Spagine della domenica

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s p a g i n e Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri della domenica n°26 - 27 aprile 2014 - anno 2 n.0 Caro Rocco É morto nella tarda mat- tinata di ieri, sabato 26, Rocco Aprile; da pochi di giorni, dopo un ricovero in ospe- dale, era tornato nella sua casa, a Calimera, la grande piccola patria greca dove era nato nel 1929. Di Rocco Aprile ricordo - in me segno indelebile - l’andatura delle parole, l’elo- quio pacato, raffinato, colto, segno di una sensibilità rara, di quell’attitudine da maestro che ha coltivato per tutta la vita. Parole pulite, dirette, perfette, le sue, in un italiano che mai ho sentito avere coloriture dialettali: la sua lingua - d’al- tronde - era il greco e sul quel metro - su quella nostalgia - Rocco Aprile ha misu- rato passioni, interessi e militanze. Insegnante all’Istituto Magistrale, sto- rico, scrittore, figura essenziale del mo- vimento di riscoperta delle tradizioni greco-salentine. Tra i fondatori del Circolo Culturale Ghetonìa, fu tra i primi – seguendo la lezione di Vito Domenico Palumbo - a proporre il riscatto territo- riale e linguistico di quella porzione di Salento che, con Calimera in testa, ha sempre rivendicato la sua particolarità. Il suo straordinario romanzo “Il sole e il sale” lo testimonia (edito dal Circolo Culturale Ghetonìa nel 1987, poi da I libri di Icaro nel 2006 con il seguito de “Il Funerale e i fiori di campo”): il rac- conto del Salento e della sua enclave gre- canica, la trasformazione di un territorio rimasto per secoli piegato dalla sogge- zione e dai “padroni” aristocratici arte- fici del de-radicamento anche violento dell’origine antica del nostro territorio. Poi venne il Novecento, la guerra e la modernità... E tutto cambiò nella sugge- stione del nuovo... Leggiamo ciò che Rocco Aprile scrive nella nota che introduce la seconda edi- zione de “Il sole e il sale”: “Due inse- gnanti di lettere della locale Scuola Media, Enza Guido e Isabella Crety, mi suggerirono l'idea di scrivere un lungo racconto, che rispecchiasse usi, costumi, lingua di Calimera, uno dei paesi della provincia di Lecce in cui si parlava an- cora un dialetto greco (il "griko"), che per tanti secoli aveva rappresentato l'unico mezzo adoperato dagli abitanti della Grecìa salentina non solo per co- municare tra di loro, ma anche per espri- mere i loro più riposti sentimenti in innumerevoli canti di alta poesia. L'idea mi piacque e mi misi subito all'opera, de- scrivendo la vita che si svolgeva a Calimera prima, durante e dopo la se- conda guerra mondiale, cioè fra il 1936 e il 1945. Nella prima metà del racconto le vi- cende narrate si svolgono esclusiva- mente a Calimera e la lingua usata nei colloqui è quasi sempre il griko. Nella seconda parte, invece, l'orizzonte si al- larga ed il protagonista principale della vicenda si sposta nel capoluogo, trasci- nando con sé la sua numerosa famiglia. Nella prima parte del romanzo mi sforzo di rappresentare un ambiente rimasto im- mobile nei secoli con le sue credenze, la sua morale, i suoi costumi, la sua lingua. Ma, come è ben noto, questo "piccolo mondo antico" venne bruscamente spaz- zato via dall'immane conflitto, che cam- biò radicalmente i costumi, le abitudini, la vita stessa della comunità greco-sa- lentina. Se, prima della guerra, tutti si esprimevano in grico sia in pubblico che in casa, subito dopo quasi tutti sentirono la necessità di scrollarsi di dosso la lin- gua parlata per secoli dall'intera comu- nità, considerandola inadeguata ad esprimere la complessa realtà del mondo moderno”. Per ricordarlo e invitarvi a leggerlo, vi proponiamo nell’interno (pag. 13) la pa- gina che apre “Il sole e il sale”. Mauro Marino

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Caro Rocco... per ricordare un caro maestro

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spagine

Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

della domenica n°26 - 27 aprile 2014 - anno 2 n.0

Caro RoccoÉmorto nella tarda mat-tinata di ieri, sabato26, Rocco Aprile; dapochi di giorni, dopoun ricovero in ospe-dale, era tornato nellasua casa, a Calimera,

la grande piccola patria greca dove eranato nel 1929.

Di Rocco Aprile ricordo - in me segnoindelebile - l’andatura delle parole, l’elo-quio pacato, raffinato, colto, segno di unasensibilità rara, di quell’attitudine damaestro che ha coltivato per tutta la vita.

Parole pulite, dirette, perfette, le sue,in un italiano che mai ho sentito averecoloriture dialettali: la sua lingua - d’al-tronde - era il greco e sul quel metro - suquella nostalgia - Rocco Aprile ha misu-rato passioni, interessi e militanze.

Insegnante all’Istituto Magistrale, sto-rico, scrittore, figura essenziale del mo-vimento di riscoperta delle tradizionigreco-salentine. Tra i fondatori delCircolo Culturale Ghetonìa, fu tra i primi– seguendo la lezione di Vito DomenicoPalumbo - a proporre il riscatto territo-

riale e linguistico di quella porzione diSalento che, con Calimera in testa, hasempre rivendicato la sua particolarità.

Il suo straordinario romanzo “Il sole eil sale” lo testimonia (edito dal CircoloCulturale Ghetonìa nel 1987, poi da Ilibri di Icaro nel 2006 con il seguito de“Il Funerale e i fiori di campo”): il rac-conto del Salento e della sua enclave gre-canica, la trasformazione di un territoriorimasto per secoli piegato dalla sogge-zione e dai “padroni” aristocratici arte-fici del de-radicamento anche violentodell’origine antica del nostro territorio.Poi venne il Novecento, la guerra e lamodernità... E tutto cambiò nella sugge-stione del nuovo...

Leggiamo ciò che Rocco Aprile scrivenella nota che introduce la seconda edi-zione de “Il sole e il sale”: “Due inse-

gnanti di lettere della locale ScuolaMedia, Enza Guido e Isabella Crety, misuggerirono l'idea di scrivere un lungoracconto, che rispecchiasse usi, costumi,lingua di Calimera, uno dei paesi dellaprovincia di Lecce in cui si parlava an-cora un dialetto greco (il "griko"), cheper tanti secoli aveva rappresentatol'unico mezzo adoperato dagli abitantidella Grecìa salentina non solo per co-municare tra di loro, ma anche per espri-mere i loro più riposti sentimenti ininnumerevoli canti di alta poesia. L'ideami piacque e mi misi subito all'opera, de-scrivendo la vita che si svolgeva aCalimera prima, durante e dopo la se-conda guerra mondiale, cioè fra il 1936e il 1945.

Nella prima metà del racconto le vi-cende narrate si svolgono esclusiva-mente a Calimera e la lingua usata nei

colloqui è quasi sempre il griko. Nellaseconda parte, invece, l'orizzonte si al-larga ed il protagonista principale dellavicenda si sposta nel capoluogo, trasci-nando con sé la sua numerosa famiglia. Nella prima parte del romanzo mi sforzodi rappresentare un ambiente rimasto im-mobile nei secoli con le sue credenze, lasua morale, i suoi costumi, la sua lingua.

Ma, come è ben noto, questo "piccolomondo antico" venne bruscamente spaz-zato via dall'immane conflitto, che cam-biò radicalmente i costumi, le abitudini,la vita stessa della comunità greco-sa-lentina. Se, prima della guerra, tutti siesprimevano in grico sia in pubblico chein casa, subito dopo quasi tutti sentironola necessità di scrollarsi di dosso la lin-gua parlata per secoli dall'intera comu-nità, considerandola inadeguata adesprimere la complessa realtà del mondomoderno”.

Per ricordarlo e invitarvi a leggerlo, viproponiamo nell’interno (pag. 13) la pa-gina che apre “Il sole e il sale”.

Mauro Marino

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Musiei Vaticani

Diario

Lecce, 27 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 26

La materiadella speranzaS

i può scherzare coiSanti? Io credo disì, perché i Santisono buoni, capi-scono e non sonovendicativi. Invece

non conviene scherzare coi fanti,che per stare nel motto sono i loroseguaci, che non capiscono, sonopermalosi e se possono te la fannopagare. Mettiamola così, allora: daiSanti mi guardo io; dai fanti miguardi Iddio!

