Spagine della domenica 61 0

28
sp agin e Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0 Non sentite l'odore del fumo Auschwitz sta figliando Le più grandi risorse erano la speranza e la dignità. Chi si rassegna, muore prima. Non so se i giovani hanno appreso. Se ci si lascia chiudere, terrorizzare se ci si lascia cristallizzare si diventa una cosa gli altri ci diventano cose. Molti ancora non sanno: Auschwitz è tra noi, è in noi. Non so se i giovani sanno in ogni parte del mondo: non c'è rivoluzione se si trattano gli uomini come sassi, ai giovani occorre l'esperienza creativa di un mondo nuovo davvero. Ad Auschwitz ci torno volentieri. mi da la misura dei fatti. Danilo Dolci

description

La copertina è dedicata alla Giornata della Memoria con una poesia di Danilo Dolci. Il trasformismo della politica italiana in un articolo di Gigi Montonato e poi “l’Altro” per Gigi Mangia, Marcello Buttazzo e Ada Manfreda. Silverio Tomeo sull’ultimo libro di Franco Cassano e Ada Donno per “Gramsci e il femminile”. “Una favola, ma non troppo” da Carlo Stasi per la Giornata della Memoria. La libertà delle parole per Giuliana Coppola. L’abecedario di Costantini e Marzioni è alla lettere “Liscio”. “Accade in città” è per Ilaria Seclì che racconta il Fondo Verri e Tiziana Buccarella che racconta i Polacchi. Una lettera di Massimo Grecuccio a Carlo Michele Schirinzi su “I resti di Bisanzio”. Sebastiano Leotta per un libro sulla Grande Guerra. Un corsivo di Gianni Ferraris sulla cucina ai tempi di masterchef. Il libro di Francesco Pasca recensito da Gianluca Garrapa. L’asino di Paolo Vincenti per l’Osceno del villaggio. La musica di Scarda da Alessandra Margiotta. Un reportage sui bambini a

Transcript of Spagine della domenica 61 0

Page 1: Spagine della domenica 61 0

spaginePeriodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0

Non sentite l'odore del fumo Auschwitz sta figliando

Le più grandi risorseerano la speranza e la dignità.Chi si rassegna, muore prima.

Non so se i giovani hanno appreso.Se ci si lascia chiudere, terrorizzare

se ci si lascia cristallizzaresi diventa una cosa

gli altri ci diventano cose.

Molti ancora non sanno:Auschwitz è tra noi, è in noi.

Non so se i giovani sannoin ogni parte del mondo:

non c'è rivoluzione se si trattano gli uomini come sassi,ai giovani occorre

l'esperienza creativa di un mondonuovo davvero.

Ad Auschwitz ci torno volentieri.mi da la misura dei fatti.

Danilo Dolci

Page 2: Spagine della domenica 61 0

spagine

Allegri trasformismidi Gigi Montonato

Il trasformismo, malattia endemicadella politica italiana, è stato sempreargomento di studio da parte di poli-tologi, storici e politici più virtuosi.Oggi non lo è da meno rispetto alpassato. Quel che cambia è che

mentre prima era considerato unanime-mente un vizio o una necessità, cui si fa-ceva ricorso nella consapevolezza dicompiere comunque un’azione poco com-mendevole, oggi lo si considera un modocome un altro di stare in politica. Tanto perla semplice constatazione che non ci sonopiù i partiti, non ci sono più le ideologie;tutto è più liquido. E questo è un altroaspetto della grave crisi morale – anzi, pre-ferisco dire culturale – che stiamo attraver-sando.Come si fa a non dare ragione alla frondadem, capeggiata dallo storico MiguelGotor, che si ribella al più allegro e sfac-ciato trasformismo di Renzi? Come si fa anon dare ragione alla fronda forzista, ca-peggiata da Raffaele Fitto, che si rivoltacontro il più cinico e arrogante trasformi-smo di Berlusconi? Già, come si fa? Ep-pure si fa, si deve fare. Perché esse sonole due ridotte, dalle quali respingere gli as-salti sconsiderati di politici geneticamentetrasformati, che sarebbe già più dignitosoconsiderare venduti anziché stupidi e inca-paci di collocarsi in un cammino di civiltàpolitica. Fossero venduti, infatti, starebberoancora nelle categorie tradizionali e sa-rebbe poco male; sono, invece, convintiassertori di nuove categorie, ancorché nonancora definite. Ma quali? Sono figli del vuoto lasciato dalla borghe-sia. Secondo una lettura sociologica diGiuseppe De Rita. «Il vuoto borghese halentamente trascinato la società italianaverso una deriva antropologica, caratteriz-zata da pulsioni individuali, anche le piùsfrenate, interessi personali o di singola ca-tegoria sempre più frammentati» (L’eclissidella borghesia). Sono figli del nulla, orfanidelle tanto vituperate ideologie, cachielli difacile e vuota parlantina, maturati nellescuole della didattica modulare, priva di lo-gica consequenziale, di ordine temporale,di finalizzazione di un gesto, di un’idea, diuna proposta. Sono sconosciuti in cerca di

tutto ciò che li possa far conoscere. Sem-pre De Rita scrive: «Una prova empirica,ma molto indicativa, del fenomeno del-l’eclissi borghese la si può ricavare par-tendo da uno sguardo attento alle liste deicandidati durante le elezioni… migliaia dinomi di aspiranti consiglieri, tutti scono-sciuti. Non sappiamo se cercano pubbli-cità, potere, affari». Sappiamo sappiamo! Cercano tutte questecose; e se ce l’hanno, non le vogliono per-dere. Sia i renziani che i berlusconiani sonocapaci di fare colazione, pranzo e cena abase di gnocchi chiodati pur di essere ri-candidati alle prossime elezioni. Nonhanno altro di più importante, di più digni-toso. Sono come i cosiddetti “cornuti con-tenti” di una volta, i quali, pur di averequalche beneficio dal signore del paese odi non perderlo se già ce l’avevano, eranocapaci di prostituire moglie e figlie. Per il presidente del Pd Matteo Orfini, ren-ziano dell’ultima o della penultima ora –faccia lui! – è perfettamente normale cheuna trentina di senatori del Pd, renitentiall’adesione cieca alla proposta del loro se-gretario premier, di questo nuovo feudata-rio, venga sostituita, per far passare lalegge elettorale, da una trentina del partitodi opposizione guidato da un altro feuda-tario, un uomo che per la vergogna delpaese è ancora in auge, dopo non solo enon tanto le condanne della magistratura,ma lo schifo dei suoi comportamenti pub-blici e privati. Con quella sua faccia di co-spiratore ottocentesco Orfini ha il coraggiodi dichiarare: si è sempre detto che per leriforme istituzionali non contano maggio-ranza e opposizione, e nel momento in cuiciò accade si grida allo scandalo. Come sesi trattasse del principio dei vasi comuni-canti in versione politica: posti due partiticomunicanti è normale che si verifichi unpassaggio di liquami, pardon di liquidi, po-litici ad un unico livello.E in Forza Italia, non vanno tutti in brodo digiuggiole i berlusconiani, che si mastur-bano all’idea che Berlusconi sia tornato alcentro del dibattito politico? Come se il fineultimo del loro impegno politico sia il ritornodi Berlusconi, il suo pieno recupero politico,la sua restituzione a nuove porcherie!

Il vuoto lasciato dalla borghesia per certiaspetti è causa ed effetto insieme della tra-sformazione antropologica di cui parla DeRita. C’è una deriva assai più complicata egrave, che ha diverse altre cause. Lo statodella politica italiana dipende sì dai cattiviesempi degli anni passati, dalla corruzionediffusa, che fu quasi sul punto di avere unsuo statuto; ma anche dall’impotenza poli-tica di cambiare il corso di questa slavinadevastante, così la chiamò agli inizi deglianni Novanta il politologo socialista Lu-ciano Cafagna (La grande slavina. L’Italiaverso la crisi della democrazia). L’altro grande vuoto è la perdita nazionaledi sovranità, seguita dalla convinzione cheormai nulla dipende dalla nostra volontà,dal nostro impegno. E’ la conseguenza delnostro essere ormai sottomessi a dei poterisovranazionali che ci impediscono di pen-sare, di riflettere e di agire secondo pro-spettive, di avere dei sogni politici darealizzare. Quando tutt’intorno non ci sonoche muraglie insormontabili, che si chia-mano Europa e globalizzazione, a cui si èaggiunto il terrorismo islamico, che ci tienetutti in ambasce, come si può aspirare aqualcosa? Nella condizione in cui non sihanno più sogni da realizzare, mete daraggiungere, prospettive, subentra unasorta di spleen politico che annichilisce. Al-lora monta il sommerso. Così emergono ifurbi, gli spregiudicati, i Girella del Giusti,quelli che facilmente perdono “la bussolae l’alfabeto”, o i senza memoria storica, idepurati da ogni forma di ideologia. Quantirenziani e berlusconiani non sono ricono-scibili nelle categorie citate? Direi moltis-simi.Per tornare alle ragioni di quelle minoranzeche non ci stanno a svendersi, ad acco-darsi alle mutazioni genetiche che hannoaggredito la politica di questi ultimi ven-t’anni, devono prendere atto che vanno in-contro alla sorte dei perdenti, di quelli, che,pur avendo ragione, sono sconfitti e morti-ficati dalla congiura dei tempi. Non è uncaso che sia nel Pd che in Forza Italia i dis-sidenti gridano, urlano, minacciano, ma poiregolarmente stanno al loro posto. Comead aspettare che passi l’eduardiana nuttatao, magari, che arrivi Godot.

Page 3: Spagine della domenica 61 0

della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0diario politico

La via per superare il con-flitto la troviamo nel vocabo-lario. L’attentato e la mortedei giornalisti contro il setti-manale satirico “Charlie”pone nella sua gravità, di

violenza, di rifiuto, di lotta estrema, il con-flitto della civiltà islamica verso la civiltàoccidentale e ai suoi valori. Il tema è ilconflitto, la misura l’uccisione dei trediciragazzi iracheni colpevoli di aver visto intelevisione la partita di calcio della nazio-nale. Isis, Califfato, Jihad, Sharia, Corano deiSalafiti sono parole che si muovono in unfiume nero e quindi risultano per noioscure ed incomprensibili. Siamo dentro il conflitto; lo sentiamo vi-cino, percepiamo il pericolo: ci sfugge laconoscenza, siamo smarriti e viviamonella paura.Sentiamo di avere un grande bisogno diconoscenza delle parole del conflitto peressere facilitati nella via della cono-scenza delle culture d’oriente e d’occi-dente. Pensiamo di fare questa esperienzanello spirito dei versi del poeta CounteeCullen “Camminare insieme”:

“Tenendosi per mano, attraversano la via,il ragazzo negro e il bianco,il dorato splendore del giorno,l’orgoglio scuro della notte.Dalla finestra socchiusa la gente negra guardae qui la gente bianca mormora,indignata per questi due che osanocamminare insieme.Ignari di sguardi e di parole,essi camminano e non sanno…” .

Nel 2007 con l’Associazione “Le mammein prima fila” di Collemeto, Galatina, incollaborazione con la Mezzaluna rossa econ la televisione araba Al Jazeera ab-biamo organizzato un progetto culturaledi dialogo fra la cultura del Mediterraneoe quella del Medioriente. Il linguaggio eraquello della moda e prevedeva di offriread una coppia di sposi della città di Gazaun abito nuziale occidentale per il loromatrimonio come risposta alla distru-zione della guerra che aveva distrutto lapopolazione di Gaza nella morte. Ebbi molte difficoltà con la lingua ma feciun importante esperienza superando iproblemi della comunicazione.I testi in lingua araba, per la televisione

Al Jazeera, furono tradotti dal DirettoreSamirQaryouti. AlJazeera diede spazioal progetto. Ricordo le precauzioni: furono oscurati ivolti dei giovani sposi, ma tutto si svolsesenza problemi e pericoli. La lingua equindi la comunicazione è un vero egrande problema che complica il nostrorapporto nella comprensione del conflittonelle culture oriente occidente. La televisione di Al Jazeera può esseredi grande aiuto per superare le difficoltàdella lingua perché trasmette in linguaaraba ed in lingua inglese. Al Jazeerapuò essere la luce che cerchiamo e puòliberare le parole da quel fiume nero equindi favorire la loro difficile per noicomprensione. Io sono convinto che lavia per superare il conflitto la troviamonel vocabolario e che il linguaggio com-prensibile è la migliore forma di rispettodelle culture e della civiltà.L’esperienza culturale della moda dellavia della seta da oriente a occidente cheabbiamo fatto nel 2007 può essere unesempio da riprendere per capire il con-flitto e per fare la via della convivialitàdelle differenze.

