1-15/16-31 dicembre 2009 - Anno XLV - NN. 69 - 70 - Basta!

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E’ evidente che nemmeno il clima pre-natalizio che già da qualche giorno si è instaura- to in tutto il Paese riesce ad addolcire e svelenire l’ecces- sivamente infuocata atmosfe- ra che si respira, oramai da qualche mese a questa parte, tra i rappresentanti dei partiti politici italiani. L’aggressione fisica subita da Silvio Berlusconi domenica scorsa, dopo il comizio tenuto a piazza del Duomo a Milano in occasione dell’apertura del tesseramento del PdL, non è altro che il risultato finale di una vergognosa campagna di odio che le opposizioni parla- mentari e non, attuano con- tro la persona del capo del Governo italiano legittima- mente eletto, oramai da mesi se non anni. Campagna che punta se non a sovvertire i risultati prodotti dalle urne almeno ad intimi- dire politicamente con metodi mafiosi e terroristici la maggio- ranza politica di centro-destra al fine di bloccare le seppur timide riforme che l’asse PdL- Lega hanno in animo di porta- re avanti. Si è passato in successione, pur di infangare il nome di Berlusconi e costringerlo se non alla resa politica almeno alle dimissioni dal Governo, ad utilizzare torbide accuse di essere un molestatore di fanciulle appena maggiorenni, oppure di utilizzare le proprie residenze private alla stregua di bordelli. In seguito si è cercato di rovi- stare nella stessa vita familiare del Cavaliere per cercare di indebolirlo pure negli affet- ti più cari anche se poi lo sfruttamento di tale “filone” è sembrato impoverirsi all’im- provviso allorquando il fiume di fango riversato fino ad allo- ra sul Capo del Governo ha travolto coloro i quali avevano mosso per primi tale mecca- nismo, dopo la scoperta del “trans-gate” in cui è stato coin- volto il Governatore DS del Lazio Marrazzo: per la serie chi dal buco della serratura ferisce… Visto poi che attraverso la cre- azione di falsi scandali non si riusciva neppure minimamen- te a scalfire la considerazio- ne in cui gli italiani tenevano Berlusconi - il bel risultato delle elezioni amministrative ed europee del PdL ne sono state una tangibile dimostra- zione - né tantomeno a far vacillare la compattezza della maggioranza di centro-destra, ecco che è dovuto intervenire senza indugi il “soccorso rosso” rappresentato da gran parte del sistema giudiziario italiano per cercare di fermare l’azione politica Governo. Repentinamente allora giunge la sentenza “monstre” con cui il Tribunale Civile di Milano ha condannato la Fininvest dopo oltre 15 anni dagli avvenimenti in questione, la finanziaria di proprietà della famiglia Berlusconi a pagare oltre 750 milioni di euro al finanziere Carlo De Benedetti - proprietario di Repubblica e l’Espresso - per il così detto “Lodo Mondadori”. Dato che però nemmeno l’eventuale - poiché anco- ra altri due gradi di giusti- zia dovranno pronunciarsi a riguardo - “ferita” alle tasche del Primo Ministro sembrava produrre modifiche apprezza- bili sulle intenzioni politiche del Cavaliere, i propugnatori del cordone sanitario da innal- zare intorno a Berlusconi a tutti i costi, al fine di portare Uno squilibrato ha colpito il Presidente del Consiglio Berlusconi. Un gesto folle, il risultato di un’esacerbante clima di tensione che da tutte le parti in gioco non ci viene risparmiato. Non è stato un attivista ma un folle, il frutto spontaneo ed incontrollato di questa perso- nalizzazione della lotta politica. E’ di pochi giorni fa, ad esem- pio, il NO B(erlusconi) Day o la dichiarazione, l’ultima in ordine di tempo, del leader del’UDC Casini che vuole cre- are un polo anti-Berlusconi, non anti-PDL perché la lotta dell’opposizione è contro il lea- der del partito di Governo. E’ questo l’unico mezzo che avete per poter far parlare di voi? nessun altro argomento riesce a fare breccia, secondo voi, nel cervello misero e ignorante dell’elettorato italiano? Immediatamente i messaggi di solidarietà e condanna hanno intasato i mezzi di comunica- zione. Su tutti spicca, come spesso accade, quello del padrone dell’Italia dei Valori Di Pietro che dopo la scontata condan- na della violenza giustifica il tipo di gesto con un clima esasperato dalla stessa vittima dell’aggressione. Questo è quello che ci meri- tiamo. Un manipolatore che con un cinismo fuori da ogni decenza elemosina notorietà e qualche manciata di voti sem- Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 - DCB-Roma 1-15/16-31 Dicembre 2009 - Anno XLV - NN. 69-70 e 0,25 (Quindicinale) In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy — Fondato da Turchi — Istigazione alla violenza — a pagina 3— ATTUALITÀ Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 La Piazza d’Italia Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina COPIA OMAGGIO www.lapiazzaditalia.it La Piazza d’Italia di FRANZ TURCHI — a pagina 4 — ECONOMIA Ricco, continuamente aggiornato: arriva final- mente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia www.lapiazzaditalia.it Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti Che vita ha questo Paese che continua a combattersi in questo modo tra parti contrapposte. Bisogna dare una nuova speranza ai nostri giovani, al Paese in generale e alle famiglie che qualcosa si può fare e si deve fare. Il problema non sono solo le riforme istituzionali (bene come al solito ha fatto Napolitano a interve- nire) ma lavorare insieme opposizione e maggioranza su un percorso di contrap- posizione ma al contempo di rispetto, oppure avve- nimenti drammatici come quelli contro il Presidente del Consiglio si potranno ripetere. Tutto questo lo dobbiamo scongiurare ma lo possia- mo fare solo, come disse mio nonno insieme a mio padre dalle colonne del Secolo d’Italia, molti anni fa, rappacificando gli ita- liani e chi soprattutto li rappresenta. Criminalizzando tutto quello che il governo fa non è un’opposizione e non porta da nessuna parte se non ad eventi violenti che abbiamo già visto. Ma forse oltre alla buona politica, al buon senso comune, al rispetto delle istituzioni e alla passione per la cosa pubblica, credo che una parte della clas- se dirigente politica e non solo, dovrà essere rinnova- ta con i giovani. Buon Natale e Buon Anno Nuovo. Finanziaria 2010 Basta! Milano a mano “armata” Segue a pagina 2 Una nuova speranza Segue a pagina 2 Dalle aggressioni politiche e giudiziarie a quelle fisiche: Berlusconi sempre piu’ nel mirino La deriva della politica e le conseguenze

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Basta! - Una nuova speranza - Milano a mano “armata” - Viola di rabbia - Internet e l’assurdità delle limitazioni - Istigazione alla violenza e internet - Finanziaria 2010: 8,9 miliardi di Euro - Capitali all’estero: rimpatrio e regolarizzazione - L’accesso al credito: un’impresa per le imprese - Debito pubblico: a ottobre il record - Quando il sangue degli altri fa chic - Il senso di un Nobel - Action plan - Discussione intorno alle ideologie - Sulla strada del Prosecco - Intervista a Gianluca Bisol

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E’ evidente che nemmeno il clima pre-natalizio che già da qualche giorno si è instaura-to in tutto il Paese riesce ad addolcire e svelenire l’ecces-sivamente infuocata atmosfe-ra che si respira, oramai da qualche mese a questa parte, tra i rappresentanti dei partiti politici italiani.L’aggressione fisica subita da Silvio Berlusconi domenica scorsa, dopo il comizio tenuto a piazza del Duomo a Milano in occasione dell’apertura del tesseramento del PdL, non è altro che il risultato finale di una vergognosa campagna di odio che le opposizioni parla-mentari e non, attuano con-tro la persona del capo del Governo italiano legittima-mente eletto, oramai da mesi se non anni.Campagna che punta se non a sovvertire i risultati prodotti dalle urne almeno ad intimi-dire politicamente con metodi mafiosi e terroristici la maggio-ranza politica di centro-destra al fine di bloccare le seppur timide riforme che l’asse PdL-Lega hanno in animo di porta-

re avanti.Si è passato in successione, pur di infangare il nome di Berlusconi e costringerlo se non alla resa politica almeno alle dimissioni dal Governo, ad utilizzare torbide accuse di essere un molestatore di fanciulle appena maggiorenni, oppure di utilizzare le proprie residenze private alla stregua di bordelli.In seguito si è cercato di rovi-stare nella stessa vita familiare del Cavaliere per cercare di indebolirlo pure negli affet-ti più cari anche se poi lo sfruttamento di tale “filone” è sembrato impoverirsi all’im-provviso allorquando il fiume di fango riversato fino ad allo-ra sul Capo del Governo ha travolto coloro i quali avevano mosso per primi tale mecca-nismo, dopo la scoperta del “trans-gate” in cui è stato coin-volto il Governatore DS del Lazio Marrazzo: per la serie chi dal buco della serratura ferisce…Visto poi che attraverso la cre-azione di falsi scandali non si riusciva neppure minimamen-

te a scalfire la considerazio-ne in cui gli italiani tenevano Berlusconi - il bel risultato delle elezioni amministrative ed europee del PdL ne sono state una tangibile dimostra-zione - né tantomeno a far vacillare la compattezza della maggioranza di centro-destra, ecco che è dovuto intervenire senza indugi il “soccorso rosso” rappresentato da gran parte del sistema giudiziario italiano per cercare di fermare l’azione politica Governo.Repentinamente allora giunge la sentenza “monstre” con cui il Tribunale Civile di Milano ha condannato la Fininvest dopo oltre 15 anni dagli avvenimenti in questione, la finanziaria di proprietà della famiglia Berlusconi a pagare oltre 750 milioni di euro al finanziere Carlo De Benedetti - proprietario di Repubblica e l’Espresso - per il così detto “Lodo Mondadori”.Dato che però nemmeno l’eventuale - poiché anco-ra altri due gradi di giusti-zia dovranno pronunciarsi a riguardo - “ferita” alle tasche

del Primo Ministro sembrava produrre modifiche apprezza-bili sulle intenzioni politiche del Cavaliere, i propugnatori

del cordone sanitario da innal-zare intorno a Berlusconi a tutti i costi, al fine di portare

Uno squilibrato ha colpito il Presidente del Consiglio Berlusconi. Un gesto folle, il risultato di un’esacerbante clima di tensione che da tutte le parti in gioco non ci viene risparmiato.Non è stato un attivista ma un folle, il frutto spontaneo ed

incontrollato di questa perso-nalizzazione della lotta politica. E’ di pochi giorni fa, ad esem-pio, il NO B(erlusconi) Day o la dichiarazione, l’ultima in ordine di tempo, del leader del’UDC Casini che vuole cre-are un polo anti-Berlusconi, non anti-PDL perché la lotta

dell’opposizione è contro il lea-der del partito di Governo. E’ questo l’unico mezzo che avete per poter far parlare di voi? nessun altro argomento riesce a fare breccia, secondo voi, nel cervello misero e ignorante dell’elettorato italiano?Immediatamente i messaggi di

solidarietà e condanna hanno intasato i mezzi di comunica-zione.Su tutti spicca, come spesso accade, quello del padrone dell’Italia dei Valori Di Pietro che dopo la scontata condan-na della violenza giustifica il tipo di gesto con un clima

esasperato dalla stessa vittima dell’aggressione.Questo è quello che ci meri-tiamo. Un manipolatore che con un cinismo fuori da ogni decenza elemosina notorietà e qualche manciata di voti sem-

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 - Dcb-Roma 1-15/16-31 Dicembre 2009 - Anno XLV - NN. 69-70 e 0,25 (Quindicinale)

In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romaninaper la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy

— Fondato da Turchi —

Istigazione alla violenza

— a pagina 3—

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La Piazza d’Italia

Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina

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La Piazza d’Italia

di fRANz tuRchI

— a pagina 4 —

ECONOMia

Ricco, continuamente aggiornato: arriva final-mente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia

www.lapiazzaditalia.itUna Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti

Che vita ha questo Paese che continua a combattersi in questo modo tra parti contrapposte. Bisogna dare una nuova speranza ai nostri giovani, al Paese in generale e alle famiglie che qualcosa si può fare e si deve fare.Il problema non sono solo le riforme istituzionali (bene come al solito ha fatto Napolitano a interve-nire) ma lavorare insieme opposizione e maggioranza su un percorso di contrap-posizione ma al contempo di rispetto, oppure avve-nimenti drammatici come quelli contro il Presidente del Consiglio si potranno ripetere.Tutto questo lo dobbiamo scongiurare ma lo possia-mo fare solo, come disse mio nonno insieme a mio padre dalle colonne del Secolo d’Italia, molti anni fa, rappacificando gli ita-liani e chi soprattutto li rappresenta.Criminalizzando tutto quello che il governo fa non è un’opposizione e non porta da nessuna parte se non ad eventi violenti che abbiamo già visto.Ma forse oltre alla buona politica, al buon senso comune, al rispetto delle istituzioni e alla passione per la cosa pubblica, credo che una parte della clas-se dirigente politica e non solo, dovrà essere rinnova-ta con i giovani.Buon Natale e Buon Anno Nuovo.

