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PROVINCIA DI BERGAMO Settore Viabilità e Protezione Civile Piano di Emergenza Provinciale Rischio Sismico Approvato con Delibera del Consiglio Provinciale n° 23 del 06/04/2005

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PROVINCIA DI BERGAMO

Settore Viabilità e Protezione Civile

Piano di Emergenza Provinciale Rischio Sismico

Approvato con Delibera del Consiglio Provinciale n° 23 del 06/04/2005

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Provincia di Bergamo Settore Vaibilità e Protezione Civile

Piano di Emergenza ProvincialeRischio Sismico

PROVINCIA DI BERGAMO Settore Viabilità e Protezione Civile Via T.Tasso, 8 24121 BERGAMO tel. 035-387790 fax 035-387814 e.mail: [email protected]: http://www.provincia.bergamo.it/

Presidente Valerio Bettoni

Assessore alla Viabilità e Protezione Civile Valter Milesi

Settore Viabilità e Protezione Civile Renato Stilliti – Dirigente Davide Chiodi – Funzionario Ferruccio Agazzi – Funzionario

PIANO DI EMERGENZA PROVINCIALE - RISCHIO SISMICO Gruppo di Lavoro Comitato Provinciale di Protezione Civile Provincia di Bergamo –Settore Viabilità e Protezione Civile Prefettura di Bergamo - Area Protezione civile, difesa civile e coordinamento del soccorso pubblico Regione Lombardia – Protezione Civile Regione Lombardia – Sede Territoriale di Bergamo – Struttura Sviluppo del Territorio Rappresentante dei Comuni Rappresentante delle Comunità Montane Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Bergamo Corpo Forestale dello Stato S.S.U.Em. 118 di Bergamo AIPO – Sede di Bergamo Ordine degli Ingegneri Ordine dei Geologi della Lombardia Rappresentante Volontariato di Protezione Civile

Coordinatore team di progetto della pianificazione di emergenza Stefano Castagnetti

Collaborazioni Cinzia Amorese

Redazione Operativa

Michele Trentini, professionista incaricato S tudio di Ingegneria AMBIENTE E TERR I TOR IO

http://www.ambiente-territorio.com/

38068 ROVERETO (Trento) – Viale Trento, 54/A Tel. 0464 490011 - Fax 0464 499987

e-mail: [email protected]

Versione 1.0 – Febbraio 2005

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Versione 1.0 – Febbraio 2005 pag. i

PRESENTAZIONE

Quando si cerca di interpretare il terremoto come fenomeno fisico, al netto quindi delle implicazioni

catastrofiche cui si associa nella memoria collettiva, lo si fa descrivendolo come una delle modalità

attraverso le quali il motore interno di questo pianeta compie trasformazioni. Il terremoto, quindi, quale

corresponsabile del processo dinamico che interessa anche la parte più esterna della Terra, la sottile

pellicola superficiale che, a causa della lentezza dei processi modificativi, saremmo talvolta indotti a

ritenere, sbagliando, come una crosta indeformabi le, stabile, un paesaggio immobile.

Da qualche migliaio di anni l’uomo si confronta, cerca di opporsi ad una tale inarrestabile azione e n’è

uscito quasi sempre sconfitto, anche quando è stato in grado di comprendere i meccanismi e stimare

l’incontenibile energia. Belice, Friuli, Irpinia: sono tre nomi testimonianza di questa sconfitta.

Tre nomi geografici sulla penisola italiana, uno a Sud, uno a Nord, uno nel Centro –Sud, indicazione

già eloquente di un destino comune di tutto il territorio. E quanti altri nomi associati allo stesso destino

vengono subito alla mente: Ancona, Avezzano, Messina, Umbria e Marche, Molise. Più indietro nel

tempo ci sono poi ricordi affidati alle cronache, ai racconti, ai documenti.

La difesa dai terremoti è allora una scelta obbligata. Quindi, per cominciare, è necessario conoscere

le dimensioni del problema partendo dalla frequenza e dalla intensità dei terremoti in determinate

aree: se si prendono in considerazione solo gli ultimi anni, si apprende che circa 30.000 terremoti

hanno interessato il territorio, 200 dei quali distruttivi. Eventi che sono stati la causa, solo nell’ultimo

secolo, di 120.000 vittime. Anche in termini economici è un fenomeno devastante: 145.000 miliardi è

la stima dei soldi spesi soltanto negli ultimi 25 anni per il ripristino, per la ricostruzione post-evento. A

fronte di questo quadro, il ruolo dello Stato, delle Regioni, delle Province e Comuni, enti ai quali la

recente riforma della pubblica amministrazione ha conferito maggiori responsabilità nel settore della

protezione civile, deve indirizzarsi verso la promozione di una incisiva politica di prevenzione dal

rischio sismico, attraverso una serie di interventi atti a ridurre l’impatto che un evento sismico produce

sulla popolazione e sul sistema insediativo e infrastrutturale.

La Provincia di Bergamo ha voluto assumere pienamente le proprie responsabilità attivando la

pianificazione dell’emergenza, e cioè creando quello strumento necessario per la corretta gestione dei

soccorsi nel caso si verifichi un evento calamitoso connesso al rischio sismico. Attività da

intraprendere in “tempo di pace” e non sotto l’impulso di un evento , non a memoria di gravissime

conseguenze . Purtroppo infatti troppo spesso in Italia il dopo evento sismico, il cosiddetto “ritorno alle

normali condizioni di vita”, fa dimenticare alle amministrazioni pubbliche e a volte anche ai cittadini

che dovrebbero essere di sprono verso gli amministratori, questa realtà devastante del terremoto. La

prevenzione allora è un tema che diventa di attualità solo dopo il verificarsi un nuovo evento sismico.

Questo è un errore poiché l’Italia è un paese ad elevato rischio sismico. Noi non vogliamo fare questo

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pag. ii Versione 1.0 – Febbraio 2005

errore e come Provincia di Bergamo abbiamo fatto della prevenzione una delle attività principali da

perseguire nell’ambito delle competenze affidate anche di recente alle amministrazioni provinciali.

Ecco allora che la Provincia di Bergamo - proprio in questa ottica di prevenzione - ha in fase di

conclusione il percorso di realizzazione del piano di emergenza provinciale di protezione civile che si

compone da piani stralcio relativi alle diverse tipologie di rischio. La pianificazione dell’emergenza

quale strumento per fare un efficace prevenzione, poiché passa attraverso una ottimale

organizzazione dei soccorsi la riduzione dell’impatto che un evento calamitoso può avere sulla

popolazione

Nel piano che presentiamo, si considera il rischio sismico, che è indubbiamente la tipologia di rischio

più complessa, in quanto ad esso sono correlati eventi che alla luce delle attuali conoscenze

scientifiche sono da considerarsi assolutamente privi di preannuncio.

E’ vero però che gli studi effettuati in Italia hanno ormai raggiunto un buon livello di determinazione,

basti pensare alle recente proposta di classificazione sismica avvenuta sulla base di un’analisi di

pericolosità nonché agli studi oggi in corso che porteranno alla redazione della nuova mappa di

pericolosità sismica del territorio italiano.

Occorre tener presente che la penisola italiana, come tutto il bacino del Mediterraneo è interessata da

un’intesa attività sismica che si verifica in aree che sono state identificate come sede di equilibri

dinamici tra la placca Africana e quella Asiatica. In quest’ottica rientra anche la pericolosità sismica

associata alla Provincia di Bergamo che, alla luce della nuova classificazione, individua 4 Comuni in

zona 2, 85 in zona 3 e i rimanenti 155 in zona 4.

Un ulteriore sprone per l’attività di pianificazione dell’emergenza rischio sismico che la Provincia ha

intrapreso, è sicuramente la consapevolezza dell’enorme esposizione presente nel nostro territorio

bergamasco ovvero il valore economico di quanto può essere distrutto dal terremoto e che potrebbe

essere anche oggetto di una stima; al netto ovviamente della vita umana che non può essere

monetizzabile. L’esposizione del nostro territorio si attesta su valori altissimi e a questi valori altissimi

abbiamo voluto offrire un documento che deve produrre effetti di riduzione del rischio.

Il documento che delinea procedure ed analizza rapporti in emergenza fra i diversi attori competenti

nel soccorso è stato condiviso tra gli enti, e questa condivisione rappresenta il valore aggiunto del

piano che gli assicura una vera efficacia ed applicabilità sul territorio in caso di evento.

Un ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito alla sua stesura partecipando a dare vita al

“sistema di protezione civile della Provincia di Bergamo”, che opera nell’ottica della prevenzione

anche in materia di rischio sismico.

L’Assessore alla viabilità e Protezione Civile Il Presidente

Valter Milesi Valerio Bettoni

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IINNDDIICCEE

1 INTRODUZIONE......................................................................................................................................... 1

2 PIANIFICAZIONE DI EMERGENZA PROVINCIALE ......................................................................... 4

3 INFORMAZIONI DI BASE......................................................................................................................... 5

3.1 COSA È E COME SI MISURA UN TERREMOTO ................................................................................. 5 3.2 TERREMOTI IN ITALIA ......................................................................................................................... 9 3.3 CATALOGO SISMICO NT 4.1.1........................................................................................................... 10 3.4 CATALOGO DOM 4.1 .......................................................................................................................... 15 3.5 CATALOGO CPTl2............................................................................................................................... 18 3.6 MASSIME INTENSITÀ MACROSISMICHE ......................................................................................... 20 3.7 NORMATIVA TECNICA E DI CLASSIFICAZIONE SISMICA............................................................. 24 3.8 NUOVA CLASSIFICAZIONE SISMICA IN ITALIA.............................................................................. 28

4 COSTITUZIONE DEL PIANO................................................................................................................. 33

4.1 FASI OPERATIVE ................................................................................................................................ 33 4.2 ACQUISIZIONE DATI E SINTESI DELLE INFORMAZIONI.............................................................. 35

5 PERICOLOSITA’, VULNERABILITA’ E RISCHIO ............................................................................ 37

5.1 PERICOLOSITÀ SISMICA ................................................................................................................... 37 5.2 VULNERABILITÀ SISMICA ................................................................................................................. 38 5.3 RISCHIO SISMICO............................................................................................................................... 40 5.4 CONSIDERAZIONI SUI PRINCIPALI ELEMENTI VULNERABILI.................................................... 41

5.4.1 Strutture in muratura ..................................................................................................................... 41 5.4.2 Sintesi schematica dei dissesti da sisma........................................................................................ 43 5.4.3 Reti e infrastrutture di servizio...................................................................................................... 44 5.4.4 Aspetti naturali: instabilità versanti, frane e crolli ........................................................................ 46

6 SISTEMI DI MONITORAGGIO.............................................................................................................. 49

6.1 DESCRIZIONE DEI SISTEMI DI MONITORAGGIO .......................................................................... 49 6.2 RETE SISMICA NAZIONALE CENTRALIZZATA ................................................................................ 50 6.3 RETE ACCELEROMETRICA NAZIONALE ......................................................................................... 51 6.4 DATI RECENTI DI ESEMPIO RILEVATI DALLA RETE ACCELEROMETRICA NAZIONALE ........ 54

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informazioni contenute nell’aggiornamento del presente piano approvato con

Deliberazione di Consiglio Provinciale n°44 del 22 Maggio 2014 e visionabile sul sito

istituzionale della Provincia di Bergamo http://www.provincia.bergamo.it/protezionecivile

(sezione pianificazione di emergenza)

informazioni contenute nell’aggiornamento del presente piano approvato con

Deliberazione di Consiglio Provinciale n°44 del 22 Maggio 2014 e visionabile sul sito

istituzionale della Provincia di Bergamo http://www.provincia.bergamo.it/protezionecivile

(sezione pianificazione di emergenza)

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ALLEGATI

Allegato 1 Scale MCS e RichterAllegato 2 Carte PericolositàAllegato 3 Vulnerabilità RetiAllegato 4 Stabilità VersantiAllegato 5 Massime Intensità Macrosismiche BGAllegato 6 Il territorio di BergamoAllegato 7 Determinazione Rischio Sismico a fini urbanisticiAllegato 8 Aspetti comportamentali

APPENDICI

Appendice 1 Indice Cronologico NormeAppendice 2 Normativa NazionaleAppendice 3 Normativa Regionale

ALLEGATI CARTOGRAFICI

Tavola 1 Inquadramento Territoriale – Massime intensità Macrosismiche storicheTavola 2 Pericolosità Sismica – Provincia di BergamoTavola 3 Carta di Pericolosità 1 – Valori di PGA (g) con una probabilità di superamento del 10%

in 50 anni (periodo di ritorno di 475 anni) Tavola 4 Carta di Pericolosità 2 – Valori di intensità MCS con una probabilità di superamento

del 10% in 50 anni (periodo di ritorno di 475 anni)Tavola 5 Carta di Pericolosità 3 – PGA (g) con una probabilità di superamento del 10% in 50

anni (periodo di ritorno di 475 anni) – Valori riportati ai capoluoghi comunaliTavola 6 Carta di Pericolosità 4 – Intensità MCS con una probabilità di superamento del 10% in

50 anni (periodo di ritorno di 475 anni) – Valori riportati ai capoluoghi comunali

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Versione 1.0 – Febbraio 2005 pag. 1 di 120

11 IINNTTRROODDUUZZIIOONNEE

Il Piano Stralcio Rischio Sismico si inserisce nell’alveo del lavoro avviato nell’ottobre 2002, con l’emanazione da parte della Giunta Provinciale delle Linee Guida per la pianificazione dell’emergenza di protezione civile, a cui ha fatto seguito la stesura delle Linee Operative Provinciali, approvate dal Consiglio Provinciale con Delibera n° 84 del 24/11.2003.

Nella primavera del 2004 sono stati predisposti ed approvati i Piani stralcio sul rischio idrogeologico da frana, idrogeologico da valanga e sul rischio industriale.

Il Piano Stralcio in questione è stato elaborato in un periodo segnato da profondi cambiamenti del quadro di riferimento istituzionale, quali l’emanazione della L.R. 22 maggio 2004, n° 16, Testo unico della normativa di protezione civile e l’insediamento dei nuovi Organi della Provincia, avvenuta a seguito delle elezioni amministrative del giugno 2004, da cui è scaturita una riorganizzazione dei Settori e Servizi provinciali.

Infine, questione non marginale, nell’aprile-magio 2004 è stato presentato il rapporto conclusivo del Gruppo di Lavoro, coordinato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, finalizzato alla stesura della nuova mappa nazionale di pericolosità sismica.

Il Piano Stralcio Rischio Sismico affronta nello specifico la problematica dei terremoti nel contesto del territorio bergamasco, a partire dagli studi e dalle conoscenze attuali su pericolosità e rischio, fino alla definizione del Modello di Intervento e delle relative Procedure in caso di emergenza.

Il filo conduttore nella trattazione del tema sismico è l'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274, emanata il 20 marzo 2003, recante “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica” che fissa le regole per l'identificazione dei comuni sismici e definisce le norme tecniche costruttive.

Va precisato, che l’Ordinanza n. 3274 – come asserito nelle “Note esplicative” emanate dal Dipartimento della protezione civile il 4.6.2003 – è nata dalla necessità di dare una risposta tempestiva alle esigenze poste dal rischio sismico, dopo i tragici eventi sismici del Molise; per tale motivo è stato utilizzato uno strumento di rapida attuazione ancorché connotato dal carattere della provvisorietà, in attesa di un assetto normativo stabile.

L’Ordinanza ha una portata molto vasta, in quanto reca numerosi elementi innovativi rispetto alla previgente normativa, quali: la classificazione sismica di tutto il territorio nazionale, la ridefinizione delle norme tecniche (in sostanziale coerenza con l'Eurocodice 8, di fonte comunitaria), la verifica sugli edifici esistenti ed infine l'aggiornamento dei professionisti.

La Regione Lombardia ha provveduto a dare attuazione all’Ordinanza PCM 20 marzo 2003 n.

3274 (quale prima applicazione agli obblighi disposti con l'ordinanza nei confronti delle regioni e province autonome), mediante due provvedimenti:

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• DELIBERA DELLA GIUNTA REGIONALE DELLA LOMBARDIA N. 7/14964 DEL 7 novembre 2003 “Disposizioni preliminari per l’attuazione dell’Ordinanza Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003 “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”

• DETERMINAZIONE DEL DIRIGENTE DELL'UNITA' OPERATIVA n. 19904 del 21 novembre 2003 “Approvazione elenco tipologie degli edifici e opere infrastrutturali e programma temporale delle verifiche di cui all'art. 2, commi 3 e 4 dell'ordinanza p.c.m. n. 3274 del 20 marzo 2003, in attuazione della d.g.r. n. 14964 del 7 novembre 2003”

Il Piano Stralcio Rischio Sismico, si compone – in estrema sintesi – da una caratterizzazione del fenomeno ‘terremoto’, da una analisi della pericolosità sul territorio della Provincia di Bergamo, dall’illustrazione delle reti di monitoraggio esistenti e dalla strutturazione del Modello di Intervento e delle relative Procedure, elemento base di riferimento per tutti gli organismi di Protezione Civile coinvolti nelle fasi di allarme ed emergenza in caso di evento sismico.

Analogamente a quanto fatto nel corso degli altri Piani Stralcio il lavoro di redazione, sia della componente testuale/procedurale, che di quella cartografica/informatica, è stata schematicamente strutturata secondo le seguenti fasi principali: attività preliminari, analisi delle pericolosità, definizione degli eventi attesi, strutturazione del modello di intervento.

Nelle varie fasi del lavoro sono stati analizzati tutti i dati disponibili sul territorio ed attinenti sia lo specifico tema, che caratteri più generali e descrittivi del territorio e delle attività antropiche. Sono inoltre stati considerati e verificati nel dettaglio i precedenti documenti di pianificazione messi a disposizione dai vari Enti – Organizzazioni interpellati. Molti riferimenti all’interno del testo e degli allegati derivano direttamente da alcuni di questi documenti, oltre che da studi e documenti ufficiali dei principali Enti – Istituti operanti a livello nazionale in campo sismico. In particolare:

− Ufficio Servizio Sismico Nazionale – Dipartimento della Protezione Civile − Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (I.N.G.V.) − Gruppo Nazionale Difesa Terremoti (G.N.D.T.)

Vanno altresì ricordati i contributi avuti nel corso degli incontri svolti con Rappresentanti di Istituti, Enti e Organizzazioni operanti in campo sismico a livello regionale e nazionale.

