33 spagine magazzino di poesia gianluca martalò

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magazzino di poesia L’elefante Gianluca Martalò * spagine e la cristalliera

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Le poesie di Gianluca Martalò per il Magazzino di Poesia di Spagine

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magazzino di poesia

L’elefanteGianluca Martalò

*spagine

e la cristalliera

SpagineMagazzino di poesia

spagine - magazzino di poesia - poesia n° 33

Spagine è un periodico di informazione culturaledell’Associazione Culturale Fondo Verri di Lecce

L’elefante e la cristallieraGianluca Martalò

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L’elefante e la cristalliera

Ad un amore

Un sole limpido e ardente ti attendeSui gradini dell’alba. Nella luce biancaUn candido accompagnatore ti è accanto.

Porta un vestito d’amore e il suo sguardoSu di te si posa, come acqua di fonteÈ il tuo viso, e lui se ne abbevera.

Tu, stordita dalla luce non parli, ma tremanoI tuoi occhi di mandorlo. La sua mano giaceForte sul tuo fianco dolce. E l’anima della natura

Ai tuoi piedi giace, come colomba. BellaCreatura dell’alba, il sole non più si trattiene.Ogni suo raggio ti attraversa, non vuole cessare

Di splendere per te. Né l’accompagnatoreIl suo braccio da te staccare. Un nuovo giornoÈ nato. Due anime nude attraversano il sentiero.

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Gianluca Martalò

Esule

Foreste, case di ritmi,io sono qui alla mia finestrache guardo il lucido della strada.

Nel mio cuore c’è un gattonella mano un fiore …ma da est, dalla pineta,

si espande un odore di resinaa cui non so resistere.E se un giorno andrò

in quella foresta mai conosciuta,me ne andrò come un esuleche non odia ma non saluta.

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L’elefante e la cristalliera

La nebbia

É mattino, viene la nebbiaad offuscare ogni cosa;s’intromette tra gli orti

dove la rosa nel sonnoriposa, come la violae il mandarino; lì vicino

un grillo ancora canta,di stanza in stanzaun canto di violino ancora

si ode; è mattinoe il sole esplode tra lanebbia: foschia più densa

del rancore, piovesugli occhi una patina biancastra; si incastra

la mente nel gioco:vedere e non vedereè cosa non da poco.

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Gianluca Martalò

Dubbio

Ed io ero un invernoche penetrava le mie ossa;un fuoco, un girasole celeste,fiammeggiava nel buio intestino.

Oh cuore, che prendesti il tuo piacerenel mordere lo scisma – coatto –di una vita rubata – la mia –alle ortiche e alle margherite;

quale spettacolo il non viverepur non essendo complicedel mio ultimo giorno?

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L’elefante e la cristalliera

Poema millenario delle foglie

Hai diviso le due rive:sinistra sogno, destra ragione.Il tuo cervello si è spezzato in due;il corpo staccato dal tuo cuore.

Passeggiavi per i sentieri di vitacon in tasca due noci,sulla spalla un mantello nero,ed eri Omero tra le tombe.

Non cercavi riposoma ti appoggiasti a un ramoquello si ruppe e tu cadesti nel baratro.

Oh, mattina! Oh mattina!Come chiamarti, sentore d’albache ritemperi le membraa scapito del cuore svuotato?

Hai saltato il fossatoe non ti sei bagnatoma il vento dell’ovestporta nubi di pioggia.

Ti nascondesti sotto una grande fogliaa mo’ di scimmia antropomorfae contavi le gocce per imparareil poema millenario delle foglie.

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Gianluca Martalò

Colloquio

Bene, fu l’ultimo giornoa morire nel vespro; comeallodola ferita non seppidanzare la danza del serpente.

A niente paragono il lupose non a quel dio che il soleappese a un cielo livido,fatto di sapone giallo.

Il canto della mita perdedinanzi al canto della serpeverde, come roccia il cuoremio di uomo in nota ascensionale.

Tu non sai se è male; cantarenon puoi, lo sai, la dolce canzoneche una notte aprì il tuo petto.

La sola via che porta al ventofreddo dell’autunno tu non sai,e fa male al cuore sentirti piangere.

Ora ascolta: smetti. Un piantodura un secolo e una lacrimanon basta a colmare il pozzodell’infiammata conoscenza.

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L’elefante e la cristalliera

Acqua

Vento sull’onda, onda nel vento, tuttoil mare è in fermento; in fermento il cuoredi chi è ancora in mare lontano dal suolo,traccia e decoro di chi non torna, il faro

appena luce nella nebbia scaltra e rapace, il mare non tace, non tace l’onda, giocondala Fortuna rapisce il navigante, dona poesieper omini che hanno il pericolo per amante.

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Gianluca Martalò

Scenari di oriente

Il sonno ti abbraccia mia cara lungo la nottebuia è la stanza dove dormi sul letto alto,un bardo canta canzoni di epiche gesta,narrazioni che vincono la mente più desta:

suoni infatti escono fuori dall’arpa bigiae molli accordi ti cullano, come in sognostai, rapita e gaia dalla musica che il ritmoda sola attanaglia, e arringa; dolci sogni

ti vengano a cullare questa notte e il tuo respirosia lieve come d’inverno la neve che tutto dai monti ai colli imbianca; stanca l’anima si riposi, sposi saranno i tuoi pensieri ai miei, ed io ti trarrò

verso la sponda di questo lago, dove l’acqua è avvelenatadal miscuglio dell’oblio e il Sonno intrecciato al Sognoè padrone del campo di battaglia e il cuore molcecome un cavallo abbattuto dalla bombarda.