Giovanni XXIII e Giovanni Pao-lo II oggi, domenica 27 aprile 2014,sono canonizzati, santi a tutti gli ef-fetti. Ora bisogna chiamarli SanGiovanni e San Giovanni Paolo,meglio San Gianpaolo per economiadi fiato. Il Cardinal Martini, dal luo-go in cui si trova, deve parlare conrispetto del papa polacco, nei con-fronti del quale, chiamato a dare lasua testimonianza nel processo disantificazione, espresse un parerenegativo. A suo dire, non meritavadi diventare santo perché nel corsodel suo lungo pontificato avrebbefatto degli errori e non avrebbe sa-puto tenere rapporti e distanze contalune personalità del secolo pocoraccomandabili – il dittatore cilenoPinochet, tanto per fare un nome –;insomma si sarebbe distinto di piùcome uomo di politica e di potereche come uomo di chiesa e di santi-tà. Ma un santo-santo, per la causasanta, deve anche avere rapporti conSatana. E siccome la santificazioneè come una sentenza passata in giu-dicato, il Cardinal Martini, se pureavesse ragione, dovrebbe tener con-to della inappellabilità delle decisio-ni di Santa Romana Chiesa, ispiratadallo Spirito Santo.

Giovanni XXIII, il Papa buono,nonostante il breve pontificato,1958-1963, impresse una svolta de-cisiva alla Chiesa, non solo con ilConcilio Vaticano II, continuato do-po la sua morte da Paolo VI, ma an-che con una serie di gesti di chiarasignificanza politica. Fu il Papa cheruppe una certa consuetudine. Si av-vicinò alla gente, alla quale seppesempre parlare con parole di tene-rezza e di poesia – celebre il discor-so della carezza e della luna – in unmodo semplice, di immediata com-prensione. Si definì un “sacco vuo-to” che poi lo Spirito Santo avrebberiempito. La gente lo sentì vicino,come mai in precedenza era accadu-to ad un papa. Tanto più che il suopredecessore, Pio XII, era stato larappresentazione della distanza an-che quando scendeva dal soglio perincontrare la gente, come in occa-sione dei bombardamenti al quartie-re di San Lorenzo a Roma il 19 lu-glio 1943. Quando Pio XII apriva le

braccia e guardava al cielo sembra-va volesse assumere la posizione delCrocifisso o giungere da un capo al-l’altro del mondo in un gesto ecu-menico grandioso. Era coltissimo,parlava una dozzina di lingue. Avràfaticato lo Spirito Santo a trovare unpo’ di spazio per metterci qualcosa.Era distante dal cuore della gente.Ma sarà santo pure lui, perché i papiseguono la tradizione degli impera-tori romani, ascendono alla gloriadei cieli come i Cesari a quelladell’Olimpo.

Ma fu anche Giovanni XXIII unpapa politico, non meno politico diPio XII, benché di orientamento de-cisamente opposto. Dove uno si eracaratterizzato per cultura e diploma-zia, l’altro si caratterizzò per il suomodo di fare alla buona nell’imme-diatezza del problema da risolvere,fosse un conforto ai carcerati o unappello ai potenti della Terra perscongiurare la guerra. A Russia – glidisse la figlia di Kruscev che andò afargli visita dopo la crisi di Cuba – tichiamano il Papa contadino. Dove-va proprio piacere ad uno comeKruscev Giovanni XXIII; come do-veva piacere a John Kennedy, il pre-sidente americano della Nuova fron-tiera. Questi tre uomini ebbero laventura di vivere e di operare perqualche situazione insieme, tutti etre funzionali ad un nuovo rapportotra gli Stati e tra le classi sociali, ca-paci di rompere col passato.

di Gigi Montonato

Oggi a Roma, due papi, due Santi e una Chiesa

Giovanni Paolo II è stato il gran-de papa che ha traghettato il Nove-cento dall’uno all’altro secolo, nonsolo e non tanto in senso temporale,1978-2005, ma anche e soprattuttoin senso politico. E’ stato l’iniziato-re della serie dei papi stranieri. Lui,polacco, ha contribuito ad abbattereil regime comunista, a mettere incrisi l’impero sovietico, a restituireall’Europa quell’unità geopoliticache la spartizione di Jalta nel dopo-guerra aveva fortemente messo indiscussione. Non solo la riunifica-zione tedesca con l’abbattimento fi-sico e assai più simbolico del Murodi Berlino, ma anche il recuperoall’Europa di terre cristiane ed euro-pee in un processo che è tuttora incorso come i fatti drammatici del-l’Ucraina dimostrano.

Questi due papi, ora santi, purnella loro distanza ideologica, l’unopiù spostato a sinistra, l’altro piùspostato a destra, per usare catego-rie profane, hanno reso all’umanitàin momenti diversi dei servigi stra-ordinari. La visione della Chiesache ha bisogno di scelte, apparente-mente opposte, ma sempre votateall’unico bene comune, si è afferma-ta con questi due pontefici, a ripro-porre quella bellissima immagine diSan Francesco e di San Domenico,celebrati nel Paradiso da Dante Ali-ghieri. Santi diversi, ordini diversi,fanti diversi, ma tutti utili alla chiesae al mondo.

Spesso si dice che il Papa non fapolitica. Recentemente Francescoha respinto l’accusa di comunismo,ma non v’è dubbio alcuno che la po-litica la fanno, sanno di farla, perraggiungere obiettivi che nel mo-mento in cui la fanno ritengono im-portanti per gli uomini e per gli stati.Forse non condividono il linguaggiocomune: loro operano per il benesenza porsi dei problemi di etichet-tatura; fanno quello che noi chia-miamo politica.

Che poi per farli santi si abbia bi-sogno di inventarsi dei miracoli,senza cui non ci può essere santifi-cazione, è un fatto che riguarda lapercezione mondana, popolare, cheparla un linguaggio e capisce quellinguaggio, fuori del quale non c’èsantità né antisantità. I veri miracoliquesti due papi li hanno fatti nonguarendo da malattie chi per lascienza medica doveva moriresenz’altro, ma dando al mondo lasperanza di una prospettiva, apren-do sentieri nuovi, contribuendo conaltri grandi della Terra a risolveredei problemi. I veri miracoli sonoquesti. E per questi non c’è bisognodi scomodare testimoni, postulatorio avvocati del diavolo. Basta vederecosa hanno lasciato dietro di sé. Epiù il tempo si allontana dalla loroesperienza terrena e più gli effettidei loro “miracoli” si accendono,perché il tempo è olio alla lampadadei grandi.

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di Marcello Buttazzo

Contemporanea

mento dell’altro. Una società soli-dale sa spalancare le braccia, saaprire il cuore, sa accogliere conamore. Una società civile deve sa-per interagire e integrare, non develasciare nessuno ai margini. Ghet-tizzandolo. Qualche anno fa, lessiuna notizia raccapricciante.

In un paesino del Nord, una gio-vane rom incinta all’ottavo mese fubrutalmente aggredita da un ragaz-zo italiano di 22 anni. La donnas’era macchiata d’una colpa “im-perdonabile”: chiedeva l’elemosinanei pressi del mercato. Venne inse-guita dall’esagitato ragazzo, presa abotte, a pugni, a calci, forse a basto-nate. La sfortunata fu costretta adabortire, perdendo il bambino cheaveva in grembo.

Ma che civiltà è questa?Una società indifferente, a volte

violenta, che considera uno scanda-lo la povertà, che si fa beffe dell’al-tro. Ma quanto fittizio, meschino,cialtronesco, può diventare il be-nessere, se non riesce a osservarecon occhi limpidi tutti gli aspettidella realtà? Quanto è falsa la cultu-ra dell’iperprofitto, se non si riescea prendere cura del fratello indigen-te? Quotidianamente, le cronachedei giornali e delle televisioni sannoessere impietose. Quante volte ve-niamo a sapere di migranti violati,maltrattati, perché per certuni ilprogresso del mondo si esercita at-taccando gli “anelli deboli” del si-stema? Purtroppo, in questi ultimianni, le politiche sociali di alcuneamministrazioni (di centrodestra edi centrosinistra) non hanno brillatoper lungimirante visione antropolo-gica. Quanti campi rom sono statisgomberati, anche senza preavviso,spesso senza aver trovato preventi-vamente una decente sistemazionea uomini, a donne, a bambini in dif-ficoltà? Quanti lavavetri sono staticacciati dai semafori? Quanti artistidi strada irrisi? Quante zingarellesono state allontanate a colpi d’or-dinanza dagli eleganti centri storicidelle nostre opulente città? Ma lapovertà non è una vergogna da na-scondere o, peggio, da estirpare conla forza. A volte, si crede si sposarela filosofia del decoro, del bello, main realtà si cede solo a pericolosederive razzistiche e xenofobe.

