1-15/16-30 novembre 2009 - Anno XLV - NN. 67 - 68 - Lo sciame sismico

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COPIA OMAGGIO In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Rom-Italy — Fondato da Turchi — www.lapiazzaditalia.it Lo sciame sismico LA PIAZZA D’ITALIA Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 Tensioni Usa-Israele Processo breve ESTERI — a pagina 3 — — a pagina 4 — APPROFONDIMENTI Torniamo alla Politica Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti www.lapiazzaditalia.it Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 comma 1 - DCB-Roma 1-15/16-30 Novembre 2009 - Anno XLV - NN. 67-68 0,25 (Quindicinale) Si torniamo alla Politica, questo deve essere il mes- saggio Alto e Forte che le varie istituzioni, con l’arrivo della chiusura dell’anno devono a mio avviso lanciare. Quello che abbiamo visto, letto, sentito nelle ultime settimane è a dire poco imbarazzante, per noi tutti, per chi ci rapp- resenta e soprattutto per il paese in genere. Oramai ci siamo abituati in 6 mesi agli scandali di ogni tipo, che riguardano la politica, quando in- vece il paese ha bisogno di altro. Credo infatti che a noi tutti interessano soluzi- oni economiche per le nostre famiglie e/o aziende; il lavoro per noi e/o i nostri figli, i servizi (dal sanitario alla sicu- rezza) che sempre di più devono essere cambiati e migliorati. Insomma il paese aspetta cambiamenti e risposte concrete, per il resto tutto diventa secondario, ma soprattutto bisogna dare un cambio di passo. Mi Auguro che soprat- tutto il carisma e la lead- ership di Berlusconi pos- sa dare una svolta a tutto quanto. Abb. sostenitore da 1000 - Abb. annuale 500 - Abb. semestrale 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina Segue a pagina 5 Segue a pagina 2 di FRANZ TURCHI Continuano all’interno del PDL le scosse di assestamento tra ex AN ed ex Forza Italia Il risiko delle nomine UE Il risiko delle nomine UE entra nella fase calda, anzi caldissima. Dopo la soffer- ta ratifica della Costituzione Europea con i ripetuti no an- che di un membro fondatore come la Francia e la faticosa mediazione che ha portato all'approvazione del Trattato di Lisbona, a giorni i capi di stato e di governo dei 27 pae- si, proprio in applicazione di esso, eleggeranno il Presiden- te Permanente del Consiglio Europeo ed il Vicepresidente nonché l'Alto rappresentante per la politica estera e della sicurezza europea, altresì de- nominato Mr PESC. Si sa il D'Alema nazionale, conosciuto anche negli am- bienti diplomatici europei come "baffo di ferro" ed ap- poggiato in modo bipartisan dal parlamento italiano, è in prima fila per la nomina a Mr PESC. Il suo prestigio all'interno del gruppo socia- lista del parlamento euro- peo è fuor di discussione e la poltrona dovrebbe essere assegnata proprio ad un so- cialista, come invece la pol- trona di Presidente dovrebbe andare ad un popolare, infine l'Italia reclama visibilità visto l'epilogo della mancata no- mina di Mauro a Presidente del Parlamento europeo. Ma qui si apre la partita. Il fatto è quella di Mr PESC è la poltrona più ambita, il Presidente sarà infatti poco più che una carica di rappre- sentanza, un portavoce delle decisioni prese a maggioranza dal Consiglio Europeo, la vera Al pari di quanto succede di continuo all’interno del Par- tito Democratico, anche den- tro il Popolo delle Libertà si è accesa da qualche tempo una sorta di “febbre” che rischia di gettare alle ortiche sia il pro- getto politico del partito unico del centro-destra che il prosie- guo dell’attuale legislatura. I prodromi di tale sciame si- smico - che speriamo non por- ti alla fantomatica scossa, stile “big one”, auspicata e preco- nizzata dall’ex primo ministro D’Alema - si sono avuti già in concomitanza della designa- zione delle liste dei candidati per le elezioni al parlamento europeo dello scorso giugno allorquando si ebbero i primi attriti tra Fininiani e Berlu- sconiani. Alla fine si ebbe una pace, poi dimostratasi di fatto solo una tregua - che portò sì ad un discreto risultato eletto- rale per il PdL, anche se non proprio quello auspicato alla vigilia, ma anche all’elezione al Parlamento di Strasburgo di parecchi “Carneadi” o “vecchi attrezzi” della politica italiana che forse sarebbe stato meglio mettere in naftalina per un po’ di tempo (Mastella su tutti). Tale situazione di disagio si era avuta perché si erano accese intense contese tra le correnti esistenti all’interno del PdL per strappare appena possibi- le posizioni di privilegio nel partito, passaggio questo reso ancora più stretto dal fatto che obbligatoriamente si dovesse rispettare l’impegno di riserva- re il 70% dei posti disponibili nelle liste agli ex di Forza Italia e ai partiti minori del PdL ed il restante 30% agli ex di Alle- anza Nazionale. Già ci tremano i polsi al solo pensiero delle lotte che si scateneranno al momento di designare i candidati alle ora- mai vicinissime elezioni am- ministrative regionali della prossima primavera in quanto a questa spartizione di poltro- ne dovranno necessariamente partecipare anche gli esponen- ti politici della Lega Nord: in- somma ci saranno più bocche da sfamare alla stessa tavola. Gli inizi riguardo tale situazio- ne non sono dei più confortan- ti, infatti i rappresentanti del partito di Bossi già sbattono i pugni sul tavolo per vedersi as- segnate le candidature in Pie- monte e Veneto esautorando in quest’ultimo caso il Gover- natore Galan da sempre restio a concedere spazi troppo vasti agli esponenti del Carroccio. La lotta per le “investiture” primaverili è strenua pure tra ex forzisti e Finiani con questi ultimi che strepitano per ag- giudicarsi le candidature per i Governatori del Lazio e della Campania oltre che per quello della regione Calabria, a quan- to pare già assegnato all’attuale sindaco di Reggio Scoppellitti

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Lo sciame sismico - Torniamo alla Politica - Il risiko delle nomine UE - I maestri dell'antiberlusconismo - Processo breve - Le immunità: storia e funzioni - Tensioni Usa-Israele - Fratellastri in trincea - Ombre sulla Turchia - G2 USA – Cina - Verso la ripresa - Apriranno i cantieri delle opere pubbliche? - Scudo fiscale: capitali per 300 miliardi - Classifica dei Ministri dell'economia UE: Tremonti quinto - FAO: chiuso il vertice - Novello, sapore d’autunno

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Torniamo alla Politica

Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia

Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti

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Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 comma 1 - DCB-Roma 1-15/16-30 Novembre 2009 - Anno XLV - NN. 67-68 € 0,25 (Quindicinale)

Si torniamo alla Politica,

questo deve essere il mes-

saggio Alto e Forte che

le varie istituzioni, con

l’arrivo della chiusura

dell’anno devono a mio

avviso lanciare.

Quello che abbiamo

visto, letto, sentito nelle

ultime settimane è a dire

poco imbarazzante, per

noi tutti, per chi ci rapp-

resenta e soprattutto per

il paese in genere.

Oramai ci siamo abituati

in 6 mesi agli scandali di

ogni tipo, che riguardano

la politica, quando in-

vece il paese ha bisogno

di altro.

Credo infatti che a noi

tutti interessano soluzi-

oni economiche per

le nostre famiglie e/o

aziende; il lavoro per noi

e/o i nostri figli, i servizi

(dal sanitario alla sicu-

rezza) che sempre di più

devono essere cambiati e

migliorati.

Insomma il paese aspetta

cambiamenti e risposte

concrete, per il resto

tutto diventa secondario,

ma soprattutto bisogna

dare un cambio di passo.

Mi Auguro che soprat-

tutto il carisma e la lead-

ership di Berlusconi pos-

sa dare una svolta a tutto

quanto.

abb. sostenitore da € 1000 - abb. annuale € 500 - abb. semestrale € 250 - num. arr. doppio prezzo di copertina

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di FRANZ TURCHI

Continuano all’interno del PDL le scosse di assestamento tra ex AN ed ex Forza Italia

Il risikodelle nomine UE

Il risiko delle nomine UE entra nella fase calda, anzi caldissima. Dopo la soffer-ta ratifica della Costituzione Europea con i ripetuti no an-che di un membro fondatore come la Francia e la faticosa mediazione che ha portato all'approvazione del Trattato di Lisbona, a giorni i capi di stato e di governo dei 27 pae-si, proprio in applicazione di esso, eleggeranno il Presiden-te Permanente del Consiglio Europeo ed il Vicepresidente nonché l'Alto rappresentante

per la politica estera e della sicurezza europea, altresì de-nominato Mr PESC.Si sa il D'Alema nazionale, conosciuto anche negli am-bienti diplomatici europei come "baffo di ferro" ed ap-poggiato in modo bipartisan dal parlamento italiano, è in prima fila per la nomina a Mr PESC. Il suo prestigio all'interno del gruppo socia-lista del parlamento euro-peo è fuor di discussione e la poltrona dovrebbe essere assegnata proprio ad un so-

cialista, come invece la pol-trona di Presidente dovrebbe andare ad un popolare, infine l'Italia reclama visibilità visto l'epilogo della mancata no-mina di Mauro a Presidente del Parlamento europeo.Ma qui si apre la partita.Il fatto è quella di Mr PESC è la poltrona più ambita, il Presidente sarà infatti poco più che una carica di rappre-sentanza, un portavoce delle decisioni prese a maggioranza dal Consiglio Europeo, la vera

Al pari di quanto succede di continuo all’interno del Par-tito Democratico, anche den-tro il Popolo delle Libertà si è accesa da qualche tempo una sorta di “febbre” che rischia di gettare alle ortiche sia il pro-getto politico del partito unico del centro-destra che il prosie-guo dell’attuale legislatura.I prodromi di tale sciame si-smico - che speriamo non por-ti alla fantomatica scossa, stile “big one”, auspicata e preco-nizzata dall’ex primo ministro D’Alema - si sono avuti già in concomitanza della designa-

zione delle liste dei candidati per le elezioni al parlamento europeo dello scorso giugno allorquando si ebbero i primi attriti tra Fininiani e Berlu-sconiani. Alla fine si ebbe una pace, poi dimostratasi di fatto solo una tregua - che portò sì ad un discreto risultato eletto-rale per il PdL, anche se non proprio quello auspicato alla vigilia, ma anche all’elezione al Parlamento di Strasburgo di parecchi “Carneadi” o “vecchi attrezzi” della politica italiana che forse sarebbe stato meglio mettere in naftalina per un po’

di tempo (Mastella su tutti).Tale situazione di disagio si era avuta perché si erano accese intense contese tra le correnti esistenti all’interno del PdL per strappare appena possibi-le posizioni di privilegio nel partito, passaggio questo reso ancora più stretto dal fatto che obbligatoriamente si dovesse rispettare l’impegno di riserva-re il 70% dei posti disponibili nelle liste agli ex di Forza Italia e ai partiti minori del PdL ed il restante 30% agli ex di Alle-anza Nazionale.Già ci tremano i polsi al solo

pensiero delle lotte che si scateneranno al momento di designare i candidati alle ora-mai vicinissime elezioni am-ministrative regionali della prossima primavera in quanto a questa spartizione di poltro-ne dovranno necessariamente partecipare anche gli esponen-ti politici della Lega Nord: in-somma ci saranno più bocche da sfamare alla stessa tavola.Gli inizi riguardo tale situazio-ne non sono dei più confortan-ti, infatti i rappresentanti del partito di Bossi già sbattono i pugni sul tavolo per vedersi as-

segnate le candidature in Pie-monte e Veneto esautorando in quest’ultimo caso il Gover-natore Galan da sempre restio a concedere spazi troppo vasti agli esponenti del Carroccio.La lotta per le “investiture” primaverili è strenua pure tra ex forzisti e Finiani con questi ultimi che strepitano per ag-giudicarsi le candidature per i Governatori del Lazio e della Campania oltre che per quello della regione Calabria, a quan-to pare già assegnato all’attuale sindaco di Reggio Scoppellitti

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Pag. 2 1-15/16-30 novembre 2009

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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI NOVEMBRE 2009

