1-15/16-31 ottobre 2009 - Anno XLV - NN. 65 - 66 - Barcolla l'asse del nord

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Contemporaneamente allo scoppio del “caso Marrazzo” e alla conclusione delle pri- marie che hanno visto l’ele- zione di Pierluigi Bersani alla segreteria del Partito Demo- cratico, anche all’interno del Popolo della Libertà è scop- piato un ordinato finimondo con alcuni Ministri del Go- verno che hanno reclamato al Presidente del Consiglio un ridimensionamento delle prerogative concesse al Mini- stro Tremonti. Il malumore nei confronti del “super Ministro” dell’econo- mia evidentemente covava sotto le ceneri da parecchio - anzi da anni visto che già nel 2004 Giulio Tremonti era stato costretto a dare le dimis- sioni a causa dello scontro con gli allora inseparabili dioscuri Fini e Casini che richiesero a Berlusconi a gran voce la sua testa a causa della mancan- za di collegialità, così si disse all’epoca, delle decisioni prese in campo economico - tanto che è bastato che dichiarasse le personali riserve riguardo la flessibilità in campo lavorati- vo esaltando invece la sicurez- za data dal “posto fisso” utile per pianificare la vita sociale dei lavoratori che subito si è scatenato il pandemonio. La “Presidentissima“ di Con- findustria Emma Mercegaglia era la prima a dare il via alla stura delle polemiche affer- mando che la cultura del po- sto fisso rappresentava solo un impossibile ritorno al passato, convinzione questa espressa pure dal Ministro Brunetta che definiva a sua volta otto- centesca la visione “tremon- tiana” dell’ attuale mercato del lavoro. Ma la vera zuffa mediatica si è accesa sulla proposta, un vero e proprio rilancio po- litico in verità, di abbassa- re gradualmente l’Irap fatta dal Presidente Berlusconi e prontamente presa al volo da Confindustria che addirittura considerava tale eventualità improcrastinabile, richieden- done immediatamente l’at- tuazione ed intimando all’ese- cutivo di passare senza altri rinvii alla soppressione della tassa in questione. Tremonti a tutto ciò ha ri- sposto con calma sostenendo che al momento tale possibi- lità era irrealizzabile restando l’economia italiana ancora de- bolissima seppur con evidenti segni di ripresa. Tali dichiara- zioni comunque hanno lascia- to di sasso lo stesso Berlusconi che mai si sarebbe aspettato una sconfessione così palese ed assolutamente non con- cordata di una sua sacrosanta proposta. Ed è a questo punto che la crisi tutta interna alla mag- gioranza raggiunge i momenti più acuti. 13 gennaio 2004: “La Corte costituzionale ha dichiarato (omissis) l’illegittimità costi- tuzionale dell’art. 1 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (ndr cosiddetto Lodo Schifani), sotto i profili della violazione degli art. 3 e 24 (ndr “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e in- teressi legittimi. La difesa è di- ritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”) della Costituzione”. 7 ottobre 2009: “La Corte co- stituzionale giudicando sulle questioni di legittimità costitu- zionale poste con le ordinanze n. 397/08 e n. 398/08 del Tri- bunale di Milano e n. 9/09 del G.I.P. del Tribunale di Milano ha dichiarato l’illegittimità co- stituzionale dell’art. 1 della leg- ge 23 luglio 2008, n. 124 (ndr cosiddetto Lodo Alfano), per violazione degli articoli 3 (ndr “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distin- zione di – omissis - condizioni personali e sociali”) e 138 (ndr leggi di revisione costituziona- le e altre leggi costituzionali) della Costituzione”. Nel quinquennio trascorso tra la prima e la seconda sentenza della Consulta il testo della leg- ge che prevede, rectius preve- deva disposizioni in ordine alla non procedibilità temporanea nei confronti delle più alte cariche dello Stato, con l’uni- ca differenza dell’assenza della previsione con riferimento al presidente della Corte Costi- tuzionale nel Lodo Alfano, il Parlamento ha cercato, sulla spinta della forte maggioran- za nella presente legislatura, di correggere il tiro del testo COPIA OMAGGIO In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Rom-Italy — Fondato da Turchi — www.lapiazzaditalia.it Barcolla l'asse del nord LA PIAZZA D’ITALIA Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 Fumata rossa: eletto Bersani Nobel per la pace 2009 ITALIA — a pagina 4 — — a pagina 2 — ESTERI Il cambio di Passo Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti www.lapiazzaditalia.it Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 comma 1 - DCB-Roma 1-15/16-31 Ottobre 2009 - Anno XLV - NN. 65-66 0,25 (Quindicinale) Credo che il vero tema da porre all’attenzione della politica sia quella di fare riforme per il paese. Dall’economia, alle in- frastrutture, ricerca e ambiente sono i settori che dobbiamo cambiare e avere la forza e dico anche il coraggio di stra- volgere radicalmente. Bene per esempio parlare a discutere della riforma sull’Università, come an- che bene fa Matteoli a portare l’attenzione sulle grandi opere, ma anche così dobbiamo parlare per esempio di energie e soprattutto di quelle rin- novabili. Per l’economia c’è un tema che credo sia im- portante: rilanciare l’investimento al sud, che fu poi la chiave di let- tura del rilancio dopo la guerra, come addirittura, se torniamo indietro all’Unità d’Italia, grazie alle casse dei Borboni che il buon Cavour svuotò, abbiamo costruito il Reg- no d’Italia. Penso infatti che il lancio della Banca del Sud (ma con risorse adeguate e mission chiara) sia fon- damentale per dare con- cretezza ai tanti slogan che sentiamo in questi giorni. Per il resto delle riforme, parlo di quelle istituzi- onali, le metterei in sec- ondo piano in termini di tempistica, essendo ora prioritario rilanciare il Paese in altri settori. Abb. sostenitore da 1000 - Abb. annuale 500 - Abb. semestrale 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina Segue a pagina 5 Segue a pagina 2 di FRANZ TURCHI La posizione del Ministro dell’economia Tremonti diventa di giorno in giorno più delicata Lodo Alfano: lo schiaffo della Consulta

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Barcolla l'asse del nord - Lodo Alfano: lo schiaffo della Consulta - Il cambio di Passo - Fumata rossa: eletto Bersani - Debito pubblico - Realtà o fantafisco? - Armenia - Turchia: verso la normalizzazione - Nobel per la pace 2009: solo chiacchiere e distintivo - Pittsburgh: G8 per la politica e G20 per l'economia - Lodo Alfano: lo schiaffo della Consulta - Bersaglio mobile - La riforma dell’Universita - John Stuart Mill - Giornata dell'informazione: una riflessione - Il dilemma della politica estera italiana - Ottobre 1969: Arpanet la madre di Internet - La carrese di San Pardo

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Contemporaneamente allo scoppio del “caso Marrazzo” e alla conclusione delle pri-marie che hanno visto l’ele-zione di Pierluigi Bersani alla segreteria del Partito Demo-cratico, anche all’interno del Popolo della Libertà è scop-piato un ordinato fi nimondo con alcuni Ministri del Go-verno che hanno reclamato al Presidente del Consiglio un ridimensionamento delle prerogative concesse al Mini-stro Tremonti.Il malumore nei confronti del “super Ministro” dell’econo-

mia evidentemente covava sotto le ceneri da parecchio - anzi da anni visto che già nel 2004 Giulio Tremonti era stato costretto a dare le dimis-sioni a causa dello scontro con gli allora inseparabili dioscuri Fini e Casini che richiesero a Berlusconi a gran voce la sua testa a causa della mancan-za di collegialità, così si disse all’epoca, delle decisioni prese in campo economico - tanto che è bastato che dichiarasse le personali riserve riguardo la fl essibilità in campo lavorati-vo esaltando invece la sicurez-

za data dal “posto fi sso” utile per pianifi care la vita sociale dei lavoratori che subito si è scatenato il pandemonio.La “Presidentissima“ di Con-fi ndustria Emma Mercegaglia era la prima a dare il via alla stura delle polemiche aff er-mando che la cultura del po-sto fi sso rappresentava solo un impossibile ritorno al passato, convinzione questa espressa pure dal Ministro Brunetta che defi niva a sua volta otto-centesca la visione “tremon-tiana” dell’ attuale mercato del lavoro.

Ma la vera zuff a mediatica si è accesa sulla proposta, un vero e proprio rilancio po-litico in verità, di abbassa-re gradualmente l’Irap fatta dal Presidente Berlusconi e prontamente presa al volo da Confi ndustria che addirittura considerava tale eventualità improcrastinabile, richieden-done immediatamente l’at-tuazione ed intimando all’ese-cutivo di passare senza altri rinvii alla soppressione della tassa in questione.Tremonti a tutto ciò ha ri-sposto con calma sostenendo

che al momento tale possibi-lità era irrealizzabile restando l’economia italiana ancora de-bolissima seppur con evidenti segni di ripresa. Tali dichiara-zioni comunque hanno lascia-to di sasso lo stesso Berlusconi che mai si sarebbe aspettato una sconfessione così palese ed assolutamente non con-cordata di una sua sacrosanta proposta.Ed è a questo punto che la crisi tutta interna alla mag-gioranza raggiunge i momenti più acuti.