Il vocabolario detta la pacedi Luigi Mangia

Calligrafia araba,la parola Allah

Page 4: Spagine della domenica 61 0

spagine della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0

Raggiungiamo quasi l’età dimezzo con intatte le attesenel cuore. Sorpassammoturbolente stagioni, senzache la speranza d’una vitanuova e più radiosa ci ab-

bandonasse. Vivemmo amare disillusioni, fe-rite inferte nell’intimo, ma non rinunciammomai per un attimo all’ardire del viaggio. Cheè fantasticheria, immaginazione. L’esistenzaè cammino continuo, senza interruzioni disorta, lungo strade sterrate, accidentate, ma-lagevoli, agevoli, piane. L’esistenza è unafanciulla con le trine bionde e con gli occhi dacerbiatta, che ci avviluppa e ci chiama. Cichiama per nome. Nonostante tutto. Anchequando soffiano venti vorticosi e incompren-sibili, anche quando stagioni stremate cifanno sentire in gola l’acre sapore del dolore,l’esistenza ci chiama e ci desidera. Ci do-manda di sfogliare l’eterna margherita, comeuna luna interrogativa. Una luna piena e sfa-villante, che ci scruta e si rallegra della nostrapresenza.L’esistenza è un bambino che piange e ridee vuole essere coccolato, cullato. Un bimbofragile, che gioca con le sue piccole cose edrappeggia ininterrottamente i suoi scenari disogno. Anche quando la vita, magari in etàgiovanissima (quella delle rosee utopie edelle aspettative), ci ha colpito con la suascure implacabile, obnubilandoci vari aspettidella realtà, non lo ha fatto invano. Non lo hafatto per cattiveria o per sadismo. La vita, tal-volta, ci ha mostrato il suo volto crucciato nonper punirci di inverosimili colpe commesse,ma per spingerci a compiere il sentiero delviaggio. Quante volte coi ginocchi piagati,con le mani sanguinanti, la mente ango-sciata, traversammo il tempo, che sembravauna prigione di pietra e d’insensibilità?Quante volte ci sentimmo assalire da unsordo dispiacere, da una incapacità intrin-seca di comprendere noi stessi e quindi dauna impossibilità di condividere le ragionidegli altri? Vivemmo, per tanto tempo, anniimbrigliati nei nostri fortini d’apatia, senzaavere la spinta giusta d’entrare in contattocon l’altro. Ma anche la vita afflitta si affrontasempre con occhi chiari. Con occhi compa-gni. Ora nell’età di mezzo, abbiamo ammai-nato le bandiere di nessun costrutto.Purtuttavia, continuiamo ad inseguire chi-mere imprendibili e aspettazioni di giorni mi-gliori. Non ci stancheremo di vagolare perstrada con l’anima in spalle, di attendere l’au-rora fremente ogni mattina, perché ci sveli lafaccia veritiera del futuro. Ogni meriggio ciaddentreremo, passo passo, nei giardini d’in-verno, per godere gli effluvi e la bellezza degliellebori blu ardesia, le rose dei poeti. Vezzeg-geremo sempre la sera serena perché ci pla-chi l’irruenta onda dell’anima e ci prepari allanotte e al suo fruscio di stelle silenziose. Ora,nell’età di mezzo, molto meglio di prima, in-tuiamo l’importanza dell’amicizia, baluardo

formidabile, che è tutto ciò che abbiamo.Corrispondere d’amorosi sensi con gli altri èil più fenomenale atto conoscitivo, che possaessere compiuto. Rapportarsi empatica-mente ad un uomo o ad una donna è un pri-vilegiato viaggio in prima classe. E per noi,anime semplici, avvezze da sempre a stazio-nare in vagoni di terza, giova sentirsi impor-tanti, visti, da un fraterno interlocutore. Ilriconoscimento dell’altro da sé è un progettoparadigmatico fondamentale, che serve adefinire e a rafforzare l’identità. Incontrandosicon l’altro, ognuno di noi conosce meglio sestesso, comprese le ineliminabili “zone d’om-bra”. C’è, altresì, la possibilità di entrare insintonia con inediti mondi e universi senti-mentali. Ora che siamo giunti all’età dimezzo, possiamo finalmente uscire all’apertoe respirare aria rinnovata. Possiamo disco-noscere gli abbaglianti fari di falsa illusione,possiamo rigettare i richiami volgari di certapolitica autoreferenziale e gli stridori di chilancia urla solo per farsi notare. Desideriamouscire all’aperto per prospettare mattini più

Contemporanea

di Marcello Buttazzo

Guido Reni, San Francesco in estasi, XVII secolo, olio su tela

lucenti, sere più placide, notti di abbarba-glianti stelle assorte. Usciamo all’aperto conla voglia di voler abbracciare il mondo, il no-stro mondo spirituale. Sempre saremo pelle-grini e anime erranti come la luna, semprecammineremo. Saremo a volte profughi, avolte clandestini, ma alfine troveremo le dritteper sentirci in pace con il nostro simile. Com-piremo il viaggio in povertà, così come siamo.Francescanamente, saremo nell’orizzontedell’altro. E i dolci, agognati orizzonti arricchi-scono le desiderate giornate. La vita, infondo, anche quando s’è in preda agli scora-menti, resta la più meravigliosa e insopprimi-bile avventura umana. Nella mente hosempre questa straordinaria poesia di San-dro Penna. “La vita…è ricordarsi di un risve-glio triste in un treno all’alba: aver veduto fuorila luce incerta: aver sentito nel corpo rotto lamalinconia vergine e aspra dell’aria pun-gente. Ma ricordarsi la liberazione improvvisaè più dolce: a me vicino un marinaio giovane:l’azzurro e il bianco della sua divisa, e fuoriun mare tutto fresco di colore”.

Nell’orizzontedell’altro

Page 5: Spagine della domenica 61 0

spagine della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0riviste

D all’ultimo saggio di TullioDe Mauro apprendo chele lingue in Europa sonoben 103: il numero com-prende lingue ufficiali,lingue nazionali e lingue

minoritarie riconosciute, una “fisionomiaeccezionale nel pianeta”, una storia lin-guistica, e non solo, quella dell’Europa,paragonabile ad un arabesco, egliscrive. Un intrico di linee e forme è statoed è lo scenario europeo, frutto di unadiversità sopravvissuta attraverso iltempo, che in alcuni casi è stata vera epropria ‘resistenza’ di gruppi e singoliverso editti, divieti, persecuzioni, spinteculturali omologanti. Penso soprattutto alle lingue minoritarie.Consultando l’inventario geopoliticodelle lingue che lo studioso fornisce, ri-trovo, per l’Italia, la dicitura ‘neogreco’tra quelle contrassegnate come lingueminoritarie, ipotizzo che essa debba in-cludere anche il griko, parlato nell’areaellenofona del Salento. E penso a queicontadini del Salento griko, che dopoore e ore di zappa e spalla curva, trova-rono ancora la forza e il senso di un re-sistere, fatto dell’ostinazione a par-larela propria lingua-madre nel segreto dellacasa, con i cari, e amici più prossimi; oancora fatto del paziente riempire, daanalfabeti autodidatti, quadernetti equadernetti con le parole della loroamata lingua, mentre tutto intorno di-ceva che era giusto ripudiarla. Quel re-sistere giunge a noi attraverso il tempo,come un fossile prezioso attraverso cuipuoi intravederela stratificazione di queigesti d’amore di cura e custodia. Per mequei gesti sono pura poesia ed eroismo. È triste constatare che i governanti eu-ropei, in queste settimane, si riscopranocome unità solo nell' "essere contro...",

nella chiusura, nella difesa da un 'ne-mico'. Una Europa del negativo. Unabrutta Europa, che ancora una voltaperde un'occasione preziosa per cam-biare la sterile rotta tracciata da logichedi economia e finanza, per mettere piut-tosto in valore la sua ricchezza di diver-sità di culture, di lingue, di storia,perseguendo giustizia sociale ed equità,veri fattori protetti-vi contro estremismi,intolleranze e violenze. Una Europa che ha voltato le spalle al Medi-terraneo – non solo a quello non euro-peo, ma anche a quello europeo –,scrigno di un sentire, di un vivere, di unessere, straordinari, pregni di civiltà ebellezza, caleidoscopico. Si alimentapiuttosto il mito dell’efficienza, deglistandard, una conoscenza su-perficialee tendenziosa dell’altro difforme da questo, e la logica del sospetto, della paura,del rifiuto. La strategia a cui si è subitoguardato dopo i fatti di Parigi è stata:meno libertà più sicurezza. Un’equa-zione banale che simmetrizza l’altruiviolenza. E suicidaria perché chiude,laddove la sfida, difficile ma decisiva,nella molteplicità e complessità dei rap-porti umani che tramano le societàodierne, sarebbe un maggiore impegnonel dialogare e nel ri-conoscere. Nonsolo per l’altro, ma per se stessi.L’alterità è necessità per l’identità. Losguardo dell'altro rivela la mia presenza,il mio esserci, mi tocca, mi chiama: ec-comi! allora ci sono, non sono un'illu-sione! Quello negli occhi dell'altro sonoio. Le mani dell'altro rivelano a me il miocorpo, lo manifestano a me. Ci sono eci sono con una carne che percepiscocominciare in quel tocco, lì dove finisceil bordo delle mani dell'altro. Quelle del dialogo e del riconoscimentonon sono pratiche da talk-show. Abbiso-

gnano di prossimità e con-tatto.

Avete mai incontrato il musulmano?Io mai. Conosco Lekbir, che è arabo,marocchino, è musulmano, immigrato efa il muratore; un altro che si chiamaSa’id, è un ragazzo che gioca moltobene a calcio, è tunisino e musulmano;un altro ancora che si chiama Moustafa,non arabo, è senegalese ed è di reli-gione musulmana; e poi conosco an-cora... chi va bene di tutti i nomi chepotrei fare? E perché avete mai incontrato l’occi-dentale?Io mai. Conosco così tanta gente, e cosìdiversa, ‘occidentale’ non mi fa visualiz-zare alcuna persona in particolare.Quale occidentale? Di che tipo? Conche caratteristiche? Le categorizzazioni generali non ser-vono a conoscere, ad approfondire, nonservono alla relazione. Le pratiche del dialogo e del riconosci-mento vogliono il tempo della cura, cheè un tempo qualitativo, un tempo lento,attento, che approfondisce, esplora, untempo dell’esserci fisicamente in unospazio condiviso, attorno ad un fare in-sieme. Certo, poi, devi gestire l’angoscia che tiprende di fronte all’aperto che, nell’in-contro, necessariamente ti attende. Per-ché non sai mai cosa perdi e cosaacquisti, di sicuro niente rimane immu-tato, né in te, né nell’altro. Accoglierel’altro, in fondo, significa esser dispostoad accettare di divenire tu altro. L’altroè domanda, non vi è nulla di scontato.Né vi sono risposte a priori, prima dellarelazione. Solo scoperta, da dentro larelazione, volta a volta, con le regole diogni relazione: avvicinamenti, errori,passi indietro, aggiustamenti, riprese.

Sono io quello negli occhi dell’altro

di Ada Manfreda

È on-line il nuovo numero di Amaltea. Trimestrale di cultura - Anno IX, n. 4/2014Memoria, cultura della terra, alterità, arte, attualità...

Ecco di seguito l’editoriale che apre il numero

Page 6: Spagine della domenica 61 0

La “Ragionevole follia deibeni comuni”, era questo ilsottotitolo di “Homo Civi-cus”, un bel testodel2004del sociologo FrancoCassano. Probabilmente fu-

rono Cassano, e soprattutto Carlo Do-nolo,tra i primi a introdurre nel dibattito diidee italiano la tematica dei beni comuni,per quanto il sociologo dell’ Università diBari sembrasse già allora ridurla a quelladei beni pubblici, dei beni immateriali e al“bene comune”. I beni comuni (commons)non sono il “bene comune”, concetto de-rivato da Tommaso D’Aquino e dalla sco-lastica medievale, il “bonumcommune”che nell’età moderna si è secolarizzatonel concetto di “interesse generale”.Adesso, a distanza di dieci anni, nel pam-phlet “Senza il vento della storia. La sini-stra nell’era del cambiamento” (Laterza,2014), Franco Cassano liquida frettolosa-mente la teoria dei beni comuni nel pole-mico capitolo sulla “sinistra radicale”. Manon sono poche le aporie e le incon-gruenze in questo ultimo testo, che segnauna nuova curvatura teorica dell’autore.

Alle elezioni politiche del febbraio 2013 ilpadre nobile dell’operaismo italiano MarioTronti, ora presidente del CRS (Centroper la Riforma dello Stato) e archivio Pie-tro Ingrao, viene eletto al Senato. Il filo-sofo della politica Carlo Galli viene elettoalla Camera, così come Franco Cassano.Tre intellettuali nelle file del PD, ma nonsi tratta della “sinistra indipendente” con ilvecchio PCI, che si costituì in gruppi par-lamentari autonomi ed espresse persona-lità di rilievo come Stefano Rodotà,Gianfranco Pasquino, Altiero Spinelli,Mario Gozzini, Guido Rossi, Claudio Na-poleoni, solo per ricordarne alcuni. Es-sere eletti in un partito e pubblicare unpamphlet sono fatti differenti, ma entram-bipubblici, e per quanto Cassano vogliadiscutere del merito del suo libro non si

sfugge alla sensazione di un sapore giu-stificazionista di quest’ ultimo lavoro.Dal lato dell’autonomia culturale del Sud(vedi il fortunato “Pensiero meridiano” del1996), dal lato dell’autonomia della so-cietà civile e della cittadinanza attiva, benpresente anche nella fase propulsivadella “primavera pugliese”, Cassano ri-mase sempre abbastanza distaccato daimovimenti sociali collettivi ed estraneoalle nuove culture politiche dal basso ealter-mondialiste che esprimevano.In un convegno di Scienze delle Comuni-cazioni dell’Università del Salento sul fi-nire del 2011, con la presenza anche di“negriani di sinistra” come Franco BerardiBifo e Carlo Formenti, Cassano tenneuna lezione magistrale sul tema webe-riano dell’etica dell’intenzione e dell’ eticadella responsabilità. Ma mi sfugge oggi ilsenso dell’etica della responsabilità nelvoto al pacchetto del Jobs act del go-verno, con ampia delega in bianco. Forseè tra le righe in questo pamphlet, dove sisostiene che nell’era della globalizza-zione i diritti sociali vanno realisticamenterinegoziati in base alle risorse date. Comedire che dalla teologia economica delneoliberismo non si sfugge con la solaetica delle intenzioni. Ma allora: o il con-flitto apre spazi e muta rapporti di forza,oppure, con Hegel, “tutto ciò che è realeè razionale”.“La sinistra europea e occidentale, siaquella radicale che quella moderata,quando racconta la storia recente ne rac-conta solo un lato”, scrive Cassano, chenella globalizzazione non vede solo ungioco a somma zero, vale a dire un con-flitto amico/nemico, ma una nuova dislo-cazione di forze su scala globale, unanovità di cui tenere conto. La fine dei“trenta gloriosi” del compromesso social-democratico, i trent’anni seguiti al se-condo dopoguerra, e la fine dello “scontrotra il capitalismo nella sua forma liberalee il socialismo nella sua forma sovietica”,

segnano la caduta del vento della storiae la necessità di una nuova visione dellacoppia concettuale destra/sinistra. In re-altà il conflitto che ha segnato la GuerraFredda, il bipolarismo tra URSS e StatiUniti, è statoordinativo di un equilibriomondiale post-secondo conflitto, ma sof-focandone i conflitti reali senza rappre-sentarli, anzi distorcendoli.Quello non fu nella realtà il conflitto tra“campo socialista” e capitalismo finanzia-rio, ma tra un socialismo di Stato (con unsuo particolare sistema di welfare) insalsa totalitaria ed egemonistica e unmondo liberal-capitalista sotto l’egemoniadell’iperpotenza statunitense, che innome dell’anticomunismo arrivò a fare egiustificare di tutto. Il modello sovieticocontemplava un produttivismo e un fordi-smo nell’organizzazione del lavoro ana-logo a quello del capitalismo, e con in piùtutti gli strumenti di coercizione del con-flitto sociale e di annullamento della so-cietà civile, oltre che nello strumentalismodell’aiuto ai “partiti fratelli” e ai Paesi del“campo socialista”. Il conflitto era sovra-ordinato e distorto dal bipolarismo, incampo nazionale ed internazionale, edancora oggi ne subiamo le conseguenzein campo globale. Insomma: quando il co-munismo “si fa Stato” e il socialismo realediventa integralismo produttivistico, lospazio pubblico e sociale del conflittosi sifa molto difficile, e molti di noi della NuovaSinistra degli anni ’70 ne avevamo già al-lora qualche consapevolezza.È nel capitolo sul presunto profetismo ecatastrofismo della sinistra radicale che siappuntano le perplessità principali di Cas-sano. Non che ne manchino le ragioni. Inogni caso riportare la polemica all’annozero della coppia concettuale massimali-sti e riformisti, o apocalittici ed integrati, èuna semplificazione eccessiva e non si-tuata dal punto di vista della processualitàdelle contraddizioni in atto. Basterebbepensare al piccolo spazio, contraddittorio