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Continuano all’interno del PDL le scosse di assestamento tra ex AN ed ex Forza Italia

Il centro-sinistra alla disperata ricerca di un accordo politico

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Dalla Prima

Lo sciame sismicoex Alleanza Nazionale.Nel Lazio la battaglia, ancora apertissima, vede confrontar-si al momento il segretario dell’UGL Polverini - gradita al Presidente della Camera - e l’ex assessore della giunta Storace Andrea Augello - sto-rico serbatoio di voti per la destra romana appoggiato dall’attuale sindaco della Ca-pitale, Gianni Alemanno. La corsa tra i due però potreb-be prevedere una sorpresa dell’ultimo momento, con la designazione come candidato del centrodestra a via della Pi-sana dell’ex forzista Antonio Tajani attuale commissario ai trasporti dell’Unione Europea che potrebbe essere costret-to a cedere la posizione che attualmente occupa per fare posto appunto a Galan se la

Lega Nord riuscisse a piazzare un proprio uomo nelle elezio-ni regionali Venete.A complicare tale mosaico ci si è messo pure il caso dell’av-viso di garanzia- per appoggio esterno ai clan camorristici casertani ricevuto dal sottose-gretario all’economia e coor-dinatore regionale campano del PdL Nicola Cosentino la cui candidatura al posto occu-pato da Bassolino da 10 anni sembrava oramai cosa fatta.Altra causa di indebolimento seppur temporaneo del Pdl è stato dovuto alla battaglia che si è accesa intorno alla figura del super ministro dell’Eco-nomia Tremonti il quale sep-pur avendo agito in maniera eccellente nell’affrontare la crisi economica mondiale ed italiana adesso viene accusa-to - trasversalmente in verità

da forzisti ed ex AN - di non voler aprire i cordoni della borsa per riavviare i consumi interni magari detassando le tredicesime. In questo caso il Ministro più che dai suoi compagni di partito o dallo stesso Cavaliere è stato difeso dalle critiche a spada tratta dai leghisti, i quali da sem-pre considerano Tremonti, più che lo stesso Berlusconi, il proprio garante politico in seno alla maggioranza di cen-tro destra che guida il Paese.Altre scosse di assestamento nella struttura politica che compone il Popolo delle Li-bertà si hanno di continuo per ogni esternazione del Presidente della Camera che di volta in volta o parlando di temi etici, costituziona-li o di problematiche legate all’ingresso di disperati co-

munitari ed extracomunitari nel suolo italiano suscitano sempre vespai di polemiche all’interno della maggioran-za che così facendo non di-mostra di avere la massima compattezza su temi di tale importanza per la vita quo-tidiana degli italiani.A volte sembra però che sia i seguaci della linea Berlu-sconiana che i “delFini” del presidente della Camera si lascino andare a troppe chiacchiere che ai cittadini paiono inutili e contropro-ducenti.Sembrano non rendersi con-to che basterebbe seguire il programma di governo che al momento della campagna elettorale hanno proposto e sottoscritto essi stessi - non un secolo fa ma meno di un anno e mezzo orsono - pro- gramma che, tutti sembrano

dimenticarlo, ha consentito un’ampia vittoria elettorale, ma del quale pochi punti al momento sembrano essere stati attuati.In Italia se i processi - siano essi quelli penali o civili - durano lustri è evidente che qualche anomalia nel fun-zionamento del meccanismo giudiziario c’è e quindi bi-sogna mettere assolutamente mano a tale sballato sistema.Se le patrie galere scoppiano di stranieri, pur rappresen-tando essi solo il 6,5% della popolazione totale italiana, è evidente che oltre al sacro-santo rispetto dei diritti civili e sociali che ad essi lo Stato deve garantire si debbono af-fiancare gli altrettanto sacro-santi diritti e doveri di rispet-to delle leggi e di sicurezza della persona, che lo stesso Stato italiano deve garantire verso i propri cittadini.Diritti che contemplano pure la necessità di proteg-gere e difendere le tradizioni sia sociali che culturali e re-ligiose che nei secoli si sono sedimentate in Italia e che hanno favorito lo sviluppo del nostro Paese.Gli elettori di centro destra aspettano inoltre che si fac-

ciano le riforme definitive del sistema bancario e creditizio, che finalmente si dia l’avvio alle grandi opere pubbliche e che si riformi la struttura del-lo Stato in primis riducendo le spese che la macchina am-ministrativa comporta.In tal senso la recente aboli-zione di solo alcuni di quelle centinaia di enti locali che formano il buco nero dello sperpero di denaro pubbli-co non è sufficiente: ancora ci sono infatti ampi margini per tagliare - ad esempio, le province senza sottostare ai ricatti leghisti - senza magari distogliere fondi a comparti come la scuola o la ricerca scientifica che sinceramente già troppo hanno dato negli ultimi decenni in termini di diminuzione di risorse ad essi assegnate.Ma è evidente che per porre mano a tali nodali aspetti c’è bisogno di un partito più for-te che non si basi solamente sul carisma dei due padri fondatori in perenne screzio tra di loro ma che si imper-ni sulle reali esigenze degli Italiani. Così come è, rima-ne una copia sbiadita -senza oltretutto la maschera demo-cratizzante delle primarie del Partito Democratico.

A circa un anno e mezzo dalle elezioni politiche che portaro-no trionfalmente alla vittoria la coalizione di centro destra guidata da Silvio Berlusconi cosa è rimasto oppure è cam-biato all’interno del centro sinistra?A parte la scomparsa dal pal-coscenico politico del defe-nestrato Prodi, e l’eclisse del trombato Veltroni, un bel niente.Anzi senza usare tanti giri di parole si può tranquillamente affermare che il PD ed i suoi partiti alleati o satelliti sono caduti dalla padella alla brace.La sinistra radicale si è dissolta in una miriade di partiti og-nuno dei quali rivendica una porzione dell’originaria falce e martello avendo in tal modo perso tutto il poco credito rimanente che la permanenza

dei suoi rappresentanti nelle stanze del potere - ingresso gentilmente offerto da Prodi- gli permetteva di detenere. Sintomatico di ciò è stato si-curamente il penoso risultato ottenuto non solo alle ultime elezioni politiche italiane- quelle stravinte da Berlusconi appunto - ma anche alle re-centi europee di giugno che hanno confermato lo stato comatoso in cui versa tutto il microcosmo sinistrorso più radicale. Oramai come novelli zombie, i rappresentanti ital-iani di certa sinistra estrema si risvegliano dal torpore mor-tifero in cui sono caduti sola-mente in occasioni delle man-ifestazioni sindacali contro la crisi economica, in caso di oc-cupazioni di scuole superiori ed università, per protestare contro la Chiesa e tutto ciò che rappresenta da centinaia di anni per l’Italia tale istituzi-one religiosa, oppure per prot-estare contro l’estradizione nel nostro Paese- e il conseguente trasloco nelle patrie galere- di delinquenti matricolati come Battisti.Dei Verdi non si hanno prati-camente più notizie da mesi di tanto in tanto però, magari in occasione dei loro congressi che si tengono in minus-coli garage - ma tanto basta a contenerli tutti - i cronisti di politica vengono a sapere della loro ennesima scissione:

insomma a sinistra nemmeno il “sole” ha tante occasioni per sorridere.Dei radicali invece sorprende la grandissima capacità di produrre di anno in anno dei giovani Leader che Pannella, moderno Crono, ingoierà inevitabilmente ai primi ten-tativi di costoro di evincersi dalla stretto “protettorato” con cui il vecchio Marco tra un digiuno e l’altro tiene ser-rate le fila di un movimento che oramai solo il bel ricordo di quello che era fino a qual-che decennio or sono.Chi non sta meglio è certa-mente il Partito Democratico che perse tutte le ultime elezi-oni effettuate riesce a perdere anche quando le elezioni le fa svolgere non tra tutti gli Ital-iani, ma anche solamente tra i propri iscritti e simpatizzanti.Infatti dalla prima volta che si sono svolte le primarie si è passati da oltre 4 milioni e 300 mila votanti- 2005 eletto Prodi - ai circa 3 milioni e mezzo di elettori del PD che nel 2007 indicarono Veltroni come sfidante ufficiale del Cavaliere ai 3 milioni scarsi di votanti che hanno conseg-nato nelle mani di Bersani la segreteria del PD: quasi un milione e mezzo di persone in meno sono andate “perse”in poco meno di quattro anni in occasione delle elezioni “aperte” del maggior partito

d’opposizione in Italia.Ma ciò non ci meraviglia af-fatto in quanto anche queste ultime primarie si sono rive-late essere solo l’ultimo atto della decennale sfida tra Vel-troni e D’Alema per ottenere il controllo prima del PCI poi del PDS, dei DS in seguito e del Partito Democratico oggi. Il tutto come al solito attraver-so non lo scontro frontale ma mediante interposte persone - Bersani e Franceschini ap-punto - che nel teatrino della politica fanno solo la figura dei burattini diretti dai “pupari”.E se a Massimo D’Alema è riuscito il facile colpo di met-tere un proprio uomo al ver-tice del PD non gli è riuscito – purtroppo per Lui e per for-tuna del nostro Paese - a farsi nominare “Ministro degli Es-teri” dell’Unione Europea.Il sogno quindi di emulare e bissare ciò che Romano Prodi riuscì ad ottenere qualche anno fa – l’incarico prestigi-osissimo da Presidente della Commissione Europea prima e in seguito la conquista della Presidenza del Consiglio - è svanito in una serata di metà novembre a causa della scelta dei Socialdemocratici europei che hanno preferito al “Baffi-no” nostrano una rappresent-ante del governo di sua Maestà la Regina Elisabetta seconda.Apriamo e chiudiamo una brevissima parentesi. La scon-

fitta in queste mini - primarie tra i social-democratici europei dell’ex ministro degli Esteri D’Alema ci fa ti-rare un sospiro di gioia e ci riempie di felicità per tanti motivi.Il primo: la politica estera dell’Unione Eu-ropea non poteva es-sere rappresentata da un politico che non più di qualche anno - quando dirigeva della Farnesina - fa andava sottobraccio a rappre-sentanti antisemiti ed

I maestri dell'antiberlusconismo

anti israeliani del partito Hez-bollah libanese.Secondo: a 20 anni dalla cadu-ta del muro non si poteva per-mettere che una così alta carica politica fosse all’appannaggio di un personaggio politico cresciuto e pasciuto all’ombra del mito marxsista e della giustezza dell’impero sovietico, soprattutto non sarebbe stato giusto per quei paesi – ora stati integranti ,se non ancora in-tegrati, dell’Unione Europea- che dal comunismo sovietico furono tenuti in una situazione di soggezione politica e sociale degna del peggior protettorato colonialista.Terzo: come il suo predecessore Prodi, sicuramente D’Alema – una volta assicuratosi l’appoggio di Berlusconi all’elezione a tale carica- non avrebbe esitato ad attaccare il Governo italiano di centro destra ogni qual volta se ne fosse presentata l’occasione.E poi parliamoci chiaro, il per-sonaggio sarà pure intelligente

- anzi furbo, furbissimo- ma in definitiva non può pretendere di riscuotere la nostra simpatia né politica- ricordate che egli fu l’uomo che preconizzò la fantomatica scossa che avrebbe dovuto abbattere Il Governo Berlusconi - né tantomeno umana: insomma il fatto che D’Alema è Italiano non deve spingerci ad essere tristi per la sua sorte poiché qui non si sta mica parlando di sport al-lorquando si tifa a prescindere per il rappresentante tricolore.Al popolo di centrosinistra al-lora - dopo le escort, i trans e le “marrazzate” varie -non rimane altro che assistere ai litigi tra Di Pietro e Bersani riguardo la partecipazione alla mani-festazione di piazza a Roma del prossimo 5 dicembre bandita dall’ex PM di “Mani Pulite” contro il Governo Berlusconi .Uno squallido refrain di Totò e Peppino divisi a Berlino: Totò e Pierluigi divisi a Roma.