Inoltre, la definizione e la stesura del lavoro sono state seguite dall’apposito Gruppo di Lavoro, cui hanno partecipato, oltre ai responsabili e referenti Regionali e Provinciali di Protezione Civile ed ai professionisti incaricati, anche i rappresentanti di Prefettura, Comunità Montane, Comuni, Vigili del Fuoco, Corpo Forestale dello Stato, S.S.U.Em.118, A.I.P.O., Volontariato di Protezione Civile, Ordine degli Ingegneri, Ordine dei Geologi.

Analizzando la nuova classificazione sismica del territorio bergamasco e le massime intensità macrosismiche, è facile constatare quanto il territorio Provinciale sia esposto ai terremoti. Molti dei comuni che lo compongono hanno infatti subito dei danni in occasione di almeno uno dei maggiori terremoti accaduti negli ultimi anni (intensità maggiore del VI grado della scala MCS).

E’ interessante però evidenziare come nell’elenco delle massime intensità macrosismiche compaiono comuni, che pur non essendo stati inseriti in seconda zona sismica, hanno storicamente risentito di eventi con intensità Imax pari a 8 (la provincia di Bergamo risulta comunque per gran parte del territorio compresa in valori di intensità inferiori a 6, fatti salvi

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Versione 1.0 – Febbraio 2005 pag. 3 di 120

tre areali, in cui l’intensità si aggira attorno a 7, con locali incrementi fino ad un massimo Imax = 8).

Pertanto dalla cartografia e dai dati storici emerge che il problema terremoto non ha una valenza omogenea nella provincia; gli effetti massimi osservati negli ultimi secoli sono ad esempio più severi nel settore compreso tra Bergamo e Sarnico, nelle vicinanze di Clusone e a sud-est di Treviglio e Calcio. Per contro i quattro comuni attualmente classificati in 2^ zona sismica (Calcio, Fontanella, Pumenengo, Torre Pallavicina), mostrano una storia sismica molto diversificata fra di loro e non è da escludere che in occasione della redazione della nuova mappa di classificazione sismica, alcuni di loro vengano declassati.

Tuttavia, ai fini del presente Piano Stralcio, è stato operato un approccio cautelativo, che prescinde dalla classificazione sismica vigente, considerando il rischio sismico uniforme sul territorio della Provincia di Bergamo.

In particolare quale scenario di riferimento, è stato assunto quello di un terremoto di media intensità, con effetti sul territorio modesti (isolati danneggiamenti di edifici e/o infrastrutture), ma con allarme generalizzato e talora effetti di panico nella popolazione.

L’obiettivo primario del Piano, perseguito e raggiunto con la definizione puntuale del modello e delle procedure di intervento, è il coordinamento dei ruoli specifici di tutte le Istituzioni, Enti, Organizzazioni che sono coinvolti nelle diverse fasi di un intervento di Protezione Civile.

Per inciso, va sottolineato che al fine di implementare con efficacia ed efficienza il coordinamento, diviene fondamentale l’aspetto delle comunicazioni in emergenza, alle quali va posta massima attenzione, al fine di assicurare la funzionalità delle comunicazioni radio (comunicazioni che devono consentire la messa in rete dei centri operativi attivati sul territorio, a garanzia del fluire delle informazioni, per una rapida definizione del danno che si è determinato a seguito del terremoto).

Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, il terremoto è da considerarsi assolutamente privo di preannuncio e quindi si tratta di un fenomeno naturale non prevedibile e dalla durata molto limitata (nella quasi totalità dei casi inferiore ad un minuto).

L’unica valutazione che può essere fatta è che, a seguito di una scossa di magnitudo elevata (> 4° Richter) possono verificarsi a distanza più o meno ravvicinata altre scosse, che nella consuetudine popolare vengono chiamate “scosse di assestamento”; l’intensità delle repliche è di norma inferiore o pari alla scossa principale.

Pertanto a seguito di una scossa di terremoto di rilevante intensità devono essere immediatamente attivate tutte le azioni previste nella fase di allarme, con priorità per quelle necessarie per la salvaguardia dell’incolumità delle persone.

Riflettendo poi sull’assunto secondo il quale produce maggior danno un comportamento scorretto, piuttosto che l’energia liberata dal terremoto, è utile pensare e predisporre in tempo di pace adeguati supporti informativi, atti a divulgare al maggior numero possibile di persone le informazioni basilari dei comportamenti corretti da assumere in caso di terremoto.

Infine, va ribadito che prima dell'evento è possibile fare molto per evitare danni e vittime. La prevenzione, ovvero rendere le costruzioni antisismiche, è determinante: non siamo in grado di prevedere i terremoti, ma possiamo limitarne le conseguenze.

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22 PPIIAANNIIFFIICCAAZZIIOONNEE DDII EEMMEERRGGEENNZZAA PPRROOVVIINNCCIIAALLEE

Il presente Piano Stralcio – Rischio Sismico – è strettamente interconnesso e in accordo con i contenuti e le finalità espresse nel Piano di Emergenza Provinciale – Linee Operative Generali. Trova inoltre motivo di forte interconnessione con gli altri Piani Stralcio, essendo il terremoto per sua natura elemento scatenante di effetti sul territorio che coinvolgono sia aspetti naturali (smottamenti naturali, frane, crolli) che aspetti legati all’ambiente antropizzato (abitazioni private e pubbliche, impianti produttivi, infrastrutture viarie e di servizio).

Sulla base di quanto sopra e del reale lavoro svolto in continuo raffronto di metodo e di contenuti con gli elementi del Piano di Emergenza Provinciale nel suo complesso, ne discende quindi una omogeneità procedurale, che – seppur nella specificità del settore Sismico – permette una gestione completa e coerente di scenari, modelli e procedure di intervento.

La strutturazione del lavoro è avvenuta sulla base delle indicazioni metodologiche definite nella normativa vigente, nei ‘Criteri metodologici’ riportati nelle Linee Operative Generali, oltre che in riferimento ai contenuti del Programma di Previsione e Prevenzione approvato con delibera del Consiglio Provinciale n° 58 dell’ 8 luglio 2002.

Per il dettaglio circa la normativa vigente – europea, nazionale e regionale – in materia di protezione civile e per quanto riguarda i contenuti dei ‘Criteri metodologici’, si rimanda a:

- Appendice 1 – Linee Operative: Normativa in materia di protezione civile

- Appendice 3 – Linee Operative: Criteri metodologici

delle Linee Operative Generali del Piano Provinciale di Emergenza.

Per quanto attiene invece il quadro di riferimento normativo per gli specifici aspetti legati al Rischio Sismico, è stata strutturata all’interno del presente lavoro una sezione dedicata riportante una visione complessiva sull’evoluzione nel tempo della normativa nazionale e regionale oltre che una breve raccolta delle norme più recenti ed in vigore, sia nazionali che regionali. Per tali aspetti si rimanda dunque al punto 3.6 - Normativa tecnica e di classificazione sismica del presente documento oltre che alle singole appendici:

- Appendice 1 – Indice Cronologico Norme

- Appendice 2 – Normativa Nazionale

- Appendice 3 – Normativa Regionale

Le varie fasi del lavoro sono state seguite – con riunioni di verifica periodiche – dal Gruppo di Lavoro, cui hanno partecipato, oltre ai responsabili e referenti Regionali e Provinciali di Protezione Civile ed ai professionisti incaricati, anche i rappresentanti di Prefettura, Comunità Montane, Comuni (Sindaci), Vigili del Fuoco, Corpo Forestale dello Stato, S.S.U.Em.118, A.I.P.O., Volontariato di Protezione Civile, Ordine degli Ingegneri, Ordine dei Geologi.

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33 IINNFFOORRMMAAZZIIOONNII DDII BBAASSEE

3.1 COSA È E COME SI MISURA UN TERREMOTO

I terremoti sono fenomeni naturali che scatenano forti vibrazioni del suolo; la maggior parte avviene in fasce ristrette ben definite del globo. Le fasce definiscono i bordi delle zolle, in cui è suddivisa la litosfera.

I terremoti sono dunque legati ai movimenti che la crosta terrestre può subire; sono il risultato di tensioni elastiche che si accumulano molto lentamente e si scaricano improvvisamente producendo uno strappo, una rottura delle rocce.

La zona sorgente si assimila ad un punto denominato IPOCENTRO; la verticale sulla superficie terrestre è denominata EPICENTRO. Quando si parla di ipocentro (o focolaio, o fuoco) di un terremoto non si deve intendere necessariamente un punto preciso, come nel caso di un’esplosione sotterranea, ma una superficie di faglia di una certa ampiezza e variamente orientata. Infatti quando si dispone di dati abbastanza numerosi per tracciare su una carta le linee di uguale intensità, le figure non risultano simili a cerchi, ma allungate secondo le strutture tettoniche della regione.

Fig. 3.1 Schematizzazione dell’Area Epicentrale e della Zona Ipocentrale

Per determinare la posizione dell’epicentro di un sisma e anche la profondità dell’ipocentro si utilizza una rete di sismografi. La distribuzione dei terremoti sulla superficie terrestre e le loro profondità sono elementi di conoscenza molto significativi. Sismi superficiali si chiamano quelli con ipocentri fino a una profondità di 60 km, e sono i più numerosi; intermedi quelli da 60 a 300 km; profondi quelli da 300 a 700 km, limitati ad aree particolari. Non si conoscono terremoti a profondità maggiori, e la spiegazione più ovvia è che, oltre 700 km, in nessun luogo, a causa della temperatura e pressione elevate, i materiali possano avere rigidità tale da consentire accumulo di energia elastica.

La roccia attorno al punto di rottura (cioè nell’ipocentro) si deforma elasticamente: le singole particelle si allontanano dalla posizione di equilibrio e vi ritornano per azione delle forze elastiche di richiamo; così oscillando trasmettono la deformazione alle porzioni adiacenti.

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Il luogo geometrico dei punti che vengono raggiunti dalla perturbazione nello stesso istante

costituisce un fronte d’onda. Perpendicolarmente alle posizioni successive del fronte d’onda, si possono tracciare delle linee (raggi sismici) che rappresentano pertanto le traiettorie dell’energia sismica. E’ noto che in ogni corpo solido possono propagarsi due tipi di onde indipendenti tra loro:

− le onde longitudinali, in cui le particelle del mezzo vibrano per successive dilatazioni e compressioni che avvengono esclusivamente nella direzione di propagazione;

− le onde trasversali, in cui le particelle del mezzo subiscono una distorsione, senza variazione di volume, oscillando su piani perpendicolari alla direzione di propagazione.

Le varie caratteristiche delle onde sismiche vengono fornite direttamente dalla teoria dell’elasticità. In particolare si ricorda che:

− le onde trasversali non si trasmettono nei mezzi fluidi, dove non esistono forze di richiamo e la distorsione può quindi avvenire liberamente;

− le onde longitudinali, che dal punto della perturbazione partono contemporaneamente alle trasversali, si propagano con velocità maggiore e vengono registrate dai sismografi come prima fase (onde P o primarie); dopo un certo tempo (per esempio circa 10 minuti se la stazione del sismografo è a 900 km dall’epicentro) arrivano le onde trasversali (onde S o secondarie), la cui velocità di propagazione è circa 2/3 di quella delle onde longitudinali.

La velocità di propagazione dipende da caratteri di elasticità del mezzo attraversato, diversi per ciascuno dei due tipi di onde, oltre che dalla densità del mezzo stesso. Pertanto, in mezzi di densità progressivamente variabile, i raggi sismici seguono traiettorie curve; inoltre essi possono subire riflessioni e rifrazioni in corrispondenza di superfici separanti mezzi di densità diversa. Si può quindi parlare di ottica delle onde sismiche; cosicché quello che non è trasparente per lo sguardo, cioè per le onde luminose, lo è per le onde sismiche, e il sismografo rappresenta l’occhio capace di ricevere un’impressione che si concreta in un sismogramma.

In sintesi, si può riassumere che le onde sismiche che giungono ai sensori dei sismografi sono principalmente di quattro diversi tipi (due già citati sopra):

− le onde P o primarie – sono quelle onde che partendo direttamente dall'ipocentro, raggiungono per prime i sensori attraversando gli strati profondi della crosta terrestre e pertanto riescono a viaggiare ad una velocità superiore rispetto alle altre onde emesse. Queste onde viaggiano comprimendo e dilatando le rocce che attraversano;

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− le onde S o secondarie – sono quelle che raggiungono il sensore dopo un certo periodo di

tempo dipendente dall'ipocentro del sisma. A differenza delle onde primarie, che comprimono e dilatano, si muovono con un movimento simile al movimento di una frusta. Viaggiano più lentamente rispetto alle onde primarie e perciò confrontando i tempi di arrivo tra le onde primarie e le onde secondarie è possibile determinare la distanza del sensore dall'epicentro;

− le onde di Love - sono onde che si muovono sugli strati superficiali della crosta terrestre e quindi vengono attenuate in modo più o meno evidente a seconda del tipo di terreno sul quale si trasmettono;

− le onde di Rayleight – sono onde che generano un movimento di scuotimento facendo ruotare l'intero globo con moto ellittico. La loro conformazione ricorda le onde provocate da un sasso su uno specchio d'acqua.

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Nella figura sotto, è invece riportato un esempio di sismogramma, dove è possibile distinguere le onde primarie, le onde secondarie e le onde lunghe.

Fig. 3.2 Esempio di Sismogramma COME SI MISURA UN TERREMOTO

Si possono registrare Magnitudo e Intensità di un terremoto.

La Magnitudo è in relazione all’energia rilasciata durante un terremoto nella porzione di crosta dove questo si genera. Si misura mediante un Sismografo: ogni terremoto ha una propria magnitudo. La Magnitudo viene rappresentate nelle sue misure con la scala Richter.

L'Intensità classifica gli effetti che un terremoto produce sulle costruzioni, sul terreno e sulle persone: il suo valore cambia da luogo a luogo. Le scale di Intensità più note derivano da quella formulata dal sismologo italiano G. Mercalli. La Scala MCS (Mercalli - Cancani - Sieberg) è suddivisa in 12 gradi di Intensità.

Un terremoto è definito da un solo valore di magnitudo e da più valori di Intensità.

In Allegato 1 – Scale MCS e Richter, sono riportate in dettaglio le descrizioni delle due tipologie di scale impiegate.

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3.2 TERREMOTI IN ITALIA

L’Italia ha una situazione geologica particolarmente complicata, generata dallo scontro fra la Zolla Africana e quella Euroasiatica. Tali zolle sono a loro volta suddivise in subzolle e, tra queste, la più significativa per la sismicità nell'areale lombardo è la zolla adriatica.

I terremoti distruttivi hanno avuto luogo nelle zone in cui sono state maggiori le deformazioni della crosta terrestre.

Di seguito si riporta una sintetica rappresentazione dei maggiori eventi sismici accaduti sul territorio nazionale nel ‘900.

DATA LOCALITA' MAGNITUDO29.12.1908 Messina-Reggio Calabria 85.926 7.013.01.1915 Abruzzo 32.610 6.807.09.1920 Garfagnana 171 6.623.07.1930 Irpinia 1.425 6.515.01.1968 Belice 236 6.006.05.1976 Friuli 976 6.123.11.1980 Irpinia 2.570 6.829.04.1984 Molise 7 5.205.05.1990 Basilicata 4 4.713.12.1990 Sicilia 17 4.726.09.1997 Umbria-Marche 12 5.531.10.2002 Molise 29 5.4

VITTIME

……

Fig. 3.3 Principali terremoti dal 1900 in Italia

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3.3 CATALOGO SISMICO NT 4.1.1

Da pubblicazioni a cura di Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (I.N.G.V.)

Un catalogo parametrico di terremoti è una sequenza di stringhe, una per terremoto, di parametri scelti dal compilatore per rappresentare alcune caratteristiche di ciascun terremoto. I cataloghi parametrici si affiancarono ai tradizionali cataloghi descrittivi negli anni '60 (il più noto di questo periodo è quello pubblicato da V. Karnik, 1969-71), e progressivamente li sostituirono, in relazione alle esigenze di calcolo manifestatesi in alcuni settori della sismologia e dell'ingegneria sismica. Si deve osservare che non sempre questo rappresentò un vantaggio: lo strumento informatico, infatti, favoriva a quel tempo da un lato un aggiornamento immediato e pressoché continuo, dall'altro la perdita della memoria delle operazioni e delle loro motivazioni.

In Italia il primo catalogo parametrico a carattere nazionale venne compilato su iniziativa dell'ENEA (allora CNEN) nell'ambito dei primi studi di sicurezza relativi a siti per l'installazione di impianti nucleari (Giorgetti e Iaccarino, 1971). Fecero seguito altri cataloghi a carattere nazionale (Carrozzo et al., 1973; Peronaci, 1973) o regionale (Carrozzo et al., 1975; Bernardis et al., 1977; ecc.); di alcuni di questi, inediti, circolarono successivi aggiornamenti e versioni.

Nella seconda metà degli anni '70 venne realizzato il catalogo ENEL (1977), che rappresentò una notevole evoluzione del catalogo Carrozzo et al. (1973) sotto diversi aspetti: tipo e numero dei parametri adottati, numero di terremoti considerati, bibliografia decisamente più ampia. Successivamente, nell'ambito del Progetto Finalizzato Geodinamica del CNR, il catalogo ENEL (1977) e diversi cataloghi regionali (Eva et al., s.d.; Carrozzo et al., 1975; Bernardis et al., 1977; Iaccarino e Molin, 1978; Magri e Molin, 1979; Dell'Olio e Molin, 1980, ecc.) vennero fusi criticamente in un "corpus" che, integrato con i risultati di ricerche ad hoc sui terremoti più forti, formò il "catalogo PFG" (Postpischl, 1985a), fino a oggi lo strumento più completo disponibile al pubblico.

In parallelo, a partire dal 1979 (Console et al., 1979), l'Istituto Nazionale di Geofisica avviò la redazione di un catalogo nazionale (INGV, 1981), che viene aggiornato con i dati sismometrici. Di recente, infine, l'INGV ha promosso la pubblicazione del "Catalogo dei forti terremoti in Italia" (Boschi et al., 1995) che raccoglie studi relativi a 346 terremoti dal 461 a.C. al 1980.

In ambito GNDT (Gruppo Nazionale Difesa Terremoti), ed in particolare nell'ambito delle iniziative per la valutazione della pericolosità sismica del territorio italiano, a partire dal 1990 si è posta la necessità di produrre cataloghi parametrici compilati secondo criteri orientati alla valutazione della pericolosità sismica (Stucchi, 1991) e che considerassero i risultati delle ricerche effettuate dopo la pubblicazione del catalogo PFG (Postpischl, 1985a). Il primo di questi cataloghi è stato prodotto nel giugno 1993 (Stucchi et al., 1993; GNDT WG, 1993; Stucchi e Zerga, 1994); successive versioni sono state prodotte e utilizzate nelle varie fasi del progetto.