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L’elefante e la cristalliera

Votato a dannazione

É notte; sono solo nel mio lettodi sangue; esangue guardo su alcielo, che è verde di speranza. La

Luna tossicchia in un angolo, chiara,la mia anima si ammala, di rimpiantoo pentimento, mi sento spento come

cenere o vacua fiammella, sognola mammella del Mare, mi trovotra le onde e sto per affogare. Io

non sono che barca che oscilla,vento tiepido che gonfia la biancavela; nei miei occhi si accende

una candela gialla, è la Luna chenel mare pare che balli sull’onde,tra pesci volanti e sirene verdi: io

che dico a me stesso: perché ti perdi?Tra queste onde gioconde con labattigia, che io inseguo pensieroso

per trovare la via del male ritroso,il mare che mi affoga dentro è unmalore che morde il mio cuore

spento; non ho forze per sopportareoltre tale pressione, seguirò la vitacome viene, anche se la sua fine

è la dannazione.

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Gianluca Martalò

Verrà la morte

La morteverrà con passo di danza,si avvicinerà al colloe vi aliterà forte.

Sotto gli occhi di gufo,avrà borse di sonno, la morte verrà e la vita ritornerà a mischiarsi con il sogno.

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L’elefante e la cristalliera

Digressioni su bene e male

É notte e le streghe volano a sciami sulle loro scope nerevestite di rozze vestaglie brune, portano, negre cicogne,l’oscuro dove non aleggia più il lume della bianca magia.

Per tradizione, hanno lunghi nasi tubercolosi e mani lunghe laccate di unghie violacee: hanno sospiri di tisi in gola,e volano leggiadre, le diresti fate sfortunate, verso la meta.

C’è chi ha chiesto al maligno di aver fortuna nel mondo,quale che sia il prezzo, c’è chi ha venduto l’anima per allungarepropria vita di un pezzo consistente. Vi dirò: non vi adirate

contro queste nere signore, esse sono maligne non più delle suore. Non fanno, del resto, niente di tanto peccaminoso, visto cheaiutano Satana a rifornir di morta vita il più bisognoso. Sono

gli uomini, degli aspiranti, lor portano ossigeno a chi ne richiede;e poi, dite, non è vestito allo stesso modo il prete fino al piede?

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Gianluca Martalò

La meretrice

C’è un vaso sul balconecon le corolle esplose,lo guardano irretitele donne passeggianti.

Sotto c’è un portoneed un cartello – da quel cartellosi capisce perché a salirequelle scale sono solo uomini.

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L’elefante e la cristalliera

Bandiera

La notte, ricercatamai raggiunta, se noncome meta o desiderio.

Fu il giorno a morireesule dal cielo, pallaaccesa di fuoco pirico.

Soli, come semprenon raggiungevamo noi la coltre della notte, nera.

Il vento, in sognoscuoteva la bandierae io – che son solo –

dico solo due paroleche vorresti estinte.

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Gianluca Martalò

Fenomeno

Ahi, patire nel lento moriredel momento. L’allodola del mattinosi sveglia e l’aria cambiare parein una deflagrazione di dolcezza.

Nella brezza di queste prime orematutine, una vespa è la mia collerache si stempera nell’odore del gelsomino.

Abbarbicata alla mia animaun po’ di malinconia trattiene il fiatoe l’occhio che tutto guardaindaga la luminescenza del fenomeno.

I miei occhi, come in uno specchio,riflettono sogni sperduti e lenti passano i minuti del trapassodal sogno alla veglia.

Ahi, candela dei miei verd’annicome ancora ti consumie non finisce la delizia della cera?

Agguantato a un rantolo di forzatravalico questo guado e tremose l’onda è troppo forte.

Amore, per le tamericiche il vento dell’ovest porta al mio naso,un vaso di menta l’aria purificadei miei pentimenti.

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L’elefante e la cristalliera

No, non so trovare altra linfase non nella tua luce, fantasmagorica donnache mi passi accanto strusciando la tua gonna leggera e fluente.

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Gianluca Martalò

Infedeltà

Albatro sullo scoglioera il sole diamantino,ahi, ricordo di una infedeltàvissuta a tradimento,tra le vie del boscoun orso portava una borsa leggiera.

E non una capineraa rincorrersi nello spazio,tra foglie e diademi di pigne.Le alte, verdi frasche,sulla vetta di un’impossibile auroracantan la canzone vecchiadello specchio dell’animo insondabile.

Ahi, abiura e tradimento,tra le foglie sempreverdiche grida di traguardi!

Sulla superficie delle acquemille riflessi sui flutti biondi,racimolanti a riva. Ed io?Dove cercare altra dimorase non nell’oscuro dei tuoi occhipersi e fondi fino all’oscuro dell’abisso?Pioggia sulle mie due manisono le tue lacrimee un sorriso di porporaun tuo bacio.

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L’elefante e la cristalliera

Poema dell’infedele

Sotto l’anima causticaun cuore a ogivabatte, e spinge al serenoil vento dell’ovest.

Ahi, desiderio, quale tradimentoportò a tanta prova?Tra le vie del borgoun cane scodinzola solo.

Pentimento è il tuo caso?Torni ora a baciarmi il pettodopo avermi strappato il cuore?

Tra le foglie gialle una coccinellaè tutta rossa e cerca una compagna.

Flebile è il delirio degli astrial di sopra delle nostre testeuna furia verde ci invadecon la sua dolcezza di metallo.

Ahi, vivere io non potreise non in uno scriccioloe stendere, come lui, le ali.