Giuliano Leo

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La Piazza D’Italia - Approfondimenti

Processo breveIl disegno di legge attualmen-te in esame presso le Camere rappresentative, se ancora pos-sono dirsi tali, si pone quale at-tuazione o quantomeno quale adeguamento ai principi della “ragionevole durata del proces-so”, strumento del più ampio principio del “giusto processo”, da qualche anno previsto dalla Costituzione all’articolo 111.Un principio che è stato inseri-to sulla spinta delle critiche al sistema italiano da parte delle istituzioni europee ed in esecu-zione di quanto stabilito all’ar-ticolo 6 della Convenzione Eu-ropea sui diritti dell’uomo.Se, quindi, l’adeguamento appare quantomai encomiabi-le non lo stesso può dirsi per quanto concerne lo strumento che si vorrebbe utilizzare.In primo luogo il senso della ragionevole durata del pro-cesso non significa di per sé brevità dello stesso. Il processo deve, cioè, avere una congrua durata che consumi in sé sia l’esigenza di certezza del di-ritto che quella di certezza della pena. La celerità dello strumento non deve, quindi, rodere del tutto la certezza dell’applicazione di una “giu-stizia” sociale così come, al contrario, la “giustizia” socia-le non può rodere, come pare accadere oggi, la velocità dello strumento di addivenire ad una decisione, Anzi, spesso e volentieri è proprio tale len-tezza a rendere inconsistenti gli effetti, quando si produco-no, del procedimento.Il disegno di legge prevede ad oggi una prescrizione “proces-

suale”, da non confondersi con l’attuale prescrizione sostan-ziale vigente, che va a colpire la lentezza dei processi con l’applicazione di termini di fase sostanzialmente mutuati dalla giurisprudenza europea riguardo alla durata ragione-vole del processo: 2 anni per il primo grado, 2 anni per il gra-do di Appello ed un anno per il grado di legittimità dinanzi alla Corte di Cassazione.Orbene, i problemi che “l’estinzione del processo per violazione dei termini di du-rata ragionevole” prospetta nel caso di inserimento nel siste-ma non sono pochi.In primis l’istituto colpisce le fasi del processo dimenti-candosi della fase del proce-dimento che più incide sulle lungaggini della giustizia: le indagini preliminari. Di frequente, infatti, è proprio questa la fase del procedimen-to penale che più comporta ritardi producendo riflessi su tutto il sistema giustizia. Basti pensare ai mesi che passano tra chiusura delle indagini ed effettivo esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero.A questo si aggiunga la divi-sione per fasi e la relativa indi-viduazione dei singoli termini che, pur adeguandosi come detto sopra a quelli ritenuti validi in contesto europeo ai fini del risarcimento per irra-gionevole durata del processo, non riflettono invero la “realtà delle cose”. Si pensi al termine biennale previsto sia per il pri-mo grado che per il successivo

grado di Appello. In primo grado gran parte del tempo è investito per l’istruttoria di-battimentale, momento foca-le di tutto il processo penale, istruttoria che di regola non si rinnova, salvo casi eccezionali, davanti alla Corte di Appello. Ora non si comprende, quin-di, la mancata differenziazione dei due termini. Stesso discor-so vale per il termine annuale previsto per il ricorso in Cas-sazione, grado caratterizzato almeno in linea teorica dalla massima celerità.Così anche per la previsione della “sospensione del termi-ne” in caso di contestazioni che potrebbe portare ad un utilizzo distorto dello stru-mento della “nuova contesta-

zione” finalizzato solamente ad ottenere la suindicata so-spensione.Il disegno di legge prevede l’applicabilità della cosiddetta “prescrizione breve” escluden-dola per determinati reati e per determinati soggetti. An-che qui il criterio discretivo non risulta di agevole com-prensione.L’applicabilità è prevista per i reati che prevedono una pena massima non inferiore ai dieci anni di reclusione oltre ad una categoria di reati di maggiore gravità espressamente previsti negli articoli 51, commi 3bis e 3quater e 407, comma 2, lettera a) del codice di proce-dura penale, si pensi ad esem-pio tra i tanti all’associazione

di stampo ma-fioso ed ai reati commessi con finalità di ter-rorismo. Ven-gono, inoltre, escluse specifi-che fattispecie di reato di cui non si coglie l’omogeneità se non analizzan-do l’elencazione con lo sguardo della cronaca g iornal i s t ica . Si passa dal minor reato di “immigrazione clandestina” a quelli ben più gravi di porno-grafia minorile. Così come è prevista l’esclu-

sione per i reati “commessi in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni e dell’igiene sul lavoro e delle norma in materia di circola-zione stradale” la stessa non è prevista per i casi di responsa-bilità professionale tenendo in particolare conto la cosiddetta “colpa professionale medica”. In sostanza il criterio discreti-vo risulta essere un “frullato” mal composito dei reati di maggior “allarme sociale” e re-ati che dovrebbero necessitare di una istruttoria oggettiva-mente semplice. Non si vede, infatti, perché ne debba rima-nere inclusa, allora, la respon-sabilità professionale medica che generalmente necessita di un lungo percorso istruttorio dovuto alle doverose quanto complicate attività peritale.Viene poi ad evidenza un pa-lese conflitto con il principio di uguaglianza tra imputati che si vedrebbero subordinati a differenti procedimenti solo con riferimento ad una astrat-ta valutazione di gravità della fattispecie richiamata in un momento in cui tutto ancora deve essere provato.Tale principio vede, inoltre, subire una ulteriore lesione nei casi di esclusione cosiddet-ta soggettiva.E’ prevista, infatti, la manca-ta applicabilità, al di là delle ipotesi di delinquente o con-travventore abituale o profes-sionale, anche per i soggetti “riabilitati”, coloro cioè che abbiano ottenuto l’estinzione di ogni effetto penale della condanna. Orbene non si vede

perché chi abbia “meritato” la cancellazione di ogni effetto penale non possa vedersi ap-plicare la prescrizione breve.Inoltre problemi ulteriori sorgono qualora ci siano più coimputati tra i quali alcuni incensurati ed altri no con conseguente stralcio delle po-sizioni, stralcio che si riflet-terebbe poi in questioni di incompatibilità per i giudici. Problemi che potrebbero non sorgere in Tribunali di ampie dimensioni ma che si produr-rebbero in modo ingente nei piccoli Tribunali che sono la maggioranza.Infine, se è chiara la ratio del-la normativa di deflazione del sistema giustizia invero tale nuovo istituto porterebbero ad una sperequazione tra l’uti-lizzo del rito ordinario e dei riti speciali, o alternativi che dir si voglia. Non si vedreb-be, infatti, più la convenien-za di richiedere, ad esempio, un giudizio abbreviato, che si connota con la stessa ratio de-flattiva, quando probabilmen-te con rito ordinario si potreb-be usufruire della estinzione del processo ai sensi del nuovo disegno di legge.Lo stesso impianto norma-tivo, quindi, che si presenta spinto da attuali ed obiettive esigenze del sistema giusti-zia si presenta però costruito e strutturato in modo poco razionale e di difficile con-creta applicabilità o, meglio, andrebbe a creare situazioni critiche tali in alcuni casi da annullare gli effetti deflattivi fondanti tutto l’impianto.

Siamo nel XVII secolo quando gli scontri tra il Parlamento in-glese e la dinastia degli Stuart condusse all’approvazione dap-prima, nel 1628, della “Petizio-ne dei diritti” e successivamen-te all’atto di “habeas corpus”.Potrebbe considerarsi questo il momento della nascita dell’isti-tuto dell’immunità secondo la concezione moderna.Già, infatti, nel diritto romano tale istituto era riconosciuto ma nel senso di una esenzio-ne da un “munus”, un obbli-go imposto in forza di legge, consuetudine o dall’autorità. Successivamente nell’Alto Me-dioevo l’immunità era conside-rata l’esenzione dal pagamento delle tasse concessa con riferi-mento ad alcune terre, in spe-cial modo quelle che il sovrano regalava ai proprio fedeli.Il significato moderno del con-cetto si comincia ad affacciare durante il regno di Enrico VIII (1491 – 1547) quando l’allo-ra Presidente della Camera dei Comuni “in nome e nell’inte-resse dei Comuni, con umile petizione, reclama i propri antichi ed indiscussi diritti e privilegi” più specificamente di “poter godere della libertà

di parola in qualsiasi discussio-ne”, ma non solo, anche che “i membri ed i loro servi possano essere liberi dall’arresto o da qualsiasi altra molestia”.In Italia lo Statuto Albertino prevedeva non solo l’insin-dacabilità dei deputati e dei senatori per ragione delle opinioni da questi emesse e dei voti dati ma anche che nessun deputato potesse esse-re arrestato fuori del caso di flagrante delitto nel tempo della sessione parlamentare né tradotto in giudizio in materia penale senza previo consenso della Camera. Stabiliva anche l’ineseguibilità dei mandati di cattura contro i deputati per i debiti. L’arresto per debiti rimase in vigore fino al 1877 quando venne abrogato. La figura del Re godeva, invece, di una piena ed assoluta im-munità, sia sostanziale che processuale.In questa continua crescita storica dell’ampiezza del con-tenuto e della forza cogente dell’istituto si arriva però du-rante il ventennio fascista ad un regresso in relazione all’im-munità concessa ai deputati. Dapprima il Regolamento

della Camera previde la deca-denza del deputato nel caso di espulsione dello stesso dal Par-tito Fascista e successivamente attraverso la applicabilità della previsione contenuta nell’arti-colo 357 del Codice Penale del 1930 (il codice Rocco tuttora vigente) anche ai membri del Parlamento estendendo, in via interpretativa, la qualifica di pubblico ufficiale con l’ovvia conseguenza dell’applicabilità a questi di una serie di reati propri.In pieno regime si passò poi attraverso la decadenza dei partiti di opposizione fino ad arrivare alla soppressione della Camera Rappresentativa sosti-tuita dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni.Terminato il periodo fascista l’istituto dell’immunità ten-de a riespandersi inizialmente con l’insindacabilità degli atti compiuti nelle funzioni per i membri della Consulta Na-zionale (art. 4 del Dlg. Lgt. 539/45) e successivamente con la previsione dell’immunità da arresti e da processo penale per i deputati dell’Assemblea Co-stituente (art. 81 del Dlg. Lgt. 74/46).

Così si arriva alle disposizioni della Carta Costituzionale: l’articolo 90 per il Presidente della Repubblica; l’articolo 68 per i membri del Parlamento e l’articolo 122 per i consiglieri regionali. Non solo nella Co-stituzione, però, si rinvengono ipotesi di immunità, sostan-ziale o processuale a seconda dei casi: le leggi costituzionali 1/53 e 1/48 la prevedono per i giudici della Corte Costituzio-nale; la legge 1/81 per i mem-bri del Consiglio Superiore della Magistratura; il Trattato del Laterano dell’11/02/1929 (L. 819/1929) definisce il Sommo Pontefice persona “sacra ed inviolabile”; altre ipotesi sono poi espressa-mente previste per i Capi di Stato esteri e i reggenti, per gli organi di Stati esteri, per gli agenti diplomatici, per gli agenti consolari, per i membri del Parlamento Europeo e per gli appartenenti a corpi ed a reparti di truppe NATO sul territorio nazionale.In maniera sostanzialmente si-milare l’immunità, variando a seconda dell’ampiezza e degli strumenti adottati, è presente nei maggiori paesi europei.

In Germania l’art. 46 della Co-stituzione prevede che “ogni procedimento penale deve essere sospeso su richiesta del Bundestang”, previsione mol-to simile a quella di cui all’ar-ticolo 26 della Costituzione francese. La Spagna solleva da responsabilità il Re per gli atti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni facendola ri-cadere sul capo del Governo o sul ministro ratificante.Nei paesi di common law, su tutti Gran Bretagna e Stati Uniti d’America, l’immunità, in modi diversi, è stabilita per la Corona (comprendendo anche la famiglia reale) e per il Presidente.E’ bene precisare come l’im-munità sostanziale attenga in generale alle situazioni “fun-zionali” (ad esempio le opinio-ni espresse dai membri del Par-lamento ed i voti dati) mentre per immunità processuale si fa riferimento all’incompatibi-lità della sottoposizione a de-terminati procedimenti penali con la funzione pubblica eser-citata salva la autorizzazione a procedere data dall’organo di appartenenza.D’altronde l’immunità è per

nascita e per sua natura figlia del potere, attributiva della ca-pacità di esentare un soggetto, sia esso persona fisica o giuri-dica, dal diritto vigente per la comunità dei cittadini.Figlia del potere e conseguen-temente frutto dell’indipen-denza e dell’autonomia che da tale potere derivano.Tenendo ferma tale conside-razione si comprendono le differenze delle varie singole previsioni con riferimento alle diversità storiche dei ruoli e delle funzioni che i soggetti ricoprono ieri come oggi nello Stato così come si comprende la differente ampiezza della stessa da soggetto a soggetto.E’ proprio l’ingerenza di un potere su di un soggetto ap-partenente ad altro potere che ha fatto nascere un istituto di esenzione che in alcuni casi è inviolabile ed assoluto ed in altri soggiace ad un previo va-glio, ad un vero e proprio nulla osta del potere di appartenenza. Un’ingerenza che se libera con-trasterebbe con l’autonomia dei poteri e andrebbe a creare una sorta di squilibrio sostanziale in favore dell’uno sull’altro.