La versione NT4.1 rappresenta una rifinitura del catalogo usato per la compilazione delle mappe di pericolosità sismica consegnate dal GNDT al Dipartimento della Protezione Civile nel giugno 1996 (Slejko, 1996).

La versione NT4.1.1 (luglio 1997) contiene alcune correzioni ad errori evidenziati nella fase successiva alla pubblicazione e alcune modifiche provenienti da controlli effettuati sui dati di base.

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Strategie di compilazione

Gli obiettivi specifici per i quali i cataloghi NT vengono compilati determinano alcune strategie di compilazione, che vengono qui riassunte.

Finestra temporale. NT4.1 copre la finestra temporale 1000-1980. L'estensione al 1995, è stata realizzata successivamente e resa disponibile nel 1996.

Relazione con le zone sismogenetiche. I cataloghi NT considerano epicentri di "area italiana", ossia inclusi in un poligono che comprende le zone sismogenetiche di interesse per la valutazione della pericolosità sismica in Italia, secondo il modello proposto da Scandone et al. (1992), versione ZS4 (aprile 1996).

Fra il catalogo NT4.1 e la zonazione sismogenetica ZS4 è stata istituita una relazione molto stretta mediante un parametro (Sz) che associa ciascun evento a una zona sismogenetica. In pratica, NT4.1 può essere visto come la somma di 82 sub-cataloghi indipendenti, relativi alle 80 zone sismogenetiche e alle 2 zone di background. NT4.1 non comprende i terremoti delle zone sismogenetiche balcaniche e delle relative zone di background. Tali eventi sono in fase di riconsiderazione nell'ambito del progetto CEE "BEECD - A Basic European Earthquake Catalogue and a Database for the evaluation of long-term seismicity and seismic hazard" (Albini e Stucchi, 1996) e delle attività GSHAP (Slejko, 1994); i relativi dati sono stati resi disponibili nei primi mesi del 1997.

Soglie. NT4.1 comprende eventi con Io >= 5/6 oppure Ms >= 4.0. L'adozione di questo tipo di soglie fa sì che il catalogo comprenda alcuni eventi con Io < 5/6 o Ms < 4.0. Per tre zone sismogenetiche (5: Cansiglio; 10: Lecco-Como-Ossola; 73: Etna) sono state adottate soglie più basse: Io >= 4/5 o Ms >= 3.3, in ragione della bassa sismicità di queste zone in termini di numero o di energia degli eventi.

Repliche. Uno degli aspetti che più caratterizzano l'orientamento del catalogo a fini di valutazione della pericolosità sismica è costituito dal fatto che NT4.1 non contiene aftershocks e foreshocks. Per questioni operative la rimozione è stata effettuata con un criterio freddo: all'interno di finestre spazio-temporali di raggio 30 km e di +/- 90 gg, indipendenti da Io ed M, è stato conservato solo l'evento maggiore. Per quanto non convenzionale, questa procedura di rimozione non ha causato la "perdita" di molti eventi rispetto a quanto ottenibile, ad esempio, mediante l'adozione di un criterio tipo Gardner e Knopoff (1974); i pochi eventi "persi" rispetto a una procedura di questo tipo sono al di sotto di M = 4.5 (Augliera et al., 1996). Viceversa, al di sopra di tale soglia il catalogo NT4.1 può essere ulteriormente "declusterato" secondo le esigenze dell'utente. Una versione del catalogo senza rimozione delle repliche è stata resa disponibile nel 1997.

Eventi con dati di base. I terremoti per cui si dispone di dati di base espressi in termini di dati di intensità, dai quali cioè è possibile ricavare i parametri dei terremoti mediante procedure omogenee, sono circa un migliaio e comprendono la stragrande maggioranza dei terremoti distruttivi (Io >= 7/8). Per questi eventi i parametri sono stati determinati in modo omogeneo secondo le procedure descritte più avanti.

Eventi privi di dati di base. Per gli eventi privi di dati di base sono stati adottati, senza modifiche e fatta salva l'eventuale conversione delle coordinate geografiche, i parametri provenienti da altri cataloghi parametrici: Alpi orientali (OGS, 1987), europeo (Van Gils e Leydecker, 1991), sloveno (Ribaric, 1982), croato (Cvijanovic, 1986), albanese (Sulstarova e Kociu, 1975) e PFG (Postpischl, 1985a). Gli eventi adottati da quest'ultimo catalogo provengono in maggioranza da alcuni dei cataloghi parametrici confluiti in esso; si è quindi ritenuto opportuno evidenziarne la provenienza utilizzando il parametro Os.

Terremoti falsi e molto dubbi. I parametri di quei terremoti contenuti nei diversi cataloghi parametrici consultati, che sono stati valutati falsi o molto dubbi a seguito degli studi citati in precedenza, sono contenuti in apposite sezioni del catalogo che verranno rilasciate nei primi mesi del 1997. Questi eventi, ovviamente, non sono stati presi in considerazione per il calcolo della pericolosità sismica.

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Zona sismogenetica 9

Fig. 3.4 Cartografia esemplificativa Catalogo (Fonte I.N.G.V.) – In riferimento ai recenti studi di definizione della nuova ZS9, si consideri che tale cartografia è sostituita dalla più recente Zonazione Sismogenetica ZS9

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Formato

I parametri adottati per la compilazione del catalogo NT4.1 rappresentano un insieme limitato dei parametri che si possono determinare a partire dai dataset disponibili.

In questa fase non vengono proposte stime dell'attendibilità dei parametri, in quanto si ritiene che gli estimatori correnti vadano riconsiderati con attenzione. Sono stati invece introdotti alcuni parametri non tradizionali (es. Nmo, Nip, Ix, ecc.) in quanto ritenuti idonei a fornire informazioni sulla qualità del dataset. Altri parametri saranno forniti con le prossime versioni.

Cod. Descrizione del parametro Esempio

N Numero d'ordine del record 1587

Tr Tipo di record DB

Ye Anno 1980

Mo Mese 11

Da Giorno 23

Ho Ora 18

Mi Minuto 34

Se Secondo --

Ax Area epicentrale IRPINIA-LUCANIA

Rt Radice dei parametri, ovvero dataset da cui sono stati determinati i parametri POA85

Os Origine e status del dataset 5P

Nmo Numero di osservazioni macrosismiche 1295

Nip Numero di punti di intensità 1139

Ix Intensità massima osservata 100

Io Intensità epicentrale 95

Lat Latitudine 40.800

Lon Longitudine 15.267

Pa Modalità di determinazione dei parametri --

Sz Zona sismogenetica cui appartiene l'evento 63

Ta modalità di assegnazione dell'evento alla zona sismogenetica G

Agm Agenzia o studio che fornisce la magnitudo MAA93

Ms Magnitudo calcolata sulle onde superficiali 69

Td Modalità di determinazione di Ms O

Nio Numero di osservazioni utilizzate per la determinazione di Ms 08

Sd Deviazione standard del valore di Ms 15

Mm Magnitudo macrosismica 64

H Profondità 18

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Estrazione di esempio dal Catalogo NT 4.1.1catalogo parametrico di terremoti di area italiana al di sopra della soglia del danno versione NT4.1.1 luglio 1997, con aggiornamenti 1981-1992 (marzo 1998).

ZONA SISMOGENTICA 9 (vedere fig. 3.4)

….c

ontin

uazi

one

cont

inua

….

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3.4 CATALOGO DOM 4.1

Da pubblicazioni a cura di Gruppo Nazionale Difesa Terremoti (G.N.D.T.)

Uno degli obiettivi principali del GNDT nel settore macrosismico era di disporre di dati puntuali di intensità per il maggior numero possibile di terremoti, al fine di ricavare i parametri di questi con procedure omogenee e di rendere disponibile agli utenti un database affidabile per tutte le elaborazioni che utilizzano dati di intensità.

"DOM4.1, un database di osservazioni macrosismiche di terremoti di area italiana al di sopra della soglia del danno" contiene i dati macrosismici, provenienti da studi GNDT e di altri enti, che sono stati utilizzati per la compilazione di NT4.1 (Camassi e Stucchi, 1996). Gli studi, codificati nel catalogo mediante il parametro Rt "Radice dei parametri"; sono elencati in App.3.; il numero di dati disponibili per ciascun terremoto è proposto con i parametri Nom e Npi. Parte degli studi sono pubblicati, parte non lo sono, parte sono riservati (parametro Os).

Versioni "in progress" di DOM4.1 sono state utilizzate per:

la compilazione della "Mappa delle massime intensità macrosismiche osservate nei comuni italiani" (Molin et al., 1996), in combinazione con i dati di CFTI (Boschi et al., 1995);

la determinazione dei parametri di attenuazione (Peruzza, 1996) utilizzati per la redazione della "Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale" (Slejko, 1996);

la redazione degli Scenari di danno speditivi da dati storici di terremoti" (ISMES, 1997).

DOM4.1, che contiene circa 37.000 osservazioni macrosismiche relative a più di 900 terremoti, e a più di 10.000 località, costituisce una parte del database generale GNDT delle osservazioni macrosismiche, che contiene anche:

− dati di studi non adottati per la compilazione di NT4.1 (in caso di disponibilità multipla di studi relativi ad uno stesso evento)

− dati di terremoti non inclusi in NT4.1 in quanto:

• al di sotto della soglia di danno (Io <= 5, Ms <= 4.0)

• profondi (h >= 35 km)

• considerati repliche o foreshocks di eventi principali

• relativi a zone balcaniche

• relativi a terremoti prima del 1000 o successivi al 1980

Il problema dell'intensità macrosismica

Come detto, all'avvio del progetto si disponeva di un discreto numero di studi di terremoti e, quindi, di dati di intensità. I dati di questi studi risultavano tuttavia espressi in scale diverse: molti in MCS, alcuni in MSK, altri ripresi acriticamente dalle cartoline macrosismiche, quindi espressi in base alle scale De Rossi-Forel oppure Mercalli, altri privi di riferimento alla scala adottata (Monachesi et al., 1995b).

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L'omogeneizzazione dei dati disponibili avrebbe richiesto di riassegnare i valori d'intensità - ma

nella maggior parte dei casi la documentazione originale non era disponibile - oppure di utilizzare relazioni di conversione fra scale, poco affidabili. Per ragioni operative si è preferito equiparare in prima istanza a MCS i dati espressi in altre scale o privi di riferimenti. Si tratta comunque di una scelta di carattere operativo e provvisorio, i cui limiti sono ben chiari agli operatori; va comunque precisato che il livello delle disomogeneità provocate da questa scelta è considerato dagli operatori stessi ben inferiore alle incertezze insite nell'assegnazione dell'intensità.

Questa scelta ha determinato l'adozione della scala MCS anche per gli studi GNDT, nonostante la convinzione che altre scale siano più idonee alle esigenze dell'utenza e ugualmente utilizzabili per l'interpretazione dei dati del passato. Tra l'altro, anche i dati proposti di recente da Boschi et al. (1995) sono espressi in scala MCS. Si deve comunque osservare che l'uso della scala MCS penalizza l'operatore italiano in campo internazionale, dove questa scala non viene più usata.

Alcuni test eseguiti consentono comunque di affermare che i dati possono essere riferiti anche alla scala MSK restando nell'ambito delle incertezze descritte. Si ritiene che il problema dell'intensità macrosismica possa e debba essere riconsiderato con maggior efficacia nell'ambito del necessario adeguamento dei dati alla scala EMS (Grünthal, 1993).

La costruzione del database

La compilazione di un database orientato ad un'utenza generale richiede l'adozione di compromessi fra l'esigenza di non appiattire l'originalità delle informazioni macrosismiche e quella di fornire un prodotto omogeneo gestibile per via informatica. In particolare è necessario evitare che l'utente debba compiere modifiche formali senza avere accesso al retroterra dei dati che intende modificare.

I maggiori problemi sono venuti dal fatto che gli studi disponibili sono molto disomogenei per intensità, formato e riferimenti geografici. Di seguito si accenna ad alcune operazioni eseguite a questo scopo sui dati originali, che vengono comunque conservati nell'archivio.

ESTRAZIONE DATI di esempio – Zona: BERGAMO

Osservazioni sismiche (32) disponibili per

BERGAMO (BG) [45.694, 9.67]

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Versione 1.0 – Febbraio 2005 pag. 17 di 120

Data Effetti in occasione del terremoto di:

Ye Mo Da Ho Mi Is (MCS) Area epicentrale Ix Ms

1396 12 26 70 BERGAMO 70 50

1295 09 03 65 COIRA 85 59

1593 03 08 65 BERGAMO 65 47

1606 08 22 65 BERGAMO 65 47

1642 06 13 22 65 BERGAMO 65 47

1117 01 03 13 D VERONESE 90 64

1222 12 25 11 55 BRESCIANO 80 59

1901 10 30 14 49 55 SALO` 80 55

1276 07 28 45 CREMONESE 60 47

1882 02 27 06 30 45 ROVETTA 65 47

1891 06 07 45 VERONESE 80 55

1786 04 07 40 PIACENZA 70 47

1873 06 29 03 55 40 BELLUNESE 100 64

1909 01 13 00 45 40 BASSA PADANA 65 54

1914 10 27 09 22 40 GARFAGNANA 70 58

1936 10 18 03 10 40 BOSCO CANSIGLIO 90 58

1971 07 15 01 33 40 PARMENSE 80 54

1972 10 25 21 56 40 PASSO CISA 50 47

1884 09 12 35 PONTOGLIO 60 44

1887 02 23 35 LIGURIA OCC. 100 64

1914 10 26 03 45 35 TAVERNETTE 70 49

1929 04 20 01 09 35 BOLOGNESE 75 54

1975 01 11 15 54 35 GARDA OR. 55 38

1810 12 25 00 45 F NOVELLARA 70 50

1898 03 04 30 CALESTANO 70 47

1913 12 07 01 28 30 NOVI LIGURE 50 44

1917 12 09 21 40 30 ALTA ENGADINA 70 47

1873 09 17 25 LIGURIA ORIENTALE 65 47

1894 11 27 25 FRANCIACORTA 65 47

1918 04 24 14 21 NC LECCHESE 60 47

1907 04 25 04 52 10 BOVOLONE 60 45

1913 11 25 20 55 NF VAL DI TARO 50 47

ESTRAZIONE DATI di esempio – Zona: BERGAMO

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3.5 CATALOGO CPTl2

Da Rapporto Conclusivo per il Dipartimento della Protezione Civile (Gruppo di Lavoro I.N.G.V.)

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (I.N.G.V.) ha promosso nel luglio 2003 la redazione della nuova mappa di pericolosità sismica prevista dall’Ordinanza PCM 20 marzo 2003 n° 3274 (Allegato 1), coinvolgendo nella sua redazione esperti del mondo scientifico oltre che propri ricercatori. Tale ricerca, utilizzando ed elaborando un gran numero di dati e conoscenze, ha prodotto anche una versione aggiornata al 2002 del catalogo CPTI (Gdl CPTI, 1999), detta CPTI2.

In particolare: I. è stata ricompilata integralmente la finestra 1981-1992; II. è stata compilata ex-novo la finestra 1993-2002; III. sono stati riqualificati tutti i valori di magnitudo; IV. è stata effettuata la revisione dei parametri della zona etnea.

In analogia a CPTI, il catalogo contiene solo eventi “principali” secondo una finestra spazio-temporale di 90 giorni e 30 km, con Io ≥ 5-6 o Ms ≥ 4.0. Fa eccezione la zona dell’Etna per la quale è stata usata una soglia più bassa (Ms ≥ 3.4).

In particolare, per la finestra complessiva 1981-2002, che in CPTI risultava parzialmente lacunosa e comunque limitata al 1992, è stata compilata una versione aggiornata sopra la soglia del danno (come detto di Io ≥ 5-6 o Ms ≥ 4.0) che: recepisce i risultati degli studi sismologici, sia macrosismici che strumentali, realizzati successivamente o comunque non utilizzati per compilare CPTI; offre per ogni terremoto una stima il più possibile omogenea della magnitudo momento Mw, della magnitudo calcolata sulle onde superficiali Ms e della magnitudo locale ML.

Per la compilazione è stato adottato un formato molto simile per campi ed incolonnamento a quello adottato a suo tempo per CPTI1999.

Parallelamente a tale lavoro, sono state verificate alla luce dei dati dei terremoti più recenti le relazioni di attenuazione di amax definite a scala nazionale ed europea, utilizzando distanze epicentrali calcolate in modo appropriato e le modifiche per i meccanismi focali prevalenti introdotte da Bommer et al. (2003). Inoltre a partire da leggi di scala ricavate da dati di ‘strong-motion’ e ‘weak-motion’, sono state calibrate tre relazioni di attenuazione regionali, valide per tre macrozone; con approccio analogo è stata sviluppata una nuova relazione per le zone vulcaniche.

Inoltre, è stata elaborata una nuova zonazione sismogenetica, denominata ZS9, a partire da una sostanziale ripensamento della presedente zonazione ZS4 – descritta nel precedente capitolo 3.3 – alla luce delle evidenze di tettonica attiva e delle valutazioni sul potenziale sismogenetico acquisite negli ultimi anni. ZS9 è corredata, per ogni Zona Sismogenetica, da un meccanismo focale prevalente e da un valore di profondità, determinati nella prospettiva di utilizzo con le relazioni di attenuazione.

La zonazione sismogenetica ZS9, va intesa come un prodotto di consenso tra diversi ricercatori attivi in questo settore disciplinare, alcuni dei quali hanno partecipato alla elaborazione delle zonazioni realizzate in ambito ex-GNDT e alla realizzazione di compilazioni e banche dati sulla sismogenesi prodotte da ex-GNDT e INGV.

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I requisiti di base cui ha dovuto soddisfare la nuova zonazione ZS9 sono:

a) essere coerente in linea di massima con il retroterra informativo di ZS4, che deriva dall’approccio cinematico all’elaborazione del modello sismogenetico;

b) recepire i più recenti avanzamenti delle conoscenze sulla tettonica attiva della penisola e sulla distribuzione delle sorgenti sismogenetiche, avendo come riferimento DISS e i suoi sviluppi ad oggi;

c) considerare le indicazioni che derivano dall’analisi dei dati relativi ai terremoti più forti verificatisi successivamente alla predisposizione di ZS4, alcuni dei quali (Bormio 2000, Monferrato 2001, Merano 2001, Palermo 2002, Molise 2002, ecc...) localizzati al di fuori di quelle ZS;

d) avviare a superamento il problema delle ridotte dimensioni delle zone sorgente e della conseguente limitatezza del campione di terremoti di ciascuna di esse;

e) essere coerente con la base di dati utilizzata per compilare il catalogo CPTI2;

f) fornire per ogni ZS una stima di profondità dei terremoti utilizzabile in combinazione con le relazioni di attenuazione determinate su base regionale;

g) fornire per ogni ZS un meccanismo di fagliazione prevalente utilizzabile in combinazione con le relazioni di attenuazione modulate su tale meccanismo mediante i coefficienti proposti da Bommer et al. (2003).