13 gennaio 2004: “La Corte costituzionale ha dichiarato (omissis) l’illegittimità costi-tuzionale dell’art. 1 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (ndr cosiddetto Lodo Schifani), sotto i profi li della violazione degli art. 3 e 24 (ndr “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e in-teressi legittimi. La difesa è di-ritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”) della Costituzione”.7 ottobre 2009: “La Corte co-stituzionale giudicando sulle questioni di legittimità costitu-

zionale poste con le ordinanze n. 397/08 e n. 398/08 del Tri-bunale di Milano e n. 9/09 del G.I.P. del Tribunale di Milano ha dichiarato l’illegittimità co-stituzionale dell’art. 1 della leg-ge 23 luglio 2008, n. 124 (ndr cosiddetto Lodo Alfano), per violazione degli articoli 3 (ndr “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distin-zione di – omissis - condizioni personali e sociali”) e 138 (ndr leggi di revisione costituziona-le e altre leggi costituzionali) della Costituzione”.

Nel quinquennio trascorso tra la prima e la seconda sentenza della Consulta il testo della leg-ge che prevede, rectius preve-deva disposizioni in ordine alla non procedibilità temporanea nei confronti delle più alte cariche dello Stato, con l’uni-ca diff erenza dell’assenza della previsione con riferimento al presidente della Corte Costi-tuzionale nel Lodo Alfano, il Parlamento ha cercato, sulla spinta della forte maggioran-za nella presente legislatura, di correggere il tiro del testo

COPIA OMAGGIO In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina

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Il cambio di Passo

Ricco, continuamente aggiornato: arrivafi nalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per unnuovo modo di fare politica in Italia

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Credo che il vero tema da porre all’attenzione della politica sia quella di fare riforme per il paese. Dall’economia, alle in-frastrutture, ricerca e ambiente sono i settori che dobbiamo cambiare e avere la forza e dico anche il coraggio di stra-volgere radicalmente. Bene per esempio parlare a discutere della riforma sull’Università, come an-che bene fa Matteoli a portare l’attenzione sulle grandi opere, ma anche così dobbiamo parlare per esempio di energie e soprattutto di quelle rin-novabili.Per l’economia c’è un tema che credo sia im-portante: rilanciare l’investimento al sud, che fu poi la chiave di let-tura del rilancio dopo la guerra, come addirittura, se torniamo indietro all’Unità d’Italia, grazie alle casse dei Borboni che il buon Cavour svuotò, abbiamo costruito il Reg-no d’Italia.Penso infatti che il lancio della Banca del Sud (ma con risorse adeguate e mission chiara) sia fon-damentale per dare con-cretezza ai tanti slogan che sentiamo in questi giorni.Per il resto delle riforme, parlo di quelle istituzi-onali, le metterei in sec-ondo piano in termini di tempistica, essendo ora prioritario rilanciare il Paese in altri settori.

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La posizione del Ministro dell’economia Tremonti diventa di giorno in giorno più delicata

Lodo Alfano: lo schiaff o della Consulta

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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI OTTOBRE 2009

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La posizione del Ministro dell’economia Tremonti diventa di giorno in giorno sempre più delicata

I risultati delle primarie consegnano il Partito Democratico nelle mani degli ex DS

per informazioni e abbonamentichiamare il numero verde:

Dalla Prima

Barcolla l'asse del nordInfatti il solito “bene infor-mato” delle cose governative ha fatto trapelare la notizia che alcuni non precisati Mi-nistri avevano sottoposto a Berlusconi un “papello” nel quale si indicavano alcune problematiche economiche che secondo il loro avviso an-davano subito aff rontate in maniera opposta a quella che Tremonti fi no adesso aveva portato avanti: in pratica si chiedeva - ancora una volta - una maggiore collegialità nel-le decisioni di distribuire tra i vari dicasteri tagli e risorse ma soprattutto si proponeva - a ragione - di iniziare ad ab-bassare la tassazione gravante sulle imprese.Dal “papello” alla difesa ad ol-tranza di Tremonti da parte di

Bossi il passo è stato breve.Si era quindi quasi arrivati al punto di rottura tra le diver-se anime che compongono la maggioranza di Governo: da una parte gli avversari storici del Ministro dell’Economia, Scajola, Fitto, Prestigiacomo e Fini, dall’altra la Lega chiu-sa strenuamente in difesa di Tremonti, il Ministro che ha ideato il federalismo fi scale.A questo punto, Bossi, da esperto pokerista qual è ha rilanciato il piatto annun-ciando che la Lega pretendeva la promozione di Tremonti a vicepremier, una sorta di commissariamento per Berlu-sconi, come giustamente Fini defi niva tale eventualità, in subordine la creazione di tre vice premierati da distribuire uno per ogni “anima “ della

maggioranza.La resa dei conti sembrava imminente ma per fortuna la ragionevolezza ha avuto il sopravvento almeno per que-sta volta. La montagna aveva infi ne partorito il topolino: la creazione di un gabinetto ristretto presieduto da Tre-monti che dal prossimo futu-ro in poi dovrà collegialmente defi nire le linee della politica economica. Insomma il giusto equilibrio tra “spendaccioni” - come Bossi aveva defi nito i colleghi del PdL contrari al decisionismo a senso unico del Ministro dell’Economia - e quelli che ritengono sia ar-rivato fi nalmente il momento di abbassare le tasse per far ripartire i consumi.Quindi solo una battaglia tra “avari” e “prodighi”?

No certamente, anche perché far passare la Lega per il par-tito dei “sacrifi ci” quando si oppone fermamente all’aboli-zione del carrozzone costitu-ito dalle oltre cento province italiane è veramente troppo.Semplicemente è stato un ten-tativo da parte di entrambe le parti - PdL e Lega - di spun-tare delle posizioni di rendita migliori in vista delle elezioni regionali di primavera.La Lega che forse ottiene la candidatura in Veneto ma non quella in Piemonte - altrimen-ti dovrà per forza cedere il Mi-nistero dell’Agricoltura.Gli ex “alleanzini” che spun-tano la candidatura nel Lazio - lotta ancora apertissima tra Polverini e Augello - e Cala-bria - Scoppelliti votatissimo sindaco di Reggio - e che pun-

tano a ridimensionare gli ex - Forzisti, ad esempio in Cam-pania, provando a mettere i bastoni tra le ruote alla can-didatura del “chiacchierato“ Nicola Cosentino, macchina da voti dei Berlusconiani.Tra tutti questi fuochi ac-cesi, colui il quale deve fare moltissima attenzione a non rimaner bruciato è il Presi-dente del Consiglio, che deve valutare attentamente tutte le candidature al fi ne di mette-re in campo nomi veramente spendibili in quanto, come avviene del resto da 15 anni a questa parte, anche la pros-sima tornata elettorale sarà considerata dagli avversari politici di Berlusconi un re-ferendum pro o contro la sua persona.Inoltre l’aria che tira al di fuo-

ri del “Palazzo” non è delle più tranquille: Il debole PD stret-to nella morsa estremista della sinistra radicale e dell’Italia dei Valori, la stampa e tutti i mass media dell’editore “svizzero” - De Benedetti - che soffi ano sempre e comunque sul fuoco delle polemiche, le sentenze e le indagini ad orologeria di talune procure, senza trala-sciare ovviamente la lentezza esasperante con cui procede l’organizzazione della struttu-ra del partito del Popolo della Libertà, per non parlare dei continui scandali - Marrazzo, Mastella e famiglia, regioni rosse mal governate - che spa-zientiscono i cittadini italiani stufi di aspettare le riforme necessarie per far ripartire il Paese.