Marcello Grande

Le immunità: storia e funzioni

“That the freedom of speech and debates or proceedings in Parliament ought not to be impeached or questioned in any court or place out of Parliament”. (Dichiarazione dei diritti, art. 9, 1689)

Il disegno di legge tra innovazione e problemi

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La Piazza D’Italia - Esteri

La Turchia continua una stra-na politica di allontanamento dall'occidente e di repentino quanto pericoloso avvicina-mento all'area iraniana.Negli ultimi mesi fatti innega-bili stanno rimarcando questo percorso: le feroci polemiche ed accuse da parte del Primo Mi-nistro turco Erdogan ad Israe-le per l'operazione a Gaza del gennaio scorso che nel tempo invece di sopirsi prendono vi-gore, l'annullamento dell'ope-razione militare congiunta con le forze dello Stato ebraico che ha portato al ritiro di USA e l'Italia dalla stessa esercitazio-ne, la sospensione di approvvi-gionamenti militari specifici da parte di Israele, con l'approva-zione degli amici americani, gli accordi di collaborazione stra-

tegica che la Turchia ha stretto con la Siria e infine le dichia-razioni di amicizia e vicinanza nei confronti di Ahmadinejad e dell'Iran.Sono i singoli fatti a minare tutto il percorso di avvicina-mento intrapreso dalla Turchia (e a cui nessuno l'ha costretta): Erdogan ha ribadito più di una volta che coloro che si oppon-gono al programma nucleare iraniano posseggono le armi che non vogliono per l'Iran e per questo dovrebbero prima smantellare il loro arsenale. Un approccio opposto a quello che il quintetto ha portato avanti. Una rottura che non ha reali giustificazioni. Erdogan ha at-taccato pesantemente il Presi-dente israeliano Peres durante un incontro dei leader mon-

diali, ha prima mediato tra Si-ria e Israele (con la benedizione di tutti gli occidentali) per poi insultare lo Stato ebraico per il conflitto di Gaza, prendendo le parti della fazione avversa (quindi di Hamas). Ma non sia mai che si parli di Armeni o, nel più recente passato, di curdi, la Turchia portebbe an-che dichiarare guerra a chi osa farlo.Il Primo Ministro Erdogan ha stretto accordi anche con Mo-sca e Teheran per effettuare le importanti transazioni econo-miche nelle rispettive valute e non in euro o dollari come av-veniva fino ad ora e presto lo steso accordo sarà sottoscritto anche con la Cina. Tutto quel-lo che la Turchia sta facendo è esattamente il contrario di

quello che dovrebbe fare per entrare in Europa e veramente in Occidente.Altra questione è la tensione tra il potere politico al Gover-no e quello militare. I militari in Turchia sono i garanti della laicità dello Stato e da diversi mesi sta avvenendo un lento discreditamento dei vertici mi-litari a mezzo di dossier e inda-gini per incrinarne il potere e il rapporto con la magistratu-ra, questo per aver poi vita più facile nella deriva islamista che sembra prendere forma sempre più concretamente.Ripensare a quanto sia stato fatto per cercare di portare la Turchia in Europa, il tempo trascorso in nome dei picco-li passi, l'attesa per le riforme necessarie per poter essere un

candidato papabile, l'imortanza per l'UE di avere un membro di religione islamica per parlare con un mondo spesso lontano ecc. ecc. lascia basiti perché il Premier Erdogan nel giro di pochissimo tempo ha butta-to tutto all'aria per aderire, a quanto appare dalle azioni del suo Governo, all'asse iraniano dell'area mediorientale.La fisionomia che prende forma e che non sempre, forse, viene valutata con la giusta attenzio-ne è che un'alleanza stretta, fat-ta di importanti accordi econo-mici e collaborazioni strategi-che e militari, con entità come Siria e lran può portare ad una pericolosa spirale di tensioni nella NATO ed in un'area del Mediterraneo molto prossima alla nostra, troppo.

E' tutto piuttosto contorto: un uomo a capo di un partito isla-mico che governa una Repub-blica laica ma che ha criticato la laicità voluta da Ataturk, che cerca di fare il mediatore tra Si-ria ed Israele per poi mandare tutto all'aria ed anche tra Iran e Pakistan dopo le recenti tensio-ni, che ha cercato l'Europa ma che ora le volta le spalle.Un potere che cerca una fret-tolosa affermazione in attesa di diventare qualcosa che an-cora sfugge agli osservatori, e che anche chi lo detiene non è detto abbia chiaro. Intanto lo scenario si surriscalda e la que-stione più importante, quella iraniana, non si risolve, anzi Ahmadinejad ha portato dalla sua un importante attore.

Gabriele Polgar

Ombre sulla Turchia

Da quando l’amministrazione Obama ha inondato il mondo con il nuovo approccio alle pro-blematiche mondiali è parso su-bito evidente che la liaison con Israele avrebbe subito grandi cambiamenti.La strategia della mano tesa ver-so il mondo islamico del nuovo corso americano ha stabilito del-le priorità che non sono quelle a cui eravamo abituati.Obama ha immediatamente palesato pretese importanti nei confronti degli interlocutori con una sproporzione, quanto-meno mediatica, imbarazzante nei confronti di Israele.La questione immediatamente catapultata sotto i riflettori è stata quella degli insediamenti.Un tempismo almeno sospetto

visto che soprattutto nei primi mesi le richieste del Presidente USA marcavano con incredibile sincronismo quanto preteso dal suo omologo palestinese Abu Mazen.Probabilmente nei proget-ti dell’ancora non Presidente Obama c’era un rapporto più sinergico con l’altro candidato premier in Israele, Tzipi Livni che però, anche se uscita vin-cente dalle consultazioni, non ha avuto la possibilità di forma-re un Governo.Il primo ministro israeliano Netanyahu è uomo coriaceo e molto deciso, ha dimostrato di non arretrare di fronte a dichia-razioni aspre da parte dell’allea-to americano e questo complica molto le cose al neo Presidente.

Obama ha incentrato il suo si-stema sulla mediaticità dei mes-saggi e il rimbalzare contro la finora granitica determinazione della parte israeliana, che nel suo Ministro degli esteri Lieberman di certo non ha una sponda più morbida, ha complicato molto i piani obamiani di armonizza-zione del medio oriente.La particolare sensibilità a non urtare la parte islamica del mon-do è stata dimostrata anche dal-la gaffe del Segretario di Stato Hillary Clinton che pochi gior-ni fa, dopo un confronto con il Primo Ministro israeliano, ave-va ammorbidito, per usare un eufemismo, la posizione USA nei confronti della politica degli insediamenti. Appena varcato il confine egiziano la Sig.ra Clin-

ton ha messo la retromarcia, dietro le pressioni dei Paesi arabi che hanno fatto quadrato.Le spie di tensioni crescenti sono state continue, l’ultima è stata la sudatissima udienza che Netan-yahu ha avuto da Obama ieri. Un colloquio inusuale sia per la sua durata (quasi due ore) sia per non aver avuto alcun seguito di fronte ai giornalisti. Un si-lenzio che alimenta due ipotesi: una di fallimento totale e grande tensione tra le parti e l’altra di una nuova intesa che potrebbe portare pressioni enormi su Ne-tanyahu da parte degli israeliani. Presto se ne conoscerà l’esito.Ma qual’è l’oggetto del con-tendere?Obama ha da subito cercato di dare nuovo slancio ai negoziati

tra Israele e ANP (Gaza nelle mani di Hamas evidentemen-te è un problema secondario) per dimostrare che il "yes we can" poteva varcare i confini nazionali. La parte palestinese ha presentato le condizioni per tornare al tavolo delle trattati-ve, Israele ha portato le sue. Le differenze sono state evidenti fin da subito: l’ANP ha richie-sto lo stop immediato di tutti gli insediamenti, di trattare sia la cessione di Gerusalemme Est sia sulle frontiere, Israele ha risposto di non voler inter-rompere almeno la costruzione dei 3.000 alloggi in stato più avanzato ma si è dimostrata favorevole ad un congelamento degli altri, ha richiesto un forte impegno agli USA per norma-lizzare le relazioni con i Paesi arabi (cosa caduta nell’oblio) ed ha richiesto all’ANP di non avere precondizioni per poter riavviare il dialogo.Questa situazione di stallo mette a rischio il lavoro che Obama sta cercando di fare, per molti illudendosi, al fine di dare una nuova faccia alla poli-tica mondiale.Intanto i mesi sono passati tra pretese e contro-pretese, pro-tagonismi, azioni plateali (Abu Mazen che non si candida alla presidenziali di gennaio), ten-sioni da nuova intifada e via

discorrendo e tutto è rimasto uguale, con la differenza che nell’immobilità sono le posizio-ni più oltranziste a fermentare.Non si tratta in questa sede di valutare chi ha ragione tra Obama, Abu Mazen e Netan-yahu ma semplicemente se non sarebbe stato opportuno torna-re subito alle trattative per po-ter ottenere, in quasi un anno, probabilmente di più di quello che finora è stato ottenuto da questa politica delle condizioni vincolanti.Il contesto in cui l’ANP e Isra-ele si muovono è molto perico-loso per entrambi perché non è solo da una parte che pende la minaccia del terrorismo e del fallimento.L’asse Iran-Siria, Hezbollah, Hamas e l’integralismo sono pericoli per entrambi e premo-no per il fallimento di qualsiasi iniziativa volta alla pace.C'è bisogno di un Presiden-te USA forte che non abbia paura di urtare nessuno per portare a termine una missio-ne impossibile per tutti i suoi predecessori, per questo fare da mediatore ma premere ec-cessivamente solo su un prota-gonista da parte di Obama si sta rivelando il prologo di un fallimento. L’ennesimo per la pace in medio oriente.

Gabriele Polgar

Che qualcuno stia cercando di far rinascere l'impero ottomano?

Tensioni Usa-IsraeleObama e Netanyahu si incontrano per quasi due ore ma non parlano con la stampa

Fratellastri in trincea

prodotto anche contestazioni, tra i giovani studenti di Ca-racas, tra diverse associazioni brasiliane che hanno sfilato sulla spiaggia di Ipanema per contestare la presenza di un leader politico macchiatosi in patria di gravi lesioni dei di-ritti umani oltre che in difesa di Israele, ma a Caracas come a Rio trattavasi di elite o mi-noranze.Certamente le metropoli sud americane hanno altre criti-cità giornaliere da affrontare che non le questioni di co-scienza politica generate dal-la presenza di leader politici impresentabili, ma poi biso-gna fermarsi qui, da domani bisognerà cominciare a chie-

dersi se il percorso politico di Lula non possa degenerare in un sentiero estremista, maga-ri in giacca e cravatta e tanto formalismo (dilibertiano), ma pur sempre estremista che fi-nisca per metterlo nella stes-sa trincea di dittatori come Hugo Chavez.Una cosa è certa, dopo il viaggio sud americano di Ah-madinejad, restano tutti gli interrogativi sull’opportunità di implementare il modello di governance globale avvia-to con l’istituzione del G20 e di cui il multilateralismo ad ogni costo si è fatto promoto-re inopinatamente senza se e senza ma.