Finanziaria 2010

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Dalle aggressioni politiche e giudiziarie a quelle fisiche: Berlusconi sempre piu’ nel mirino

La deriva della politica e le conseguenze

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La Piazza d’Italia - Interni

Dopo il popolo arancione che qualche inverno orsono infiam-mò il popolo ucraino che lotta-va per il raggiungimento della democrazia negatagli dal dispo-tismo filo russo del governo allora in carica a Kiev, è nato in Italia un movimento “colorato” che secondo i progetti di chi l’ha creato - Di Pietro soprat-tutto - dovrà costringere alle dimissioni il governo del Primo Ministro Berlusconi.Ed ecco allora riunirsi per que-sto ennesimo ponte festivo da fine settimana prolungato i soli-ti noti.Di Pietristi della prima e

dell’ultima ora, nobel da stra-pazzo come Dario Fo, Grillini in libera uscita, cattocomuni-smi del Partito Democratico, partiti residuali della sinistra radicale,scampoli di ecologisti, popolo della “rete” e qualche sindacalista in libera uscita, pronti tutti quanti a godersi il sabato romano organizzato con i soldi di chissà chi…Ma quali risultati si prometteva di raggiungere - come l’hanno definita gli organizzatori stessi ed i partecipanti - la prima manifestazione italiana di auto convocati in rete attraverso Blog e Facebook ?Ovviamente il primo scopo era quello di raggruppare il mag-gior numero di persone in piaz-za San Giovanni, di protestare e costringere alle dimissioni il liberticida Berlusconi, risveglia-re le coscienze democratiche degli italiani ed indebolire in tal modo il Governo del Cavaliere ed infine compattare intorno alla figura dell’ex PM di “Mani Pulite” tutti partiti delle oppo-sizioni, dal PD a Rifondazione Comunista.Purtroppo per loro - e per for-tuna degli Italiani - nessuno di questi obiettivi è stato rag-giunto.In primo luogo il numero dei manifestanti è stato di molto inferiore al milione sbandie-rato dal segretario e padrone dell’Italia dei Valori: la prefet-tura infatti ha stabilito in circa novantamila persone il numero reale di coloro i quali hanno partecipato al corteo di pro-testa “dipietrista”. Ben lonta-ni quindi dalla moltitudine di simpatizzanti che solitamente riescono a radunare gli orga-nizzatori del PdL, dei Sindacati Confederali o - fino a qualche anno fa - l’Unione, o L’Ulivo.Segno questo che non è bastato

né il tam tam degli organi d’in-formazione schierati a sinistra, né internet e né l’organizza-zione di partito dell’Italia dei Valori - ancora lontana anni luce in fatto di qualità e radi-camento sul territorio rispetto a quella delle strutture prima citate - a creare una “massa critica” importante per il rag-giungimento, in termini di partecipazione popolare, delle cifre a cui solitamente ci hanno abituato manifestazioni dello stesso genere di quella organiz-zata da Tonino.Anche il secondo fine, quello di far dimettere il Capo del Governo legittimamente eletto tramite questa estemporanea “marcetta su Roma” ovviamen-te non è stato neppure sfiorato di striscio: anzi di fronte alle accuse con la bava alla bocca che i dimostranti esibivano a gran voce in piazza, i rappresen-tanti politici del centro-destra si sono disposti compatti a difesa del Primo Ministro e del suo Governo come da settimane oramai non accadeva: vedi il caso della querelle sul “fuori onda”di Fini su Berlusconi.Ed ecco allora il Finiano Bocchino, tuonare contro le opposizioni - definite la vera anomalia del Paese a causa della loro inconsistenza - le quali non hanno nulla di meglio da fare - e proporre agli italiani - che scendere in piazza per palesa-re l’unico punto del loro pro-gramma politico: l’odio verso Berlusconi.Per Capezzone - portavoce del PdL - la “piazzata”contro il Cavaliere produrrà come unico effetto concreto quello di por-tare nuovi consensi al centro destra poiché in questo modo sarà più evidente la differenza tra un Governo che fa e un opposizione capace solo di stril-

lare in piazza agli ordini di Di Pietro.Per Leone della Lega invece Di Pietro ordina e Bersani in silenzio esegue.Più caustico, come suo solito, il leader della Destra, Storace, il quale fa notare che tra i manifestanti in piazza man-cava il solo pentito Spatuzza, ma che crediamo ben presto a causa delle sue dichiarazioni contro il Primo ministro verrà ricompensato, magari con un congruo sconto di pena per i suoi servigi dati che gli permet-terà alla prossima occasione di partecipare ad un nuovo “No B Day”.Riguardo il terzo obbiettivo che Di Pietro sperava di raggiun-gere, quello cioè del risveglio degli italiani di fronte al “son-nifero” sparso dal Governo del Cavaliere in termini di abbassa-mento della guardia nella lotta alla criminalità organizzata o di capacità di gestire la crisi econo-mica nel Paese, il Governo e gli italiani hanno dimostrato quali sono le loro azioni reali e quali le loro opinioni in merito.L’Italia nel III trimestre del 2009 è uno dei Paesi dell’Ocse che cresce di più in termini di Prodotto interno Lordo, più di Germania, Regno Unito e Spagna, segno questo che la crisi non è certo passata ma almeno si inizia ad intravedere un barlume di ripresa, merito questo delle politiche intraprese da Tremonti.Per quello che concerne la lotta alla mafia, oltre all’inasprimento del 41 bis attuato dal Ministro siciliano Angelino Alfano, si

registrano - in questi ultimi 18 mesi - gli importanti arresti di 17 dei 30 più pericolosi latitanti italiani, ricordiamo in più che lo stesso numero uno della mafia siciliana, Provenzano, era stato arrestato la settimana dopo le elezioni del 2006 che portarono per l’ultima volta Prodi alla vit-toria ma ancora con Berlusconi in carica e con Pisanu mini-stro degli interni. Intanto pro-prio ieri nelle stesse ore che si manifestava a Roma venivano arrestati in due distinte ope-razioni delle forze dell’ordine due pericolosissimi latitanti: i mafiosi Nicchi, astro emergente di “cosa nostra” e Fidanzati uno degli ultimi grandi vecchi delle cosche mafiose che con il suo clan si era da tempo stabilito nel Nord Italia.Sempre nello stesso giorno in cui a Roma si sfilava, Berlusconi inaugurava gli ultimi tratti della ferrovia super veloce Milano - Torino - Salerno che collegherà la Campania - e quindi parte del Sud - al settentrione in poco meno di 5 ore, in attesa di completare l’intera tratta - già a buon punto - fino a Reggio Calabria.Contemporaneamente a tutto ciò, altre 84 alloggi in legno, costruiti dalla Regione autono-ma del Trentino alto Adige, venivano assegnate agli abitanti di Onna: ulteriore dimostrazio-ne questa dell’abilità e velocità con cui il Governo di centro-destra ha saputo affrontare - a dispetto dei gufi dell’opposizio-ne - la tragedia abruzzese.Del resto l’indice di gradimento che alcuni istituti demoscopi-

ci assegnavano recentemente alla coalizione di maggioranza - 38% al Popolo delle Libertà e oltre il 10% alla Lega Nord - sono la testimonianza più tangi-bile della bontà dell’operato del Governo Berlusconi agli occhi dei cittadini italiani.Purtroppo per Di Pietro ed i suoi accoliti - anzi manutengoli - neppure l’ultimo scopo che si prefiggeva di raggiungere con la manifestazione di sabato 5 dicembre è stato minimamen-te avvicinato: compattare tutta l’opposizione - intorno alla sua guida - per fare una battaglia estrema e continua al Cavaliere.L’unico ricompattamento che c’è stato in piazza è stato quello avvenuto tra il suo movimento ed i partiti della sinistra radicale che hanno contribuito a portare truppe in piazza - altro che auto-convocati via mail o Facebook!! - per tentare un estremo tenta-tivo di rientrare nel giro della politica che conta, quello delle Poltrone insomma, dopo che con il voto, gli italiani li avevano irrimediabilmente cacciati dal Parlamento.Neppure il riavvicinamento tra PD ed IdV c’è stato.Infatti la partecipazione della sola Bindi - presidente del PD - ha solo causato una frattura interna ai democratici già dila-niati da una sanguinosa faida interna e il malumore degli ex popolari guidati da Marini e Carra, adesso sì, seriamente ten-tati di raggiungere Rutelli fuori dal PD in attesa che si costi-tuisca il grande centro tanto vagheggiato da Casini.

Giuliano Leo

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pre sull’onda dell’anti berlu-sconismo forte dell’assenza dal parlamento della sinistra radi-cale e del regalo che Veltroni gli ha fatto alle elezioni del 2008 acconsentendo ad un strana alleanza, poi tradita dal buon Tonino.L’odio e la contestazione perso-nale stanno violentando l’ani-mo di un popolo da molti anni ormai poco incline a comporta-menti passionali che sono più degli stereotipi da campo di calcio e suo contesto, ma che, come dimostra l’azione di oggi, può alimentare menti malate che possono compiere gesti potenzialmente pericolosissimi finanche per la stabilità della nostra democrazia.Quello che oggi abbiamo visto deve essere il punto finale di un clima che in questo Paese da troppo tempo viene trascinato con l’intento di immobilizzare ed ingarbugliare tutto.Le schermaglie, gli attacchi, le dissociazioni e le delegittima-zioni devono lasciare il giusto spazio alla politica vera, quella che gli uomini al servizio dello Stato dovrebbero portare avanti sottomessi al loro dovere di servi della democrazia e non padroni di essa.

Ora si vedrà chi veramente tiene a questo Paese ed al suo futuro, chi vorrà abbassare i toni, chi vorrà dimenticare que-sto evento affrontando le reali necessità di un popolo in cerca di una identità completa e delle sue Istituzioni.Retorica e banalità, si è vero, ma lo spettacolo a cui dobbia-mo assistere ogni giorno con macchiette che fanno a turno davanti alle telecamere, il sar-casmo, le bassezze non possono essere giustificati da divergenze politiche e dalla passione dei contendenti. Ripartiamo dal rispetto.Rimpiango le tribune politi-che che vedevo da bambino, quando capivo poco o nulla di quello che veniva detto ma dove il decoro e la rispettabilità venivano trasmessi anche a chi non era nella condizione di comprendere tutto il resto.Un senso delle istituzioni, degli ideali e delle responsabilità, quelli che vedevo, che non si sposano affatto con le esterna-zioni e le azioni di molti dei nostri attuali rappresentanti.Ridateci l’orgoglio di essere parte di questa democrazia, forse siete ancora in tempo. Mettetevi al lavoro.

Gabriele Polgar

Dalla PrimaBasta!

