusioni della filosofia. Un libro perso-nalissimo, che ci fa meditare e sognare.

***Prendo spunto da ciò per raccontare

un piccolo aneddoto accaduto pochianni fa in un piccolo paesello nostrano,simile per certi versi alla Brescello di“Don Camillo e Peppone” di Guare-schi.

Tutto avvenne nel mese di maggio.Prima domenica di maggio: sul palco,eretto nella piazza principale del villag-gio, il Sindaco, affiancato da alcunirappresentanti della giunta, difendevale ragioni che lo avevano indotto adavallare il progetto per la costruzioned’un sottopasso ove transitare veicoli epersone, che sostituiva ed annullava difatto il passaggio a livello tradizionale,

divenuto ormai, a suo avviso, obsoletoe pericoloso.

Dopo il discorso egli non concessela parola alle opposizioni che scalpita-vano a gran voce nell’esprimere il lorodissenso. La giunta comunale scesa dalpalco fu preda degli attacchi di questiultimi; a difesa del primo cittadino edel suo seguito si posero i compagnibaffoni e per placare l’animo in tempe-sta di altri facinorosi a gambe levatepartirono i gendarmi; tutto ciò sottol’occhio vigile del comandante dellapolizia locale che si era posto, intelli-gentemente, nel punto più alto dellapiazza, dominando la scena coi suoisoliti e fedeli occhiali scuri Ray-Ban,anche di sera. Bollenti spiriti e linguag-gi osceni ormai infervoravano l’am-biente. A fermare l’ira funesta fu l’op-portunità concessa alle opposizioni didecantare le ragioni del loro disappun-to la domenica appresso.

***E venne l’altro dì di festa: seconda

domenica di maggio. Dalle opposizioni dunque, così urla-

va un uomo dal palco… allarmando eproteggendo dal giorno funesto i corpidegli astanti, per scongiurare la possi-bilità che tale progetto potesse materia-lizzarsi. Egli si dibatteva e quasi mori-va e attorno a loro riversava acute lesue grida… A concludere l’incontro ilsuo collega che, profittando dell’acca-duto,si ergeva a paladino della difesaedichiarava la sua candidatura a primocittadino alle vicine elezioni. Il lorospot era: “Il sottopasso non sa da fa”!

Poveri, poveri e pallidi individucci,che non credono che è tempo perso.Vedranno svanire le loro idee, portatevia dal corso delle cose, così che solo lespine possono levarsi… col pretestoch’è sera. Non resteranno certo nottianniversarie queste… ma solo stupidisguardi assenti e stanchi dei corpi rima-sti dei manifestanti. Noi si preferiva ri-guardar le stelle. «Ma don Gino do-v’era?» mi chiedeva Francesca. Già, il

«Niente rivela meglio il nostro decadimento quanto lo spettacolo

di una farmacia: tutti i rimedi desi-derabili per ogni nostro male, ma nes-

suno per il male essenziale, quello

da cui nessuna invenzione umana ci potrà guarire»

Da Il funesto demiurgo di Emil Cioran

Basta coi ministridell’ambiente e le lo-ro sanatorie; bastacon gli ambientalistie la loro tutela e ri-spetto dell’ambiente;

basta con la new economy o net econo-my legata alla diffusione delle tecnolo-gie informatiche e digitali: causa solodi bolle speculative e conseguente crisiglobale; basta con la green economy,l’economia circolare (cosiddetta) e lavendita a Km 0; basta con l’innovazio-ne, la raccolta differenziata, la riqualifi-cazione, la bonifica…; basta coi mini-stri dello sviluppo economico con inuovi modelli teorici di sviluppo eco-sostenibile; basta con le energie alter-native: pale eoliche e pannelli solari,che hanno inquinato il territorio conl’illusione di pulirlo e i foresi ne hannotratto solo guadagno; basta con le stra-de giuste per ridare fiato al pianeta.

Basta con tutto! Sotto-sviluppiamoci… torniamo al-

la terra.Ognuno dovrebbe avere dentro di sé

il proprio sotto-sviluppo, la propria‘povertà’, altrimenti non si è uomini, siè solo pappataci. Dico basta prima dicominciare, di quello che mai fu e maisarà. La verità è che stiamo affondandoe non siamo neanche capaci di precipi-tare con dignità. Questo è il fatto! Pro-viamo solo paura, come i bambini ap-pena nati. Ora ci fanno nascere nell’ac-qua per imparare a navigare. Ma è tuttoinutile, che ci possiamo fare… Non ab-biamo vissuto con un grado elevato,perché dovremmo aspettarcelo in fine?

«Dice un vecchio medico: “La salu-te è uno stato precario dell’uomo, chenon promette niente di buono”» scriveGuido Ceronetti in un suo aforisma.Guido (insignito due anni fa del premio“Inquieto dell’anno”), amico di EmilCioran al quale scrisse la prefazione diSquartamento definendo lo scrittorerumeno-francese “squartatore miseri-cordioso”, ebbe a dire che «L’uomonon può cambiare, né prendere un’altrastrada; può soltanto finire male», e an-cora «L’ottimismo è come l’ossido dicarbonio: uccide lasciando sui cadaveriun’impronta di rosa». Guido Ceronetti,filosofo, scrittore e aforista italiano nelsuo Il silenzio del corpo (materiali perlo studio di medicina, 1979) traccia leopinioni da lui raccolte per anni intornoal tema del corpo, che lo appassionava.Il corpo come enigma che risveglia unaimbattibile curiosità.

L’ostacolo nasce dal «silenzio delcorpo»: un silenzio che esprime altri

di Antonio Zoretti

ambientale

zzzzz Stiamo affondando e non siamo neanche capaci di precipitare con dignità

La cultura

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pagine n° 10 e 11

***Anche la terza domenica di marzo

fu dedicata al disagio… un altro, meri-torio di critiche e foriero di catastrofiambientali.

Questo settimo giorno della terzadomenica di maggio fu dedicato allaBiomassa. «No, la biomassa no» urla-vano i contrari. «Ma ce vo’, ce vo’…(ci vuole)» ululavano i pretendenti,«basta che sia a norma» aggiungevano.«Ma a norma de ccenne? Te li muertitoi e de’ nonnuta, ma ane e mueri cci-su… ma varda quistu… ah oh…»sbraitavano gli altri.

Stavolta, maggioranza ed opposi-zione in comune accordo e in totale as-senso si ponevano contro la costruzio-ne d’una centrale del genere che sareb-be dovuta sorgere in un agro vicino alloro feudo. Inoltrarono pertanto un sit-in di protesta e una marcia corteo perraggiungere il luogo destinato all’ope-razione. Affratellati avanzavano sta-volta, in procinto d’indebolire la vana

promessa dell’altrui sponda che garan-tiva l’assoluta mancanza di rischio am-bientale dell’impianto.