Nel baratro dell’incoscienzauna fiamma è isolata tra le roccee lì è scritto che dopo il bene per il solo male non c’è posto.

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Gianluca Martalò

Sapone

Bene, non lo sapevima un pezzo di saponeti era rimasto nella boccae non avevi denti per masticare.

Guardavi alla finestraun corvo sul melo,il sole calava, era sera.

Come avresti potutoabbracciare il cuscino del sogno,se una scaglia di saponeti intossicava la lingua?

Non dormisti e rimanesti a guardaredalla fessura del vetroun lampione farsi giallo.

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L’elefante e la cristalliera

Lettera al mondo

Oh notte, in un mondoParadiso di un antico mondoTra le punte le stelle!

E se la sera, tagliata da una finestraCome donna bianca la lunaPorgere volesse il guanciale alle nuvole:

Nulla se non le spine di un’ antica rosaPungere vorrebbero la tua mano biancacome memoria di fuliggine e di antiche frasi.

Furono gli anni fatali

Dei cataclismi del cosmo, quando,Tra spiragli di luce la rosa casta del perdonoSfiorò la terra baciandogli la gota.

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Gianluca Martalò

Reliquario

Ahi, antica rosadi cui non ricordo il nome,se risiedere volessi sul trono

della tua testa immacolata,impiccherei per primala peluria del tuo becco

e una soma sparvieravincerebbe l’acume dei tuoi occhi.

Oh Dio dell’infinito,

perduto tra gli occhi delle stradeun malcapitato assunse il ruolo di liberticida,

e non sapemmo se essere bianchi al perdono o all’innocenzadi un’anima candida che prese il volo lì dove il limo della terra

assalì l’arsura del mare; e il tempo – perduto tra i suoi pensieri –si raccolse in goccia e esplose nel plenilunio della polvere.

Ahi, anima candida che mi hai tolto il respiroanche senza quello riesco a cantarti ancora;

eppure il mondo finì in un istante e la moltitudini degli angeli celestiprese il volo tra il collo variopinto dei colombi mattutini;

eppure un sogno fu quello che trasmigrò alle ali dell’incertezzae una dura breccia colpì il timone della nave;

eppure resupino su questa terra che porta pioggia e sciroccoosservo le nuvole che mi tagliano l’animo in viluppi di memorie

[ dal sapore di nepente.

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L’elefante e la cristalliera

Tutto, oltre l’incerto, è una cascata di pioppi sul mento[ della lucertola perduta.

Oltre lo strapiombo un mare di vertigini colpì me stesso[ e la foglia verde.

Temuta, ma non perduta, fu la trasfusione di attimi perfetti.Ahi, temuta fu la conquista degli assorti e un mondo svanì

[ nel gorgo del cosmo.

Trapuntato da mille rivoli di dolci notizie il capitano[ del veliero bianco colpì il disordine perfetto.

Non tutto, e fu questo, distrusse il mio animo[ e il porto parve troppo lontano.

Se tu, seduta nel mio reliquario di mondi sommersi,[ avessi pianto il giorno

del mio abbandono imminente… Distruggimi dea[ del fuoco incombusto,

tutto il mio piangere è il mio ridere, e nulla scorgo[ se non il verde rame del primo mattino.

E non c’è lotta tra gli elementi stanchi,[ la guerra che condusse alla disperazione dell’attimo

produsse il frutto della riconoscenza eterna. Tumulto[ e sciolto in una goccia il mare, pianse di lacrime salse

L’occhio del timore. Ahi, nuovo millennio che hai preso a testatel’innocenza della bestia di questa terra,

colpisci al mento lo sconosciuto che perdurò nell’oscuro della nottecieca. Ahi, ressa di madri al galoppo

[ nel cielo infausto dell’innocenza.

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Gianluca Martalò

Antro

Ed era notte, nel mio cuore affranto

Una libellula volava – dolce ricordoDi un’anima candida venutaA intenerire l’arido deserto.

E non era tempo, di grida o prigioniMa del sole meridiano che canta canzoniAi quattro angoli del vento. Stupito

Rimasi a guardare, restaiCome statua di sale. MorenteIl battito della terra supina alla notte

Incrociava gli occhi sul dorso della mano,Ed un miracolo venne piano, dischiuseI suoi segreti alle amanti perfette, un gioco

Di sillabe sigillò il silenzio dei luoghi antichiDove intreccio erano le membra, e un sole supinoRicopriva la terra, di luce e immondizia, le sole

Ad attirare il mulino del futuro stare. Ahi,Stoltezze di bimbi ritornano sul mio cuore,Come una cinepresa d’ebbrezza l’occhio

Del vento fustigava il mio capo austero.E non ero che l’ultimo pedone di una stradaDove l’oro del limone abbracciava il bianco

Di nuvole leggere e celestiali. Senza ali il corpoDi tutti i sopravvissuti si tempestò di diamantiE le mani presero forma d’incendi. O Dio

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L’elefante e la cristalliera

Che hai colpito ai fianchi la mia soma testardaCon un colpo di coda l’anima di serpe spiòChi tra i vivi provasse a ritardare il diluvio.

Nel sonno, rappreso ad un gomitolo di lana puraLa mia soma leggera piangeva la sua veglia notturna.Ad una ad una le creature del mare misero piede

Nella dimensione del sonno, e un futuroFatto d’ali e di becchi si specchiò Sulla fonte chiara e pulita dell’alba.