Giuliano Leo

Finalmente dopo settimane di attesa il Partito Democra-tico ha eletto il successore di Franceschini: a ricoprire la carica di segretario del par-tito sarà l’ex ministro delle attività produttive dell’ultimo Governo Prodi Pierluigi Ber-sani uomo ombra del “deus ex machina” Massimo D’Alema.In questo modo si conclude pure l’ennesimo duello che caratterizza la decennale sfi da, tra il “leader Massimo” e Vel-troni, per il controllo prima del PCI-PdS-Ds e poi del Partito Democratico visto che l’ex sindaco di Roma - a meno di oramai improbabili colpi di coda - dopo la debacle patita contro Berlusconi alle elezioni politiche più di un anno e mezzo fa, e con la netta scon-fi tta subita dal proprio delfi no designato Franceschini cre-

diamo debba riporre defi niti-vamente nel cassetto ogni suo sogno di rivincita politica nei confronti dell’uomo forte di Gallipoli.Netto il risultato scaturito dalle urne delle primarie: dei quasi tre milioni di simpa-tizzanti che si sono recati ai seggi “volanti” allestiti dalla macchina organizzativa del Partito Democratico in tutta Italia a Bersani è andato ol-tre il 53% dei suff ragi contro il 34% circa raggiunto dalla mozione capeggiata dal seg-retario uscente Franceschini e dal 12% dei voti ottenuti dal terzo incomodo il professor Ignazio Marino.Quasi identico quindi l’esito conseguito dalle primarie ap-erte rispetto ai risultati otte-nuti appena qualche settimana orsono nei congressi di tutte le oltre 7500 sezioni del Partito Democratico sparpagliate per tutto il Paese:infatti Bersani in quel caso ha raggiunto il 55% delle preferenze degli iscritti al PD, Franceschini il 37% mentre Marino si era dovuto accontentare solo dell’8% dei voti risultato quest’ultimo, ampiamente migliorato di oltre 4 punti percentuali do-menica scorsa, dimostrazione evidente di come la mozione di Marino fosse quella meno legata all’apparato e alla logica di partito rispetto alle prime due (esito comunque netta-mente inferiore ai sondaggi e alle preferenze di voto ap-parse per settimane su blog e siti della rete che in alcuni casi davano Marino al 30-40% dei suff ragi totali)Quindi sarà il 58 enne emil-iano di Piacenza, dottore in Filosofi a, ex presidente della regione Emilia Romagna, ex ministro dell’Industria del Governo Prodi, dei Trasporti del Governo Amato ed ancora titolare del dicastero dello Svi-luppo Economico ancora con Prodi nel 2006, a cercare di raccogliere e rimettere insieme

i cocci del Partito Democra-tico crollato al 26 % dei con-sensi - dal 33% a cui lo aveva lasciato Veltroni - nelle scorse elezioni europee degli inizi del Giugno scorso.Obiettivo, quello di rimettere di nuovo in piedi il partito, veramente improbo anche in considerazione del fatto che esso è sottoposto oramai da mesi a forze interne ed esterne che lo hanno reso particolar-mente debole e fragile.Il tutto è reso più chiaro dalle dichiarazioni - in qualche caso vere e proprie minacce nep-pure troppo velate - che alcuni esponenti degli stessi Demo-cratici, dell’Italia dei Valori e dell’Unione di Centro hanno espresso ai microfoni e ai tac-cuini dei giornalisti appena conosciuto l’esito delle prima-

rie del PD.Infatti a parte le frasi di circos-tanza pronunciate dallo scon-fi tto Franceschini riguardo la sua legittima soddisfazione di aver comunque contribui-to negli otto mesi durante i quali è stato segretario reg-gente a creare un partito ve-ramente democratico e alle congratulazioni di rito fatte a Bersani è curioso poter os-

servare che le primarie per al-cuni pezzi importanti del PD e dell’opposizione in generale, non hanno rappresentato niente altro che il continuo delle feroci diatribe che hanno portato ai minimi termini – in voti e in proposte politiche- il centro sinistra italiano.Innanzi tutto Francesco Rutelli ad urne ancora “calde” comunica il suo abbandono al Partito Democratico per-ché con la vittoria di Bersani, secondo la sua analisi politica, il PD sarà costretto da Di Pi-etro a scivolare sempre più verso l’anti berlusconismo come unica tattica e strate-gia per cercare di arginare il debordante strapotere della coalizione governativa e dalla sinistra interna all’ennesima riedizione riveduta e corretta

dell’abbraccio mortale con Ri-fondazione Comunista, Verdi e sinistra extraparlamentare. Perciò la fuoriuscita dal PD e l’ingresso nell’UDC di Casini potrebbe essere la conclusione obbligata di un’avventura po-litica all’interno del Partito Democratico forse veramente mai iniziata. Insomma non è necessario - sempre secondo l’ex sindaco dell’Urbe - stare

per forza di cose dentro il PD per essere riformisti.Oltre al pericolo di scissione imminente dei fedeli di Rutel-li - anche se non crediamo che saranno così numerosi quelli che abbandoneranno Ber-sani - il neo segretario deve già aff rontare un’altra piccola fronda interna capeggiata da Arturo Parisi - da sempre vi-cinissimo all’ex Primo Minis-tro Romano Prodi - il quale non volendo lasciare l’abito da “Grillo Parlante” che gli è particolarmente congeniale, rispondendo a D’Alema che esprimeva la sua soddisfazi-one per la chiarezza ineq-uivocabile con cui gli elettori avevano dato la vittoria al suo “pupillo”, dichiarava che tale chiarezza riguardava solo il chi fosse il vincitore poiché

in questi mesi di campagna elettorale certo era mancata la trasparenza riguardo le linee politiche che il segretario “en-trante” ha intenzione di seg-uire per cercare di rimettere in sesto il Pd .Lacerazioni interne che certo fanno gongolare Antonio Di Pietro, il quale già contento della vittoria di Bersani poiché quest’ultimo certamente

tenterà di riproporre la Prodi-ana “Grosse Koalitione” delle forze politiche che si oppongo-no a Berlusconi - al contrario di Franceschini che come nel recentissimo passato Veltroni, si era detto contrario a tale formula - ha rincarato la dose aff ermando che fi nalmente era arrivato il momento per il PD di decidere quale opposizione fare: se quella morbida come fatto fi no adesso o affi ancarsi a lui nel anti-berlusconismo senza se e senza ma chiudendo ogni porta per eventuali ri-forme concordate col centro-destra.Sinceri auguri a Bersani pure da Cesa dell’UDC che - forse ironicamente vista la possibile confl uenza di Rutelli nel suo partito - augura al neo segre-tario di operare nel miglior modo possibile in maniera da defi nire meglio la sua linea di opposizione al Governo di Berlusconi. Dichiarazioni che forse fanno trasparire la possi-bilità - almeno per le prossime elezioni regionali di primavera - di numerosi accordi tra PD e d UDC.La soddisfazione per la vitto-ria di Bersani nella corsa per la segreteria del PD traspare pure dalle parole di Ferrero - Ri-fondazione Comunista - che si auspica fi nalmente l’uscita da parte del Partito Demo-cratico dalla logica del bipar-titismo e da quelle di Fava - Sinistra e Liberta - che spera nell’apertura di nuovi spazi di dialogo tra i Democratici e la sinistra radicale italiana.Antiberlusconismo si, antib-erlusconismo no, bipartitismo o ritorno al bipolarismo, ac-cettare la proposta della mag-gioranza governativa di rifor-mare insieme il sistema Italia oppure scegliere ora e sempre la via dello scontro in Parla-mento e nelle piazze, questi sono i nodi che Bersani si tro-verà di fronte, a lui la scelta: o spezzarli o renderli ancora più ingarbugliati.

Fumata rossa: eletto Bersani

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La Piazza D’Italia - Economia

Se lievita come si può pensare ad una crescita economica?

Debito pubblicoE’ oggettivamente un vero problema: il debito pubblico italiano continua la sua ascesa inarrestabile anche nei primi mesi del 2009 segnano un in-cremento del 5,4% ovverosia di quasi 900 miliardi di euro. In particolare alla fi ne dello scorso mese di maggio il de-fi cit dello Stato ha raggiunto la nuova quota di 1.752,188 miliardi di euro, stracciando il precedente record messo a se-gno ad aprile. Questi dati pub-blicati dalla Banca d’Italia non lasciano molto spazio ad in-terpretazioni: è inequivocabile l’entità debitoria che incide sul settore pubblico, la novità non è certo l’esistenza del debito vista la sua lontana origine ma la sua crescita incrementale.Ormai è anche inutile ribadire che una situazione così negati-va dal punto di vista fi nanzia-rio è ulteriormente aggravata dalla ormai più volte citata

crisi economica che ha colpito il sistema economico mondia-le. Oggi, però, i policy ma-kers non possono consentire al debito pubblico di crescere con questa rapidità e in que-sta misura, perché il benessere dei cittadini potrebbe com-promettersi e cristallizzarsi su posizioni davvero critiche.In situazioni in cui non si al-ternino defi cit e avanzi di bi-lancio, ma si accumulino disa-vanzi, il debito pubblico si ac-cumula nel tempo. Ed è quello che praticamente si è verifi cato in Italia e in altri paesi nel do-poguerra.Con riferimento all’Italia, l’an-damento del debito pubbli-co eff ettivo e programmatico nonché il rapporto fra debito e Pil rileva una sostanziale cor-rispondenza tra i due anda-menti, tendente ovviamente ad una crescita importante. Le ragioni di questa crescita