Viola di rabbia

di nuovo al Governo il centro sinistra sconfitto dagli eletto-ri italiani, sono stati costret-ti prima a fare carta straccia del così detto “lodo Alfano” attraverso il pronunciamento del “Collegio Sacerdotale” - la Corte Costituzionale - che protegge la Carta fondamenta-le della Repubblica.Non contenti, e certi di dare finalmente il colpo che avreb-be annichilito definitivamente l’avversario, le “toghe rosse” che spadroneggiano a Firenze , Palermo e Caltanissetta calavano l’asso nascosto nella manica - o meglio nelle patrie galere - utilizzando le dichia-razioni di un pentito (?) di mafia Gaspare Spatuzza - per “mascariare” Berlusconi e dell’Utri accusati, da questo pluri-assassino, di essere stati i mandanti occulti degli atten-tati di mafia che investirono la Penisola nei primi anni novan-ta. Le successive rivelazioni del boss Graviano, che smentiva-no categoricamente il teore-ma “Spatuzza”, afflosciavano come un soufflé mal riuscito anche questo ennesimo tenta-

tivo, amplificato da certa carta stampata e dalle solite tra-smissioni - di modificare con una “scossa” il democratico andamento della vita politica italiana.Ma che l’aria che si respirava fosse diventata particolarmen-te pesante si era capito già dalle violenze occorse lo scor-so 12 dicembre in occasione della commemorazione per i 40 anni dell’attentato di piazza Fontana a Milano, allorquan-do decine di anarchici ed estre-misti di sinistra si erano scon-trati con le forze dell’ordine cercando di impedire non solo i previsti discorsi delle autorità istituzionali, ma riuscendo a ostacolare pure gli interventi dei parenti delle vittime.La stessa grave aggressione fisi-ca subita da Berlusconi era stata preceduta dalle invetti-ve e dalle violente proteste di alcuni aderenti ai centri sociali

milanesi che avevano tentato di disturbare il comizio del Cavaliere dopo essersi intru-folati tra la folla che assiepa-va domenica scorsa Piazza del Duomo a Milano.Infine come ribadito all’inizio dell’articolo si è avuta l’aggres-sione, ad opera sì di uno squi-librato, da 10 anni in cura, ma che il clima di odio e tensione verso Berlusconi ha contribui-to ad armare e che ha gettato nella costernazione e la preoc-cupazione tutto il Paese.A proposito: siamo sicuri che gli addetti alla sicurezza che avrebbero dovuto garan-tire l’incolumità del Primo Ministro abbiano espletato il loro compito in maniera impeccabile?Tra le tante dimostrazioni di affetto ricevute a caldo da Berlusconi da tutto il mondo politico ed istituzionale italiano segnaliamo per dovere di cro-

naca il canto “fuori dal coro” di Di Pietro e del Presidente del Partito Democratico Rosy Bindi.L’ex PM di “Mani Pulite” sosteneva che Berlusconi attra-verso il suo menefreghismo ed i suoi comportamenti istiga-va alla violenza - dopo che lo stesso segretario dell’Italia dei Valori qualche giorno fa aveva “pronosticato” un clima da scontri di piazza in cui ci sarebbe potuta scappare l’azione violenta - mentre l’ex Ministro della Sanità aveva invitato Berlusconi, a poche ore dall’aggressione subita, a non far la parte della vitti-ma…Parole sintomatiche dello stato politico comatoso in cui versa il più grande partito di opposizione in Italia - quello Democratico - che rappresen-tano pure bene la subalterni-tà totale a cui si sono votati i moderati di centro-sinistra rispetto all’Italia dei Valori e alle frange della sinistra estre-ma.Arrivati a questo punto di non ritorno, auspichiamo che - tutti indiscriminatamente - per una volta ascoltino il monito del Presidente Napolitano riguar-do la necessità di abbassare i toni della dialettica politi-ca, e - aggiungiamo noi - si inizi per davvero a rispettare tutte le figure istituzionali del nostro Paese, inclusa l’unica eletta dai cittadini: il Capo del Governo.

Dalla Prima

Dalle aggressioni politiche e giudiziarie a quelle fisiche

Milano a mano “armata”

800574727

La deriva della politica e le conseguenze

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La Piazza d’Italia - Attualità

Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa esprimerle.(Voltaire)

Art. 21 Cost.: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. (1948)

Articolo 414 c.p.: “Chiunque pub-blicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione […].

Alla pena stabilita nel numero 1 (ndr istigazione a commettere delit-ti) soggiace anche chi pubblicamen-te fa l’apologia di uno o più delitti”. (1930)

Art. 115 c.p.: “[…]qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell’ac-cordo. […] Le stesse disposizioni si applicano nel caso di istigazione a commettere un reato, se l’istigazione è stata accolta, ma il reato non è stato commesso”. (1930)

Tra il principio costituzionale e le fattispecie incriminatrici del codi-ce penale intercorrono poco meno di venti anni. Il codice Rocco, dal nome dell’allora Guardasigilli, pur essendo un sistema normativo nato in un clima non propriamente democratico, aveva già in sé, quan-tomeno a livello di ratio normativa, spunti che sarebbero poi stati tra-sformati in principi nell’evoluzione sociale prima ancora che legislativa. Certo è che l’impronta era comun-que un’impronta statista.Quando poi un sistema normativo, peraltro di indubbia fattura, si trova

a precedere quella che è la Carta dei principi di un sistema sociale tutto si complica. Il processo dovrebbe, infatti, essere inverso: dai principi ai sistemi normativi specifici.Ecco perché lo sforzo di coloro i quali quelle fattispecie devono appli-carle è stato arduo nel reinterpre-tarle alla luce dei principi enunciati dall’Assemblea Costituente.Invero, arduo sì ma non impossibile dato il valore oggettivo dell’ope-rato del 1930, tanto è vero che così è rimasto, tranne qualche modifica non sempre (rectius quasi mai) all’altezza dell’ori-ginale, fino ai nostri giorni.In questo si inserisce l’ogget-to centrale di questa concisa, superficiale e rozza chiacchie-rata scritta: il tema del pensie-ro, delle sue espressioni e le possibili conseguenze penal-mente rilevanti.Il tutto sulla scorta di quanto avvenuto pochi giorni orsono in relazione al ferimento del Presidente del Consiglio per mano, pare, di una persona psicolabile.Ciò che qui interessa non è il gesto in sé ma le ripercussioni che dallo stesso sono nate con particolare a quanto accaduto sull’ormai famosissimo cen-tro globale di discussione: Facebook.Alla violenza fisica è seguita, infatti, quella scritta, attraverso la creazione di gruppi di elogio del gesto offensi-vo nei confronti del premier, gruppi che hanno toccato anche le decine di migliaia di sostenitori.Da ciò è ulteriormente conseguito il tam tam sulla necessità di una censura allo spirito libero che aleggia in Rete ed un ping-pong di respon-sabilità morale o indiretta che dir si voglia sul gesto: chi ha dato causa

a cosa!?Il sistema penale italiano, nella parte brevemente e superficialmente sopra richiamata, prevede come delitto l’istigazione a delinquere, istigazione che per essere penalmente rilevante deve essere effettuata pubblicamen-te.Con questa si sanziona la propala-zione di propositi aventi ad oggetto comportamenti rientranti in specifi-che previsioni delittuose, effettuate in maniera tale da poter indurre altri

alla commissione di fatti analoghi. Sostanzialmente si intende prevenire il pericolo di adesione ad eventuali programmi criminosi.Come anticipato non è sufficiente una mera istigazione “privata”, per la quale si applicherebbe l’art. 115 c.p. suindicato, ma solo quella effettuata pubblicamente. Secondo il disposto dell’art. 266 c.p., agli effetti della legge penale deve intendersi quella avvenuta in luogo pubblico o aperto

al pubblico rivolto ad una pluralità indeterminata di soggetti ovvero per mezzo della stampa o altro mezzo di propaganda.La Corte di Cassazione ha recen-temente stabilito, poiché i forum costituiscono una semplice area di discussione dove qualsiasi utente, seppur registrandosi, è libero di esprimere il proprio pensiero, che non per questo gli stessi restino sottoposti alle regole ed agli obbli-ghi cui è soggetta la stampa (Cass.,

105353/09). Da ciò ne consegue la legittimità astratta della censura in ordine a quanto espresso negli stessi.Il principio porta con sé, come sem-pre, risvolti negativi e risvolti positivi a seconda dell’angolo di visuale. E’ chiaro che un forum non è sottopo-sto agli adempimenti ed agli obbli-ghi conseguenti che sono peculiari per gli organi di stampa, dall’altro lato non può allo stesso tempo avva-

lersi delle norme di garanzia previ-ste dall’ordinamento in riferimento all’attività giornalistica in senso lato.A quanto detto si aggiunga che il sistema normativo prevede, affian-cato al concetto di istigazione, l’at-tività di apologia, apologia che si sostanzia non in una manifestazio-ne di pensiero pura e semplice ma in una manifestazione che per le sue modalità integri un compor-tamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti.

Tale comportamento deve, quindi, manifestare una forza di suggestione e di persua-sione tali da poter stimolare nel pubblico la commissione di altri delitti del genere di quello oggetto dell’apologia o dell’istigazione (per appro-fondimenti si vedano Corte Cost., sent. 70/65; Cass., 160642/83).Le fattispecie richiamate hanno la finalità di protegge-re i beni ed i valori essenziali ad una pacifica convivenza associata e ad un ordinato funzionamento del sistema democratico.In quest’ottica si comprende quanto espresso dalla giu-risprudenza costituzionale secondo la quale la norma di cui all’art. 414 c.p. non limiti in alcun modo la critica della

legislazione e della giurisprudenza, né l’attività propagandistica dei singoli, partiti, movimenti, gruppi diretta a promuovere la deletio di qualsia-si norma incriminatrice, anche nel momento in cui essa venga applicata in concreto.D’altronde, in mancanza di control-li preventivi è chiaro come ciascuno debba rispondere, nel più ampio senso di assunzione di responsa-bilità, delle proprie esternazioni

soprattutto qualora siano utilizzati strumenti a così ampia diffusione come la Rete ed i relativi forum di discussione.Il confine, poi, tra manifestazione del proprio pensiero e istigazione od apologia di delitti è sottile, così come spesso accade in ordine agli elementi oggettivi e sintomatici delle singole fattispecie incriminatrici.Il conflitto si sostanzia sempre, sfrondato delle singole circostanze concrete, in un conflitto di interessi costituzionali al cui bilanciamento è rimesso l’esito della valutazione.Se, quindi, può considerarsi pacifico che il messaggio originario inserito mediante la creazione di un grup-po di discussione generalmente non assuma quei caratteri, è necessario allo stesso tempo considerare come essendo il bacino di utenza tanto ampio gli effetti che con questo si innescano sono quasi mai prevedi-bili e controllabili.Il limite deve sostanziarsi anche con riferimento alle finalità che si perse-guono non potendo però prescinde-re dalle oggettive modalità con cui si estrinseca il messaggio.Le libertà sono una conquista della società civile moderna che se male utilizzate portano necessariamente ad effetti boomerang tali da farne conseguire, solitamente, una reazio-ne contraria sì ma spesso non ugua-le, anzi, di impatto esponenziale.Come spesso accade non è lo stru-mento a dover essere stigmatizzato quanto l’uso improprio, impruden-te, imperito o negligente che di esso si faccia.Condotte eccezionali sono di per sé tali da lacerare il tessuto di copertura dato da un diritto inviolabile ed a cui conseguono misure repressive che generalmente vanno a restringe-re sostanzialmente l’originario ambi-to di quella copertura stessa.

Istigazione alla violenza e internet

Internet e l’assurdità delle limitazioniDopo lo shock suscitato dall’aggressione al Presidente del Consiglio, a caldo, ma anche dopo, molti autorevoli rappresentanti del Governo si sono espressi con toni alta-lenanti sulla pericolosità che internet può innescare con un utilizzo spregiudicato delle potenzialità che offre.La prima idea, e condivisa dai più, è stata la lmitazione del “mostro” creato dal Web 2.0.Il Web 2.0 è la naturale evo-luzione della rete che, con un inarrestabile supporto tecno-logico di giorno in giorno più accessibile, si interfaccia alle nostre vite con sempre più semplicità e diffusione.Dai commenti che spesso si sono letti in questi gior-ni appare prima di tutto una conoscenza piuttosto elemen-tare del mezzo da limitare da parte di chi avrebbe intenzione di farlo, nel caso del Presidente del Senato Schifani, poi, ci si potrebbe spingere oltre.Sul Corriere della Sera Severgnini ha scritto che se qualcuno insulta o istiga via telefono a nessuno verrebbe in mente di limitare l’uso dello stesso per proteggere la comu-

nità. Un concetto elemetare che dovrebbe far riflettere coloro che avrebbero il potere di imporre regole restrittive ad un mezzo che con il telefono ha molto in comune, in que-sto caso.L’eco che viene generato da quanto scritto online è deci-samente elevato ma di per se non deve portare a crimi-nalizzare l’unico mezzo vera-mente libero che il mondo ha attualmente per comunicare (i disordini in Iran da dove ci arrivano? non di certo da canali tradizionali).Tra le cose che il Web 2.0 ci ha dato ci sono i Social Network, una specie di evoluzione dei forum (che rimangono), che permettono un coordinamen-to dei pensieri tra coloro che li frequentano.E’ ovvio che questo possa generare apprensione in chi non comprende quanto peri-coloso ma anche controllabi-le possa essere un fenomeno del genere. Più precisamente se noi fossimo degli scienzia-ti che devono studiare una tribù diffidente, quindi senza la possibilità di avvicinarla, non avremmo dei vantaggi se

molti esemplari di questa tribù si ritrovassero insieme nello stesso posto, in momenti simi-li e noi potessimo osservarne i comportamenti e le abitudini?I social network, Facebook su tutti, permettono a chi vuole controllare di farlo agevolem-te, una limitazione non fareb-be altro che sparpagliare in un infinito spazio idee ed azioni.Dovrebbero rifettere bene i nostri legislatori perché una legge, per altro sicuramente inefficace, porterebbe solo ulteriori difficoltà nel moni-torare certe aree del pensiero sociale che potrebbero diven-tare qualosa di pericoloso.Ci sono anche altri aspetti che fanno della limitazione paventata in questi giorni un’idea inadeguata: la prima è la differenza che c’è tra una pubblicazione di un’opinione su un blog, un giornale, un social network o una mailing list. La nostra Costituzione fa delle differenze tra una comunicazione pubblica e la corrispondenza (es. mailing list) ed anche il potere di intervento per controllarne i contenuti cambia profonda-mente. Un pensiero pubbli-

