1-15/16-30 Novembre 2008 - Anno XLV - NN. 43-44

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COPIA OMAGGIO La Piazza d’Italia In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Rom-Italy — Fondato da Turchi — www.lapiazzaditalia.it Finisce così un epoca, tra le lacrime dei cronisti della CNN che annunciano commossi la vittoria di Obama, il riconoscimento bipartisan di Mc Cain, il saluto istituzionale di G.W. Bush. Una storia iniziata nei pionieristici e visionari anni '60 di Barry Goldwater e degli albori del fusionismo, quando uomini come W.F. Buckley fondando giornali come il National Review attorno alle parole d'ordine "no al collettivismo", "no alla secolarizzazione", davano il là alla riscossa del mondo conservatore contro il dominio culturale democratico, proprio nel maggiore momentum di Lyndon Johnson. Allora l'asinello imperversava per il paese a stelle e strisce in modo simile a quanto sino a ieri è stato per il Grand Old Party dell'era di G.W. Bush. Si consegna ai libri anche una recente stagione della politica americana e del partito dell'elefantino durante la quale qualcuno aveva creduto di riuscire a tenere in vita la spinta rivoluzionaria degli anni del reaganismo attraverso un coerente impianto ideologico "post-imperialista". Non è stato così. La visione NeoCon di una Repubblica che lentamente si faceva Impero controllando la periferia grazie alla sua deterrenza militare e al dollaro debole è crollata più che per il peso del dissenso all'invasione irachena o per il dissolversi delle banche d'affari americane, per l'impossibilità del sistema economico reale americano di "fare da solo", di reggere il peso della leadership globale unicamente sulle proprie spalle. Solamente il 10% dei votanti, a questo turno delle presidenziali, ha pensato all'Iraq come primo motivo nella scelta elettorale, per il 62% era la questione economica il primo iussue dell'agenda. La società americana, schiacciata nella morsa del crescente costo del petrolio (sceso solo di recente a livelli ragionevoli), nell'impossibilità di continuare a tenere il dollaro così debole per trainare esportazioni e l'importazione di utili in euro (pena la nascita della moneta unica dei petrodollari nel golfo persico e la crescente disaffezione nei confronti del dollaro come moneta di riserva nel circuito internazionale delle valute) è così arrivata al redde rationem. Il brusco risveglio dalla sogno di un'economia che si voleva per definizione in crescita sempre oltre il 4% consegna gli USA alla presa di coscienza della impossibilità di riuscire a sostenere un debito pubblico che, al di là della spesa militare, copre salti nel buio costati miliardi di dollari, dollari finiti bruciati in nome di un "diritto alla casa" per tutti, coperto e garantito da aziende parastatali oggi tristemente note in tutto il mondo, come Fanny Mae e Freddie Mac, costituite per garantire accessibilità di credito anche a chi non doveva accedervi. Per i democratici sarà piuttosto semplice la scelta. Un disimpegno sullo scacchiere internazionale mascherato da concessioni multilateraliste e "storiche" aperture (leggi Iran, Cuba e Venezuela) per alleggerire il costo della presenza militare e di intelligence americana nel mondo, oltre che un massiccio intervento fiscale e statale per continuare nel solco della nuova era di New Deal roosveltiano paradossalmente spalancata proprio dal Presidente Bush avallando il Bailout del Segretario di Stato Robert Paulson. Per la dirigenza politica del GOP non basterà probabilmente la grinta della Sarah Palin o il recupero di Rudy Giuliani a sciogliere il groviglio di nodi che ingessano il dialogo tra le quattro anime del partito. I libertarians hanno assistito negli ultimi anni ad un continuo arretramento dalla piattaforma liberista con cui era stato formato il primo gabinetto di G.W. Bush, i nazionalisti non hanno potuto avere la riforma dell'immigrazione che attendevano ed hanno dovuto assistere al risorgere della potenza russa senza che lo Zio Sam potesse muovere dito, i Neo Con sono costretti a riposizionare la loro visione del mondo giacché il paese ha dimostrato di non volerla seguire, la Christian Coalition è certamente l'anima più in salute ma la sua visione del GOP che il leader Huckabee ha mostrato nelle primarie spaventa la base per ricordare troppo da vicino un idea di Repubblican Party alla CDU tedesca. Nodi non di poco conto che necessitano passaggi lunghi, lunghi probabilmente almeno una generazione, un tempo in cui il paese e il mondo intero saranno lì a verificare le concrete conseguenze del "Change" che Barack Obama ha promesso al mondo. La Fine di un’epoca? Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti www.lapiazzaditalia.it La Piazza d’Italia Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 Brunello di Montalcino Abbronzatissimi ATTUALITÀ — a pagina 7— — a pagina 8— ATTUALITÀ La crisi e l'Europa di FRANZ TURCHI Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 - DCB-Roma 1-15/16-30 Novembre 2008 - Anno XLV - NN. 43-44 0,25 (Quindicinale) Ormai il dato certo che tutti vogliono scongiurare ma che ognuno conosce, è che la crisi da finanziaria (e psicologica, aggiungo io), sta diventando crisi nell’economia reale. Crisi nei bilanci delle grandi aziende, che tagliano le stime del fatturato e delle produzioni del prossimo anno; crisi dei Paesi in generale nella crescita della domanda; crisi delle piccole imprese e dell’artigianato, che ogni giorno chiudono i battenti dei negozi, uffici, cantieri; purtroppo crisi dei bilanci familiari, dove non si arriva alla fine della 3° settimana del mese. Cosa fare? Il Governo va su tre direzioni: la prima, più semplice ed evidente, è il taglio della spesa nel settore della Pubblica Amministrazione in tutti gli apparati; la seconda, intervenire con liquidità nelle situazioni fallimentari delle grandi imprese, con capitale o azionariato; la terza, utilizzare il mio progetto nelle grandi opere a livello comunitario (TEN – Trans European Network) per dare risorse sul territorio e alle grandi così come alle piccole imprese, ma soprattutto creando posti di lavoro. Non basta! Il Governo, infatti, si è reso conto che bisogna intervenire nel dare soldi alle famiglie e il nuovo piano per tutto questo ci sarà nei prossimi giorni (defiscalizzare le spese, social card, ecc..). Ma l’Europa che fa? Non capiamo quale sia il male dell’Europa in questo momento, in quanto poco fa se non dichiarazioni di circostanza. Mi permetto di aggiungere un’idea a questo punto: facciamo una moratoria delle normative più stringenti (dal 3% del Def./ Pil ecc.) nei settori dell’economia, dell’industria e dell’agricoltura, mantenendo saldi sicurezza ed ambiente. Vuol dire chiedere 24 mesi a Bruxelles per le normative di tutti i settori, giuste in un momento di stabilità, una pausa per questo periodo di crisi incredibile per poi tornare a pieno regime, senza deroghe, subito dopo. Tutto ciò permetterebbe alle nostre piccole imprese, ma anche alle grandi (le poche rimaste), di essere più competitive, in un momento come questo di vulnerabilità in tutti i settori vitali economici del nostro Paese. A questo appello potrebbero unirsi i Paesi della UE che si affacciano sul Mediterraneo che saranno sicuramente più colpiti dalla crisi. Ricominciamo a discuterne e poi, come è già successo tante volte in Europa, alla fine qualcuno ci seguirà e ci darà ragione. Abb. sostenitore da 1000 - Abb. annuale 500 - Abb. semestrale 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina

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La Fine di un’epoca? - Novembre 2008 LA PIAZZA D'ITALIA - www.lapiazzaditalia.it - fondato da Franz Turchi 1-15/16-30 Novembre 2008 - Anno XLV - NN. 43-44 € 0,25 (Quindicinale)

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Finisce così un epoca, tra le lacrime dei cronisti della CNN che annunciano commossi la vittoria di Obama, il riconoscimento bipartisan di Mc Cain, il saluto istituzionale di G.W. Bush.Una storia iniziata nei pionieristici e visionari anni '60 di Barry Goldwater e degli albori del fusionismo, quando uomini come W.F. Buckley fondando giornali come il National Review attorno alle parole d'ordine "no al collettivismo", "no alla secolarizzazione", davano il là alla riscossa del mondo conservatore contro il dominio culturale democratico, proprio nel maggiore momentum di Lyndon Johnson.Allora l'asinello imperversava per il paese a stelle e strisce in modo simile a quanto sino a ieri è stato per il Grand Old Party dell'era di G.W. Bush.Si consegna ai libri anche una recente stagione della politica americana e del partito dell'elefantino durante la quale qualcuno aveva creduto di riuscire a tenere in vita la spinta rivoluzionaria degli anni del reaganismo attraverso un coerente impianto ideologico "post-imperialista".Non è stato così.La visione NeoCon di una Repubblica che lentamente si faceva Impero controllando la periferia grazie alla sua

deterrenza militare e al dollaro debole è crollata più che per il peso del dissenso all'invasione irachena o per il dissolversi delle banche d'affari americane, per l'impossibilità del sistema economico reale americano di "fare da solo", di reggere il peso della leadership globale unicamente sulle proprie spalle.Solamente il 10% dei votanti, a questo turno delle presidenziali, ha pensato all'Iraq come primo motivo nella scelta elettorale, per il 62% era la questione economica il primo iussue dell'agenda.La società americana, schiacciata nella morsa del crescente costo del petrolio (sceso solo di recente a livelli ragionevoli), nell'impossibilità di continuare a tenere il dollaro così debole per trainare esportazioni e l'importazione di utili in euro (pena la nascita della moneta unica dei petrodollari nel golfo persico e la crescente disaffezione nei confronti del dollaro come moneta di riserva nel circuito internazionale delle valute) è così arrivata al redde rationem.Il brusco risveglio dalla sogno di un'economia che si voleva per definizione in crescita sempre oltre il 4% consegna gli USA alla presa di coscienza della impossibilità di riuscire a sostenere un debito pubblico che, al di là della spesa militare,

copre salti nel buio costati miliardi di dollari, dollari finiti bruciati in nome di un "diritto alla casa" per tutti, coperto e garantito da aziende parastatali oggi tristemente note in tutto il mondo, come Fanny Mae e Freddie Mac, costituite per garantire accessibilità di credito anche a chi non doveva accedervi.Per i democratici sarà piuttosto semplice la scelta. Un disimpegno sullo scacchiere internazionale mascherato da concessioni multilateraliste e "storiche" aperture (leggi Iran, Cuba e Venezuela) per alleggerire il costo della presenza militare e di intelligence americana nel mondo, oltre che un massiccio intervento fiscale e statale per continuare nel solco della nuova era di New Deal roosveltiano paradossalmente spalancata proprio dal Presidente Bush avallando il Bailout del Segretario di Stato Robert Paulson.Per la dirigenza politica del GOP non basterà probabilmente la grinta della Sarah Palin o il recupero di Rudy Giuliani a sciogliere il groviglio di nodi che ingessano il dialogo tra le quattro anime del partito.I libertarians hanno assistito negli ultimi anni ad un continuo arretramento dalla piattaforma liberista con cui era stato

formato il primo gabinetto di G.W. Bush, i nazionalisti non hanno potuto avere la riforma dell'immigrazione che attendevano ed hanno dovuto assistere al risorgere della potenza russa senza che lo Zio Sam potesse muovere dito, i Neo Con sono costretti a riposizionare la loro visione del mondo giacché il paese ha dimostrato di non volerla seguire, la Christian Coalition è certamente l'anima più in salute ma la sua visione del

GOP che il leader Huckabee ha mostrato nelle primarie spaventa la base per ricordare troppo da vicino un idea di Repubblican Party alla CDU tedesca.Nodi non di poco conto che necessitano passaggi lunghi, lunghi probabilmente almeno una generazione, un tempo in cui il paese e il mondo intero saranno lì a verificare le concrete conseguenze del "Change" che Barack Obama ha promesso al mondo.