Le 42 zone-sorgente di ZS9 sono state identificate con un numero (da 901 a 936) o con una lettera (da A a F).

Fig. 3.5 Zonazione sismogenetica ZS9 per il Nord Italia a confronto con la precedente zonazione (Fonte: Rapporto Conclusivo Mappa Pericolosità Sismica 2004 - I.N.G.V.)

In particolare, all’interno della zona dell’Arco Alpino (ZS da 901 a 910), si segnala la zona 907 che include la parte più bassa della province di Bergamo e Brescia. E’ caratterizzata da una sismicità di energia normalmente medio-bassa con la sola eccezione del terremoto di Soncino (evento del 1802), a cui viene assegnata una magnitudo intorno a 5.9.

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3.6 MASSIME INTENSITÀ MACROSISMICHE

Da pubblicazioni a cura Gruppo Nazionale Difesa Terremoti (G.N.D.T.) e di Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (I.N.G.V.)

La compilazione di una mappa affidabile delle massime intensità macrosismiche realmente osservate richiede la disponibilità di una storia sismica sufficientemente completa nell'arco di tempo prescelto per un insieme di località abbastanza denso. In passato queste condizioni erano ben lontane dall'essere soddisfatte. Di conseguenza, la maggior parte delle cosiddette carte delle "massime intensità osservate" prodotte sia in Italia (PFG, ING/SGA), sia in Europa, sono basate su dati estrapolati da carte delle isosisme o addirittura calcolati a partire da un catalogo e da leggi di attenuazione, a loro volta ottenute da isosisme. Queste carte non rappresentano dunque massime intensità "realmente osservate", com'è indirettamente confermato anche dal fatto che esse non consentono una rappresentazione tabellare della massima intensità risentita da ogni singolo centro abitato. Per precisare questo concetto, il PFG (Petrini, 1979) adottò il termine di massime intensità "osservabili", ovvero intensità che si sarebbero potute osservare, in passato, in assenza di anomalie locali geologiche o di vulnerabilità, nell'ipotesi che catalogo e leggi di attenuazione adottati fossero effettivamente rappresentativi delle caratteristiche della sismicità nella regione di interesse.

Oggi, in Italia, la situazione si presenta abbastanza diversa. Gli studi effettuati da ENEA, PFG, ENEL, GNDT, ING/SGA e da singoli autori hanno reso disponibili una grande quantità di osservazioni macrosismiche, la maggior parte delle quali esprimibili in termini di scale macrosismiche.

Per un discreto numero di località è disponibile un record storico praticamente completo; per molte altre è ipotizzabile che il record sia abbastanza completo, almeno per le intensità più elevate. D'altro canto, negli ultimi anni sono stati evidenziati problemi ed incertezze concettuali relativi al tracciamento delle isosisme (Berardi et al., 1990), e sono in fase di sviluppo procedure per l'utilizzo diretto delle osservazioni, senza il ricorso sistematico alle carte delle isosisme. È dunque pensabile di poter compilare una mappa di massime intensità osservate che si basi, in misura prevalente, su valori realmente osservati, facendo ricorso ad aggiustamenti solo per quelle località ove questo si renda necessario, a misura del dettaglio dell'analisi.

Metodologia

Le circa 10.000 località per cui sono disponibili osservazioni ricadono in 5660 comuni, a fronte di 8101 comuni italiani (censimento Istat 91). In particolare, per 4065 comuni esistono dati sia GNDT che CFTI, per 950 comuni esistono solo dati GNDT, per 645 comuni esistono solo dati CFTI, mentre per 2441 comuni non si hanno dati osservati. La maggior parte di questi ultimi comuni si trova in Sardegna, regione poco sismica, nonché in Piemonte e Lombardia, regioni in cui si osserva una forte frammentazione con numerosissimi comuni di piccola superficie.

Le prime fasi dell'elaborazione hanno messo in luce due problemi principali:

a) i due insiemi di dati GNDT e CFTI - ING/SGA sono solo parzialmente confrontabili, poiché derivano da ricerche a diverso livello di approfondimento, da bacini di informazioni parzialmente differenti e da procedure di assegnazione dell'intensità diverse. Per superare questa difficoltà si possono seguire diverse strategie, fra le quali la più rigorosa avrebbero richiesto di effettuare confronti approfonditi sulla "qualità degli studi" scegliendo il più affidabile caso per caso. Poiché questa operazione avrebbe richiesto un tempo abbastanza lungo e avrebbe comunque lasciato un certo margine di soggettività, si è ritenuto più opportuno, sia per semplificare le operazioni che per porsi in una posizione più cautelativa, procedere per "somma" dei due set di informazioni assumendo per ogni comune il massimo

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Versione 1.0 – Febbraio 2005 pag. 21 di 120

valore di intensità denunciato dalla base di dati complessiva così ottenuta. Solo per poche decine di comuni si è ricorso ad un leggero abbassamento, mai superiore a due gradi, in base alle motivazioni spiegate al punto seguente.

b) per alcuni comuni sono disponibili numerose osservazioni, talora anche diverse decine, mentre per molti altri sono disponibili poche osservazioni o addirittura una soltanto. Per quanto riguarda il primo caso si deve osservare che recenti elaborazioni (Mucciarelli et al., 1994) hanno dimostrato che le storie sismiche sono affidabili e forniscono, tra l'altro, risultati stabili per il calcolo della pericolosità sismica. Nel secondo caso, invece, si tratta in generale di piccoli comuni entrati in gioco solo in occasione di forti terremoti, o di comuni da cui sono segnalate intensità basse, per lo più in occasione di terremoti recenti. Per questi ultimi l'uso dell'unico dato disponibile può risultare non corretto e né tanto meno cautelativo. In questi casi, così come nei casi in cui l'intensità massima risulta molto più bassa di quanto suggerito dai valori osservati nei comuni limitrofi o nei casi estremi in cui non esiste alcun dato osservato, si è proceduto assegnando comune per comune un valore "ponderato" di intensità (Imax/pon), stimato per estrapolazione dai valori osservati nei comuni limitrofi oppure calcolando un risentimento massimo a partire dal catalogo NT.3 mediante opportune leggi di attenuazione.

Seguendo un'analoga strategia, oppure in presenza di evidenti imprecisioni nei dati, in poche decine di casi si è ritenuto opportuno "abbassare" il valore osservato di Imax. Si è ritenuto tuttavia di non procedere in questa direzione nel caso di alcune grandi città (ad esempio Roma, Milano, ecc.), in quanto si ritiene che l'amplificazione degli effetti osservati relativamente ai comuni limitrofi possa riflettere una reale maggior vulnerabilità complessiva di questo tipo di abitati.

Un ulteriore informazione potrebbe riguardare l'indicazione del/i terremoto/i responsabile/i dei valori di intensità proposti. Per i comuni per cui viene fornita un valore di Imax/pon tale operazione è ovviamente impossibile, mentre per i comuni in cui viene fornita la Imax/oss questo dato può essere in linea di principio indicato. Per questi ultimi, tuttavia, si deve considerare che il valore di Imax/oss può essere stato raggiunto più volte nel corso degli ultimi mille anni (corrispondenti all'arco cronologico a cui fa riferimento l'elaborazione in oggetto); per fornire questo dato in modo completo occorre un formato di rappresentazione più articolato. Per queste ragioni, stanti anche l'urgenza ed i fini del presente lavoro, si è ritenuto più opportuno non inserire i dati relativi ai terremoti responsabili dell'intensità massima tabellata.

Risultati

In totale Imax/pon è stata assegnata ai 2441 comuni per i quali non sono disponibili osservazioni, e a altri 1810, in relazione alle considerazioni espresse più sopra. La distribuzione dei dati nelle regioni d'Italia è rappresentata anche tabellarmente e sono differenziati i dati relativi ai comuni che non dispongono di osservazioni, quelli per i quali è stato adottato il valore osservato (Imax/oss) e quelli per i quali è stato adottato il valore Imax/pon.

Ad ogni comune risulta quindi associato un valore di intensità massima osservata (Imax/oss), oppure "ponderata" (Imax/pon), espresso in una delle cinque classi seguenti: <= 6, 7, 8, 9, >= 10. Ai fini dell'elaborato in questione non si è ritenuto utile differenziare i valori al di sotto del 6 grado ed al di sopra del 10. I valori intermedi sono stati associati alla classe superiore (es.: 6/7 è stato considerato equivalente a 7).

Va sottolineato che questa scelta, unitamente a quella di associare all'intero territorio comunale il valore massimo di intensità osservata in almeno una località appartenente al comune stesso e di assegnare un valore "ponderato" nei casi in cui il record storico è molto incompleto, determina una rappresentazione tendenzialmente "pessimista" degli effetti dei terremoti del passato.

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Si sottolinea che queste scelte, unitamente a quelle precedentemente illustrate, di assumere per il comune il valore massimo osservato nel comune stesso e, nel caso di disponibilità di dati sia GNDT che CFTI-ING/SGA di scegliere il valore più elevato, orientano i risultati in senso cautelativo e possono pertanto risultare sovrastimati.

Nella figura che segue è rappresentata la distribuzione geografica dei risultati. Si tenga presente che le cartografie sotto riportate, saranno soggette a futuri aggiornamenti in relazione ai recenti studi prodotti dal Gruppo di Lavoro (2004) per la redazione della mappa di pericolosità sismica prevista dall’Ordinanza PCM 3274 del 20 marzo 2003 (I.N.G.V.), di cui si è già accennato nel predente paragrafo 3.5 e ulteriormente nel successivo paragrafo 3.8.

Fig. 3.6 Massime intensità Macrosismiche osservate in Italia (Fonte I.N.G.V.)

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Nella successiva figura è invece riportata la situazione in dettaglio per quanto riguarda le massime intensità macrosismiche osservate in Lombardia.

Fig. 3.7 Massime intensità macrosismiche in Lombardia (fonte I.N.G.V.)

Per quanto riguarda infine l’analisi in dettaglio dei dati per la Provincia di Bergamo, si rimanda al successivo Capitolo 7 – Inquadramento Territoriale

Versione 1.0 – Febbraio 2005 pag. 23 di 120

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informazioni integrate nell’aggiornamento del presente piano approvato con Deliberazione

di Consiglio Provinciale n°44 del 22 Maggio 2014 e visionabile sul sito istituzionale della

Provincia di Bergamo http://www.provincia.bergamo.it/protezionecivile (sezione

pianificazione di emergenza), in particolare nel “Capitolo 3 – Normativa e Atti”

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Versione 1.0 – Febbraio 2005 pag. 25 di 120

L'impatto che ne deriva, soprattutto sulle Amministrazioni pubbliche interessate, è quindi molto rilevante.

Per completezza espositiva, va chiarito che all’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003 sono seguiti i seguenti provvedimenti integrativi:

Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3316 del 2 ottobre 2003, recante modifiche ed integrazione della precedente (soprattutto errata corrige)

Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3685 del 21 ottobre 2003, recante «Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica»,. (GU n. 252 del 29-10-2003).

In estrema sintesi, i contenuti dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 marzo 2003 n. 3274 e ss.mm. si possono riassumere nei seguenti punti basilari:

- essa dispone che tutti i Comuni del territorio italiano sono soggetti a classificazione sismica secondo la zonizzazione definita all’allegato n. 1 della stessa normativa.

- l’art. 2 comma 1 dell’Ordinanza dispone che le Regioni provvedano all’individuazione, formazione ed aggiornamento dell’elenco delle zone sismiche, e lascia loro facoltà di introdurre o meno l’obbligo della progettazione antisismica in zona sismica 4.

- l’art. 2 commi 3 e 4 dell’Ordinanza dispone che entro 6 mesi dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (quindi entro l’8 Novembre 2003) le regioni e le province autonome devono:

o individuare le tipologie degli edifici e delle opere di interesse strategico e di rilevanza in relazione ad un eventuale collasso;

o fornire ai soggetti competenti le indicazioni tecniche per le verifiche;

o elaborare il programma temporale delle verifiche.

AMBITO DI APPLICAZIONE Sono tenuti all'applicazione della nuova normativa tecnica i soggetti sia pubblici che privati, in

relazione alle diverse tipologie costruttive (edilizie ed infrastrutturali), che tengono conto non solo della qualificazione dell'opera ma anche della sua destinazione in situazioni particolari.

Un'importante eccezione, riguarda le infrastrutture e gli edifici pubblici (di proprietà pubblica) nonché quelli strategici e/o rilevanti (di proprietà pubblica e privata), i quali devono essere realizzati con le caratteristiche richieste per l’edificazione in zona sismica 3, anche se localizzate in zona 4.

Secondo quanto sopra disposto, la nuova normativa tecnica deve essere applicata alla progettazione dei nuovi lavori intesi quali nuove costruzioni e di interventi radicali, riconducibili alle seguenti fattispecie:

interventi strutturali volti a trasformare l’edificio mediante un insieme sistematico di opere che portino ad un organismo edilizio diverso dal precedente;

interventi strutturali rivolti ad eseguire opere o modifiche, rinnovare e sostituire parti strutturali dell’edificio, allorché detti interventi implichino sostanziali alterazioni del comportamento globale dell’edificio stesso;

interventi di ristrutturazione radicale di opere d’arte relative ad infrastrutture che comportano la sostituzione di fondamentali elementi strutturali.

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VERIFICHE TECNICHE Le verifiche tecniche, previste dall’articolo 2, commi 3 e 4, dell’Ordinanza 3274/2003 e ss.mm.,

devono essere effettuate solo sugli edifici e infrastrutture strategici nonché di importanza rilevante, siano essi di proprietà pubblica che privata, secondo le indicazioni di cui all'Allegato 2 del citato decreto del Dipartimento della Protezione civile del 21 ottobre 2003.

In particolare, il decreto definisce tre livelli (da 0 a 2) di acquisizione dati e di verifica, da utilizzare in funzione del livello di priorità e delle caratteristiche dell'edificio o dell'opera in esame. Il primo livello (livello 0) prevede unicamente l'acquisizione di dati sommari sull'opera ed è applicabile in modo sistematico a tutte le tipologie costruttive individuate. I livelli successivi (livello 1 e livello 2) si differenziano per un diverso livello di conoscenza ed i diversi strumenti di analisi e di verifica richiesti.

Tali verifiche devono essere realizzate a cura dei proprietari (pubblici o privati) entro cinque anni dalla pubblicazione sulla G.U dell’Ordinanza (art. 2, comma 3).

La Regione Lombardia ha provveduto a dare attuazione, all’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 marzo 2003 n. 3274, in prima applicazione agli obblighi disposti con l'ordinanza nei confronti delle regioni e province autonome mediante due provvedimenti:

• DELIBERA DELLA GIUNTA REGIONALE DELLA LOMBARDIA N. 7/14964 DEL 7 novembre 2003 – Disposizioni preliminari per l’attuazione dell’Ordinanza Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003 “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”

• DETERMINAZIONE DEL DIRIGENTE DELL'UNITA' OPERATIVA n. 19904 del 21 novembre 2003 “Approvazione elenco tipologie degli edifici e opere infrastrutturali e programma temporale delle verifiche di cui all'art. 2, commi 3 e 4 dell'ordinanza p.c.m. n. 3274 del 20 marzo 2003, in attuazione della d.g.r. n. 14964 del 7 novembre 2003”

In riferimento all'approvazione dell'elenco delle tipologie degli edifici e opere infrastrutturali, della citata D.D.U.O. n. 19904 del 21 novembre 2003, si riporta per esteso l'elenco degli edifici (opere strategiche e opere rilevanti) di cui all'Allegato A della stessa.

Elenco degli edifici e delle opere di competenza regionale art. 2 comma 3 o.p.c.m. n. 3274/03

(...«edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile – edifici e opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso»...)

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1. EDIFICI ED OPERE STRATEGICHE – Categorie di edifici e di opere infrastrutturali di interesse strategico di competenza regionale, la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile

EDIFICI a. Edifici destinati a sedi dell'Amministrazione regionale(*) b. Edifici destinati a sedi dell'Amministrazione provinciale (*) c. Edifici destinati a sedi di Amministrazioni comunali (*) d. Edifici destinati a sedi di Comunità Montane (*) e. Strutture non di competenza statale individuate come sedi di sale operative per la gestione delle

emergenze (COM, COC, ecc.) f. Centri funzionali di protezione civile g. Edifici ed opere individuate nei piani d'emergenza o in altre disposizioni per la gestione dell'emergenza h. Ospedali e strutture sanitarie, anche accreditate, dotati di Pronto Soccorso o dipartimenti di

emergenza, urgenza e accettazione i. Sedi Aziende Unità Sanitarie Locali (**) j. Centrali operative 118

2. EDIFICI ED OPERE RILEVANTI – Categorie di edifici e di opere infrastrutturali di competenza regionale che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso

EDIFICI a. Asili nido e scuole, dalle materne alle superiori b. Strutture ricreative, sportive e culturali, locali di spettacolo e di intrattenimento in genere c. Edifici aperti al culto non rientranti tra quelli di cui all'allegato 1, elenco B, punto 1.3 del decreto del

Capo del Dipartimento della Protezione Civile, n. 3685 del 21 ottobre 2003 d. Strutture sanitarie e/o socio-assistenziali con ospiti non autosufficienti (ospizi, orfanotrofi, ecc.) e. Edifici e strutture aperti al pubblico destinate alla erogazione di servizi, adibiti al commercio (***)

suscettibili di grande affollamento OPERE INFRASTRUTTURALI

a. Punti sensibili (ponti, gallerie, tratti stradali, tratti ferroviari) situati lungo strade «strategiche» provinciali e comunali non comprese tra la «grande viabilità» di cui al citato documento del Dipartimento della Protezione Civile nonché quelle considerate «strategiche» nei piani di emergenza provinciali e comunali

b. Stazioni di linee ferroviarie a carattere regionale (FNM, metropolitane) c. Porti, aeroporti ed eliporti non di competenza statale individuati nei piani di emergenza o in altre

disposizioni per la gestione dell'emergenza d. Strutture non di competenza statale connesse con la produzione, trasporto e distribuzione di energia

elettrica e. Strutture non di competenza statale connesse con la produzione, trasporto e distribuzione di materiali

combustibili (oleodotti, gasdotti, ecc.) f. Strutture connesse con il funzionamento di acquedotti locali g. Strutture non di competenza statale connesse con i servizi di comunicazione (radio, telefonia fissa e

portatile, televisione) h. Strutture a carattere industriale, non di competenza statale, di produzione e stoccaggio di prodotti

insalubri e/o pericolosi i. Opere di ritenuta di competenza regionale

(*) Prioritariamente gli edifici ospitanti funzioni/attività connesse con la gestione dell'emergenza. (**) Limitatamente gli edifici ospitanti funzioni/attività connesse con la gestione dell'emergenza. (***) Il centro commerciale viene definito (d.lgs. n. 114/1998) quale una media o una grande struttura di vendita nella quale più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente. In merito a questa destinazione specifica si precisa comunque che i centri commerciali possono comprendere anche pubblici esercizi e attività paracommerciali (quali servizi bancari, servizi alle persone, ecc.).