Ma io pensavo con tristezza: «Ilmaggior disastro che era in atto in quelmomento era discuterne nel mesedimaggio. Maggio è un mese di festa, labella stagione s’appressa e s’appresta,è il mese delle rose… tutto fiorisce etutto si tace, dal freddo si esce per ritro-var l’estate, tutto s’ammanta d’un cal-do vorace.

A Firenze hanno il Maggio musicalefiorentino, a Lecce il Maggio musicalesalentino, a noi del paesello (simile aBrescello) è toccato il Maggio rigor-mortis. Ma se siamo già morti da tem-po, morti dentro, nell’animo, a zombieci hanno ridotti, abbiam perso l’entu-siasmo. Danni notevoli ci hanno causa-to: danni etici, estetici, morali, d’ognitipo… Codesto borgo che prima splen-deva di luce e colori ora è divenuto unluogo tetro, sinistro, quasi un cimitero,o forse peggio poiché almeno nella ‘di-mora dei defunti’ provi una emozione,qui non senti niente, è come essere inun deserto, e di sera è ancora peggio: ècoperto dal coprifuoco, si ritirano in ca-sa a un’ora prestabilita, non impostama convenuta dai cittadini. Pare di es-sere nel medioevo, quando un segnalead una determinata ora della sera impo-neva di spegnere fuochi o lumi a fiam-ma libera per evitare incendi notturni.Persone prive di volontà come di vo-gliaabitano il paesaggio, e senza carat-tere sono diventate; stazionano per unbreve intervallo sui marciapiedi delcentro, come fanno i carcerati durantel’ora d’aria a loro concessa, per nonimpazzire, per rientrare poi nelle lorocelle. E non evadono neanche né tenta-no di farlo,eludono solo la vita, sfuggo-no, si sottraggono gli anni e perisconodei loro affanni. Insomma, non è rima-sto proprio niente. Questo ambienteadesso vogliono salvaguardarlo.Mah!».

Al ritorno del corteo un docente uni-versitario, salito sul solito palco, anno-tava i rischi sulla nostra salute in segui-to alla realizzazione d’una centrale abiomassa. Emissario di morte, lui sì,più della centrale! Ambasciatori di sal-vezza, anime belle, inviati a protegger inostri malanni e a prevenir i nostri gua-sti. Ma… a veder e ascoltar codestegenti… io mi sentivo, paradossalmen-te, più oppresso e più male stavo.

Erano essi la pioggia del malanno!Erano come i flebotomi: più gravi e

infausti della malattia stessa, se non ci

curiamo di loro adeguatamente, deipredicatori di morte. Loro si sopporta-no male, la loro laboriosità è fuga e vo-lontà di dimenticare loro stessi. Se cre-dessero di più alla vita, si abbandone-rebbero meno all’attimo. Ma non han-no in loro abbastanza contenuto per at-tendere – nemmeno per la pigrizia.Dappertutto risuona la voce di coloroche predicano la morte: e la terra è pie-na di gente a cui si deve predicare lamorte. Che si affrettino, però, a trapas-sare. «Quello che mi interessa, quandoguardo qualcuno e dipingo, è nel-l’aspetto esteriore la morte che lavoradentro di lui», dicevaquel dublinesemaledetto, pittore esistenziale ai limitidella patologia estetica, maestro dellade-figurazione o della deformità: Fran-cis Bacon, che concepì una spietataanalisi della condizione umana. Il suo èun movimento interiore che cancella ilriconoscimento delle persone ritratteper riprodurre il loro divenire animalisotto forma di umanità.

Francesca mi sollevò la mente e conalcuni inni mi parlò d’amore: Gaudeo,ergo sum. Oggi, purtroppo, viviamo inun’epoca inadeguata e privilegiamo laletteratura del negativo, dell’incubo,della disperazione… Io e Francescavogliamo essere i cantori della felicitàdi esistere e per questo forse non siamoamati dai lamentosi cori del disagioche loro provoca essere al mondo…che se non ne avessero di disagi se liprocurerebbero, morti e negativi chenon sono altro. Meglio se non fosseromai nati.«Vi scongiuro fratelli, rimane-te fedeli alla terra e non credete a quelliche vi parlano di sovra terrene speran-ze! Lo sappiano o no: costoro esercita-no il veneficio. Dispregiatori della vitaessi sono, moribondi e avvelenati essistessi, hanno stancato la terra: possanoscomparire» (Così parlo ZarathustraF. Nietzsche).

Per fortuna nell’ultima domenica dimaggio i signori del disagio socialemarcato e parlato preferirono starsenezitti… e ci toccò solo guardare la bellaSerena che, anche se un po’ scema,aveva sempre un bel sorriso da mostra-re insieme al suo fondoschiena che po-tevamo ammirare: il più bel profilo delvillaggio. L’adorammo in quell’istante.

La favoletta relativa alla dannazioneterrena inflitta alla gente, colpevole so-lo di essere nata… oltre che falsa e stu-pida non ha un bel niente d’ecceziona-le. Disordinata e confusa davvero. So-no solo linguacce biforcute nella varia-zione perpetua di qualsiasi mancanzadi vita, presente e in divenire. Noi sia-mo quello che ci fa vivere… da persempre… e per sempre… e differiamola morte. Noi si vive appena loro hannosmesso di parlare… illudendosi di es-sere in un discorso; loro non sono nullae non sanno nulla, non ci appartengo-no, quando credono di dire… sono det-ti. La loro arroganza discorsiva edenergica è subito frustrata, e dal mo-mento che non sono loro dicenti ad ar-gomentare in voce ciò che gli passa perla mente… così come non sono… pos-sono solo dire niente. Vorrei chiuderecome ho aperto, un incipit è di per sé lafine. Dice un vecchio medico: “La sa-lute è uno stato precario dell’uomo, chenon promette niente di buono”.

parroco del paese. Ah, ecco, capimmo:più intento a controllar i restauri appe-na ultimati nella chiesa madre egli era,e a riguardar i lavori di mantenimentostatico ed estetico egli stava; insomma,a riconsegnarinfineal suo decoro e de-cor l’alto tempio impegnato. Più rivol-to, quindi, alle anime devote che agliatei e miscredenti che invadevano lepiazze coi loro problemi terreni e con-tingenti. Più incline al suono dellecampane per richiamar il suo greggeera teso, piuttosto che ai laceranti urli edisturbi lanciati dai contendenti… Tan-to che proprio sul finir del comizio (co-me nel film di Brescello) s’ode nei cieliun forte scampanellar: din don dan -din don dan - din don Gin. Ed è cosìche l’alba sonante annunciava dall’al-to… lasciando in terra al tragico desti-no le furbastre contese che mai s’addi-tano al viver sereno. Di sereno inquell’istante c’era solo un nome: Sere-na, una dolce fanciulla che pascolava ilsuo cane.