La Fine di un’epoca?

Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia

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politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti

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La crisi e l'Europa

di FRANZ TURCHI

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 - DCB-Roma 1-15/16-30 Novembre 2008 - Anno XLV - NN. 43-44 € 0,25 (Quindicinale)

Ormai il dato certo che tutti vogliono scongiurare ma che ognuno conosce, è che la crisi da finanziaria (e psicologica, aggiungo io), sta diventando crisi nell’economia reale.Crisi nei bilanci delle grandi aziende, che tagliano le stime del fatturato e delle produzioni del prossimo anno; crisi dei Paesi in generale nella crescita della domanda; crisi delle piccole imprese e dell’artigianato, che ogni giorno chiudono i battenti dei negozi, uffici, cantieri; purtroppo crisi dei bilanci familiari, dove non si arriva alla fine della 3° settimana del mese.Cosa fare? Il Governo va su tre direzioni: la prima, più semplice ed evidente, è il taglio della spesa nel settore della Pubblica Amministrazione in tutti gli apparati; la seconda, intervenire con liquidità nelle situazioni fallimentari delle grandi imprese, con capitale o azionariato; la terza, utilizzare il mio progetto nelle grandi opere a livello comunitario (TEN – Trans European Network) per dare risorse sul territorio e alle grandi così come alle piccole imprese, ma soprattutto creando posti di lavoro.Non basta! Il Governo, infatti, si è reso conto che bisogna intervenire nel dare soldi alle famiglie e il nuovo piano per tutto questo ci sarà nei prossimi giorni (defiscalizzare le spese, social card, ecc..).Ma l’Europa che fa? Non capiamo quale sia il male dell’Europa in questo momento, in quanto poco fa se non dichiarazioni di circostanza.Mi permetto di aggiungere un’idea a questo punto: facciamo una moratoria delle normative più stringenti (dal 3% del Def./Pil ecc.) nei settori dell’economia, dell’industria e dell’agricoltura, mantenendo saldi sicurezza ed ambiente.Vuol dire chiedere 24 mesi a Bruxelles per le normative di tutti i settori, giuste in un momento di stabilità, una pausa per questo periodo di crisi incredibile per poi tornare a pieno regime, senza deroghe, subito dopo.Tutto ciò permetterebbe alle nostre piccole imprese, ma anche alle grandi (le poche rimaste), di essere più competitive, in un momento come questo di vulnerabilità in tutti i settori vitali economici del nostro Paese.A questo appello potrebbero unirsi i Paesi della UE che si affacciano sul Mediterraneo che saranno sicuramente più colpiti dalla crisi.Ricominciamo a discuterne e poi, come è già successo tante volte in Europa, alla fine qualcuno ci seguirà e ci darà ragione.

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La Piazza D’Italia - Interni

Riusciranno i nostri eroi?

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Registrato al tribunale di Roma n.9111 - 12 marzo 1963

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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI GIUGNO 2008

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Il Senato ha approvato definitivamente la riforma Gelmini

Il Governo Berlusconi, dopo il voto favorevole incassato al Senato dal decreto Gelmini, continua senza tentennamenti a porre in atto quelle politiche riformatrici che dovranno in tempi- si spera brevi- riscri-vere le norme che regolano la vita istituzionale e sociale del

nostro Paese.Ma cerchiamo di diradare un poco della nebbia - anzi del fumo soffiato a bella posta dal centro sinistra - che pur-troppo avvolge gli otto articoli che compongono il decreto legge che Palazzo Madama ha approvato con 162 voti favo-revoli, 134 schede contro e 3 astenuti. Vediamo quindi le novità che decorreranno dal 2009-10. Innanzi tutto il prossimo anno scolastico vedrà il ritorno nelle aule- del primo e secondo ci-clo d’istruzione - dello studio della Costituzione Italiana e degli statuti delle rispettive re-gioni d’appartenenza oltre che dell’educazione civica. Inoltre per cercare di contrastare certi atteggiamenti che eufemisti-camente si possono descrivere poco rispettosi della civile con-vivenza tra studenti, e tra alun-ni e docenti viene riproposta la valutazione del comportamen-to attraverso il “voto di condot-ta” - che dovrà essere assegnato collegialmente dal consiglio di classe - e che determinerà, come già in un passato più o meno recente,la promozione o la bocciatura - ove inferiore al 6 - dello studente. Rimanendo sempre in tema di valutazione dell’operato dei ragazzi, il de-creto legge stabilisce la reintro-duzione nelle scuole elementa-ri e medie - dopo oltre trenta anni - dei voti espressi in de-cimi sulle pagelle e bisognerà ottenere almeno la sufficienza

in tutte le materie per essere promossi.Scorrendo tutto il dispositivo del DL si arriva ad uno dei punti più contestati dell’intero pacchetto, quello dell’istitu-zione del “maestro prevalen-te”, come del resto avviene in Germania, Francia e Spagna. L’articolo in questione fa fi-nalmente carta straccia del provvedimento del 1990 che introduceva i tre insegnanti nelle scuole primarie. Provve-dimento che produsse un’”in-fornata” di decine di migliaia di maestri che andava eviden-temente contro la continua diminuzione degli allievi e di conseguenza delle classi a cau-sa del calo delle nascite. Ma che evidentemente favorì poli-ticamente - pentapartito allora imperante e sindacati - coloro i quali vollero fortemente tale cambiamento. Dal prossimo anno scolastico quindi ci sarà “prevalentemente”la presenza di un solo maestro - che dovrà lavorare per 24 ore settimanali - per ogni classe. Ci sarà quin-di un blocco delle assunzioni e del “turn over” che permet-terà di risparmiare sui costi di funzionamento di tutto il ciclo primario. Inoltre gli insegnan-ti in esubero saranno utilizzati per coprire le classi nel “tempo pieno” in maniera tale che le famiglie non risentano più di tanto dei tagli sui fondi per le scuole effettuati in finanziaria. E’ bene comunque ricordare a coloro i quali erano troppo

giovani per rammentarlo o a quanti posseggono le fatidiche “orecchie da mercante” che quando furono istituiti i tre maestri per classe, la sinistra si schierò con violenza contro tale provvedimento per impe-dirne l’introduzione.Infine - contro il caro libri - il decreto prevede che i testi adottati durino almeno cinque anni nella scuola elementare e sei nella scuola media e supe-riore in maniera tale da non impoverire ulteriormente i ri-sparmi delle famiglie ad ogni inizio di anno scolastico.Questo in sintesi il provvedi-mento approvato.Passando invece al dato po-litico non si può fare ameno di evidenziare la presenza di conferme e di rotture rispetto ai comportamenti tenuti dalle differenti forze politiche.Passo passo analizziamo le due tendenze. Innanzi tutto le rot-ture rispetto ad un passato più o meno recente.Senza dubbio la presenza di un Governo e di una maggio-ranza parlamentare stabile ed omogenea che lasciandosi alle spalle le passate esperienze fat-te di continui tira e molla tra diversi esponenti della stessa coalizione - ogni riferimento alla partecipazione nel passa-to governo di centro destra dell’UDC è voluto - riesce in breve tempo a trovare la “qua-dra” a tutte le situazioni che di volta in volta si vanno ad af-frontare ha contribuito a crea-

re tra gli italiani un’immagine positiva dell’esecutivo. Dopo i quattro ribaltoni del primo Governo Prodi e la rapida fine del Prodi bis dovuta a congiu-re di Palazzo - veltroniane - e alla perenne indecisione della pletorica e raffazzonatissima maggioranza di centrosinistra, gli italiani possono dirsi felici finalmente di essere ammini-strati da un Governo che ri-sponde finalmente ai canoni occidentali di efficienza e pro-duttività politica.Le conferme sono venute dall’opposizione politica , dai mass media e dai sindacati.Infatti la prima non ha avuto pudore - con l’aiuto delle altre due forze ad essa contigue - di manovrare a proprio uso e con-sumo il malcontento - più o meno reale che sia - di studenti e professori prima per riempi-re la piazza - lo scorso sabato 25 ottobre - in occasione della manifestazione voluta dal PD contro il Governo Berlusconi, poi di tenere continuamente alta la tensione generale in tut-to il Paese anche dopo l’avve-nuta approvazione del Decreto Gelmini.Sentire i rappresentanti del centrosinistra bollare come antidemocratico un Governo ed una maggioranza solo per-ché ha approvato senza cam-biamenti un provvedimento ci rende tutti di buon umore, pensando a ciò che sarebbe potuto accadere se a vincere le elezioni dello scorso aprile fos-

se stato Veltroni: lo immagina-te il buon commodoro Valter a timonare il vascello “Italia” - coadiuvato dal nostromo Di Pietro - nei perigliosi mari del-la crisi economica mondiale, delle proteste di piazza contro l’immigrazione selvaggia, il caro benzina, l’Alitalia, i rifiuti in Campania e via discorren-do?Naturalmente ancora più ilari-tà hanno suscitato ai cittadini del Bel Paese le dichiarazioni di D’Alema o della Finoc-chiaro che ripetendo il trito ritornello Berlingueriano - si proprio lui, il capo del vecchio PCI che affondava le mani a volontà nei sacchi di rubli di Brezneviana memoria - riguar-do una fantomatica superiorità morale ed antropologica della sinistra d’opposizione rispetto a quella del centro destra al “potere” hanno affermato che la gente che ha manifestato in questi giorni in piazza è mi-gliore di chi la governa, quasi che poco meno di sei mesi fa non si fossero recati a votare - per Berlusconi va da se - milio-ni di Italiani, ma centinaia di migliaia di marziani. Avanti tutta caro Cavaliere, si prenda Lei - e tutta la mag-gioranza che la sostiene - la responsabilità di cambiare il Paese, sarà poi il giudizio dei cittadine - nelle urne - a pre-miare o a bocciare l’operato di un Governo nel bene e nel male finalmente capace di de-cidere.