Mahmoud Ahmadinejad si presenta in Sud America per un tour organizzato per rin-saldare rapporti ed alleanze in chiave anti occidentale. Brasi-lia e Caracas tappe chiave di un viaggio che nelle intenzio-ni doveva dare un vernissage meno lugubre al volto di un Presidente la cui rielezione è legata ad esecuzioni, torture ed assassini di nemici politici.I fatti della rivoluzione verde, il sangue di ‘Neda’ e la repres-sione costata la vita e il carcere duro a tanti giovani restano macchie difficilmente cancel-labili.Ma evidentemente non per tutti: che il Caudillo di Ca-racas potesse essere interessa-to ad offrire una sponda ad Ahmadinejad era nelle cose, che Ahmadinejad corresse in soccorso all’amico Chavez per rassicurarlo dell’appoggio ira-niano nella crisi apertasi con la Colombia dopo la scelta di Bogotà di permettere allo Zio Sam di aumentare il numero degli effettivi nelle basi mi-

litari colombiane al confine con il Venezuela, non poteva sorprendere, quello che inve-ce ha sorpreso, il vero fatto, la notizia che pone più di un interrogativo è il sostegno aperto del Presidente brasilia-no Lula incassato dal dittatore di Teheran nella sua corsa al nucleare.Il Governo di Brasilia sta svol-tando su posizioni dilibertia-ne, di tale realtà di fatto in Italia ce ne siamo dovuti acco-gere prima di altri. La vicenda paradossale e grottesca legata all’estradizione di Battisti che il Ministro delle Giustizia bra-siliano Tarso Genro impedisce con tutte le sue forze - perché “in Italia il fascismo è in incre-mento (?)” - dopo il via libera giuridico della Suprema Corte di Brasilia che ha riconosciuto i crimini di Battisti come dei meri delitti che non avevano nulla a spartire con la politica o la lotta armata dei dramma-tici anni ’70 italiani, ha assun-to il peso di una decisione po-litica ben precisa, di quelle che

mandano un messaggio politi-co ben preciso e di cui anche Lula deve risponderne.Invece che sgombrare il cam-po dalle ambiguitò, Lula acco-glie con tutti gli onori un Pre-sidente che predica l’odio nei confronti di uno stato demo-cratico, che ne auspica la can-cellazione e che coerentemen-te – e per l’inedia occidentale – si sta dotando della tecnolo-gia e dell’arsenale necessario. La retorica è quella cara agli anni buttati di tante espe-rienze politiche sud america-ne: yankee go home, abbasso l’imperialismo, Che Guevara, l’oppressione palestinese da parte degli aguzzini israeliani; la cosa grave è che a ritrovarci-si dentro è l’esponente apicale di uno Stato, il Brasile, accol-to nel club dei grandi (G20), punto di riferimento regionale per la realizzazione di qualsiasi politica panamericana, metro di sviluppo continentale, part-ner privilegiato delle principa-li economie europee.Scevro da sorprese è stato inve-

ce l’incontro di Mahamud Ah-madinejad con Hugo Chavez. Venezuela ed Iran ''sono fra-telli che lottano insieme nella trincea contro l'imperialismo e formano un fronte comune contro la sua arroganza'' e di rimando il presidente vene-zuelano Chavez che definsce Israele ''il braccio assassino dell'impero yankee''. Un film già visto se non che il silenzio seguito all’incontro lascia adito a sospetti circa il tenore degli argomenti all’ordine del gior-no. L’Iran continuerà a fornire tecnologia ed armi a Chavez? Sino a che punto si spingerà nell’incoraggiare lo scontro con la Colombia alleata degli Stati Uniti d’America?In questo quadro il silenzio obamiano è eloquente. All’in-quilino della Casa Bianca deve oramai risultare evidente come non bastino sorrisoni, inchini e la capacità di incassare a fare una politica estera e di sicurez-za per il suo Paese, perché la Cina resta non vicina.Il viaggio di Ahmadinejad ha

Ahmadinejad nel tour in sudamerica scopre un nuovo fan

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La Piazza D’Italia - Esteri

La tortuosa strada verso Copenhagen

G2 USA - Cina

Il risiko delle nomine UE

La “green economy” è una visione del futuro, è uno svi-luppo a misura d’uomo, è un investimento in cui profitto e salute camminano di pari passo.L’economia verde mette sul-la bilancia il progresso e gli ecosistemi naturali senza che il piatto s’inclini in modo evidente verso il primo peso; essa propone un mercato in cui gli effetti della produtti-

vità umana non incidono ne-gativamente sui cambiamenti climatici e sul riscaldamento globale.Essa si basa sulle fonti di energia rinnovabili, volte a sostituire lo sfruttamento dei combustibili fossili e a porre rimedio al loro esaurimento.Questo è stato uno dei punti chiave della campagna eletto-rale di Obama, che ha susci-tato dubbi, ma che di certo

ha anche riscosso molto suc-cesso.Il New Deal del Presidente coinvolge tutti i settori pro-duttivi e sociali e sottopone gli Stati Uniti ad una vera rivoluzione, almeno nelle in-tenzioni.In previsione ci sono misure a breve e a lungo periodo: taglio dell’80% della CO2 entro il 2050, fine della di-pendenza dal greggio entro

10 anni, 10% di rinnovabili entro 4 anni e riduzione en-tro 10 anni del 15 % dei con-sumi di elettricità. Nel piano ci sono anche la creazione di 5 milioni di nuovi posti di lavoro nell’energia pulita. Insomma, un programma ambientale energetico inno-vativo, che fa del “business verde” un nodo strategico fondamentale per la ripresa dell’economia.

Nelle battaglie dure e diffici-li s’incontrano sempre degli ostacoli e i “ma” insorgono senza indugi; in questo con-testo ce n’è uno che si staglia all’orizzonte come un muro quasi invalicabile: la reale possibilità di sottoscrivere impegni vincolanti in sede internazionale affinché si crei un successore del protocollo di Kyoto condivisibile da tut-te le forze in campo e che ab-

bia effetti pratici immediati.In questo senso ha segnato una speranza il nuovo asse Pechino–Washington sul-la cooperazione climatica. A fine Settembre 2009 Ban Ki-Moon ha riunto all’Onu un’assemblea per far uscire dallo stallo i negoziati inter-nazionali in vista del COP 15 di Dicembre a Copenaghen: qui, i due paesi che da soli producono più del 40% del-

le emissioni di CO2, hanno mostrato una nuova affinità d’intervento ambientale.Ma l’appena trascorso G-2 tra America e Cina ha fatto evaporare in pochi giorni ogni entusiasmo.Il colpo è stato duro quando il 15 Novembre a Pechino, entrambi i leaders hanno an-nunciato al mondo la brusca frenata sulla riduzione delle emissioni; col veto dei due paesi, è svanita in un attimo la possibilità di prendere de-cisioni operative al prossimo summit danese che puntava ad un accordo vincolante sul-la riduzione entro il 2050 del 50% delle emissioni di ani-dride carbonica.Il COP 15 che si terrà dal 7 al 18 Dicembre non sarà dunque un punto d’arrivo ma una nuova partenza, l’ennesi-ma, perché Usa e Cina non hanno trovato compromessi tra i loro interessi.Il mancato accordo tra i due stati ha motivazioni varie; di sicuro Hu Jintao ha cer-to avviato una riconversione verde dell’economia cinese con l’investimento di ingenti somme di denaro nell’energia rinnovabile, ma non è affatto disposto ad accettare vincoli sulle emissioni se non dopo una prima mossa degli Usa.Obama, da parte sua fatica a far passare “in casa” la legge sulla riduzione di CO2 da mostrare alla Cina come pro-va di buona volontà.L’Energy Bill, il disegno di legge che dovrebbe intro-durre un sistema di tetti alle emissioni carboniche e di permessi a pagamento, a stento arriva ad avere confer-me in Senato.L’iter ha dapprima subito ri-tardi per la discussione sulla

riforma sanitaria e ora, è scat-tata la decisa offensiva delle lobby che rappresentano i settori industriali più inqui-nanti. Alla guida della batta-glia contro la legge anti emis-sioni c’è la U.S. Chamber of Commerce.Grida alla disoccupazione di due milioni di persone se il provvedimento sarà appro-vato; ovviamente inoltre ci sono in ballo gli incalcolabili interessi che girano attorno all’oro nero.Nel paese asiatico le cose sono diverse: per la leader-ship che circonda Hu Jintao, lo sviluppo sostenibile è di-ventato materia trattata quo-tidianamente. Però Pechino ha evitato la recessione grazie ad una maximanovra di spesa pubblica, ma hanno fatto da traino i maggiori settori in-dustriali inquinanti ed ener-givori.Inoltre, al G-2, il presidente cinese ha richiesto ingenti trasferimenti di fondi dai pa-esi occidentali verso le nuove nazioni emergenti per fare fronte agli sforzi di riconver-sione ambientale di questi ul-timi e precise garanzie sul fat-to che le nuove norme sulle emissioni di CO2 non offra-no un pretesto negli USA o in Europa per introdurre dei dazi contro le importazioni di quei paesi che inquinano di più. In sostanza una forma di protezionismo contro il Made in China.Ma Obama dve ponderare bene le sue posizioni, perchè come egli stesso ha dichia-rato, l'America vede il 60% delle sue esportazioni andare verso l’Asia, infatti i suoi 4 principali partners economici sono asiatici.Il 17 Novembre però, in modo

congiunto i due paesi hanno dichiarato che non è possibile nessuna sfida al cambiamento climatico se Usa e Cina non operano insieme e, il vertice di Copenaghen non può par-torire soltanto una dichiara-zione politica ma per forza un accordo che abbia effetti operativi immediati.Ne è seguito un elenco detta-gliato degli impegni presi in comune: la creazione di un centro di ricerca Usa-Cina sulle rinnovabili, un pro-gramma di investimenti con-giunti per il “carbone pulito”, un piano condiviso per lo svi-luppo delle auto elettriche.La modesta svolta sembra sia stata dettata sia dall’aver preso coscienza di aver snob-bato un po’ troppo l’Europa e sia da un nuovo compro-messo che prevede che i pa-esi di più vecchia industria-lizzazione dovranno stabilire dei tetti di emissione precisi e vincolanti; mentre quelli emergenti, avranno obietti-vi meno ambiziosi e saranno sottoposti solo ad un moni-toraggio.Il quindicesimo incontro della Conferenza delle Parti (COP) che si terrà a Cope-naghen il prossimo Dicem-bre aveva prima di questo incontro Usa-Cina, l’ambi-zioso scopo di raggiungere un accordo globale e vinco-lante sul clima a partire dal 2012, scadenza del primo impegno previsto dal proto-collo di Kyoto. Ora invece, non si sa cosa uscirà fuori dal Summit in Danimarca, visto e dimostrato che innegabil-mente l’unica cosa sulla qua-le tutti sono d’accordo è che gli interessi economici e gli accordi commerciali vincono su tutto, anche sul futuro.