Non piangere diceva, il capitanoDai capelli d’argento e la barba d’acciaio.Il timone conduce la nave e la scia si apre

Come un abisso sulla ferita del mare.Ahi, pianto della terra deserta, un soleNon poté colpire il martirio

Dei pini rossastri tra i muschi, e il fulmineDi ogni pensiero si richiuse nel bosco di sonno.Tremula una bandiera di panno e luce

Sulla testa del mozzo, stava a ricordareChe la nazione pativa e l’uomoEra solo in fondo al mare.

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Gianluca Martalò

Perduro

Ahi, nella notte di vellutoVenne un orso a salutarmiEro nel giaciglio che cantavoLe mie canzoni di dolori.

Ed era rosso il suo occhio, come vinoLa sua bocca sporca di medusa.Non era notte per la mia luce,non c’era sole nel mio domani.

Ahi sogni, perché non penetrasteNei miei cuori affranti ad aprireIl mio sterno di alabastro e il cuoreSciogliere in dolce miele?

Sotto il sole ci sta un ficoAttorno al fico due colombe,Nel mio grembo uno scriccioloE nella mia mano una rosa.

Nel sogno dei tumulti e delle pene,Uno sparviero venne a chiamarmi,Aveva il becco di fuoco e l’occhioDi energia corrusco.

Sotto il pino ci sta un fungo,E nelle mie mani niente,Il sole è ancora lontanoE ho verde rame nelle mie vene.

Poi venne il gallo, dal ventre d’avorioE la voce squillante, sul palcoUna progenie di galli mi venne a trovare-

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L’elefante e la cristalliera

Era il mio sogno perfetto che accendevaL’ultima candela della notte del sogno.Ahi, cuore che apristi le porteAlle donnine al primo mattino, un’anforaPiena d’acqua e luce tremolava nel giardino.

E non erano rose, non erano spade,Solo il piccolo canto di un gallo tronfio nel cuore,Le mani piccole di un bambino in fasceIndicavano il silenzio dei sordomuti,

E le anime delle foglie rilucevanoIn un giardino di crisantemi. FuocoE cuore parevano la stessa cosaE una casa galleggiava sul colle.

Un lago di lacrime e canneRiluceva nella luce d’agosto e il ventoDei mille consigli bisbigliavaVoce di profeti e luoghi lontani.

Nel porto di questo corpo,Le navi appese al cielo di ferroBallavano il ballo dei piratiE le anime delle sirene vagabonde

Si scrollavano di dosso i pensieri estremi.Malati i nostri cuori prendevano il voloTra la procella della gente dalla vista biecaE su un tavolo una bottiglia riposava

Potando in sé il sonno di un veliero.Canto attorno al fuoco di cenereErano le creature dell’albaE temendo un passato futuro

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Gianluca Martalò

Le foglie scricchiolavano tra le mie mani.Nel sur-plus del sogno una matitaDel colore del cielo tagliava rette impossibiliSulla carta del tesoro, e noi,

Stanchi di mulinare in alto pensieriAlati di tenebra, prendemmo la terra che ci appartenevaSospirando sul dorso di una tartaruga,

Meta e delirio dell’universo.

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L’elefante e la cristalliera

Destino

Ahi, quel duro soffittoA cui legammo i nostri affetti,

Nella mano un fiore nell’altra una spada,Non più potremmo vedere né sentireCaderci a dosso, soffocarci.

Nel mentre di un’onda marinaNel pensiero fatto inerte, la luce

Ferì gli occhi del vedere, né sentirePiù possiamo i nostri ricordi farsi vita,

Nel muto oscuro delle vene, nel trasalimentoChe scheggia le ossa. Ah, quale destino

Porterà i nostri corpi ormai vuoti, verso un fuoco_-luce e materia- che sia purificazione e ascesi?

Solo, nel futuro che incombe è l’ombraLa scelta più ovvia, e se la luceNon più è condotta dall’astro delle mille immagini,

Il nostro luogo di materia e scheggiaTrasale in un momentaneo non esistere.

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Gianluca Martalò

Cinema

In un cinema delle mille e più immaginii tuoi occhi sono le porte della lucee una sola cosa ti chiedo se tu, nel momento

perfetto del bacio finale, mi sfiori la mano:prendi la mia vita e portala via, un giocodi luci è il sentiero del non ritorno,

un’alchimia di immagini il vasodi tutte le sostanze. E se non potessi,nell’attimo della fuga, guardare

i tuoi occhi chiari voltandomi indietro,una roccia diverrei assieme al mio cuoree una ferita si essiccherebbe sfiorando

la bianca superficie dell’osso. Non perderti dunquee fuggi la falsa compagnia di una sera effimera,fa di te stessa un fascio di parole, e spargiper il mondo il delirio dei tuoi significati.

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L’elefante e la cristalliera

Selciato

Notte bianca, di terrore disperso tra le vieCon negli occhi il fumo delle sigaretteFumate e bevute dall’ultimo demone di turno.

Fra le mani un cencio di parole stancheE ombre di smorfie alle spalle. Nell’intimoDi una rondine ferita, tu eri la mia gota

Fiorita da mille dei tuoi baci. E paroleNon dette nel timore di troppo dire,Soffocavano i nostri stessi pensieri.

Ed erano i tuoi occhi di lutto, bluNel mimetico del viso, a incoraggiareA vivere sul selciato come un galoppo

Di emozioni e lamenti. Se spentiFossero quei lumi mi perderei nel pozzoDella luce dei fanali diafani, a rincorrere

Un ricordo di materia al saporeDelle labbra tue di rosa. Spine, verdiE rigide, si conficcano nel cuore

Ogni volta che mi guardi e non parli.Nell’attimo, in cui un ponte di nubiOscurava i nostri stessi cammini, la tua mano

Apparve più bianca e un sapore di mieleFrusciò tra le labbra, puro desiderio.E io non cantavo più, contavo ancora

Le margherite spente dal lutto della primavera.