Nel quadro generale della poli-tica italiana, dominato sin qui giustamente dalla crisi econo-mico-finanziaria mondiale, dal caso Alitalia-Cai e dalla “que-relle” intorno alla presidenza della commissione di vigilanza della Rai, inizia a far parlare di se la questione riguardante il futuro assetto del nascendo Popolo delle Libertà.Cominciano cioè a palesarsi le prime mosse, i primi colpi di fioretto che saranno il prodro-mo alle vere e proprie batta-glie a colpi di sciabola che gli “azionisti” del PdL - siano essi i maggiori, Forza Italia o AN, sia che siano di dimensioni mi-nori, nuova DC e altri - sicu-ramente si appresteranno ami-chevolmente a scambiarsi, man mano che la data di fondazione del neo partito dei moderati e le elezioni europee del prossi-mo giugno si avvicineranno.Fino ad oggi i rappresentanti dei partiti di centro destra sono stati impegnati prima nella vit-toriosa campagna elettorale e poi nella gestione del Governo Berlusconi, con risultati più che discreti, visto la situazio-ne economica internazionale e i “lasciti” di Prodi, ma da adesso in poi crediamo che le giornate della loro agenda poli-tica sempre più spesso saranno impegnate dalle tattiche e dalle strategie utili a guadagnare po-sizioni di prestigio all’interno

del PdL.I primi colpi di cannone in verità sono stati esplosi già all’inizio della scorsa estate, soprattutto per merito di For-zisti e Alleanzini, allorquando il coordinatore di F.I. Verdini, durante una conferenza stam-pa in solitaria, indicò le linee guida - una vera e propria “ro-ad-map” - da seguire per la for-mazione del PdL: scioglimento dei partiti “confederati” entro la fine del 2008, “costituente” del nuovo soggetto politico nella primavera del prossimo anno e discesa in campo della neonata formazione politica direttamente per elezioni am-ministrative ed europee del giugno 2009, con l’obiettivo di raggiungere un consenso intorno al 45% aprendo an-che all’elettorato dell’UDC e eventualmente a quello della Destra.Ma logicamente questa forza-tura unilaterale dello “status quo” - fatta forse per studiare l’avversario e per stabilire sino a che punto ci si poteva spin-gere - provocò la forte reazione del Min. La Russa, il quale si dimostrava molto contrariato dalla “fuga in avanti” fatta da Verdini che autonomamente si era permesso di declinare i tempi e i modi per giungere alla creazione del nuovo parti-to, insomma il Ministro della Difesa ribadiva il concetto che

AN non si sarebbe sciolta ma avrebbe confluito autonoma-mente nel nuovo “contenitore politico” portando in eredi-tà con se la propria militanza politica, la sua storia e la sua tradizione. Insomma se non è zuppa è pan bagnato ma almeno permettetemi - avrà pensato La Russa a nome di tutta AN - di scegliere se non il ristorante ed il menù, almeno il “cameriere” che mi servirà. Un altro modo in definitiva di affermare che An è d’accordo con FI ma vuole mantenere – giustamente - un minimo di auto determinazione, una certa autonomia, nei riguardi degli esponenti azzurri fino al giorno della fusione.Dopo questi primi tempora-li estivi, lo stato dei rapporti tra F.I. ed AN è variato verso il sereno-variabile, soprattutto dopo un convegno tenutosi a Gubbio - «Il Pdl e l’Italia che cambia» - la prima decade del-lo scorso settembre quando i vertici di FI e lo stesso Verdini hanno lanciato ai colonnelli di Alleanza Nazionale la loro massima disponibilità al dia-logo riconoscendo poi i meri-ti politici del partito fondato da Fini e la necessità di unirsi più strettamente in modo da poter gettare le future basi di una vittoria alle prossime ele-zioni europee. Insomma squa-dra che vince non si cambia.

Evidentemente il messaggio di La Russa è stato recepito suffi-cientemente.Ma in questi mesi la maretta non c’è stata solo tra i partiti maggiori del centro-destra ma anche tra i due movimenti più rappresentativi della così detta società civile, che hanno comunque come riferimen-to l’area liberale: i Circoli del Buon Governo il cui fondatore è stato Marcello Dell’Utri - da sempre strettissimo collabora-tore di Berlusconi - e i Circoli della Libertà che hanno come riferimento politico il Sotto-segretario al turismo Vittoria Brambilla. Con i primi che accusavano - fino a qualche giorno fa - i secondi di aver creato con la loro nascita solo un’inutile confusione all’in-terno della “galassia” Azzurra. Ma anche in questo caso è ba-stato il congresso dei Circoli del Buon Governo tenutosi a Montecatini gli scorsi 14-15-16 novembre a sancire la ritro-vata armonia tra le anime “mo-vimentiste “ del centro-destra. Infatti in quell’occasione lo stesso Dell’Utri ha riconosciu-to l’importante contributo dei Circoli della Libertà nell’ac-celerazione del percorso che porterà alla nascita del PdL. E anche in questo caso baci e ab-bracci tra Marcello e Vittoria, salutata quest’ultima da una ovazione della platea presente

al convegno toscano. In questo lasso di tempo nep-pure i Popolari Liberali di Gio-vanardi sono stati con le mani in mano dichiarandosi prontis-simi a dare un contributo im-portante al nascente sodalizio politico, come pure la Dc delle Autonomie di Rotondi che ha ribadito una volta di più l’idea di essere contrario ad una co-stituente del PdL centrata solo sul tandem FI-AN.Ma è evidente che per adesso si sia solo alle scaramucce iniziali e che ci vorrà ancora del tem-po per riuscire ad indovinare la vera “forma “ del PdL.In ogni caso tra i dati che si possono considerare oramai acquisiti ci sono certamente le percentuali di “spartizione” at-torno alle quali ruoterà tutta la nuova struttura partitica: 70% a membri di Forza Italia e dei partiti e movimenti minori e il restante 30% dei posti all’ap-pannaggio dei rappresentanti di Alleanza Nazionale. Divisione questa che ha ben funzionato a livello nazionale ma che porterà sicuramente ad attriti più o meno forti al mo-mento di “calare” la medesima ripartizione a livello locale, allorquando si dovranno af-frontare situazioni locali dove AN si troverebbe sottodimen-sionata rispetto a F.I., come nel Lazio ad esempio.In ogni caso la coagulazione

intorno ad un unico nucleo politico di centro-destra sarà facilitata rispetto a quanto av-venuto per il centro sinistra perché i partiti che formeranno il PdL sono usciti stravincitori dalla competizione elettorale dello scorso Aprile: ed è risa-puto che chi governa - per di più con soddisfacenti risultati e con confortanti indici di gra-dimento dei cittadini riguardo al lavoro finora svolto - è più predisposto a trovare accomo-damenti rispetto a chi ha perso in modo netto le elezioni.La cosa importante - a pre-scindere dalle percentuali che spetteranno a ciascun “azionista”politico - è che il PdL nasca con una “leader-ship” credibile e forte, anche dopo dure contrapposizioni congressuali ma che sappiano in ogni caso stabilire una “fi-liera” interna di comando ben salda e non come il PD nato da bizantinismi ed accordi fatti col bilancino del farmacista tra le molteplici anime fondatrici, che hanno fatto poi risultare inutile la grande partecipazio-ne di popolo che ha avuto luo-go per le primarie. Solo in questa maniera infatti potrà nascere anche in Italia come nel resto dell’Europa occidentale un forte partito di impostazione moderata che sia liberale e al contempo po-polare.

Iniziate le “grandi” manovre che porteranno in primavera alla fondazione del PdL

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Dopo gli ultimi anni trascorsi a piangere i morti di diversi attentati congiunti che hanno scosso in mondo-visione l’In-dia e non solo, il Paese di Gan-dhi è di nuovo pesantemente sotto attacco. Teatro identico, vittime gli occidentali. Si parla di oltre 120 vittime accertate più ostaggi (anche italiani).Ci si capisce ancora poco in realtà, si sprecano le interpre-tazioni degli esperti, ma quello che appare chiaro è che siamo dinanzi ad un 11 settembre made in India.Il panico imperversa per le strade di Mombay, l’antica Bombay, presi di mira – an-cora una volta – americani e

inglesi – i turisti. Intanto, la serie attacchi viene rivendicata da un gruppo di nome Deccan Mujahedin. Probabile che sia una sigla fantoccio, fatta appo-sta da Al Qaeda per depistare. Perché Al Qaeda?Perché gli attacchi sono stati pianificati da tempo, sono co-ordinati – quando non simul-tanei – e prevedono la modali-tà suicida. Inoltre, gli obiettivi sono occidentali, gli alberghi di lusso ove soggiornano.Un’altra caratteristica che ri-conduce ad Al Qaeda è la spettacolarità degli attacchi e la capacità di eludere i sistemi di sicurezza. Ecco che l’India potrebbe essere il nuovo fron-

te aperto dopo Iraq e Afgha-nistan. Attraverso il Pakistan – altro gigante in grande dif-ficoltà – potenza nucleare alle-ata dell’occidente – e in preda al caos.Le ragioni di Al Qaeda, ovvia-mente, si salderebbero con le ragioni dei gruppi terroristici separatisti del Kashmir. Altra caratteristica: colpire le grandi città e i centri nevralgici dell’economia. Ma soffermiamoci sulla pista indiana – che pure non esclu-de alleanze con altri gruppi (la stessa Al Qaeda in primis).Poche settimane fa la polizia aveva arrestato Mohammed Arif Shaikh, capo-fondatore

dei temuti “Mujaheddin In-diani”, e alcuni complici. Alla retata erano però sfuggiti altri elementi che potrebbero aver messo a segno il colpo a sor-presa. Tali “Mujaheddin” era-no stati in grado di compiere ben 43 operazioni con oltre 100 vittime. Abdul Subhan Qureshi trentasei anni, studi di ingegneria ed elettronica alle spalle, avrebbe in passato coordinato gli attentati. Elemento di curiosità: cam-biando continuamente nome e sigla, gli estremisti di ispirazio-ne qaedista hanno avuto come costante l’appoggio di elemen-ti dei servizi segreti pachistani (Isi). Perché punire l’India? Per l’oc-cidentalizzazione in atto e per-ché, rivale storica del musul-mano Pakistan, viene percepita come nemico dell’Islam.Un meccanismo ben olia-to quello dei terroristi, che colpiscono ormai da qualche anno l’India, talvolta inne- scato dall’Isi e talvolta indi-pendente.Un Paese come l’India, in gran-de trasformazione, attraversato da profondi cleavages sociali e sproporzioni d’ogni genere, minacciato da decine di sepa-ratismi e tensioni religiose do-vute alla particolare posizione geografica è obiettivo quasi ob-bliagto dei destabilizzatori.