novità del Trattato di Lisbo-na, mentre Mr PESC eredi-terà il posto che fu di Solana (e fini qui poco da guada-gnarci) ma sarà anche colui che coordinerà le politiche di sicurezza del continente, con il compito di armoniz-zare una linea di politica in-ternazionale sino ad adesso cacofonica. I risultati che verranno ottenuti nella as-solvimento dei compiti asse-gnati istituzionalmente a tali cariche saranno fondamen-tali per la programmazione dei successivi passi verso la compiuta integrazione del-la Federazione come quello verso una difesa comune.In quest'ottica appare evi-dente come il Presidente debba essere un simbolo di europeismo, qualcosa che è di certo mancato a Tony Blair e che pare indebolir-ne la candidatura a favore di un non meglio precisato

tedesco. Se Blair fosse eletto Presidente - quale socialista - sbarrerebbe le porte dell'uf-ficio di Mr PESC a Massimo D'Alema, resta il dubbio sulla esperibilità della carica Miliband - anche se l'inte-ressato ha più volte smentito e la canditatura dell'ultima ora di Moratinos avanzata da Zapatero (e anche da questi smentita).I dubbi sull'assegnazione di una tal carica a membri di un Paese che non hanno ancora deciso a quale titolo vogliano far parte del club europeo sonon più che leci-ti, di contro sono altrettanto leciti i dubbi circa i contenu-ti politici che D'Alema por-terebbe nella visione di una politica internazionale euro-pea. Non sono un segreto le sue simpatie "socialiste" per il movimento libanese Hez-bollah, che però guarda caso è un movimento che fa uso di mezzi terroristi per il rag-giungimento dei suoi obiet-

tivi politici. Famosa la pas-seggiata con i dirigenti del 'Partito di Dio' tra le mace-rie dopo l'ultima guerra isra-elo-libanese. Certo D'Alema ha buoni rapporti anche con Israele e con l'establishment democratico statunitense che non dimentica l'appog-gio al bombardamento della Serbia e l'impegno italiano in Kossovo varati negli anni di Clinton anche grazie al sostegno di D'Alema, certo è che a complicare la papa-bilità della nomina resta il passato comunista, le visite all'U.R.S.S. di Breznjev che certo non scaldano il cuore ai dirigenti politici di quei Paesi usciti dalla cortina di ferro tra lacrime e sangue: vagliela a spiegare la diversi-tà dei comunisti italiani!Ciò non di meno, lo snodo resta cruciale, l’Unione Eu-ropea del dopo Crisi è un continente che ha retto in buona parte all'ondata se-guita al Credit Crunch, ma

resta legato sotto il profilo della crescita economica e quindi della tutela dei pro-pri interessi sugli scenari internazionali, a vecchi ed obsoleti cliché.In tutte le Cancellerie euro-pee viaggia la convinzione che è questo il momento, il tempo per tra-sformare il blocco europeo in un ter-zo interlocutore imprescindibi le e alla pari con il G2 USA-CINA, una visione 'Paci-fica' proposta dal Presidente U.S.A. Obama che isola il vecchio conti-nente e lo relega ad interlocutore secondario nono-stante esso resti ancora la zona di libero scambio in termini di PIL più ricca del pianeta.Se il Declino da

ipotesi diventerà fatto mol-to dipenderà dal successo nell'applicazione del Trat-tato di Lisbona e quindi dalla capacità dei nominan-di Presidente e Mr PESC di incarnare una nuova ver-sione più avanzata dell'in-tegrazione europea, le no-

mine saranno quindi un momento cruciale che il risultato di ciò possa avere il volto di Massimo D'Ale-ma certo agli italiani potrà apparire straniante ma per una volta che sia la carità di Patria ad avere la meglio.

Giampiero Ricci

Dalla Prima

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La Piazza D’Italia - Economia

Nord Axis, che rientra nel programma per le reti transeuropee di trasporto (TEN-T) e al relativo Li-bro Verde.Già presentato e discusso presso il Parlamento Eu-ropeo a Bruxelles, SoNo-rA, del quale fra l’altro la Regione del Veneto è pro-ponente e coordinatore, è un programma di coope-razione europea che punta allo sviluppo di una rete multimodale efficiente di connessione tra il mare Adriatico e il mar Baltico, migliorando l’accessibili-tà multimodale all’Europa Centrale, ottimizzando i servizi logistici e fornendo indicazioni agli organi eu-ropei per una più concreta pianificazione delle infra-strutture viarie e ferrovia-rie. Fra le attività di SoNo-rA ci saranno una serie di studi di pre-investimento per piani e collegamenti di rilevanza transnazionale per il corridoio Sud-Nord; l’aggiornamento della rete regionale dei trasporti in considerazione alle previ-sioni dei nuovi flussi del corridoio; nuovi servizi della logistica.SoNorA, finanziato nell’ambito dell’Obiettivo 3 Cooperazione Territoriale – Programma Central Eu-rope, coinvolge 25 partner e interessa geograficamen-te le aree di Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Ro-magna, Repubblica Ceca, Polonia, Austria, Slovenia e Germania.il 76,8% nell'Unione eu-roepa, rilevano i tecnici, si distribuisce su gomma e le carenze infrastrutturali generano traffico e conge-stione. Ovvio perciò che il futuro dei trasporti si gio-cherà sulla velocità garan-tite dalle rotaie.Bisognerà metter mano anche alle burocrazie, che spesso e volentieri mettono il bastone tra le ruote, por-tando ad un incremento a volte insostenibile dei co-

sti. I paesi più colpiti dal-la piaga burocratica sono quelli dell’Est Europa.La tempistica elefantiaca difatti mette in crisi i gi-ganti di quell’area come la Polonia che hanno un di-sperato bisogno di poten-ziamento della rete strada-le, e che proteste e ricorsi continui le impediscono di sviluppare come dovrebbe.Fare presto e bene, dunque, raccomanda l’Ue, per ag-gredire al meglio la ripresa che dovrebbe man mano irrobustirsi dal 2010.Anche i privati sono anch’essi chiamati ad ope-rare. Non senza che l’Euro-pa ci metta del suo benin-teso.Ed ecco che arrivano i sol-di. La Commissione Euro-pea infatti ha testè annun-ciato il primo gruppo di progetti che beneficeranno di un totale di 500 mln di euro destinati a importanti opere di infrastrutture di trasporto in tutta l'UE.I fondi saranno assegnati a titolo del programma Rete transeuropea dei trasporti (Ten-T), che contribuisce a finanziare i lavori di co-struzione dei collegamenti mancanti o di eliminazio-ne delle strozzature, per rendere più rapida e facile la circolazione delle merci e delle persone tra gli Stati membri.Tale importante finanzia-mento è destinato a pro-getti realizzati in Austria, Belgio, Germania, Spagna, Francia, Ungheria, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Svezia e Regno Unito.Nei prossimi mesi sarà reso pubblico un secondo grup-po di progetti che benefi-ceranno dei fondi.Sta ora ai singoli paesi im-piegare al meglio le risor-se (eliminando gli impe-dimenti di cui sopra) per superare l’attuale empasse e fare un ulteriore passo verso l’integrazione e il be-nessere comune.

Francesco Di Rosa

L’inversione di tendenza in Europa va corroborata da un investimento deciso nelle infrastrutture per aggredire la ripresa

Verso la ripresaScherzi della crisi.Alla fine del 2009 gli ita-liani saranno più ricchi de-gli inglesi. È uno dei più eclatanti effetti collaterali della crisi globale. Per in-tanto gonfiamo il petto.A livello europeo, per la prima volta dopo quasi due anni la Commissione euro-pea si appresta a rivedere al rialzo le sue previsioni di crescita dell’economia eu-ropea.Tutte le maggiori econo-mie del Vecchio Continen-te - compresa l’Italia - dal prossimo anno torneranno ad avere un Pil in trend positivo. I numeri confer-mano che il 2009 è stato un “annus horribilis”, ma non così horribilis.Difatti il 2009 è anche l’anno dell’ inversione di tendenza. Nel 2010, poi, il Pil di Eurolandia dovrebbe

salire intorno all'1% (ri-spetto alla precedente sti-ma dello -0,1%) e nel 2011 crescere ancora un pò.Il messaggio di Bruxelles a coloro che hanno visto cre-scere a dismisura il proprio debito (come la Francia) è chiaro: concentrare la stra-grande maggioranza degli sforzi sul risanamento dei conti.Anche per quei pochi paesi toccati di striscio “di stri-scio” dalla crisi il rilancio resta problematico visti i problemi nel frattempo aggravatisi come il debito pubblico e la carenza delle infrastrutture.Essendo quanto mai pro-blematico attaccare il de-bito pubblico se non col taglio della spesa il nodo gordiano che in grado di schiudere all’Europa la via della ripresa è rappresenta-

to dalle infrastrutture.Potenziare e ammoderna-re: questa in sostanza la chiave di volta atta a do-tare il vecchio Continente dei mezzi necessari a ripar-tire.Anche a livello di occu-pazione visto l’aumento di disoccupati in aree re-centemente considerate autentici paradisi del la-voro (Irlanda e Spagna su tutte).“Serve un impegno forte da parte degli Stati mem-bri – aveva dichiarato Almunia. Il settore delle infrastrutture e' il modo migliore per reagire a una crisi economica e finanzia-ria che non può vedere la stessa Unione Europea e gli stati membri giocare in difesa”.Lo sviluppo e la ripresa economica passano dunque

per un rilancio di logistica, trasporti e infrastrutture. In quest’ottica un ruolo chiave sarà rivestito dal Progetto SoNorA – South

Apriranno i cantieri delle opere pubbliche?

Apriranno tutti entro la fine del 2009 per ridurre il trentennale ritardo dell’Italia

Stando ai tempi previsti dal Governo, sembra or-mai impellente l’apertura dei cantieri delle opere deliberate. Nello scorso mese di Marzo il Governo Berlusconi aveva dato il via ad un piano straordi-nario di 17,8 miliardi de-stinati alle grandi opere, l’intento è quello di rag-giungere due obiettivi:aggiungere un altro im-portante elemento al piano anticrisi, perché la realizzazione delle opere genera commesse per le imprese e dunque posti di la-voro, e recuperare il trenten-nale ritardo infrastrutturale dell’Italia, che produce costi per le imprese, penalizza il turismo e impedisce di com-petere ad armi pari sui mer-cati esteri.Le principali opere finanziate sono il ponte sullo stretto con uno stanziamento pari a 1,3 miliardi di euro, EXPO 2015 e metropolitane con 1,5 mi-liardi di euro, Mose per Vene-zia con 800 milioni di euro, strade e autostrade con 2 miliardi di euro, alta velocità ferroviaria (Milano-Genova, Firenze Bologna) con 2,75 miliardi di euro, il sistema idrico del Mezzogiorno con 150 milioni di euro ed infi-ne autostrade (Pedemontana, Cecina-Civitavecchia) con uno stanziamento pari a 8,1 miliardi di euro.Tutte queste opere fino ad ora non sono state avviate. Se da un lato occorre sottolineare l’interesse del Governo ad affrontare una problematica ormai come più volte riba-

dito troppo vecchia, si tratta di un trentennio di stasi rea-lizzativa, dall’altro va rilevato che non c’è stata alcuna acce-lerazione concreta affinchè i cantieri possano cominciare ad aprire i battenti. In una fase economica fortemente recessiva, un Governo deve necessariamente imprimere una forte accelerazione per la realizzazione di opere pubbli-che, perché queste hanno ef-fetti benefici per l’occupazio-ne e per la crescita del Paese sia in termini di reddito che di qualità dell’offerta. Le ope-re pubbliche, indubbiamente costituiscono spesa pubblica, ma sono indispensabili in un Paese che da trent’anni non ha beneficiato di alcun inter-vento infrastrutturale degno di nota. In un sistema terri-toriale orami integrato, dove la mobilità del flusso turistico cresce costantemente, non è più tollerabile e pensabile di poter ritardare l’intervento. Il Paese ha bisogno di un in-tervento infrastrutturale che sia concreto cioè che riduca i tempi di percorrenza tra

le grandi città e che miglio-ri la sicurezza dei cittadini sulle strade, mediante una pavimentazione più sicura. Le strade della capitale sono ancora irregolari, insicure, e questo costituisce un grave danno sia alla cittadinanza che ai turisti.Il piano varato dal Governo nel marzo scorso indubbia-mente comporterà benefi-ci occupazionali, lo stesso Governo ha previsto che nell’arco del triennio 2009-2011 si creeranno 50.000 posti di lavoro, ai quali van-no aggiunti i 65.000 licen-ziamenti che si eviteranno grazie a questi interventi, per un totale di 210.000 nuovi posti di lavoro.Il suindicato effetto fino ad ora è rimasto valido sulla car-ta visto che i cantieri ancora devono iniziare ad aprire. Si rileva, inoltre, che i ritardi dei policy makers nell’avviare l’opera di intervento infra-strutturale costituiscono solo costi per i cittadini e danni all’economia nazionale. Que-sti, con molta franchezza se

si vanno a sommare alla crisi economica che sta attraversando l’Italia, alla contrazione della doman-da interna ed internazio-nale, all’aumento della di-soccupazione, non fanno ben sperare. Il dibattito politico in questi giorni non sta minimamente affrontando il problema, l’aula parlamentare non è ancora una volta in sintonia con le esigenze prioritarie del Paese e con i tempi della ripresa, se questa discrepanza tem-

porale continua e va oltre il 2009 il ritardo diventa ancora più pesante.Ogni qualvolta si debbono tradurre in fatti le opere o gli interventi previsti e delibe-rati sulla carta i tempi sono sempre infiniti, un Governo che ritiene di essere respon-sabile, di non lasciare nes-suno indietro, non può pro-nunciare solo queste frasi in occasione di calamità natura-li, ma deve sostenerle anche quando è ora di intervenire concretamente in un tessuto infrastrutturale carente e da Terzo mondo.La “chiacchierocrazia” ha sempre fatto emergere chi parlava troppo e concludeva poco, l’auspicio è che il Go-verno Berlusconi che negli anni precedenti si è rafforzato grazie proprio al suo pragma-tismo ed al suo elevato tasso di concretizzazione, possa nel più breve tempo possibile tra-durre in fatti quello che ha previsto nel piano straordina-rio di marzo.