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Gianluca Martalò

Ed era un sospingersi al di là del monte niveo-Nube in espansione- ad accalorare il viaggio

Verso le ceneri del mare in tempesta.Sirene dai lunghi capelli avvinghiavanoLe nostre membra e i loro cantiCanti di antichi nomadi.

Nel sogno, correndo sul fil di ferroDella passione, colpì lo zoccolo duroDel mio essere animale, e un goccioTondo come di vetro scheggiòLe mie mani arse da febbre. Oltre

Il baratro della finestra un gufo, neroScuro nell’intimo, gracchiò una frase scarnaE brividi di gelso fiorirono nella carne.

Sentendo me stesso perdersi tra viole di parto,Mi attaccai a un violino e ne percossi una corda,Un sol diesis colpì il mio occhio e l’oscurità della notteRapì i miei pensieri.

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L’elefante e la cristalliera

Prospettiva

Luce dei miei occhi sei tu stellaDei miei paradisi e delle mille prospettive.Cercando, abbrancando, tra ruderi e viole

Il tuo fiore è dei futuri incantesimi. L’ultimoDei miei pensieri ti rincorre e il primo è a te diretto.Nel suono di una barca a motore l’onda si fa più vaga

E mille aragoste saranno il tuo tributo. Solo,Nel limitare della notte un gufo richiama l’albaAl suo ennesimo compimento e non una virgola

Si perde del poema completo. Ad una ad unaUna sequela di orme indicano la morte del soleNella luce della rinascita. Piangendo, come pargolo

Sulla spiaggia umida, una goccia di pioggiaRende colma la sinuosità della guancia. CapacissimeDi amare oltre il confine delle umane presenze, mille sirene

Si affacciano dallo scoglio e richiamano lo sconosciuto.Forse un diluvio di parole sarà segno di cambiamentoE un grigio cappotto di lino il tuo capolinea.

Hai seguito la via che non perdona e la meta è stata scoperta:Una bussola il tuo seguito. Abbracciati ai fantasmi dei nostri similiProcediamo nella nebbia e non vediamo più oltre.

Sperando che un segnale illumini i nostri camminiLa nostra sagoma sghemba appare oltre il dirupo.

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Gianluca Martalò

In ultimo

E se piegatodall’ineluttabilità del fato

un faro ti attira alla proda,luce nuova che permane

è il battere di ciglia di strane creature.

Al di sotto di un arco bizantinodue innamorati si stringono, l’occhio

rivolto al sole, diadema fantasticodi infiniti baci.

Se nel cuore piegatoun arcobaleno variopinto è il sangue,

una luce più chiara sarà il tramonto.

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L’elefante e la cristalliera

Cercare potresti il cuore

Cercare potresti il cuoreche il tuo corpo non ricorda, ammuffitonel tuo petto d’uomo.

Tu sai: io non sono, tunon sai: il cielonon ci contiene.

Non ci contiene il cielonon ti contiene il mondo,proda non vede il marinouccello leggero, bianco.

Tu sai che puoi credere.Tu sai che puoi cedere.

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Gianluca Martalò

Elogio dei poeti

Ahi, petti dei poetiIn quanti siete ancora a ritmareIl falso ritmo della falsa vita?

Sotto lauri verdognoliE cuspidi di Olimpi,Gli dei vi irridono se toccate la liraE non la sapete suonare.Ma al di là del fiume c’è un Nume,E’ Orfeo che pizzica la cetraE rispondono al canto passeri e minotauri.

Ahi, cuori dei poeti In quanti vi siete asfissiatiCercando il gusto dell’inchiostro migliore?

Sotto i piedi di quelli che non v’amano,Dolgono e rimbombano le vostre teste,Ed una lapide non basta a turarvi le orecchie.

Ne hanno presi in tanti come voiChe razzolavano tra i giardini e nei parchi,Ne hanno fatto coriandoliPer i loro carnevali.

Sozza è l’anima di chi scriveParole senza senso e senza forza,Ma quanto sono grandiQuelle di chi canta la bella canzoneDell’amore e la gioia, la pena e il sudore.

Cademmo , e in tanti, tra specchi di bronzo

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L’elefante e la cristalliera

A rovistare con gli occhi le nostre immagini,Narcisi di noi stessi, Eros alla muta.

Ed ora si canta la canzone del silenzio,Si cerca l’incastro, si onora il lemmaE la grafia, ma un tempo il poeta cantava la vera immagineChe fuoriesce dal fenomeno, sotto forma di pini e fiori.

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Gianluca Martalò

La poesia ovvero la statua di cera

La sera il sole va a dormire, io no!Resto a scolpire la mia statua di cera.Con lo scalpellino forbisco l’amalgamaTutta bianca, così candida che dici Essere di neve: quella neve che si scioglie Al primo sole, la neve che ghiaccia la mano,Rubandone il calore.La notte non riposo: Madido di sonno, penzoloni sui ginocchi,Resto a incidere i bianchi blocchi fino a cheMe lo concedono gli occhi pesanti e affaticati.La mia statua è tutta bianca ma con la luce Della prima mane raggiunge colorazioni strane;Blu, giallo, un po’ di viola; la mia statua è l’operaDi cui l’artista s’innamora.Dunque io porto in senoQuesto desiderio osceno: di modellare un’amataChe mi possa andare a genio: lo faccio quando il restoDel mondo va a dormire; la mia statua è la poesiaDa cui non posso mai sfuggire.