Ma su una cosa bisogna riflet-tere a questo punto e cioè chi si gioverebbe della destabilizza-zione dell’India.Senza dubbio fa comodo agli agitatori interni legati al sepa-ratismo e alle rivendicazioni socialreligiose. Ma fa comodo anche a coloro che si muovono su più fronti, nella guerra glo-bale. Un’India debole fa gioco al terrorismo islamico che – è ormai palese – non si accon-tenta più del caos, ma punta decisamente a impossessarsi degli stati di quell’area. Lo ha fatto in Afghanistan, ci sta pro-vando con il Pakistan e punta diritto sull’India – o porzioni dell’India prossime allo sgreto-lamento. Ovvio che parliamo di Al Qa-eda, ma senza con ciò inten-dere un’azione unilaterale, ma congiunta, legata a una rete complessa di relazioni che in-vestono anche settori deviati dei servizi segreti non solo pa-kistani. La stessa strategia sarebbe pros-sima a realizzarsi in Occidente, in Europa come in America, stando anche all’allarme lan-ciato dall’Fbi sulla possibilità di attentati nella metropolita-na di New York in occasione delle feste natalizie. Un modo per ribadire l'esistenza di un pericolo — vero e sempre in agguato — ma anche di com-

pattare i cittadini davanti al nemico comune.Su questo si confrontano due linee di pensiero diverse. Una sostiene la fattibilità di questi attentati in Occidente poiché sarebbero il momento culmi-nante della strategia di Al Qae-da. Secondo questa visione, Al Qaeda potrebbe voler colpire gli Usa nella prima fase della presidenza Obama. Una sorta di comitato di benvenuto che ha accolto presidenti diversis-simi in passato come Clinton (bomba alle Torri Gemelle, febbraio 1993) e poi George Bush (Twin Tower). Un’ulte-riore spallata dagli esiti impre-vedibili, capace di stravolgere i piani di Obama. Altri ritengono piuttosto esau-rita la strategia a lungo raggio, ritenendo che d’ora in avanti tutte le azioni si concentreran-no nell’area fra India, Pakistan e Afghanistan. Fonti affidabili hanno ribadito come Al Qae-da abbia deciso di lasciare in secondo piano l’Iraq — dove ha patito rovesci consisten-ti — e voglia invece usare la piattaforma pachistana per rilanciare la sfida eversiva. E se questo significa che i nostri spostamenti in metro non sa-rebbero a rischio, ciò non vuol dire “sonni tranquilli”. Né per Obama, né per gli altri leader occidentali.

La Piazza D’Italia - Esteri

L'America cambierà. Ma come? Un punto di partenza sono le promesse fatte agli elettori degli Stati Uniti. Dall'economia alla previdenza sociale, dall'energia alla difesa, ecco il piano di Ba-rack Obama.Casa. Obama promette di aiu-tare i piccoli proprietari che si sono indebitati per la casa, "vere vittime" della crisi dei mutui subprime. Prevede l'in-troduzione di un credito uni-versale del 10% per i mutui, in modo da dare uno sgravio fiscale alle famiglie di reddito medio che fanno fatica a pa-gare le rate del mutuo. Con il "Stop Fraud Act" intende com-battere le frodi e i prestiti pre-datori, con sanzioni più severe per i professionisti colpevoli di frode. La legge assisterà le fa-miglie perché possano evitare i pignoramenti. La nuova am-ministrazione inoltre promuo-verà norme per una maggiore trasparenza sui mutui.Commercio. Obama farà pres-sione sul Wto, l'Organizzazio-ne mondiale del commercio, perché garantisca l'applicazio-ne degli accordi commerciali e impedisca i sussidi agli esporta-tori stranieri e le barriere non tariffarie alle esportazioni Usa. Vuole emendare il Nafta, l'ac-cordo di libero scambio con Canada e Messico. Sostiene in-centivi fiscali per le aziende che mantengono o aumentano po-sti di lavoro negli Stati Uniti. Intende eliminare le deduzioni fiscali per le società che trasferi-scono il lavoro all'estero.

Difesa. Ricostruire le Forze Ar-mate per adeguarle ai compiti del XXI secolo: l'impegno del prossimo comandante in capo è di completare lo sforzo avvia-to per avere 65.000 soldati e 27.000 marines in più. Obama si impegna a investire in mis-sioni come la contro-insurre-zione (rinsaldando per esempio forze speciali, operazioni di in-telligence, insegnamento delle lingue straniere). Promette di rimettere in sesto la Guardia Nazionale e le Riserve, for-nendo l'equipaggiamento ne-cessario per intervenire nelle emergenze in patria e all'estero. Inoltre, intende coinvolgere gli alleati per fare in modo che fac-ciano la loro parte per la sicu-rezza comune. Diritti civili. Combattere la discriminazione sul lavoro: Obama punta a ribaltare la sentenza della Corte Suprema che limita la possibilità per le donne e le minoranze razziali di contestare la discriminazio-ne retributiva. Farà approvare il Fair Pay Act per garantire uguale paga per uguale lavoro e l'Employment Non-Discri-mination Act per proibire di-scriminazioni basate sul sesso. Un altro obiettivo è quello di rafforzare l'applicazione dei di-ritti civili e porre fine alla po-liticizzazione del dipartimento della Giustizia avvenuta duran-te l'amministrazione Bush. La nuova amministrazione vuole espandere la legislazione fede-rale contro gli "hate crimes", i crimini basati sull'odio.

Disabili. Opportunità di istru-zione, anche universitaria, fine delle discriminazioni sul lavoro, sostegno alla vita in comunità: l'attenzione ai disabili segnala la maggiore enfasi sui proble-mi sociali dell'amministrazione democratica.Economia. L'America si aspet-ta dalla nuova presidenza una via d'uscita dalla crisi finanzia-ria. Per rilanciare l'economia, Obama vuole dare alle famiglie americane uno sgravio im-mediato di 1.000 dollari sulla bolletta energetica, una sorta di anticipazione dello sgravio fiscale permanente di 1.000 dollari l'anno per le famiglie della classe media. Promette anche 50 miliardi di dollari per rimettere in moto la cre-scita, 25 miliardi per evitare tagli statali e locali a spese so-ciali come sanità, istruzione, alloggi e aumenti delle tasse di proprietà e altre tariffe, altri 25 miliardi per impedire tagli a spese come la manutenzione di ponti e strade e la riparazione di scuole. Il tutto permettereb-be di salvare oltre 1 milione di posti di lavoro che rischiano di essere soppressi. In programma un pacchetto per affrontare l'emergenza mutui, con misure per debellare le frodi e garanti-re più serietà nel settore, più un credito universale per il mutuo. Prevista anche l'eliminazione delle tasse sui capital gain per piccole imprese e "start-up" per incoraggiare l'innovazione e la creazione di posti di lavoro. Inoltre, Obama si batterà per

una politica commerciale equa e buoni standard lavoristici e ambientali in tutto il mondo.Energia. Cinque milioni di po-sti di lavoro "verdi" ("green col-lar") e più efficienza energetica. Il nuovo piano per l'energia ruota intorno all'emancipazio-ne dal petrolio e alla lotta all'ef-fetto serra. Prevede di dare su-bito un aiuto d'emergenza alle famiglie (100 dollari di sgravio sulla bolletta energetica). Poi promette investimenti strate-gici per 150 miliardi di dolla-ri nei prossimi dieci anni per catalizzare gli sforzi dei privati per un'energia pulita e creare cinque milioni di posti di lavo-ro. Tra gli obiettivi c'è di rispar-miare tanto petrolio da potere eliminare nel giro di dieci anni le importazioni petrolifere dal Medio Oriente e dal Venezue-la. Il piano punta a mettere in circolazione 1 milione di auto ibride entro il 2015, garantire che il 10% dell'elettricità ven-ga da energie rinnovabili entro il 2012, il 25% entro il 2025, ridurre dell'80% entro il 2050 le emissioni che provocano l'ef-fetto serra. Le compagnie po-tranno fare prospezioni in cer-ca di petrolio e gas ma in base alle licenze esistenti: se non le utilizzano, le perderanno. In programma anche lo sviluppo di centrali a carbone "pulito". Per quanto riguarda l'energia nucleare, l'accento è posto sul-la sicurezza degli impianti e lo smaltimento delle scorie. Dal piano del nuovo Presiden-te degli Stati Uniti si eviden-

zia un profilo di sostegno alle famiglie che hanno contratto mutui e che ora per effetto della inflazione dei tassi d'in-teresse si ritrovano ad onorare le rate con estrema difficoltà, anzi la maggior parte è costret-ta e sospenderne il pagamento. Questa situazione di insolvenza finanziaria ha posto gli istituti di credito nella condizione di dover drenare liquidità all'in-terno del sistema finanziario, il quale in un baleno è stato oggetto di prosciugamento da parte delle speculazioni. E' giusto che a causa degli specu-latori i danni arrecati al sistema finanziario vedono solo i clien-ti delle banche obbligati ad ottemperare al pagamento dei prestiti? O sarebbe più giusto individuare i responsabili del rastrellamento monetario e in-durli a risarcire i danni? Come si può agevolmente notare, le

due domande implicano criteri di giustizia e di equità, i quali dovrebbero esser garantiti dalle istituzioni. Quello che si accin-gerà ad applicare Obama sarà comunque uno sgravio fiscale per le famiglie, e una politica dei tagli che servirà a rimettere in moto la crescita e lo svilup-po. Ma, i veri responsabili ri-marranno impuniti? A questo interrogativo attenderemo la risposta di Obama che per il momento non c'è. Quello che, invece, si potrebbe ipotizzare, è che con l'elezione di Obama l'America sicuramente cambie-rà sotto il profilo della giustizia civile; ovviamente esistono nel programma di Obama i pre-supposti per una ripresa eco-nomica degli Stati Uniti, ma la crisi essendo internazionale avrà bisogno di combinare una serie di fattori che ne consenta-no l'uscita.

Il nuovo Presidente degli Stati Uniti dovrà comunque affrontare e cercare di risolvere una grave crisi finanziaria

Quali i cambiamenti?