Sopra: Emil CioranA sinistra: Will McBrideOverpopulation, 1969Museo Ludwig Colonia

spagine

ambientale

Stiamo affondando e non siamo neanche capaci di precipitare con dignità

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Angelo Ricciardo(1618 – 1706, cir-ca), scultore lec-cese, potrebbe es-sere l'autore del-l'altare di san-

t'Oronzo (FIG.1) nella Matrice diSalice Salentino (provincia diLecce, Arcidiocesi di Brindisi).

Che la cultura figurativa baroc-ca fosse ricca lo si sapeva, che leforme di quel modo di espressioneche definiamo barocco, appunto,fossero molte e inaspettate era al-trettanto noto.

A tutto questo “sapere comunee diffuso” sembra sfuggire, però,la figura di uno degli scultori piùattivi (come sta evidenziando laricerca) di quest'epoca: AngeloRicciardo amico e forse addirittu-ra una sorta di “Virgilio”, di guidaformale nella fase di formazione,quella iniziatica potremmo dire,del certamente più celebre e cele-brato Giuseppe Zimbalo (Lecce,1620 1710).

Fino a qualche anno fa A. Ric-ciardo era noto semplicementeper due sue opere in quanto auto-grafe ovvero la risistemazione delcortile del palazzo Brancaccio inRuffano (Lecce) e l'autografo al-tare dedicato a san Nicola, patro-no di Salve (Lecce).

Nel considerare analiticamenteanche gli altri altari realizzati daquesto scultore leccese - come adesempio quello (laterali dell'inte-ra cappella inclusi) dedicato asanto Stefano nella chiesa leccesedi santa Irene - ciò che colpisce èla deformazione dei loro elementifigurativi; è come se, per un mo-mento (e cioè quella particolarefrazione della vita dell'osservato-re in cui il suo tempo è scanditodalla visione dell'opera), rappre-sentare un volto in modo apparen-temente deforme fosse, per l'arti-sta, una necessità impellente, ad-dirittura più reale del reale. E' unrinunciare alla realtà, alla sua rap-presentazione fedele? E' un erro-re? Probabilmente sì, secondo al-cuni. Secondo altri, invece, soloun modo diverso di vedere la real-tà stessa, le sue forme e le sue fi-gure.

Non è da escludere che l'accen-tuazione di certi tratti somatici(fino ai limiti della smorfia para-dossalmente) come potrebbero es-sere le muscolature, le guance, gliocchi stessi, scaturisca dalla ne-cessità scenografica di sottolinea-re i giochi d'ombra e di luce cheun tempo, nelle chiese, così comenei teatri, illuminate in modo na-turale oppure solo con le fiammedi candele e lampade, svolgevanoun ruolo determinante nel rappor-to che il fedele aveva con l'”epifa-nia del sacro” (di cui l'altare è unostrumento, un mezzo).

Era forse questo uno dei modiper “mettere in scena il Sacro”che operando su un doppio piano,l'uno formale e l'altro religioso,riusciva a coinvolgere emotiva-mente il credente. Per meglio per-

Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24 pagina n° 13

di Fabio A. Grasso

L’arte di costruire la città Angelo Ricciardo l’iniziatore di Giuseppe Zimbalo

Elogio

Tale opera recherebbe inciso l'an-no ipotetico della sua realizzazio-ne, il 1640 con ogni probabilità(la scialbatura crea qualche diffi-coltà di lettura nell'ultima cifra).

Quest'opera, forse proprio per-ché la più datata delle altre note eidentificate fino ad ora come det-to, rivelerebbe la caratteristica ap-pena evidenziata, ovvero quelladelle accentuazioni di forma e

ombra. Utile, ai fini della comprensio-

ne della poetica formale di A. Ric-ciardo, sarebbe trovare nuoveopere altrettanto antiche (se nondi più) come pure interessante sa-rebbe trovare un disegno realizza-to dall'artista e ciò giusto percomprendere quale fosse il livellodi trasposizione delle forme nelpassaggio dal disegno all'opera,quanto in sostanza del disegno ri-maneva nella realizzazione scol-pita, quale la sua traduzione, qua-le il suo tradimento, quale, infine,l'uso delle ombre. Una ipotesi, aquesto proposito, non sembri az-zardato avanzare, quanto menoperché sia ulteriormente indagata,la rappresentazione del Sacro (edi quanto a esso connesso) nonsembra passare esclusivamenteper la cruna di un approccio arti-stico improntato al realismo figu-rativo più stretto e ortodosso.L'altare di sant'Oronzo, qui attri-buito per via stilistica ossia attra-verso confronti con le opere certedello scultore leccese, è il secon-do della navata destra entrandonella Matrice di Salice. Anche inquesto caso il tempo degli uomini(e questi ultimi soprattutto) ha la-sciato segni estranei al contestoformale dell'opera originale: lamensa (circa metà Settecento) conil suo ripiano superiore e il taber-nacolo (questi ultimi due di fattu-ra ancora più recente). Lo stessoapparato scultoreo originale inol-tre è stato oggetto di diverse scial-bature che hanno finito con l'atte-nuare, in particolare, i segni scol-piti delle figure.

I caratteri distintivi dell'arte diA. Ricciardo, così come accade incerte pergamene cancellate a for-za per poterle riutilizzare, sono ri-conoscibili, però, in filigrana eancora una volta grazie alla luce(questa volta radente). Alcuni ele-menti, come ad esempio le figureche popolano i piedistalli, la tra-beazione, le paraste o le stessedue uniche colonne tortili, ritor-nano simili a quelli presenti nellealtre opere dell'artista leccese (quinon ci si riferisce solo alle auto-grafe, due come detto, ma anche aquelle, circa 40, che nel frattempol'indagine storica e la catalogazio-ne adesso in corso hanno identifi-cato). L'articolazione spaziale, sipassi questo termine, è semplicenel senso che l'altare è costituitoda due colonne tortili e paraste(tutte su piedistalli) che sostengo-no a loro volta una trabeazionemodanata e riccamente decoratacon motivi vegetali e figure difantasia. Nella parte alta la com-posizione è chiusa al centro dallarappresentazione scolpita ricca-mente dello stemma (Fig. 3, un al-bero piantato in terra attorno alcui tronco si attorciglia la “S”, al-lusiva plausibilmente del nomedella città “Salice”) della città,probabile committente dell'altare.A conclusione di tale analisi (par-te di una indagine più ampia ades-

cepire quest'opera scultorea, cosìcome altre simili, l'ideale sarebbe,parafrasando in un certo sensoLeonardo da Vinci, esplorarnel'essere in vita delle sue forme at-traverso quella delle ombre pro-dotte da una fiamma.