cato su un blog, quindi senza un editore non ha le stesse implicazioni di un articolo pubblicato su un giornale, idem per quanto riguarda un social network sempre che la giurisprudenza non equipari i fornitori di spazio e servizi agli editori. Eventualità con-cettualmente assurda ma mai dire mai.L’ex garante per la Privacy Rodotà ha giustamente asse-rito che ciò che è non è legale fuori dalla rete è non lo è nella rete, leggi dunque ci sono per evitare che istiga-zioni e apologie illegali possa-no essere perpetrate, serve solo dare le giu-ste risorse agli organi di controllo ed alla Polizia Postale, nella fattispecie.Internet è inarresta-bile lo dimostrano i fallimenti censori di Iran e Cina su tutti. Non dimentichiamo poi che l’accessibilità ad un tecnologia di livello sempre mag-giore, fino a qualche tempo fa impensabile, non favorirebbe l’effi-

cacia di una legislazione che, per il contesto in cui andreb-be ad agire, dovrebbe avere una natura dinamica impos-sibile da attuare oltre a richie-dere una preparazione ed un aggiornamento del legislatore che fino a questo momento non ci sono stati.Un esempio della suddetta accessibilità è una notizia di ieri: Al qaeda intercetta le trasmissioni dei droni USA in Pakistan e Afghanistan con un software da 26 dollari.Detto questo o i nostri politi-ci sono a conoscenza di segre-ti tecnologici che altri non

hanno oppure è il caso di fare un passo indietro, rassegnar-si e lasciare spazio al buon senso del popolo imponendo un’autoregolamentazione e, laddove non vi fosse, interve-nire con tempismo tramite la magistratura.In tutto questo comunque due cose positive ci saranno: la prima è che l’autoregolamen-tazione rende il contesto in cui la si applica spesso migliore, la seconda è che, per quanto detto, i nostri politici dovran-no gioco forza immergersi nel Web 2.0. Sarebbe ora.

Gabriele Polgar

Le intenzioni a caldo non lasciano ben sperare

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La Piazza d’Italia - Economia

Esce la finanziaria 2010. Una manovra da 8,9 miliardi di euro, quasi un miliardo in più rispetto alle stime. Sono stati riformulati l’articolo 2 e 3 da parte del relatore che ha presentato un maxiemen-damento. Viene confermato il pacchetto welfare, il patto sulla salute e la distribuzio-ne dello scudo fiscale. C’è anche il codice per le auto-nomie, insieme al ddl che istituisce la Banca del Sud e il dl che taglia del 20% l’ac-conto Irpef di novembre.Il patto salute prevede un incremento di 584 milioni per il 2010 e 419 milioni per il 2011 rispetto alle somme di finanziamento determina-te in precedenza. Nel 2012 l’incremento è del 2,8% sul totale dell’anno precedente. Complessivamente nel 2010 le regioni avranno 106,2 mld, 108,6 mld nel 2011 e 111,6 mld nel 2012. Per le regioni in rosso è previsto un incremento dell’addizionale Irpef (+0,3%), e dell’Irap (+0,15%) e l’utilizzo dei fondi Fas.Il decreto legge contiene la riduzione del 20% dell’ac-conto Irpef di novembre. La norma sposta parte del paga-mento degli acconti dell’im-posta sui redditi a prossimo anno in sede di conguaglio. L’intervento, consente, inol-tre, di superare l’ostacolo

legato a problemi di cassa e competenza dello scudo fiscale, che copre momen-taneamente il mancato get-tito. La sanatoria, infatti, chiudendo i termini il 15 dicembre 2009 non consen-tirebbe di utilizzare il gettito sul 2010. Ma grazie alla pro-roga per il pagamento degli acconti sarà possibile, con la restituzione da parte dei contribuenti del versamen-to, utilizzare le risorse per le voci indicate dallo scudo.Per le imprese, invece, arri-va il credito d’imposta per le regioni che investono in ricerca e innovazione. Rispetto al fondo inizial-mente stabilito per il pros-simo anno, di 650 milioni di euro, vengono aggiunti altri 200 milioni portando il totale per il prossimo anno a 850 milioni.Come si può agevolmente notare, la finanziaria al capi-tolo imprese non prevede nulla di concreto.E’ evidente lo stanziamento di un ammontare maggiore per quelle imprese che inve-stono in ricerca ed innova-zione ma non tutte, oggi, si trovano nella condizione economica di poter investi-re. Una finanziaria più inci-siva e maggiormente realista avrebbe tenuto conto di que-ste condizioni.Il ritorno all’investimen-

to per le PMI è un fattore determinante per crescere, per svilupparsi, ma in un contesto di contrazione della domanda e quindi dei con-sumi, come si può pensare che un’impresa possa dall’og-gi al domani ritornare ad investire? La finanziaria non ha inglobato nella manovra interventi concreti a favo-re delle imprese ancora in difficoltà. Ecco quello che ancora manca nel dna dei policy makers, una cultura dell’intervento pubblico che sia rispondete a quelle che sono le vere esigenze delle categorie produttive, fonti di occupazione e di ricchezza.Buona la misura che riduce la contribuzione dello Stato a favore degli enti locali, che porterà, di conseguenza, alla riduzione del 20% del nume-ro dei consiglieri comunali. Il risparmio complessivo per il prossimo anno è stimato in 48 milioni. Allo stesso tempo, però, i comuni pos-sono avere un po’ di ossigeno mediante i rimborsi Ici, dopo l’abolizione dell’imposta per le prime case, per un totale di 916 milioni in due anni (156 milioni residui del 2008 e 760 milioni per il 2009).Anche nel 2010 il fondo del Tfr che non viene destinato alla previdenza complemen-tare, continuerà ad essere versato da parte dell’In-

ps nel bilancio dello Stato. Le entrate stimante per il prossimo anno sono stimate appunto in 4,1 miliardi di euro.Dura la dichiarazione di Epifani alla finanziaria: “poche le risorse per la cre-scita”.Non è sicuramente una finanziaria per la crescita, un esame obiettivo al provve-dimento rileva in tutta evi-denza l’inconsistenza delle misure previste ai fini di un rilancio serio dell’economia del Paese nel suo complesso.Epifani aggiunge che met-tere il Tfr a spesa corrente non serve, ma bisogna usar-

lo per sostenere l’economia. Quindi, bocciata anche l’in-tenzione del Governo di uti-lizzare le risorse Tfr deposi-tate all’Inps per coprire circa un terzo della manovra.Dalla lettura degli interven-ti in finanziaria, non si può essere molto soddisfatti, ci si attendeva una manovra più incisiva che sostenesse la cre-scita in modo deciso, inve-ce, una serie di interventi che seppur armonizzati non porteranno ad alcuna cresci-ta futura. Questa assenza di misure non determinerà altro che la necessità di ulteriori interventi nel corso del prossi-mo anno. Eppure questo era il

Governo delle manovre deci-sive, importanti, che potes-sero fornire una accelerazio-ne al processo di crescita del sistema economico; la verità è che non si capisce bene quale motivi possano aver indotto il Ministro dell’Economia a redigere un piano finanziario così scarsamente incisivo. Lo scenario suggerisce tutt’altro, impone misure struttura-li che possano rilanciare il Paese nell’ottica del valore e della ricchezza. Siamo sempre ai soliti compitini svolti ma destinati a rimanere sui file parlamentari piuttosto che nel meccanismo dell’economia nazionale.

Finanziaria 2010: 8,9 miliardi di Euro

Capitali all’estero: rimpatrio e regolarizzazione

Una manovra che non finanzia la crescita

Due strumenti per eliminare l’illegalità della detenzione all’estero di attività finanziarie e patrimoniali

Detenere attività finanziarie e patrimoniali all’estero in modo illegale significa non aver adempiuto agli obbli-ghi imposti dalla normativa in materia di monitoraggio fiscale, compilazione del qua-dro RW, principalmente con riferimento alle sue Sezioni II e III, ovvero anche la mancata dichiarazione di effettuazione di trasporti al seguito, indi-pendentemente dal fatto che i redditi derivanti dalle attivi-tà estere siano stati dichiarati, fatto questo comunque piut-tosto improbabile.Va osservato come, l’Agen-zia delle Entrate, con la Circolare 43/E/2009, abbia offerto un contributo di maggiore chiarezza a propo-sito degli obblighi di compi-lazione del quadro RW, tra l’altro modificando il proprio orientamento, ciò comunque con effetto a decorrere dal 2009, e quindi in pratica fissando uno spartiacque al 31 dicembre 2008, afferman-do in sintesi che fino al 31 dicembre 2008, le attività non patrimoniali erano sog-gette all’obbligo di indica-zione nel quadro RW solo se effettivamente produttive di

un reddito, andando quindi in secondo piano l’aspetto dell’essere potenzialmente in grado di produrlo; invece, a decorrere dal 2009, tutte le attività estere, finanziare o no, dovranno essere indicate nel predetto modello, indi-pendentemente dal fatto che esse producano o meno red-diti imponibili in Italia.Forse, per i contribuenti, sarà maggiore lo sforzo dichia-rativo ma, così facendo, i rischi di errore praticamente si azzerano, e con la mancata compilazione sarà dovuta solo a dimenticanza, o alla precisa volontà di non rispettarlo, con quanto ne consegue sotto il profilo sanzionatorio.Se le attività sono detenute in Paesi Ue o appartenenti allo spazio economico euro-peo, è possibile farle emerge-re sia mediante rimpatrio sia mediante regolarizzazione. Diversamente, se le attivi-tà sono localizzate in Paesi al di fuori dell’Ue, l’unica possibilità di emersione è il rimpatrio.Questa scelta normativa è apparsa immediatamen-te disallineata rispetto alle regole comunitarie, violando

in particolare le previsioni dell’art. 56 del Trattato della Comunità Europea. È per questo che l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 43/E, ritiene che la disposi-zione sia da applicare diver-samente, nel senso che: il rimpatrio, essendo la forma più ampia di emersione, è ammesso per le attività dete-nute sia in Paesi Ue sia in Paesi extra Ue; la regolarizza-zione, invece, è ammessa solo per i beni detenuti in Paesi Ue, ovvero in Paesi apparte-nenti allo See, ma con i quali vi sia un effettivo scambio di informazioni, ed attualmente ciò vale solo per la Norvegia

e Islanda, o, ancora, per i Paesi dell’OCSE con i quali sussista la condizione appena tracciata.Per fruire della emersione, il co. 6 dell’art. 13-bis pone quelle che sono le condizio-ni temporali. Innanzitutto, l’operazione di emersione può interessare esclusivamen-te attività finanziarie e patri-moniali costituite e comun-que esistenti all’estero prima del 31 dicembre 2008. Il rimpatrio o la regolarizzazio-ne devono avvenire a partire dal 15 settembre e non oltre il 15 dicembre 2009. Quindi alla luce di tali previsioni, non potranno fruire dello

scudo fiscale, benché abbiano violato le disposizioni relative alla compilazione del quadro RW: coloro che hanno costi-tuito disponibilità estere a partire dal 1° gennaio 2009; coloro che, detenendo atti-vità estere al 31 dicembre 2008, le hanno rimpatriate prima del 15 settembre 2009 o le rimpatriano dopo il 15 dicembre 2009. La norma si esprime così allo scopo di evitare che si possa procedere ad un utilizzo distorto dello scudo, come ad esempio il lavaggio di attività derivanti da redditi sottratti a imposi-zione italiana che, affrancate mediante l’emersione, gene-rano appunto scudo a favo-re del contribuente, peraltro senza avere mai effettiva-mente rappresentato attività estere.Il rimpatrio consiste nel far arrivare in Italia delle attivi-tà esistenti all’estero, questo può avvenire mediante inter-mediari residenti che, nella stragrande maggioranza dei casi, saranno banche italiane.La regolarizzazione è, invece, la modalità alternativa per far emergere le attività, ma, solo quelle collocate in Paesi

Ue, in Norvegia e Islanda, o in Paesi extra Ue collabo-rativi nel senso su precisato. Fermo restando che i van-taggi di fondo che si conse-guono dalla regolarizzazione non sono dissimili da quelli che derivano dal rimpatrio, diversi sono i motivi per cui il Legislatore pare diffidare di questo istituto. Ad esempio, il fatto che le attività finan-ziarie, restando all’estero sono molto meno monitorabili da parte dell’Amministrazio-ne Finanziaria, e quindi il rischio che i redditi da esse derivanti non siano dichiarati ma, soprattutto, non siano intercettati, in definitiva non si attenua un gran che.Raggiungere l’obiettivo della massima emersione dei reddi-ti derivanti da attività finan-ziarie e patrimoniali detenute all’estero senza essere stati dichiarati, potrebbe essere raggiunta attraverso l’utilizzo dei due strumenti sopra elen-cati. Come ogni strumento, questi hanno dei vantaggi e degli svantaggi, si auspica che l’efficacia complessiva della misura relativa allo scudo fiscale possa contribuire a risanare l’illegalità prodotta.