A Mumbai un nuovo 11 settembreLa strategia del terrore prende possesso dell'Asia

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La Piazza D’Italia - Esteri/Economia

Il cerchio si chiude e quando meno te lo aspetti l’abile giocatore tira fuori l’asso nella manica che tutti ormai si aspettavano.Così Barack Obama ha tirato fuori il suo che ha un volto, un nome e un cognome: Hillary Clinton. Il nuovo segretario di Stato americano sarà lei, come volevasi dimostrare, ricomponendo idealmente un dream ticket che sembrava definitivamente tramontato con la scelta di Biden come running mate. Per Hillary Clinton, infondo, si tratta di indossare panni che già ha ampiamente dimostrato di volere e di sapersi cucire addosso, in particolare durante la presidenza del marito Bill: era lei la faccia di quell’amministrazione, sarà lei il volto di questa che, seppur segnata dalla storica vittoria di un afroamericano, resta la sua presidenza mancata, la prima di una donna. Ad Obama una scelta che serve anche per distogliere l’attenzione dalle critiche mosse dall’autorevole NY Times sui nomi decisi in campo economico. Secondo il quotidiano, nella

creazione di questo team starebbe prendendo forma una "virtuale costellazione di Rubin". Le scelte di Obama, che vedono Timothy Geithner come nuovo Segretario al Tesoro, Lawrence Summers come Consigliere economico alla Casa Bianca e Peter Orszag come Direttore del bilancio, sarebbero state indirettamente influenzate da Robert Rubin, Segretario al Tesoro negli anni del boom economico clintoniano.I tre adviser sono stati infatti seguaci della formula economica definita "Rubinomics": pareggio di bilancio, libero scambio e deregolamentazione fiscale; una combinazione che è stata ritenuta responsabile della prosperità economica degli anni '90.Ma per il New York Times i tempi sono cambiati. A Wall Street, lo stesso Rubin è stato messo in discussione nel suo ruolo di direttore di Citigroup, considerate le attuali difficoltà della Banca. Così, invece della deregolamentazione, Obama ha promesso di inaugurare un periodo di "ri-regolamentazione", per evitare i rischi che Citigroup e il resto del settore

finanziario hanno intrapreso dopo che Rubin e Summers hanno rimosso le barriere della regolamentazione tra banche, società di intermediazione e compagnie assicurative.Invece del pareggio di bilancio, inoltre, il team di Obama non baderà al deficit per almeno due anni, con un piano che prevede spese di centinaia di miliardi di dollari per stimolare l'economia, il che non ha suscitato poche critiche. "Tutti riconoscono che dovremo affrontare deficit di notevole entità", ha commentato Jared Bernstein, economista di Economic Policy Institute, aggiungendo che non importa che si tratti di "Bob Rubin, Larry Summers o dell'economista più conservatore; è un dato di fatto ampiamente condiviso". E ciò che più preoccupa Robert Kuttner, collega di Bernstein presso lo stesso istituto economico, è che "non c'è neanche una persona nel gruppo senior che sia esterna a questo club.Così alla fine il Ny Times avanza il dubbio: "Dov'è la differenza di opinione in questo team economico?".

Obama sceglie Hillary

Il G20 ha annunciato misure che dovrebbero essere introdotte a breve per dare maggiore stabilità e fiducia ai mercati finanziari colpi-ti da turbolenze e volatilità senza precedenti nella storia economi-ca. Per la prima volta paesi indu-strializzati ed emergenti hanno affrontato insieme una crisi di di-mensione globale, la cui mission è quella di restituire fiducia agli investitori e far ripartire la cresci-ta. Resta il fatto che negli accordi di Washington il capitalismo e il mercato resteranno i punti di ri-

ferimento centrali per la gestione dello sviluppo economico.Sono state dunque respinte le pressioni protezionistiche, una posizione questa che insieme all'accordo su programmi di sti-molo economico e alle decisioni per introdurre misure a breve e attribuire maggiore trasparenza ai mercati con regole nuove, do-vrebbero avere un impatto posi-tivo.Fra le azioni a breve che dovranno essere affrontate a partire da subi-to dai paesi membri del G 20, vi

sono quelle relative all'adozione di standard contabili di traspa-renza per le “voci fuori bilancio”, alla garanzia che le agenzie per la valutazione del credito eviti-no conflitti di interesse e offrano valutazioni adeguate e chiare per prodotti rischiosi; garantire rap-porti di capitale solidi in relazione ai prodotti derivati o nella carto-larizzazione; rafforzare le proce-dure per la gestione del rischio delle banche e fare periodiche ve-rifiche; stabilire procedure per lo scambio di informazioni fra chi

controlla a livello nazionale e le istituzioni finanziarie globali.Queste misure puntano a raffor-zare il sistema finanziario e a ren-dere produttivi gli investimenti pubblici nel capitale delle istitu-zioni bancarie nazionali.Le dichiarazioni del Presidente Bush sono state indirizzate alla bontà del metodo concertativo adottato con il G 20, il suo fun-zionamento apre la porta a nuovi appuntamenti e ad altri incontri. Per arrivare agli accordi di Bret-ton Woods sono stati necessari due anni, “noi abbiamo lavorato tre settimane”. “Questo è solo l'inizio di un processo” ha dichia-rato Bush.Nel vertice del G 20 il ruolo del FMI è strategico, sottolineato ap-punto nel vertice stesso. Il comu-nicato dopo il vertice ha eviden-ziato il “ruolo importante nella risposta alla crisi dell'istituzione internazionale”, accogliendo con favore la sua nuova liquidità a breve termine esortando la revi-sione in corso dei suoi strumenti e strutture per garantire la fles-sibilità. Strauss-Kahn si è detto subito soddisfatto di questo ri-conoscimento, aggiungendo che però ci sarà bisogno di maggiori finanziamenti. Prima del summit la disponibilità del FMI era di 250 miliardi di dollari, ai qua-li vanno aggiunti i 100 miliardi che il Giappone si è impegnato a versare.Per il breve termine non dovreb-bero esserci problemi, ma per il futuro «il numero di Paesi in difficoltà è drammaticamente au-mentato e tutti vengono dall'Fmi a chiedere aiuto - ha detto Strauss-Kahn - quindi abbiamo bisogno di maggiori risorse», par-lando di ulteriori 100 miliardi di dollari per aiutare le economie emergenti.

Il capo del Fondo Monetario In-ternazionale ha inoltre annuncia-to che l'istituto ha raggiunto un accordo per la concessione di un prestito all'Islanda, sull'orlo del crac a causa della crisi finanzia-ria. Strauss-Kahn non ha fornito cifre sull'entità del prestito, che verrà votato mercoledì prossimo. Secondo le notizie circolate nelle settimane scorse Reykjavik avreb-be chiesto al fondo due miliardi di dollari. Non è invece ancora stato raggiunto un accordo sul prestito da concedere alla Turchia. Il G20 ha annunciato domenica che il prossimo incontro avverrà entro la fine di aprile, con gli stessi par-tecipanti a livello di capi di stato e di governo, quasi certamente a Londra che avrà la presidenza di turno nel 2009. Bush ha anche detto di aver informato nei detta-gli il suo successore, Barack Oba-ma, degli obiettivi dell'incontro e di aver creato meccanismi per rendere il passaggio di poteri il piu' trasparente ed efficace pos-sibile: "Spero davvero che avrà successo nella ricerca di una solu-zione di questa crisi nell'interesse del nostro Paese" ha detto Bush. Al vertice del G20, le dichiara-zioni di Berlusconi e del ministro dell'economia Giulio Tremonti «sembravano avere dato sostanza alla riunione e hanno catturato i titoli» dei media italiani. Ma con l'emergere di alcuni dettagli, «economisti indipendenti si sono trovati d'accordo con i politici dell'opposizione che hanno accu-sato il governo di centro-destra di avere riconfezionato vecchi stan-ziamenti» non appena l'Italia è entrata ufficialmente in recessio-ne. Il Financial Times cita Pier-luigi Bersani, che ha accusato il governo di «spostare carri armati di cartone per la parata», affer-mando che parlano «di risorse già

stanziate, anzi meno di quanto già c'era». Degli 80 miliardi di euro – sin-tetizza il quotidiano economico britannico - la metà erano stati assegnati dall'Unione europea su un arco di tre anni per l'am-biente, la ricerca e lo sviluppo. Separatamente, 16 miliardi sa-ranno ridiretti verso la spesa in-frastrutturale, con 12 miliardi provenienti dall'Ue e 4 miliardi dal project financing. Tra i pro-getti speciali, ricorda il Financial Times, c'è il ponte sullo Stretto di Messina. Il ministro per la Pubblica amministrazione Rena-to Brunetta ha chiarito che fondi destinati a migliaia di piccoli in-terventi saranno compattati e de-stinati a pochi grandi interventi. Altri 14 miliardi, secondo quanto si riferisce, andranno al sostegno delle banche, delle famiglie a bas-so reddito e di sgravi fiscali. Tra gli esperti, il Financial Times cita Fabio Pammolli, direttore del Cerm, secondo il quale «si tratta per lo più di vecchi soldi riconfe-zionati, ma il nuovo orientamen-to di spesa sulle infrastrutture potrebbe essere utile». La crisi mondiale, ha determinato un rastrellamento del credito e della liquidità nel sistema bancario, il vero problema ora è far ripartire il meccanismo di finanziamento della banche alle piccole e medie imprese. Lo stimolo pubblico do-vrebbe riportare liquidità negli istituti di credito, rimettendo nel circuito danaro contante. E' chia-ro che come tutte le crisi i tempi per una ripresa economica mon-diale non dipendono solamente dal fattore banche, ma anche dai consumi e dagli investimenti che dovranno ripartire sulla base di una fiducia che famiglie e impre-se dovranno riacquistare in tempi rapidi.

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La Piazza D’Italia - Economia

Pacchetto anticrisiBonus alle famiglie e una social card da 120 euro, ma la fiducia dei consumatori è ancora in calo

Venerdì 28 novembre sarà varato il pacchetto anticrisi dal Consiglio dei Ministri il-lustrato alle parti sociali e alle imprese. Il pacchetto, ritenuto indispensabile in un momen-to economico estremamente negativo, avrà la funzione di sostenere il potere di acquisto delle famiglie e di far ripartire i consumi in modo da deter-minare una ripresa della cre-scita economica. Tale effetto, nell'ambito di una congiun-tura economica critica, deve essere prodotto senza indugio, perché si tratta di fronteg-giare una emergenza che già

da troppo tempo è rimasta disattesa. E' pacifico che le misure economiche non pos-sono ritardare, gli interventi legislativi per espletare la loro efficacia ed incidere sull'an-damento dell'economia na-zionale debbono adottarsi in tempi congrui e tempestivi, se ciò non dovesse accadere la crisi potrebbe precipitare in un baratro. Certo, i Paesi europei, non stanno attraver-sando una crisi irreversibile, ma la percezione delle imprese e delle famiglie è talmente ele-vata che non lascia spazio alla fiducia. L'Italia ha assicurato

Tremonti, non è in ritardo ri-spetto agli altri Paesi europei, sul varo degli interventi per rilanciare i consumi e fron-teggiare la crisi economica. “Nessun Paese europeo ha ancora deciso interventi per i consumi ma solo per le ban-che”, ha aggiunto Tremonti, precisando che il decreto legge sarà varato venerdì dopo il do-cumento europeo.Si parte dalle misure per le famiglie, un bonus per quelle con figli e pensionati, che si andrà ad aggiungere ad una social card per gli acquisti di prodotti alimentari che partirà dal mese di dicembre. Una sor-ta di bancomat che dal 2009 avrà un'erogazione bimestrale di 80 euro, (40 euro al mese), ma il cui valore a dicembre ammonterà a 120 euro, come somma dei due mesi arretrati e del mese natalizio.Ci saranno interventi anche sui mutui e sulle tariffe delle utenze, luce e gas, per le quali si parla di riduzione e blocco. Mentre per l'inizio 2009 do-vrebbe essere prevista anche una riduzione delle tariffe ferroviarie. I fondi per gli am-mortizzatori sociali saranno integrati ulteriormente e allo studio del Governo vi è la pos-sibilità di utilizzare le risorse del fondo sociale europeo.