L'altare più antico attualmentenoto di A. Ricciardo risulta esserequello del Rosario (Fig. 2) che ènella chiesa brindisina del Cristo.

dell'ombra

Fig. Altare di Sant’Oronzo nella chiesa matrice di Salice Salentino

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Da Lupo Editorei versi di Antonio Sabetta

dedicati al Salento

Poesia

Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24 pagina n°13

Mondanitàdi Paolo Vincenti

Il paesaggio sa-lentino o, permeglio dire,l’elegia delp a e s a g g i omuove l’ispi-

razione poetica di Antonio Sa-betta in questo libro “Mondani-tà”, pubblicato con Lupo Edito-re.

Antonio Sabetta, che consi-dera la poesia “catarsi dell’ani-ma” contro le umane brutture,ha già pubblicato “Florilegio”(ex-ed Radar Sei) nel 1992 equesta raccolta fa parte del-l’ampio materiale inedito di cuil’autore dispone. Egli infatti di-spensa le sue poesie in tutte leoccasioni , letterarie e amicali,in cui ne abbia modo, a voltecogliendo di sorpresa il suo in-terlocutore benevolmente “co-stretto” ad ascoltare l’improv-visata lettura dei suoi versi.

Filo conduttore della presen-te silloge poetica è l’amore peril Salento, che si svolge nellavisione estatica delle sue albe edei suoi tramonti, delle sue pie-tre, di quell’amniotico silenziodella sua campagna solitaria,del profumo della zagara e del-la castagna, del bianco volo deigabbiani sul ceruleo mare , delcolore dei melograni, il tuttoaccarezzato dal tocco invisibiledi Dio. Infatti, l’altra tematicache sostanzia le liriche di Sa-betta è la sua fede cristiana equel sentimento di gratitudinenei confronti del Divino Artefi-ce al quale si è rivolto con ac-centi di più pura devozione inprecedenti raccolte poetiche. I

l Salento, nella sua figura-zione mitica, viene trasposto inuna edenica visione che sconfi-nerebbe nel naif se non fossesostenuta da una discreta pa-dronanza dei mezzi tecnico-espressivi. E questo Salento,iconizzato nei comignoli fu-manti di case biancheggiantidalle semplici geometrie, nelsasso levigato dall’acqua deltorrente, nel fico d’india dallafaccia spinosa e nei nodosi uli-vi, insomma in quei connotatiarchetipici ( e forse ormai abu-

sati) che contrassegnano la no-stra terra, questo Salento, dice-vo, viene contrapposto,- em-blematico il titolo della raccol-ta, “Mondanità”-, nei suoi va-lori più autentici e nella purez-za primeva del suo paesaggio,alla mefitica civiltà degli anniduemila.

Il mondo contadino, pastora-le, di un Salento perduto, dicontro alla società supertecno-logica di questi anni sbandati.Un empito di accorata nostal-gia alimenta le sue accensioniliriche e l’amore per la natura,con la quale egli intesse un dia-logo quasi amoroso, lo portaad una forma di panismo, di co-munione con il tutto intorno,che è anche difesa dal male im-perante, rimedio alla solitudi-ne e al mal di vivere. Inoltre, infiligrana, si può avvertire unsenso della storia e del fluiremillenario delle vicende umanedi questo popolo salentino dicui l’autore si sente aedo, epicocantore.

Sicuramente influenzato daQuasimodo in certe felici de-scrizioni del paesaggio meri-dionale del poeta siciliano, vi-cino per toni e accenti al crepu-scolarismo, Sabetta può peròessere inquadrato in quel filonedella lettarutura salentina la cuipresenza, pur lontana dalla sen-sibilità di chi scrive, è apprez-zabile e confortante.

so in corso) andrebbe rilevato unaspetto che accomuna questo alta-re agli altri presenti nella stessaMatrice. Tale edificio subì, infat-ti, una serie di trasformazioni si-gnificative per via di un primo ri-facimento avvenuto nella secondametà del 17° secolo e poi a segui-to del terremoto del 20 febbraio1743.

Non è da escludere quindi chel'altare detto oggi di sant'Oronzofosse presente già nella vecchiachiesa e con altro titolo. Lascian-do per il momento la parola al-l'analisi architettonica, o meglio,ai muri (e loro parti) che spesso“raccontano la verità” al pari (e

anche di più a volte) dei docu-menti, si rileva che l'architrave(nella trabeazione è la parte infe-riore, quella cioè che, in questocaso, poggia direttamente sulledue colonne tortili) è stata tagliatain parte per inserirci a forza lemodanature decorate, pure lapi-dee, che fanno da cornice attual-mente al dipinto con la rappresen-tazione del noto patrono di Lecce.

***Un particolare ringraziamento

ha chi ha reso possibile questa in-dagine ovvero l'Arcidiocesi diBrindisi nonché il prof. GiacomoCarito.

Fig.2 Altare del Rosario chiesa del Cristo a Brindisi

Fig.3 Altare di sant’Oronzo, particolare

spagine

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Il culto e la festa dei SS. Apostoli Filippo e Giacomo, Patroni di Diso Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24

Racconti salentini

no e il buon uomo dichiarò espressa-mente di voler procurarsi e pagare ilbiglietto a nome e beneficio del pic-colo.

Fu proprio quel tagliando, il fortu-nato estratto e, all’atto della consegnadell’autovettura in palio, l’anzianofece presente che il veicolo, comepromesso, era destinato al nipotino:limiti o debolezze della società con-temporanea, anche in seno alla fami-glia, la decisione diede luogo ad ac-cese reazioni da parte degli altri figli,sedate e respinte con non poca fatica.

Per Pasqua, i membri della com-missione passano di casa in casa perraccogliere le “uova dei Santi” o, inmancanza di galline e pollai, una cor-rispondente offerta in denaro, mini-mo cinque euro.

Agli inizi di ogni anno, appaiono,poi, i calendari con le effigie dei Pa-troni e, nuovamente, via a raggranel-lare offerte.

Ancora, una volta il mese, ciascu-na famiglia si vede recapitare una bu-sta per i Santi: la voce sparsa in giro, èdi riempirla con un minimo di ventieuro.

La domenica mattina, in piazza,non manca mai la mitica cassetta e,pure in questo caso, se uno non vi de-pone almeno cinque euro, finisce conessere fatto oggetto di “mormorazio-ne”, comportamento non certo cri-stianissimo, ma…così vanno le cose.

Nocciolo duro dell’opera del Co-mitato, la raccolta delle sottoscrizioninominative di ciascun nucleo fami-liare: si va da 70 a 100 o 150 euro aduscio.

Ultimo corollario di entrate, sisvolge la raccolta di quantità di granodai produttori e di olio, nei frantoi,dai molitori “particolari”, derrate en-trambe destinate alla monetizzazio-ne.

Sembra uno scherzo, invece il re-perimento fondi e risorse è veramen-te impegnativo, si pensi che il paeseconta appena più di 1000 abitanti e ilbudget della spesa complessiva per lafesta si aggira intorno ai 250.000 eu-ro.

Non di rado, per far quadrare iconti, i membri del Comitato sonoportati o costretti a una speciale auto-tassazione personale.