Cercasi popolodi Silverio Tomeo

spagine letturedella domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0

Franco Cassano, “Senza il vento della storia. La sinistra nell’era del cambiamento”, Laterza 2014

Page 7: Spagine della domenica 61 0

quanto si vuole, aperto anche in Italiadalla lista l’Altra Europa conTsipras, in uncontesto europeo che vede in Grecia e inSpagna il tracollo dei partiti della famigliadel socialismo europeo e mediterraneo, avantaggio di nuove formazioni di sinistra.La critica alla metafisica di Toni Negri sull’idea di un conflitto globale tra Impero emoltitudine è persino scontata, e non vaaffatto confusa con le tematiche dell’alter-mondialismo. Negri, ancora oggi, ritienel’opera Mario Trontiil vero elemento di “in-novazione teorica dell’ontologia italica delXX secolo”. Strano destino quello deglioperaisti italiani, di destra e di sinistra: perleggere in chiave anti-togliattiana il pen-siero di Gramsci approdarono a una re-gressione politica di saporebordighista sultema delle alleanze e dell’egemonia, ne-gando la dialettica della società civile, nelcaso di Negri a favore prima dell’operaio-massa, poi dell’operaio sociale ed infinedella moltitudine. Ma è verso le riflessionidi Marco Revelli che la polemica diventaimprecisa e pregiudiziale. La sinistra deibeni comuni viene liquidata comeastratta, la sinistra sociale dei movimenticollettivi ritenuta non all’altezza della com-plessità, si mischierebbero istanze teori-che diverse e spesso auto-contraddittorie

nel calderone del catastrofismo apocalit-tico, cose tutte da argomentare e neppurepresenti nella lunga elaborazione di Re-velli. Un nuovo blocco sociale per la sinistra deidiritti, propone Cassano. Liberarsi dalpeso del passato, non difenderlo accani-tamente, accettare la realtà dei muta-menti, e sin qui apparerealistica ladialettica tra intenzione e responsabilitàdelle forme del politico. Anche se re-stiamo ancora nel vago riguardo alla ne-cessità di nuove culture politiche e di unnuovo lessico politico per la sinistra. Percostruire un nuovo blocco sociale bisognache si arrivi alla “costruzione di un po-polo”, afferma Franco Cassano. Questaidea non mi appare in contraddizione,anzi ne è ben conseguente, rispetto allavisione di Alfredo Reichlin di un “partitodella nazione”, come a dire una nuovaforma di politicismo. Un tentativo di co-struzione dall’alto di una nuova egemoniastorica, in chiave populistica, è già in attoin questo senso da parte del governoRenzi, con la presenza sovrabbondantedi populismi reattivi di ogni tipo in campo,in una dialettica reale di nichilismo poli-tico.Si ricorderà quella che scherzosamente

veniva definita laécolebarisienne, il movi-mento attorno a Beppe Vacca di trent’annifa. Fu un crogiuolo di ricerca marxista, dacui poi molti presero vie autonome e di-verse, da Cassano a Francesco Fistetti.Ben distanti dall’uso delle lenti distorcentidell’operaismo italiano, il tentativo di queltempo all’ Università di Bari fu quello diemancipare Gramsci dall’ipoteca dell’ad-domesticamento togliattiano, purtropporestando vincolati a un hegelo-marxismodi fondo, con tentativi successivi di evolu-zione attraverso la lettura di Louis Althus-ser e Nicos Poulantzas e con vistoseregressioni togliattiane in Vacca. Sembre-rebbe che a quella formazione di fondo ri-torni oggi Cassano, per quanto in chiavecritica e autonoma, in un processo elabo-rativo come interrotto.È nell’ “Interpretazione dei sogni”, del1900, che Sigmund Freud introduce perla prima volta la nozione di regressione(regression). Nozione descrittiva per direcome di fronte agli scacchi della realtà levie di fuga verso formazioni precedenti dipensiero, se non proprio verso situazionipsichiche anteriori, sono sempre possibili.Per chiunque, anche per i migliori.

Page 8: Spagine della domenica 61 0

spagine

H a osservato qualcuno,con ragione, che c’èun’apparente contraddi-zione fra l’infaticabileazione politica svolta daGramsci nel promuovere

l’adesione delle donne alle lotte per laloro emancipazione e l’esiguità, tuttosommato, della sua produzione teoricasulla “questione femminile”. Nell’azione politica Gramsci non si stan-cava mai – come testimonia Camilla Ra-vera in Diario di trent’anni, 1913-1943 -di esortare le donne alla partecipazionediretta e consapevole all’azione per latrasformazione della società, di indicarenella partecipazione femminile un fat-tore essenziale della rivoluzione prole-taria e, al contempo, nello sviluppoautenticamente democratico e di massadel movimento femminile un fattore es-senziale della liberazione della donna.Aderì con entusiasmo all’idea di istituiresull’Ordine Nuovo, a partire dal 24 feb-braio ’21, una “Tribuna delle donne”,della cui redazione incaricò la stessaRavera. In un articolo intitolato “Il nostro femmi-nismo”, nella Tribuna del marzo ‘21, laRavera affrontava la questione della dif-ferenza di genere in questo modo:“L’uomo e la donna hanno nella vita unafunzione loro propria; hanno nella loronatura dei propri valori, fisici, intellettualie sentimentali; si tratta di porre l’uno el’altra in condizioni tali che ognunopossa liberamente svolgere, manife-stare e utilizzare tali valori, a beneficiosuo e della collettività”.In seguito Gramsci, appena eletto se-gretario del Partito Comunista, nell’ago-sto del ’24, ideò il quindicinale“Compagna”, che nelle sue intenzioni

doveva essere l’organo del movimentofemminile del partito, chiamando allasua direzione Rita Montagnana da To-rino.Eppure da qualche parte si è descrittol’atteggiamento di Gramsci come se-gnato da una concezione tradizionaledella donna che avrebbe determinato inlui una sorta di apprensione verso lequestioni che il femminismo “intellet-tuale” andava proponendo e di timoreche la mentalità “illuministica e libertarianella sfera dei rapporti sessuali” potessesottrarre le lavoratrici all’impegno dellarivoluzione proletaria. Sarebbe questa,insomma, la ragione di una presunta re-ticenza.Ma basterebbe, a smentire, questo pas-saggio di un discorso di Gramsci alledonne comuniste, riferito dalla stessaRavera: “Nel nostro lavoro tra le donnebisogna partire dalla conoscenza esattae differenziata delle condizioni di vita edi pensiero delle donne, delle loro esi-genze e aspirazioni”. In più occasioni, in realtà, già primadella fondazione del partito comunista,Gramsci aveva criticato aspramente lamorale tradizionale borghese che pena-lizzava la donna.In una nota critica ad una rappresenta-zione di “Casa di Bambola” di Ibsen(Avanti! ed. torinese, 22 marzo 1917),Gramsci sollecitava i lettori a compren-dere il dramma umano della protagoni-sta Nora Helmer, una donna borgheseche “abbandona la casa il marito i figliper cercare se stessa”, esortandoli conenergia ad aprire la mente a una nuovamorale e ad un nuovo costume “per ilquale la donna…è una creatura umanaa sé, che ha una coscienza a sé, che hadei bisogni interiori suoi, che ha una

personalità umana tutta sua e una di-gnità di essere indipendente”. La vicenda di Nora appare a Gramscicosì emblematica, che diventa l’occa-sione per una riflessione critica sulla fa-miglia borghese, nella quale la donna èschiava, “sottomessa anche quandosembra ribelle, più schiava ancoraquando ritrova l’unica libertà che le èconsentita, la libertà della galanteria. Ri-mane femmina che nutre di sé i piccolinati, la bambola più cara quanto più èstupida, più diletta ed esaltata quantopiù rinuncia a se stessa, per dedicarsiagli altri, siano questi suoi famigliari,siano gli infermi, i detriti dell’umanitàche la beneficienza accoglie e soccorrematernamente. L’ipocrisia del sacrificiobenefico è un’altra delle apparenze diquesta inferiorità interiore del nostro co-stume.”In queste poche righe, in realtà, Gram-sci sfiora un problema enorme, che infuturo sarà al centro di approfondita ela-borazione nel movimento delle donne:quello della oblatività delle donne edella cosiddetta “complementarità” delladonna all’uomo, sotto la quale si è ma-scherata nei secoli, e si maschera tut-tora, la giustificazione patriarcaledell’oppressione del genere femminile.Tuttavia è vero che si fa fatica a rinve-nire negli scritti di Gramsci la traccia diun’esposizione sistematica sui temidell’emancipazione e della liberazionedelle donne. Inutilmente si cercherebbe,ad esempio nei “Quaderni del carcere”,una trattazione specifica e compiuta sul-l’argomento: ci troviamo invece di frontea pochi riferimenti, poche note sparsesulla condizione femminile, sul femmini-smo, sulla sessualità, sempre all’internodi un discorso generale sulla morale o

il saggiodella domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0

di Ada Donno

Gramscie l’universo del femminile

“La liberazione per poche non esiste. O si è tutte libere, o nessuna è veramente libera”Joyce Lussu

Page 9: Spagine della domenica 61 0

sull’organizzazione del lavoro.Egli sembra essere più interessato al-l’individuazione di una nuova etica ses-suale funzionale al processo di sviluppodelle forze produttive e “conforme ainuovi metodi di produzione e di lavoro”. L’annotazione forse più netta e illumi-nante, riferita alla necessità della forma-zione di una nuova personalitàfemminile, che egli avverte come que-stione etico-civile fondamentale, com-pare sotto la voce “Questione sessuale”(Quaderni, I - § 62, pag.73):“La questione più importante è la salva-guardia della personalità femminile: fin-ché la donna non abbia veramenteraggiunto una indipendenza di fronteall’uomo, ma anche un nuovo modo diconcepire se stessa e la sua parte neirapporti sessuali, la questione sessualesarà ricca di caratteri morbosi e biso-gnerà esser cauti nel trattarla e neltrarre conclusioni legislative.” Nella “cautela” di cui parla Gramsci èforse la chiave di lettura, pur nelle strin-gate righe, di un pensiero che guardaavanti e nella direzione giusta: aquando, cioè, sarà la donna stessa,ormai “indipendente di fronte all’uomo”,a definire se stessa e la propria partenella società, ad affermare la propriasoggettività autonoma, capace di auto-significarsi al di là di ogni tutela ma-

schile e capace di descrivere l’intrecciofra progetto di libertà individuale e pro-getto di superamento della società pa-triarcale.Aveva scritto Marx nell’Ideologia tede-sca: “La produzione delle idee, dellerappresentazioni, della coscienza è inprimo luogo direttamente intrecciata allavita materiale e alle relazioni materialidegli uomini, linguaggio della vita reale.La coscienza non può mai essere qual-cosa di diverso dall’essere cosciente el’essere degli uomini è il processo realedella loro vita”.In altre parole, ogni processo di libera-zione reale nasce dalla produzione di unpensiero autonomo da parte degli stessisoggetti che, a partire dalle loro con-crete condizioni di vita, avvertono il su-peramento del sistema dato comenecessario per l’abolizione della propriasubordinazione e per l’affermazione disé.In un prezioso volumetto intitolato “Vo-lontà di futuro. Rilettura attuale di Gram-sci”, pubblicato una quindicina d’anni fa,la studiosa gramsciana Laurana Layoloscriveva: “La funzione di egemonia cul-turale nell’universo femminile, svoltadalle donne intellettuali (studiose, politi-che, organizzatrici sociali, educatrici) èstata di grandissima importanza per lacostruzione di una concezione forte di

sé di tutte le donne, dopo millenni di sto-ria in cui esse erano vissute in condi-zioni d’inferiorità… Le tappe storichedell’emancipazione e della liberazionesono divenute per ogni donna fasi di unpercorso ontogenetico e filogenetico diconoscenza di sé e del proprio esseresociale, della propria dimensione cultu-rale e della determinazione del proprioagire femminile”.La produzione di pensiero autonomodelle donne, insomma, non può avve-nire che a partire da sé, dall’elabora-zione dell’esperienza materiale econcreta di sé. Purché, mi verrebbe daaggiungere, tale processo di elabora-zione necessariamente comprendal’esperienza e la volontà di futuro di tuttele donne, di ogni classe sociale e di ogniparte del mondo. Amava ripetere JoyceLussu, grande intellettuale femministache comunista e proletaria non era, manutriva grande rispetto sia di Gramsciche delle donne lavoratrici, unito ad unforte sentimento internazionalista: “La li-berazione per poche non esiste. O si ètutte libere, o nessuna è veramente li-bera.”Ed ecco che - avvertiva Gramsci - primadi allora “bisognerà esser cauti”.