possono essere ricercati nella crescita appunto degli interessi maturati sullo stock di debi-to precedente, cioè in caso di assenza di defi cit primario e di fi nanziamento monetario, il tasso di crescita del debito pubblico è sicuramente mag-giore di zero.Nel caso in cui preesistesse un defi cit primario e se esso fosse completamente fi nanziato con base monetaria, il debito pub-blico non sarebbe alimentato dal defi cit primario e quindi rimarrebbe valida la conclu-sione secondo cui il debito tende a crescere a causa degli interessi maturati sullo stock precedente.Al contrario, l’esistenza di un avanzo primario tende sicu-ramente a frenare la crescita del debito pubblico, fi no ad annullarla, se si verifi cano opportune condizioni di tas-so di interesse reale e crescita del Pil.Il problema italiano oggi è acuito dal fatto che il Pil de-cresce, che il prodotto interno lordo appunto ha subito una signifi cativa contrazione fi no a raggiungere livelli negati-vi al di sotto dello zero, e per queste performances il sistema economico italiano si è trovato in recessione per lungo tempo. Ora la ripresa del tasso di cre-scita sembra esserci e nel 2010 si stimano andamenti positivi al di sopra dello zero.E’ chiaro che attualmente, il settore pubblico vive una fase molto negativa di indebita-mento e una fase economica altrettanto negativa di spesa, di consumi e di investimenti.Se il defi cit primario ha avu-to andamenti contrastanti, in aumento prima della metà del periodo, in riduzione nella seconda (periodo di osserva-zione (1980 al 1992), la di-minuzione del fi nanziamento monetario del Tesoro, legata al “divorzio” fra Banca cen-trale e Tesoro, ha comporta-to una crescita ulteriore del debito. La politica monetaria sembra dunque aver giocato un ruolo notevole nella cre-scita del rapporto fra debito e Pil; il processo ha portato a una maggiore autonomia del-la Banca centrale, ispirata tra l’altro, dall’adesione dell’Italia allo SME, da un canto, infatti, esso ha comportato l’affi evoli-mento del fi nanziamento mo-netario del defi cit; dall’altro, ne è scaturito l’allineamento dei tassi di interesse italiani

a quelli mondiali. Se la fi na-lità più volte dichiarata della politica monetaria era quella di indurre un riequilibrio nel bilancio pubblico impedendo un facile modo di fi nanziarlo, può dirsi che l’eff etto è stato proprio quello opposto di ag-gravarlo e di rendere più fati-cose le politiche di rientro.I Governi, oggi, che hanno il problema di un'eccessiva mas-sa debitoria da ridurre, debbo-no adottare delle politiche di rientro cercando appunto di ridurre il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo. Le politiche di rientro si sono raff orzate nella seconda metà degli anni Novanta in re-lazione al proposito di rinno-vare l’adesione degli accordi di cambio previsti dallo SME e di partecipare all’UEM, unifor-mandosi alle prescrizioni de-gli Accordi di Maastricht, che prevedono appunto un limite sia al rapporto fra disavanzo del bilancio pubblico e Pil, sia al rapporto fra debito pub-blico e Pil. Le misure tese alla crescita del reddito possono, dunque, trovare diffi cile at-tuazione, per il fatto che, nelle condizioni attuali di elevato debito pubblico, non è possi-bile far ricorso alle tradizionali manovre di bilancio tendenti a stimolare la domanda globale (aumento delle spese e ridu-zione delle entrate), che ag-graverebbero il problema del disavanzo pubblico. Quello che occorrerebbe fare, è adot-tare una politica di riorienta-mento della spesa pubblica e dei tributi (senza aumenti del disavanzo) che, da un lato, accentui l’effi cienza della spe-sa pubblica e, dall’altro, abbia maggiori eff etti di stimolo per l’attività economica privata. Vi è, insomma, l’esigenza di una politica di off erta di ser-vizi pubblici effi cienti, di una politica industriale capace di accelerare lo sviluppo, nonché di un riordino delle entrate tributarie che a parità di get-tito e di eff etti redistributivi, accresca gli incentivi all’off erta di lavoro e di risparmio.Tutto questo non sembra che sia accaduto, l’auspicio è che i policy makers non ritardino nell’adozione delle suindica-te politiche altrimenti anche il più ottimista potrebbe ri-schiare di diventare pessimista perché comincia a toccare con mano una realtà sempre più critica.

Avanzino Capponi

Realtà o fantafi sco?Finalmente una buona misura: il taglio dell'IRAP

L'esecutivo sta lavorando per intervenire sull'irap nell'ambito di una dimensione d'impresa sotto i 50 addetti.In una fase di crescita economi-ca negativa non è impopolare intervenire sulla leva fi scale. E' però importante sottolineare fi n da ora, che quando l'inter-vento pubblico mira a tagliare le imposte si genera una con-trazione delle entrate tributa-rie, principale fonte di fi nan-ziamento del sistema pubbli-co. Infatti, Tremonti frena sul taglio dell'Irap, perchè sostiene che i soldi non ci sono. Così la mag-gioranza in questi gior-ni, sta lavorando “per trovare una sintesi dei diversi emendamenti alla fi nanziaria presen-tati in commissione Bilancio”. L'intervento suddetto comportereb-be minori entrate per 2-4 miliardi di euro. Ma per il governo “non si pone la questione, lo aff erma il relatore alla Finanziaria al Se-nato, Maurizio Saia, spiegando che “non è un'ipotesi a cui sto lavorando io come re-latore ma Baldassarri. Noi vorremo trovare un sin-tesi perchè se i conti tornano non si capisce perchè non si dovrebbe tentare questo sfor-zo in prima lettura. Mi sem-bra in linea con quello che il premier ha detto, quindi è un tentativo, poi è chiaro che non c'è la volontà di un contrasto con il governo”. Comunque, prosegue il relatore, “abbiamo ancora diversi giorni, potrebbe essere una questione che si ri-solve anche in aula”. Saia sot-tolinea, inoltre, che “è anche giusto permettere l'iniziativa parlamentare”. Non è sempre piacevole ratifi care, senza spo-stare una virgola rispetto al te-

sto presentato dal governo”.Sul taglio dell'Irap sono stati presentati più emendamenti, che contengono diverse ipote-si, in particolare il Pdl ha pre-sentato due proposte di modi-fi ca in commissione Bilancio e la Lega una. A indicarlo è il presidente della commissione Finanze al Senato, Mario Bal-dassarri. “Abbiamo presentato un emendamento complessivo che include interventi sull'Irap e sull'Irpef per 35 miliardi di euro, poi sono stati presentati

emendamenti che sono pez-zi di un quadro, uno sull'Irap con deduzione sul monte salari per tutti, che costa 12 miliardi di euro, un altro che deduce il monte salari fi no a 100 addetti e costa 8 miliardi”.Mentre la Lega ha presentato un suo emendamento sul taglio dell'Irap per le aziende sotto i 50 addetti e l'opposizione an-che ha presentato delle propo-ste di modifi ca. Adesso stiamo valutando se arrivare a un qua-dro condiviso, per vedere se si può fare un intervento per ridurre l'imposta. Baldassarri auspica quindi che la risposta del governo, sulla possibilità

di intervenire per ridurre l'im-posta, “arrivi prima dell'esame degli emendamenti in commis-sione”.Al di là dei tempi dell'aula par-lamentare e della sintesi delle proposte che avverrà nei pros-simi giorni, quello che oggi è importante rilevare è comun-que la volontà dell'esecutivo di adottare una politiche di sgra-vio fi scale. Il Paese per ripartire e per crescere ha bisogno di una attenuazione del carico fi scale, perchè le piccole e medie im-

prese non possono fronteggiare la contrazione della domanda di mercato con un'esasperata tassazione che dal punto di vista sia economico che patrimoniale costituisce rispettivamente un costo tributario di competenza e un debito tributario che va ad appesantire notevolmente il passivo delle aziende. Se le im-prese riescono a ridurre i costi fi ssi legati all'imposizione fi scale possono drenare un po' di liqui-dità e riprendere ad investire.La ripresa degli investimenti è un segnale molto buono per l'economica nazionale, la qua-le può sperare di cominciare a fornire un contributo al tasso di

crescita dal Pil in modo serio e duraturo.Quando le imprese riprendono ad investire, riescono a diff eren-ziare l'off erta, forniscono servizi migliori, possono assumere con minor fatica, e tutto questo non è direttamente commisurato alla performance di crescita im-mediata ma sicuramente ne for-nisce uno stimolo importante.L'imposta regionale sulle attivi-tà produttive, oggetto dell'inter-vento pubblico in questi giorni, nota appunto con l'acronimo

IRAP, è stata istituita con il decreto legislati-vo 15 dicembre 1997 n. 446. E' un'imposta di com-petenza dello Stato italiano, colpisce il va-lore della produzione netto delle imprese os-sia in termini generali il reddito prodotto al lordo dei costi del per-sonale e degli oneri e dei proventi di natura fi nanziaria. È l'unica imposta a carico delle imprese che è propor-zionale al fatturato e non applicata all'uti-le di esercizio. Il suo gettito fi nanzia il 40% della spesa sanitaria

italiana (rilevazione 2009). L'importo da versare si ottiene applicando alla base imponibi-le, detta Valore della Produzio-ne Netta, un'aliquota secondo quanto previsto dall'Art.16 del suindicato Decreto Legislati-vo. Questo articolo prevede al primo comma l'aliquota del 4,25% (modifi cata nel 2008 al 3,90%), al secondo l'aliquota diff erenziata dell'8,50% per le Amministrazioni pubbliche ed al terzo comma la possibilità di elevare o ridurre la prima aliquota fi no ad un massimo dell'1%.Con la legge fi nanziaria del 2007 nell'ambito degli interventi noti

come riduzione del cuneo fi sca-le è stata introdotta la deduzio-ne dall'imponibile dell'intero costo dei contributi assistenziali e previdenziali versati per i la-voratori a tempo indeterminato e di una deduzione di 5.000 euro, riportata ad anno, per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato impiega-to nel periodo d'imposta.Con la legge fi nanziaria del 2008 (Art.1 comma 226) l'ali-quota del 4,25% è stata appun-to abbassata al 3,09%. Si può aff ermare che comunque i Governi negli ultimi anni han-

no dimostrato di voler abbat-tere il peso di questo imposta sulle imprese, ora fi nalmente è sul tavolo degli addetti ai lavo-ri l'ipotesi di una sua integrale eliminazione. Molto evidente è l'impatto della misura a livello politico ma altrettanto fonda-mentale è nella sostanza l'eff et-to che produrrà nella eventuale eliminazione. Le imprese potranno davvero sentirsi meno spremute ma an-cora è prematuro parlarne, me-glio stare con i piedi per terra visto che Tremonti ha già aff er-mato che non ci sono i soldi.