Nel giorno dell’evento, il 1° mag-

Le celebrazioni espres-samente dedicate aiSS. Apostoli Filippoe Giacomo, Patroni diDiso, hanno inizio il21 aprile con il nove-

nario.Di buon mattino, a cura e opera del

Parroco e dei priori, questi ultimi in-tesi come i principali esponenti delcomitato festa, le statue di legno deiSanti sono prelevate dalle nicchie ri-cavate nelle pareti interne della chie-sa, “spogliate”, ossia senza gli orna-menti delle corone e delle insegne(croce e asta), e poggiate su uno scan-no in prossimità dell’altare.

In quella fase, il luogo è quasi aporte chiuse, in pratica vuoto, l’azio-ne si svolge in un misterioso silenzio,ammantato di riservatezza e di esclu-siva.

Il prete e i priori allestiscono, nelconsueto angolo del tempio, a sinistraguardando l’altare, il baldacchino o“tosello” in pesante tessuto rosso;quindi prendono, dalle custodie di si-curezza, le anzidette insegne in ar-gento e le reliquie dei Santi, ponen-dole addosso ai rispettivi simulacri,in gergo “vestono” le statue.

Contemporaneamente, i rintocchidelle campane fanno giungere allapopolazione l’atteso, immancabile eimmutabile avviso.

Fino a qualche decennio fa, la gen-te era colta dall’annuncio, quandogià, dopo la sveglia all’alba secondole antiche abitudini dei contadini, sitrovava da un pezzo intenta al lavoro;dunque, lasciando di colpo arnesi eoccupazioni, accorreva di buona le-na, a passo affrettato, direttamentedalla campagna verso la chiesa.

Adesso, invece, nella quotidianitàe particolarmente il giorno 21 aprile,nessuno si reca nei campi, anzi le per-sone si preparano in casa, in un certosenso con abiti di festa, per l’evento.

In tutta la comunità, sembra chesia rimasta solo un’anziana donna, laquale non ha cambiato le usanze eraggiunge la parrocchia così come sitrova.

Con il luogo sacro ormai gremitodi fedeli, il parroco e i priori introniz-zano le statue sul baldacchino.

Nel tardo pomeriggio, in piccolaprocessione, dalla congrega (cappel-la) della confraternita si preleva il si-mulacro in cartapesta della MadonnaImmacolata - qui conosciuta comeMadonna dell’Uragano, giacché laVergine, stando alla tradizione, tenneindenne Diso da un devastante even-to atmosferico - e lo si colloca, in par-rocchia, sotto il baldacchino, in mez-zo ai due Santi Patroni.

Durante il novenario, la sera sonoinvitati a tenere la predica (omelia), aturno, i parroci dei paese vicini, con

una dedica, un’intenzione, una finali-tà, un argomento ogni giorno diffe-rente: per la famiglia, gli emigranti, idevoti ai Santi, i bambini e via dicen-do.

***Intervallo di natura esteriore o ci-

vile: dal 1° marzo iniziano ad afflui-re, a bordo di enormi camion, i “pa-li”, ossia gli addobbi, le luminarieche adorneranno le principali vie epiazze, comprendenti la maestosacassa armonica, sotto la cui cupolaprenderanno posto e si esibiranno lebande musicali. In genere, salvo chela ricorrenza non cada troppo bassa,per Pasqua, tale apparato deve essere“piantato”, ossia sostanzialmentemesso a dimora e pronto.

Restando sotto l’aspetto “civile”,l’anima ispiratrice e organizzatrice eil motore propulsore dei festeggia-menti s’identificano con il Comitato:un gruppo di persone che “si metto-no” o “escono” volontariamente e la-

vorano sodo pressoché durante l’in-tero arco dell’anno.

Così, per citare, ecco alcune attivi-tà del comitato.

Organizzazione e allestimento diriffe - in palio ricchi premi, financheun’autovettura -, con attuazione delprogetto e vendita dei biglietti nonsolo nell’ambito del paese, ma purecoinvolgendo mercati e fiere delle lo-calità vicine, portando materialmentein giro, qua e là, sino alla fiera di S.Rocco a Torrepaduli, il premio finale,ad esempio l’autovettura, e ciò permeglio e concretamente allettare e in-vogliare il pubblico all’acquisto deitagliandi. L’estrazione avviene di so-lito la vigilia della festa, cioè il 30aprile.

Un piccolo ma autentico episodio“a latere” della riffa in questione. Unanno, alla fiera di S. Rocco, compròun biglietto un signore d’età avanza-ta, originario di Andrano, che recavacon sé, aggrappato al collo, un nipoti-

I santi nosciLe fotografie che illustrano la paginasono di Domenico Ferrovecchio http://vociecoloridelsud.blogspot.it

Particolare del busto di San Filippo

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gio verso le otto, sul sagrato dellaparrocchia si svolge l’asta per aggiu-dicarsi e portare a spalla le stanghedei Santi: i devoti che offrono di più(si parla di centinaia d’euro a testa)allacciano alla rispettiva estremitàdelle “stanghe” (solide barre di legnoinfilate alla base delle statue) un “na-strino” a colori personalizzato. Atten-zione, però, l’aggiudicazione inizialenon è per niente definitiva, durante laprocessione chiunque ha il diritto diavvicinarsi alle stanghe, chiederequanto è stato pagato dal portatore“a” o “b” e, al caso, dichiararsi dispo-nibile a versare una somma maggio-re, che, se non ulteriormente rilancia-ta, gli dà titolo per divenire, da quelmomento, il portatore della statua deiSanti.

Ovviamente, il dovuto per le stan-ghe è pagato al termine della proces-sione.

*** Inizia, muovendo dalla chiesa, la

processione, verso le 9 – 9.30 e termi-na intorno alle 13.00 – 13.30: un in-tervallo così lungo, giacché è com-prensivo della sosta dei Santi, abi-tualmente in Largo Municipio, perdue ore, due ore e mezzo, la parente-si, cioè, che è occupata dallo sparodei fuochi pirotecnici, sino a tre oquattro batterie per opera di altrettan-ti fuochisti. Un’interminabile esibi-zione, un festival di botti che si com-pie rigorosamente di giorno – e nondi sera come sarebbe consigliato per ipiù spettacolari effetti luminosi deigiochi sotto le tenebre – che mandanoin sollucchero gli amatori, i quali ap-prezzano e giudicano la valentia degliartificieri in base all’armonia, laddo-ve si tratta piuttosto di deflagrazioniassordanti, delle “carcasse” e dei“carcassuni” e alle sequenze dei cre-pitii segnati da catenelle e grappoli dipiccole nubi artificiali.

Talvolta, e in diverse occasioni, hasuscitato controversie siffatta sostalaica dei Santi Patroni e del corteo, invarie riprese il vescovo diocesano hacercato di impedirla, ma “il popolo”non ne ha voluto sapere.