Sul versante delle imprese, il Governo varerà la proro-ga della detassazione sugli straordinari e sui premi di produttività; detrazioni di una quota IRAP attraverso l’IRPEF, pagamento dell'IVA alla cassa; sblocco dei paga-menti da parte della pubblica amministrazione e studio di una possibile riduzione degli acconti in modo da evitare la restrizione del credito da parte delle banche; queste appunto sono le misure che l'esecutivo mette in campo a sostegno delle imprese.“Il nostro obiettivo spiega Tre-monti, è di finanziare le impre-se innescando un meccanismo di trasparenza e si prevede, sul modello francese, l'istituzione di un osservatorio economico presso le prefetture per il mo-nitoraggio in modo che i flussi di credito non diminuiscano ed i tassi non aumentino”.Il piano del Governo però sembra non convincere fino in fondo: mentre la Uil con-corda con il piano dell'ese-cutivo, il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, lamenta, una mancanza di cifre e chie-de chiarimenti sulla esistenza e disponibilità delle risorse, e su come verranno divise. An-che il leader della Cisl, Cesare Bonanni, ribadisce la necessi-

tà di “dare subito un segnale positivo” e sollecita la classe dirigente a dimostrare senso di responsabilità e unità. Il le-ader di Confindustria, Emma Marcegaglia, invece, punta sulla detassazione dei premi di prroduttività piuttosto che sulla detassazione degli stra-ordinari, e chiede al Governo di alzare il tetto di reddito dei lavoratori per la detassazio-ne dei premi da 30 a 35 mila euro lasciando per ora perdere la detassazione degli straordi-nari.Tutti i suddetti interventi van-no in una duplice direzione: sostegno alle famiglie e soste-gno alle imprese, ma entrambi sono collegati da un filo con-duttore, quello di rafforzare la fiducia per riprendere a con-sumare e ad investire. Come insegna l'economia pubblica, i consumi e gli investimenti rappresentano i due macroag-gregati del prodotto interno lordo, le cui variazioni in au-mento determinano una cre-scita economica. L'obiettivo prioritario del Governo è far ripartire l'economia in un pe-riodo di recessione puntando sulle categorie produttive del Paese e sulle famiglie.A novembre scende ancora la fiducia dei consumatori. Se-condo quanto rileva l’ISAE,

l'indice si attesta a 100,4 da 102,2 di ottobre, tornando in prossimità dei bassi valori del-lo scorso agosto. Anche l'indi-ce relativo alle opinioni sulla situazione economica generale cala da 78 a 72,5. Guardando al dettaglio territoriale la fidu-cia risulta in peggioramento nel Nord e nel Mezzogiorno mentre mostra segnali di ri-presa nel Centro.Nell'attuale scenario eco-nomico, le misure anticrisi sono comunque necessarie, il problema però non è tanto l'aspettativa dell'applicazio-ne delle medesime, quanto la loro puntualità ad essere approvate. Le istituzioni con le loro decisioni debbono se-guire i tempi dell'economia e dei mercati, il dubbio sulla scarsa tempestività di questa misure comunque è legittimo, l'opinione pubblica sa benis-simo che l'Italia e l'Europa sono già da più di qualche anno che si trovano ingessate in una crisi economica. Tutti ricorderanno il natale austero dello scorso anno, per cui un segnale evidente della crisi già risiedeva nell'embrione della stessa, ad oggi siamo ancora in attesa di interventi che sosten-gano l'economia delle famiglie e quella delle imprese. Non è mai troppo tardi!

Dalla Prima E’ vero, le cattive notizie sull’andamento dell’economia americana ampliano la con-giuntura recessiva europea, i rimbalzi della borsa mettono a dura prova la tenuta della capi-talizzazione del sistema banca-rio, la sfiducia dilaga.Ma il rapporto del valore del dollaro nei confronti dell’euro sta registrando continui ap-prezzamenti (un euro vale oggi $1.2475), quello del petrolio è tornato stabilmente sotto i €100,00 a barile, sarà presu-mibile quindi un sensibile in-cremento della nostra compe-titività nelle esportazioni, una riduzione dei costi delle utility legate al petrolio. Se ben guardiamo la capitaliz-zazione in borsa, sempre con l’occhio rivolto a casa nostra, bè allora non possiamo non dirci che essa riguarda un numero limitato di imprese e non così rappresentativo dell’economia reale del paese. La nostra non è la borsa di Londra e nemmeno quella di Francoforte.Quanto a congiuntura recessi-va, al netto dell’inflazione essa è una realtà con cui gli italia-ni si confrontano dal 1992 in poi, salvo inasprimenti a par-tire dall’entrata dell’Italia nella zona euro.L’Italia, l’Italia del sistema ban-cario protettivo ed ultra-pru-denziale, appare in questa crisi, per gli altri quasi un punto di riferimento, come un malato che è convalescente ma che lo è da sempre e che alla fine

agli occhi di tanti appare come malato sì, ma di una forma di malattia accettabile che di que-sti tempi in tanti gradirebbero riconoscersi malati.Allora cosa cambia per noi con la crisi delle borse che sta man-dando knock-out il sistema fi-nanziario globale?Fatto salvo il tempo che sarà uti-le agli Stati Uniti per assorbire i guasti della crisi, le banche eu-ropee e quindi anche quelle ita-liane torneranno ad essere calate nella realtà territoriale – fatte salve le opportune cure dima-granti per alcuni gruppi – con l’evidente necessità di maturare i necessari guadagni in maggiori impieghi da reperire a casa pro-pria per compensare le svaluta-zione degli assets compromessi dalla crisi finanziaria.Che questo recupero di valore avvenga per inasprimenti dei tassi ai danni delle famiglie e delle imprese non c’è avvisaglia visto il ribasso dei tassi della BCE e l’esistenza di authorities che danno garanzia in tal senso.Giova ricordare che le famiglie del salotto buono del capitali-smo italiano sono anche quelle che detengono partecipazioni strategiche nelle maggiori isti-tuzioni finanziarie e bancarie italiane: senz’altro una concen-trazione di interesse per il mer-cato domestico italiano non mancherà.Ma per una volta l’interesse del capitalismo italiano che conta si sposerà con quello delle tante piccole e medie imprese perché

i maggiori impieghi di buona qualità passeranno attraverso queste ultime. La non piccola eccezione ri-guarda il fatto che maggiori impieghi di qualità per le ban-che italiane potranno esistere solamente in un quadro econo-mico dalla crescita dinamica. Come noto l’Italia è l’unico sistema economico occidenta-le che di dinamismo non vede l’ombra appunto da decenni e per una ragione molto sem-plice: non ha infrastrutture adeguate, ha un sistema indu-striale entrato in diretta com-petizione con i colossi asiatici e che propone per la maggior parte prodotti di comparti ma-turi, chiede troppo alle imprese rendendo loro difficile investire in innovazione di prodotto e di mercati.Tutte realtà ben conosciute e contro le quali i governi dei più diversi colori hanno regolar-mente pagato pegno.Tutte riforme che i governi dei più diversi colori hanno fallito o di cui hanno procrastinato l’entrata in vigore nei decenni a seguire.Pure in un momento di tota-le incertezza come questo, la sensazione è che il tempo per l’uscita dalla crisi economica perenne possa essere giunto per l’economia italiana, in contro-tendenza con le economie degli altri partner occidentali, ma ad un patto che si inventino nuo-vi spazi di investimento, che lo Stato faccia lo Stato e i Privati

i Privati.L’investimento pubblico dovrà essere posto all’ordine del gior-no nel caso di sviluppi strategi-ci in ambiti dove i privati non sono in grado di entrare come nel campo dell’energia nuclea-re: qui lo Stato dovrà recitare un ruolo fondamentale, keyne-sianamente creando un indotto di posti di lavoro, di bisogno di servizi, utile al risveglio dei consumi.Il “disinvestimento pubblico” invece dovrà essere posto all’or-dine del giorno con lo stesso rigore e coraggio con cui si sta affrontando la stagione dei tagli della spesa pubblica, “di-sinvestimento” da quei settori maturi che lo Stato indebita-

mente occupa, magari attraver-so privatizzazioni per una volta vere.Cessione di municipalizzate, di aziende che si occupano di costruzione stradale ed au-tostradale, ecc. ecc., la stessa erogazione delle prestazioni pensionistiche magari appalta-ta o ceduta in concessione alle istituzioni bancarie e creditizie in cerca di migliori impieghi su piazza, possono essere soluzio-ni, restituendo ai privati una parte importante dell’econo-mia del paese, una parte che da improduttiva e in deficit potrebbe – come già accade per altre economie – divenire capace di trainare la accensio-ne dei consumi e quindi della

crescita.Il Governo italiano in questi mesi, al di là delle strumentaliz-zazioni, ha svolto un importan-te opera di programmazione di sacrosanti tagli nella spesa pub-blica, ora è chiamato alla prova di riforme economiche struttu-rali che non possono limitarsi al federalismo fiscale, se lo farà se non si lascerà ingannare dal facile consenso e dall’appea-sment riformatore che da tante parti anche del partito di mag-gioranza sembrano affiorare, se tali riforme le renderà effettive da subito non differendole nei decenni, allora per l’economia italiana, davvero potrebbe ini-ziare a vedersi un barlume di luce alla fine del tunnel.

Un'economia malata ma consapevole potrebbe essere la chiave di volta

Un barlume di luce alla fine del tunnel

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L’elezione del primo Presidente americano di colore scatena i politici italiani di centro-sinistra

Abbronzatissimi

La Piazza D’Italia - Attualità

Il Venezuela dopo le elezioni amministrative“Il popolo ha dimostrato che noi godiamo qui di un sistema democratico”, così, dopo essersi congratulato con l’opposizione, il Presidente venezuelano Hugo Chavez ha commentato l’esito delle amministrative. La tornata elettorale che ha chiamato alle urne più di 17 milioni di persone per eleggere 22 governatori, 328 sindaci e centinaia di consiglieri regionali e municipali, segna però un'altra fase di stallo nel suo progetto per il compimento della rivoluzione “bolivarista” e per tutto il suo disegno socialista.Chavez infatti proclama la vittoria, il suo partito, il (Psuv) ha vinto in 17 dei 22 Stati, ma l’opposizione ha conquistato due degli Stati chiave più popolosi, Zulia e Miranda, riuscendone a mantenere il controllo ottenuto alle elezioni di quattro anni fa.Lo Stato di Miranda, confinante con il distretto di Caracas, era il punto chiave della battaglia simbolo della sfida elettorale, quella tra un importante alleato di Chávez, Diosdado Cabello, contro un conosciuto anti-chavista, Henrique Capriles e oltre ad esso l’opposizione ha

conquistato almeno altri due Stati: la regione della capitale, il ''Distretto Federale'' e la poltrona di sindaco della città di Caracas, dove la battaglia elettorale era tutta in salita. Il risultato elettorale era chiamato ad avere riflessi significativi a livello nazionale giacché dopo la sconfitta di Chavez nel referendum costituzionale del dicembre 2007, referendum che avrebbe dovuto consegnargli poteri senza limiti, il Presidente non aveva nascosto l’intenzione di riproporre, sotto altra veste, le proposte più contestate dall’opposizione e bocciate poi dal voto popolare tra cui il provvedimento che gli avrebbe permesso di rimanere al potere anche oltre il termine del presente mandato che spirerà nel 2012.Se la contesa elettorale doveva misurare i rapporti di forza tra Chavez e l’opposizione, il risultato può essere considerato un pareggio che a ben vedere incoraggia proprio quest’ultima. L’aver perso la municipalità di Caracas obbligherà infatti il Presidente ad una maggiore cautela, pena il possibile e probabile inasprirsi della protesta e tensioni politiche al limite del sostenibile.