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La Piazza D’Italia - Esteri

Il vertice tra i big del pianeta da G8 diventa G20 e si è tenuto a Pittsbur-gh; due sigle con compiti diversi: il primo si occuperà di questioni po-litico-culturali, il secondo di quelle economiche.Il G20 si riunirà nel 2010 in Cana-da e in Corea del sud e nel 2011 in Francia. Il G8 comunque rimarrà un consesso ed un luogo politico di confronto tra i Grandi.Secondo Silvio Berlusconi il G8 re-sterà in vita perché unisce otto Paesi molto vicini per valori, tradizioni e principi, mentre nel G20 ci sono Paesi con altre tradizioni e altre ori-gini, come la Cina.L'obiettivo di Pittsburgh è quello di creare un framework, una cornice, per uno sviluppo forte e sostenibile. Un new deal per una crescita forte, sostenibile e bilanciata, che passa prima di tutto attraverso la trasfor-mazione del G20 in un forum per-manente, a livello di capi di Stato e di Governo, dove i Paesi verifi cano collettivamente l'implementazione e l'effi cacia delle misure di sostegno, che vengono introdotte dai singoli. Questo passaggio è molto impor-

tante perché rileva una modalità di considerazione delle politiche nazio-nali di singola adozione, ma il con-trollo delle medesime viene deman-dato al forum denominato G20. Si evidenzia, pertanto, un'attenzione particolare a quelle che sono le mi-sure di intervento che ogni Stato è libero di adottare sulla base delle proprie esigenze ma queste dovran-no rispettare le decisioni che di volta in volta il G20 assumerà in merito alle problematiche economiche. Un controllo collettivo delle politiche nazionali è un meccanismo che già è in essere nell'ambito dell'Ue, dove gli Stati membri hanno il diritto di poter assumere singolarmente deci-sioni di politica economica ma han-no l'obbligo di rispettare le decisioni prese all'interno della Commissione europea.Questo meccanismo di centraliz-zazione del controllo costituisce una governance necessaria perché garantisce il rispetto delle regole di mercato ma al contempo aumenta i costi di una burocrazia e di un iter legislativo che delle volte non è sempre suffi ciente circoscriverlo alle

decisioni nazionali. Queste, infatti, spesso sono oggetto di revisione e di controllo delle istituzioni inter-nazionali che dettano raccomanda-zioni e direttive in modo da armo-nizzare quanto prima la legislazione degli Stati membri.Ma oltre che ridefi nire il nuovo ruo-lo del G20, nel vertice di Pittsbrugh sono state prese diverse decisioni per riconfi gurare l'economia mon-diale sconvolta dalla crisi. Le prin-cipali sono:1. l'elevata disoccupazione che in molti Paesi appunto rimane inaccet-tabilmente alta, e le condizioni per una ripresa della domanda privata che ancora non ci sono. E' quanto si legge nel comunicato fi nale del G20 di Pittsburgh in cui i Grandi “si impegnano a una forte risposta politica fi no a quando non ci sarà una ripresa stabile”. Il presidente di turno Obama, ha invitato il suo se-gretario al Lavoro a organizzare en-tro il 2010 un meeting internazio-nale, insieme all'Ocse, per valutare l'evoluzione del mercato del lavoro.2. accordo del G20 per la revisione, di almeno il 5% delle quote di par-

tecipazione al Fondo monetario in-ternazionale a favore delle economie emergenti. Inoltre trasferisce il 3% del proprio diritto di voto all'inter-no della Banca mondiale.Il G20 si è impegnato a intensifi care gli sforzi in cooperazione con le altre parti, per raggiungere un accordo a Copenaghen, alla fi ne dell'anno, dove è in calendario il vertice sulle nuove regole contro l'eff etto serra. Per quanto riguarda il mercato cre-ditizio, le banche devono contribu-ire a stimolare la crescita nel breve periodo assicurando un regolare fl usso di credito a privati e imprese mentre nel lungo periodo devono raff orzare la propria base di capitale. Nel documento i leader ribadisco-no, inoltre gli obiettivi di maggiore trasparenza ed eticità del comparto fi nanziario onde evitare gli abusi degli ultimi anni.Gli stipendi dei manager saranno legati alle performance a lungo ter-mine. Non ci sarà l'imposizione di nessun tetto generalizzato sui bo-nus, ma le autorità dei diversi Paesi avranno il diritto di fi ssare limiti. Rivedere le politiche sui compensi

dei manager è essenziale nello sfor-zo per aumentare la stabilità fi nan-ziaria. Questa misura sicuramente contiene il margine di rischio di una forte instabilità, ma non risol-ve il problema di eventuali shock fi nanziari che potrebbero verifi carsi a seguito di forti speculazioni.Se da un lato, l'etica dei manager viene posta al centro dell'interven-to, dall'altro, l'estendere a lungo termine la misura del compenso legata alle performances signifi ca dar respiro alle aziende che avranno più tempo per monitorare e sem-mai prevenire, ma vuol dire anche indurle a politiche di investimento di lungo periodo abbattendo quel-le a breve. Non sempre le esigenze aziendali hanno questa tempistica. Inoltre, non è accettabile che la scor-rettezza deontologica dei manager debba imporre alle aziende tempi e modi di investimento. Il problema di fondo comunque rimane, anche se queste misure contribuiranno a stabilizzare il mercato.L'altro problema, legato all'esten-sione dell'orizzonte temporale di in-vestimento, è dato dalla diversa per-

centuale dei tassi di interesse. Nel lungo periodo potrebbero fl uttuare di più ed essere meno appetibili e meno redditizi, nel breve, invece, potrebbero avere un rendimento più controllato. Insomma, il proble-ma non è la misura del compenso ai manager il problema è etico, è di rispetto delle regole, occorrereb-be porre un tetto ai compensi, ma con l'obbligo di legge. Laddove c'è meno etica occorre maggior rigore e rigidità della norma.Il G20 condivide la necessità di combattere le speculazioni ed è pronto ad agire su diversi fronti anche per evitare le manipolazioni di mercato e contenere l'eccessiva volatilità dei prezzi.Si spera che il proliferarsi di nuo-ve piattaforme istituzionali possa contribuire a risolvere i problemi eff ettivi di un mercato fi nanziario troppe volte manipolato.Anche nel mercato ci sono delle regole da rispettare, ma se queste non vengono fatte rispettare con rigore gli eff etti negativi saranno presenti in Somalia così come in Groenlandia.