In qualche circostanza, è addirittu-ra intervenuto un improvviso rove-scio di pioggia, ma, anche in tal eve-nienza, i Santi sono stati fermamentetrattenuti in sosta all’aperto, a ba-

pagine n° 14 e15 spagine

mo, ha il volto liscio, ma, soprattutto,è contraddistinto da un’altra caratteri-stica identitaria: gli occhi grandi, ap-pena rivolti verso l’alto, che lascianoegualmente trasparire uno sguardoche prende, riempie, colpisce e lasciaammirato l’osservatore: nessuno, av-vicinandosi al simulacro, riesce asfuggire, a restare fuori campo, ri-spetto al particolare.

Le donne, specialmente, rimango-no incantate, s’innamorano di quegliocchi, ne metabolizzano la luminosi-tà e la profondità, non e’ azzardatopensare che, quelle in età feconda, ar-rivino a sognarne, prefigurarne diuguali per le creature che si troveran-no a generare.

Notazione collegata o meno allariflessione o supposizione di cui so-pra, sono numerose, a Diso e anche aMarittima, le persone con occhi gran-di e scuri, chissà se “figlie ideali espirituali di S. Giacomo”.

In tale novero, allo scrivente è age-volmente dato di porre, a riferimento,la propria mamma, purtroppo manca-ta da quarantacinque anni, una sorellae due nipoti. E non è per nulla dettoche si tratti esclusivamente di mera ebanale suggestione.

I Patroni di Diso, SS. Filippo eGiacomo, vantano, ovviamente, cor-renti e poli di culto religioso e di de-vozione in molteplici località nelmondo. Fra i centri e i siti di venera-zione, merita di essere ricordata laBasilica dei XII Apostoli nell’omoni-ma piazza di Roma, che è una dellechiese “titolari” della capitale, vale adire intestata a un cardinale: attual-mente, il titolo è detenuto dal Card.Angelo Scola, Arcivescovo di Mila-no.

Alcuni anni fa, su iniziativa delparroco di Diso, le reliquie degliApostoli Filippo e Giacomo custoditenella Città Eterna arrivarono e sosta-rono per un certo periodo nel paesino.E fu solennità grande.

In chiusura delle presenti note,piace e sembra giusto all’autore porrein evidenza che il parroco pro tempo-re di Diso, il reverendo don AdelinoMartella, si trova da oltre un venten-nio alla guida della comunità e, a par-te le sue preclari doti e qualità di pre-dicatore, di studioso e di scrittore (piùrecenti volumi pubblicati, ”Il miraco-lo e i miracoli dei Santi di Diso” e“Giovanni Paolo II, il Grande”),nell’ambito della sua opera e dedizio-ne in veste di Pastore , si è particolar-mente distinto per l’impegno profusoai fini di importanti lavori di restaurodella chiesa e dei tesori nella stessacontenuti, chiesa che, attualmente, sipresenta, senza esagerazione, allastregua di un prezioso gioiello.

di Rocco Boccadamo

gnarsi, non si è minimamente datoascolto alla proposta di qualcuno diporli al riparo al coperto. Osservazio-ne del Comitato: “In fondo, l’acqua,l’hanno voluta Loro e adesso se latengono”.

Fede, credo religioso o, al contra-rio, un piccolo rigurgito di supersti-zione?

Sia come sia, la processione è mol-to nutrita, affollata, vi partecipanovarie migliaia di persone, del posto edi numerosi paesi contermini. E’composta, diciamo pariteticamente,ma forse sono prevalenti i secondi, dafedeli che giungono in visita e cam-minano dietro ai Santi Apostoli e dapatiti dei fuochi pirotecnici e delle lu-minarie.

In base alla leggenda o tradizione,i simulacri dei Santi di Diso, local-mente appellati e amati come i “Santinosci”, approdarono in zona via ma-re, a bordo di un battello improvvisa-mente paratosi all’imbocco dell’inse-

natura “Acquaviva” di Marittima.Tentarono di accostarsi al natante,con l’intento di prelevare le statue,sia gruppi di marinai di Castro, siaabitanti di Marittima, ma invano,giacché, di fronte ai loro tentativi, ilnaviglio prendeva ad allontanarsi e abeccheggiare sospinto dalle onde.Solamente all’arrivo di gruppi di fe-deli di Diso, l’operazione riuscì.

Si formò un corteo con i due simu-lacri, il percorso dall’Acquaviva aDiso non era brevissimo e, prima diguadagnare la méta, fu necessariauna breve sosta in una campagna si-tuata fra Castro, Vignacastrisi e Diso:a ricordo di ciò, in quel posto si edifi-cò una minuscola cappella, esistenteancora oggi, denominata “cappid-druzza”.

***Dei due Santi Patroni, Filippo è

quello con il volto incorniciato dauna robusta barba.

Invece, il secondo, ovvero Giaco-

Particolare del busto di San Giacomo

Il culto e la festa dei SS. Apostoli Filippo e Giacomo, Patroni di Diso

I santi nosci

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Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24

Letture

Con la pubblicazionedel suo “Benvenutia Cipìernola, ovveroDon Fefè e Ciccillocoinvolti nell’intri-cata vicenda della

gatta immobile Brici, la lotta di clas-se, la sacra reliquia di Sant’AntonioAbate e la cacciata del Satanasso Ga-sparotto”, Giuse Alemanno aggiungeuna nuova puntata alla saga che vedecome protagonisti Don Fefè e gli abi-tanti di Cipìernola, paese immagina-rio di quella parte di Salento cono-sciuta come Terra d’Arneo.

***L’autore ci aveva già abituati, con

l’altro romanzo, all’utilizzo di titolidal sapore wertmulleriano, che appa-iono come degli omaggi ad una dellemaestre meridionali del cinema italia-no. Ma a ben vedere è tutta la narra-zione di Alemanno che riprende dellaRegista di “Mimì metallurgico feritonell'onore” la passione per la tradizio-ne della maschera all’italiana, con ilgusto per il barocco, il grottesco o perla descrizione fortemente dissacrato-ria di tic, vizi e virtù di personaggi,che lentamente, con lo scorrere dellepagine, sfumano, lasciando il prosce-nio all’impegno politico e sociale del-l’autore.

***In questo romanzo, le intricate vi-

cende di Cipìernola si svolgono in pa-rallelo ad un fatto realmente accadu-to, che la stampa dell’epoca chiameràla “rivolta dell’uva”.

Tra il 1956 e 1957, a causa delcrollo del prezzo dell’uva da vino,che da 4500 passò a 2000 lire il quin-tale, le province di Lecce e Brindisifurono teatro di dure proteste da partedegli agricoltori e delle popolazioniridotte alla fame. Manifestazionispontanee e blocchi stradali si verifi-carono soprattutto nei paesi di Tor-chiarolo, San Pietro Vernotico, Celli-no San Marco e San Donaci, dove, il9 settembre 1957, il commissarioLuigi Ratemi insieme a 25 agenti del-la scorta uccise tre giovani del posto,Luciano Valentini, Mario Calò e An-tonia Carignano, quest’ultima rag-giunta da un proiettile vagante sullasoglia della propria casa.