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L’elefante e la cristalliera

Boheme religiosa

Se vago ramingo per le notti scalzo, se piangoQuale fossi ancora un giovane ragazzo, è forseUn peccato per voi poi così disdicevole? A che vale Morire di noia tra le mura di un castello diroccato,

Se vien voglia di passeggiare in mezzo al creato?Quale fossi Adamo ho udito il passo del SignoreRimbrottare per tutto il giardino, ma, a differenzaDell’antico antenato, non sono fuggito da spietato:

Sono andato incontro al dolce suono dei sandaliBenedetti e ho scoperto, sul più bello, che eran fatti D’aria e che io non riuscivo a vederli nitidamente:Andai dunque incontro al mio Signore, e non lo trovai

Se non tra le rose e le tristi viole; da allora dunque Io frugo tra i rosai dell’Eden e per i campi e per le vie,Perché so che non lo troverò se non nelle fantasie!

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Gianluca Martalò

Frate Amanuense

E’ notte e riposo sul penninoCome un antico amanuense,Frate docile e febbrile, astuto

Annusatore d’inchiostro, cheRicama polveri rosse o blu.

Nelle notti più speciose, luiL’insonne trascrive saggezzeDi filosofi orientali e saggi

Di erbe medicinali.AssisoSulla seggiola cricchiante,Col cranio assente, il cervelloSospeso, trascrive testi dell’antico Peloponneso.La piuma biancaD’oca appena sgozzata, strisciaSulla ruvida pagina della pergamenaCon un fare tra sogno e indecisione.

Ora io leggo il mio manoscrittoCon curiosità di briccone.

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L’elefante e la cristalliera

Sogno

Sognavo un giorno di un lagoChe nessuno uomo ha mai veduto;Vi pendevano sulle molli acque frutti gialli:

Si riflettevano i limoni. Al vento, mite d’autunno,Gli ultimi limoni gravavano oscillando sullo specchioD’acqua chiara. Le rive crescevano barbose di muschi stinti,

Sui tronchi, e dolci erbe di colore verde chiaro, marcivano tra La mota. Le zanzare della palude avevano lì un ricovero che Avresti detto ubertoso e per questo osceno, in seno al

Lago nuotavano miseri girini verdognoli, grigi se colpitiDagli estremi raggi di sole, inclinati a baciare per l’ultimo giornoIl bel lago arruffato d’erbe. In fondo, nascosto tra il fango

Stava un anello d’oro la cui esistenza solo io conoscevo:Era un bell’anello d’oro tutto giallo, che fu di una anziana signoraLa quale si tuffò un giorno in fondo al lago per trovarvi sepoltura;

Stremata da una febbre d’amore che ancora dura, gonfiando[ il cadavere

Di oscene escrescenze e lividure.

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Gianluca Martalò

Alla poesia

Poesia

Buona sei,E giusta.

La tua manoDisdegna la frustaPer il tuo schiavo.

Hai molte frecceAl tuo arco

Ma le punte Hai spuntate;

La Musa cheRisveglia incessante

La tua linfa

Ha la leggerezza del ventoLa bellezza della Ninfa.

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L’elefante e la cristalliera

Gioco

La casa ha un tetto Che mi ricopre il capo,La notte ruota nel gioco

Dei circoli celesti;Candela, grazie alla fiammella

Ti svesti!Le ore lunghe delle ombre nere Quando di notte passeggiano le fiereE le capinere; le lunghe notti

Nere e blu, passo il tempoSul foglio a raccontarmi di com’èChe non vivo più!

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Gianluca Martalò

Richiamo della musica

Dolci musiche vibrano nell’ariacon dolcezza di liuto;

per la via, sotto il terrazzodalle colonne panciute,si spande la melodia che mi è dolce richiamo;

come il nettare del fioreè richiamo per l’ape, o la farfalla, così mi dirigo verso il dolce piantodi note. Orecchie ben allenate

tripudiano nel gioco dello spartitoe io muoio ancora finché il canto non sarà finito.

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L’elefante e la cristalliera

Acquerello moresco

Non trovasti la fierache ti potesse predare.

Eri tanto giovane e solache cento soldati- al soldo di tuo padre -ovunque ti scortasserocon spade e pugnalitenevano alla larga i pretendenti.

Poi ti adagiasti in un boscoe vedesti la tua immagine riflessanel lucido oro del fiume, e lui venne.

Venne il cavaliere col pennacchio sull’elmoe la croce sullo scudo, uccise per tei cento soldati e in fine ti tese la mano.

Ma tu vedesti la croce sullo scudoe ne fosti turbata, gettasti stizzita un ciottolonelle acque chete e quando anche l’ultima ondafu doma, scappasti insensata fra le boscaglie.

Tuo padre ancora ti attendeil cavaliere - pare – morì d’amoree tu, dolce uccello, fuggita sei dalla gabbia.

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Gianluca Martalò

Esito del poema impazzito

Vorresti scappare maun laccio ti trattiene- e tu non vuoi morire.

Hai scelto la via più cortae in te una poesia è morta.

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L’elefante e la cristalliera

Pentimento

L’ancora si ruppe e il naviglioAndava alla deriva comeUn sughero nel pozzo.

Le onde erano dei muriE tu non hai conosciuto i suoi occhi scuri.

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Gianluca Martalò

Ultimo esito

Non vorresti moriree un vaso ormai scheggiatoha rapito il lume dei tuoi occhi.