*Pubblicato sulla rivista GRAMSCI, luglio 2007

Julja Šucht, moglie di Antonio Gramsci con i figli Delio e Giuliano

Page 10: Spagine della domenica 61 0

scritture

di Carlo Stasi

Giornata della Memoria 2015

ECCE HOMO (favola ma non troppo)

C'era una volta un uomo che viveva tran-quillo. Lavorava il suo campo, disegnavai suoi tramonti, cantava insieme ai suoiuccelli, leggeva la natura e scriveva la suavita con la zappa. Voleva fare del suocampo un giardino, ed in effetti campava

allegro e felice nel paradiso terrestre che si era creato.Un bel giorno, Homo Sapiens (questo era il suo nome) co-nobbe Homo Insipiens che vegetava tranquillo nel suo campoincolto. Invece di lavorare dormiva, e così non vedeva né albené tramonti, non sentiva neppure il canto degli uccelli; dormiva,e dormendo non leggeva che sogni, non scriveva che fanta-smi. Non sapeva che farsene del suo campo che ormai era di-ventato il suo letto, un letto di erbacce. Era pigro ed annoiato,il tempo non passava mai, anzi pareva che per lui si fosse fer-mato, tanta era la immobilità, la monotonia della sua vita. Quando Homo Sapiens si affacciò nel suo campo e gli chiesecome si chiamava, Homo Insipiens socchiuse appena gliocchi, disse il suo nome con flemma, si girò dall'altra parte econtinuò a ronfare.Homo Sapiens rimase deluso nel veder così sfumare la pos-sibilità di avere qualcuno con cui scambiare quattro chiac-chiere di tanto in tanto, ed ancor più quando si ritrovò HomoInsipiens addormentato (tanto per cambiare) nel propriocampo. Il perché non tardò a capirlo: durante la notte un taleaveva praticamente conquistato il campo dell'Insipiens e loaveva cacciato via.Subito si mise a spiare le mosse del tale che pareva in predaad una strana agitazione. Sbraitava al vento, sgridava gli uc-celli perché cantavano, cancellava lo sguardo dei tramonti conl'ira dei suoi occhi infuocati, leggeva parolacce, scriveva be-stemmie, non lavorava, ma si limitava a girare lungo i confinidel campo appena usurpato; insomma, sembrava pazzo, e Sa-piens decise di chiamarlo Homo Demens.Quando Insipiens si svegliò (solo per un attimo naturalmente),e seppe che il suo campo non gli apparteneva più, invece direagire, si riaddormentò. Ma al timore di Sapiens di dover ospi-tare, chissà per quanto, quel parassita, si aggiunse il terroreche il pazzo volesse prima o poi allargare ulteriormente i propridomini.E da quel giorno la vita di Sapiens cambiò radicalmente, l'ansiae la preoccupazione di perdere il proprio amatissimo campo,lo resero guardingo e sospettoso. E ne aveva ben ragione,perché, ben presto, Homo Demens si accorse della presenza

di quel bel campo e lo volle suo. Detto fatto! No, stavolta trovòdi fronte un avversario deciso a difendersi a colpi di zappa edovette far subito dietro front!Sapiens, benché pensasse che forse la lezione sarebbe ba-stata, non abbassò la guardia, ma da solo, poveretto, non po-teva certo vegliare giorno e notte. Così, una notte, mentreSapiens dormiva morto di stanchezza, Demens entrò nel suocampo e, disarmando il suo legittimo proprietario, se ne im-possessò.Che amaro risveglio per Sapiens reso schiavo in casa propria!Demens infatti a suon di frusta costrinse Sapiens a lavorareper lui, e, incredibile ma vero, riuscì a far lavorare perfinoquello scansafatiche di Homo Insipiens.Il pazzo non voleva un campo, né un podere, ma il potere!Così i due schiavi non zapparono, non ararono, non semina-rono, non irrigarono, non raccolsero, non mangiarono, non ri-posarono.No, il pazzo non voleva coltivare i campi, voleva farne deicampi di concentramento!E fece lavorare i due infelici per costruire le armi che gli servi-vano per difendere il suo potere e si fece innalzare una torresu cui sistemò il suo trono. Da quell'altezza scrutava gli oriz-zonti alla ricerca di nuovi campi da conquistare e nuovi schiavida soggiogare.No, il pazzo non voleva conquistare i campi e nemmeno farnedei campi di concentramento; voleva farne dei campi di batta-glia! E così fece lavorare i due schiavi per scavare delle bucheche gli servivano da trincee per difendere il suo podere e latorre del suo potere.Ma il pazzo non voleva farne nemmeno dei campi di battaglia;voleva farne dei campisanti!E naturalmente fece lavorare i due malcapitati per costruiredelle scatole di legno che sarebbero servite per chiudere imorti eroicamente caduti per difendere il loro capo.Sì, il pazzo voleva morire, voleva uccidersi; ma per farlo avevabisogno di uccidere prima tutti gli altri che, benché stanchimorti di lavoro, non avevano alcuna intenzione di morire!Infatti i due schiavi lavorarono, uno con la rabbia di chi era co-stretto a lavorare per un pazzo, l'altro con la fiacca di chi nonaveva mai lavorato. E così furono uccisi dalle armi da lorostessi costruite, chiusi nelle bare da loro stessi fabbricate, se-polti nelle fosse da loro stessi scavate nei loro stessi campi...solo per far compagnia all'unico che non lavorava, all'unico ilcui unico scopo nella vita era di uccidere e morire!

spagine della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0

“Il sonno della Ragione produce mostri...” Goya

Page 11: Spagine della domenica 61 0

La deportazione dal Ghetto di Varsavia in una delle più note immagini della shoah

Page 12: Spagine della domenica 61 0

LETTERA APERTA DES MOTS A GIULIANA e p.c. a ILARIA

SIGNORSISIGNORSISIGNORE… monmé-tier c’estrendreheureux… il n’y a riendeplu-simportant ettupourrasenfintesentirunique…e tu, Giuliana, leggendo la Spagina di do-menica numero 60, hai subito pensato “chefigura, che figura”, col tuo piccolo pensiero

di donna che scrive; che figura, hai pensato, credendoche noi parole fossimo unico enorme refuso che si ripe-teva qua e là, andando.SIGNORNOSIGNORNOSIGNORE, come insegna Ilaria;NOUSSOMMESLESMOTS, noi siamo le parole che oggiti scriviamo per spiegarti come noi libere parole, abbiamodeciso in libertà di fare quello che vogliamo, di mostrarequello che noi siamo; noi siamo la PAROLA CHE VEDE.Cortàzar lo dice, parlando di Keats, perché per noi, comeper Keats, “dev’essere detto tutto senza sosta, subito;detto agli amici, organizzato nella poesia, visto dalla pa-rola”. Noi, parole, vediamo; abbiamo visto la tua ansia fe-lice ad esempio, quando hai incontrato gli omini di ToniaRomano, quando hai ritrovato vivo in edicola CharlieHebdo e hai deciso di scrivere per Spagine, di lui, di noi,come sempre, con virgola punti punto e virgola virgolettedue punti ci mancava solo punto esclamativo eppure do-vevi scrivere di libertà; allora noi parole che vediamo ab-biamo deciso di scappare di mano a voi tutti e abbiamoscritto la nostra pagina di libertà a nostro modo chè perfarle le rivoluzioni bisogna essere non uno lontano dall’al-tro come in questo momento ma essere vicinivicinivicini

ed essere in tanti omini curvi con cuorirossi su spalle gra-cili e leggere Ilaria e seguire il suo esempio signorsìsi-gnorsisignorsìsignore, imparare da Ilaria a dire sempre esoltanto signornosignornosignornosignore e sfilare sfilarecompatti vicinivicini come nelle epigrafi dei nostri padri an-tichi chè là non c’era nessuno a dividerci con orribili segniortografici. Non ha segni ortografici il pensiero corre e noiparole siamo i segni impressi da voi delle sue corse edelle sue soste e quando tutta questa storia finirà TU-POURRASENFINTESENTIREUNIQUE, tu potrai final-mente sentirti unico, come noi parole vogliamo che tu sia,per sconfiggerlo quarto reich fatta salva nessuna maiu-scola perché mai più morstuavitamea nella tratta SOLE-ADE nel ritorno mancato diPesefonesignornosignornosignornosignore e ora noi pa-role nousquisommesnouslesmots, noi che siamo le pa-role, tutte unite come chicchi di melograno da offrire aPersefone per ritornare dall’Ade al Sole e per riandare dalSole all’Ade incontro al suo amore, noi rivoluzione tran-quilla di parole in libertà, noi metafora di girotondi di esi-stenze uniche e irrepetibili, noi vi preghiamo di fermarviun attimo a decifrare inostrisegnivicinivicinichè anchequesta è rivoluzione; fermarsi un attimo, respirare e deci-frare ciò che non è un refuso, tranquilla Giuliana, tranquillitutti, non è un refuso; ogni parola è un unico che diventatanti, la parola, di per sé vede e provvede; dirigiamo noi lefila della storia; inutile opporsi; non è un refuso, nonsiamo refusi; noi siamo le parole che vediamo; siamo isegni dei vostri pensieri.

NOUS, LES MOTS

La libertà delle paroledi Giuliana Coppola

spagine della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0scritture

Page 13: Spagine della domenica 61 0

della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0

L’abecedariodi Gianluca Costantini e Maira Marzioni

Liberammo i languorisu liscio linoleum

Lievitavamo leggeriMogli e mariti

Le mani materializzavanomambi tra le malinconie

micro merlettimorbide mazurche.

spagine

Page 14: Spagine della domenica 61 0

spagine

Aspettiamo Antonio Gram-sci. Occhi puntati al-l'estremità di luce nera:Fondo Verri. Qui e làfalce e martello su sfondirossi. Qualcuno, anche

tra i compagni, ha il volto basso suglischermi sanguisughe. Ah sì?, anche i compagni cedono ai vizidel capitalismo, della dittatura tecnolo-gica. Una donna russa dietro di meparla un perfetto italiano. Dice: io l'Italiala conosco così: governi che cadonoogni due anni, litigi, stragi, pasticci,chiacchiere e chiacchiere. Lui replica elei incalza: ma non bisogna essere fa-talisti! Non è così perché così deve es-sere. È così perché voi accettate tuttoquesto. Una compagna chiede all'altra: ma sta-mattina, all'Università, ce n'erano gio-vani?A sostenere, incoraggiare una speranzaanemica, troppo sbiadita ormai, vana.Hanno un discorso più lungo questecreature, hanno argomenti, i pensieri ele parole sono più diluiti, hanno un re-spiro che scorre, non inciampa, non bal-betta, non finisce prima di cominciare.Cosa si è spezzato tra loro e noi. Èqualcosa che ha a che fare col futuro.Quella e questa generazione. Quella equesta vita. Noialtri a volte spezziamole parole quasi credendo di infastidire.L'interlocutore si annoia presto, èstanco, svogliato. È tutto un singhiozzo, una frizione usatacostantemente, un freno a mano inpiena corsa. Ora filmano Stella Grande che intro-

duce la serata. Ciò che deve arrivare ar-riva. Ciò che ordinano debba arrivare,arriva. 94esimo anniversario della fon-dazione del partito comunista. Con An-tonio Gramsci junior. Nipote di... Lecompagne sono eleganti, vestite bene.Sciarpe rosse. Na sira passai te le pa-tule e ntisi le ranocchiule cantare.Intanto ripenso a Silvio Nocera, uomodi disegni, grotte e civette. È da mesiche va avanti questa storia. Storia dellaricostruzione e restituzione. Di vite. È lamia terra. È la mia gente. La cultura deitao. Anche Barbara Balzerani, sere fa,ha restituito la sua storia privata. E larabbia per come le creature trascuranoe offendono il Creato. Fiumi strozzati,montagne bucate, quindi paesi distrutti,frane, alluvioni. Epiloghi tristi, terribili,mancanza d'amore.Julia Schucht aveva un linguaggio poe-tico. Suo marito Antonio un po' la rim-proverava per questo, un linguaggiotroppo classico, diceva. Era una donnadi una “bellezza mondiale”, sostieneMaurizio Nocera. Le pieghe del privato,la curiosità.Intanto suona anche Gramsci, il tambu-rello comprato a Calimera. Alla fine sispazzano via le sedie e si balla. Mauri-zio apre le danze, quell'indomito fanciul-lino.Più in là Giuseppe con la naturalezza diun rigurgito di neonato mi racconta dellasua infanzia in istituto, della cattiveria,una volta uscito, di cui è capace lagente di provincia e quello che di con-seguenza ha generato. Nel frattempopassano pure le civette di Silvio, quelleche nei momenti più significativi, visi-

tano la vita dei parenti rimasti a terra.I morti sanno sempre come restare vivi.Penso alle torte e ai dolci arrivati aLecce dalla provincia, da Tuglie. I dolcidel figlio di Silvio, quelli che lui preferiva.Penso che la provincia sia più sana, piùtriste ma più vera e sana. Anche la suacattiveria.Ma una cosa torna come un verso dipicchio di montagna, accanita, incal-zante: cosa si è spezzato?Cosa si è rotto tra questa e quella ge-nerazione. Mentre suonano e cantano Bella ciao,io sono fuori. È un canto che mi straziae per me non ha senso cantarlo mentrenoi si vive come viviamo. Come ab-biamo supinamente accettato di vivere.Mentre suonano e cantano, alcunecompagne, pugno alzato, dicono: maquesti giovani inermi inerti senza un la-voro senza un futuro senza niente, im-mobili, fermi, senza sangue, nonrovesciano cassonetti, non protestano,non si indignano. Ecco, questo è il punto, trovato!È questo che si è spezzato. Il tempo. La lungimiranza è possibile, il progettoè possibile, la lotta è possibile se un fu-turo lo si vede. Ecco quello che si èspezzato, rotto. [Ridateci il futuro. Rida-tecelo, cazzo. Entro il mese prossimo,al massimo. Altrimenti son guai. Alle-ghiamo alla lettera 7 proiettili. Vi siad'avvertimento. Vi veniamo incontro, ilriscatto non lo chiediamo. Ma il futurosì]. Sì, ma la lettera a chi la spediamo? Aicompagni?