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La Piazza d’Italia - Economia

L’accesso al credito: un’impresa per le imprese

Debito pubblico: a ottobre il record

21° Rapporto Italia 2009 Eurispes

E’ quanto emerge dal bollettino statistico di Bankitalia

Il debito nel decimo mese dell’anno ha raggiunto 1.801 miliardi di euro contro i 1.786 miliardi di settembre. Le entrate tributarie si sono attestate a 28,4 miliardi con-tro i 20,1 miliardi di set-tembre. Secondo i dati di Bankitalia, nell’ultimo bol-lettino statistico, si tratta di un’inversione di tendenza, le entrate tributarie infatti, dallo scorso giugno risulta-vano sempre in calo. L’Italia continua ad avere in valore assoluto (ossia non in rela-zione al Pil, su cui viene cal-colato il rispetto al parametro di Maastricht) uno dei debiti più alti al mondo. La crescita del debito su base mensile è stata di 14,7 miliardi di euro, ed è imputabile, secondo il Bollettino, per la maggior parte alle amministrazioni pubbliche, come Regioni, Province e Comuni.Con un debito così alto le possibilità di un rilancio della spesa pubblica che possa aiu-tare il processo di sviluppo risultano molto difficili. La tendenza in corso, purtrop-po è in costante rialzo dal dicembre 2008 e confer-ma la necessità che le forze politiche trovino un accor-

do sull’attuazione di riforme strutturali che consentano al Paese di ripartire al più presto. Inico dato positivo è l’aumento delle entrate tribu-tarie che invertono anch’esse il trend recente. Le prospet-tive, se la situazione rimarrà tale, non sono incoraggianti sebbene i dati Eurostat sulla produzione industriale segni-no una minima inversione di tendenza per l’Italia che tarda ad arrivare nel contesto europeo. L’unica soluzione possibile che faccia da volano economico, conclude la nota, resta quella di una riduzione dell’imposizione fiscale sui redditi da lavoro e sulle pen-sioni, per riuscire a dare un pò di fiato ai consumi delle famiglie.Con il debito pubblico a que-sti livelli, ogni italiano conta un debito di ben 30.000 euro, o se si preferisce di ben 85.7651 euro per ognuna delle famiglie italiane.E’ questa la stima dell’Adu-sbef in merito agli ultimi dati di Bankitalia. Il problema è che il debito pubblico è desti-nato a crescere ancora, secon-do le proiezioni dell’Adusbef di altri 142 miliardi nei pros-simi 12 mesi, attestandosi alla

cifra spaventosa di 1.943,784 miliardi nell’ottobre 2010.Ma non è solo la finanza pubblica a registrare trend negativi e ad incidere pesa-nemente sulle prospettive di sviluppo del Paese, le diffi-coltà economiche si fanno sentire sempre di più anche sugli italiani. Tanto che nel terzo trimestre sono salite ancora le famiglie insoffe-renza per il pagamento del mutuo per la casa. Secondo i dati di Bankitalia contenuti nel rapporto dedicato al com-parto immobiliare il flusso di nuove sofferenze rettificate in rapporto alla consisten-za dei prestiti ha raggiunto quota 1,5% per le famiglie consumatrici, a fronte dello 0,9% dello stesso periodo nel 2008.L’andamento deriva dal generale peggioramento della qualità del credito innesca-tosi a metà del 2008 con l’aggravarsi della crisi econo-mica. Risulta evidente come dallo scenario appena descrit-to l’economia del Paese non può sperare nel breve di poter ritornare a crescere, questa triste prospettiva è supporta-ta da dati reali che mostrano una chiara passività finanzia-

ria che lo Stato dovrà assolu-tamente provvedere a sgon-fiare. L’elevato indebitamen-to influenza direttamente la crescita del Paese, per cui al fine di poter impedire che questa possa essere ostacola-ta, occorrono misure rivolte all’alleggerimento della pres-sione fiscale sui lavoratori e sulle imprese.Le entrate tributarie hanno registrato un incremento e questo tradotto in termi-ni monetari vuol dire che nelle casse dello Stato c’è ora maggiore liquidità. Se da un lato queste contribuiscono a riequilibrare i conti pubblici in particolare ad attenuare il disavanzo, dall’altro occorre far ripartire i consumi delle famiglie altrimenti il Pil non avrà possibilità di riprender-si.L’unico macroaggregato che in questa fase può stimola-re la crescita è rappresentato appunto dal consumo, ma se si considerano le politiche adottate dal Governo negli ultimi mesi e la finanziaria del 2010 si nota come non ci sia traccia di strumenti a sostegno dei redditi. Se i redditi non sono capienti, cioè non sono sufficienti a

garantire un livello di con-sumo tale da alimentare una domanda di mercato, non c’è modo per far ripartire l’economia da qui ai prossimi 6 mesi.Sono necessarie le riforme strutturali che forniscano uno stimolo forte e deciso al sistema economico, i bonus alleggeriscono la pressione della spesa per le famiglie ma non generano margini per poter consumare altri beni. E’ chiaro allora come il reddito giochi un ruolo fondamentale nella spinta ai consumi e sia l’unico ele-mento sul quale si deve inter-venire con urgenza, cercan-

do di mettere le famiglie in condizioni di poter lavorare o meglio di poter trovare una occupazione con mag-gior rapidità laddove ci fosse stato un licenziamento.Insomma, politiche dei red-diti, dei consumi e rifor-me strutturali sono le azioni prioritare che un Governo dovrebbe intraprendere quan-do la situazione finanziaria passiva dello Stato è negativa e allarmante. La sinergia fra le suddette politiche implica riforme strutturali che hanno bisogno di interventi legisla-tivi largamente condivisi o di una maggioranza parlamen-tare fortememente coesa.

Liquidare o risanare? Questo è il problema per migliaia di imprese italiane.La crisi finanziaria contingen-te ha posto all’attenzione di chi si occupa di crisi d’impre-sa e in particolare di proce-dure concorsuali il dilemma sulla convenienza a risanare o liquidare. C’è da dire che il nostro legislatore del ’42 ha imperniato il diritto falli-mentare e la nozione di insol-venza sull’imprenditore e sulla necessaria “selezione naturale” che il mercato richiedeva per tutte le imprese incapaci di stare al passo. L’imprenditore insolvente doveva essere espul-so perché aveva commesso bancarotta. Chi era corretto e virtuoso andava avanti “natu-ralmente”, perché le contrat-tazioni commerciali non per-mettevano di avere impren-ditori che non rispettassero le regole del commercio: pagare i debiti prima di tutto. Da qui la necessità di realizzare liquidità dalla vendita dei beni del debitore insolvente, per la successiva ripartizione a favore dei creditori.La crisi e il concetto di insol-venza non sono cambiati anche dopo quasi settanta anni. Tuttavia l’esigenza di dissolve-re le imprese inadempienti con la liquidazione atomistica dei loro beni è certamente venuta meno perché il mercato e le imprese sono cambiate. Il valo-re patrimoniale dell’impresa,

infatti, ha lasciato il passo al valore reddituale e immateriale dei beni che la compongono.Il legislatore del 2006 ha final-mente modificato la legge fal-limentare ed ha abbandona-to la visione del fallimento come condizione sanzionatoria dell’imprenditore, spostando il proprio focus dall’imprendi-tore all’impresa. In realtà la spinta alla continuità aziendale prevale su di ogni altra alter-nativa. Le aziende tutte ope-rano per sopravvivere, la stessa prospettiva di sviluppo può essere vista come condizione di sopravvivenza e anche quando in assenza di autosufficienza economico-patrimoniale talu-ni sistemi assistiti sopravvivo-no, emerge che la forza di continuità è talmente forte da prevalere su altre prospettive e ciò anche in presenza di patologie croniche. La specie che andrà avanti è quella delle sole imprese flessibili: quelle che supereranno la crisi sono quelle che hanno “appreso” caratteri ereditari di dinamici-tà e adattamento al mercato. Le imprese si moltiplicano ad un ritmo smisurato in tempi di mercato florido grazie alle facili condizioni di crescita, ma allo stesso tempo molte sono destinate a perire quando le condizioni di favore vengo-no meno. Chi sopravvive è in grado di decifrare le cause della crisi e adattarsi rapidamente alla evoluzione necessaria. Da

questa crisi finanziaria, così, ne usciranno imprese rafforzate e migliorate “geneticamente”.Eppure, molto spesso il vero problema, pur esistendo mer-cato e prodotto, è l’esistenza della finanza che deve suppor-tare il ciclo produttivo dell’im-presa. Si sa che molte aziende italiane soffrono di una sotto-capitalizzazione congenita. In tempi di crisi, con previsio-ne di significative contrazioni dei ricavi e, dunque, dei cash flow aziendali, anche le azien-de con ingenti fonti finan-ziarie interne possono trovarsi in difficoltà. Occorre dunque programmare il fabbisogno finanziario e necessariamente fare ricorso a nuova finanza. Ecco che il sistema bancario deve svolgere il proprio ruolo fondamentale e non sottrarsi alle necessità e richieste di chi dimostra di avere quei caratteri genetici che gli permetteranno

di uscire dalla crisi.Il rischio della crisi, dunque, può risiedere proprio nell’ina-deguato supporto finanziario che le banche oggi non sono più disposte a concedere alle imprese. D’altronde, la crisi finanziaria ha colpito le stesse banche, la scarsità di liquidità del sistema finanziario trascina inesorabilmente tutto il merca-to imprenditoriale.Se da un lato è giustificato l’allarme delle banche a non concedere più tutto il faci-le credito prima erogato alle imprese anche meno virtuose, oggi occorre che gli istitu-ti siano consci della respon-sabilità che hanno. Certo la fiducia deve essere data solo a chi si impegna in processi di ristrutturazione e rilancio che siano fattibili, programmati e soprattutto realistici.Il 21° Rapporto Italia 2009 Eurispes scatta una fotogra-

fia dell’accesso al credito e delle difficoltà che incontrano le pmi ad ottenere i prestiti. Nella fase attuale, le piccole imprese si trovano, tuttavia, a fronteggiare un punto critico di forte rilievo, quello del cre-dito. La questione degli aiuti e del sistema dei prestiti a sostegno delle Pmi costituisce infatti l’anello debole di una catena che rischia di essere danneggiata, nonostante le potenzialità di crescita: troppo spesso, infatti, queste imprese incontrano difficoltà ad otte-nere finanziamenti, oltre ad ostacoli di tipo burocratico e amministrativo, che penaliz-zano fortemente la loro com-petitività: in un sistema dove la concorrenza soffre di gravi mancanze, gli elevati costi per l’acquisto di servizi affrontati dalle piccole e medie imprese non aiutano a rinnovare l’as-setto economico e finanziario. I segnali diffusi, soprattutto per le realtà imprenditoriali minori, sono di una notevole restrizione del credito: l’attua-le situazione di forte instabilità infatti ha costretto le banche ad una prudenza eccessiva. La morsa del credito crea non pochi timori, come dimostra-to anche dai dati relativi al 2007, da cui si evince che oltre un terzo (il 36,5%) delle Pmi abbia debiti superiori al patrimonio. Si desume come la regione più virtuosa sia il Lazio, con la percentuale

più bassa di società indebita-te (26,9%), a fronte di una scarsa solidità finanziaria per le imprese della Valle d’Aosta (43,9%), in questo senso la più sofferente tra le regioni italiane. Tuttavia l’utile risulta in crescita, con una media nazionale del 74,4% delle società che possono vantare buoni margini di profitto.Come spiegare, allora, l’alto tasso di indebitamento? È evi-dente come il capitale delle imprese di piccole e medie dimensioni, di solito ricon-ducibile al c.d. “capitale di famiglia”, non rappresenti un elemento di sostegno suffi-ciente a rilanciare sul mercato le diverse società, considerata la maggiore scarsità, rispetto al passato, di questo tipo di risorsa interna.Si tratta comunque di uno scenario che sta gradualmen-te mutando perché la crisi finanziaria in corso e la morsa del credito che stringe le Pmi costringono a rivedere gli assets per il futuro. A fronte di una crisi finanziaria globa-le, la ripresa economica italia-na potrebbe ripartire proprio dalle piccole realtà imprendi-toriali, elemento indispensa-bile di sviluppo considerate a pieno titolo il principale motore dell’economia, non solo in Italia. Questa ripresa dipenderà anche dal sistema bancario.