Isistemi economiciinternazionali, im-perniati su “inelu-dibili” e ferree leg-gi di mercato, sonomolto rigorosi, a

volte elitari, e di fatto tengono aimargini del connettivo sociale vastistrati delle popolazioni umane. Nelcontraddittorio villaggio globale, iricchi diventano sempre più ricchi, ipoveri sempre più poveri. La pre-mura primaria dei governi demo-cratici dovrebbe essere quella diriequilibrare le varie storture, di ga-rantire una maggiore equità e giu-stizia fra le genti. Se la ricchezza(soprattutto quella ostentata) mo-stra il suo volto protervo, se in no-me d’un tracotante iperutilitarismoc’è chi ambisce a impadronirsi ditutto l’esistente, cionondimeno nonè il caso di disperare.

Se c’è chi ritiene ingenuamente eartificiosamente che i beni materialisiano l’unico obiettivo da coltivare,la più “radiosa” ragione delle stelle,a noi uomini comuni, impreziositida una dignitosa povertà, non restache guardare il chiarore del cielo.Interrogare la terra, che instancabil-mente gira e che, a primavera, fafiorire il ciliegio. Scrutare negli in-tricati giardini dell’anima per lusin-gare amore, afferrare rose e giun-chiglie. Mirare i colori rarefatti delmattino, il vigoroso sole del merig-gio, i crepuscoli d’amarena.

A noi poveri, rimangono gli im-provvisi trasalimenti dell’aurora.

E la passione, lampo di inaspetta-te, incendiarie saette. E il vento chespettina i pensieri, carezza le giova-ni gote, e flessuoso danza sulle ci-me del mandorlo fiorito. Ci resta lamelodia dei centomila violini, i de-strieri del sogno in eterni galoppi.La terra dei limoni e delle arance,degli ulivi contorti e assolati. Il cie-lo. Il cielo delle stelle di fuoco. Noipoveri possiamo sempre continuarea inseguire le dolci chimere, a vez-zeggiare le intramontabili utopie, adesiderare intensamente. Possiamoperseverare nel viaggio, pervicace-mente intenti a solleticare la gioiadell’attesa. Saremo sempre deiviaggiatori, anche nell’impossibili-tà di possedere beni materiali. Sare-mo sempre dei pazienti rabdomanti

del tempo, perennemente protesiverso il bello, lo stupore, la meravi-glia, l’immaginifico.

Pablo Neruda, negli anni del-l’esilio italiano, scrisse la poesia“La povertà”. La dedica alla mo-glie, pregandola di non crucciarsidella loro condizione economica, edi non temere una vita di stenti. Lavera ricchezza è quella dell’anima.“Ahi, non vuoi, ti spaventa la po-vertà, non vuoi andare con scarperotte al mercato e tornare col vec-chio vestito. Ma non voglio che tula tema. Se per mia colpa arriva allatua casa, se la povertà scaccia le tue

scarpe dorate, che non scacci il tuosorriso che è il pane della mia vita.Se non puoi pagare l’affitto, esci allavoro con passo orgoglioso, e pen-sa, amore, che ti sto guardando euniti siamo la maggior ricchezza,che mai s’è riunita sulla terra”, can-ta Neruda. Occorre dire, però, chela talvolta la povertà può essereestrema, un coltello che affonda elacera le membra e annichilisce lesperanze. Ma, anche in questo caso,non possiamo turbarci. Una societàmoderna e aperta si deve necessa-riamente basare sull’inclusione, sulrispetto reciproco, sul riconosci-

A noipagine n° 2 e 3 spagine

poveri...

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Il 3 aprile 2014 AN-PI Lecce ha inau-gurato la sede citta-dina. La lotta di li-berazione è semprestata vissuta come

qualcosa di lontano, che riguardavail nord. In realtà la Resistenza com-battuta era lassù, il meridione eraterra già liberata dallo sbarco in Si-cilia in avanti. Qui si viveva l’altraItalia, a Brindisi arrivò anche il fug-giasco eccellente con tanto di cortee cortigiani. Tuttavia, faceva notareMaurizio Nocera, segretario pro-vinciale ANPI Lecce, l’apporto deimeridionali è stato incredibilmenteelevato. Dall’otto settembre moltisbandati a nord si unirono ai parti-giani e prima ancora furono molti isalentini e i pugliesi che andaronoad affiancare gli jugoslavi nella lot-ta partigiana. Inoltre, sempre dopol’otto settembre, numeri molto con-sistenti di soldati rimasti fedeli al revennero deportati nei lager nazisti.Patrioti anche loro, non seguironola famigerata repubblica di Salò enon si piegarono ai nazisti, rimaserofedeli al giuramento anche nono-stante l’infame fuga della corte aBrindisi. Abbiamo parlato conMaurizio Nocera che, oltre alla ca-rica ricoperta nell’ANPI, è poeta,storico, scrittore.

Come nasce l’ANPI di Lecce?Praticamente l’Anpi di Lecce

nacque all’indomani della fine dellaseconda guerra mondiale e alla finedella Resistenza partigiana. Uno deipromotori, che poi diverrà presi-dente del Comitato provinciale finoal 1993, fu Enzo Sozzo, che comepartigiano operò nella zona di Im-peria. All’inizio la sezione Anpi sioccupò prevalentemente dell’assi-stenza ai partigiani e ai patrioti del-la guerra di Liberazione che rimpa-triavano chi dai fronti di lotta, chidai campi di lavoro e di sterminionazisti. Successivamente, l’Anpi sioccupò di tenere viva la memoria diquei salentini leccesi coinvolti neivari fronti resistenziali. Numerosifurono gli interventi per dedicarestrade e piazze ai Caduti leccesi del-la Resistenza.

La Resistenza come patrimo-nio del Nord, si è creduto pertroppo tempo, ora però le ricer-che ci dicono altro, qual è statol’apporto del Salento leccese allalotta di liberazione?

È vero, quando io sono entratonell’Anpi negli anni ’70, era opinio-ne comune, all’interno della stessaAnpi nazionale, che la Resistenzafosse stata solo un evento accadutonel Nord Italia. E questo è vero per-ché al Nord si sono effettivamentesviluppati gli scontri e i conflitticontro i nazifascisti. Ma in quel mo-mento nessuno aveva considerato ilfatto che all’interno delle brigatepartigiane vi fossero oltre a uominie donne del Nord, anche uomini edonne del Sud. Fu Aldo Moro,membro d’onore dell’Anpi nazio-nale, che nel 1975, in un memorabi-le discorso tenuto al Petruzzelli di

Bari, che fece capire a tutti che laResistenza era stata un evento cheaveva coinvolto l’intero paese, inquanto alla lotta antinazifascistaavevano partecipato molti uomini edonne del Sud. Si trattava spesso dimilitari che, dopo l’8 settembre1943 (armistizio tra gli alleati e lamonarchia sabauda) rimasti senzacomandi superiori e quindi allosbando, avevano dismesso la divisoe si erano aggregati alla bande par-tigiane per combattere e ridare al-l’Italia quell’onore che Mussolini ela monarchia avevano gettato nelfango.

Di tutto questo non si è parlatoper moltissimi anni, solo ora ven-gono fuori storie, numeri e nomi.

Come mai questa reticenza?Sì, è vero, in parte si è trattato di

una ritardata presa di coscienza daparte della stessa Anpi, ma sostan-zialmente il non riconoscimento delcontributo dato dal Sud alla lotta diLiberazione fu dovuto al subdolocomportamento del partito egemo-ne in Italia dopo la seconda guerramondiale, cioè la Dc, il cui governosi protrasse per circa 50 anni, che,succube degli interessi imperialistidegli Stati Uniti e della Nato, e peruna supposta paura di una ipotecainvasione sovietica del Paese, im-pedì quella presa di coscienza di cuisopra. In sostanza quel partito volletenere ancora il Sud schiacciato allasua condizione di subalternità al

25 aprile 2014, intervista a Maurizio Nocera

Enzo Sozzo, partigiano e fondatore dell’ANPI a Lecce, in una fotografia che lo ritrae nel suo studio di pittore

L’Anpidi Gianni Ferraris

Contemporanea

Nord, cosa che si era determinatasin dall’Unità d’Italia, che costò alMezzogiorno un costo elevatissimodi sofferenze e sacrifici umani edeconomici.

L’Anpi nazionale sta dedican-do studi e ricerche ai patrioti delMeridione. Un primo convegnoc’è stato a Torino. Non era megliodare un segnale forte e farlo asud?