Pittsburgh: G8 per la politica e G20 per l'economia

Il 10 Ottobre 2009 a Zurigo è stato fi rmato lo storico accordo di normalizzazione dei rapporti tra Turchia e Armenia.L’accordo è storico perchè è sto-rico il confl itto tra i due paesi; fi no all’ultimo però ci sono state trattative tra la delegazione Usa e quella Armena a causa di non precisate diffi coltà; infatti la fi rma è stata rimandata di oltre 4 ore ri-spetto al previsto.Alla cerimonia hanno preso parte i due ministri degli esteri dei paesi in causa, il turco Ahmet Davuto-glu e l’armeno Edward Nalban-dian, il ministro degli esteri della confederazione Elvetica Miche-line Calmy-Rey, il segretario di Stato Usa Hillary Clinton, il mi-nistro degli esteri russo Serghiei Lavrov e quello francese Bernard

Kouchner.A rappresentare l’Europa sono stati chiamati lo sloveno Samuel Zbogar e il capo della diplomazia UE, Javier Solana.I protocolli però per entrare in vi-gore dovranno essere ratifi cati dai due Parlamenti; sebbene da en-trambe le parti ci sia una maggio-ranza favorevole, le opposizioni potrebbero far allungare i tempi. Il cuore del problema infatti è il genocidio armeno: Ankara non riconosce questo termine per indicare la sistematica uccisione di almeno un milione di armeni compiuta tra il 1915 e il 1917.Inoltre, più tardi, il confl itto del Nagorno-Karabakh ha raff orzato i cattivi rapporti tra i due stati: durante gli scontri, la Turchia, in appoggio agli Azeri, chiuse la

frontiera Armena.L’espressione Genocidio Armeno o anche l’Olocausto degli Arme-ni, si riferisce a due eventi distinti ma legati tra loro: il primo è ine-rente alla campagna anti armeni condotta dal sultano ottoma-no Abdul-Hamid II negli anni 1894-1896; il secondo episodio è legato alla loro deportazione e alla loro sistematica eliminazio-ne negli anni della prima guerra mondiale, dal 1915 al 1917. Bi-sogna dire che il termine genoci-dio è associato a maggior ragione a quest’ultimo fatto.Nel 1890 c’erano nell’Impero Ottomano almeno due milioni di Armeni in maggioranza cristiano-ortodossi. Questi nel processo di indipendenza erano sostenuti dai russi, i quali avevano interesse ad

indebolire la Turchia per annette-re dei territori ed eventualmente anche Costantinopoli.Per reprimere queste spinte au-tonomiste, l’impero ottomano fomentò tra i Curdi sentimenti di odio anti armeno.Tutto questo scatenò la rivolta, alla quale i Turchi, affi ancati da milizie curde, risposero assassi-nando migliaia di armeni e bru-ciando i villaggi.Due anni più tardi, per ottenere visibilità alla causa, alcuni rivo-luzionari occuparono la Banca Ottomana ad Istanbul e la reazio-ne fu un vero e proprio pogrom: almeno 50 mila armeni furono perseguiti e uccisi.Il secondo massacro armeno av-venne durante i primi anni della prima guerra mondiale.

Il nuovo governo dei “Giovani Turchi” temeva che gli armeni potessero allearsi con i russi, sto-rici nemici. Le precauzioni prese dal governo furono senza prece-denti: il 1909 registrò un elimi-nazione di almeno 30 mila per-sone nella regione della Cilicia. Qualche anno dopo nella notte tra il 23 e il 24 Aprile del 1915 iniziarono i primi arresti tra l’éli-te armena di Costantinopoli.In un mese, più di mille intellet-tuali, giornalisti, scrittori, poeti e delegati al Parlamento furono deportati verso l’interno della pe-nisola Anatolica e massacrati per le strade.I “Giovani Turchi” compirono sistematiche deportazioni e 1 milione e duecentomila perso-ne morirono di fame , malattia e sfi nimento. Altre centinaia di migliaia furono massacrate dai curdi e dall’esercito turco.Questo fu un genocidio.La Turchia però ancora oggi non vuole fare i conti col suo passato e si rifi uta di chiamare con questo termine appropriato l’uccisione di più di un milione di armeni.L’Unione Europea non vede assolutamente di buon occhio questa ostinazione e la mentalità contrastante è evidente: in Fran-cia una recente legge punisce con il carcere la negazione del genoci-dio armeno; mentre al contrario, la magistratura turca punisce con la reclusione fi no a tre anni chi nomina in pubblico l’esistenza di un genocidio armeno, perché gesto antipatriottico.Questa spaccatura, è uno dei mo-tivi che causa forti dubbi sull’en-trata in UE della Turchia.Nel modo più assoluto, accordi e protocolli non possono prescin-dere da chi non riconosce i pro-pri errori nella storia; senza que-sta certezza, il futuro che si vuole costruire non può essere oggetto di consenso.Il confl itto di Nagorno- Karaba-kh ha invece origini più recenti e riguarda la contesa di questo stesso territorio.Questa è una regione situata nel Caucaso meridionale e cir-condata interamente dallo stato dell’Azerbaijian; La popolazione

è per la maggior parte armena; le montagne invece, sono abitate dai curdi.Con la crisi dell’URSS, la locale popolazione cominciò a mobili-tarsi per riunirsi alla sua madre patria, l’Armenia appunto. Il 20 Febbraio dell’88 i deputati arme-ni del Consiglio Nazionale del Nagorno-Karabakh votarono in favore della riunifi cazione.Ma il 24 dello stesso mese, un confronto tra azeri e armeni sfo-ciò in uno scontro durissimo. In seguito, in poche ore, si scatenò un nuovo pogrom contro gli ar-meni della città di Sumgait.Il massacro andò avanti per tre giorni.Simili episodi si scatenarono anche contro gli azeri nelle città armene.Al crollo dell’Urss, sia l’Armenia che L’Azerbaijian si nominarono Repubbliche indipendenti e il confl itto per il controllo della re-gione divenne ancora più aspro. In tutto questo, la Turchia, con-cedeva aiuti alla seconda, contro il suo nemico storico.Le vittime di questo sanguinoso confl itto furono migliaia e mi-gliaia e i rifugiati da entrambe le parti raggiunsero la cifra di un milione circa.Tornando ad oggi, neanche 24 ore dopo la fi rma del trattato di Zurigo, il premier Erdogan ha posto delle condizioni per la riapertura della propria frontie-ra con l’Armenia, dichiarando che volontà della Turchia è che i problemi relativi al Nagorno-Karabakh e alle terre occupate vengano risolti per adottare con più serenità i protocolli di nor-malizzazione.La Turchia forse, invece di porre condizioni per l’accettazione dei protocolli di pace, dovrebbe for-se prima di tutto, normalizzare i suoi rapporti con se stessa e col suo passato, perché questi accor-di in teoria, dovrebbero porre già per certo che essa abbia imparato dalla storia una lezione di tol-leranza e apertura, cioè quanto serve per sviluppare rapporti du-raturi di politiche condivisibili e progetti futuri.

Ilaria Parpaglioni

La politica e l'economia sono i due motori per lo sviluppo

Armenia - Turchia: verso la normalizzazioneMa il genocidio armeno è un riconoscimento dovuto che ancora non arriva

Nobel per la pace 2009: solo chiacchiere e distintivoIl Nobel per la pace è probabil-mente la parte meno credibile di un premio che valuta campi molto diversi. Lunghissima è la lista di candidati e vincitori. Per fare due esempi su tutti su come vengano esaminati i candidati ed il loro operato si può ricordare la candidatura di Stalin, per aver contribuito alla fi ne della seconda guerra mondiale, e la mancata as-segnazione al Mahatma Gandhi.Quest'anno il comitato ha stabili-to che per avere un premio tanto prestigioso fosse suffi ciente avere una visione di un mondo miglio-re, in pace e non l'aver realizzato qualcosa.Questa non vuole essere una cri-tica ad un Presidente che, forse in buona fede, pensa di poter cam-biare il mondo con una strategia dialogante ma a coloro che hanno deciso di forzargli la mano dando-gli il Nobel per la pace, quanto-meno prematuramente.Le mani tese al mondo islami-co, quello integralista visto che nessuno si è mai sognato di fare guerre contro i moderati, l’ultimo trilaterale per la pace tra israeliani e palestinesi, il progetto nucleare iraniano, i rapporti con la Rus-sia, l’Iraq, l’Afghanistan nessuno

di questi punti, al momento, ha portato un successo.Un premio conferito per nulla di concretamente realizzato ma solo per aver dato un‘immagine nuova di organizzazione del potere dove tutto viene delegato ad oltranza alla diplomazia. Ci sarebbe anche da chiedersi se Obama avrebbe fatto le stesse cose se non avesse avuto la crisi economica da com-battere con i conseguenti forti ammanchi nelle risorse da desti-nare alla lotta al terrore e per la libertà dei popoli.Come è ovvio la guerra ha un costo infi nitamente superiore a quello della diplomazia e il so-spetto che parte di questa inno-vativa strategia non sia altro che un modo per far tornare i conti, in questo momento, è più che le-gittimo.E' divertente comunque annota-re che proprio mentre il comita-to per il Nobel stava decidendo, l'Amministrazione USA ha chie-sto lo stanziamento del denaro per la costruzione di ordigni per la distruzione di bunker fi no a 100 metri di profondità. Davvero poco conciliante con quanto av-venuto oggi anche se si tratta an-cora di un progetto senza alcuna

applicazione, ma anche il sogno di un mondo in pace senza armi nucleari è una pura teoria fondata su ben poche certezze e nessuna applicazione.Si diceva forzare la mano, si per-ché dovendo a questo punto con-quistare giorno per giorno il pre-mio già conferitogli, il Presidente Obama, secondo un progetto de-cisamente ambizioso del comitato svedese, dovrà tenere conto nelle sue valutazioni e conclusioni di portare già sul petto il distintivo della pace.Per quanto possa sorprendere, indignare, far sognare questo premio ha un fi ne preciso che si andrà a scontrare con l’aumento delle truppe in Afghanistan, con la trattativa sul nucleare e su tutte quelle decisioni che un Presiden-te di una super potenza (o quello che ne rimane) dovrà prendere per gestire l’equilibrio globale.Il mondo per il momento non è migliore rispetto a quando nes-suno conosceva Obama, e spesso speranze tradite possono peggio-rare la situazione.Ad oggi i successi di Obama non ci sono stati, stiamo solo a contare le grandi strette di mano, i sorrisoni clonati e tante, tante chiacchiere.