della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0cronache culturali

Comunismo civette

proiettili e futuro

di Ilaria Seclì

Page 15: Spagine della domenica 61 0

della domenica n°61 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0

I l venerdì spesso nella mia mente fa il paio con il lu-nedì benchè siano uno l'inizio e l'altro la fine dellamia settimana lavorativa e quindi ispiratori di umorimattutini diametralmente opposti, ma spesso ac-cade, come oggi che ho iniziato a preavvertire laPrimavera, che il ricordo allarghi le mie narici fino asentire l'odore pulito e frizzante della mia giovanis-

sima femminilità mischiarsi con quello non bene identifica-bile dei panni usati delle bancarelle del mercato e piùspecificatamente delle robbbe dei Polacchi. L'appunta-mento del lunedì e del venerdì era fisso con Patrizia poicon Rita e poi lì ci si incontrava con la Rossella la Ga-briella e le altre con cui si faceva a gara amichevolmentema con destrezza felina all'accaparrarsi i capi-per cosìdire- più belli e preziosi a cui avremmo magari apportatole giuste modifiche. Tornate a casa con le buste di nylonstracolme di "favolose camice indiane ricamate o gonnelunghe e gilet di panno o caldi maglioni oversize oppure lefamosissime e odorosissime giacche di renna, borsesciarpe etc etc etc. Immergevamo i capi nell'acqua calda con detersivo pro-fumato nel vano intento di eliminare l'odore dolciastro deldisinfettante che invece persisteva e fagocitava come unavvoltoio ogni altro odore prevalendo su tutte le essenze

all'ambra o al sandalo o al patchouli o su qualsiasi jasmineintenso delle quali abbondavamo disperatamente, o almassimo si ritraeva un poco per congiungersi in un afflatoeterno, pregno e denso di odori misti oltrechè anche un pòmistici- che ci accompagnava ovunque come un gemellosiamese. Bisogna pure ad onor del vero ammettere anchequalche sconfitta e riconoscere che molte delle scelteesclusive fatte con cotanto neofita entusiasmo, lavate e in-dossate, allo specchio erano davvero troppo “lisergiche”e quindi venivano tristemente declassate e accantonate inun angolo dell’armadio con la promessa, e la inconfessatacoscienza di non mantenerla, di venire riprese e riumaniz-zate al più presto; ecco che rimasero quindi, diciamo peranni, a fare da cuscino morbido per la gatta e da “deodo-rante” per armadi fino a trovare la loro destinazione finalecon dolorosa eutanasia nella spazzatura o venire miraco-losamente riesumate in brevi barlumi di vitalità carnascia-lesche. Tutto il resto di panni colorati- gonnone lunghesabot tipo olandesi con calzettoni colorati scialli e sciarpegilet collane lunghe orecchini cavigliere etc facevano partedel nostro regolare guardaroba quotidiano… A noi ragazzedi allora Liu Jo, o Disegual e tutti i freakfashionstyle ci fa-cevano e ci fanno un baffo-finto!

I “polacchi”

spagine

I riti del mercato del lunedì e del venerdì a Lecce

di Tiziana Buccarella

accade in città

Ad illustrare una fotografia di Francesca Woodman.“L’artista appariva in molte delle proprie fotografie e il suo lavoro si concentrava soprattutto sul suo corpo e su ciò che lo circondava, riuscendo spesso a fonderli insieme con abilità. La Woodman usava in gran parte esposizioni lunghe o la doppia esposizione, in modo da poter partecipare attivamente all'impressionamento della pellicola”.

Page 16: Spagine della domenica 61 0

vsCarlo, sono costretto a non

unirmi al coro degli elogisul tuo film. Stefano DeSantis ha dichiarato: - Iresti di Bisanzio è un filmdi merda. Lui l’ha detto

con scoperta ironia. Io non posso. Peròsono obbligato a essere meno stringatodi lui, e a spargere un po’ di parole perargomentare la mia dissonanza escla-mativa! Un piccolo elogio, intanto (indorolievemente la pillola): dopo tanti videocorti (precoci), finalmente uno lungo (ri-tardato). Tuttavia non voglio farti sorri-dere. Non voglio neanche esseresistematico. Rabdomantico, forse.Nel presentarti al pubblico, dopo la pro-iezione al Cinema Elio di Calimera (ci-nema old style, forse l’ultimo baluardo,nella nostra provincia, contrapposto allemultisala imperanti) hai tradito almenodue tuoi numi tutelari (modelli, se prefe-risci): Beckett e Bene.Beckett una volta (o, forse, più di una), achi gli chiedeva che genere fosse Aspet-tando Godot, pare abbia risposto: - We-stern.Avrai sicuramente letto qualche intervistaa Carmelo Bene (si avverte sempre unvago senso di paura negli intervistatori).Nelle risposte, quando decideva di darlee di non perdere di vista le domande, ri-spettava sempre (così a me è parso) l’al-terità della sua opera. Fatta da lui, con lesue impronte. Poi, però, da lui staccatasi.Nel coro degli elogi, c’è un aggettivo chemi sembra ricorra più volte: spiazzante.E caspita, tu ti affacci al pubblico, nellatua posa ubuesca, e che fai? Spieghi,cioè dici a parole, tu proprio tu, le meta-fore visive del tuo film. Con le immaginispiazzi, secondo il coro dei tuoi elogianti,e con le parole piazzi, collochi significaticerti.

Ancora. Mi è capitato di leggere (on line)le tue note di regia, dove non solo rac-conti cosa hai voluto fare, ma anche for-nisci un senso del tuo film. Capisco chele cosiddette note di regia sono il vestitobuono di un film quando va a un festivalo a una rassegna. Ma per quanto ri-guarda il senso, soprattuto quello fornitodall’autore, io credo che il film debba an-dare in giro nudo. Non sto dicendo chel’autore debba avere un grado zero di au-tocoscienza artistica; ma che debba pra-ticare l’arte della discrezione critica neiconfronti del suo manufatto e lasciareparlare soprattutto gli spettatori. Alterna-tive: essere Beckett oppure Bene.Le note di regia stanno al film come il bu-giardino sta al farmaco. E non è vero! Lenote di regia che apprezzo (oltre al rias-suntino della vicenda, vera o presuntatale, del film) sono, per darti un esempio,il racconto di Herzog delle vicissitudiniper girare Fitzcarraldo. Ma la spiega, no!La spiega, che dà una visione orientatadel film (anche qui, nelle note di regia,hai violato lo spazio di alterità del tuofilm), no. Un film con il libretto delle istru-zioni per l’uso? No, grazie. Preferisco unfilm che mi dà il privilegio (la libertà!)della scoperta (con l’errore incluso; pia-cere, questo, irrinunciabile).Insomma, sei un delatore, sei! Tuttavia,non c’è alcuno sconto di pena, sappilo!. Piazza pietre miliari visive, piuttosto, eabbi fiducia nello spettatore. Se sono benimpizzate, lui le vedrà. Do più credito alletue immagini che alle tue parole (qualchevolte le tue immagini sono bellissime).I numi tutelari, infine, non si tradiscono.Piuttosto si uccidono (anche quandosono già trapassati).Sto divagando. Mi sto occupando delcontorno. Giro intorno al tuo film come ilmotoscafo intorno al relitto arrugginito

della nave riversa in una delle sue sceneiniziali (questa sì, straordinaria).Qualcuno, non vedo chi, mi chiede: - Se-condo te, l’opera di Carlo Michele Schi-rinzi a quale corrente artisticaappartiene? Nella fretta di rispondere,trascuro il puntino di insensatezza delladomanda e dico: - Manierismo! Poi, miimbambolo un po’, sorpreso io stesso daquella parola da me pronunciata: - Ma-nierismo!Qualche volta ho il sospetto che qualcheentità non ben identificata, dormientedentro di me, improvvisamente si sveglie mi detti le parole da pronunciare.Aiuto! Un daimon si è impossessato dime e mi costringe a dire cose che mai misognerei di dire! Chiamate un esorcista!Che allontani da me il daimon e facciatornare da me l’angelo custode! Il mioangelo custode!Manierismo e automanierismo (questoneologismo non è mio, è del daimon, logiuro!). Azzardo: automanierismo, rifaci-mento di sé stessi.Mi viene in mente che nell’arte cosiddettacontemporanea mi sembra si dica: arteche lavora sull’arte, postproduzione. Arteche lavora sulla propria arte, Post Pro-duction My Self, PPMS.Il fuoco, l’acqua, la terra, l’aria. Un ritmoquaternario (- Stupido – mi dice il dai-mon, - si dice presocratico!). Questa lacornice del tuo film (come molte cornici,infatti, ha quattro lati). Dentro ho visto(non in ordine di apparizione).Le chiesette, con resti figurativi di Bisan-zio, in rovina. Il distributore di benzinaquasi abbandonato e quasi a secco.L’uomo che incede con la sua latta dariempire. Tre uomini (poco raccomanda-bili? da dove vengono e, soprattutto,dove vanno?) che scendono in una cavae poi gironzolano, e vanno altrove.

spagineLettera aperta e semiseria a Carlo Michele Schirinzi su “I resti di Bisanzio”

Demone Terrorista

Page 17: Spagine della domenica 61 0

L’esposizione del cadavere della donnaanziana. La veglia dei restati. Il bandistasolitario e vagante dopo che ha pianto.L’artista al tavolo nella torre costiera.L’anziano artigiano al lavoro (lui sì cheporta a compimento le cose con cura!).La bella sans merci in atmosfera flou disogno (poteva mancare, la bella?). Ilpiede della bella con le dita tentacoli (-Feticista! - è lui, che lo dice). La pollanella grotta (so dov’è, un luogo miticodella mia infanzia). Le Cento Pietre. Spa-ruti fiorellini di campo e alberi. Abitazioni,periferie desolate e quasi abbandonate. Pochi uomini, ancor meno animali (non èun buon segno).

Sono esposte (non si nascondono né sirimuovono) le rovine e la morte (la voceinteriore diventa un vocione: - Final-mente!); ma l’accompagnamento musi-cale del feretro è svanito o non si dà più(-Che peccato!). Molteplici fili intrecciati, senza trama econ esile ordito, non danno un tessutocompatto. Strappi o, meglio, sfilacciaturegià all’origine! Però, alcuni fili rossi si distinguono.

L’uomo che incede, Hulk minore, con lesue latte da riempire. I suoi giri nel bassoSalento, tra le rovine di una civiltà chenon è più contadina e tra i residui, dete-riori e minimi, di una civiltà industrialeche non è mai decollata. Un’odissea, lasua, nelle stazioni di servizio in deca-denza. Il carburante è agli sgoccioli e perracimolarne un po’ bisogna succhiare(alla lettera). Come fa il benzinaio, cheaspira la benzina dal tubo di gomma (lasuca, nel nostro dialetto). Una delle im-magini capitali del film.Questo è quello che ho visto. (Non so piùin quale luogo, ho letto (devi averlo di-chiarato tu in qualche spiega) che il cer-catore di benzina e il benzinaio sonoamici. Io non l’ho capito, che sono amici.E comunque non mi sembra fondamen-tale.)L’uomo, che per tutto il film è andato ingiro a riempire di benzina le latte, alla finesvela il suo disegno. È un incendiario, unincendiario che si spegne in mare.

I tre tipi. Secondo una tua delazione, ri-presa dalle recensioni/comunicati distampa del tuo film, i tre sarebbero turisti.Con quelle facce! Salentine, che più sa-lentine non si può! (La prossima voltametti tre marcantoni nordici.) E che fannoquesti tre turisti? Invece di andare alle fa-mose spiagge del basso Salento, comefanno tutti i turisti veri, a godersi le bel-

lezze salentine, fanno la via crucis dellechiesette abbandonate e sperdute nellecampagne. Ma si può? Io non l’ho capito,che sono turisti. (- Ciuccio, che altro nonsei!, mi dice la voce interna. – Quantecose non capisci. Stai perdendo colpi.).E comunque non mi sembra fondamen-tale. I tre tipi che vagano (senza l’eti-chetta: turista; - Ma fermateli, e chiedeteloro i documenti!) mi sembra che fannouna cosa semplice e fondamentale cheancora provano a fare gli umani (ancheoggi, che non sono più nomadi): cammi-nare ed esplorare. Esplorare anche perrintracciare le vestigia, via via sbiadenti,del passato. Le tue immagini, questo loraccontano bene. (Il daimon mi suggeri-sce e mi intima di ripetere: - E quelloquando gira, gira di qua gira di là, qual-che volta perde di vista la sceneggia-tura.) Costringo le parole in libertà deldaimon in una formuletta: le immagini so-pravanzano la scrittura scenica (- Megliocosì!). Un’altra immagine capitale delfilm: la mano dell’uomo, uno dei tre, chesfiora l’icona quasi svanita all’interno diquella specie di santuario delle Centopie-tre.

L’artista. Una vedetta nella torre di avvi-stamento costiera (torre eburnea?). Chevive a fare? Che spera? Di avvistare inuovi bizantini? Chi aspetta? I barbari?(Già sentita.) Fino all’orizzonte il mare èsgombro (non il pesce!). Nel frattempo ri-taglia parole già scritte (già detto, arteche lavora sull’arte!); oppure le verga percostruire frasi che subito dopo frantuma.Infila un messaggio in una bottiglia chelancia in mare e che (non c’è alternativa)mai arrivera sulla terraferma. Perenne-mente in balia delle onde (che bello! ildondolio eterno!). Un naufragio, quellodella bottiglia, provocato ad arte! Ho unavisione (no, santo no!): vedo il daimonseduto, i piedi sollevati da terra, la panciaè prominente ma non troppo, le mani in-trecciate quasi sostegno alla pancia, labocca spalancata, i denti un po’ larghi. Misembra che sorrida (non è sguaiato).Non è un bel vedere. Pronuncia distinta-mente: - New Age purissima. È un soffio, poi svanisce.Anche in questo caso mi arriva una sof-fiata. L’artista (lo scrittore?) sarebbe unterrorista culturale. Io non l’ho capito, cheera un terrorista (e comunque non misembra fondamentale). Artista terrorista(-La cacofonia, la senti?). Mo’ è sparito e già ricompare. A me ri-volto: - Quante cose non cogli! Uffa! Gli do ragione, stavolta. Vero.L’artista terrorista mi ha annebbiato la

vista e confuso la mente. Delle suescene, non ho serbato come ricordoun’immagine memorabile. La mia vistaera deviata. Non posso giurare, quindi,che non ce ne fossero, di memorabili.