***Il crollo del prezzo dell’uva ebbe

diverse cause, non ultime la specula-zione dei compratori del Nord Italia,l’inerzia del governo democristianoZoli, che ignorò le soluzioni alla crisiproposte dal Partito Comunista, el’ottusità dei ministri all’Agricoltura,Emilio Colombo, e dell’Interno Tam-broni, che lo stesso giorno in cui av-venne l’assassinio dei tre manifestan-ti inviò un telegramma con cui solle-citava i Prefetti di Puglia, Basilicata eCalabria a vigilare al fine di evitarequalsiasi turbamento all’ordine pub-blico, e invitava a stroncare sul nasce-

re ogni forma di protesta popolare.Per ulteriori approfondimenti su

questi fatti che avvennero nel Salen-to, rimandiamo il lettore al volume“La guerra del vino” , Manni Editori,di Alfredo Polito e Valentina Pennet-ta, realizzato in collaborazione con“Promo Culture” e l’”Istituto per laStoria dell’Antifascismo e dell’Italiacontemporanea”, diretto da Vito An-tonio Leuzzi, e all’altro loro progetto“De Vino Veritas”, il cui blog(www.laguerradelvino.it) contieneun’esauriente documentazione sul-l’intera vicenda.

Così, quando la protesta per il ri-basso del prezzo dell’uva inizia amontare anche tra i contadini di Ci-pìernola, nel romanzo fanno capolinopersonaggi come l’Onorevole Giu-seppe Calasso e la moglie CristinaConchiglia, realmente impegnati inquella stagione di lotte in difesa deicontadini, invitati dalla locale sezionedel Pci a tenere un pubblico comizionella piazza principale del paese.

E non diversamente da quello cheaccadde in quegli anni in altri paesi aridosso delle province di Lecce eBrindisi, anche la locale stazione dipubblica sicurezza di Cipìernola, fuinvitata dal Prefetto a tenere alto lostato d’allerta; anzi, siccome il ri-schio di una sommossa era molto ele-vato fu mandato a supporto l’energi-co e reazionario sub commissarioprefettizio Marcone, sempre prontoall’uso della forza per reprimere qual-siasi forma di protesta popolare.

Personaggio, quest’ultimo, che

sembra essere ispirato ad un altro per-sonaggio realmente esistito: il com-missario Stefano Magrone; artefice,tra il capodanno del 1950 e il gennaiodel ’52, di una dura repressione aidanni dei contadini che occupavanole terre incolte dell’agro dell’Arneo;descritto in quegli anni da VittorioBodini come “un grosso bubbone sul-l'incrocio delle tre province che for-mano il Salento: Lecce, Brindisi e Ta-ranto. Ma dei 42.000 ettari che occu-pa e che sottrae alla vita delle popola-zioni, la parte maggiore, e per disgra-zia la più deserta, la più ispida e privad'acqua, di comunicazioni e di ognialtro segno umano che non siano icartelli di caccia riservata”.

L’occupazione delle terre d’Arneosi concluse, come dicevamo, con unadura repressione ai danni dei contadi-ni e con la distruzione, come rappre-saglia delle forze dell’ordine, dellebiciclette dei contadini, in molti casiunico mezzo di sostentamento, indi-spensabile per raggiunge le terre dalavorare.

In una situazione sociale, insom-ma, che si fa sempre più tesa, dove èpronta ad esplodere la rabbia dei con-tadini sobillati dal giovane comunistaRocco Carone, la cui forzata astinen-za sessuale alimentava non poco ilsuo fervore politico, a Cipìernola sisvolgono le vicende di don Fefè, delservitore Ciccilo e di quell’umanitàche ruota intorno al palazzo Torreg-giani Cimboli.

I fatti narrati sono consequenziali aquelli presentati nel primo romanzo

della saga, e vedono Don Fefè insie-me al fedele Ciccilo, costretti a pren-dere il treno alla volta di Parigi. Quiad attenderli c’è il vecchio zio Leone,ormai alla fine dei suoi giorni, chepreoccupato per l’incapacità di unDon Fefè, troppo preso dai piaceridella carne, a dare un degno erede al-la stirpe dei Torreggiani-Cimboli, de-cide finalmente di rivelare a Cicciloquali fossero le sue vere origini, affi-dandogli le speranze per il prolunga-mento del buon nome della famiglia.

Ciccillo, nato e cresciuto a palazzo,da sempre fedele servitore di Don Fe-fè, figlio di Lionora, una serva, e dipadre ignoto, scopre di essere il figliosegreto di uno zio materno del suo pa-drone e proprietario, soprattutto, diun ingente patrimonio. Questo gli fa-rà ribaltare completamente il suopunto di vista del mondo, passandoda quello “della malota”, tipico chi ècostretto a vedere tutto dal basso, aquello “della rondine", che alzandosiin volo può guardare più da vicino ilcielo.

Nel periodo di assenza dei due, lavita del palazzo è sconvolta dall’arri-vo della gatta Brice, affidata dalla le-gittima proprietaria, costretta ad un ri-covero ospedaliero, alle cure delle in-servienti.

La gatta diventa l’epicentro di unoscottante caso di credenza popolarequando decide di passare tutto il tem-po della sua permanenza a palazzo làdove si dice ci fosse stato un quadrodi Sant’ Antonio Abate - unica iconasacra che mai avesse varcato la sogliadel palazzo - che un bel giorno dimolti anni addietro, inspiegabilmen-te, prese fuoco.

Intorno allo strano comportamentodell’animale si creano nel paese dueopinioni differenti e contrastanti,quella di chi ritiene la gatta una crea-tura demoniaca, latrice di sventura; equella di chi la considera con benevo-lenza, ritenendo il comportamentodella gatta come una sorta di riveren-za nei confronti del Santo protettoredegli animali.

Quando la situazione è ormai sulpunto di precipitare in un vero e pro-prio scontro tra diverse fazioni: trachi è pro e chi è contro la gatta; tracontadini, aizzati dal giovane comu-nista Rocco Carone, e forze dell’ordi-ne pronte alla repressione dei torbi-di,… finalmente ritorna a casa la pro-prietaria della gatta, nonché amantedi Carone.

Riprendendosi la gatta e dando alfocoso Carone altre più amorevoli oc-cupazioni rispetto a quelle propriedella rivendicazione proletaria, la si-tuazione nel paese di Cipìernola len-tamente torna alla sua normalità, al-meno fino alla prossima puntata dellasaga.