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3.8 NUOVA CLASSIFICAZIONE SISMICA IN ITALIA

A seguire è riportata la cartografia di base relativa alla nuova classificazione sismica dell’intero territorio nazionale in base Ordinanza PCM 3274 del 20 marzo 2003 e ss.mm. Per un dettaglio circa la situazione in provincia di Bergamo si rimanda si rimanda al successivo Capitolo 7 – Inquadramento Territoriale.

MOVIMENTI FRA CLASSIFICAZIONE VECCHIA E CLASSIFICAZIONE 2003

Vecchia classificazione Classificazione 2003

RAFFRONTO FRA VECCHIA CLASSIFICAZIONE E CLASSIFICAZIONE 2003 A cura del SERVIZIO SISMICO NAZIONALE

pag. 28 di 120 Versione 1.0 – Febbraio 2005

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Raffronto classificazioni – Regione LOMBARDIA

3a

2a

1a

NC

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Vecchia classificazione

3a

1a

2a

4a

Classificazione 2003

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In merito a tali cartografie, è bene riportare in sintesi alcune considerazioni riprese dal ‘Rapporto conclusivo’ del Gruppo di Lavoro per la redazione della mappa di pericolosità sismica (I.N.G.V.).

L’Ordinanza di Protezione Civile n° 3274 del 20 marzo 2003, allineando la normativa per le costruzioni in zona sismica al sistema dei codici europei (EC8), ha consentito una significativa razionalizzazione del processo di individuazione delle ‘zone sismiche’, che nel precedente sistema della ‘classificazione sismica’ non era definito in modo chiaro. L’All. 1 dell’Ordinanza stabilisce che le zone sismiche (come evidenziato nelle pagine precedenti) sono individuate da 4 classi di accelerazione massima al suolo (a max) con probabilità di superamento del 10% in 50 anni. Stabilisce inoltre che la competenza delle Regioni in materia di individuazione delle zone sismiche si eserciti a partire da un elaborato di riferimento (mappa di a max), da elaborarsi entro un anno (aprile 2004) in modo omogeneo a scala nazionale secondo i criteri previsti dal citato All.1.

Per la fase di prima applicazione, fra le mappe allora disponibili l’Ordinanza adottò come mappa provvisoria di riferimento quella prodotta nel 1998 dal Gruppo di Lavoro istituito dal Servizio Sismico nazionale su indicazione della Commissione Grandi Rischi del Dipartimento della Protezione Civile, pur essendo noti alcuni limiti intrinseci di tale lavoro. La mappa del 1998 è stata adottata con la precauzione di non “declassare” in questa fase i Comuni che risultino ora assegnati a una categoria inferiore a quella in cui erano assegnati in precedenza; la mappa risultante, allegata all’Ordinanza, è quella presentata in apertura di paragrafo.

E’ bene osservare, comunque, che la coincidenza fra il numero di categorie del precedente sistema e il numero di zone previste dall’Ordinanza non deve incoraggiare a stabilire un parallelismo stretto fra mappe relative a sistemi che sottendono livelli di protezione sismica differenti. Basti ricordare, ad esempio, che la quarta categoria precedente non richiedeva alcun intervento antisismico, mentre la quarta zona attuale lo richiede, sia pure in modo semplificato.

Si poneva quindi la necessità di completare la transizione realizzando una mappa finalizzata al nuovo sistema, redatta secondo i criteri fissati dall’All. 1 entro la relativa scadenza (aprile 2004).

Alla data di conclusione del presente lavoro ‘Piano di Emergenza Provinciale – Rischio Sismico’, si è quindi in grado di riportare che si è giunti alla versione conclusiva delle ricerche svolte e dei risultati conseguiti dal Gruppo di Lavoro (INGV). Va correttamente sottolineato che – per la prima volta in Italia – un elaborato destinato a sostenere una mappa per l’applicazione della normativa sismica è stato sottoposto a verifica scientifica con i criteri di revisione in uso presso la comunità scientifica internazionale e con una interazione costante con i revisori.

E’ avvenuta anche la pubblicazione ufficiale della nuova mappa di pericolosità sismica, con la dovuta precisazione che:

“La mappa di pericolosità sismica contenuta nel rapporto conclusivo è stata approvata dalla Commissione Grandi Rischi del Dipartimento della Protezione Civile nella seduta del 6 aprile 2004; essa diventa pertanto la mappa di riferimento prevista dall'Ordinanza n.3274 del 2003, All.1, punto m.

Questa mappa non diventa automaticamente la nuova mappa delle zone sismiche ma servirà di base per le deliberazioni regionali in materia.”

Per inciso, inoltre, nel rapporto viene sottolineato che “le differenze introdotte dall’Ordinanza nel sistema normativo e nella relativa zonazione sconsigliano comunque di effettuare raffronti ‘freddi’ fra la mappa qui proposta, quella proposta nel 1998 e quella attualmente in vigore.”

A seguire, sono riportate le immagini relative alla mappa di pericolosità sismica per il territorio nazionale e per quello lombardo.

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Fig. 3.8 Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale (fonte I.N.G.V.)

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Fig. 3.9 Mappa di pericolosità sismica del territorio lombardo (fonte I.N.G.V.)

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44 CCOOSSTTIITTUUZZIIOONNEE DDEELL PPIIAANNOO

4.1 FASI OPERATIVE

La definizione del Piano di Emergenza Provinciale – Rischio Sismico – è stata sinteticamente caratterizzata da una completa ricognizione delle informazioni di base di riferimento, da un attento confronto per la definizione delle condizioni locali e degli scenari di riferimento e da una corposa fase di definizione del Modello di Intervento e delle relative Procedure.

Analogamente alla definizione dei contenuti degli altri Piani Stralcio il lavoro di redazione, sia della componente testuale/procedurale che di quella cartografica/informatica, è stata schematicamente strutturata secondo le seguenti fasi principali:

1. attività preliminari;

2. analisi delle pericolosità;

3. definizione degli eventi attesi;

4. strutturazione del modello di intervento.

Praticamente in ognuna di queste fasi del lavoro, come già riportato in apertura del documento, sono stati analizzati e verificati nel dettaglio tutti i precedenti documenti di pianificazione (regionale, provinciale, di comunità montana e comunale messi a disposizione dai vari Enti – Organizzazioni interpellati) e ricercati momenti di confronto con tutti i Soggetti di riferimento a livello Provinciale oltre che con Istituti di ricerca in ambito sismico a valenza Nazionale.

Per quanto riguarda questi ultimi – principali riferimenti in ambito sismico a livello nazionale – sono senza dubbio da citare i seguenti:

− Ufficio Servizio Sismico Nazionale – Dipartimento della Protezione Civile − Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (I.N.G.V.) − Gruppo Nazionale Difesa Terremoti (G.N.D.T.)

1. Attività preliminari

L’intento della prima fase ‘attività preliminari’ è stato di definire il corretto quadro istituzionale e normativo, oltre che di dare avvio alla sostanziale attività di recupero, archiviazione e informatizzazione di dati ed notizie.

In sintesi, nella prima fase preliminare sono state ricomprese le seguenti attività:

− definizione del quadro di riferimento istituzionale, inteso come iniziale raccolta e verifica in merito al quadro normativo nazionale, al quadro normativo regionale ed al riepilogo delle competenze;

− strutturazione dello schema di Piano di Emergenza Provinciale, con analisi del programma operativo e degli obiettivi approntati per la redazione complessiva del Piano, congiuntamente all’Amministrazione provinciale, al Coordinatore del Piano ed ai referenti professionisti individuati per l’elaborazione degli altri studi di rischio contemplati nel Piano stesso;

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− analisi degli archivi dati potenzialmente a disposizione, sulla base delle indicazioni fornite dai referenti provinciali per il Piano e dagli altri soggetti coinvolti a vario titolo nella Pianificazione di Emergenza;

− programmazione degli incontri con Enti e Associazioni operanti sul territorio, al fine di costituire un valido e completo quadro di raffronto necessario alla strutturazione del patrimonio informativo di base;

− recupero e attenta analisi degli elementi di pianificazione esistenti con un primo raffronto con gli obiettivi di Piano.

Inoltre sono stati predisposti una serie di incontri specifici fra i redattori dei diversi Piani Stralcio, i referenti Provinciali ed il Coordinatore di Piano, al fine di definire la strutturazione delle parti comuni degli studi, con particolare riferimento allo standard dei dati e della loro informatizzazione e rappresentazione, anche in funzione dell’archiviazione nel Sistema Informativo di Piano.

2. Analisi delle pericolosità

Parallelamente all’avvio della prima fase, è stata posta in essere la seconda fase ‘analisi delle pericolosità ed individuazione degli elementi a rischio’, ricomprendendo le seguenti macro attività:

− inquadramento del territorio, inteso come delimitazione dell'ambito territoriale e determinazione delle informazioni di base necessarie per la definizione dei pericoli insistenti nello specifico territorio bergamasco;

− analisi del territorio provinciale (congiuntamente agli altri Piani Stralcio che contemporaneamente sono stati attivati e per tutti quegli aspetti naturali ed antropici necessari) e iniziale conoscenza dei rischi da terremoto (anche sulla base degli studi esistenti presso la Provincia o presso altri Enti che si occupano di pianificazione e difesa del territorio);

− recupero ed analisi delle informazioni strutturate in altri strumenti di pianificazione, quali il Programma Provinciale di Previsione e di Prevenzione dei Rischi di Protezione Civile, i Piani Intercomunali di Protezione Civile ed il P.T.C.P. (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale);

− raccolta sistematica dei dati e omogeneizzazione degli stessi; georeferenziazione di nuova informazione relativa ad alcuni aspetti specifici;

− analisi e definizione della pericolosità, intesa come individuazione e conoscenza dei rischi esistenti sul territorio;

− redazione della cartografia specifica di riferimento.

3. Definizione degli eventi attesi

La terza fase, ‘definizione degli eventi attesi’, è proseguita nella definizione – sulla base dei dati di pericolosità – degli scenari di evento, delle vulnerabilità sul territorio e quindi degli scenari di rischio. In particolare si è andati a definire la condizione di riferimento per la definizione delle successive fasi di Allerta e Emergenza del Modello di Intervento.

Sono state inoltre analizzate le attività di monitoraggio sul territorio, indicandone potenzialità/ criticità e possibili modalità di fruizione per meglio rispondere in caso di emergenza alla primaria necessità di informazioni corrette su intensità ed estensione degli eventi accaduti.

4. Strutturazione del modello di intervento

La quarta e ultima fase ‘strutturazione del modello di intervento’, ha ricoperto un ruolo principale e fondamentale all’interno del Piano di Emergenza, soprattutto nella definizione delle Procedure di

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Intervento, che hanno condotto all’elencazione di ruoli e responsabilità nella gestione operativa di un’emergenza.

In questo processo, si sono individuate le seguenti principali attività:

− strutturazione del modello di intervento nelle sue componenti principali (sistema di comando e di controllo, ruoli e responsabilità di Istituzioni/Enti/Organizzazioni, logistica dell’emergenza);

− definizione delle Procedure di Intervento, con ordinamento in maniera organica delle azioni presenti nelle varie sequenze di allertamento dei singoli Enti o Soggetti responsabili, al fine di garantire un adeguato e tempestivo soccorso alla popolazione ed un altrettanto rapido intervento su infrastrutture e beni per ripristinare le normali condizioni di vita;

− elaborazione di un modello per la carta di intervento, con indicazione puntuale delle principali entità (Enti e/o Strutture logistiche) da considerare in caso di emergenza.

In riferimento alle principali operazioni di definizione del modello di intervento, si sottolinea la costante ricerca del confronto con Enti e Organismi sul territorio, al fine di produrre un valido scambio di informazioni ed esperienze a beneficio di una migliore qualità complessiva delle varie parti del Piano.

4.2 ACQUISIZIONE DATI E SINTESI DELLE INFORMAZIONI

Fin dalle battute iniziali di questa attività, si sono considerati tutti i documenti e gli studi esistenti o in via di pubblicazione presso gli Enti che si occupano di pianificazione, difesa del territorio e terremoti (Regione Lombardia, Provincia di Bergamo, Ufficio Servizio Sismico Nazionale – Dipartimento della Protezione Civile, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Gruppo Nazionale Difesa Terremoti e altri).

Riassumendo le varie operazioni portate a termine, si possono schematizzare i seguenti momenti principali dell’intero processo.

Analisi e omogeneizzazione dei dati a disposizione, georeferenziazione nuova informazione

Sono state analizzate e prese in considerazione tutte le basi dati e le informazioni inerenti aspetti naturali e/o antropici del territorio bergamasco, fornite dalle strutture regionali e provinciali referenti per la cartografia e l’informatizzazione di dati.

Sono stati nel contempo analizzati i dati di Piani di Emergenza Comunali e Intercomunali e degli altri studi messi a disposizione.

A partire dai dati di base, sono dunque state strutturate le basi dati proprie per l’elaborazione del Rischio Sismico, compresa la georeferenziazione di nuova informazione per l’elaborazione dei principali temi di Pericolosità.

Nell’approntamento di questa attività, sono stati predisposti anche una serie di incontri specifici fra i redattori dei diversi Piani Stralcio, i referenti Provinciali ed il Coordinatore di Piano, al fine di definire una strutturazione allineata delle parti comuni degli studi, con particolare riferimento allo standard dei dati ed alla loro archiviazione e rappresentazione, anche in funzione di una successiva implementazione nel Sistema Informativo di Piano Provinciale.

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Incontri con Enti e Associazioni sul territorio

Nel corso del lavoro di definizione del Piano, si sono tenuti una serie di incontri periodici con il Gruppo di Lavoro, cui hanno partecipato, oltre ai responsabili e referenti Regionali e Provinciali di Protezione Civile ed ai professionisti incaricati, anche i rappresentanti di Prefettura, Comunità Montane, Comuni (Sindaci), Vigili del Fuoco, Corpo Forestale dello Stato, S.S.U.Em.118, A.I.P.O., Volontariato di Protezione Civile, Ordine degli Ingegneri, Ordine dei Geologi.

Sono stati poi condotti specifici incontri di approfondimento e verifica con alcuni rappresentanti di Enti/Organizzazioni Provinciali, incontri presso gli uffici tecnici Regionali, Provinciali e di alcuni Comuni, oltre che con i referenti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

Confronto con elementi di pianificazione esistenti

Nel corso del lavoro, sono state attentamente analizzate e confrontate le informazioni desumibili dai principali studi di pianificazione territoriale e/o di Protezione Civile redatti a vario titolo nel corso degli ultimi anni, a partire dal Programma Provinciale di Previsione e di Prevenzione dei Rischi di Protezione Civile e dai vari ambiti di studio del P.T.C.P., fino ai più specifici Piani di Emergenza Comunali e Intercomunali.

Definizione dati di Piano, pericolosità e vulnerabilità. Documentazione

A partire dalle informazioni e dagli studi consolidati, si è rappresentata la pericolosità del territorio e definita nel suo complesso la vulnerabilità.

Ne è conseguita la successiva definizione e strutturazione dei dati del modello di intervento e quindi alla generazione complessiva di schematizzazioni, allegati e cartografia.

Per ultimo, è stata conclusa l’attività di redazione finale del documento complessivo del Piano Stralcio – Piano di Emergenza Provinciale, Rischio Sismico.

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55 PPEERRIICCOOLLOOSSIITTAA’’,, VVUULLNNEERRAABBIILLIITTAA’’ EE RRIISSCCHHIIOO

5.1 PERICOLOSITÀ SISMICA

La Pericolosità sismica è la probabilità che si verifichi in un dato luogo o entro una data area ed entro un certo periodo di tempo un terremoto capace di causare dei danni.

In termini schematici si può parlare di:

Pericolosità sismica di base La pericolosità sismica di base è intesa come la misura dello scuotimento al suolo atteso in un dato sito. La pericolosità di base definisce l'entità massima dei terremoti ipotizzabili per una determinata area in un determinato intervallo di tempo: è indipendente dalla presenza di manufatti e persone ed è correlata alle caratteristiche sismo-genetiche dell'area.

Pericolosità sismica locale La pericolosità locale rappresenta la modificazione indotta da condizioni geologiche particolari e dalla morfologia del suolo all'intensità con cui le onde sismiche si manifestano in superficie.

Nella determinazione della Pericolosità sismica di base o di riferimento si procede fondamentalmente - come analisi di base - alla determinazione della sequenza temporale degli eventi sismici nel territorio considerato (normalmente a livello comunale), ottenuta a partire dai dati contenuti nel catalogo dei terremoti, per stimare i risentimenti al sito con opportuni modelli di attenuazione. A tal fine vengono preliminarmente definite aree all’interno delle quali è lecito assumere uno stesso modello di propagazione dell’energia.

Nella definizione della Pericolosità sismica locale vengono invece considerate le condizioni geologiche e geomorfologiche locali che possono produrre delle variazioni della risposta sismica e, tra queste, le aree che presentano particolari conformazioni morfologiche (quali creste rocciose, cocuzzoli, dorsali, scarpate), dove possono verificarsi focalizzazioni dell’energia sismica incidente. Variazioni dell’ampiezza delle vibrazioni e delle frequenze si possono avere anche alla superficie di depositi alluvionali e di falde di detrito, anche con spessori di poche decine di metri a causa dei fenomeni di riflessione multipla e di interferenza delle onde sismiche entro il deposito stesso, con conseguente notevole modificazione rispetto al moto di riferimento. Altri casi di comportamento sismico anomalo dei terreni sono quelli connessi con le deformazioni permanenti e/o cedimenti dovuti a liquefazione di depositi sabbiosi saturi di acqua o a densificazioni dei terreni granulari sopra la falda, nel caso si abbiano terreni con caratteristiche meccaniche scadenti. Sono da segnalare i problemi connessi con i fenomeni di instabilità di vario tipo, come quelli di attivazioni o riattivazione di movimenti franosi e crolli di massi da pareti rocciose.