Anche questo è vero. Finalmentel’Anpi nazionale, con i suoi miglio-ri studiosi e storici, sta finalmentecolmando il vuoto che si era creatoe molti stanno dedicando ricerche estudi specifici per quantificare ilcontributo dato dagli uomini e dalledonne del Sud alla Liberazione delPaese dal nazifascismo. È stato fat-to un primo convegno a Torino, maaltri sono in programma non solo alNord, ma anche qui da noi. A Lecce,per esempio, il prof. Pati Luceri,con il sostegno dell’Anpi di Lecce,ha iniziato una laboriosa ricerca percompilare gli elenchi dei Caduti,dei partigiani, delle staffette, dei pa-trioti, degli antifascisti, dei collabo-ratori, degli internati nei campi dilavoro e di sterminio nazisti. Questasua ricerca ha visto già la pubblica-zione di ben tre edizioni in volume,e tuttavia non è ancora ultima, per-ché ancora non sono consultabili al-cuni archivi. Al momento, dalla ri-cerca di Luceri e della stessa Anpidi Lecce si evince che oltre 8500sono stati gli uomini e le donne diquesta provincia che hanno dato illoro contributo alla Resistenza. Co-me vede, si tratta di una cifra incre-dibile perfino a noi stessi che ope-riamo all’interno dell’associazione.

Fra pochi giorni è il 25 aprile,stiamo vivendo un periodo moltostrano, il Presidente nazionaledell’ANPI ha stigmatizzato allar-mato l’incontro del PresidenteNapolitano con Silvio Berlusconi,condannato in via definitiva. Ilgoverno Renzi vuole cambiare laCarta Costituzionale con i voti diparlamentari nominati e nono-stante il fatto che la Corte Costi-tuzionale abbia stabilito che il si-stema elettorale con il quale sonostati eletti è anticostituzionale.Era questa l’Italia che volevano ipatrioti e i padri costituenti?

Quello che tu dici è l’incredibileparadosso del momento che vivia-mo. Il Presidente della RepubblicaGiorgio Napolitano, uomo i cuiideali sono di indubbia fedeltà aivalori della Resistenza e della Cartacostituzionale, costretto a incontra-re un personaggio squallido qual è ilsignor Silvio Berlusconi, uomo in-degno che ha disonorato l’Italia ne-gli ultimi 20 anni, e che ha rappre-sentato la continuità con l’odiosoregime fascista mussoliniano. Die-tro questo personaggio, arricchitosicon varie ruberie ai danni del popo-lo, c’è sempre stata la mano delpeggiore sistema capitalista nostra-no e mondiale, i cui interessi, so-

“A Lecce, l’AssociazioneNazionale Partigiani d’Italia

nacque all’indomani della fine della guerra”

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Lecce, 27 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 26

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Passato il 25aprile. Passatala manifesta-zione in ricor-do della lottadi liberazione.

In piazza Partigiani erano intanti: quelli che blaterano diCostituzione e stanno nei par-titi che vogliono annullarla,quelli che da decenni voglio-no trasformare la giornatadelle Liberazione in giornatadel ricordo e metterci dentroPartigiani, Foibe, e magari levittime degli incidenti strada-li, quelli che sono di destra,quelli di sinistra, quelli posttutto, quelli in buona fede, cheerano lì per ricordare i parti-giani, quelli che dicono cheGiorgio Bocca ha ragione

(pochi) e quelli che diconoche è un revisionista.

In piazza Partigiani c'eraanche un mini corteo di ra-gazzi che contestavano tutto etutti. Da una parte con giustaragione. Non è facilmente di-geribile vedere gomito a go-mito il deputato di SEL equello di Forza Italia. Sem-brano quei riti che si conte-stavano già nel '68 e negli an-ni a seguire. Così i ragazzihanno fischiato anche l'ANPI.Così è, ma avevano poi tutto iltorto? Almeno loro c'erano inpiazza Partigiani dove l'etàmedia degli altri era "nonesattamente adolescenziale"come diceva qualcuno.

Pericolosi sovversiviLa cosa che è risultata in-

prattutto economico-militari, sonoriconducibili alla Nato e all’impe-rialismo Usa. A questa parte del po-tere mondiale non è mai piaciuta lademocrazia italiana sancita dallaCostituzione, scritta, non bisognamai dimenticarlo, da circa tre quarti(partigiani) dei membri del comita-to dei 72. Non voglio disprezzarenessuno e lungi da me dal credereche un evento di qui possa esseremigliore di un evento accaduto inaltre parti del pianeta, rifletto solosu una lettura fatta delle differentiCarte costituzionali dei diversi Pae-si e Nazioni del mondo. Ebbene, laCarta costituzionale dell’Italia re-pubblicana è uno di quei fondamen-ti sociali più avanzati al mondo,perfino più avanzata di quella tantodecantata Carta costituzionale sta-tunitense, ancorata ancora a idealiprerivoluzionari 1789 in Francia. Èdoloroso sapere oggi che anche igoverni, che si sono succeduti al-l’odioso regime neofascista berlu-sconista, continuino sulla stessastrada tracciata dal sig. Berlusconi,cioè quella di voler stravolgere gliarticoli fondamentale della Carta.Credo comunque che si tratti di ten-tativi, perché il disegno piduista, dicui il Berlusconi stesso era albero eradice, non è ancora del tutto andatoin porto. Contro questo ennesimotentativo, per di più proposto anchedall’ultimo arrivato sulla poltronadi Palazzo Chigi (Renzi), si è levataalta la voce del presidente nazionaledell’Anpi, Carlo Smuraglia, il qualeha affermato che cambiare la Costi-tuzione oggi in senso autoritario si-gnifica tradire quei valori per i qualihanno combattuto contro il nazifa-scismo e sono morti i partigiani.

In questo quadro, qual è, se-condo te, il ruolo di un’associazio-ne come l’ANPI?

Primo: non far dimenticare quel-lo straordinario patrimonio di lottae di cultura libertaria e democraticasviluppatosi con la Resistenza. Ipartigiani e le staffette, i patriotidella guerra di Liberazione, e i tanti,moltissimi, che hanno sofferto ladittatura nazifascista con privazio-ni, sofferenze, carcere e campi di la-voro e di sterminio, non possono es-sere dimenticati sull’abisso del-l’ignoranza di chi in questo mo-mento domina il mondo.

Secondo: l’Anpi non è un’asso-ciaizone di privati cittadini/e deditiall’hobby del contare le stelle (con-tro cui personalmente non ho nullada obiettare), ma un’associazioneviva nel corpo sociale e politico delPaese. Pur essendosi dichiaratasempre apartitica, l’Anpi che, nonbisogna dimenticare è stata la primaassociazione della Repubblica adessere riconosciuta Ente moraledello Stato (1946), è però un’asso-ciazione politica antifascista che in-terviene su ogni evento che accadea proposito degli assetti statutaridell’Italia come, ad esempio, sta fa-cendo in questo momento, difen-dendo l’integrità della Carta costi-tuzionale. G. F.

Resistenza

A Lecce, in Piazza Partigiani erano in tanti... forse troppi... non è facilmente digeribile vedere gomito a gomito il deputato di SEL e quello di Forza Italia

pagine n° 4 e 5

controLa stella dell’ANPI

credibile è stato l'atteggia-mento delle forze dell’ordineche invece di trattare e lasciarvivere i ragazzi li ha esiliatioltre le transenne opponendouno schieramento di armatiantisommossa degno di piùnobili cause, magari dei tep-pisti dello stadio. Sono statighettizzati invece di esseremessi di fronte a responsabi-lità che forse li avrebberoportati a discutere. Magari (equi eccedo) offrendo loro ilmicrofono per dire le loro ra-gioni. L'ottusità genera mo-stri a volte. Non è stato unbello spettacolo vedere i"buoni" di qua e i "cattivi" re-legati e fronteggiati da caschiblu.

tutto e tutti

spagine

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Lecce, 27 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 26

mandosi in altro… degradando in‘ibrido’. La donna rinuncia alla suanatura, indossando l’abito della mal-vagia conformità sociale. Sembrache insorgano violentemente controloro stesse. «Date alle donne occa-sioni adeguate ed esse possono fartutto» diceva Oscar Wilde. E direche… nella mia vita passata… mi ab-bandonavo, seguitando affettuosa-mente illauto fascino femminile.