Avanzino Capponi

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La Piazza d’Italia - Esteri

Quando il sangue degli altri fa chic

Il senso di un NobelIl Nobel non va dato alle intenzioni, ma deve essere assegnato in base a fatti con-creti.Obama a Oslo ha ricevuto il premio alla Pace, ma nel suo discorso ha fatto citazioni di guerra.La cosa di certo non suona bene; chi altro mai ha fatto considerazioni del genere ispirato da un riconoscimen-to tanto nobile; non Gandhi, non Mandela, non Martin Luther King, non Aung San Suu Kyi, non Madre Teresa di Calcutta.Può dunque essere facilmen-te discutibile il fatto che lo abbiano dato proprio a lui, quando ancora Afghanistan e Iraq sono bombe ad oro-logeria e chiedono di conti-nuo sacrifici umani, quando ancora il disarmo nucleare è in embrione e con l’Iran la situazione è sempre in bilico; quando in Somalia la gente ancora muore per la guer-ra civile e quando ancora negli Stati Uniti è in vigo-re la pena di morte, le armi sono acquistabili ovunque e Guantanamo non vede la fine del tunnel; quando ancora Israele e Palestina combattono quotidianamente per i territo-ri e in Myanmar la dittatura processa i leaders democratici. La lista nera sarebbe ancora estremamente lunga, ricca di contraddizioni e violenze, ma se gli anni, ancora non hanno riconosciuto tutti i conflitti

esistenti, ovunque essi siano, figuriamoci se lo si può otte-nere in una sola pagina di giornale.Obama nel suo discorso è stato realistico e infatti ha espresso fatti che non hanno a che fare con un Nobel per la Pace: lui, uomo di stato, che convive quotidianamente coi compromessi che le lobby del suo governo richiedono, non poteva non parlare dei conflitti ancora aperti, dei nuovi soldati mandati ancora a combattere e delle ragioni di stato che non possono evitare l’uso delle armi. La situazione che ha ereditato di certo non è delle più semplici e di sicuro non si risolverà in pochi mesi, questo è veritiero e sarebbe assurdo pretendere un mira-colo; ma come un mondo migliore richiede tempo per realizzarsi, allora anche l’ope-rato di Obama necessita di tempo per essere considerato all’altezza di un Nobel per la Pace.Non ha alcun senso doversi guadagnare un premio dopo averlo ricevuto e non è stato di poco conto l’errore di chi ha deciso che il Nobel per la Pace dovesse spettare al Presidente degli Stati Uniti. Ciò ha oscu-rato chi più di lui se lo meri-tava e non ha assolutamente mitizzato la sua persona, bensì ha fatto calare tra l’opinione pubblica un’ombra di dubbio, di critica e credibilità.Un riconoscimento del genere

non è un incoraggiamento, altrimenti non si chiamerebbe premio, né una superficiale speranza per il futuro e né un plauso agli intenti, ma deve essere e mantenersi un onore che la comunità mondiale assegna a chi ha dimostrato di aver fatto molto per i popoli e per il progresso umano.Molti nutrono speranze in un ordine mondiale più sereno e pacifico ma la strada può essere ostacolata da inaspettate politiche e scelte non pacifiche perché gli interessi degli stati e delle economie non sono alle-gre utopie ma forti tensioni in equilibrio precario.Egli stesso confessa nel suo discorso di 36 minuti che il Nobel è prematuro; cos’altro poteva dire di fronte al mondo se non la verità dei fatti: que-sto merito non gli appartiene e non è un uomo modesto ed umile per questo, ma sempli-cemente realistico.Altri 30 mila soldati sono stati mandati in Afghanistan e se la guerra dice lui, è l’espressione della follia umana, le scelte del Presidente americano rispec-chiano invece una realpolitik del tutto difforme da quanto espresso. Si può ben credere che quei soldati servano al fronte, ma si deve riconoscere che i fatti non appartengono ad un pacifista, ma ad un uomo di stato che deve segui-re per forza o no di cose una linea politica.A Oslo egli dice che la guerra è

a volte necessaria per afferma-re la pace e questa posizione può essere condivisibile ma di sicuro non può venire dal pulpito di chi sta ricevendo un Nobel per la Pace.Opinabile può risultare la sua ambigua affermazione che l’America debba riservarsi il diritto di usare la forza per difendersi, ma qui non sem-bra tanto l’idealista Obama a parlare, quanto l’ex presidente Bush.Appare ovvio e non santi-ficabile quando insiste sulla necessità di accettare le regole internazionali del diritto in modo incontestabile per non perdere legittimità e quando dichiara che lo sviluppo eco-nomico libera dal bisogno: in realtà, circa la prima affer-mazione, altre alternative non dovrebbero esserci per chi si relaziona ogni giorno con l’equilibrio mondiale e riguar-do la seconda frase, si vedrà poi in futuro se la diplomazia degli stati opererà ad esempio in Africa, per l’emancipazione dall’estrema povertà.Egli dice “le nostre azioni contano, possono cambiare la storia”, ecco dunque la con-ferma del prematuro Nobel ricevuto.Le parole di Obama volano alto e risuonano presto nelle orecchie dell’opinione pubbli-ca quando egli afferma che “anche in futuro le nazioni decideranno che l’uso della forza è necessario”; a cosa si

riferisce il presidente quando come ispirato nuovamente dal suo predecessore, sembra par-lare di guerra preventiva, argo-mento che si immagina assai lontano ed estraneo ad un neo premiato per la pace.In seguito, recita Obama, che migliaia di quei soldati che ha dovuto nuovamente dispiega-re in guerra, si troveranno di fronte alla necessità di uccidere mentre altri saranno uccisi ed è per questo che in Norvegia si è presentato con l’acuta consapevolezza del costo di un conflitto armato, carico di dif-ficili interrogativi sulla strada da intraprendere per sostituire la pace alla guerra. Questa sua urgente riflessione, non sembra giustificare però un Premio Nobel per la Pace; le sue parole sono semplicemen-te quelle del comandante in capo dell’esercito americano, inoltre la visione di soldati uccisi o che uccidono evoca immagini forti, di conflitto e allora la nostra riflessio-ne neanche troppo difficile, dovrebbe concentrarsi nuova-mente sul perché questo rico-noscimento abbiano deciso di darlo a Obama.E se di certo la sconfitta del Terzo Reich, appare una giusta causa dell’uso della guerra per ottenere la pace, è altresì evi-dente, che gli americani non intervennero gratuitamente o per semplice slancio emotivo e democratico nel secondo con-flitto mondiale.

Lavorare per la non prolife-razione delle armi nucleari è forse l’unico momento di reale pacifismo che si deve a Obama, ma anche questo atteggiamen-to politico ed etico è dovere di qualsiasi leader e chi non lo fa è nell’errore.La giustificazione mora-le dell’uso della forza che il presidente espone durante la premiazione, non può non far storcere il naso a chi pensa che su quel palco c’è salito anche il Dalai Lama. Quindi, un conto è parlare delle neces-sità e delle decisioni che un comandante in capo deve prendere per portare avanti la sua azione politica e per rego-lare i conti con le altre forze non allineate, altro discorso vale invece per chi, libero da compromessi e forze econo-miche, lavora per l’estinzione di conflitti e per un’esistenza pacifica, lontana dalla logica della guerra.Si ricordi a riguardo, il Nobel vinto nel 1997 dal gruppo impegnato per la Campagna internazionale per il Bando delle Mine Antiuomo (ICBL).Concludendo, probabilmente scegliere altri a cui dare questo nobile riconoscimento sarebbe stato più realistico e giusto; se Obama sarà un buon politico i fatti lo diranno, ma agli occhi di molti egli resta ed è un uomo di stato alle prese con le contraddizioni che il potere comporta.

Nel marasma politico nazio-nale è passato in secondo ordine un fatto di una qual-che rilevanza. Una veri-tà risaputa e detta a mezza bocca da tanti è diventata palese allorquando in quel di Rio de Janeiro il terrorista pluriomicida Cesare Battisti lo scorso 10 dicembre è fini-to sotto processo per falso.L’”eroe” dei Proletari arma-ti per il comunismo, colui che ha cercato di convincere mezzo mondo che uccidere gioiellieri e macellai corri-spondeva ad un preciso dise-gno politico ma che lui si era pentito e infatti adesso si occupa solamente di scrivere gustosissimi romanzi noir, ha dovuto difendersi per falso ideologico.Ma di falso qui pare non ci fosse soltanto il passapor-to utilizzato dal Battisti per fuggire da Parigi in Brasile, no qui falso è risultato esserci anche il rapporto di partner-ship (non parliamo di ami-cizia) tra due dei maggiori Paesi cofondatori dell’entità sovranazionale europea.Italiani e francesi non sono del tutto “una faccia – una razza” ma se non era anco-

ra chiaro c’ha pensato il Battisti a sgombrare i dubbi: il terrorista ha candidamente ammesso di essere arrivato a Fortaleza accolto da agenti brasiliani e francesi e che il passaporto gli era stato con-segnato dalle autorità france-si. Meglio di così!Si sa, la storia dei rapporti tra il terrorismo e i cugini transalpini è datata, riman-da alla famigerata dottrina Mitterand per cui se un ter-rorista da qualche parte nel mondo abiurava il ricorso alle armi, bé la culla del moderno repubblicanesimo continentale non si sarebbe sottratta dall’accoglierlo.Si negava (si continua a negare) l’estradizione a con-dannati e ricercati per «atti di natura violenta ma d’ispi-razione politica» che fosse-ro diretti contro qualunque Stato (meglio però se ita-liano).L’importante naturalmen-te era che gli atti violenti non fossero diretti contro lo Stato francese! Si capisce, il dibattito culturale, i maitres a penser dell’intellighenzia parigina si sarebbero trova-ti nella condizione di non

poter elaborare serenamente qualche fulgido esempio di filosofia applicata, gli esi-stenzialisti sartriani! Loro sarebbero rimasti irrimedia-bilmente turbati per essere stati costretti a poggiare le loro menti su questioni pro-saiche, non avrebbero potu-to deliziare l’occidente con nuove riformulazioni delle loro categorie sconfitte dalla storia e dalla geografia.Oltre questo “asilo per tutti”, è molto chic nei salotti poter discettare incrociando le lame del pensiero con gente che ha le mani sporche di sanague, gente da ammirare sotto sotto, per aver saputo portare alle estreme conse-guenze le proprie idee poli-tiche, fa niente se così si violano fior di trattati inter-nazionali è pur sempre la France: basta che il sangue sia degli altri.Ecco la lista dei connazio-nali che sono finiti sotto la cappella della dottrina Mitterrand, ma badate bene per essere difesi da uno Stato fascista, quello della DC e del pentapartito, che ne reprimeva in modo crimi-noso i diritti più elemen-

tari (siamo in pieni anni di piombo); dopo Cesare Battisti nell’ordine: Toni Negri, Paolo Persichetti, Sergio Tornaghi, Oreste Scalzone, Marina Petrella, inoltre, Enrico Villimburgo e Roberta Cappelli, ergasto-lo per assassinio, Giovanni Alimonti e Maurizio di Marzio, condannati a 22 e 15 anni per qualche atten-tatuccio, Enzo Calvitti, con-dannato a 21 per tentato omicidio, Vincenzo Spanò, uno dei leder dei Comitati organizzati per la libera-zione proletaria, Massimo Carfora, ergastolo, Giovanni Vegliacasa, di Prima Linea, Walter Grecchi, condanna-to a 14 anni per l’omicidio di un poliziotto, Giorgio Pietrostefani, condannato a 22 anni di carcere assie-me a Sofri e Bompressi per l’omicidio del commissario Calabresi. Infine Simonetta Giorgieri e Carla Vendetti, sospettate di contatti con le nuove Brigate Rosse, perché certe abitudini è un peccato che vadano perdute.Quando fu eletto Sarkozy da più parti in Italia e in ambienti culturali delle

destra italiana si preconiz-zava l’avvento di un nuovo rapporto alla pari della Francia moderna con il resto dell’Europa continentale e quindi con gli italioti ma, in barba all’amicizia e alla stima con Silvio Berlusconi, Nicolas Sarkozy una delle prime dichiarazioni che ebbe e pronunciare in materia di politica estera fu proprio per sottolineare energicamente

la continuità nel solco della dottrina Mitterand.Molti si stupirono, noi non avevamo dubbi, dietro i volti degli assassini che difendono i cugini transalpini vedono redivivi Robespierre, l’anima della rivoluzione e non quella di una vigliaccata; ma si sa, per quante cose cattive si pos-sano pensare sui francesi, tutte hanno un fondo di verità.