D’amore e di rivolta di Alessandro Vincenti

Giuse Alemanno con Amelì Liana Lasaponara

Benvenuti a Cipìernola... di Giuse Alemanno, Città Futura Edizioni

pagina n° 16

La copertina del libro

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pagina n° 17

MMSarteInaugurato il 24 marzo il nuovo percorso di poesia visuale

rivolto ai bambini di quattro classi della Scuola Primaria Leonardo Da Vinci di Cavallino e Castromediano a cura di Monica Marzano

Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24

La piccola Maya rac-conta l'Amicizia co-me qualcosa di cosìimportante, preziosoe speciale da essereparagonata alla stella

più bella che brilla nel cosmo e chenon solo è un piacere da ammirarema essenziale luce soprattutto quan-do vediamo tutto nero e buio intornoa noi, un Amicizia Faro ancor più lu-cente semmai riuscissimo a far di-

ventare amico perfino il nostro peg-gior nemico.

Fantastico il disegno del piccoloStefano: ha rappresentato e materia-lizzato la metafora dell'Amicizia co-me un'enorme stella che illumina

sorridente il cielo notturno, un gran-de abbraccio a cinque punte che alle-gramente volteggia nel cielo diffon-dendo quel senso di pace e complicitàche solo i veri amici possono ottene-re.

Per Martina il Ri-spetto non haconfini ed è l'unicoprincipio necessa-rio affinché tutti ipopoli possano vi-

vere sereni...Martina ha intuito che comun-

que alla base di ogni forma di ri-spetto ci deve essere quel senti-mento reale che è l'Amore, essen-ziale per vivere tutti insieme e

quei cuori che brillano di taleemozione sono la vera catena chetiene unite tutte le genti del mon-do.

Col suo disegno, la piccola Gre-ta, ha ben colto il profondo pen-

siero di Martina. Ecco allora uncolorato girotondo e il mondoche, con i suoi grandi occhi e lasua bocca materna, sorride beatoa cotanta unione.

Art-icoliamo senza barriere

spagine

Disegno di Greta, testo di Martina Monte

Disegno di Stefano, testo di Maja Pinto

La galleria dei lavori della precedente edizione è su www.mmsarte.com

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Lecce, 13 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 24

Copertina

pagina n° 18

“Tanti anni fa in Ger-mania viveva un uo-mo di nome Ko-hlhaas…”. Iniziacosì l’affascinanteracconto di Marco

Baliani, che sarà ospite al Teatro Pai-siello all’interno della stagione diAstragali Teatro “Scene del Deside-rio” con due importanti spettacoli,“Kohlhaas” e “Tracce” e un incontro.

Gli appuntamenti rientrano nellaResidenza Artistica di Astragali all’interno del progetto Teatri Abitati del-la Regione Puglia in collaborazionecon il Teatro Pubblico Pugliese e ilComune di Lecce.

***Domenica 13 aprile, alle 21.00, lo

spettacolo Kohlhaas.Il lavoro scritto insieme a Remo

Rostagno è tratto da "Michael Ko-hlhaas" di Heinrich von Kleist e narrala storia realmente accaduta, nellaGermania del 1500, di un mercante dicavalli, vittima della corruzione do-minante della giustizia statale. La spi-rale di violenza generata dal soprusosubito dal protagonista offre lo spuntoper una riflessione sulla questionedella giustizia e sulle conseguenzemorali che la reazione dell'individuoall'ingiustizia può comportare.

Eccezionalmente per la replica diLecce, gli spettatori che hanno assi-stito a Kohlhaas la sera del 13, avran-no la possibilità di partecipare nellamattinata di lunedì 14 aprile, alle10.00, Teatro Paisiello, ad una lezio-ne sullo spettacolo tenuta dallo stessoBaliani)

L'appuntamento con il teatro diBaliani, continua lunedì 14 aprile apartire dalle 19.00.

Marco Baliani per la rassegna “Scene del Desiderio” di Astragalicon gli spettacoli “Kohlhaas” (il 13 aprile) e “Tracce” (il 14 aprile)e il libro “Occasioni” al Teatro Paisiello

TEATRO

Scarpa rossa con copione - Una fotografia di Pippo Affinito

Marco Baliani in una fotografia di Mario Spositoe la copertina del libro edito da Rizzoli

spagine

Il regista e attore dialogherà con ilpubblico e presenterà il libro L'occa-sione (ed.Rizzoli) mentre alle 21.00presenterà lo spettacolo "Tracce".

Ispirato all’omonima raccolta diaforismi e parabole di Ernst Bloch, illavoro è un racconto "diluito" il cui fi-lo conduttore è rappresentato da quat-tro parole: "Stupore", "Incantamen-to", "Infanzia" e "Racconto".

Ogni parola è protagonista di unanarrazione ricca di ricordi, pensieried emozioni personali, ma anche dicitazioni letterarie (oltre allo stessoBloch, anche Rilke, Benjamin, Chat-win…) e di scelte musicali affini eevocative: Bjork, Sainko, John Lurie,e, nella tredicesima puntata, l’unicobrano non strumentale: La cattivastrada di Fabrizio De André.

Ingresso 10 euroRiduzioni per studenti universitarifino ad esaurimento dei biglietti inconvenzione Adisu e tesserati Zei.

Info e prenotazioni:0832 306194, 320 9168440

La Compagnia Teatro di Ateneo ai Cantieri Teatrali Koreja

Martedì 15 aprile, al-le 21.00, presso iCantieri TeatraliKoreja a Lecce, siterrà la prima di “H.H., la confessione

di un vedovo di razza bianca”, dellaCompagnia Teatro di Ateneo, per laregia di Aldo Augieri. Il testo è trattodal romanzo “Lolita” di Vladimir Na-bokov.

***“Lolita” è uno dei romanzi più co-

nosciuti del Novecento, è qui che siraccontano le vicende del professorHumbert Humbert (‘il vedovo di raz-za bianca’), grande fonte di ispirazio-ne per molti artisti. Aldo Augieri, conla Compagnia “Teatro di Ateneo”, hadeciso di partire da questo romanzoper dare vita a uno spettacolo intenso,dove la scrittura si fa corpo partecipa-to, realtà fanciullina che aspetta unavoce, gioco del ritmo e abisso della

melodia.“H. H. la confessione di un vedovo

di razza bianca” porta in scena il la-voro svolto da Aldo Augieri con gliattori provenienti dai laboratori con-dotti dalla Compagnia Teatro di Ate-neo.

Complice della piece, sarà il dirot-tamento linguistico del desiderio, loscandalo del ritmo, a partire da un ro-manzo erotico, “Lolita”, dove non c’èuna sola scena di sesso.

Nella serata la presentazione di Ti-tania: una nuova collana di EdizioniMilella dedicata alla riscrittura sceni-ca e diretta da Aldo Augieri. Il primovolume della collana, che sarà dispo-nibile in anteprima ai Cantieri Teatra-li Koreja, si intitola “Le bagatelle diLady Macbeth. Da Shakespeare a Cé-line” di Aldo Augieri (traduzione diAntonio Mosca).

Info: 327.3973263