Ma, questo dramma per me non ènulla. Lo vivo tra disgustose inquie-tudini ambientali. Ho ricordi di unavolta… un passato con gli amici neicaffè parigini, osservando i passanti.O nelle stanze disfatte degli hotel inSaint-Germain-des-Prés, rovesciatisulle poltrone a fumare Gauloise…soffocati dalla noia, guardando il let-to attendevamo le nostre amiche, pet-tinate e vestite di raso bianco, per go-derne. L’amicizia è la parte più vera,sotto un’apparente frivolezza si rive-

la bizzarramente rivelatrice. Comeebbero a dire le nostre amiche: «Masì, ecco: fu mentre ci vestivamo, chetutto a un tratto il cuore s’è versato inpianto e ci siamo disposte sulla sogliadi casa. Ah, che gran cuore abbiamonoi! Vogliamo un’esistenza piena, in-tensa. Torniamo a Saint-Germai-des-Prés in quell’hotel per divenire invia-te, per consegnarci ai nostri amici, ecurare le loro ferite e pregare per lo-ro!» Ecco, loro erano fatte per essereamate, non per essere comprese. Noipotevamo dare del tu alle nostre ami-che, e credere in loro, ai loro occhiche sapevano tanto. Non avevanol’aria formalista, ma erano sempre informa: le amavamo quanto la vita!Un cuore basta e degli sguardi, senzal’impazienza della seduzione. Erava-mo così consumati dagli approc-ci…Ci stringevamo nel segreto…nelmistero dell’amore, grande quantoquello della morte.

«Oh non volerti misera. Non devespecchiarsi in te la povertà dell’amo-re» (FriedichHorderlin).

Esse non immaginavano quanto cierano amiche. Non intuivano tuttol’amore che sentivamo per loro néquanto erano indispensabili per noi.L’amicizia superava l’amore, scevradalla gelosia e rivalità. Pura nobiltàd’animo. Mi commuovo a ripensarle,tant’era il contrasto tra la loro vita e idesideri. I loro corpi non bramavanoe non cercavano, era la loro anima apossedere questo amore. Per loroquello stato era come un ballo, arro-ventato nell’abbraccio notturno. Era-no felici! E quanto non erano gelosele nostre amiche! Avevamo bisognod’amicizia… loro si offrivano. Lenostre amiche ci davano il piacere…ma il piacere è diverso dalla felicità.Alcune cose sono più preziose per-ché non durano! Noi scoprivamo conimmensa gioia che la vita non aveva

«Io scrivo la commediaumana, però scriveremi impedisce di vivere»diceva Honoré de Bal-zac «ma non vorreiscrivere, perché è fati-

coso, fa male, io vorrei vivere, ama-re… Chi mi definisce vanesio, super-ficiale, lunatico, eccentrico, ha lastessa ragione di chi mi giudica sag-gio, misurato, profondo. Niente mistupisce ormai di me stesso, e nientemi stupisce ormai di voi» concludevaHonoré.

Io vivo la miseria umana, che famale, e vorrei scrivere la gioia uma-na, ma ciò mi impedisce di farlo, pos-so solo immaginarla. Forse questo èil motivo per cui noi scriviamo: l’im-maginazione può essere più impor-tante della conoscenza.

«La vita non è quella che si è vis-suta, ma quella che si ricorda e comela si ricorda per raccontarla» dicevaGabriel Garcia Marquez.

Niente mi stupisce ormai di questosurrogato di società civile, di genteche si batte per una idea, non avendo-ne. Io mi baso su frasi essenziali perpassare inosservato in società.

É noioso essere in società, oggi;ma è anche doloroso non esserci. Iosono ironico e dissacrante: non miimporta degli altri, né tanto meno dime stesso. Con arguzia, io deploro.Io sono senza scrupoli. Non commi-sero nessun vivente, non possiedoagape. All’occorrenza vado a lettocon le donne degli altri (sempre me-glio che i mariti non sian gelosi: mieviterebbero l’ennesimo duello die-tro il convento delle Carmelitanescalze… all’alba). La guerra è soloun sofisma, e chiarisce il risultato cheha sempre avuto.

La rivoluzione ha un esito ancorpiù tragico: “togliti tu che mi ci mettoio”. Di questo si tratta. E’ un gioco almassacro. Per vanità l’umano è pron-to a perire, per non pensarci. Perpe-tuando l’errore, in solitudine, comeuna lingua per doppiatori. A causa ditanta perdita di tempo, il cambiamen-to politico-sociale e culturale è statorimandato.

***Da giovane ero anarchico, ora mi

basta che i governanti rispettino leleggi. Essere pessimisti è un eccesso,cioè prevede ciò che succederà. Inquesto contesto storico, la sola ma-niera di sembrare uomini è essere cri-tici. La critica come unico brio sop-portabile. Così come critica appare lacondizione politica attuale, ma nonseria; e l’atteggiamento del femmini-le odierno che si conforma alla scur-rilità politica del momento… trasfor-

di Antonio Zoretti

Arte

“É noioso essere in società, oggi; ma è anche doloroso non esserci. Io sono ironico e dissacrante: non mi importa

degli altri, né tanto meno di me stesso. Con arguzia, io deploro. Io sono senza scrupoli.

Non commisero nessun vivente, non possiedo agape”

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pagine n° 6 e 7

confini. Le nostre lady ci infondeva-no l’amore per la libertà. Pensavamol’amore come uno stato di grazia,non come un mezzo per arrivare aqualcosa… così come accade oggi,purtroppo.L’amore è comunione eaffetto. Abbatte tutti gli ostacoli indi-viduali. Disinvolti nell’amoresentia-mo una forte emozione atta a conte-nere tutta la nostra vita in un battitodifficile da spiegare.

Questo periodo storico non ci per-mette di avere con noi le nostre ami-che… Un’amica non si fa, si ricono-sce! E, in questi tempi, noi non ci ri-conosciamo! Siam fuori ormai daquesto mondo morente/assente, cheelimina qualsiasi rapporto con

l’esterno.Così che la stessa scena nonritorna, si commemora solo come ap-parato del ricordo. Ci abbandoniamoad un passato che non torna, che tor-na presente proprio perché rimemo-rato. Ora son come Muse… ispiranoricordi: parliamo loro attraverso.Eran le nostre speranze, le nostrecreature, venute dal cielo… credeva-mo in loro, ci toccavano il cuore piùdi una prima volta.

Ora modesta scenaoccupiamo,vuota ed informe ed insignificante,inventata e investita e frequentatainbuona parte tra l’essere e il non esse-re, tra queste due finzioni… Vorrei ri-cominciare, lontano da tutto, lontanoda qui, tranne che da loro…

spagine

Io deploro!

Gabriel José de la Concordia García Márquez(Aracataca, 6 marzo 1927 – Città del Messico, 17 aprile 2014)

“La sola maniera per sembrare uomini è essere critici”

Ah, com’eran belle le nostre stellea vanire. Che ragazze e ragazze… inquelle zone d’ombra accarezzate,nella notte, in quell’incanto, e nel so-le del meriggio, eteree di buon matti-no, svanite alle marine, celesti nellestanze, tenere colombe all’imbrunire,satire sull’altare. Apparivano disper-se dentro i vani, intime e discrete emai scordate… il tempo l’ha portatevia e poi finite. Esse eran fuori dal-l’egoismo, libere dalla propria volon-tà, si aprivano dentro, per raggiunge-re l’incontro più esteso del momento.Non scavavano sotto la superficie,poiché sapevano che era a loro ri-schio e pericolo. Ci donavano il verooro della loro vita. Non avevano ti-more del nostro silenzio, non ci isola-vano in un recinto di parole, si univa-no a noi ogni volta come per fato, percondividere una dose di vita e sedur-ci sotto incanto nella cinta di quellache chiamiamo realtà, sul cammino

alla volta dell’infinito. Ora tutto si chiude, si smonta e si

tace. Come per reazione siam rapaci.Un medievale comportamento ci èvicino, e questo perdura ormai da an-ni. Il resto è fatto solo di affanni…Affiora soltanto il dualismo, l’egoità,l’alterità dell’essere, nella quale ri-siede propriamente l’alienazione,ogni male e dolore:l’oggetto di desi-derio, di valutazione utilitaristica, didistacco. La nostra epoca ci tienelontano dall’amicizia e dell’amore;non vi è altro di necessario che il su-perfluo. Lo chiamano progresso, iovedo solo degrado. L’arte? Una ma-lattia! L’esistenza? Cinica e vuota.Un inutile sovraffollamento. L’epocache qui viviamo, la più recente, criti-ca, in futuro forse sarà più nota come:Monologia globale. La nostra la vo-glio conservare come: Polvere distelle.

Aurevoir.