In relazione alla Pericolosità sismica locale, va correttamente definita anche Amplificazione locale ovvero il rapporto tra l'accelerazione di picco in superficie e l'accelerazione di picco del substrato. L'accelerazione di picco in superficie può dunque essere aumentata dalle condizioni morfologiche, geologiche e geotecniche.

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Parallelamente alla nuova classificazione sismica del territorio nazionale entrata in vigore nel marzo 2003, conseguente al tragico terremoto molisano del 31 ottobre 2002, va ricordato che sono in corso continui studi di approfondimento da parte di numerosi gruppi di ricerca, che nel tempo porteranno molto probabilmente ad ulteriori rivisitazioni della attuale classificazione.

In particolare, studi di dettaglio della Pericolosità sismica del territorio italiano sono infatti stati sviluppati negli ultimi anni dal Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT), in particolare dall'Osservatorio Geofisico Sperimentale di Trieste (OGS), e dal Servizio Sismico Nazionale (SSN).

A tale riguardo, per un approfondimento si rimanda a:

Allegato 2 – Carte Pericolosità

e alle relative carte di Pericolosità Sismica – 1999:

Carta di Pericolosità 1 Valori di PGA (g) con una con una probabilità di superamento del 10% in 50 anni (periodo di ritorno di 475 anni)

Carta di Pericolosità 2 Valori di intensità MCS con una probabilità si superamento del 10% in 50 anni (periodo di ritorno di 475 anni)

Carta di Pericolosità 3 PGA (g) con una con una probabilità di superamento del 10% in 50 anni (periodo di ritorno di 475 anni) – Valori riportati ai capoluoghi comunali

Carta di Pericolosità 4 Intensità MCS con una probabilità si superamento del 10% in 50 anni (periodo di ritorno di 475 anni) – Valori riportati ai capoluoghi comunali

Non va però dimenticato, che – sulla base di quanto già esposto nei precedenti paragrafi 3.5 e 3.8, alla data di conclusione del presente lavoro ‘Piano di Emergenza Provinciale – Rischio Sismico’, viene segnalata la pubblicazione della versione conclusiva delle ricerche svolte e dei risultati conseguiti dal Gruppo di Lavoro 2004 (INGV), per la redazione della mappa di pericolosità sismica prevista dall’Ordinanza PCM 3274 del 20 marzo 2003.

Ci si attende dunque a breve la pubblicazione ufficiale della nuova mappa di classificazione sismica, che andrà ad aggiornare gli elaborati sopra citati e riportati in Allegato 2.

5.2 VULNERABILITÀ SISMICA

La Vulnerabilità sismica consiste nella valutazione della propensione di persone, beni o attività a subire danni al verificarsi dell’evento sismico. Essa misura da una parte la perdita o la riduzione di efficienza, dall’altra la capacità residua a svolgere e assicurare le funzioni che il sistema territoriale nel complesso normalmente esplica a regime. Nell’ottica di una analisi completa della vulnerabilità si pone il problema di individuare non solo i singoli elementi che possono collassare sotto l’impatto del sisma, ma di individuare e quantificare gli effetti che il loro collasso determina sul funzionamento del sistema territoriale.

Le componenti che concorrono alla definizione del concetto di vulnerabilità possono essere distinte in:

Vulnerabilità diretta: definita in rapporto alla propensione del singolo elemento fisico semplice o complesso a subire collasso (ad esempio la vulnerabilità di un edificio, di un viadotto o di un insediamento);

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Vulnerabilità indotta: definita in rapporto agli effetti di crisi dell’organizzazione del territorio

generati dal collasso di uno degli elementi fisici (ad esempio la crisi del sistema di trasporto indotto dall’ostruzione di una strada);

Vulnerabilità differita: definita in rapporto agli effetti che si manifestano nelle fasi successive all’evento e alla prima emergenza e tali da modificare il comportamento delle popolazioni insediate (ad esempio il disagio della popolazione conseguente alla riduzione della base occupazionale per il collasso di stabilimenti industriali).

Inoltre, i principali elementi fisici della vulnerabilità possono essere fondamentalmente riconosciuti nei seguenti:

− danneggiamenti e/o crolli ad edifici residenziali;

− danneggiamento e/o crolli ad edifici di pubblico servizio o produttivi;

− danneggiamenti ad infrastrutture viarie;

− danneggiamenti ad infrastrutture di servizio;

− crolli e franamenti naturali.

Indicatori di vulnerabilità (per costruzioni in muratura)

La vulnerabilità sismica di un edifico è un suo carattere comportamentale descritto attraverso una legge causa-effetto in cui la causa è il terremoto e l’effetto è il danno.

Il parametro terremoto è usualmente costituito dalla intensità macrosismica.

Il parametro danno si può valutare attraverso diversi metodi:

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− grado del danno, inteso come il costo della sua riparazione rapportato a quello della ricostruzione completa dell’edificio;

− stati del danno (nullo, lieve, ecc.), simili a quelli che sono alla base delle scale macrosismiche.

Ciascuno stato è caratterizzato da una descrizione più o meno dettagliata dell’entità e dell’estensione delle lesioni che gli corrispondono, attraverso indicatori meccanici del danno.

In realtà, ogni rappresentazione del danno è in qualche modo convenzionale: in recenti elaborazioni di dati raccolti dopo terremoti avvenuti in Italia è stato impiegato un indice di danno ibrido, espresso in funzione delle diverse estensioni e gravità del danneggiamento nelle diverse parti della costruzione e del loro peso economico, che è compatibile con la scheda di rilevamento sul campo attualmente impiegata in Italia (GNDT, 1989). Con tale scheda si registra infatti, per ogni piano dell’edificio, il danno nelle diverse componenti costruttive (strutture verticali, strutture orizzontali, scale, tamponature) in base a sei stati di danno (nullo, lieve, medio, grave, gravissimo, totale) precisati attraverso una descrizione dettagliata nel manuale d’uso della scheda stessa.

5.3 RISCHIO SISMICO

La seguente definizione e relativi commenti – ripresa dal Programma Provinciale di Previsione e di Prevenzione dei Rischi di Protezione Civile – sono tratti da recenti pubblicazioni che il G.N.D.T. (Gruppo Nazionale Difesa Terremoti del Consiglio Nazionale delle Ricerche) ha pubblicato sull’argomento.

Qualsiasi terremoto sufficientemente forte produce tre tipi di effetti principali: sul suolo, sugli edifici e sulle persone.

Il rischio è pertanto dipendente, dato un evento sismico di caratteristiche prefissate, dall’estensione e dalla tipologia della zona interessata dall’evento, dal valore dei beni esposti e dal numero di persone coinvolte. Per un sistema urbano il rischio (R) può essere descritto simbolicamente dalla relazione:

R = Pr • (Pl • Eu • Vs) dove: Pr – pericolosità di riferimento – definisce l’entità massima dei terremoti ipotizzabili per una determinata area in un determinato intervallo di tempo. Questo fattore è indipendente dalla presenza di manufatti o persone, non può essere in alcun modo modificato dall’intervento umano essendo esclusivamente correlato alle caratteristiche sismogenetiche dell’area interessata. Costituisce l’input energetico in base al quale commisurare gli effetti generabili da un evento sismico. Pl – pericolosità locale – rappresenta la modificazione indotta da condizioni geologiche particolari e dalla morfologia del suolo all’intensità con cui le onde sismiche si manifestano in superficie. Eu – esposizione urbana – descrive tutto quanto esiste ed insiste su di un determinato territorio, dalla consistenza della popolazione, al complesso del patrimonio edilizio-infrastrutturale e delle at-tività sociali ed economiche. Vs – vulnerabilità del sistema urbano – è riferita alla capacità strutturale che l’intero sistema urbano o parte di esso ha di resistere agli effetti di un terremoto di data intensità. Può essere descritta per

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mezzo di indicatori sintetici come la tipologia insediativa, o dalla combinazione di parametri quali materiale, struttura, età, numero di piani ecc., al fine di definire zone a vulnerabilità omogenea.

Ci si può rendere conto immediatamente che si tratta di argomenti assai diversi, che implicano competenze disciplinari ben distinte: geologia, sismologia e sismologia applicata per la pericolosità; ingegneria e urbanistica per la vulnerabilità e l’esposizione.

Il GNDT, a livello nazionale, pur nella visione unitaria riferita agli obiettivi preposti, ha affidato a distinte linee di ricerca il compito di studiare tali argomenti. Vengono così continuamente messe a punto metodologie che oggi consentono di definire, con risultati sempre perfettibili e suscettibili di ampliamenti e perfezionamenti, i parametri che concorrono a determinare il rischio sismico.

5.4 CONSIDERAZIONI SUI PRINCIPALI ELEMENTI VULNERABILI

Sono di seguito riportati alcuni degli argomenti principali in relazione alle varie tipologie di elementi vulnerabili, già in precedenza illustrati, e riconducibili alle strutture (principalmente murarie, ma non solo), alle reti e infrastrutture di servizio e agli aspetti di franamenti e/o smottamenti dovuti ad azioni dinamiche sui suoli.

5.4.1 Strutture in muratura

Un accenno particolare è bene farlo in merito alle strutture in muratura, più frequentemente interessate da meccanismi di crollo e/o danneggiamento in caso di terremoto.

I dissesti negli edifici in muratura possono essere: dissesti di natura fisiologica

o che dipendono dalla concezione dell’opera o dalle modalità di costruzione dissesti di natura patologica

o che dipendono dalle trasformazioni maturate nel tempo o da eventi esterni, che possono essere interventi dell’uomo o eventi sismici

Da questa prima suddivisione, risulta immediato intuire la correlazione che intercorre tra danni sismici e dissesti di natura non sismica.

L’analisi dei danni sismici nelle strutture murarie, ha come finalità: − la verifica della agibilità della costruzione − la valutazione delle vulnerabilità della costruzione − la stima della sicurezza complessiva − l’indicazione sui provvedimenti tecnici di intervento

In particolare risulta importante arrivare alla definizione completa dei danni sismici e dei meccanismi di collasso.

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Sollecitazioni Verticali

Sollecitazioni Orizzontali

Fig. 5.1 Danni sismici e natura delle scosse

Per definire correttamente i potenziali danni da evento sismico, vanno compresi a fondo i fattori specifici che possono indurre danno:

− elementi di connessione − orizzontamenti − coperture − modalità costruttive iniziali − processi di trasformazione − interventi eseguiti nel passato − discontinuità ed eterogeneità − fenomeni di degrado − invecchiamento − dissesti dovuti a terremoti passati

Di qui la comprensione approfondita dei meccanismi e le conseguenti verifiche locali e globali, al fine di produrre i più idonei provvedimenti tecnici di intervento

In particolare, riferendosi alle potenziali modalità di collasso: o crisi di elementi murari per carichi ortogonali al loro piano medio (la quale, se

scongiurata, ‘permette’ il trasferimento del carico sismico agli elementi paralleli all’azione sismica)

o crisi degli elementi murari per carichi agenti nel piano

ne risulta, che è necessario valutare separatamente il comportamento degli elementi murari per: o carichi ortogonali o carichi complanari

Sulla base di tale schematizzazione, la verifica sismica e l’analisi delle modalità di danno devono essere svolte in due fasi, a livello ‘locale’ e a livello ‘globale’.

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5.4.2 Sintesi schematica dei dissesti da sisma

Nella presente schematizzazione sono riportate le principali tipologie di dissesto da sisma.

1. Taglio in maschi o in fasce di piano (non è frequente causa di collasso)

2. Ribaltamento di pareti o porzioni

3. Distacco paramenti esterni in murature a sacco soprattutto in presenza di cordoli in traccia

4. Spinte localizzate travi inclinate, archi, volte in assenza di contenimento spinta

5. Discontinuità in rigidezza conseguente a interventi errati es. inserimento elementi in c.a., sostituzione solai lignei con c.a. (che può produrre martellamento)

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5.4.3 Reti e infrastrutture di servizio

Il tema della vulnerabilità di reti e infrastrutture di servizio è di notevole importanza ai fini sia dell’emergenza che della sicurezza e ripristino delle attività di base in un territorio colpito da terremoto.

Le considerazioni che seguono fanno esplicito riferimento agli studi di settore redatti nel tempo su questo specifico tema ed in particolare al lavoro del 2001 redatto in una Zona campione della Regione Lombardia, a cura dalla Regione Lombardia – Direzione Generale Territorio e Urbanistica – U.O. Attività Generali. Per un primo approfondimento sui contenuti ed alcuni elementi principali di tale lavoro, si rimanda all’Allegato 3 – Vulnerabilità Reti.

In passato l’attenzione dei mezzi di comunicazione, ma anche della comunità scientifica, si era concentrata prevalentemente sui danni agli edifici, che rimangono ovviamente la causa principale delle morti e del ferimento di persone in caso di sisma. Tuttavia negli ultimi anni (almeno venti in Giappone e negli Stati Uniti, molti di meno in Europa e in Italia) si registra una crescente preoccupazione anche per altri sistemi territoriali, quali gli edifici pubblici strategici e le infrastrutture di servizio.

Se, infatti, la resistenza delle case è un requisito fondamentale per la salvaguardia della vita degli abitanti, è anche vero che efficienti infrastrutture, in grado di facilitare l’immediato soccorso alle vittime, possono mitigare sensibilmente l’impatto di un evento calamitoso, anche se, al momento, è difficile quantificare con precisione i benefici ottenibili: sono ancora pochi, infatti, i parametri di controllo per verificare quanto i danni alle infrastrutture abbiano inciso sull’efficacia delle operazioni di emergenza e sulla ricostruzione, dato che la risposta dei sistemi territoriali in caso di evento non è stata ancora studiata a fondo e l’unico riferimento utilizzabile è costituito dalla descrizione di eventi del recente passato, dai quali occorre estrapolare le informazioni di interesse.

Sul versante dei costi di ripristino della normalità e di ricostruzione, i danni alle infrastrutture costituiscono un capitolo di spesa rilevante. Alcuni lavori (Cole, 1995; Egouchi, 1995) hanno tentato di fornire una stima del danno economico dovuto ai guasti delle lifelines in seguito ad un sisma, sia come costi diretti di riparazione e sostituzione di parti, sia i termini di mancati introiti per le aziende e per gli enti erogatori, sia infine come danno economico complessivo alle attività produttive che dipendono per la loro sopravvivenza da gas, elettricità, acqua, vie di comunicazione.

L’analisi iniziale parte dalla definizione degli elementi conoscitivi e informativi relativi alla vulnerabilità sismica delle lifelines, che non può prescindere dalla distinzione tra la fase di emergenza e le successive fasi di ripristino/ricostruzione. Le principali tipologie di rete che devono essere considerate sono:

− la rete elettrica;

− la rete idrica;

− la rete del gas;

− la rete delle comunicazioni;

− la rete stradale e ferroviaria.

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Versione 1.0 – Febbraio 2005 pag. 45 di 120

Vanno poi censite e organizzate in un data base le informazioni comuni relative alla geografia complessa di reti ed enti gestori, considerando opportunamente la variabilità di struttura e qualità del dato di rete.

Nel modello di valutazione della vulnerabilità si distinguono di base i seguenti momenti operativi:

− valutazione della vulnerabilità intrinseca rete per rete;

− valutazione della vulnerabilità territoriale.

La prima analisi riguarda la valutazione della vulnerabilità intrinseca, rete per rete, considerata sia nella fase di emergenza che nelle successive fasi di ripristino/ricostruzione.

Vanno analizzati e valutati i fattori funzionali, organizzativi e fisici che ne determinano complessivamente il tipo di risposta in emergenza e la risposta nella fase di ripristino/ricostruzione.

Alcuni elementi chiave di valutazione possono essere:

− necessità che le reti, pur presentando alcuni segni di vulnerabilità fisica, siano comunque in grado di supportare un livello di prestazione minimo per l’espletamento delle attività di cura e soccorso delle vittime (soprattutto in fase di emergenza);

− limite entro il quale la rete è ancora in grado di fornire acqua, energia, altro oppure ancora trasporto di beni e persone per il soccorso e l’assistenza delle vittime, anche in seguito a guasti dovuti allo scuotimento (soprattutto in fase di emergenza);

− valutazione del tempo necessario e della rapidità con la quale si sarà in grado di tornare a condizioni di normalità (soprattutto per le successive fasi di ripristino/ricostruzione).

La seconda analisi riguarda la valutazione della vulnerabilità territoriale, intesa come grado di propensione al danno dei sistemi territoriali nel caso di mancato funzionamento dei servizi quali acqua, elettricità, gas, comunicazioni. La gravità della perdita delle reti e/o del loro mancato funzionamento in una data area dipendono dal grado di relativa autonomia di industrie, servizi pubblici, ospedali. Occorre cioè capire quali saranno le conseguenze sul sistema territoriale dei danni potenzialmente attesi su una o più reti. Anche questo secondo momento della valutazione distingue tra vulnerabilità all’emergenza e alla fase di ripristino/ricostruzione.

Alcuni elementi chiave di valutazione possono essere:

− la possibilità di innesco di fenomeni indotti, quali ad esempio incendi in zona urbana in seguito a diffuse perdite di gas o a incidenti indotti in impianti a rischio chimico o industriale (soprattutto in fase di emergenza);

− la dipendenza dei sistemi necessari per gestire l’emergenza (soprattutto servizi come ospedali o caserme dei vigili del fuoco) dalle reti. Per esempio deve essere considerata critica una situazione nella quale la maggior parte degli ospedali non disponga di attrezzature utili a garantirne l’autonomia energetica per alcuni giorni (generatori fissati a prova d’urto, batterie, combustibile, liquido refrigerante);

− la dipendenza dalle reti dei principali sistemi territoriali (molti dei quali trascurati nella valutazione in fase di emergenza). Sono ad esempio da tenere in conto i servizi amministrativi e alle imprese, dal momento che il danno conseguente al mancato funzionamento delle lifelines si tramuta in un danno economico indiretto per le aziende. L’interruzione prolungata di acqua, gas, elettricità, vie di accesso e di comunicazione, viene ad esempio valutata anche nella corretta localizzazione “impiantistica” delle aree prescelte per la collocazione degli alloggi temporanei.

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In termini di riduzione della vulnerabilità sismica delle reti, si può schematicamente riportare che gli elementi di base da tenere presente sono:

− la corretta implementazione e gestione di dati e cartografie delle reti;

− il coordinamento dei soggetti gestori e dei gruppi tecnici di riferimento;

− la definizione di specifiche linee guida per la progettazione e manutenzione delle reti;

− il piano di gestione e salvaguardia delle funzioni strategiche delle reti;

− la predisposizione di aree attrezzate per la gestione dell’emergenza e dell’evacuazione.