Giampiero Ricci

Riflessioni sul perché l’intellighenzia di alcuni Paesi giustifichi criminali nostrani

Obama e le contraddizioni

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La Piazza d’Italia - Approfondimenti

Kelsen e Popper: discus-sione intorno alle ideologie

Discussione intorno alle ideologieOggi si parla della fine delle ideologie, del loro superamen-to e a volte sostenere delle posizioni politiche o agire in nome di una bandiera partico-lare sembra essere una vergo-gna da evitare.Ma a cosa allora le persone debbano sentirsi appartenere non è ben chiaro e soprattutto non è lecito cercare di ridur-re le differenze delle forze in campo in nome di un dialogo democratico e costruttivo che tra l’altro neanche c’è.Quest’ultimo atteggiamento più che altro sembra voler tra-sformare tutto in un agglo-merato informe di posizioni, in un grigiore in cui i diver-si colori vengono a svanire, appesantiti da una coltre cupa caratterizzata da perbenismo, opportunismo e liberalismo scontato, neanche troppo equilibrato.Allora appartenere ad un par-tito politico o all’altro sembra piuttosto indifferente, la carat-terizzazione è più o meno solo una tradizione storica e un insieme di luoghi comuni che col presente hanno ben poco a che fare.Oggi si dice, contano le perso-nalità, il loro carisma, l’imma-gine che danno di sé, ma da una parte è piuttosto pericolo-so che la massa si incarni o si riconosca soltanto in un leader perché sappiamo bene come il concetto freudiano del narci-sismo venga fomentato dalla pretesa di grandezza incarna-ta nel capo, mentre una ben

definita linea politica dettata da un partito forte e democra-ticamente organizzato da l’im-pressione di potersi esprimere di più in esso e sfocia anche in una maggiore soddisfazione nell’esercizio del proprio dirit-to politico.Le cose sono ben cambiate, ma ciò che era in fieri, col senno di poi, lo si è vissuto come un qualcosa disceso dal cielo e nessuno pare aver parla-to delle trasformazioni in atto e perchè avvenivano e non si è fatto neanche in tempo a pensare se quanto accadeva era opportuno o meno, utile o no, costruttivo o dannoso.Per meglio riflettere su queste argomentazioni, andiamo ad analizzare con attenzione due posizioni opposte riguardanti l’utilità dei partiti politici e la loro essenza nel nostro conte-sto storico.Karl Popper, uno dei maggio-ri filosofi liberali del nostro tempo, in una intervista rac-colta nel testo “La lezione di questo secolo” afferma: “ Io ho una grande speranza, e cioè che, con la scomparsa del marxismo, noi riusciremo con successo ad eliminare la pressione delle ideologie come centro della politica. Ciò che io spero è che si riesca a rista-bilire una lista di priorità delle cose che devono essere realiz-zate nella società” (pag.34). In seguito ad una domanda, riprende il discorso e dice “ Queste indicazioni non sono né di destra né di sinistra.

Quelle priorità indicano qual-cosa che potrebbe prende-re il posto della distinzione destra-sinistra”. “Dovremmo insomma soppiantare questo orribile sistema dei partiti, in base al quale la gente che sta, in questo momento nel nostro Parlamento è prima di tutto pendente da un partito e solo in seconda istanza sta lì per usare il proprio cervello per il bene della popolazione che rappresenta. La mia opinione è che questo sistema deve esse-re sostituito e che noi dobbia-mo tornare, se possibile, a uno Stato in cui gli eletti vadano in Parlamento e dicano: io sono il vostro rappresentante e non appartengo a nessun partito” (pag. 40).Hans Kelsen, altro grande rap-presentante dell’ideologia libe-ral-democratica del ‘900, nel testo “La Democrazia” dedica un capitolo all’analisi del con-cetto del “popolo” e presenta uno degli elementi più impor-tanti della democrazia reale: i partiti politici.Raggruppano uomini con stesse opinioni per garantire loro un effettivo influsso sulla gestione degli affari pubblici e, una parte essenziale della for-mazione della volontà generale si compie in essi. L’importanza dei partiti è tanto maggiore quanta più applicazione trova il principio democratico.L’individuo isolato, dice Kelsen, non ha politicamen-te alcuna esistenza reale per-ché non può esercitare alcun

influsso; la democrazia quindi può esistere soltanto se gli indi-vidui si raggruppano secondo le loro affinità, allo scopo di indirizzare la volontà generale dello Stato. Queste formazioni collettive riassumono gli ugua-li intenti dei singoli.E aggiunge, “Non si può met-tere in dubbio che il discredito dei partiti, caro alla dottri-na politica della monarchia costituzionale, fosse un attac-co ideologicamente masche-rato, contro l’attuazione della democrazia” (pag. 64).La volontà generale se non deve esprimere esclusivamente l’interesse di un solo gruppo, non può che essere la risultan-te di interessi opposti. Così la formazione del popolo in par-titi politici diventa necessaria affinché il compromesso tra le varie correnti possa essere realizzato.In questo modo le forze sociali della massa convergono verso direzioni stabili e si esprimono rimanendo nell’ambito della costituzionalità.Entrambe le posizioni sono condivisibili in quanto miranti al bene comune; di sicuro la posizione di Popper privilegia una politica “del fare”, sce-gliendo delle priorità fonda-mentali da risolvere e difatti, fa anche un elenco di quelle che secondo lui, sono le que-stioni principali da affrontare.Kelsen si orienta di più sul tec-nicismo politico, indagando la nozione reale di popolo e il suo canale di espressione privi-

legiato per formare una volon-tà di stato, sintesi quest’ultima di ciò che dovrebbe essere la direzione dell’attività parla-mentare.Il partito politico è per Kelsen la convergenza delle affinità di uomini con stessi punti di vista.Da qui potrebbe partire una riflessione: se si va a snaturare l’essenza e il senso di que-sta organizzazione collettiva, un individuo potrebbe ritro-varsi disorientato di fronte al discorso politico-istituzionale e non trovare più una sua giu-sta rappresentanza.Inoltre, se si va verso un supe-ramento, che oggi per certi versi sembra anche forzato, delle ideologie, quando nella realtà dei fatti, le persone hanno un bisogno naturale di essere di parte e perché l’op-posizione tra le correnti è cosa naturale e giusta, il tracollo della forza istituzionale diven-ta scontata.Non è esattamente vero che ideologie differenti e posizioni opposte implicano una chiu-sura di dialogo, una vanità del discorso politico; chi afferma questo non ha ben chiaro che, come dice Kelsen, la volontà generale si esprime e si forma attraverso il compromesso delle tendenze politiche di un popolo intero organizzato in partiti politici. Se le differenze invece vengono eliminate e appiattite, allora, non si capi-sce bene quali interessi sono rappresentati in Parlamento.

Si può dunque affermare che la mancanza di azione e di capacità risolutiva di una clas-se politica, non dipendono dalla eterogeneità delle posi-zioni, ma dal non sufficiente impegno di chi dirige.Inoltre, un altro problema causato dalla poca ideologiz-zazione dei nostri giorni può essere il seguente: se una parte politica è ben strutturata con delle connotazioni distinte e l’altra invece, che magari è all’opposizione, non ha assolu-tamente chiara la natura della sua entità e quindi non è in grado di svolgere il suo ruolo di rappresentanza parlamen-tare di quei cittadini che in essa tentano di riconoscersi, non si riesce ad immaginare a chi potranno volgere lo sguar-do coloro che hanno perso l’illusione di avere, attraverso questa forza politica, voce in capitolo nella formazione della volontà generale.Semplicemente, questi malca-pitati non si sentiranno rap-presentati.Allora attenzione, se qualcuno deciderà di far valere i pro-pri diritti saltando e superan-do quello che è considerato il proprio canale di relazione con la gestione della “Cosa Pubblica”, ossia il partito.Un richiamo alla respon-sabilità politica, all’azione e alla definizione delle forze in campo è necessario perché il popolo non perda quell’intoc-cabile senso di appartenenza.

Ilaria Parpaglioni

Kelsen e Popper

La pianificazione del risanamento aziendale

L’attuale scenario economi-co rileva l’andamento criti-co delle imprese di piccole e medie dimensioni, che, ingabbiate in una congiun-tura negativa del mercato, non riescono a realizzare performances di profitto sufficientemente adeguate a coprire i il livello dei costi fissi.L’obiettivo diventa, dunque, quello di mantenere in effi-cienza il sistema aziendale per la sua continuazione nel tempo. Ecco l’opportuni-tà di redigere un piano di risanamento. Ovviamente il risanamento si ottiene attra-verso una ristrutturazione complessiva dell’azienda e gli interventi sono differenti in dipendenza delle cause che hanno generato la crisi e che vanno rimosse.Nell’ottica della continuità aziendale, il mantenimento in vita dei complessi produt-tivi richiede diverse valuta-zioni in ordine alle modalità di proseguimento dell’azien-da, tenuto conto anche delle scelte inerenti il manteni-mento o meno dell’assetto proprietario esistente, che si può realizzare attraverso

l’elaborazione di un piano di risanamento e/o ristruttu-razione, indirizzato al supe-ramento delle cause della crisi, in vista di un ritor-no all’equilibrio economico e finanziario ed al rilancio dell’impresa; la continua-zione dell’attività aziendale, anche attraverso la cessione delle attività o di parte di esse, nelle varie forme pre-viste.Sempre nella prospettiva della salvaguardia dell’at-tività di impresa, possono comunque essere previste dismissioni parziali di cespiti aziendali (immobili e mobi-li).La ristrutturazione program-mata mira essenzialmente a privilegiare la continui-tà aziendale, a proteggere l’azienda e a ripristinare l’equilibrio dei fattori pro-duttivi e finanziario. Il buon esito di un programma di ristrutturazione finanziaria e di risanamento richiede un’adeguata e precisa pia-nificazione degli interventi che si ritengono necessari per la risoluzione della crisi di impresa e può essere, in estrema sintesi, delinea-

to nelle sue fasi principali attraverso l’identificazione della strategia e delle azioni da intraprendere; la negozia-zione e presentazione della proposta di ristrutturazione/risanamento ai vari credi-tori; della implementazione del piano di esecuzione degli interventi ed adempimenti previsti.Il piano, dunque, deve for-nire una descrizione della impostazione strategia ope-rante, della fase del ciclo di vita in cui si trova la società, delle possibili minacce e/o delle reali opportunità che ilmercato di appartenenza presenta, dei punti di forza e debolezza della società anche in relazione al settore ed ai competitors.La pianificazione del risa-namento (action plan) ha la funzione di dare concre-tezza alle intenzioni strate-giche assunte, individuando le attività e le iniziative da intraprendere per la realizza-zione del progetto di risana-mento. I fattori di successo di un piano di risanamento di un’impresa in crisi sono individuabili in un arco temporale di riferimento del

piano, cioè il lasso di tempo entro il quale l’impresa deve raggiungere una condizio-ne di equilibrio economico finanziario, che non deve superare i tre/cinque anni. Una delle fasi più importan-ti del piano è rappresentata dalla attenta formulazione delle ipotesi a base del piano (c.d. assumptions). Le previ-sioni economico-finanziarie assumono valenza solo se vengono esplicati analitica-mente i presupposti a base delle stesse ed il valore delle stime formulate scaturisce dalla fondatezza delle ipotesi assunte.Risulta importante anche l’indagine del posizionamen-to competitivo rispetto ai concorrenti ed alle dinami-che del mercato, ad esempio esaminare l’eventuale ricon-ducibilità della crisi finan-ziaria a fattori di mercato, nonché valutare l’esistenza dei presupposti, in termini di prospettive del merca-to di riferimento. L’analisi delle prospettive reddituali, o comunque economico e finanziarie nel breve, medio e lungo periodo, soddisfa-no le esigenze conoscitive in

merito alla adeguatezza delle capacità finanziarie rispetto ai fabbisogni.In un mercato nel quale la domanda dei beni si è for-temente contratta, gli inve-stimenti hanno subìto un notevole rallentamento, non è pensabile ipotizzare una ripresa a breve del sistema economico, ma si deve inter-venire rapidamente al fine di efficientizzare sia il sistema imprenditoriale che quello economico del Paese. Negli ultimi mesi abbiamo assisti-to ad una paralisi dell’inter-vento pubblico, la quale non fa altro che tradursi in ter-mini di costi in inefficienza e in lungaggini che vanno ad incidere negativamente sul trend del sistema economico del Paese. In un mercato globalizzato dove in alcuni settori occorre molta inno-vazione sia tecnologica che di prezzo per competere, le aziende devono riprendersi in fretta, non possono aspet-tare oltre perchè verranno inghiottite dai competitors.Da qui la necessità di affi-darsi ad esperti per l’elabo-razione di un action plan in modo da rilanciare l’asset e

la performance aziendale.Quindi una volta diagno-sticate le cause, analizzato lo scenario di riferimento, raffrontate le risorse (tec-niche, umane e finanziarie) precisati gli obiettivi fina-li del piano scadenzati nel tempo, valutata anche la fattibilità del piano in ter-mini di risorse, tempi di realizzo, modalità e probabi-lità di raggiungimento degli obiettivi, il piano può svi-lupparsi prevedendo schemi di Conto economico, Stato patrimoniale e Rendiconto finanziario.Solo uscendo dalla crisi delle imprese il Paese può uscire dalla crisi nel suo comples-so. E’ chiaro che i requisiti minimi che un piano credi-bile e realizzabile deve posse-dere sono individuabili nella coerenza, nell’attendibilità e ragionevolezza/logicità delle ipotesi di base e nella soste-nibilità finanziaria.Per rilanciare il tessuto imprenditoriale e per por-tare un’impresa a rigenerare ricchezza nella catena alta del valore occorre che tutti facciano la loro parte dal Governo alle banche.