Per fare qualsiasi cosa serve il giu-sto tempo, tanto più per cambiare il mondo, non si pensi che basti un Presidente con le sue idee. Per questo come ne "gli intoccabili" siamo solo alle chiacchiere e al di-stintivo. La sostanza è un’altra: al mondo serve un padre che pren-da decisioni diffi cili senza dover guardare la targa di un premio per decidere cosa o come fare. Senza doversi sentire minimamente vin-colato da nulla se non da una vera, concreta strategia per limitare le minacce alla pace globale. Questo vuol dire sporcarsi le mani con il sangue di soldati e di persone che sono lì a fare parte di un gioco triste e smisuratamente ripetitivo nella storia dell’umanità.Questa umanità non può regge-re senza la confl ittualità e i pro-blemi demografi ci, energetici ed idrici-alimentari non faranno al-tro che riportare sulla terra quei parrucconi che, viene da pensare, hanno volontariamente danneg-giato l’immagine del Presidente Obama per poter rilanciare il loro prestigio. Vorranno poter dire un giorno “noi l’avevamo previsto”, il mondo lo spera, la storia proba-bilmente li correggerà.

Gabriele Polgar

Il conferimento del Premio a Obama dopo solo dieci mesi di mandato crea sconcerto

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La Piazza D’Italia - Attualità

Lodo Alfano: lo schiaff o della Consultalegislativo recependo quelle che erano state le indicazioni, espresse e tacite, della prima sentenza del 2004.Evidentemente l’interpreta-zione delle indicazioni tacite non è stata corretta così come non è stata preso in conside-razione l’eventuale e legittimo mutamento dei convincimenti all’interno della Corte di legit-timità costituzionale.Invero non di vera e propria immunità dovrebbe parlarsi con riferimento alle disposi-zioni sottoposte al vaglio del-la Corte, quantomeno non di immunità in senso sostanziale ma di immunità sotto un pro-fi lo procedurale.Il Lodo Alfano, così come già in modo ben più ampio il precedente Lodo Schifani,

prevedeva, infatti, la sospen-sione dalla data di assunzione e fi no alla cessazione della ca-rica o della funzione dei pro-cessi penali nei confronti del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato, di quello della Camera e del Pre-sidente del Consiglio dei Mi-nistri, sospensione applicabile anche ai processi penali per fatti antecedenti l’assunzione della carica.Orbene nella decisione presa due giorni orsono la Consulta ha ritenuto tale disposizione il-legittima sia da un punto di vi-sta sostanziale, perché lesiva di quel principio di eguaglianza sopra esposto, sia da un punto di vista formale, o meglio, di strumento utilizzato, nel caso di specie legge ordinaria e non costituzionale.

Le polemiche divampate, ben oltre i toni accettabili connessi alle funzioni esercitate, sono conseguenza di una errata, allo stato dei fatti, lettura degli appunti sollevati dalla Corte nella precedente decisione di cinque anni fa.Allora la Corte ritenne incosti-tuzionale il lodo Schifani sulla base di considerazioni stretta-mente riferibili alla eccessiva genericità della disposizione con conseguente lesività del principio di uguaglianza e del diritto di difesa. Si legge in quella sentenza come la so-spensione in esame fosse “ge-nerale, automatica e di durata non determinata” nonché tale da sottoporre l’imputato nella condizione di dover scegliere o bianco o nero, cioè, di decide-re o di rinunciare a difendersi

rimanendo in carica ovvero di doversi dimettere da un man-dato legittimamente conferito per potersi difendere dinanzi all’autorità giudiziaria. Altro profi lo riguardava poi la posi-zione dell’eventuale parte civi-le del processo penale nei con-fronti di una delle cariche che subiva una situazione di stallo con termine indeterminato.Tali profi li con il lodo Alfano sono stati considerati superati con una maggior attenzione alle conseguenze della scelta della sospensione del procedi-mento consentendo alla parte civile nelle “more” della carica di spostarsi dinanzi al giudice civile così come circoscrivendo, solo in parte, tale sospensione in termini meno generici.Orbene il problema sorto in questi giorni ed a fronte della nuova pronuncia della Con-sulta ha investito quei punti della sentenza del 2004 non direttamente toccati in quel-la sede. Nel 2004, infatti, la Corte si limitò a dichiarare l’incostituzionalità della di-sposizione non in relazione alla vesta giuridica necessaria per inserirla nell’ordinamento, se legge ordinaria o legge costi-tuzionale, né con riferimento alla natura della disposizione stessa, cioè, di immunità ma-scherata, ma solo contestando le modalità di applicazione di una tale disposizione.Ecco perché nella nuova deci-sione la Corte non si limita a sancire l’incostituzionalità con riferimento all’art. 3 della car-ta costituzionale ma lo estende anche all’art. 138 della stessa, all’articolo che disciplina lo

strumento necessario per inse-rire una particolare disposizio-ne nell’ordinamento.L’istituto dell’immunità non è certo sconosciuto al nostro or-

dinamento come in altri anche nel senso sostanziale ed assolu-to del termine, si pensi alla fi -gura del Sommo Pontefi ce o a quella della Regina nel Regno Unito, fi gure che per il ruolo e la loro funzione, storicamente collegate a ragioni religiose più che secolari, godono di parti-colari tutele. Così anche con riferimento invece ad “immu-nità” funzionali.Certo che tali istituti nascono dall’esigenza di bilanciare in-teressi altamente tutelati che sono poi niente altro che frut-to del bilanciamento necessa-rio tra i poteri di un sistema a più istituzioni autonome ed indipendenti. E’ chiaro che strumenti del genere non pos-

sono che essere adottati con strumenti idonei ed in assenza di qualsiasi possibile coinvol-gimento dei soggetti promoto-ri, quantomeno in termini di

tempo.Non è, quindi, uno scandalo che si pensi ad inserire una di-sposizione di sospensione dei processi penali nei confronti di coloro ai quali la collettività, direttamente od indirettamen-te, ha demandato le più alte funzioni pubbliche. Il proble-ma nasce con le modalità con le quali tali strumenti vengano inseriti. Si potrebbe ad esem-pio pensare alla necessità di promulgare disposizioni di tal fatta con effi cacia a decorrere dalla legislatura successiva li-mitando così, anche se solo in parte, l’esercizio strumentale della funzione legislativa del Parlamento.

Marcello Grande

E tre! Ottobre non è decisa-mente un mese fortunato per il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che ha visto prima sfi lare in piazza la solita compagnia di giro che prote-stava nei suoi confronti a cau-sa dell’ipotetico bavaglio da lui posto alla “libera” stampa italiana a motivo di un risarci-mento danni intentato contro la Repubblica per diff amazio-ne, poi subire la condanna di primo grado alla Fininvest da parte del tribunale civile di Milano nella causa milionaria contro la CIR di De Benedetti e dulcis in fundo - speriamo che per il Cavaliere sia questo l’ultima “mazzata” da ricevere - la Corte Costituzionale che dichiarava illegittimo il “lodo Alfano” che prevedeva lo stop dei processi penali contro le più alte cariche dello stato - Presidente della Repubblica, del Senato e della Camera ol-tre che per il primo ministro - per la durata dei loro rispettivi mandati.Insomma un vero e proprio at-tacco concentrico contro Ber-lusconi sferrato da più parti allo scopo di ridurre lo stesso ai minimi termini, dato che la via politica appare la meno percorribile per cercare di scal-

fi re l’ampio consenso popolare che il Cavaliere, nonostante tutto, mantiene intatto nel Paese.Ma andiamo per ordine.Quest’ultima “tempesta” au-tunnale ha antefatti che risal-gono alla scorsa primavera, allorquando, ricordiamolo, si era alla vigilia di una impor-tante tornata elettorale per le amministrative e per le elezio-ni Europee, l’ex Ministro degli Esteri Massimo D’Alema in un intervista pubblica aff ermò che l’opposizione di centro sinistra si sarebbe dovuta tenere pron-ta a formare un nuovo governo di “salute pubblica”poiché egli prevedeva delle “scosse” che avrebbero fatto cadere l’Esecu-tivo Berlusconi.Tempo qualche giorno - guar-da caso - ed ecco che scoppia prima il “Noemigate” e poi l’ancora attuale caso delle escort che l’imprenditore sa-nitario Tarantini procurò in occasione di feste private nel-le residenze del Presidente del Consiglio. A seguito di tali rivelazioni ad orologeria - che non ebbero alcun eff etto poli-tico immediato tanto che alle amministrative il centro destra sbaragliò nella quasi totalità dei casi i candidati della Si-