Honoré de Balzac(Tours, 20 maggio 1799 – Parigi, 18 agosto 1850)

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Poesia

Quando non ho risposteChé non ne trovoChé (forse) non ce ne sonoChé (forse) è errata la domandaO (forse) l’interrogativo è inutileQuando voglio soltanto comprendere…Allora cerco il silenzioE il silenzio si fa scritturaE (come la parola) la scritturaDiventa suono e s’accorda col pensieroE quel che dentro scorre incontra Quel ch’è fuori e tutto si coloraQualcuno ha detto che la scritturaÈ la droga più potente mai inventataLo credo anch’ioA condizione che sia espressione autentica di sé E che tocchi i sensi di chi la toccaLa scrittura è tutto e nienteLa linea che separa il tutto e il nienteSta in chi guardaSinestesia vuole che la battima non separiIl mare alla terra ma li uniscaLa scrittura può diventare tante cosePer Antonella Marotta è mare e terraÈ dialogo di Anto con LellaQuando solitudine stringeÈ diario di bordo nei marosiQuando l’àncora mancaÈ lente che protegge gli occhiQuando s’alza sabbia al cieloÈ deserto e forestaÈ acqua e ventoE quando tutto è inchiodato al nullaÈ forza che trova la parolaPer spezzare il tempo fermoÈ parola che si fa tempoÈ parola che si fa spazioÈ parola che si nutre d’amoreChe piange e sorride donando amoreAmore cercandoCom’ogni desiderio di bellezzaNasce nell’anima… e urla…Poi ci vuole un po’ di pioggiaE un po’ d’amoreQuesto mi ha evocatoLa scrittura di AntonellaUn po’ di pioggia e poi l’amore

di Vito Antonio Conte

Lecce, 27 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 26 pagina n° 8

Sabato 3 maggio, alle 18.30negli spazi delle Arti Grafiche Marino

nella Zona Industriale di Leccela presentazione del libro

Il Bastone fiorito

malinconie di un sogno perduto

di Antonella Marotta

interverranno Ambra BiscusoVito Antonio ConteElisabetta Liguori

Mauro Marinocoordina Giuliana Coppola

La copertina del libro

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Lecce, 27 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 26 pagina n°9

«Tu non conosci il Sud, le case dicalce/da cui uscivamo al sole comenumeri/dalla faccia d'un dado […]Una funesta mano con languore daitetti/visita i forni spenti, le stalle incui si desta/una lanterna o voce im-polverata./Come da un astro prossi-mo a morire/s'ode un canto dai cam-pi di tabacco./Sulle soglie, in ascolto,le antiche donne sedute […]di pochifatti che/rileggiamo/più volte, nel-l'attesa che ci dia/tutte assieme la vi-ta/le cose che crediamo di meritare»

Vittorio Bodini

Tu che conosci ilSUD … Sono lenuove “Foglie di ta-bacco”quelle “coseche crediamo dimeritare”,che già

erano del 1945?Tu che guardi, checonosci realmente il SUD, lo erano osono:”le antiche donne sedute”?Tuche non vuoi nascondere il SUD,sebbene è, sia già da sé tanto nasco-sto, perché sono, erano: “tutte assie-me la vita”, la nostra vita?

Oggi sono la probabilità di una ri-presa, ma,può essere l’identica aquella sperata nel lancio di un da-do?L’abbraccio di un dado?

Nell’affermato di un tempo vedu-to dall’alto, l’inizio di quel tempoè-posto in un Paradiso d’incontro, nelloro inizio a due. L’Adamo è già ilnuovo vecchio ed EVA è disposta allacostruzione dell’Eden. Nell’occhiodella macchina da ripresa, in una fin-zione scenica, per quel tempo erano esono ancora il forno spento che atten-de nuova legna per ardere e per dona-re o cancellare il tutto sperato, per laprobabilità donata dalla cenere delpost o neo episodio, per guerra, quel-lacondotta per vittorie di altri e persconfitte di altri ancora.

IL SUD è L’io cinepresa, l’ultimafoglia di tabacco che diventa occhio esquarcia il buio dall’alto.

Nella sala di proiezionediventaocchio di cristallo veggente nellospettatore e dà luce alla luce per e “ingrazia di Dio”,dell’IO ch’è. L’IO-l’ascolta.

Il SUD è quel coloredi realtà e si-lenzio, è il bianco accecante, il verdeombroso e cupo, come può esserlo ilbuio delle rughe terrazzate di una ter-ra promessa destinata e contesa dalNORD fra cielo e mare e che sfornala sua incessante realtà in podere ab-bandonato, in campagna, in guerraper un compromesso, in un debito dalasciare al prossimo futuro, nel ca-parbiamente ostinato, nel chi sogna e

in chi vuole essere l’interprete di re-citazioni per altri palcoscenici, perchi partecipa e diventa attore, prota-gonista per amori possibili-impossi-bili o di amori necessari o di amorispudorati, inutili e violenti.

Edoardo Winspeare vuole, amadefinircelo: “piccolo film sulla felici-tà”. D’accordo, è sulla felicità ma èin uno stile di vita rincorso tanto inun nuovo quanto in fondo dell’altret-tanto vecchio, è a ridosso di un tem-po che attende la stessa felicità e duraun attimo o attimi, è l’utopia che ri-piomba nelaccomodante-intolleran-te, nel comunque pensante.

I termini appena associati e sepa-ratidall’esile trattino esistono per es-

sere nel pensato o avvicinati all'appa-rente dissimile; termini avvicinatiper essere lontani da aree semanticheprobabili o da far riassumere in unluogo o con un gesto. Accomodante èquel ch’è,il se-guì-todi un pensieropoi divenuto sé-gui-to; intollerante èinvece il sé-gui-to che non può darcorso a quel che non dovrebbe essereilse-guì-to.

Nell’antinomiadel reale-bizzar-ro,con quel tanto o poco di banale edi semplicistico proprio dei protago-nisti, si ha la sensazione che, nellaforzata caratterizzazione, abbianotutti e contemporaneamente il luogodi una stessa azione, sia che essa siaaccettata o respinta.

Una nuova riflessione su “In grazia di Dio” di Edoardo Winspeare

Edoardo Winspeare in una fotografia di Cosimo Cortese

E... Se il sù-bi-todi Francesco Pasca

Cinema

non fosse il su-bì-toLa bizzarria di siffatta rincorsa, di

quest'appena pronunciato, è un pen-siero e l’attesa, è quel chespesso dà ildivenire tra l’accomodante o il colle-rico.

Quel tanto da essere reale, per al-tri, è l'intollerante scritto da vicendesegnate o per il rincorrere di vocali econsonanti sulla didascalia da com-puter, per dare il suono e il senso,ch’è l’uguale del girare con una mac-china da ripresa per accumulare me-moria di pellicola e poi svolgerla intempi millenari o fatti scolorare nelfrenetico di una necessaria scrittura-lettura, in un rivolo di inchiostro e di-stenderla sul panno bianco di una sa-la cinematografica.

Le quattro donne, figure fonda-mentali e giustamente, appaionosempre e volutamente e completa-mente differenti nel loro contrario,ma forse è anche evidenziato conl’eccessivo e diventail numero checostringe il regista ad attraversarledal male al bene e viceversa senzaapportare Luogo al Tempo. Ci sonoquattro donne nel film di EdoardoWinspeare, ci sono altrettanti uominie questi non appaiono marginali, alcontempo sono il filo del sarto, del-l’azienda che va a rotoli.

Molte situazioni non si chiudono,lasciano sospeso il tempo e sono levirgole e sono l'accomodante e sonol'intollerante. Questi personaggi avolte appaiono lontani, vicini e di-stanti nelle appartenenze e poi ricon-dotti con lo stesso filo per sarti checonfezionagli abiti per il NORD, peril NORD che indossa il SUD e alcontempo costringe vuole, ma ab-bandona.

Fra quel ch’è accordo e disaccor-do, dove il non tutto cinematograficofila liscio nella esigenza per una ca-ratterizzazione di estremo SUD, avolte si penalizza lo stesso SUD, l’IOspettatore e occhio e macchina da ri-presa soffre. La ricerca di una narra-zione sfocia nei quadri per sola im-magine dove ifatti sono i punti inter-rotti.

Forse l'immagine cinema è in gra-do di annullare il buono o il cattivo, ilbene o il male.

Forse è la ricerca del regista,l’utileper rappresentare il reale, per dichia-rare la complessità nella felicità.

Forse, quel ch’è In grazia di Dio èquel: “E… Se il sù-bi-tonon fosse ilsu-bì-to” oppure:…quale sarà il ri-sultato di una: “faccia d'un dado”.