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Il Financial Times ha stila-to una classifica dei Mini-stri dell'economia di tutta l'Unione Europea, ed è da evidenziare la spettacolare rimonta del nostro Mini-stro Giulio Tremonti che va ad occupare il quinto posto lasciando la sedicesima po-sizione. Merito della buona gestione delle finanze pub-bliche in tempo di crisi. “Nonostante i problemi in politica interna, ha miglio-rato la reputazione fiscale dell'Italia”, spiega infatti il Financial Times.Il quotidiano ha messo in fila il comportamento dei vari ministri, valutando i loro comportamenti e come sono usciti dalla crisi. Davanti a Tremonti, fra le principali economie europee, Francia, il cui ministro Lagarde si piazza in prima posizione, e Stein-bruck. Dietro, invece, sia sia l'inglese Darling, settimo, che Elena Salgado, con Ma-drid che si piazza sedicesima.La buona performance del Ministro italiano, secondo l'articolo, segnala come le fortune siano spesso state trasformate dalla crisi finan-ziaria: negli anni precedenti l'Italia era scesa vicino al fon-do della classifica.Se da un lato gli italiani, pos-sono apprezzare il buon piaz-zamento del ministro Giulio Tremonti, dall'altro bisogna prendere atto di una realtà che comunque non è ancora positiva sia sotto l'aspetto dei conti pubblici che sotto quello della ri-presa economica.I principali Paesi eu-ropei hanno più volte manifestato l'inten-zione comune di defi-nire una exit strategy dalla crisi, ma ogni giorno debbono fare i conti con una real-tà economica che ha tempi molto diversi e più lenti rispetto a quelli deicisionali. Non sempre, infatti,

i tempi della politica coin-cidono con quelli dell'eco-nomia, e questa discrepanza si traduce in un ritardo che penalizza l'economia nel suo complesso.Se dobbiamo valutare il com-portamento del Ministro Tremonti non possiamo non allinearci a quanto indicato dal Financial Times, ma se dobbiamo valutare l'efficacia delle politiche nella realtà economica del nostro Paese il disallineamento è palese. Il nostro sistema economico, seppur meno colpito dalla crisi finanziaria rispetto agli altri, da tempo non riesce a cavalcare l'onda della cre-scita. Dall'entrata in vigore dell'euro i consumi hanno subìto una forte contrazio-ne seguendo un trend quasi sempre negativo, che a sua volta ha inciso negativamen-te sulla crescita del prodotto interno lordo, insieme agli investimenti.L'11 settembre e la crisi fi-nanziaria verificatisi nell'ulti-mo decennio, hanno sicura-mente ostacolato le strategie di politica economica più volte predefinite in sede isti-tuzionale, la continua rivi-sitazione di questa politica resasi necessaria per fronteg-giare situazioni impreviste, insieme al disastro ambien-

tale dell'Abruzzo, hanno in-negabilmente complicato la governance del sistema eco-nomico e soprattutto osta-colato il ritmo di crescita, invertendone addirittura la tendenza.Gli altri Paesi europei, come Spagna, Francia, Germania, Portogallo, si sono impegnati in un percorso di ripresa ma fino ad oggi ci sono solo ti-midi segnali. L'economia più avanzata, cioè quella ameri-cana, embrione della crisi, stenta a riprendersi, il tasso di disoccupazione continua a crescere.Occorre sottolineare però che tutti i responsabili dei Governi dei singoli Paesi hanno dimostrato un forte senso di prudenza e una ve-locità interventistica note-vole, un ottima capacità di concertazione ma tutto que-sto non è stato sufficiente. Quindi, se bisogna valutare i comportamenti dei policy makers si può concordare sulla classifica stialata dal FT, cioè i comportamenti dei ministri dell'economia sono stati giusti e sono sta-ti indirizzati ad arginare la crisi; ma se si vuole valutare l'efficacia delle politiche ai fini di una ripresa ancora è presto per valutarne la bon-tà. E' chiaro che ai cittadini

di un qualsiasi paese, inte-ressato dalla crisi, non è che interessi molto la classifica, semmai possono trarre da questa un buon segnale circa il comportamento tenuto dai loro rappresentanti, ma ora quello che occorre è dare ri-sposte concrete alle famiglie, ai disoccupati, alle imprese.Le banche hanno fatto il loro dovere, anche se non tutte hanno dimostrato vo-lontà, velocità e facilità nel concedere prestiti alle picco-le imprese, alle famiglie, ma comunque nel complesso il comportamento degli istituti di credito è stato sufficiente. I politici hanno strumen-talizzato meno del solito il problema della crisi, e questo è un gran passo in avanti ver-so un dibattito parlamentare che mostri maturità e serietà, sia in Italia che in Europa.Al trionfalismo del grup-po si possono unire buone politiche di intervento ma sempre facendo i conti con i risultati della politica e quel-li dell'economia occorre fin da ora dare una accelerazio-ne al sistema economico nel suo complesso, attraverso la leva delle infrastrutture, del-la modernizzazione dei Paesi e dei consumi, riallocando le risorse umane in un mer-cato ormai troppo ostile nei

confronti dei lavo-ratori.Senza reddito non c'è consumo, si asciugano sempre più i risparmi, non circola moneta e l'economia stenta a ripartire. Occo-re uscire presto da questo circuito, non sempre può essere utile un intervento pubblico a finan-ziamento del siste-ma, ma occorre una spallata al mercato del lavoro renden-dolo più flessibile e virtuoso con meno barriere all'ingresso e con più sgravi fi-scali alle imprese.

La Piazza D’Italia - Economia

Scudo fiscale: capitali per 300 miliardi

E’ stato varato il nuovo scudo fiscale, terza versione dopo quelle del 2001-2002 e del 2003. L’art. 13-bis del decre-to legge 1 luglio 2009, n.78, convertito in legge 3 agosto 2009, n.102, ha, infatti, intro-dotto una disciplina che con-sente l’emersione, mediante regolarizzazione o rimpatrio, delle attività finanziarie e pa-trimoniali detenute all’estero in violazione della normativa sul monitoraggio fiscale. At-traverso il pagamento di una imposta straordinaria il con-tribuente “sana” la propria posizione e si garantisce uno “scudo”, cioè una protezione, dagli accertamenti futuri da cui emergano maggiori im-ponibili come conseguenza di rilievi astrattamente ido-nei ad aver originato i capitali emersi.Le iniziative dei più impor-tanti Paesi occidentali ten-dono a obbligare gli Stati a fiscalità privilegiata ad adot-tare regole di trasparenza che non consentano ai cittadi-ni stranieri di nascondere i propri capitali agli occhi del fisco e della magistratura del Paese di residenza e a im-mettere nuove liquidità nelle rispettive economie, contri-buendo così ad alleviare la crisi e a fornire nuove risorse ai Governi nazionali per so-stenere la spesa pubblica e gli investimenti.Si è parlato di “ultima chia-mata” per coloro che, negli anni, hanno esportato de-naro ed altre attività oltre confine: l’incremento della cooperazione amministrativa tra le autorità competenti dei vari Stati, la semplificazione delle procedure di scambio di informazioni, anche con Stati tradizionalmente re-stii a collaborare, dovrebbe rendere molto meno sicuro mantenere capitali all’estero in modo illegittimo.Lo scudo, quindi, si presenta come uno strumento adatto a regolarizzare situazioni pre-gresse, evitando i rischi con-seguenti al mutato quadro interno ed internazionale. Sono state introdotte alcune novità normative: basti pen-sare ad esempio alla presun-zione relativa di imponibilità per le attività detenute in ter-

ritori a fiscalità privilegiata in violazione delle norme sul monitoraggio, il raddoppio delle sanzioni amministrative per omessa e infedele dichia-razione nei casi di cui al pun-to precedente, l’estensione della disciplina delle società partecipate estere (CFC) anche ai Paesi dell’Unione Europea con fiscalità ridotta, al ricorrere di determinate condizioni, il rafforzamento dei poteri ispettivi di Agen-zia delle entrate e Guardia di finanza con istituzione di unità operative speciali per il contrasto dell’evasione e dell’elusione internazionale.Si tratta di tutti motivi che possono rendere opportuno verificare l’eventuale conve-nienza dell’emersione delle attività finanziarie e patri-moniali detenute all’estero. Così facendo, le risorse rim-patriate possono costituire nuova liquidità da immettere nell’impresa o garanzie col-laterali sui mutui bancari o semplicemente un modo per chiudere un rapporto fidu-ciario con gestori esteri che si è dimostrato meno vantag-gioso di quando ipotizzato in origine.Non bisogna trascurare che il successo della misura vol-ta a favorire l’emersione di attività detenute all’estero dipende largamente dall’affi-damento che i soggetti inte-ressati ripongono nella reale idoneità dello scudo fiscale a costituire una preclusione a futuri accertamenti fiscali e previdenziali, con particolare riguardo ai reati tributari.Non vanno neppure sotta-ciuti alcuni aspetti che pos-sono rendere incerto l’utiliz-zo dell’istituto: al riguardo, si osserva da subito che le atti-vità collocate in Paesi extra-UE che non assicurano un effettivo scambio di informa-zioni devono essere necessa-riamente rimpatriate (ma ciò non è sempre possibile per le attività patrimoniali) in quanto non è consentita la regolarizzazione e che, inol-tre, a prescindere dalla vo-lontà di far emergere attività finanziarie e patrimoniali de-tenute all’estero, a volte può risultare complessa l’opera-zione di rientro in quanto gli

investimenti possono essere soggetti a vincoli contrattuali che non consentono il riscat-to prima di una certa data o impongono penali molto ele-vate nel caso di riscatti prima di un determinato lasso tem-porale o sussistono situazioni di mercato che ne rendono difficile o non conveniente lo smobilizzo. L’introduzio-ne della nuova versione dello scudo fiscale è stata accolta con entusiasmo da alcuni, che ne hanno sottolineato i vantaggi, e con scetticismo da altri che hanno evidenzia-

to come lo scudo fiscale pre-senti i connotati di un ulte-riore condono con tutto ciò che è “etichettabile” negati-vamente in provvedimenti di siffatta natura.È chiaro che se si vuole man-tenere una posizione neutrale rispetto all’efficacia o meno della misura occorre soffer-mare l’attenzione sull’analisi degli aspetti tecnici della nor-ma. Ma in questa sede è più opportuno fornire un primo giudizio sulla misura adotta-ta dal Governo. Il giudizio è positivo se si stacca l’istitu-

to dello scudo da quello del condono, diventa negativo quando i due istituti si fan-no coincidere, perché il mes-saggio che verrebbe fornito contribuente sarebbe: detie-ni attività finanziarie illegali per eludere ed evadere il fisco tanto prima o poi condone-rai o sanerai questa attività corrispondendo un’imposta straordinaria complessiva.È sempre difficile fare delle previsioni sulla bontà delle misure legislative, perché in prima in prima battuta po-trebbero apparire inefficaci

ma successivamente potreb-bero tradursi in strumenti ef-ficaci, salvo che il giudicante non sia portatore di soluzioni assolute oppure sia animato da una forte presunzione di sapienza.Per concludere si può affer-mare che lo scudo fiscale è uno strumento idoneo per ora a sanare situazioni pre-gresse illegali ma la vera sfi-da dello strumento sta nel disincentivare i detentori di capitali a porre in essere ope-razioni elusive.