Non va dimenticato come proprio Caracas fu nel novembre e nel dicembre del 2007 il palcoscenico per l’esplosione della protesta studentesca, una protesta capace di far salire all’attenzione della popolazione indigena e dei media di tutto il mondo il carattere antidemocratico del regime di Chavez, una protesta in grado di dare all’opposizione un nuova generazione di leader, poi tristemente finiti sotto oscuri atti criminali commessi da sicari dietro cui più di

qualcuno ha visto il Presidente nella veste di mandante.Il periodo antecedente alle elezioni è stato caratterizzato da una tensione più volte uscita fuori controllo. Nelle scorse settimane Chavez aveva minacciato i leader dell’opposizione di arresto e in uno degli Stati chiave aveva annunciato la sua volontà, avesse vinto l’opposizione, di tirare fuori i carri armanti per difendere il suo governo e tutto questo dopo aver avvertito che in caso di vittoria delle forze “counterrevolutionaries” egli

non avrebbe esitato a tagliare i fondi alle municipalità che se ne fossero rese protagoniste. Nella prima parte dell’anno, con modalità discutibili, il controllore generale del Presidente aveva escluso dalle elezioni centinaia di candidati, per la maggior parte dell’opposizione, con accuse di corruzione oppure opponendo irregolarità amministrative, esclusione che aveva finito per interessare un serio candidato alla vittoria nella municipalità di Caracas e il candidato alla poltrona di Governatore dello Stato di Miranda, naturalmente entrambi dell’opposizione.A simbolo di questa stagione della tensione nella politica venezuelana ha finito per assurgere il giovane dissidente dell’università cattolica Yon Goicoechea, protagonista della rivolta studentesca liberale e non violenta del 2007, sottoposto lui e la sua famiglia a pressioni, un discredito mediatico che gli è valso una caricatura fumettistica sulla TV di Stato come “traditore” per aver incassato il premio Milton Friedman “For Advancing Freedom” di $500.000 dal Cato Institute ed a seguire minacce per la sua incolumità

fisica.I complimenti di Chavez all’opposizione suonano quindi, nel migliore dei casi, obbligati e frutto di una debolezza politica che cresce dopo il recente abbandono della coalizione di governo da parte di una formazione di sinistra. A fallire quindi è anche il suo disegno di mobilitare il popolo avverso alle forze da lui definite “counterrevolutionaries”, divenendo a questo punto pressoché inevitabile per il perseguimento del suo progetto un colpo di mano ovvero ad un appeasment e quindi alla rinuncia che però difficilmente si addicono al personaggio.Ma da domani, il primo ostacolo che il Presidente si troverà di fronte sarà quello di una opposizione che necessariamente avrà ritrovato la sua unità anti-governativa e con una maggiore capacità mediatica e di relazioni necessariamente connesse alla presa della poltrona di sindaco di Caracas, una opposizione sempre più attenta a vigilare contro un eventuale colpo di mano, di cui sino ad ora notoriamente ha assurto alla funzione di garante una importante fetta dell’esercito.

Finalmente dopo millenni l’at-tesa per l’arrivo di un nuovo messia - almeno per i “demo-sinistri” di casa nostra - è finita. No, non ci accingiamo a cele-brare la venuta di Cristo sulla terra, come da buoni cristiani facciamo ogni anno il 25 di-cembre, ma ci appropinquia-mo a commentare l’elezione di Barak Obama a Presidente de-gli U.S.A. O per lo meno ten-tiamo di esprimere un parere, un giudizio non tanto sull’uo-mo - chi oramai non sa tutto riguardo la sua vita, le mogli del defunto padre, la nonna, la famiglia,il cane… - ma quanto sui giudizi e sulle aspettative che la sua “ascesa al soglio” che fu di Bush Padre e figlio suscita su milioni di fans italiani. Ap-punto la prima parola, il primo giudizio che esce dalla nostra bocca - anzi dai denti stretti - è un appello che rivolgeremmo a rete unificate - ci scusi, Presi-dente Napolitano, ce lo faccia fare, ce lo permetta! - a tutti i mass media italiani: ”basta, vi preghiamo non ne possiamo veramente più!”Per favore lasciateci stare. Si sono purtroppo riempite ol-tremodo le nostre orecchie - e di parecchi altri nostri conna-zionali - poiché da più di sei mesi veniamo 4 volte al giorno - colazione, pranzo, meren-da e cena - bombardati dagli inviati speciali, delle testate giornalistiche di ogni tenden-za e colore, spediti oltreoceano per spiegarci che si, Obama è

il migliore, Obama ha la bac-chetta magica, Obama di qua, Obama di là, Obama a destra - pardon, non sia mai a destra - Obama a sinistra. Ne abbiamo le tasche piene della continua “santificazione” che per partito preso - democratico, va da sé - organi di stampa, televisioni, radio, strilloni e “pazzarielli” fanno del 43 esimo Presidente statunitense. Infatti, al Buon Uomo, pur non avendo an-cora messo neppure un piede, un alluce alla Casa Bianca, già veniva pronosticato, anzi va-ticinato, da tutti i veri e sin-ceri democratici italiani - per primo da Veltroni che di cose americane, è logico, è più ad-dentro di tutti - un futuro di grazia e letizia, di scelte giuste e giudiziose fatte per il bene di tutto l’universo plaudente.I giornali di centro sinistra, ad esempio, aprivano le pri-me pagine con titoli come: “4.11.2008, Nuovo mondo” (L’Unità), “Il mondo è cambia-to” (la Repubblca),” Così è ri-nata la speranza” (Liberazione), ”il mondo balla da Berlino a Londra, da Parigi all’Africa” (Il Corriere della sera) ecc. Insom-ma un novello re taumaturgo che si insedia.Veltroni, sempre lui, oltre che a salire sul carro del vincitore, addirittura si spingeva più in là, preconizzando che dopo l’elezione di Obama, anche in Italia il vento sarebbe cambia-to per Berlusconi, diventando cioè contrario. Tutto il centro

sinistra insomma, era pronto ad adottare Barak senza se e senza ma e a stringersi intorno a lui a mo di falange macedone allorquando il premier Berlu-sconi - volato a Mosca per fir-mare 14 accordi commerciali tra l’Italia e la Russia - ha rispo-sto con una salace battuta a chi gli chiedeva di dare un giudizio sul neoeletto messia americano di colore: “è giovane, carino ed abbronzato”.A questo punto il fuoco di fila delle truppe zuave democrati-che si è scatenato. Addirittura secondo i soliti “sinistri” personaggi si era sul punto di una rottura diploma-tica tra il Bel Paese e gli USA, di più, la politica estera italiana era oramai irrimediabilmente compromessa per l’avventatez-

za del Cavaliere. Oramai anche il Kenia - Paese natale del padre di Obama - per certo, ci avreb-be scansati schifato, l’Italia sa-rebbe ben presto stata conside-rata alla stregua di un “paria”dal resto del consesso delle Nazioni civili mondiali, e tutto ciò per “lesa obamità”, reato questo che presto sarà introdotto nel nostro ordinamento giudizia-rio, non appena il cambio di vento avrà gonfiato le velature del terribile vascello del PD.Ma cosa altro poteva rispon-dere Berlusconi riguardo un politico di cui si conosce tutto attraverso i suoi addetti stampa ma che non ha mai ammini-strato neppure il condominio in cui abitava?Lo aspettiamo alla prova dei fatti, quando cioè da gennaio,

Obama sarà nella pienezza dei suoi poteri istituzionali.Ma attendiamo soprattutto di vedere le facce dei suoi soste-nitori italiani quando si accor-geranno, ben presto, che poco cambierà rispetto alla politica del suo predecessore.In campo economico dovrà affrontare la crisi mondiale di concerto ai Paesi Europei e a quelli emergenti: Cina, India, Brasile , Messico, ecc..La pena di morte non verrà abolita negli USA. Di matri-moni gay neppure a parlarne a lui che è cristiano credente. Sposterà le truppe dall’Iraq all’Afganistan come previsto già da Bush. Inoltre già ha fat-to capire quale è il suo giudizio nei confronti dell’Iran riguar-do le politiche nucleari degli

Hajatollah: improponibili. Per prima cosa poi ha nominato come capo del suo gabinetto Emanuel Rahm, di religione ebraica considerato un vero duro dagli addetti ai lavori, che la stampa di Gerusalemme considera l’amico di Israele alla Casa Bianca.Veltroni e compagnia insom-ma non hanno ancora capito che chiunque abiterà al 1600 della Pennsylvania Avenue a Washington, non farà che gli interessi degli USA, difenden-do ad oltranza il proprio Paese da tutto e tutti. Chiunque esso sia: bianco, nero od abbronza-to.I nostri democratici scattano dalle sedie per difendere Oba-ma da una battuta ma non sono mai stati così solerti a di-fendere il nostro primo mini-stro quando è continuamente attaccato dalla stampa estera. Oppure quando i propri alleati di governo - comunisti - bru-ciavano le bandiere a stelle e strisce, gridando magari “yan-kee go home” contro le recin-zioni di qualche base militare americana.Ma sin da ora siamo certi che sarà la dura realtà a portare di nuovo con i piedi per terra questi americani “de noantri”. Veltroni, insomma ascolti mag-giormente Parisi quando ricor-da al segretari del PD che “sarà arduo conquistare l’Abruzzo - alle elezioni amministrative di questo mese- ma intanto l’Ohio è nostro”.