Grazie Edoardo e a voi “Buona vi-sione”.

spagine

Page 10: Spagine della domenica

Poesia - La città e il cambiamento - Per Lecce 2019

QUANDO LA CITTÀ CAMBIÒ di Argrò

Ci fu un giorno, secoli fa, in cui la Città cambiòDa un momento all’altro. E non fu mai più la stessa, da allora. O meglio fu la stessa, in fondo, ma anche fu qualcosa di più, di molto di più.Ora calmatevi, Cittadini, smettetela di cercare dove, che cosa e quando avvenne. Che questo non vi serve, non ci importa. Che non sto dicendo di un monumento, o diun raro atto antico, niente di tangibile, né ostentabile, né dimostrabile. Quella è roba da Sapienti Poteri.Io dico quel Cambiamento che sta in un racconto famoso, così famoso che non ho in-tenzione di svelarlo. Vi dirò solo che tutto quello che accadde quel giorno alla Città, visembrerà incredibile, nessuno della Città lo vide, né se ne accorse. Eppure tutto cam-biò irrimediabilmente.Tutto accadde fuori dalla mura, quando il Barbaro Armato alla guida delle sue FolleSanguinarie e Profetiche giunse sull’alto del colle lontano ed erto da cui tutta la doratavastità della Città si poteva d’un occhio cogliere, in un fiato respirare.Giunse al Barbaro, come fosse la sua linfa parlante, da quei ferventi esseri disarmati,vivaci e intenti e saldamente dipendenti come un essere solo, un profumo d’anima chenon aveva inteso mai.Così si rivelava, in quell’attimo, all’occhio suo spalancato che l’aveva bramata, quellaRicchezza, piegata e rotta, vinta e asservita; ora che muto la spiava nel suo vigore digregge inerme e schiamazzante, nella sua foga di branco guadente e in contesa, comeli proteggesse una Divinità regolata e salda.Il Barbaro tacque, in quel fatale momento, e non s’alzò la mano al comando, Misterodella Storia. E attese poi anni accampato in vista delle mura, e poi ancora si ritrasse,inviò messaggeri, e infine rinculò.Cambiato Lui. Cambiata la Città. Eccolo il Cambiamento che aveva trionfato. La cittàfu salvata dal suo Oscuro Fascino, dall’Invisibile Legame dei suoi Vivi Cittadini. E fufatta diversa e fu cambiata dalla reverenza che Altri le degnarono, di cui Ella appenas’avvide, chiusa stretta e ignara nelle sue Mura Giardino.Senza che nulla fosse apparso, quello Sguardo Straniero l’aveva cambiata per sempre.Per quanto parecchi, molti e ora persino moltissimi, non sappiano nemmeno di qualCosa Invisibile e Concreta vi si stia mai qui dicendo.Ma il Barbaro Ospite Straniero d’oggi questo lo sa, di solito. E se può lo sa onorare. Elo ascolta ancora, qualche volta, quel suono profondo e vivo che il Barbaro sentì quelgiorno per primo. Solo una cosa Gli spiace, che non si possa poi bene dire questo in-canto a chi quella Città possiede per luogo natale, per legame proprietario o mitico.Non si può dire?

Argrò [email protected]

Lecce, 27 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 26

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Il Mese dell'Eutopia

http://www.lecce2019.it/2019/ilmesedelleutopia.php

Se non ci fosse gravitàtra noi e quel lenzuolo chiamato terranon ci sarebbe nè il sopra nè il sottoe l'amore sarebbe una carezza un pò casualei fiumi farebbero marcia indietroe una piccola brezza di ventoci porterebbe al polo nordse non ci fosse gravitànon ci sarebbero gli impiccatinon ci cadrebbero lacrime dagli occhise non ci fosse gravità andremmo in gita sulla lunae il dolore non avrebbe più radicise non ci fosse gravitàsparirebbero mal di testa e i reumatismise non ci fosse gravitàle mie parole cadrebbero dalle paginee un proiettile sparatofarebbe ridere le stelle

Quella che aveteappena finito dileggere è unapoesia diGiuseppeSemeraro, attore

e poeta - indimenticabile il suoesordio letterario con “La can-tica del lupo” nel Poet bar diBesa - che da un po’ di tempo sufacebook, strumento che da pocoha iniziato a praticare, si chiede:“A cosa serve la poesia?”.Un’interrogazione che si è allar-gata coinvolgendo altri, comeautori e come lettori. Mercoledì30 aprile, dalle 21.00, Giuseppe

Semeraro, il pittore FabioInglese e il musicista LeoneMarco Bartolo con la loro inter-rogazione saranno ospiti delFondo Verri. Scrivono nella notache presenta l’incontro:“Abbiamo raccolto testi, musi-che, storie cercando una rispostaa questa domanda: "A cosa servela poesia ? ". Può essere la poe-sia un'azione capace di usciredalle pagine di un libro?Possiamo agirla la poesia, cam-minarla come un luogo pubblico,farla diventare una scultura so-ciale viva tra la gente? Insiemepotremmo trovar risposte…

Mercoledì 30 aprile, dalle 21.00, al Fondo Verri

A cosa serve la poesia?Con Leone Marco Bartolo, Fabio Inglese, Giuseppe Semeraro

pagine n° 10 e 11

Page 12: Spagine della domenica

pagina n° 12

MMSarteE’ in atto dal 24 marzo Art-icoliamo senza barrierenuovo percorso di poesia visuale rivolto ai bambini

di quattro classi della Scuola Primaria Leonardo Da Vinci di Cavallino e Castromediano a cura di Monica Marzano

Lecce, 27 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 26

L'esperta del progettoMonica Marzano havoluto far discuteremolto i piccoli alunnisulla parola Corag-gio, accorgendosi fin

da subito che in effetti c'era molta am-biguità nell'interpretazione del signifi-

cato della parola che veniva visto per lopiù come un gesto solo di forza fisica enecessità indispensabile di grandi mu-scoli ... Ma a leggere poi cosa il piccoloDavide ha scritto in merito, appare evi-dente che la discussione è stata ben re-cepita, perché Coraggio è diventatoespressione di grande forza d'animo, di

raffinata astuzia, di tenacia nel rag-giungere importanti obiettivi, il corag-gio di saper offrire il proprio aiuto sen-za pensare di dover aver nulla in cam-bio, il coraggio è offrire gesti di genti-lezza in mezzo a tante brutture... Simo-ne che ha sfoderato una buona abilitàtecnica nell'eseguire il suo disegno, si è

invece soffermata sulla frase "Colossa-le come un cavaliere", un'associazionefra un aggettivo dall'espressione poten-te affiancato ad un nome che dà invecelidea della galanteria, della gentilezzadell'amor cortese. Un' accoppiata cheporta il coraggio verso mete davverovincenti!

Per Gabriele l'Aiuto èuno straordinariogesto che racchiudein sé tanti altri con-cetti importanti cheappaiono come una

sfilata armoniosa di buone azioni

utili, anzi necessarie per una solida-le convivenza. L'Accoglienza,l'Unirsi, il Tentar sempre di far starbene il prossimo sono grandi gestid'aiuto che senza alcun dubbioquando si attuano, diventano "Or-goglio" per chi li dà e molto spesso

salvezza per chi li riceve. Lo stesso Orgoglio che vediamo

dipinto nel volto del ragazzino cheoffre il proprio aiuto ad un suo coe-taneo in evidente difficoltà a potergiocare nel parco. E già, il piccoloMatteo ha voluto evidenziare que-

sto spontaneo gesto di solidarietàche certamente asciugherá le lacri-me dell'amico il quale finalmente"aiutato" potrà anch'egli godere deigiochi insieme a tutti. Piccoli gestiche cresceranno per divenire grandi"orgogli".

L’aiuto e il coraggio

spagine

Il testo è di Gabriele il disegno di Matteo

Il testo è di Davide il disegno di Simone

La galleria dei lavori della precedente edizione è su www.mmsarte.com

Page 13: Spagine della domenica

pagina n° 13

E’ scomparso a Calimera Rocco Aprile,per ricordarlo vi proponiamo la pagina che apre il suo romanzo

“Il sole e il sale”

Già per due volteNdata avevachiamato Pippi,scuotendolo, mail bambino avevarichiuso gli occhie tirato le coperte

fin sulla testa. Fuori soffiava un ven-to gelido di tramontana, che agitava irami del fico e penetrava nella stan-za, attraverso le fessure della fine-stra.

La mamma era andata in cucinae si affannava ad accendere il fuoco;entro mezz’ora, al massimo, dovevapartire da casa e andare in campa-gna, a raccogliere ulive, insieme allealtre donne e voleva lasciare qualco-sa da mangiare ai bambini. IntantoPippi nel calduccio del letto tornavaa sognare; ora non si vedeva più nep-pure la testina ricciuta, scomparsasotto la coperta, che la nonna gli ave-va regalato a Natale. Sognava di ave-re un bel paio di scarponi nuovi, lu-cidi, con i chiodi grossi, di quelli chefanno rumore quando si entra in ca-sa. Aveva ormai dieci anni ed il pa-dre gli aveva spiegato che anche luidoveva rendersi utile, lavorando. Econ suo padre non c’era mai daobiettare qualcosa; bisognava ubidi-re e basta:

- Quai pornò, scònnese presta,piani to kofini mea ce to gomonnikropo.