A me sembra che ll basso Salento, chetu hai provato a raccontare (con l’ambi-zione di elevarlo a paradigma extraterri-toriale), sia ormai il regno di un Dionisodestituito, ossia impotente (ma si puo!).Tutto, tutto quello che hai filmato (sopraho fornito un elenco parziale) a me sem-bra che documenti solo la congiura, giàavvenuta, per detronizzare Dioniso. E neiparaggi, questo il dramma, non si vedealcun Apollo che venga in suo soccorso. E Apollo, Apollo dov’è? Non lo vedo. (-Cieco, che non sei altro – mi ingiuria ildaimon, - Apollo non c’è, è alle Seichel-les. Lì c’è un sole che qui non c’è più!.)La fuga di Apollo ha scatenato un deliriodi impotenza. Questo hai filmato: un de-lirio di impotenza!

Nello spirito di colui che guarda, chequalcosa ma non tutto coglie, provo afare alcuni corto circuiti. Poche piccolescintille, che non provocano alcun incen-dio. Un rumore aspro che dura poco.L’incendiario: l’emissario di Dioniso Im-potente (le menadi non sono contente).L’artista: l’emissario fantasma di ApolloLatitante. Nessun contatto tra i due. So-spetto che nessuno dei due sospettiormai dell’altro. I tre uomini vagolanti,purtroppo, non sono l’anello mancante.

Una coda alla questione del SPMS.Busi, più di ventanni fa, accostava (citoa memoria) Liala e Moravia. Entrambi,scriveva, non hanno fatto altro che riscri-vere sempre lo stesso romanzo. A suodire, Liala lo sapeva, Moravia no.Dimentica Ciprì e Maresco, dimenticaBene, dimentica Klossowski, dimentica ilpunk (no, questo no), dimentica Bataille,dimentica Beckett, dimentica Jarry, di-mentica Russ Meyer (no, questo nean-che!), dimentica, dimentica, dimentica.Ricomincia.Il demone mi ingiunge: - Il faut boire desocéans et les repisser.Così, a muzzo: - Bisogna bere oceani epoi pisciarli.Un augurio e una richiesta. Ti auguro dipisciare tanto. Mi aiuti a trovare un esor-cista?Con una punta, ma solo una punta, di af-fetto.

Massimo Grecuccio

della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0cronache culturali - cinema

Page 18: Spagine della domenica 61 0

spagine

Scrivere, per non essere travolti

di Sebastiano Leotta

Page 19: Spagine della domenica 61 0

F orse si dovrebbe riconsiderare, leggendo Laguerra grande. Storie di gente comune, di An-tonio Gibelli, una osservazione di Walter Benja-min sulla prima guerra mondiale. Il filosofotedesco, in un saggio del 1933, scriveva che laguerra aveva cancellato nei reduci ogni capacità

di comunicare e raccontare l’inedita e radicale esperienzavissuta al fronte. Lo storico dell’università di Genova, invece,ci riporta all’interno di un vastissimo repertorio di testimo-nianze e scritture popolari che la Grande Guerra intendevanoraccontare e ricordare, per non esserne travolti.La "memorabilità dell’esperienza di guerra", come Gibelli ladefinisce, passerà attraverso un materiale ricchissimo com-posto da cartoline, diari, taccuini, memorie, lettere. È laguerra vista dal basso, la guerra vissuta e scritta dai fanti ita-liani analfabeti, semianalfabeti o pochissimo scolarizzati chescrivono con un italiano zoppicante, dialettale, incerto. "Seall’uomo in questa vita non ci incontro aventure, non aveniente darracontare", scriverà il fante "inalfabeto" VincenzoRabito in una memoria della sua vita pubblicata da Einaudinel 2007.Se ci sono luoghi dell’Italia contemporanea che più di altri,forse, possono rappresentare l’identità di questa nazione,sono gli archivi della memoria popolare su cui ha lavorato Gi-belli: oltre a quelli ligure e trentino, c’è quello di Pieve di S.Stefano, un luogo meraviglioso che raccoglie i ricordi e le me-morie di uomini e donne del Novecento italiano. Una im-mensa autobiografia collettiva.Scrivere in guerra si rivelò una necessità esistenziale: bastiil rimando all'essenziale libro sulle lettere dei prigionieri ita-liani della Grande Guerra di Leo Spitzer, apparso già nel1922, a testimoniarlo.Dalla semplice cartolina banale e ripetitiva, le celebri cartolinein franchigia, alla lettera più personale, la necessità era quelladi tenersi in contatto e di non interrompere il legame con ilmondo al di là del fronte. Immersi in una guerra distruttiva eapocalittica che allontanò milioni di uomini dagli affetti e dailoro mondi vitali, la parola scritta diventava l’ unico filo che aquesti li legava: "Tutte erimo redotte senza penziero, erimoinrecanoscibili, erimo tutte abbandonate del mondo", scriveancora Rabito, uno dei "ragazzi del ’99", l'ultima classe dileva scaraventata al fronte appena maggiorenne.L’ esperienza della morte di massa, la nostalgia di casa, lepreoccupazioni per i familiari, le sofferenze e le privazioni deiprigionieri italiani, la fame: sono questi i temi che Gibelli ri-scontra nelle scritture che ha analizzato e contestualizzato inmodo tale che le testimonianze private possano rivelare il lorovalore storico e completare la narrazione della guerra 1915-1918. Nessun feticismo della microstoria, ma i molteplici puntidi vista individuali di un gigantesco fatto collettivo. La GrandeGuerra non è solo quella raccontata da Lussu, D’Annunzio oJünger, ma è anche quella vissuta nelle parole scritte da uo-mini (e donne) comuni."Quello che si narra nelle pagine che seguono non è dunquela storia della guerra, ma la storia di questi singoli uomini edonne comuni […] la storia di questi individui non sarebbe in-tellegibile senza la storia dell’evento che prese e deviò le loro

vite, delle sue dinamiche, delle sue logiche, delle sue proce-dure discorsive, logistiche, organizzative, della sua potenzaplasmatrice. E, viceversa […] la storia di questo evento sa-rebbe molto più povera senza la storia delle loro vite"Sono circa 4 miliardi i "pezzi" postali circolati tra il fronte diguerra e il cosiddetto fronte interno. La lettera, che stabilivaun legame tra il presente militare e il passato civile dei sol-dati, costituiva una forma di risarcimento, per quanto minimo,nell’orrore della guerra. Chi non ricorda, ne La grande guerradi Monicelli, come il momento della consegna della postafosse per i soldati un momento atteso quasi religiosamente?Scrisse Piero Calamandrei, addetto al servizio propagandadurante il conflitto, che"La posta è il più gran dono che la pa-tria possa fare ai combattenti: perché in quel fascio di lettereche giunge ogni giorno fino alle trincee più avanzate, la patriaappare ai soldati non più come idealità impersonale edastratta, ma come una moltitudine di anime care e di notivolti". Credo che si possa accettare quello che sostiene ilgrande giurista, nonostante il mood un po’ liricheggiante e lasordina sulla censura sempre vigile.Gibelli ci offre anche autentici romanzi epistolari come quellodi una coppia di contadini parmensi, Vittore e Maria. Unoscambio di lettere, sono 359, che assume, a tratti, toni distruggente intimità: "Caro marito mi dici che avresti piacereessere qui a mangiare una fetta di polenta sorda [?] e te lochredo e io vorrei essere nuda come il verme della terra eavere il mio caro Marito qui con me ma chi sa se avero an-cora grazia di vederti qui atorno a me avero solo la consola-zione di insognarti e tutte le notti".In questa lettera del 24 dicembre 1917 notiamo un paio dicose, dalla nostalgia e dalla fame, anche di una semplicefetta di polenta ma mangiata a casa accanto ai propri cari,all’eros a distanza, concreto e materiale, che mai, forse, i dueavrebbero osato verbalizzare alla sublimazione onirica, nellachiusa della lettera.Qualche osservazione finale. Nella sezione di memorie ediari dedicati alla rotta di Caporetto si leggono pagine cheraggiungono un pathos che potremmo mettere accanto aquelle, per esempio, di Addio alle armi di Hemingway. Pagineche riportano la guerra, la sua tragicità e la sua assurdità franoi, vive e concrete.Come in Carlo Verano, classe 1894, contadino ligure: pocopermeabile alla retorica dello Stato-nazione, come tutti gli ap-partenenti alle classi popolari, ha come unica preoccupa-zione portare a casa la pelle. Nei suoi ricordi mette bene afuoco lo sbandamento dell’esercito, la ritirata confusa e di-sordinata e a tratti carnevalesca dopo il crollo del fronte."Tutti gridavano eccoli eccoli dietro e noi a fuggire senza nes-suno comando. Si vedeva da una parte e dall’altra far scop-piare i cannoni con la gelatina, si vedeva dar fuoco a tutto enoi sempre a fuggire. Sono le ore 9 e in una casa che do-mando un pezzo di polenta per carità e me la diedero.Un po’di forza la presi ma le forze non sono ancora quelle per cam-minare all’ungo. A si vede che il Signore e la Madonna miaiuta. Passando per quelle vie si vede donne uomini ragazzisoldati animali carelli carozze automobili tutti nel

della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0libri

Antonio Gibelli, “La guerra grande. Storie di gente comune”, Laterza

Page 20: Spagine della domenica 61 0

spagine della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0corsivo

di Gianni Ferraris

La cucina al tempo di masterchef

Masterchef, Prova delcuoco, le ricette dellaParodi e mille altri mo-menti culinari. Accendila TV in ogni ora delgiorno e della notte, fai

zapping e trovi almeno sei programmi incontemporanea che parlano di cucina. Daquella raffinata che propone tartufi, foisgras ecc, a quella più terra terra. E i pro-grammi hanno successo evidentemente, icuochi, pardon, gli chef che li conduconosono solitamente ricchi, con almeno tre ri-storanti sparsi per il globo, con una cono-scenza universale dei prodotti, dal filettodelle vacche allevate da un solo pastorealtoatesino una alla volta per non saturareil mercato, ai pesci che vengono pescati inun fazzoletto di otto metri quadri del-l’Oceano Indiano, all'erbetta cipollina pro-curata da un santone pakistano che vivein montagna e ne raccoglie due soli steliogni sei mesi, al formaggio fatto maturarenel fieno di fine maggio proveniente dauna specifica collina monferrina, e via di-cendo. E noi qui a dialogare sulle cime dirapa ci sentiamo dei reietti, a volte ci si ver-gogna un po’ di aprire il frigorifero e nonsentire neppure il profumo di un tartufod’Alba raccolto alle 6,48 di un mattino didicembre (unico momento giusto per farlo)dal cercatore Flaminio che viaggia con lascorta perché lo venderà pesandolo conla bilancia degli orefici (e degli spacciatori),sei tartufi l’anno sono sufficienti per man-

tenere un tenore di vita più che dignitosoa lui, alla sua famiglia e a quelle dei suoisette figli.Negli ultimi anni, chissà se per colpa dellacrisi, stanno aumentando a dismisura gliappassionati di cucina. Dalle gare per gior-nalisti, a D’Alema che cucina in diretta TVun risotto. A proposito di risotti, pare sia ilpiatto preferito dagli uomini che voglionofare colpo su una signora, è fine, presentabene, è buono. E poi, diciamolo, è facilis-simo da preparare, basta conoscere tre re-gole basilari e il gioco è fatto, attenti a nonscuocerlo, sarebbe un delitto. Eh si, il ri-sotto è un piatto raffinato, non me lo vedoproprio D’Alema ai tempi in cui voleva con-quistare sua moglie, invitarla a cena e of-frirle lingua salmistrata in salsa verde opasta alla puttanesca.Col risotto si potrà dire in rima: “galeotto fuil risotto”. Suona meglio di “che bella tre-sca con la puttanesca”.Quindi le cucine, in un misto di Master-chef, la Parodi che gioca a fare la bravamassaia (gioca solo però, mia madrequando vedeva una vestita come lei allaTV, intenta a cucinare o a lavare i piatti erasolita dire “quella di piatti ne lava pochi, enon pulisce certo i polli dalle interiora” lodiceva in dialetto ed era decisamente piùincisivo, faceva riferimento a pulire i pollipartendo dalla parte posteriore nella qualleoccorreva penetrare con le dita), questecucine, dicevo, si arricchiscono di nuovistrumenti tipo “il coppa pasta” o altre dia-

volerie, l’olio diventa EVO (altro che il pro-saico extra vergine di oliva), c’è il sac apoche (che noi villani potremmo chiamaretasca da pasticceria, per esempio), e nontutti sanno che il nome dell’ormai desuetoSartù di riso deriva da Sur tout (sopratutto). Neppure si sa che è esattamentequella cosa che mia madre faceva conuna certa regolarità e chiamava sformatodi riso, noi siamo peones, in fondo. E poi ineologismi come l’inquietante, orripilante,terrificante: impiattare! Ogni tanto, a ta-vola con amici che hanno appena “impiat-tato”, mi vien da dire “ti imbicchiero un po’di vino?”Bah, saranno anche utili i programmi, omeglio, lo sarebbero se si limitassero aparlare di cose di ogni giorno, invece al-cuni sembrano proprio come il raccontodel padre poverissimo che diceva al suofigliolo “se fai il bravo ti porto a vederequelli che mangiano il gelato”. Intantoguardo in strada e vedo passare un fur-gone, il faccione è il suo, uno chef di grido,che si occupa solo di altissima cucina (altacome prezzi che pratica, soprattutto) sichiama Craco. Pubblicizza una vera raffi-natezza, un lusso, la patatina che fa crock.Chiamatela come vi pare: haute cousine,provocazione gastronomica dell’artista osottile forma di (diciamolo in francese, allamaniera degli chef) prostitution.E va bene, oggi ciceri e tria e non ne par-liamo più.

C’era unavolta l’Artusi

Nella foto Pellegrino Artusi (Forlimpopoli, 4 agosto 1820 – Firenze, 30 marzo 1911) scrittore,gastronomo e critico letterario italiano, autore de La Scienza in Cucina e l'Arte di Mangiar Bene.

L'opera è una raccolta di 790 ricette della cucina casalinga di tutta Italia, frutto del lavoro di do-cumentazione e scrittura dell'autore, accompagnato dall'indispensabile sperimentazione da partedei suoi cuochi e servitori Francesco Ruffilli e Marietta Sabatini. Nel 1891 il testo fu consegnatoin forma di manoscritto all'Editore Landi, che ne pubblicò a spese dell’autore la prima edizione.L'Artusi volle una tiratura limitata a mille copie, negativamente influenzato da sue precedentiesperienze editoriali di scarso consenso.Dopo le prime edizioni il successo invece arrivò travolgente, generando la richiesta di nuove edi-zioni con un numero accresciuto di ricette e soprattutto il contributo dei lettori, che scrivevanoper ringraziare l'autore e proporgli le ricette della propria tradizione. E’ ancora oggi il iibro di cucinapiù venduto.