Eri un fiore fatto d’argillasi ruppe il vaso ed eri camomilla.

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L’elefante e la cristalliera

Sole al mattino

Ti alzastiE non vedestiChe ti ero accanto.

PiangestiPerché non ti amavo,ed io ero lì.

Non seppi dirti altroLa luce Rubò alla mia anima i rimpianti.

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Gianluca Martalò

Giorno senza l’amata

Venne il martirio,come alba di sangueanche il giorno piangeva.

E tu non eri mia,non mia la tua voce- le tue mani distanti.

Ora, che il cielo è lividoun giorno a morireè andato dietro l’orizzonte.

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L’elefante e la cristalliera

I tuoi occhi blu (epistola)

Guardami con i tuoi occhi bluNon chiedo di piùDi averti in questo giornoIn cu il sole bruciaE i baci degli amanti sanno di sale. Le scale della passioneIo ho fatte tutteRimango sulla torreAd attendere il tuo abbraccio.

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Gianluca Martalò

Sole

Non un sole ma una perlaa ricolmare questa mattina,ammainate sul porto stanno le vele

e il cielo di sogni notturni si dissolve.

Non amavi il vento eppure,rosa non dimenticata, una cascatadi dolci capelli fulvi giocava al vento

di questa mattina.

E ti affacciasti alla finestra,poi corresti sull’acciottolatofino al porto dissepolto

dall’ aridità delle notti.

Cogliesti un fiore e tra i tuoi capellilo infilasti come amuleto.Poi – fu un attimo – la luce divenne incandescente

e il tuo viso si colorò di rosso.

Oh, giallo dei mattiniil nostro viso d’estatesempre più rosso.

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L’elefante e la cristalliera

Prosa dell’animo

E se, nel tiepido mattinoun cuore si aprissenel pelago dell’anima,

violerei l’infinitoper troppo ardore,lo stesso Fuocoche penetra nelle ossae brucia – clandestino - il mio vivere.

O prosa dell’animoche imputridisci la mentee lasci intatta l’attesa – vana - dell’esistere; saprei lasciartiper un dì Futuro

che non posso chiedereperché troppo è il tempoe troppo il resto – che ci separada una Fine imminente

e un risveglio prematuro.

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Gianluca Martalò

Al risveglio

Un giorno, al risveglioil tiepido sole dell’avvenirestritolerà la tua attesa,ne Farà vana Forza.

Quando, nel pensierol’armonia di credersipresso un paradiso

saprà lenire il risveglio,un solo cuore stritolerà l’immensosforzo di esistere.

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L’elefante e la cristalliera

Solitudine

Fiori rosa sui tuoi labbri-angelici e melodiosi- aprono un desiderio

che duro è a perdersi.

Oh infinito lamentodi penetranti sirene,dalle scogliere il richiamo

sono dell’ignoto.

Mentre urla demoniachesgraziano il serenodi perdenti chimere,il connubio tra Dio e il creato

lenisce in un istante di oblio.

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Gianluca Martalò

Il sole

Il sole, al mattinofuoriesce dall’ondedi un mare in perpetuo movimento;

si asconde tra nubi un serafinoe fa capolino dai cieli;osserva muto il diveniredegli esseri in carcere tra terree sconfinate distese;un uomo assiso tra scogliode il rumore del mare,in quello riflette l’angelo azzurro lo sguardo,comprende l’umana esistenzae muta sue svariate opinioni;

pensa se quello che vedesia l’uomo scacciato dall’Edeno la sua stessa copia tra i mondi terreni.

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L’elefante e la cristalliera

Senno di poi

Ahi destinodi un uomo piegato in se stesso,il riflesso di un lago perpetuoè la mia anima stanca.

Tra il desiderio di un viverepiù volte premuto nel seno,il cuore si fa più candidoe le pene aspre e fuggitepaiono lievi premure.

62

Gianluca Martalò

Il firmamento

Oh cuore, che non crediall’antica afflizione,un serpente ti prese coi dentie bucò ogni speranza di viveretra il resto di antiche illusioni;

un’ epigrafe segna il confinetra il vivere e il più non esistere,tra l’erba grassa ed il ventoil marmo segna il confine del tempo.

Spettri bianchi di anni,secoli di oscure esistenze,appaiono vividi e lubrichidi vite passate e finite.

Il cuore di un esule inermetra vita compiuta a rapina,giace sepolto tra fioridi un candido color di giacinto.

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L’elefante e la cristalliera

La notte

Oscure nubi affollanola luna candida e inerme,un cielo livido e purosprofonda tra i clivi ed i monti.

Distese di erbe fradiceintervallano pianori di massi,e sotto fronde di alberidormono gracili funghi.

Streghe rapite in estasi,solcano cieli di cenere,e gnomi paffuti e verdastriarrecano urla indigeste.

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Gianluca Martalò

La scure

Mozzo, un candidoalbero di mandorlo,riposa tra i clivi del campo.

Petali bianchi ed azzurridi piccoli fiori campestri,adornano i verdi cespugli.

Nel’alto un cielo di paradisospiove biondi raggi,e spore dense di semevolano mosse dai venti.

65

L’elefante e la cristalliera

Petalo rosso

Petalo rosso la gota,bacio di tremulo fior,sospiro di amante terrenoè l’uomo preso d’ amor.

Candido desir di fanciulloè stare nel mondo perpetuo,il gioco si fa più fecondocol lento passar dell’età.

66

Gianluca Martalò

Ciclico

Finanche nel piantodi tenere ciglia fanciulle,miracolo chiedi al celeste:che vita ritorni nel cuoree linfa di nuovo ricresca.