Ogni mattina ti alzerai presto prenderai il cestogrande e lo riempirai di letame.

- Quai pornò? Puru an vrezzi?Ogni mattina? Anche se piove?- Panta. Sto mai enna kiantèzzo-

me tus pimidòru. An den echi kropo,pas kannome ?

Sempre. A maggio dovremo piantare i pomo-dori. Se non c’è letame, come faremo?

Pippi aveva una paura tremendadel padre, a cui anche la mamma ub-bidiva sempre, senza aprir bocca.Perciò era stato zitto, pur sapendoche il cesto era grande, pesante e cheera quasi impossibile riempirlo, pri-ma di andare a scuola.

Ndata tornò per la terza volta ac-canto al letto, ma con una bella cio-tola di latte caldo:

- Asca, Pippi, pedàimmu ... nà, pielìon gala termo. Feto, e izzareddhae'kanni poddhì, ma pìeto ... Simmerien àscimo o cerò ... Kanni psichra ceànemo.

Alzati, Pippi, figlio mio ... Ecco. Bevi un po' dilatte caldo ... quest'anno la capretta non ne fa mol-to, ma bevilo ... Oggi il tempo è brutto ... Fa freddoe vento.

Pippi afferrò dalle mani dellamamma la ciotola e bevve in fretta,poi saltò giù dal letto, vestendosi inun attimo. Le vecchie scarpe rotte estrette facevano male ai geloni, ma sisforzò di non pensarci. Andò in cuci-na e riscaldò le mani al fuoco; ci sa-rebbe rimasto volentieri un po', amettere qualche rametto di ulivo sul-la fiamma. Era un gioco che gli pia-ceva, ma adesso non c'era tempo daperdere. Uscì nel cortiletto, riempì ilcatino di acqua dal secchio della ci-sterna, si lavò la faccia e poi uscìfuori, al vento gelido.

Era ancora buio, ma Pippi sape-va per esperienza che era l'ora mi-gliore per sbrigarsi presto. Svoltatol'angolo, trovò infatti il letame, cheaveva lasciato un cavallo passato po-

co prima e ciò gli sembrò di buon au-gurio. Era quasi caldo. Passò per lapiazza e vide che un contadino stavadisponendo per terra cicorie e rapeda vendere. Poco lontano un asine-lio, legato al carretto, aveva lasciatocadere per terra il letame.

Pippi sapeva che era pericolosoavvicinarsi troppo, perché l'animalepoteva scalciare. Ma il contadino siavvicinò e tenne fermo l'asino. Giàmetà del cesto era pieno, ormai; e,senza perder tempo, si avviò verso lacaserma dei Carabinieri: nel larghet-to sostava ogni mattina, per un po' ditempo, la carrozza, che portava ipasseggeri a Lecce.

Pantaleo Culumbài, già seduto acassetta, aspettava con impazienzache i ritardatari arrivassero; anchePippi, posato il cesto per terra, rima-

se immobile, aspettando che la car-rozza si muovesse. Il cielo si era fat-to chiaro; il vento di tramontana eraaumentato e gli congelava le spalle ele gambe; ma quel letame, che stavaper terra, fra le due ruote della car-rozza, era sufficiente per riempire ilcesto. Pantaleo, indovinando cosavoleva il bambino, saltò giù e tiròavanti i cavalli.

- Ssiànoso o kropo!- Raccogli il letame!

Il bambino si buttò per terra eraccolse in fretta tutto.

- Arte àmone essu, pedàimmu! Ociùrissu ene ena ciuccio! -Adesso vai a casa, figlio mio! Tuo padre è un asi-no!

Pantaleo fece una carezza sullatesta di Pippi, che grato e sorridentecontemplava il cesto, pieno fino al-

l'orlo.- Jati se kanni n'aggui m'itti psi-

chra?Perché ti fa uscire con questo freddo?- Ìmesta poddhì sto spitimma ce

evo ime o pleo mmea. Pos kànno meandè na sìrome ambrò?

Siamo molti in casa nostra ed io sono il piùgrande. Altrimenti, come facciamo a tirare avanti?

Ormai gli ultimi passeggeri eranoarrivati; Pantaleo frustò i cavalli e lacarrozza partì cigolando. Pippi la se-guì con gli occhi e per un istante so-gnò anche lui di partire, di andarelontano, ma non era abituato a so-gnare e subito pensò che c'era il pe-sante cesto da portare a casa. Le ma-ni erano paonazze per il freddo e cer-cò di riscaldarle, soffiandovi su. An-che i piedi erano gelati e si mise asaltellare, quando vide arrivare im-provvisamente un ragazzo, di cuiaveva il terrore, perché, ogni voltache lo incontrava, gli mollava senzaragione pugni o calci. Dalla piazza siavviava verso il largo Immacolata,giocherellando pigramente con unascatoletta di conserva. Pippi speròche passasse avanti senza dargli fa-stidio; ma, in un attimo, gli fu addos-so, lo spinse verso il muro, facendo-lo cadere, poi rovesciò il cesto e sene andò via.

Piangendo per la rabbia, Pippi sirimise al lavoro, riempiendo di nuo-vo il cesto. Ormai c'era poco tempoda perdere e col fiato grosso arrivò acasa. I fratellini si erano svegliati egiocavano sul letto; Pippi li guardòappena e corse in giardino, lasciandoil cesto pieno vicino alla porta. Do-veva restare lì fino alla sera, perchésuo padre voleva controllare giornoper giorno se i suoi ordini erano statieseguiti. Non ebbe il tempo di lavar-si le mani, perché era tardi ormai.Quando arrivò a scuola, già gli altribambini stavano recitando la pre-ghiera. Il maestro, in piedi sulla cat-tedra, gli fece cenno di fermarsi vici-no alla porta. Poi, quando tutti si fu-rono seduti, lo invitò a farsi avanticon aria burbera.

- Perché hai fatto tardi?Pippi non rispose. Non poteva

spiegare al signor maestro che ognimattina doveva andare in giro per lestrade del paese a raccogliere il leta-me. Non avrebbe capito, lui, che illetame era indispensabile per pianta-re i pomodori e che i pomodori eranoindispensabili per fare la conserva econdire le sagne durante l'inverno.

- E sei tutto sporco, puzzi di stalla.Non sai che devi lavarti, prima di ve-nire a scuola?

Pippi guardava incantato il mae-stro, che sapeva parlare così bene initaliano e che aveva una faccia ro-tonda, liscia come un melone...

- Apri la mano!La zia Margherita fischiò minac-

ciosamente in aria e andò a finiresulla mano sinistra, intirizzita dalfreddo.

- Apri l'altra!- No! Con questa ... "enna grapso"

(devo scrivere).

La mano per scrivere

Un giovanissimo Rocco Aprile ai remi

spagineLecce, 27 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 26

Page 14: Spagine della domenica

Lecce, 27 aprile 2014 - spagine n° 0 - della domenica 26

Copertina

pagina n° 14

Fino 30 aprile, il Fondo Verri ospiterà la personale

di Fosco Grisendi a cura di Irene ScardiaPitturaspagine

Fosco Grisendi, autoredecisamente originaleal di sotto di unascorza che solo in su-perficie appare se-gnata da grafismi di

sapore lontanamente pop o legati adun'illustrazione di strada a contatto conil gesto del graffito murale, esprime uncarattere forte ed una sensibilità capace

di indagare ben oltre quello strato nero,compatto e uniforme nel quale, inevita-bilmente, affondano i soggetti raffigu-rati. “La spontaneità di Grisendi, frenatada una tecnica lenta e accurata, si cri-stallizza in sempre originali soluzioninarrative e impeccabili impaginazionispaziali. In quest’ossimoro caratteriz-zato da un'istintività di pensiero conge-lata entro linee nette, colori e stesure

piene e implacabili, possiamo collocarela linea poetica dell'autore, che apparesicuro nel proporsi con una sigla moltopersonale e di indubbio spessore.”(Sebastiano Simonini).Nato a Parma nel 1976, Fosco Grisendivive e lavora a Montecavolo di ReggioEmilia. Nel 2004 si avvicina alla pitturaesponendo per la prima volta nel set-tembre 2007 presso il Centro Qui Qua

di Reggio I personaggi e i simboli dellesue opere sono estrapolati dalla vitaquotidiana e ricombinati in unmondo a tinte forti. Sagome, imma-gini familiari, amici e nemici intrap-polati anche nelle t- shirt dipinte amano, frutto della recente produ-zione, fatta di tessuti di cotone e co-lori pop.

Let us drown