Page 21: Spagine della domenica 61 0

spagine

Un viaggio affascinantenella pittura e nell’arte diLeonardo da Vinci e delsuo capolavoro, un per-corso con cui FrancescoPasca unisce l’odierno al

passato, attingendo alla cosmologia, allanarrazione, dalla storia dell’arte al pre-sente.Leonardo da Vinci ritorna, moderno e co-smologico, nella narrazione singlotticadell’autore. Un modo nuovo di raccontarelo stato dell’arte. Ritorna nel ritratto magicoe diversamente poetico nella narrazioneincalzante e onirica di Francesco Pasca.Da un luogo Altro, avviene la pittura dellaparola.Qual è il Luogo da cui l’Arte parla? E chi èil volto di Mona Lisa? Due viaggi paralleli, due gemelli nel-l’uguale, due identici nel diverso.L’Alber(t)o che mette radici e il Fiat(o) chesi dissipa nel sempre ora. Per diversa col-locazione fonosemantica e idiovisiva, il let-tore prova a vedere la domandafondamentale posta francamente, daFrancesco Pasca: si può dire l’immagine?E se sì: cosa immagina la parola? Leg-giamo, dunque, e rivediamo i segni. I gio-chi di luce, e di parola, hanno una serietàe una verità che la razionalità comune hascordato. Nel segno del gioco e della libe-razione del segno. In quel segno Vinci, ed è così bello, che ilBello stesso scende a confrontarsi con ilVero. La verità della scienza e la bellezzadell’arte si articolano e si oppongono come1 e 0. Accad(d)e qui e ora nel visitare ilvolto di Leonardo. Un viaggio parallelo tra

la parola singolare del rifare l’arte nel-l’eterno presente, e il linguaggio universaledella scienziata dimestichezza che ponenomi, categorie, cornici e che usa sestessa a salvaguardare l’arte con tutto ilchimico processo che permette di fissarecolori, ammorbidire luci e trafugare ombreall’ignoto. Quasi che dietro il vero si na-sconda il bello e viceversa. O meglio, adlibitum. Come se dietro il primo sguardo diIsa, ce ne fossero tanti altri da scoprire eseguire al primo infatuarsi poetico e spe-culare dell’infans, di colui che non parlaancora, ma che già immagina. Provate a fissare a lungo i vostri occhi inuno specchio: vedrete che la visione peri-ferica del vostro volto muterà, fissandol’identico si produce il differente. Il visocambia. Pure è lo stesso. Il viso dispiegala sua storia passata e ripiega sull’ultimofantasma di donna. Che è l’ultimo atto sim-bolico per ricostruire lo sguardo che ha fis-sato il nostro volto, il primo sguardo, allanascita. Lo sperimentare ossessivo-creativo di Euè ciò che darà la soluzione, o la soluzionedi continuità del passato e del presente,del cielo e della terra. I due gemelli, comepoesia e scienza, si traducono l’un l’altro.Sviscerano il suono dal colore e la croma-tura della parola. Non c’è, finalmente, undistinguo tra quello che vedo scritto equello che sento dipinto. Quasi che al sim-bolico della scrittura non si possa ante-porre o opporre l’imago, l’immaginariodella pittura. Come se, infine, queste dueali servissero ensemble a sbattere via unafarfalla da un bruco. E qui i riferimenti allamitologia platonica potrebbero avvalersi

anche dell’amore, pleonastico, irripetibilee che mai ci si stanca di ripetere, nei con-fronti della Madre. Non fosse altro che lamadre generatrice, che si voglia o menoincarnare nella propria madre biologica, èlo Zero dell’Uno, del padre. Anche figura-tivamente la verticalità unaria e la circola-rità Zero sono infine quello che general’altro, il completo, il Due. Si nasce dal due.Guai a distinguere e contrapporre dunquela lettera dal suo disegno, il Fiato dalla suavisione, il principio dalla sua fine, il proprioicastico maschile dal proprio etereo fem-minile. C’è una scia che lascia il nostro viaggio eche è come la luce dell’ombra o viceversa:è l’antiscia. Questa è forse la soluzionepossibile, o forse improbabile: il futuro an-teriore. Quel che sarà accaduto. La sciache avrà lasciato dopo il passaggio la co-meta Isa. E sappiamo già che lascerà ilsuo tragitto di vapore. Di Fiati attraversoOggetti che bruciano. E lo sappiamo pro-prio perché gli oggetti ci sono stati, e ci sa-ranno. Ma come ci saranno? ci saranno?esiste allora un luogo che ci precede e checi consegue? siamo forse noi questi og-getti lanciati nel vuoto sidereo dell’esi-stenza artistica e siamo noi che avremmopercepito il nostro passaggio solo dopol’avvenimento della nostra coda? non c’èrisposta. C’è solo un infinito sguardo-pa-rola che in questo punto si fa segno, di-segno. La scultura è un’altra cosa. Forse è la fine.Una rosa, sbiancata, incisa nel marmo.L’esatto opposto del volto impressionatosul legno.

Francesco Pasca “[L]-ISA. Appunti per viaggio. Con il viandante e i suoi colori” musicaos:ed

Bello e verodi Gianluca Garrapa

della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0libri

Page 22: Spagine della domenica 61 0

spagine

“A e i o u: l’asinello che sei tu”: non ci stava metricamentema da piccoli ripetevamo spesso questa tiritera. Era in-dirizzata, a scuola, ai compagni più negligenti e sfaticati,o meno versati per lo studio, i quali venivano fatti oggettodi scherno dai più bravi e volenterosi. Tuttavia se lascuola, come la morte per Totò, non è proprio “na livella”,

molto facilmente mutano le umane sorti, e dunque poteva suc-cedere che almeno una volta nel corso dell’anno scolasticoanche i più bravi prendessero qualche cattivo voto: ecco alloraconsumarsi implacabile la vendetta a lungo covata dei più asini.“Chi non sa leggere la sua scrittura, è un asino di natura”: que-sta veniva riservata a chi, come me, era un po’ disordinato edaveva una calligrafia non tanto kalé quanto piuttosto kaké. Per

fortuna, almeno ai miei tempi, il peggiore della classe non eracostretto come una volta ad indossare il cappello da asino o adessere additato all’attenzione generale come esempio nega-tivo; altrimenti sai che danni sulla psiche dei miei compagni giàminata da una spaventosa sottocultura e dalle miserande con-dizioni di vita delle loro famiglie? Cioè questi, piuttosto che tos-sicodipendenti, come quasi tutti sono diventati, sarebbero statidei potenziali serial killers e maniaci. Benedetta la droga che,rinchiudendoli nelle comunità di recupero, li ha sottratti ad undestino di follia omicida. Infatti, alcuni di essi oggi sono cittadiniesemplari, ottimi genitori ed addirittura educatori e catechisti.Ma torniamo al nostro asinello, inteso non come il simbolo delpartito dei Democratici di Romano Prodi che lo presero a pre-

L’asinello

“Spero che fai l’asino sul serio, per un po’/ e se fai il ballo dell’asino, io ci sto”

Donkey Tonkey – Zucchero

di Paolo Vincentiche sei tu

Page 23: Spagine della domenica 61 0

della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0

della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0l’osceno del villaggio

stito da quello più noto del partito democratico statunitense, macome il famoso mammifero quadrupede della famiglia degliequidi. Chissà se l’asino abbia mai sofferto di essere la bruttacopia del cavallo. Il cavallo altero, di nobile figura, cantato dascrittori e poeti, l’asinello umile, dimesso, sfruttato e da tutti tra-scurato. Il cavallo nitrisce, l’asino raglia, il cavallo bizzoso, su-perbo, amato e corteggiato, presente nell’araldica delle nobilifamiglie del passato, l’asino mite, lavoratore, schivo e represso,bistrattato dalla storia e dagli uomini. Nei primi secoli del Cri-stianesimo, durante le persecuzioni nei confronti dei cristiani,questi erano accusati dei più infami delitti ed orribili misfatti. Mi-nucio Felice, un autore del III secolo, nella sua opera Octavius,riferisce che fra le accuse vi erano quelle di sacrifici umani almomento dell’iniziazione, di rendere onore ad un uomo punitocon la crocifissione, e di adorare una testa d’asino. In un graffitoinciso sulla parete di una casa sul Palatino a Roma, è raffigu-rato proprio un uomo crocefisso con la testa d’asino. Alla sini-stra è rappresentato un ragazzo con la scritta in greco:“Alexamenos adora il suo dio”. Leggiamo nell’opera di MinucioFelice: “Sento dire che essi consacrano e adorano la testadell’animale più vile, l’asino, spinti da non so quale credenza..”.In una favola di Esopo, “Il leone e l’asino selvatico”, l’asinello sivanta di aver messo in fuga alcune capre e il leone rispondeche quelle sono scappate solo perché ingannate dal suo raglio,non sapendo che in realtà il verso provenisse da un mite ani-male. L’asino, bestia da soma, è sempre stato utilizzato per ilavori più pesanti e come mezzo di trasporto, anche se dà unlatte molto buono e simile a quello della donna. “Sei proprio unasino”: quante volte abbiamo sentito, se non ricevuto, questaoffesa da qualcuno adirato con noi. Ciò a causa della testar-daggine tipica di questo animale, “o ciucciu” come dicono i na-poletani. Quanto alla distribuzione geografica degli asini,l’animale è molto più presente nel continente asiatico che inquello europeo. Solo in Cina si contano circa 11 milioni di asinie in India 1 milione e mezzo. In Europa , il Portogallo e la Greciahanno il maggior numero di capi. Ogni razza d’asino ha le sueparticolarità. Basta non confonderlo con il mulo o bardotto, cheè dato dall’incrocio fra asino e cavallo.Queste le principali razze italiane. Amiata: razza originaria dellaToscana e per l’esattezza del Monte Amiata, provincia di Gros-seto, di colore grigio chiaro con riga mulina e croce scapolare(di particolare bellezza). Poi abbiamo l’asino dei Monti Lepini,a cavallo tra la province di Latina e Roma, di colore grigio scuro,con o senza riga mulina. L’asino calabrese, dal colore del man-tello grigio marrone. L’Asino Grigio Siciliano. Il nostro Asino diMartina Franca, uno dei più pregiati, con mantello morello econ addome, interno delle cosce e muso chiari. In Sardegnac’è un’isola che da loro prende il nome, l’Asinara, dove i bei ciu-chi bianchi dagli occhi azzurri fanno compagnia agli ergastolanidella colonia penale. Ancora, l’Asino di Pantelleria, con man-tello morello, riga mulina e muso chiaro. L’asino del Ragusanoche a differenza degli altri ha un pelo molto più folto. L’asino ro-magnolo (in particolare Provincia di Forlì), uno dei più belli eimponenti, dal pelo prevalentemente chiaro. L’asino sardo conriga mulina crociata, bordo scuro delle orecchie. L’Asino Viter-bese - Asino di Allumiere, uno dei più piccoli, bicolore, grigiochiaro e bianco.

E’ abbastanza presente, o ciucciariello, anche in letteratura.Nella sua opera “Metamorfosi”, altresì conosciuta come“L’asino d’oro”, lo scrittore Apuleio (II Secolo d.C.), che si rifà aLucio di Patre, di poco precedente, racconta la storia di Lucioil quale in Tessaglia conosce una signora esperta di arti magi-

che e, spinto da forte curiosità, cerca di carpirne i segreti. In-trodotto dalla servetta Fotide nella camera della maga, egli,sbagliando ad utilizzare un unguento, si trasforma in un perfettoasino che però conserva i sentimenti umani. Dopo una lungaserie di peripezie, Lucio si ritrova in riva al mare, dove prega laDea Iside che metta fine alla animalesca trasformazione eviene ascoltato dalla dea che gli chiede in cambio che egli di-venti un adepto del suo culto. Lucio, mangiando una corona dirose, ritorna uomo. La stessa storia, che attinge molto alla no-vellistica orientale ( come “Le mille e una notte”), viene ripresadallo scrittore greco Luciano di Samosata, in “Lucio o l’asino”.Questa storia ci ricorda anche quella di Pinocchio che, insiemeall’amico Lucignolo, viene trasformato in ciuco e poi si ritra-sforma in burattino, mentre il suo cattivo compagno rimaneasino. Insomma, la letteratura non riserva un buon trattamentoa questo animale, come è confermato da Verga quando in“Rosso malpelo”, a proposito del carattere cocciuto dell’asino,scrive: “ei si pigliava le busse senza protestare, proprio comese li pigliano gli asini che curvano la schiena, ma seguitano afare modo loro.” E ancora: “ L'asino va picchiato, perché nonpuò picchiar lui; e potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedie ci strapperebbe la carne a morsi.” Ma il riscatto dell’asino viene dalla religione cristiana, precisa-mente dalla natività di Nostro Signore (“L'asinello lemmelemme lungo la via di Betlemme,con Giuseppe e con Mariaper la lunghissima via”). Infatti chi c’è nella grotta di Betlemmea riscaldare col suo fiato il Bambin Gesù, insieme al bue? IlNostro, smentendo il detto popolare “Raglio d'asino non giunsemai in cielo”, da quella posizione privilegiata ogni anno ne puòridere su di tutte le beffe e umiliazioni patite. Ma anche Ih-Oh,l'asinello di peluche amico di Winnie the Pooh, almeno perchiunque abbia figli piccoli, fa la sua parte nel rendere amabilequesto equino, così come Ciuchino, l'asino parlante dei film dianimazione della serie “Shrek”. Ora proviamo a fare un gioco e stabiliamo, fra i personaggi chehanno maggiormente influenzato la vita pubblica in Italia nel2014, chi sia il più asino. Offriamo tre risposte. 1: “Papa Fran-cesco”, il quale continua a non andare d’accordo col vocabo-lario italiano, collezionando strafalcioni ( che a così alti livelli sitrasformano tosto in incidenti diplomatici) nella lingua che fuproprio di quel santo di Assisi da cui Bergoglio prende il nome.2: Matteo Salvini, leader della Lega Nord. E qui entriamo nelcampo minato della pubblica istruzione e della scuola, ritor-nando così all’argomento da cui siamo partiti. Che cosa hannofatto le coalizioni Pdl-Lega in anni e anni di governo per lascuola nel nostro paese? Nulla, se non peggiorare le cose conavventate e improvvide riforme, tipo Gelmini. Ora Salvini rin-faccia al presidente del consiglio Matteo Renzi di aver pro-messo molte vagonate di euri per risistemare le scuole italianeche versano in condizioni del tutto precarie. Ma questi soldi nonsono stati ancora stanziati e quindi dà al presidente rottamatoredel bugiardo. 3: Il Matteo superstar, Renzi forever, il quale vienedalla stessa terra di Pinocchio ( Collodi, Pistoia, patria delloscrittore Carlo Lorenzini, è a pochi chilometri da Firenze). Saràun caso? Renzi -Pinocchio, tra le tantissime cose, ha promessodei criteri di premialità per gli insegnanti, un congruo aumentodegli stipendi e la fine del precariato; inoltre di aprire almenoun migliaio di asili. Ma pure in questo, ancora, il bischeraccioMatteo non s’è dato da fare. Dunque, chi sarà il più asino diquesti tre mostri sacri della vita pubblica italiana? Siete invitatia scegliere. L’importante è farla, una scelta, per non correre ilrischio di morire di fame nell’incertezza, come l’asino di Buri-dano.