Action plan

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La Piazza d’Italia - Tempo Libero

Sulla strada del ProseccoSono ormai numerose le strade del vino in Italia, ma quando si parla di spumante il pen-siero corre subito al Prosecco e alla tipica ospitalità veneta che impreziosisce le sue colline dell’alta Marca trevigiana. Un percorso che si snoda per circa 40 km che da Valdobbiadene conduce a Conegliano, le due capitali del Prosecco che da aldilà del Piave lasciano poi il passo alle vette delle Dolomiti.Il Prosecco ha una storia lunga alle sue spalle, è un vitigno di origine antichissime la cui coltivazione addirittura risale alla colonializzazione romana durante il II secolo a. C. A quei tempi il suo nome era Pucinum, espressione di grazia vigorosa della natura che nel mondo antico ha trovato spa-

zio anche tra le pagine narrate da Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia.La strada del Prosecco – uno dei primi itinerari del vino in Italia - fu costituita nel 1966. A quel tempo prendeva il nome di Strada del Vino bianco. Il tragitto enoturistico, che comprende 15 comuni, estendendosi per oltre 15.000 ettari di superficie agricola ad un’altitudine che varia da 50 a 500 metri s.l.m., non porta solo ad eccezionali cantine, ma permette di conoscere paesaggi dall’atmosfera quiete, ricchezze artistiche, copiosità gastrono-miche… legati tra loro come gli elementi di un tutt’uno armonico (www.conegeliano-valdobbiadene.it/).Le belle colline trevigia-ne danno subito l’idea che

la raccolta dei frutti dei suoi rigogliosi vigneti richieda tutta la pazienza che l’uomo può custodire. I generosi pendii non permettono, infatti, una raccolta meccanizzata delle uve: “E’ un lavoro lento, che segue il placarsi del sole ...” così come Giovanni Comisso, lette-rato trevigiano del Novecento, scrisse nel suo libro “La mia casa di campagna”.Il duro lavoro di chi custodi-sce e cura le terre del Prosecco è espressione del forte attac-camento degli abitanti alle proprie colline, al loghét, al piccolo luogo, dove ciò che è cerimonia e festa tiene conto, con rispetto e naturalezza, di quanto la terra e i suoi frutti concedono loro. Un legame avvertito anche da chi è ester-no a tale realtà, al visitatore

che per ventura o per piacere si trova a passare di là. E’ ancora il Comisso a parafrasa-re il forte legame della terra ai suoi uomini e alle sue donne, osservando come, anche dopo il periodo della vendemmia, “…dalle case veniva l’odore forte del mosto…”.Tranquillo, frizzante e spu-mante sono le tipologie che caratterizzano il Prosecco di Conegliano- Valdobbiadene, che si presenta con un colore tipico giallo paglierino; i suoi profumi di fiori di campo lo caratterizzano così come un leggero aroma di pera e mela si avverto al palato. Il suo ver-tice di eccellenza si raggiunge con le uve prodotte nella zone di Cartizze, nel comune di Valdobbiadente, 106 ettari di vigneto, da cui si ottiene il cru della denominazione: superio-re Cartizze.L’eleganza del Prosecco ed anche un po’ del suo char-me sono legati forse all’eredità lasciata dalla nobiltà veneta che era solita trascorre qui, nella zona dell’alta Marca Trevigiana, le sue vacanze nelle ville site tra i poggi.Le dolci colline del Prosecco sono state più volte ritrat-te dalle pennellate di Giambattista Cima, raffinato pittore del classicismo del XV secolo, che a Conegliano ebbe i natali. Forse non è un caso che nel 1769 nacque proprio qui l’Accademia Agraria degli Aspiranti che cessò di esistere con l’avvento napoleonico. Fu

l’antefatto che aprì le danze alla forte volontà del chimico ed enologo Antonio Carpenè di fondare, nel 1876, la ormai rinomata Scuola Enologica a Conegliano, con un Regio Decreto, che d’allora vede la ricerca scientifica sposare l’an-tica tradizione produttiva.Molti i castelli presen-ti nell’area, come quello di Conegliano, ma anche diver-se le ville aristocratiche. Tra i numerosi vigneti svettano i guardiani del territorio: i campanili, ne sono numerosi e tracciano il carattere reli-gioso della zona, come l’Ab-bazia di Follina, ma anche di Follo nell’area della collina del Cartizze a Valdobbiadene dove i monaci lavoravano negli opi-fici la lana, un mestiere che nel XVIII diventò risorsa econo-mica del paese.Il turismo, con le sue neces-sità, sposa il cibo, la storia, la religione… come ad esempio l’ex eremo cistercense che è presente a Rolle di Cison di Valmarino, attuale “Punto Fai” tutelato dal Fondo per l’Ambiente Italiano, dove sorge il prestigioso Relais Duca di Dolle di proprietà della famiglia Bisol, una delle più rilevanti aziende vitivini-cola della zona. Attualmente questo lussuoso casale di sog-giorno si affaccia sulle proprie-tà terriere dei Bisol che attra-verso la loro intraprendenza hanno sfruttato le virtù dei binomio “vitigno-ambiente”. Questo ex ritiro si trova in un

luogo appartato dalla vicinissi-ma Valdobbiadene tra vigneti e sentieri di erbe spontanee che grazie alla guida di un esperto è possibile percorrere e conoscere per poi preparare deliziose e fumanti minestre.E arriviamo alla cucina dell’al-ta Marca trevigiana che è tipi-camente contadina, sempli-ce, povera ma gustosa. Basti pensare alla polenta che viene accompagnata da selvaggina cotta allo spiedo, arrosto o in umido; nelle giornate autun-nali i piatti si arricchiscono di funghi di bosco.Il maiale, che è da tempi lon-tani è elemento culinario pre-sente nelle cucine dei contadi-ni, viene ancor oggi allevato per preparare gustosi insaccati (come il casatello, il monta-sio e il musetto ), ma anche l’oca accompagna le tavole dei veneti.Durante l’inverno è tipico dei trevigiani dell’alta Marca preparare caldi risotti, zuppe, creme e minestre vuoi di erbe vuoi di castagne... per scaldarsi nelle serate più rigide accom-pagnando il companatico al onnipresente Prosecco.In questa terra fertile, centro di produzione di un vino che oramai è approdato in ogni continente, tra gusto e arte, tra gioia e lavoro, tra ospitalità e dinamismo si scoprono, vere più che mai, le belle parole del poeta Andrea Zonzotto: “ Qui non resta che cingersi intorno il paesaggio”.

Alice Lupi

Intervista a Gianluca BisolSalve Gianluca, la famiglia Bisol si occupa della viticoltura dal 1542, con risultati prestigiosi. Quali sono i valori fondanti dell’azienda? Qual è la parti-colarità dei vostri prosecchi?La nostra è una stori-ca famiglia del Prosecco: siamo Viticoltori in Valdobbiadene dal 1542, come testimonia un anti-co estimo veneziano che attesta già in quel periodo la presenza dei Bisol, viti-coltori sul Cartizze e sul Prosecco. La passione per il territorio e la qualità è nel nostro Dna. La cresci-ta qualitativa dell’azienda è stata possibile per l’op-portunità di sperimentare nuove tecniche sui propri vigneti, presupposto neces-sario per produrre vini di altissimo livello. Mio nonno Desiderio cercava sempre di acquistare i migliori appez-zamenti, quelli più costosi e scoscesi, quindi difficili da lavorare, ma la cui penden-za e composizione risultava-no ideali per l’allevamento del Prosecco, dimostrando un’estrema sensibilità alla qualità del prodotto. Bisol governa direttamente e con

la massima attenzione ogni singola fase della filiera produttiva,dall’allevamento della vite alla vendi-ta, dall’acino al bicchie-re. I vigneti gestiti hanno un’estensione di 125 ettari, dislocati su 35 poderi, col-locati nelle aree più voca-te della Denominazione. Un fiore all’occhiello sono i tre ettari posseduti nella zona sommitale della colli-na Cartizze, il vigneto più prezioso d’Italia. Grazie alla passione e alle com-petenze del team guidato da Desiderio Bisol, diret-tore tecnico, riusciamo a raggiungere la massima espressione di ogni singo-lo vigneto: ogni area ha le sue peculiarità. Stiamo spe-rimentando tutto ciò che porta alla massima espres-sione del binomio vitigno ambiente. Bisol, da sempre impegnato per una corretta e sana gestione del vigneto, ha scelto inoltre di segui-re il biologico e la bio-dinamica nella tenuta di Rolle e nei poderi limitrofi. Lavoriamo con grande pas-sione affinché Conegliano abbia lo stesso prestigio di Reims, Valdobbiadene lo

stesso fascino di Epernay e il Prosecco la stessa notorie-tà della Champagne.

Sempre più spesso si parla di territorio, quanto ha condi-zionato la vostra attività e promozione? Quali progetti avete nel cassetto?La nostra famiglia punta ad offrire l’emozione di scoprire la qualità del nostro meravi-glioso territorio in ogni sua sfumatura, attraverso una degustazione a tutto tondo, che spazia dal vino alla gastronomia, dal turismo alla cultura. E’ un impor-tantissimo lavoro di squadra realizzato con il contributo di ogni membro della fami-glia: mio padre Antonio e mio zio Eliseo, nonché mio fratello Desiderio e i cugini Claudio e Alberto.Dalle col-line del Prosecco alla laguna veneziana, la famiglia Bisol propone un viaggio nella storia e nella cultura veneta: dal Relais Duca di Dolle al Ristorante Il Certosino e all’Hotel Certosa - nell’omo-nima isola veneziana –, alla Tenuta Venissa di Mazzorbo. La storia e la cultura del Prosecco è legata a doppio filo con la laguna Veneziana:

a Venissa, abbiamo recu-perato l’antica vigna mura-ta che domina Mazzorbo, dove è stata reimpiantata la Dorona, lo storico vitigno a bacca bianca veneziano. Questo risultato rappresenta il coronamento di un lavo-ro iniziato nel 2002 che ci ha impegnato nella ricerca storica riguardante i viti-gni autoctoni di Venezia, presenti diffusamente fino a pochi secoli fa. Entro il 2011, verranno prodotte 8.000 bottiglie di questo antico, prezioso vino, che si chiamerà Venissa e che già è possibile acquistare su prenotazione. Il dinamismo della vostra azienda è molto accentuato, abbraccia diversi settori. In particolare lei è promotore di un’iniziativa che sposa cul-tura, vino, turismo e gastro-nomia: il “Master in cultura del cibo e del vino”. Di cosa si tratta? Perché ha voluto questo progetto?Dopo il successo della pre-cedente edizione, riparti-rà il prossimo gennaio a Valdobbiadene, nel cuore del Prosecco, il Master uni-versitario di primo livello

in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari. Questo Master, che è patrocinato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e foresta-li, nasce per rispondere alla sempre maggiore richiesta di qualificate competenze professionali nella gestione e valorizzazione del patri-monio alimentare e vitivi-nicolo. Per questo motivo è sostenuto da importan-ti istituzioni nazionali come Buonitalia e locali Comune di Valdobbiadene e Altamarca e realtà del ter-ritorio come Bisol, Jeio, Bel Star, Relais Duca di Dolle, Terre di Venezia, Latteria Soligo, Consorzio Tutela

Radicchio Rosso di Treviso e Variegato di Castelfranco, Birreria Pedavena, Forno d’Asolo, Labozeta, Salumi de Stefani. Si tratta di part-ner che credono in un pro-getto così innovativo. Il fatto che il Master non si tenga in una metropoli, ma nel territorio rappresenta un fondamentale valore aggiun-to, poiché trasmetterà un autentico sentire del pro-dotto, non filtrato, permet-tendo un contatto diretto con opinion leader del set-tore, produttori e titolari di aziende del comparto, possi-bili futuri datori di lavoro. Consiglio di visitare il sito www.mastercibovino.it