Avanzino Capponi

Il rimpatrio delle attività patrimoniali e finanziarie detenute illegalmente possono essere legalizzaste

Classifica dei Ministridell'economia UE: Tremonti quinto

Ai buoni comportamenti istituzionali deve seguire l'efficacia della politica economica

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La Piazza D’Italia - Attualità

Il novello, che corrisponde al primo vino della vendemmia appena trascorsa, si produce con la tecnica della macera-zione carbonica che è atta a favorire un’elevata intensità colorante e spiccati aromi. Con la vinificazione classica l'uva prima viene opportu-namente pigiata e poi avviata al processo di fermentazione alcolica; invece con la tecnica della macerazione carbonica (altro tipo di vinificazione) i grappoli di uva interi e non pigiati vengono riposti dentro un serbatoio ermetico, privo d’aria e saturo di anidride car-bonica, ad una temperatura di 30° per un periodo che va dai 5 ai 20 giorni, tanto da produrre una fermentazione alcolica all’interno dell’acino (la cosiddetta fermentazione intracellulare). Alla fine della macerazione carbonica l’uva viene prelevata dal serbatoio e pigiata per seguire la normale vinificazione.C’è da fare una precisazio-ne: il novello non va confuso con “il vino nuovo”, che so-litamente si commercializza a marzo-aprile e non subisce macerazione carbonica.Il corrispondente novello dei francesi si chiama “vin pri-meur”, il più noto dei quali è il beaujolais noveau. Ai nostri cugini d'oltralpe va il merito

di aver scoperto la tecnica della macerazione carbonica grazie ad un gruppo di studiosi che nel 1934 ottenne un vino da immettere sul mercato poco dopo essere stato vendemmia-to: il “beaujolais noveau”. Nel 1975 fu Giacomo Tachis, eno-logo della Cantina dei Mar-chesi Antinori, che introdusse in Italia questa tecnica.Nel nostro Paese il novello può essere prodotto in tutto il terri-torio italiano, usando qualsia-si tipo di uva (preferibilmente rossa). Affinché si possa parla-re di novello la legge impone che in fase di imbottigliamen-to si debba utilizzare almeno il 30% di vino ottenuto tramite la macerazione carbonica.Partendo da questa soglia, sul mercato si potranno quindi trovare sia vini misti (con 30% di uva vinificata tramite mace-razione carbonica e 70% vini-ficata con la tecnica classica, relativa all’uva vendemmiata entro il 31 dicembre della stes-sa annata) che vini prodotti con il 100% di uve vinificate esclusivamente con la tecnica scoperta dai francesi.E' evidente che la qualità del novello sarà tanto più alta quanto maggiore sarà la per-centuale di lavorazione ot-tenuta tramite quest’ultimo tipo di vinificazione.Se accostassimo il novello tri-

colore all’antesignano di tutti i "vins primeur” in assoluto ossia il beaujolais, potremmo notare alcune differenze: pri-ma di tutto la produzione ha regole più restrittive come ad esempio esso è realizzato solo con il 100% di vino ottenuto da macerazione carbonica e prodotto esclusivamente con uva Gamay (vitigno a bacca rossa).Il suo commercio parte dal terzo giovedì del mese di no-vembre, sfalsato di circa due settimane rispetto alla messa in vendita del novello italia-no. Il beaujolais prende il suo nome dal territorio di produ-zione che è sito tra Lione e Pa-rigi, divenuta poi area AOC (acronimo di appellation d'origine contrôlée analoga alla nostra DOC).I novelli sono vini leggeri, molto fruttati dal colore rosso porpora vivo, ricchi di acido carbonico, e da una bassa gra-dazione alcolica, Questo tipo di vino è molto adatto ad una clientela giovane e femminile.Il novello è un prodotto che deve essere consumato a bre-ve scadenza rispetto alla ven-demmia di produzione, il motivo è facile da intuire non essendo particolarmente tan-nico ha una longevità molto ridotta.Anche quest’anno, come la

legge dispone, il nostro vino novello ha varcato la soglia dei negozi il 06 novembre (Decreto Ministeriale del 13 luglio del 1999); le previsioni di acquisto sembrano interes-santi, si stima che il fatturato 2009 raggiunga un valore su-periore ai 40 milioni di euro.Secondo i dati 2009 raccolti per Anteprima Novello dal monitoraggio annuale di Ve-ronafiere - Civiltà del Bere, il numero dei produttori è di-minuito del 4%, si è passati da 246 cantine produttrici a 236. Le prime cinque aziende leader del settore sono: Cavit (769 mila bottiglie), Zonin (520 mila), Cantina di Soave (380 mila), Cielo e Terra (360 mila) e Gruppo Italiano Vini (334 mila).Sempre rimanendo sul tema delle proiezioni, la Coldiretti ha elaborato alcuni dati dai quali si evince che quest’anno la produzione del vino novel-lo italiano è stata pari a 9 mi-lioni di bottiglie; le principali regioni di produzione sono state il Veneto, il Trentino Alto Adige, la Toscana, la Sar-degna, l’Emilia Romagna e la Puglia. La produzione italia-na è caratterizzata sopratutto da novelli monovitigno con l'utilizzazione di un'ampia gamma di vitigni autoctoni (Teroldego, Ciliegiolo, Nero

d'Avola, ecc.) anche se quelli più utilizzati sono in assolu-to il Merlot, il Sangiovese, il Cabernet, il Montepulciano e il Barbera. In media una bot-tiglia di novello italiano si ac-quista attorno ai 5 euro.Pochi sono a conoscenza che da qualche anno al novello è stato dedicato, grazie a Vero-nafiere, un bicchiere “ad hoc” che permette di apprezzare le virtù del vino di mezz’au-tunno, per meglio degustarlo. Il calice in questione è stato realizzato dalla Zafferano di Federico De Majo, designer veneziano; la forma di “chic-co d’uva” che ne valorizza i profumi. Lo stelo solido ed essenziale poggia su una base appena più stretta del calice, favorendo così la facilità d’uso

e l’equilibrio del bicchiere grazie ad una comoda impu-gnatura, tanto da permettere di non toccare il corpo del bicchiere che riscalderebbe impropriamente il vino.La tendenza ad apprezzare il novello ha stimolato molte iniziative e manifestazioni, con l’obiettivo di abbinare il vino novello ai prodotti di stagioni come le castagne, i prodotti tipici del territorio (salumi, verdure in pinzimo-nio e formaggi piccanti a pa-sta molle) conquistando molti palati, sia di chi vuole approc-ciarsi al mondo wine, assag-giando un prodotto leggero, sia l'intenditore che vuole as-saporare nuovi aromi….come quelli autunnali.

Alice Lupi

Novello, sapore d’autunnoNegli ultimi anni si è manifestata la tendenza, da parte dei wine lovers, ad apprezzare un vino a lungo snobbato

FAO: chiuso il verticeLe vittime della denutrizione nel 2009 sono state ben un miliardo e duecento milioni. Numeri da raccapriccio che richiedono un immediata e risolutiva serie di politiche che liberino il mondo da tale insopportabile fardello.Fra le cause all'origine della grave crisi alimentare mon-diale (che con gli anni ha portato a un divario ricchi

– poveri insostenibile) non c’è solo l'aumento demogra-fico, ma anche l'eccessivo e sconsiderato uso delle risorse ambientali. Oltre a un nesso ineludibile fra cambiamenti climatici e questione alimen-tare.Il vertice FAO recentissima-mente conclusosi ha segnato per alcuni dei passi impor-tanti per contribuire alla

risoluzione l’annosa questio-ne. Per altri, vista l’assenza di alcuni illustri ospiti (i paesi ricchi), si è trattato invece di un incontro interlocutorio.E' emerso un punto cardine: la soluzione passa attraverso lo sviluppo delle economie locali, l'istruzione, la for-mazione, le infrastrutture, l’accesso alle risorse idriche. Chiamati direttamente in

causa sono i paesi fir-matari de "L'Aquila Food Security Ini-tiative", che dopo i 20 miliardi di dollari stanziati dovranno in-contrarsi per trovare la strada migliore per utilizzare tali risorse.Tra gli ospiti africani, ha fatto rumore l’ac-corata richiesta del controverso Presidente dello Zimbabwe Mu-gabe, che ha lanciato un appello diretto “ai Paesi occidentali a to-gliere le sanzioni illega-li ed inumane imposte” al suo popolo. Egli ha definito tali sanzioni come figlie di politiche “neocolonialiste puni-tive” che rendono lo Zimbabwe dipendente dall’estero aggravando-ne la dipendenza.I capi di Stato e di governo hanno nel documento finale san-cito cinque punti che rappresentano un vero

piano strategico:1) sostenere la responsabilità dei governi nazionali e la ne-cessità di investire in piani di sviluppo country-owned;2) sostenere un maggiore coordinamento tra strategie nazionali, regionali e globa-li, promuovere una migliore distribuzione delle risorse, evitare una duplicazione de-gli sforzi;3) approccio "two-track", e cioé rispondere all'emergen-za alimentare immediata, ma preparare anche misure di sviluppo di medio-lungo ter-mine per affrontare le cause di fondo di povertà e malnu-trizione;4) vigilare affinché il sistema multilaterale giochi un ruolo centrale grazie a migliora-menti continui dell'efficien-za, della reattività, del coordi-namento e dell'efficacia delle istituzioni multilaterali.5) garantire un impegno so-stenuto e sostenibile da par-te di tutti i partner ad inve-stire nell'agricoltura e nella "food security" in maniera tempestiva e affidabile, con la messa a disposizione delle risorse necessarie nel quadro di piani e program-mi biennali.Mancano i 44 miliardi di dollari l’anno richiesti dal segretario generale della Fao, il senegalese Diouf.Nessuna traccia dei paesi ricchi, che sono sembrati agli occhi di molti – Chiesa

in primis – colpevoli assenti ingiustificati.L’obiettivo mediamente re-alistico è il dimezzamento della fame nel mondo entro il 2015.Alla dura reprimenda di Papa Benedetto XVI - che ha espresso tutto lo sdegno nei confronti di politiche economiche irrispettose del-la dignità umana (come la mercificazione di tutto) e che hanno condotto a que-sto sfacelo - hanno fatto eco altri leader africani, oltre al succitato Mugabe. Su tut-ti il redivivo Gheddafi che, logorroico come sempre, ha spiegato come la situazione più drammatica in Africa è quella delle sementi, mono-polizzate da imprese "diabo-liche".Inoltre, ha sollevato un nuo-vo problema: la nascita di una pericolosa classe di lati-fondisti in Africa.Investitori stranieri infatti starebbero rastrellando i ter-reni agricoli. Le emergenze ambientali nel continente sono molte e Gheddafi, nel suo intervento, ha ricorda-to quella del Lago Ciad, a rischio di prosciugamento, così come rischiano di pro-sciugarsi i bacini idrici del Senegal e il Delta del Nilo.Intervento serio, quello del rais, se non fosse per il solito eccentrico look che ricorda sempre quello del compian-to Michael Jackson.

L’egiziano Mubarak ha ri-chiamato i Paesi ricchi alle proprie responsabilità di-cendo che se non accettano di rivedere le politiche pro-tezioniste che hanno causato il maggior danno al settore dell'agricoltura nei Paesi in via di sviluppo il problema non si può risolvere.Condivisibile e degno d’at-tenzione, visto che il richia-mo proviene da un modera-to – il leader egiziano – che da anni dimostra di aver la testa sulle spalle. Mubarak ha anche fatto riferimento alla deteriorata situazione umanitaria nella Striscia di Gaza.Basteranno questo incontro, i cinque punti e la buona vo-lontà povera di fondi (vista la bocciatura della richiesta di Diouf )?La risposta a breve, viste le scadenze ravvicinate.A margine, per la cronaca, i militanti delle Ong, riuniti sotto una tenda davanti alla Fao, hanno protestato con-tro le multinazionali “che utilizzano il cibo come mez-zo di speculazione”.Oltre agli agricoltori del Sud Italia che hanno dato vita ad un corteo, dopo essersi radunati in piazza San Gio-vanni in Laterano a Roma per protestare contro la crisi dell’agricoltura.La fame non è poi così lon-tana, vista la situazione in cui versa questo settore.

Non ci sono i soldi richiesti da Diouf, ma i cinque punti chiave già delineati a L’Aquila