Page 24: Spagine della domenica 61 0

http://issuu.com/milellaleccespaziovivo/docs/generazionidiscritture

spaginedella domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0

musica

Scardadi Alessandra Margiotta

Ciao Scarda, hai provato ad im-parare il pianoforte e la chi-tarra ma la tua vocazione èsempre stata la scrittura.Quando hai capito che la tuastrada era il cantautorato?

L'ho capito nel 2010, quando ho scoperto cheoltre ai cantanti che si ascoltavano nelle RadioPrincipali e in TV ne esistevano altri che anda-vano avanti grazie al passaparola e a un circuitoche all'epoca scoprii chiamarsi "indie". Fu lascoperta della "ancora esistenza" di un certotipo di musica. Due anni dopo (2012) esordiicon una demo sul tubo. Sei cresciuto e vissuto in Calabria ma benpresto sei ‘fuggito’ a Roma. Cosa ti ha spintoa raggiungere la capitale?Quando mi trasferii a Roma lo feci con la scusadell'Università, avevo finito la triennale a ReggioCalabria, in quel momento piantai i piedi perterra a casa "o Roma o niente, mi metto a lavo-rare". In realtà sapevo benissimo di andarci allaricerca di qualcosa che in Calabria non trovavo.E qualche anno dopo mi resi conto di averla tro-vata. Non è solo il contatto con un luogo artisti-camente più vivo e stimolante, è anche lalontananza che ti fa vedere meglio le cose, c'èun tempo per vivere e c'è un tempo per descri-vere. Io quando vengo a Roma faccio la se-

conda cosa. Arriva il primo successo con il brano Smettoquando voglio premiato come migliore canzoneoriginale che diventa la colonna sonora del filmgirato da Sydney Sibilia.Come è nato l’incontro con il giovane registae l’idea del brano?È nato in un locale che adesso ha chiuso. Qual-cuno mi ha filmato mentre suonavo e gli ha mo-strato il video, da li in poi sono iniziati i contattiche hanno portato alla "commissione della can-zone", alla nomination al David e all'inizio dellamia avventura "ufficiale" nella discografia.I piedi sul cruscotto è il tuo disco d’esordio.Come è nato e perché questo titolo?La sua gestazione è iniziata già prima della sto-ria di "Smetto quando voglio". Da un lato è statoun peccato non avercelo pronto in quel periodo,dall'altro forse no, perché sarebbe stata unacosa fatta troppo di fretta e perché probabil-mente questa gavetta in più un giorno mi tor-nerà utile. In ogni caso alla fine è uscito per MKRecords, con un aiuto concreto da parte diun'altra realtà calabrese: Manita Lab. Il nomenasce dal fatto che mi piace la frase in se, ma èanche la posizione nella quale immagino l'ascol-tatore, l'illuminazione è arrivata guardando isegni lasciati sulla mia macchina da due piedi!Immagino un paio di converse o di "ballerine"

quando penso questa frase. Vorrei aggiungereche il disco nasce anche grazie al lavoro di Da-niele Mirabilii (fonico e bassista del disco) eAlessandro Albino (batteria), presso il "Lift Pro-ject Studio" di Roma.Ascoltando i brani si percepisce l’influenzadell’artista Brunori Sas, è vero?Sì, di Brunori sono un grande fan, sono stato asvariati suoi concerti e mi sono fatto autografarepure il disco, l'influenza evidentemente c'è manon è stata volontaria, è che a me viene di can-tare con questo timbro di voce e ci posso farepoco, come lui ha potuto fare poco quando loaccostavano a Rino Gaetano. La scrittura di tuttie tre è molto diversa e in generale vedo che chiascolta Brunori, Dente e compagnia bella, unavolta che mi scopre ascolta anche me, quindivivo molto bene questo accostamento, però cer-cherò di affrancarmi nel prossimo disco, pro-messo.Tra gli artisti contemporanei con chi ti pia-cerebbe collaborare?In altre occasioni ho detto "Maria Antonietta"per-ché ho scritto un duetto in cui ci vedo moltobene la sua voce. In questa occasione... Con-fermo. Dove è possibile acquistare il tuo album?Sui Digitale Store, ai concerti e nei negozi di di-schi.

Page 25: Spagine della domenica 61 0

spagine della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0corrispondenze

Milena Galeoto da Montréal

Attention à nos enfants

Page 26: Spagine della domenica 61 0

Educare alla convivenza

“Fate attenzione ai nostri bambini”, c’èscritto davanti alle ruelles, i vicoli allespalle delle abitazioni montrealesi, dovenon transitano le auto e dove i giochi re-stano in strada per essere usati da tutti ibambini.

“Attention aux enfants”, è la parola d’ordine,perché si è compreso da tempo che tutelare l’in-fanzia significa preservare il futuro del paese.Numerose sono le iniziative rivolte ai bambini,a partire dalle scuole, molte delle quali collocatein chiese o edifici religiosi convertiti, almeno unpaio per ogni quartiere, dove il multiculturalismoe l’attivismo dei comitati di genitori sono realtàfortemente consolidate.Educare al rispetto, alla convivenza civile, allasalvaguardia dell’ambiente e della persona,sono i punti cruciali su cui si poggia il sistemaeducativo, attraverso discipline come: etica estoria delle religioni, studi sociali, ecologia, agri-coltura urbana, etc.Fin da piccoli, si ha l’accortezza di sensibilizzarlialla convivenza democratica, suggerendo allefamiglie, al fine di evitare discriminazioni e attidi bullismo, di evitare accessori scolastici griffati,anche per superare insieme problemi legati aglistereotipi di genere. I quaderni utilizzati, infatti,sono uguali per tutti e di diversi colori, cosìcome le semplici uniformi con le scarpe da gin-nastica rigorosamente ai piedi perché i bambinipossano muoversi ed esprimersi in piena li-bertà. A tal fine, le lezioni sono disposte in modoche i giovani studenti possano seguirle spostan-dosi da un’aula all’altra, avendo anche a dispo-sizione enormi cortili e saloni per giocaredurante la ricreazione che dura una buona mez-z’ora.In ciascuna classe, inoltre, è riprodotto un an-golo che ricorda un ambiente domestico, con un

divano, un grande tavolo e numerose librerieper far sentire i ragazzi a proprio agio, per me-glio socializzare e godere della loro ora di “let-tura e comprensione”, una materia prevista daiprogrammi ministeriali e che è alla base di unacorretta formazione. “L’amore per la lettura”, af-ferma una docente della scuola primaria Ban-croft, “porta l’allievo ad appassionarsi nel tempoallo studio. Personalmente, ho creato una vastabiblioteca nella mia classe, con testi sia in in-glese che in francese perché possano conti-nuare a leggerli anche a casa.”.In un paese, inoltre, dove da secoli sono pre-senti numerose comunità con il proprio credoreligioso, si è ritenuta necessaria l’ora di “eticae storia delle religioni” dove sono discussi temicomuni a tutte le confessioni perché la cono-scenza educhi al rispetto e alla tolleranza del-l’altro.Sempre parlando di rispetto e tolleranza, è laprima volta come madre di osservare come giànelle scuole primarie si affrontino problemicome l’omofobia e le diverse famiglie sonoesposte con enormi sorrisi su cartelloni affissinei corridoi, dove è facile individuare nucleicomposti da un padre e una madre, da duemadri, due padri o da un genitore sigle.Si comprende chiaramente, osservando questeiniziative come si dia priorità alla crescita dellapersona prima ancora d’insegnare le nozioniche comunemente si apprendono a scuola.Questa dimensione ti predispone come genitorea offrire volentieri un tuo contributo per l’entu-siasmo che riescono a trasmetterti e l’aria di fa-miliarità che viene a instaurarsi. E’ facile, perquesto motivo, ritrovarsi con pennello e latta divernice a rinfrescare le pareti di un’aula, con lemani nella pasta frolla per sfornare biscotti, aconfezionare lavoretti per i mercatini di raccolta

fondi, o a installare scenografie e festoni per fe-steggiare insieme giornate speciali.Alla scuola che frequenta mia figlia, tra le per-sone più attive, ci sono le nonne, le più tenaciin assoluto, quelle portoghesi che armate di agoe filo, confezionano i costumi per i musical, oberretti, sciarpe e guanti sempre a disposizioneper chi ne avesse bisogno.I bambini e gli anziani non sono considerati ca-tegorie deboli ma persone a cui dare priorità pergarantire loro autonomia e partecipazione. Unavolta, fui sorpresa a vedere un residence peranziani (che qui non chiamano ospizio ma coo-perativa di coabitazione per anziani) affacciatosu un cortile di scuola, pensando a una bella ca-sualità. Apprendendo, invece, con enorme pia-cere che questa disposizione fosse volutaproprio dal comune, dove gli inquilini si trovanoad essere coinvolti nelle attività scolastiche. Ilbene comune e il benessere sociale, sono sicu-ramente i valori che in assoluto emergono daqueste osservazioni, anche soltanto passeg-giando lungo le strade, nei numerosi parchi, bi-blioteche e centri culturali per le famiglie.E’ attraverso gli occhi di meraviglia di mia figlia,vederla libera di correre a piedi nudi sull’erba dichilometriche aree verdi, giocare a suonare ilpiano sui numerosi pianoforti dislocati nellacittà, tuffarsi nelle piscine gratuite, partecipareliberamente a numerosi laboratori urbani, sfo-gliare libri senza sosta in fornitissime bibliotecheambulanti, assistere a spettacoli improvvisati instrada, giocare nei villaggi invernali, degustarepietanze durante le feste di quartiere delle varieetnie, che ho compreso il vero investimento cheun paese può e deve fare per garantire la pro-pria reale ricchezza, attraverso la parola d’or-dine: “ATTENTION AUX ENFANTS!“.

di Milena Galeoto

Agricoltura urbanaBiblioteca ambulante

Zona relax Fontanina a misura di bambiniBiblioteca

Page 27: Spagine della domenica 61 0

Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Fondo Verri

esce la domenica a cura di Mauro Marinoè realizzato nella sede

di Via Santa Maria del Paradiso, 8.a , Lecce

Programma delle Attività Culturali della Regione Puglia2015 Artigiana - La casa degli autori*SpagineFondo Verri Edizioni

della domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0spagine corrispondenze

Page 28: Spagine della domenica 61 0

copertina spaginedella domenica n°61 - 25 gennaio 2015 - anno 3 n.0

in agenda

Martedì 27 gennaio, dalle 18.00 negli spazi

del Museo Ferroviario della Puglia di Lecce

I l 27 gennaio, l’AISAF (Associa-zione Ionico-Salentina Amici Ferro-vie) il Museo Ferroviario dellaPuglia, il Fondo Verri e Teatro Na-turale celebrano la ricorrenza delGiorno Internazionale della Memo-

ria della Shoah,settantesimo anniversario dell’abbatti-mento dei cancelli del campo di sterminiodi Auschwitzcon due performance e una mostra di im-magini realizzate da Massimiliano Spe-dicatonel corso di due suoi viaggi a "bordo" del"Treno della Memoria" verso i luoghidella shoah.***La fotografia per ispirare un altro educarequesto l'impegno del reportage di Massi-miliano Spedicato. “Andiamo a guardarecos’è stato” è il pensiero che ispira il fo-

tografo salentino.Destinazione Auschwitz, per ricordareuna delle più grandi tragedie della storiadell’umanità, per non dimenticare che ilMondo, a volte, può perdere l’orizzontedella ragione e smarrire il senso pro-fondo della Storia che, giorno dopogiorno, lo costruisce. I luoghi dellaShoah, dello sterminio di milioni di per-sone, i lager di Auschwitz e di Birkenau,e ancora la Berlino contemporanea in al-cune immagini di significativa astrazione.Il contrasto con la natura, con i colori, arinnovare la speranza che ciò che è statonon sarà più.

La mostra farà da cornice a due perfor-mance.

La lettura a cura di Mauro marino e PieroRapanà del poemetto “Non sentitel’odore del fumo” che il poeta DaniloDolci ha compilato visitando all’indomanidella Guerra i reduci di Auschwitz e di Hi-roshima – poesia raccolte in un libroedito da Laterza nel 1971.

A seguire Renato Grilli (Teatro Naturale)e Rocco Nigro (fisarmonicista e compo-sitore) presentano “Ora e sempre! consi-derazioni fuori dal coro”, letture, musiche,danze klezmer. In programma: per le considerazioni pe-dagogiche, la lettura di “Perché Kafka ècomico e perché ho deciso di rinunciarea spiegare agli studenti americani la co-micità dei suoi racconti” di David FosterWallace. Per le considerazioni inattuali,la lettura con musica dal vivo di “Unsogno nell’oasi”, da un racconto miste-rioso con animali parlanti di Franz Kafkaper le improvvisazioni musicali di RoccoNigro. Per le considerazioni umane, mu-sica, canzoni e poesie “Ora e sempre,gioia!” canzoni, inni, danze di gioia dalmondo klezmer.

Il Museo Ferroviario è in Via G. Codacci Pisanelli 3 a Lecce

Tel. fisso: 0832 228821cellulare: 335 6397167

Non sentite l’odore del fumo?