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La Piazza D’Italia - Attualità

Litio, lo stabilizzatore d'umore

Brunello di Montalcino

Condizionerà le nostre macchine e forse anche le nostre vite

La vicenda di un grande rosso

Il nostro mondo ha conosciuto da tempo il lento permeare di una coscienza ecologista, que-sto ha fatto si che nella quasi totalità delle abitudini si veri-ficasse un cambiamento. Non tutto però quello che una co-scienza detta viene percepito e modificato di conseguenza e questo fa nascere alcune pro-blematiche sia nella sostanza che nell'applicazione di pseu-do-rivoluzioni, poi rinnegate da una profonda delusione.Una delle ragioni di ciò è il fatto che nella maggior parte dei casi i tempi sono dettati dai grandi gruppi che lenta-mente cavalcano questa onda ecologista seguendo flussi che ben poco hanno a che fare con la coscienza sviluppatasi negli ultimi 20 anni.Mentre la tecnologia si impos-sessa sempre di più delle no-stre vite quotidiane vediamo alcune disparità nelle velocità con cui queste infiltrazioni arrivano nelle nostre attività. Facendo un rapido paragone si potrebbe raffrontare lo svilup-po che c'è stato del Personal Computer a fronte di quello in campo automobilistico.Mentre per il primo si è assi-stito a continui balzi in avanti portando gli attuali terminali a prestazioni che pochi anni fa si potevano trovare solo in ambienti di ricerca e a costi mostruosi, il secondo non ha fatto altro che aggiungere ac-

cessori iper-tecnologici ad un nocciolo rimasto sempre pra-ticamente uguale: il motore a scoppio.Il sistema di propulsione, per motivi che in modo molto semplicistico e generalista, si possono attribuire a forti in-teressi petroliferi, è rimasto lo stesso, ma la tecnologia su cui si basa il tutto è vecchio di quasi cento anni.Guardando come la spinta tec-nologica abbia avuto una forza dirompente in questi anni ri-sulta difficile pensare che non sia stato possibile applicare la medesima spinta in ambito motoristico.Le idee apparentemente nuove sono anche queste vecchie di decenni: l'idrogeno e il sistema ibrido che tanto piace alle case automobilistiche e non solo.Quest’ultimo sistema, usato da qualche tempo su modelli commerciali, non è altro che un motore a scoppio alimen-tato dal tradizionale combusti-bile che viene sostituito da un motore elettrico alimentato da una batteria quando la poten-za richiesta è ridotta. L’ibrido sembra prendere sempre più piede nelle politiche di svilup-po delle case automobilistiche, ma siamo sicuri che sia quello più giusto per la svolta ecolo-gista, o che rappresenti davve-ro il futuro?Le batterie che verranno uti-lizzate sono al litio come

quelle che alimentano i nostri computer portatili ed i no-stri telefonini. Con un giusto sviluppo della tecnologia, ci si augura che la batteria so-stituisca il motore a scoppio in un lasso di tempo non ec-cessivamente lungo. Questo comporterà ovviamente una richiesta di litio sempre mag-giore. A questo punto nasce il problema di quanto litio ci sia a questo mondo capace di soddisfare le richieste del mer-cato mondiale. I dati parlano di quantità molto ridotte e la maggior parte di queste si trova in America Latina, più precisamente in Bolivia. Nel Paese del Presidente Morales che ha già fatto capire come sarà la gestione di una risorsa che rischia di diventare più preziosa del petrolio. In uno dei suoi interventi ha dichia-rato che il mondo industria-lizzato deve ripensare la sua dipendenza dalle automobili e che una macchina per ogni persona è un peso insostenibile per il sistema mondiale e che è finito il tempo dello “sfrutta-mento selvaggio“ delle risorse boliviane, ora nazionalizzate e in mano ad un potere para-socialista.Le stime delle case automobili-stiche parlano di una domanda di litio dei prossimi venti anni superiore di 1000 volte quella che le risorse attualmente co-nosciute possono dare.

La soluzione potrebbe essere solamente cambiare nuova-mente sistema e vetture. A be-neficio dei soliti, ovviamente.Che altro motivo potrebbe es-serci altrimenti visto che le sti-me sono già note ai produttori che malgrado questo hanno investito cifre astronomiche per sviluppare un sistema che diventerà schiavo di costi di produzione abnormi e che per questo esaurirà la sua vita in tempi relativamente brevi?Passeremo dalla dipendenza dal petrolio e suoi derivati a quella dal litio, insufficiente

già prima di diventare un ele-mento fondamentale.Senza contare il costo in in-quinamento della conversione del sistema di estrazione da artigianale (eufemismo per de-finire lo sfruttamento di intere popolazioni per pochi spicci) ad industriale.Materie prime che per un bizzarro scherzo del destino sono, anche in questo caso, in mano ad entità che si pon-gono in modo antagonista ad un modello di sviluppo che l'occidente ha adottato e che con eccessiva leggerezza man-

tiene prima con la mancanza di alternative, poi con meto-di prevedibilmente onerosi che porteranno ad un nuovo cambio radicale degli equilibri fondamentali.E’ tutto un paradosso, ma sarà la nostra realtà.Quando la coscienza ecolo-gista cresce e muore di fronte ai grandi colossi del sistema, potrà rinascere quando que-sti stessi colossi si troveranno a dover competere con una situazione asfittica di materia prima dettata dall’ecologia stessa.

Il Brunello di Montalcino è uno dei vini più famosi al mondo. Grazie alle sue carat-teristiche organolettiche e ad un‘ampia ed efficace campagna di marketing, si è distinto, da tempo, nel mercato enologico italiano ed internazionale, at-testandosi in posizioni di asso-luto rilievo.Il Brunello, il primo vino ita-liano a vantare la Denomina-zione d’Origine Controllata e Garantita (DOCG), ricono-sciuta con D.P.R. 1/7/1980 e modificata con D.M. del 19/5/1988, è prodotto, secon-do il disciplinare, da uve San-giovese coltivate nel comune di Montalcino, in provincia di Siena.E’ un vino la cui gradazione al-colica si deve attestare almeno a 12,50°. Il vino a denomina-zione di origine controllata e garantita “Brunello di Montal-cino” non può essere immes-so al consumo prima del 1° gennaio dell’anno successivo al termine di cinque anni, cal-colati considerando l’annata della vendemmia; il suo affina-mento deve essere minimo di 2 anni nelle botti di rovere e 4 mesi (6 peri il tipo “Riserva”) affinato in bottiglia. Il colo-re dl Brunello è rosso rubino intenso tendente al granato, i suoi profumi vivaci e straordi-nari. Le sue caratteristiche lo rendono uno dei più grandi

vini rossi al mondo… dal ca-rattere aristocratico. La forma della bottiglia, rigorosamente bordolese (bottiglia originaria della zona di Bordeaux dalla caratteristica forma cilindrica e collo corto) accentua, anche esteticamente, la sua eleganza.Dire Brunello, è dire qualità e prestigio di una Toscana che sa promuovere i suoi prodotti forse meglio di qualsiasi regio-ne italiana. Ma non dimenti-chiamo le vicissitudini recenti che lo hanno investito.Alcune aziende vitivinicole se-nesi, qualche tempo fa, sono state accusate di frode perché sembrava avessero posto in commercio il vino Brunello non realizzato come il disci-plinare comanda: ovvero con l’uso di uve Sangiovese in pu-rezza ma tagliato con vini in-ternazionali.I motivi sembrano essere prin-cipalmente due: da un lato la produzione del Sangiovese sembra essere insufficiente a coprire la domanda del mer-cato internazionale; dall’altro lato il presunto motivo sem-bra esser legato alla moda e ai gusti dei consumatori: il Brunello è un signor vino, dal gusto asciutto, un po' tannico, robusto ed armonico, ma la tendenza degli utenti è quella di preferire (per fortuna non tutti i winelover) vini più “ro-tondi” ossia meno “aggressivi”

in bocca, che lascino un finale più dolce; modificando la vera essenza del Brunello. Ovvia-mente queste sembrano essere le motivazioni che certamen-te non giustificano la frode al consumatore che sborsa parec-chi quattrini per avere un vino dalle caratteristiche originali e se vogliamo uniche.Ovviamente ciò ha generato uno scandalo. Si sono sollevati anche dei vespai sull’efficien-za, o se vogliamo, sul limite dell’attività di controllo da par-te del Consorzio preposto che ha prontamente ha affermato: ”Il Consorzio effettua periodi-camente dei controlli nei con-fronti dei produttori a garanzia del rispetto del Disciplinare e della qualità del Brunello di Montalcino. Questi controlli vengono effettuati attraverso la verifica dei vigneti iscritti al relativo albo, delle cantine, delle fasi di maturazione del vino e del suo imbottigliamen-to. Le indagini promosse dalla magistratura hanno trovato proprio nei controlli effettuati periodicamente dal Consorzio un’utile base informativa per poter approfondire le indagini. Per quanto i controlli siano tra i più rigorosi al mondo nel set-tore dei vini, il Consorzio ha allo studio ulteriori misure di controllo per garantire sempre di più la qualità del Brunello di Montalcino; A ciò si ag-

giunge che tutti i vini Brunello di Montalcino prima di esse-re immessi sul mercato sono sottoposti al controllo della Commissione di Degustazione della camera di Commercio di Siena per una loro approvazio-ne di rispondenza al discipli-nare di produzione, così come avviene per tutti i vini italiani a Denominazione di Origine Controllata e Garantita”.Il 22 ottobre scorso la Procu-ra della Repubblica del Tri-bunale di Siena ha diramato un comunicato con il quale affermava che alcune aziende di produzione del Brunello –ispezionate dalla Guardia di Finanza e dall’Ispettorato Cen-trale del Controllo di Qualità dei Prodotti Agroalimentari di Firenze - avevano violato il disciplinare facendo scattare numerosi sequestri.E’ importante però sottoli-neare che la vicenda, che ha scosso il mondo del vino Bru-nello, non è legata ad un’adul-terazione del prodotto ma secondo quanto riportato dal Consorzio: “Le indagini non mettono in discussione il livel-lo qualitativo del Brunello di Montalcino, non esiste alcuna adulterazione nè minaccia per la sicurezza del consumatore. La Commissione Europea a Bruxelles, che ha approfon-dito il tema, ha sin da subito informato tutti i partner co-

munitari, considerando il caso Brunello una mera questione interna all’area geografica di origine. Il presunto utilizzo da parte di alcune aziende pro-duttrici di vitigni non previsti dal disciplinare non costituisce alcun rischio per la sicurezza del prodotto verso il consuma-tore”Il Consorzio dei produttori del Brunello di Montalcino - che raggruppa il 100% di tutti i 250 produttori (unico caso in Italia) – si è riunito lo scorso 27 ottobre per esprimersi in merito all’ipotesi di modifica del Disciplinare. Il quesito del-la votazione è stato il seguente “Sono favorevole a modificare

la base ampelografica (ndr la classificazione della vite nelle sue specie e varietà coltivate) del Disciplinare del vino Bru-nello di Montalcino?”. Gli elet-tori-soci si sono espressi con 30 voti a favore e 672 contrari. Il 96% dei soci produttori ha votato “no” all’ipotesi di mo-difica del disciplinare del rino-mato vino. Quindi il Brunello di Montalcino si continuerà a produrre solo esclusivamente con uve Sangiovese.Ora al Consorzio e ai produt-tori tocca la parte più difficile del ciclo di un prodotto ovve-ro: il rilancio del prodotto sul mercato e la riconquista della fiducia dei consumatori.