In sintesi, gli elementi più rilevanti da considerare al fine di una corretta valutazione e gestione della vulnerabilità delle lifelines, sono:

− la complessità del sistema territoriale delle lifelines, per le molteplici sfaccettature e i molti fattori fisici e organizzativi;

− la valutazione delle criticità in due livelli, il primo relativo alle sole reti, il secondo che esprime la gravità della perdita potenziale di una o più reti, a causa della presenza di uno o più elementi di criticità, per il territorio nel suo complesso;

− la produzione e gestione di dati e parametri di controllo di interesse sovralocale, che ha tra le sue priorità l’indirizzo dell’azione locale dei singoli comuni e, ove necessario, delle aziende che forniscono i vari servizi, nonché la salvaguardia di funzioni, edifici e sistemi strategici, sia per la collettività che, in senso più generale, per la gestione di un’emergenza di massa.

Alla base di tutto, vi è infine uno degli aspetti di maggiore criticità, che riguarda l’eccessiva frammentazione delle competenze sulle reti e sul loro funzionamento. La moltitudine di enti, aziende e agenzie non solo richiede la presenza di un organismo atto a facilitare e favorire il coordinamento, oltre che la ricerca di una concreta modalità con quale si tenga in debito conto l’interazione tra le infrastrutture di servizio e gli altri sistemi territoriali.

5.4.4 Aspetti naturali: instabilità versanti, frane e crolli

Il tema dell’instabilità di versanti in condizioni dinamiche è anche esso un tema molto importante nella valutazione complessiva della vulnerabilità sismica, oltre che nella analisi degli effetti diretti sul territorio a seguito di un terremoto.

Tale argomento è sicuramente molto complesso e articolato. Per le valutazioni complessive sulla geologia del territorio bergamasco e sulle valutazioni in merito al rischio idrogeologico da frana, si rimanda alla specifica trattazione all’interno del Piano Stralcio – Rischio idrogeologico da frana.

A seguire si riportano solo alcune brevi considerazioni, che traggono origine e fanno esplicito riferimento agli studi di settore redatti nel tempo su questo specifico tema ed in particolare al lavoro del gennaio 1998 nella zona campione dell’Oltrepò Pavese, a cura dalla Regione Lombardia - Settore Tutela Ambientale - Servizio Geologico e Tutela delle Acque. Per un primo approfondimento sui contenuti ed alcuni elementi principali di tale lavoro, si rimanda all’Allegato 4 – Stabilità Versanti.

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Da una classificazione dei movimenti franosi effettuata da Keefer (1984) e Keefer e Wilson (1985), che hanno esaminato la distribuzione delle frane in 11, 40 e 42 terremoti storici, nell'area californiana, evidenziando come possa essere coinvolta una gran varietà di materiali. I materiali più suscettibili risultano essere:

− rocce poco cementate, alterate ed intensamente fratturate; − rocce coerenti con evidenti discontinuità; − depositi colluviali sabbioso-limosi non saturi; − depositi colluviali sabbioso-limosi saturi; − depositi sciolti come ceneri vulcaniche, loess, suoli poco cementati e depositi alluvionali.

Essi hanno suddiviso le frane esaminate in tre categorie, utilizzando come base la classificazione proposta da Varnes (1984):

I) frane con alto livello di disgregazione del materiale: crolli di roccia e suolo, scorrimenti traslazionali di blocchi di roccia e suolo e valanghe di roccia e suolo; sono le più diffuse ed hanno una velocità da alta a moderata. Il meccanismo di innesco è dato da sforzi di trazione e di taglio in materiali asciutti o saturi su pendii acclivi.

II) frane con basso livello di disgregazione del materiale: scorrimenti traslazionali di roccia in blocco o scorrimenti rotazionali di roccia o suolo e colamenti lenti di suolo; i materiali coinvolti sono tipicamente rocce deboli, materiali soffici o materiali di riempimento e alluvionali. Questo tipo di frane si instaura principalmente lungo superfici di taglio, per cui possono essere effettuate analisi di stabilità con il metodo dell'equilibrio limite; in questo caso risulta necessaria la conoscenza delle caratteristiche geotecniche dei materiali e della geometria del corpo di frana.

III) frane causate da espansione laterale o da colamento: frane per espandimento laterale di suolo e colamenti rapidi di suolo; tipici effetti del fenomeno di liquefazione, causato dal rapido innalzamento della pressione dell'acqua in materiali saturi e privi di coesione.

Dallo studio effettuato sulla base di 40 terremoti storici, Harp e Keefer (1990) hanno valutato come, in ordine decrescente, le frane più frequentemente indotte da terremoti siano:

o crolli di roccia,

o scorrimenti traslazionali di suolo alterato,

o scorrimenti traslazionali di blocchi di roccia,

o espandimenti laterali di suolo,

o scorrimenti rotazionali di suolo,

o scorrimenti traslazionali di blocchi di suolo,

o valanghe di suolo,

o crolli di suolo,

o colamenti rapidi di suolo,

o scorrimenti rotazionali di roccia

o in minor misura le altre.

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È stata quindi valutata dagli stessi autori, in modo approssimato, l'entità massima della magnitudo (M) e dell'intensità (I) (valutata secondo la scala Mercalli Modificata) necessarie per l'attivazione dei tre tipi di frana individuati:

- tipo I: M = 4.0, I = VI

- tipo II: M = 4.5, I = VII

- tipo III: M = 5.0, I = VII-VIII

In sintesi, si può dire che le frane con elevato grado di disgregazione del materiale (tipo I) vengono attivate anche in caso di scuotimenti deboli e sono quindi suscettibili ad una alta frequenza e ad una breve durata, caratteristiche degli eventi minori, mentre le frane con grado di disgregazione più basso (tipo II e III) e più profonde sono attivate da scuotimenti forti, con maggiore durata.

Per ultimo, si può dire che la valutazione del rischio diretto, inteso come analisi di instabilità in condizioni dinamiche, può essere effettuato calcolando i possibili spostamenti dei movimenti franosi rilevati in una determinata area di studio.

L'analisi in termini di influenza alle infrastrutture, intesa come determinazione del rischio indiretto, può essere invece effettuata valutando l'influenza della instabilità delle frane sulle strade e sui centri abitati dell'area, sovrapponendo la mappa delle strade e dei centri abitati e le mappe dei valori di spostamento delle frane.

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66 SSIISSTTEEMMII DDII MMOONNIITTOORRAAGGGGIIOO

6.1 DESCRIZIONE DEI SISTEMI DI MONITORAGGIO

Il monitoraggio dei fenomeni sismici attualmente viene gestito a livello nazionale dall’Istituto Nazionale di Geofisica con sede a Roma che, attraverso la rete sismica costituita da circa 90 stazioni di rilevamento, fornisce in tempo reale (da pochi secondi ad un massimo di circa tre minuti per l’Italia) la posizione dell’epicentro del sisma e il valore della sua intensità: ne dà immediata comunicazione di avvenuto terremoto al Dipartimento della Protezione Civile e alle Prefetture interessate. Inoltre emette un bollettino con tutti i dati dei sismi registrati che viene inviato regolarmente agli Enti interessati. Ai fini di protezione civile la rete sismica italiana gestita dall’I.N.G.V. è più che sufficiente a fornire epicentro e intensità dei fenomeni sismici che possono interessare zone della Regione Lombardia; al contrario, se si volesse intraprendere un eventuale studio approfondito della sismicità sarebbe necessaria l’installazione di una rete sismica locale con un numero sufficiente di strumenti sensibili per rilevare anche microscosse al fine di effettuare, attraverso la microsismicità della zona così individuata, la microzonazione dell’area.

Esiste poi la Rete Accelerometrica Nazionale (RAN), attraverso la quale il Servizio Sistemi di Monitoraggio pubblica – a partire dall’evento sismico del 9 settembre 1998 – i dati che vengono registrati.

L’Osservatorio Geofisico Sperimentale con sede a Trieste gestisce la rete nord-orientale e in particolare la rete del Trentino: la provincia di Trento acquisisce i dati della rete e l’OGS elabora e gestisce i dati. Anche la rete veneta e friulana è gestita attualmente dall’OGS. L’OGS fornisce agli enti interessati notizie riguardo magnitudo e localizzazione dei sismi dopo le prime elaborazioni dei dati disponibili.

L’Istituto di Geofisica Monte Croce di Desenzano gestisce dal 1986 un rete locale composta da tre stazioni con radiotrasmissione sull’Istituto di Desenzano (Monte Savallo, Castelvenzago di Lonato, Monte Fà Gagnano) ed è collegato con la rete dell’Italia nord-orientale

Si segnala infine la rete di monitoraggio GPS in corso di allestimento da parte della Regione Lombardia per le possibili implicazioni di verifica post sisma sul territorio.

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6.2 RETE SISMICA NAZIONALE CENTRALIZZATA

L'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia svolge da molti anni il compito di sorveglianza sismica del territorio nazionale attraverso una rete di sensori collegati in tempo reale al centro di acquisizione dati di Roma. Lo scopo di tale rete è duplice: la comunicazione tempestiva agli organi di Protezione Civile dei dati relativi alla localizzazione e all'entità di ogni evento sismico e la produzione di informazioni scientifiche di base (localizzazione ipocentrale, meccanismo focale, magnitudo) per una migliore conoscenza dei fenomeni sismici, con particolare riguardo alla comprensione dei processi sismogenetici della penisola.

La Rete Sismica Nazionale Centralizzata (RSNC) è stata potenziata nel corso degli anni fino al raggiungimento della configurazione attuale che è di circa 90 stazioni sismiche di cui 4 tridirezionali dotate di sensori verticali a corto periodo (S13 Teledyne Geotech).

Fig. 6.1 Rete Sismica Nazionale

I segnali rilevati dalle stazioni sono telemetrati mediante linee telefoniche dedicate o mediante pontiradio militari in un unico centro di acquisizione situato a Roma nella sede dell'INGV.

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6.3 RETE ACCELEROMETRICA NAZIONALE

UFFICIO SERVIZIO SISMICO DEL DIPARTIMENTO PROTEZIONE CIVILE (Rete tarata sui terremoti di rilievo)

A partire dall’evento sismico del 9 settembre 1998, il Servizio Sistemi di Monitoraggio pubblica i dati registrati dalla Rete Accelerometrica Nazionale (RAN), per la cui gestione si avvale della collaborazione di SOGIN S.p.A.

I comunicati sono diffusi quando le stazioni accelerometriche della RAN registrano eventi sismici significativi.

Le registrazioni analogiche digitalizzate e le registrazioni digitali sono elaborate calcolando le accelerazioni non corrette e le accelerazioni, velocità e spostamenti corretti, unitamente agli spettri di Fourier e di risposta.

Dall'anno 2003, sono disponibili le informazioni relative a tutte le stazioni analogiche della RAN suddivise per regione.

Per ciascuna postazione è possibile consultare, unitamente agli eventi principali registrati da ogni postazione (maggio 1976 - agosto 2000), una dettagliata scheda monografica

In bianco i capoluoghi di provincia In rosso le stazioni della rete accelerometrica nazionale

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Stazioni in Regione Lombardia

Fig. 6.2 Stazione RABRA in Provincia di Bergamo

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Corografia Localizzazione Stazione RABRA in Provincia di Bergamo

DETTAGLI STAZIONE

Comune BRANZI Provincia BERGAMO Regione LOMBARDIA Codice stazione RABRA

Latitudine N 46° 00’ 14” Longitudine E 09° 45’ 44” Quota (m) Riferimento

IGM F. 18 II SO

Ubicazione stazione Loc. Cascata

STRUMENTAZIONE: RAKA199

Acquisitore Sensore Data

Sigla n. serie Tipo Temporizzatore

Attivazione Disattivazione Analogico

K199 2958 interna 09.06.1994

SENSORI

Codice Sensore Orientamento Fondo scala (g) Frequenza (Hz) Smorzamento (%) KS9909 L-NS 0.25 13.125 58

KS9876 V-DU 0.25 13.000 54

KS9911 T-WE 0.25 13.687 57

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6.4 DATI RECENTI DI ESEMPIO RILEVATI DALLA RETE ACCELEROMETRICA NAZIONALE

Area epicentrale Data evento Ora e minuti Magnitudo

Appennino Bolognese 14-09-03 21:42(UT) 5.0 (Ml)

Appennino Ligure 11-04-03 09:26 (UT) 4.6 (Ml)

Basso Molise 04-11-02 00:35 (UT) 4.2 (Ml)

Basso Molise 01-11-02 15:08 (UT) 5.3 (Ml)

Basso Molise 31-10-02 10:32 (UT) 5.4 (Ml)

Sicilia settentrionale 06-09-02 01:21 (UT) 5.6 (Ml)

Appennino Lucano 18-04-02 20:56 (UT) 4.1 (Md)

Golfo Taranto 17-04-02 06:42(UT) 4.3 (Md)

Alpi Giulie 14-02-02 03:18 (UT) 4.9 (Ml)

Casentino 26-11-01 00:56 (UT) 4.4(Ml)

Zona Alessandria 18-07-01 22:47 (UT) 4.0 (Md)

Massiccio Ortles 17-07-01 15:06 (UT) 4.8 (Md)

Gargano Occidentale 02-07-01 10:04 (UT) 3.8 (Md)

Zona Macerata 16-04-01 08:51 (UT) 3.4 (Md)

Zona Etnea 09-01-01 02:51 (UT) 3.3 (Md)

Zona Terni 16-12-00 07:31 (UT) 4.0 (Md)

Zona Macerata 02-09-00 05:17 (UT) 4.0 (Ml)

Zona Alessandria 21-08-00 17:14 (UT) 4.8 (Md)

Zona Macerata 11-08-00 04:33 (UT) 3.5 (Md)

Zona Macerata 10-08-00 07:17 (UT) 3.5 (Md)

Montefeltro 01-08-00 02:34 (UT) 4.2 (Md)

App.Umbro-Marchigiano 22-06-00 12:16 (UT) 4.3 (Md)

Zona Parma 18-06-00 07:42 (UT) 4.5 (Md)

App. Umbro-Marchigiano 11-06-00 22:55 (UT) 4.0 (Md)

Zona Ravenna 08-05-00 12:30 (UT) 4.3 (Md)

Zona Ravenna 06-05-00 22:07 (UT) 4.2 (Md)

Monte Amiata (GR) 01-04-00 18:08 (UT) 4.0 (Md)

App. Umbro-Marchigiano 29-11-99 03:20 (UT) 3.8 (Md)

Lunigiana 07-07-99 17:16 (UT) 4.6 (Md)

Monti Nebrodi 14-02-99 11:45 (UT) 4.3 (Md)

App. Forlivese 25-01-99 22:45 (UT) 4.3 (Md)

App. Lucano 09-09-98 11:28 (UT) 5.5 (Ml)

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6.5 OSSERVATORIO SISMICO DI VARESE

Per segnalazioni relative a eventi sismici nel territorio bergamasco, può essere contattato anche l’Osservatorio Sismico di Varese, Associato all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Rete Sismica Nazionale Centralizzata – RSNC).

Osservatorio Sismico Coordinate: lat. +45° 50' 03" long. 08° 50' 07" Est

6.6 ULTERIORI SERVIZI TECNICI DELLO STATO E CENTRI DI RICERCA

Sono di seguito riportati alcuni ulteriori riferimenti di Servizi Tecnici dello Stato e Centri di ricerca operanti sul territorio nazionale.

Dipartimento Nazionale di Protezione Civilehttp://www.protezionecivile.it/

Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologiahttp://www.ingrm.it/

Osservatorio Geofisico Sperimentale di Triestehttp://www.ogs.trieste.it/

Servizio Geologico Nazionalehttp://www.dstn.it/sgn/index.htm

Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremotihttp://emidius.itim.mi.cnr.it/GNDT/home.html

Federazione italiana di Scienze della Terrahttp://server.dst.unipi.it/fist/

Lab. di Geofisica dell'Università di Camerino (sismogramma in tempo realehttp://camcic.unicam.it/discite/speciale/reale.htm

Versione 1.0 – Febbraio 2005 pag. 55 di 120

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77 IINNQQUUAADDRRAAMMEENNTTOO TTEERRRRIITTOORRIIAALLEE

Il territorio della provincia di Bergamo presenta caratteristiche morfologiche molto diversificate, spaziando da zone montane, a zone collinari e ad ampie zone di pianura. Il dominio geologico di riferimento è quello delle Prealpi Orobiche.

La superficie complessiva del territorio provinciale è di 2.722 kmq. La zona montana, con un estensione pari a circa il 60% del territorio provinciale, ricopre quasi esclusivamente la fascia più settentrionale. La zona collinare occupa circa il 15% del territorio provinciale e si estende lungo una fascia con quote ricomprese tra i 300 e gli 800 m s.m.m. La zona di pianura, infine, occupa una superficie pari a circa il 25% del territorio provinciale, si sviluppa nella parte meridionale e ricomprende i territori con quote ricomprese tra i 300 e i 90 m s.m.m.

Per quanto riguarda una descrizione più estesa delle informazioni di carattere generale (geografico, climatico, antropico, ...) si rimanda al:

- Capitolo 3: Inquadramento territoriale

delle Linee Operative Generali del Piano Provinciale di Emergenza.

Per gli aspetti prettamente geologici, invece, il rimando è ai primi paragrafi del

- Capitolo 3: Inquadramento territoriale

del Piano Stralcio Rischio Idrogeologico da Frana.

7.1 MASSIME INTENSITÀ MACROSISMICHE OSSERVATE IN PROVINCIA DI BERGAMO

In relazione a quanto già ampiamente esposto al precedente Paragrafo 3.5 - MASSIME INTENSITÀ MACROSISMICHE del presente documento, viene ora riportato un dettaglio circa la situazione territoriale di Bergamo.

In particolare è stato strutturato in Allegato 5 – Massime Intensità BG, un report con tutti i comuni della Provincia di Bergamo, ove è riportata l’indicazione circa la massima intensità storica attribuita.

Analizzando la distribuzione delle massime intensità osservate nel territorio dei comuni che compongono la provincia di Bergamo, è facile constatare quanto il territorio Provinciale sia esposto ai terremoti. Molti dei comuni che lo compongono hanno infatti subito dei danni in occasione di almeno uno dei maggiori terremoti accaduti negli ultimi anni (intensità maggiore a VI MCS).

E’ interessante però evidenziare come nel report delle massime intensità macrosismiche compaiono comuni (riportati in grassetto e sottolineati in giallo), che pur non essendo stati inseriti in seconda zona sismica, hanno storicamente risentito di eventi con intensità Imax pari a 8. Per contro i

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quattro comuni attualmente classificati in 2° zona sismica, mostrano una storia sismica molto diversificata fra di loro (Calcio, Fontanella, Pumenengo, Torre Pallavicina).