67

L’elefante e la cristalliera

Eternità

Stufo di essere al mondoSotto cure non spesso fraterneChiedi al nembo più scuroChe le ali diventino eterne.

68

Gianluca Martalò

Missione

Torna di nuovo silentespazio di cieli infiniti,genera teneri mitil’aedo che parla alla gente.

69

L’elefante e la cristalliera

L’ineguale

Nell’ora insensata del vesproquando sole e luna vanno a braccettoil vento portava sentore di notizie…

Ahi, dolore dell’inegualeche queste nubi porti a rapimentonel fosso del cuore una vela si apree cede la poesia all’estro dell’ultimo bipedepreso a tradimento. Portavanonell’inezia del momento antichi carri lì dove il lume conduceNuova luce.

Tutto, nel baratro dell’istante, esplosee una deflagrazione di pensieririempì l’ogiva del minuto.

Ahi, dura luce porta a compimento queste dolinedi vino e ombra, tra le braccia del martire.Nulla, se non il diluvio a distruggere ciò che ne restadi tanto sfacelo.

Quando anche il sole esploderà nel cielouna scaglia di rugiada levigherà le nostre fronti,e una pioggia di cattivi pensieri, simili a lapilli,riempirà i nostri sguardi. Nell’attimo di un’ ora inconclusaanche il mare porterà a compimento il suo ineguale destino,

un velo di cenere assopirà l’inesausta bellezza. E tremo, senella calura di un agosto umido, il sole dirigerà i suoi ragginel concavo della mia gola. Turgida, questa estate riempirà

[ i nostri palmi

di luce scontenta e obliqua. Nel futuro del condorvedo unquemai nubi grigie approssimarsi.

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Gianluca Martalò

Getsemani

Nuova si aprì la pagina e il librodi mille istanti si fece in minutidi totale abbandono.Nell’incertaora del declino una luce aprì le nostre voglie.E non seppi più amarela lenta canzone della dolina, lì dove un soffioè la parola che innamora. Nella dimora di una casaportata al delirio del getsemani, un cuorebatteva il suo ritmo di stanza in stanza. Solo,dopo le peripezie della morte inesausta, un fuocoriempì le nostre gote di assenzio, liquoreche tempra le membra e rifocilla l’anima.

Il mare, o il fiume – chi può dirlo? –riempì le sue braccia di grano e disparve la luce del nuovo giorno.Nell’attimo dell’ora incombusta la scia di nubi riempì il giorno.

Ahi, fuoco tenue e discorso inesausto, la poesia tremadinanzi alla delizie delle cose non dette.

Il sogno per primo delirò nella notte e le stelle bianche rimasero a guardare un oceano di labbra.Nel tumulto dell’uguale pensiero – sempre lui –un’ora nona batté il batacchio della campana d’ottone.

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L’elefante e la cristalliera

Vento

Spiaggia desolata e arsa fu nel mio occhioE ne fuoriuscì un canto di ineguali labbra.Solo, al guinzaglio della vita un mare grigio

Batté le sue braccia al costato e una luceRiempì le mie mani di cenere. TurgidoIl cuore si dipinse di viola e una targa

Con su la parola della ninna nanna lanciòIl suo sguardo immacolato. Nel vesproUna parola sola rintronava nella hallProfonda e cheta del mio amore.AltaLa nota della bandiera colpì il muroDell’inesausta bellezza e la furia del mareSi sciolse nella brezza dell’estate. Colte

Da mani ubriache le bianche primule sbadigliaronoAl vento procace dell’avvenire e una sondaDi pane e liquore incespicò fra i campi. Nulla

Nella calura d’agosto ha il sapore del saleE un’onda uguale ad altra onda ad ammazzarsiVenne tra i miei capelli d’ortica.

Tutta la vita a contare i grani del rosarioSotto tende di beduini e sospiri di ponti immensi.Turgida venne la parola dell’abbandono e non un suonoNon un suono.

Ogni minuto dell’inesattezza riempie le oreDell’ineguale postura, protesa verso un oceano di probabili maestà.

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Gianluca Martalò

Non un cielo nero ma bianco colmòIl vaso di terracotta e una boscaglia di tulipaniScrosciò nell’alveo dei bouquet. Rosa le doglie Dell’ineguale bellezza e madreperlacee le ormeDella bestia che porta al trasfiguro. Impuro

Il nostro sogno incespicò tra i rami della tundraE un brivido di camomilla chetò la nostra vecchiezza.

Turbinano i pensieri in grida di Ofelie e i labbriDi eoli sfaccendieri baciano la frescura del marmo.Tuonano nei nostri nasi gli ammonimenti del Dio

E non una preghiera a colmare la perfetta lineaDell’orizzonte impossibile, luce su luce.

Hai temuto l’ora del declino, quando un condorRecitava la danza dell’assenzio e la vipera alzava la sua testaSul collare del cobra. E non una parola non detta

Ma una lunga preghiera fu il finale grigio dell’esistenza.

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L’elefante e la cristalliera

spagine - magazzino di poesia 33 - Giugno 2016

spagine - magazzino di poesiaè composto nella sede del Fondo Verri

a Lecce da Mauro Marinoè edito on-line su

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Gianluca Martalò è nato a Con-selve (Padova) il 4 aprile del 1978.Vive a Galatone. Scrive poesia daquando aveva sedici anni. Ha pub-blicato per la casa editrice Il filo(Roma) la collana poetica "For-tuna di uno scellerato". Alcunesue poesie sono apparse ne "L'in-cantiere" e nella rivista “A Le-vante”.

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