Per un dettaglio cartografico su tali informazioni, si rimanda all’allegato cartografico:

T Sis. 1/1 Inquadramento Territoriale – Massime intensità Macrosismiche

Dalla rappresentazione cartografica, ma anche dalla schematizzazione grafica sotto riportata, è inoltre significativo evidenziare come complessivamente la provincia di Bergamo risulti per gran parte del territorio compresa in valori di intensità inferiori a 6, fatti salvi tre areali in cui l’intensità si aggira attorno a 7, con locali incrementi fino ad un massimo Imax = 8.

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pag. 58 di 120 Versione 1.0 – Febbraio 2005

7.2 PERICOLOSITA’ E VULNERABILITA’ NELLA PROVINCIA DI BERGAMO

Andando a recuperare qualche informazione dal passato e facendo una carellata storica (ripresa in parte dal volume ‘I terremoti in Italia – I terremoti in Lombardia’ e da altri studi) dei maggiori terremoti risentiti sul territorio della Provincia di Bergamo, si vuole nuovamente evidenziare come aree che non sono classificate attualmente in zona 2° abbiano nel passato risentito fortemente l’azione sia di sismi verificatisi in posto, che di risentimenti da altri epicentri.

In Bergamo sono ricordati i terremoti del 1280, che fu di notevole entità, del 1295 che danneggiò seriamente la città e che fu avvertito fino a Milano, così come quelli del 1576, del 1642, che procurò molti e seri danni alla città e causò il crollo del campanile di S.Stefano a Milano, quelli del 1661, del 1781 e del 1884. Anche quello del 26 dicembre 1397 causò il crollo di parecchi edifici. Molto sentiti furono anche quelli verificatesi il 26 settembre 1576, la notte tra l’8 e il 9 marzo 1593, il 22 agosto 1606 e a dicembre del 1857. Il citato terremoto del 1661 fu disastroso nella città di Albino, a pochi km a NE di Bergamo.

Un terremoto abbastanza forte fu avvertito poi il 12 settembre 1884 nella città di Treviglio, così come una scossa molto forte si verificò il 10 settembre 1781 tra i comuni di Treviglio, Caravaggio e Cassano (tutti comuni non classificati in 2° zona).

Altri terremoti, con epicentro decentrato rispetto a Bergamo, ma i cui effetti furono fortemente sentiti anche in questa città, furono quelli verificatisi nel Cremasco nel 1786, nel Bresciano nel 1894, in Emilia nel 1873 e 1898, in Veneto nel 1117, 1873, 1891 e 1892.

Dai dati storici e dalla cartografia emerge dunque che il fenomeno terremoto non presenta valenza omogenea sul territorio provinciale; gli effetti massimi osservati negli ultimi secoli sono risultati più severi nel settore compreso tra Bergamo e Sarnico, nelle vicinanze di Clusone e a sud-est di Treviglio e Calcio.

Tuttavia, ai fini del presente Piano di Emergenza Provinciale, operando un approccio cautelativo, che prescinde dalla classificazione sismica vigente, si è inteso considerare il

rischio sismico uniforme sul territorio della Provincia di Bergamo.

In particolare, quale scenario di riferimento è stato assunto un terremoto di media intensità, con effetti sul territorio modesti (isolati danneggiamenti ad edifici e/o infrastrutture), ma con

allarme generalizzato e talora effetti di panico nella popolazione.

Nell’immagine che segue, è riportata la cartografia di base relativa alla nuova classificazione sismica del territorio provinciale in base Ordinanza PCM 3274 del 20 marzo 2003 e ss.mm., comunque di riferimento nell’attuazione della normativa vigente e dei relativi provvedimenti.

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Versione 1.0 – Febbraio 2005 pag. 60 di 120

Per ultimo va fatto un accenno all’attuale situazione in merito alla deteminazione di indicatori di vulnerabilità, per l’intero territorio della Provincia di Bergamo, e nella conseguente definizione di areali di rischio.

Per quanto attiene la vulnerabilità, allo stato attuale non vi sono studi esaustivi che riproducano la reale situazione in provincia. Ne discende quindi che non è nemmeno proponibile una mappatura del rischio sull’intero territorio provinciale.

Una prima indicazione in merito alla caratterizzazione locale del territorio la si trova nel PROGRAMMA PROVINCIALE DI PREVISIONE E DI PREVENZIONE DEI RISCHI DI PROTEZIONE CIVILE, ove si trovano alcune informazioni di base – suddivise per C.O.M. – in merito alla pericolosità e amplificazione locale dei fenomeni sismici, oltre ad alcuni dati di sintesi circa le vulnerabilità (fragilità sul territorio) e la presenza di invasi idrici. Per un dettaglio su tali contenuti, si rimanda all’Allegato 6 – Territorio di Bergamo.

Vi sono inoltre esempi territorialmente limitati dovuti a singole esperienze di studio. Uno di questi è lo studio ‘Determinazione del rischio sismico ai fini urbanistici in Lombardia’ - Servizio Geologico della Lombardia CNR/IRRS di Milano, 1996. Per un primo approfondimento sui contenuti ed alcuni elementi principali di tale lavoro, si rimanda all’Allegato 7 – Determinazione Rischio Sismico.

In conclusione si può comunque certamente dire che l’applicazione dell’attuale normativa aiuterà sicuramente ad un miglior monitoraggio del patrimonio edilizio – da un lato – e alla diffusione di una cultura antisismica – dall’altro, riconducibili ad azioni di:

miglioramento dei controlli sugli edifici esistenti;

miglioramento nelle fasi di progettazione ed esecuzione delle nuove opere;

formazione e informazione sia delle categorie di tecnici che della popolazione tutta.

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informazioni contenute nell’aggiornamento del presente piano approvato con Deliberazione

di Consiglio Provinciale n°44 del 22 Maggio 2014 e visionabile sul sito istituzionale della

Provincia di Bergamo http://www.provincia.bergamo.it/protezionecivile (sezione

pianificazione di emergenza)

da pag 61 a pag 113

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Versione 1.0 – Febbraio 2005 pag. 114 di 120

1100 GGLLOOSSSSAARRIIOO Elenco descrittivo dei principali termini utilizzati per la descrizione di fenomeni legati ai sismi. ACCELEROMETRO: strumento che misura l'accelerazione del suolo (vedi anche RAN) ACCELERAZIONE: spostamento al suolo dovuto alle azioni dinamiche del sisma, misurato in m/sec2 AREA SISMOGENETICA: zona dove l'attività sismica si manifesta con maggiore frequenza ASISMICO, TERRITORIO: area dove, sulla base dei dati storici, non si sono mai verificati terremoti ASTENOSFERA: parte del mantello limitata superiormente dalla litosfera (fra i 70 ed i 100 Km di

profondità) e inferiormente dalla mesosfera (circa 700 Km di profondità). L'astenosfera è composta da rocce parzialmente allo stato fuso e ad elevata viscosità

AZIONE SISMICA DI PROGETTO: valori delle forze orizzontali definiti dalla vigente normativa sismica

che devono essere introdotti nei calcoli per la progettazione degli edifici per contrastare le azioni del terremoto, ai quali devono resistere gli edifici in zona sismica

CROSTA TERRESTE: parte superficiale della terra compresa tra la superficie libera ed il mantello. La

profondità della crosta varia tra i 6-7 Km sotto gli oceani ed i 50 Km sotto i continenti DATI MACROSISMICI: insieme di informazioni raccolte sul territorio interessato da un terremoto al

fine di catalogare le diverse località in funzione dell'intensità osservata DERIVA DEI CONTINENTI: ipotesi formulata nel 1915 secondo la quale gli attuali continenti si

sarebbero formati dalla fratturazione di un unico continente primordiale (Pangea) DISCONTINUITA' SISMICHE: superfici o strati sottili posti all'interno della Terra attraverso i quali si

verificano nette variazioni di velocità delle onde sismiche EMERGENZA: periodo immediatamente seguente un disastro. Dura fino allo sgombero delle macerie EPICENTRO: punto della superficie terrestre più vicino all'ipocentro FAGLIA: frattura o discontinuità di una massa rocciosa (vedi anche piano di faglia)

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pag. 115 di 120 Versione 1.0 – Febbraio 2005

FAGLIA ATTIVA: faglia che presenta evidenze di movimenti avvenuti nel corso degli ultimi 10.000

anni, per cui si presume che i movimenti (e quindi anche i terremoti) possano ancora verificarsi FAGLIA TRASFORME: tipo di faglia verticale con spostamenti solo orizzontali, caratteristica di alcune

zone d'incontro di zolle litosferiche FAGLIA, PIANO DI: superficie che separa due blocchi di roccia dislocati da una faglia GEODESIA: disciplina che studia la forma della terra specialmente in relazione alla forza di gravità GEODINAMICA: studio dei processi che avvengono nel globo in relazione alle forze che vi agiscono GEOFISICA: disciplina che indaga sulle caratteristiche fisiche del globo GEOTECNICA: disciplina che si occupa delle caratteristiche meccaniche dei terreni di fondazione GUTEMBERG, DISCONTINUITÀ DI: è la zona che separa il mantello dal nucleo esterno. Si situa a

2883 Km di profondità. Fu scoperta per la prima volta da B. Gutemberg INTENSITÀ: valore che indica il grado di danneggiamento prodotto da un terremoto, ad essa si

associa la scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg) IPOCENTRO: punto della crosta terrestre dove si localizza il terremoto ISOSISMA O ISOSISTA: linea che congiunge (o racchiude) punti di uguale intensità sismica LIQUEFAZIONE DEL TERRENO: totale perdita di consistenza dei terreni, composti da sabbia molto

fine, in conseguenza dello scuotimento prodotto dal terremoto molto violento, in presenza di particolari caratteristiche del terreno

LITOSFERA: parte solida del globo terrestre, composta dalla crosta e dalla parte superiore del

mantello. Più sottile sotto gli oceani e più spessa sotto i continenti, la sua profondità varia tra i 70 e i 100 km

MACROSISMICA: disciplina che si occupa dei terremoti in relazione al loro impatto sull'ambiente MAGNITUDO: misura della potenza di un terremoto all'ipocentro. Si calcola in sismogrammi, ad esso

si associa la scala Richter MANTELLO: costituisce gran parte del globo terrestre. E' compreso tra la crosta e il nucleo, a 2883

km di profondità MAREMOTO: onde marine causate da movimenti dei fondali oceanici, generalmente prodotti da

terremoti (denominati anche "Tsunami")

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MESOSFERA: mantello inferiore, compreso tra l'astenosfera, a circa 700 km di profondità, e la discontinuità di Gutenberg

MICROZONAZIONE SISMICA: suddivisione di un'area sismica con estremo dettaglio, in base alle

differenze di risposta sismica. Solitamente l' area investigata raggiunge al massimo quella di una città

NUCLEO TERRESTRE: separato dal mantello dalla discontinuità di Gutenberg è la parte più interna

del globo. Si compone di 2 porzioni: nucleo interno e nucleo esterno. Si presume che il primo sia allo stato solido e il secondo allo stato liquido. In quest'ultimo, secondo molti studiosi, si produrrebbe il campo magnetico terrestre

ONDE LONGITUDINALI (ONDE P) : onde longitudinali (onde P) onde sismiche che si propagano nei

solidi attraverso variazioni di volume. Il moto è parallelo alla direzione di propagazione (da cui onde longitudinali). Sono chiamate P, dal latino “primae”, perché viaggiano più veloci delle altre

ONDE DI TAGLIO (ONDE S) : onde sismiche che si propagano nei solidi attraverso deformazione del

mezzo. Il moto è perpendicolare alla direzione di propagazione (da cui onde di taglio). Sono chiamate S dal latino ”secundae”, perché arrivano dopo le P

ONDE SISMICHE (ELASTICHE) : onde prodotte dal terremoto, dette anche onde elastiche per il

comportamento delle rocce attraverso le quali si propagano ONDE SUPERFICIALI: onde sismiche che si propagano lungo le superfici di discontinuità PANGÈA: supercontinente esistente, secondo la teoria della tettonica a zolle, nell'era secondaria.

Dalla sua frammentazione avrebbero avuto origine gli attuali continenti PERICOLOSITÀ SISMICA: valore dello scuotimento, prodotto dal terremoto, che ci si attende in una

determinata area PERIODO DI RITORNO: intervallo medio di tempo intercorrente tra un terremoto e un altro di pari

magnitudo (o intensità) nella stessa zona PERIODO SISMICO (O SEQUENZA SISMICA): serie di terremoti localizzati nella stessa area, in un

definito intervallo temporale, che seguono o contengono un evento di magnitudo maggiore PRELIMINARI, SCOSSE: eventi sismici di non elevata magnitudo che, a volte, precedono l'evento

principale PREVENZIONE SISMICA: complesso di azioni che la comunità intraprende per mitigare i danni di

futuri terremoti, primo fra tutte l'adozione di misure per la costruzione di edifici antisismici RAGGIO SISMICO: linea immaginaria lungo la quale si propaga l'energia trasportata dalle onde

sismiche REPLICHE, SCOSSE: eventi sismici che seguono la scossa principale

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pag. 117 di 120 Versione 1.0 – Febbraio 2005

RETI SISMICHE: insieme di stazioni sismiche collegate tra loro RETE ACCELEROMETRICA NAZIONALE (RAN): insieme di stazioni sismiche di tipo

accelerometrico RICOSTRUZIONE PRIMARIA: segue la fase di ripristino e si conclude quando è stato ristabilito il

livello socioeconomico anteriore al disastro RICOSTRUZIONE SECONDARIA: insieme degli interventi post-disastro aventi per obbiettivo il

miglioramento del livello socioeconomico della zona colpita rispetto alla situazione anteriore al disastro

RIPRISTINO: fase che segue l'emergenza. Riguarda la rimessa in funzione dei principali servizi

pubblici e segna il ritorno della zona a livelli socioeconomici relativamente stabili RISCHIO SISMICO: valore complessivo del danno atteso da un terremoto in una determinata zona

sismica SCALA D'INTENSITÀ MCS (MERCALLI-CANCANI-SIEBERG): scala per la valutazione degli effetti

prodotti da terremoti su persone, manufatti e sull'ambiente naturale SCALA RICHTER: definita scala in modo improprio, indica il valore che assume il magnitudo SCIAME, TERREMOTO A: terremoto che si presenta con una serie di eventi distribuiti temporalmente

senza un andamento regolare dei valori di magnitudo SISMICITÀ: valore della pericolosità sismica in una determinata area SISMOGENESI: studio delle cause e delle zone origini dei terremoti SISMOGRAFO: strumento scrivente per la rilevazione delle onde sismiche SISMOGRAMMA: tracciato grafico di un terremoto registrato da un sismografo SISMOLOGIA: disciplina che studia i terremoti SISMOMETRO: strumento per la rilevazione di eventi sismici. In generale si indica lo strumento

moderno di tipo elettromagnetico STAZIONE SISMICA: luogo in cui sono collocati gli strumenti di rilevazione (sismometri o

accelerometri) TETTONICA A ZOLLE: teoria che spiega la dinamica della parte più superficiale della terra

(orogenesi, vulcanesimo, sismicità ecc.) a partire dai movimenti orizzontali delle zolle litosferiche e delle loro reciproche interazioni

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Versione 1.0 – Febbraio 2005 pag. 118 di 120

VULCANO: apertura della crosta terrestre che permette la risalita dei sottostanti magmi del mantello ZOLLE O PLACCHE LITOSFERICHE: parti in cui è suddivisa la litosfera terrestre ZONA SISMICA: area soggetta a terremoti ZONAZIONE SISMICA: suddivisione di un'area di vaste dimensioni (ad esempio il territorio nazionale)

sulla base del valore della pericolosità sismica

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pag. 119 di 120 Versione 1.0 – Febbraio 2005

1111 BBIIBBLLIIOOGGRRAAFFIIAA M. Bellizzi - Le Opere provvisionali nell'emergenza sismica, Servizio Sismico Nazionale, 2000 Determinazione del rischio sismico ai fini urbanistici in Lombardia, Servizio Geologico della Lombardia

CNR/IRRS di Milano, 1996 Analisi del comportamento di edifici dei centri storici in zona sismica nella Regione Lombardia, D.G.

Territorio ed Edilizia Residenziale e CNR/IRRS di Milano, 1998, realizzato per alcuni dei comuni sismici nei quali è stata inoltre effettuata la microzonazione del centro storico, con la valutazione della vulnerabilità dei singoli edifici

Analisi di stabilità in condizioni statiche e pseudostatiche di alcune tipologie di frane di crollo

finalizzata alla stesura di modelli di indagine e di intervento, D.G. Territorio ed Urbanistica e CNR/IRRS di Milano, 2001

Vulnerabilità sismica delle infrastrutture a rete in una zona campione della Regione Lombardia, D.G.

Territorio ed Urbanistica e CNR/IRRS di Milano, 2001 Quaderni di geofisica n. 12, Carte di Pericolosità sismica del territorio nazionale, Servizio Sismico

Nazionale e Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti, 2000 Programma Provinciale di Previsione e di Prevenzione dei Rischi di Protezione Civile – Relazione

Genelare, Provincia di Bergamo, 2001 Gruppo di Lavoro (2004). Redazione della mappa di pericolosità sismica prevista dall’Ordinanza PCM

3274 del 20 marzo 2003. Rapporto Conclusivo per il Dipartimento della Protezione Civile, INGV, Milano-Roma, aprile 2004

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Versione 1.0 – Febbraio 2005 pag. 120 di 120

1122 TTAABBEELLLLAA AAGGGGIIUUNNTTEE EE VVAARRIIAANNTTII Le modifiche ed integrazioni al Piano sono diramate dalla Provincia di Bergamo in versioni periodiche, numerate progressivamente. Di norma dovranno essere sostituite intere pagine o inserite di nuove, avendo l’accortezza di distruggere le pagine sostituite. Ciascuna modifica dovrà essere registrata nella successiva tabella. Per esigenze di uniformità nell’aggiornamento del Piano è necessario che nessuna modifica o integrazione venga eseguita d’iniziativa dai singoli Uffici, Comandi, ed Enti destinatari del Piano stesso; eventuali proposte dovranno pervenire alla Provincia - Servizio Protezione Civile.

N° VERSIONE

DATA VERSIONE

ESTREMI COMUNICAZIONE DELLA PROVINCIA (N°

PROT. E DATA) DATA

AGGIORNAMENTO FIRMA LEGGIBILE DI CHI HA EFFETTUATO

L’OPERAZIONE

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22.05.2014
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DCP 44 del 22.05.2014
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02
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Casella di testo
22.05.2014