nistra e alle europee il Popo-lo delle Libertà confermò in sostanza i numeri delle scorse elezioni politiche mentre il PD uscì dalla competizione eletto-rale con le ossa rotte - si creò una vera e propria tempesta mediatica.Tempesta mediatica che vide protagonisti in prima fi la, ad attaccare e denunciare la pre-sunta immoralità del Primo Ministro, i giornali schierati - Repubblica, Corriere della Sera , La Stampa e i vari epi-goni esteri - e che culminò con il famigerato caso del direttore di Avvenire - Boff o - che fu costretto a dimettersi a causa della rivelazione da parte del Giornale - edito dal fratello di Berlusconi - della condanna che il tribunale di Perugia ave-va comminato al suddetto, per molestie nei confronti di una ragazza il cui fi danzato intrat-teneva una relazione omoses-suale col direttore dell’organo di stampa della Conferenza Episcopale Italiana che più degli altri si era distinto negli attacchi al Cavaliere.Passata l’estate sembrava qua-si essersi spenta l’eco di questi avvenimenti allorquando Ber-lusconi - invero consigliato non troppo bene dai suoi av-vocati - stancatosi dei continui scoop sulla sua vita privata, e delle famigerate dieci doman-de di Repubblica, annunciava di aver querelato per diff ama-zione la testata diretta da Ezio Mauro.Ed ecco che, apriti cielo, sono ricominciate le contumelie contro il Cavaliere, reo di at-tentare alla libertà di stam-pa - da parte dei soliti noti, dimentichi di quando erano D’Alema e Prodi a chiedere risarcimenti milionari rispet-tivamente a Forattini per una vignetta che ritraeva il Baffi no nazionale intento a sbianchet-tare alcuni nomi dalla lista dei sospetti appartenenti all’archi-vio Mithrokin, e al Giornale perché l’ex presidente dell’IRI si riteneva diff amato da una serie di articoli che gettavano luce sui fi nanziamenti erogati

dall’UE ad un istituto privato di consulenze - da lui stesso fondato anni orsono - quando il Professore era il presidente del consiglio d’Europa.Contumelie culminate con la manifestazione di piazza dello scorso 3 ottobre in cui i soliti - girotondini, grillini, dipietristi e sindacalizzati in libera uscita utili per gonfi are le presenze - denunciavano le angherie a cui secondo loro la libera stampa e i liberi mass media erano co-stretti a sopportare dal terribile “piduista” Berlusconi.Lo stesso giorno il tribunale ci-vile di Milano rendeva nota la sentenza con cui condannava la Fininvest a pagare 750 mi-lioni di Euro alla CIR, fi nan-ziaria della famiglia De Bene-detti, per il mancato acquisto da parte di quest’ultimo della totalità del gruppo Monda-dori, oltre 20 anni fa, a causa dell’intervento - ritenuto da una sentenza passata in giu-dicato penalmente scorretto - dell’ avvocato Previti all’epoca curatore degli aff ari della Fi-ninvest.Infi ne il colpo da far tremare le gambe a chiunque - eccetto Berlusconi - quello cioè della Corte costituzionale che ha af-fossato defi nitivamente, dopo qualche ora di discussione, il Lodo Alfano: nove giudici anno votato per la sua boccia-tura contro i sei che si sono di-chiarati favorevoli ad esso.Tale giudizio defi nitivo della suprema Corte ha dato la stura

ad un fuoco di fi la di dichiara-zioni di segno opposto prove-nienti dagli ambienti politici italiani.Berlusconi, dopo aver tuona-to contro i giornali e i giudici della consulta defi nendoli di sinistra, ha attaccato il Presi-dente Napolitano accusandolo di essere di parte ed dichiara-to con forza di voler comun-que essere determinato a non mollare il Governo sostenuto come è dai risultati fi n qui raggiunti e dal calore popolare che lo circonda.Per Gasparri, la Consulta con questa sua valutazione si è dimostrata essere una sezio-ne di partito e non una corte costituzionale. Calderoli inci-tava invece a cambiare diret-tamente la Costituzione, dopo che Bossi aveva annunciato la “Guerra” in caso di stop al fe-deralismo fi scale.Dall’altro canto Di Pietro an-nunciava di voler organizzare l’ennesima manifestazione per mandare a casa il Presiden-te del Consiglio e per indire dopo nuove elezioni, senza però dimenticare di attaccare duramente pure il Presidente Napolitano che il Lodo Alfano lo aveva dopotutto controfi r-mato.Dalle parti del Partito Demo-cratico invece si faceva vivo per primo D’Alema che di-chiarava che sarebbe sbagliato trarre conseguenze politiche da questa sentenza e che in democrazia i governi cadono

per mancanza di maggioran-za non per sentenze politiche. Chiaro il messaggio alla sua compagine : non c’è spazio al momento né per un governo del Presidente come auspicato da Rutelli qualche giorno fa perché il centro destra sembra essersi chiuso a riccio in difesa di Berlusconi e né bisogna sof-fi are sul fuoco delle polemiche che avvantaggerebbero solo Di Pietro e il suo partito. Per il resto nessuno dall’interno del PD ha richiesto le dimissioni del Primo Ministro, al massi-mo c’è stata solo qualche gene-rica parola in difesa di Napoli-tano e della Consulta.Fini e Casini si sono limitati a ribadire che il Governo era co-munque legittimato a portare avanti il proprio programma poiché erano stati gli Italiani a votare tale maggioranza e che nessuna sentenza avrebbe potuto alterare questo dato in-controvertibile.A parte l’Italia dei Valori quin-di i partiti maggiori sembrano marciare in “surplace”, stu-diando l’avversario: il PD in attesa che si conosca chi tra Bersani e Franceschini diventi nuovo segretario di partito e il Popolo delle Libertà che aspet-ta un raff orzamento del patto Fini-Berlusconi e - magari pure con l’UDC - in vista delle elezioni regionali della prossi-ma primavera che si prean-nunciano sin da adesso come un vero e proprio referendum pro o contro Berlusconi.

Bersaglio mobileLa Corte Costituzionale boccia il “lodo Alfano”

Dalla Prima

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La Piazza D’Italia - Approfondimenti

La riforma dell’UniversitàSe il risultato delle recenti tensioni nella maggioranza e il conseguente braccio di fer-ro tra Berlusconi e Tremonti avrà per davvero come risvol-to il rilancio del profi lo rifor-mista del Governo, allora la maggioranza potrà comincia-re a tirare un sospiro di sollie-vo e il suo elettorato sperare che questa legislatura non ri-manga l’ennesima occasione sprecata per modernizzare il Paese.La recente riforma dell’Uni-versità varata dal Consiglio dei Ministri stravolge l’asset-to delle Università italiane in favore di un modello me-ritocratico che toglie potere ai vari baronati, introduce elementi di competitività tra gli atenei, responsabilizza gli studenti e fi nanzia gli studi dei migliori.Una riforma “americana” che non entra in vigore tra quin-dici anni ma tra 180 giorni, se non lo faranno le Universi-tà avranno tre mesi di deroga, poi, però arriverà il commis-sariamento.Le Università dovranno ri-vedere i loro statuti, ridurre i membri presenti nei consi-gli di amministrazione e più in generale negli organi di governo e di rappresentanza delle accademie, snellirsi e

tagliare i rami secchi del bi-lancio.Il Ddl della Gelmini spinge alla riduzione delle facoltà inducendo alla “federazione” tra materie e istituti contigui, trasforma i contratti per ri-cercatore, in contratti a tem-po determinato, impedendo così che i fondi universitari diventino mezzi per scam-biarsi rendite vitalizie contro favori in ambito accademico e/o professionale, in barba alle necessità reali della ricerca.I contratti dei ricer-catori saranno i tre anni e rinnovabili solamente con se-lezioni pubbliche. Dopo il terzo anno lo studioso potrà essere chiamato dall'ateneo per un posto di docente.Obblighi anche per i professori che do-vranno fare 1.500 ore all’anno e che dovranno dedicarne almeno 350 alla di-dattica.Cambiano le moda-lità di elezione dei Rettori che saran-no eletti con voto ponderato dei soli docenti e potran-

no restare in carica al massi-mo otto anni, ma su questo aspetto già il capogruppo del PDL Maurizio Gasparri ha sollevato delle perplessità in pratica anticipando possibili emendamenti nella lettura parlamentare.Finalmente poi un sistema d’incentivi per gli studenti più meritevoli. Al Ministero dell'Economia sarà creato un fondo per il merito degli uni-

versitari che erogherà borse e buoni, era questo il capitolo della riforma che aveva cre-ato forti frizioni tra Giulio Tremonti e il suo partito che lo aveva accusato di riuscire sempre a trovare i soldi per i provvedimenti proposti dalla Lega e di porre invece sempre mille ostacoli ai colleghi del PDL.Tant’è, dopo il chiarimento politico con il Presidente del

Consiglio, la riforma è stata fi nalmente varata come an-che è stato stabilito che per accedere ai prestiti per gli studenti e alle borse di studio bisognerà partecipare a dei test nazionali. I fondi saranno anche disponibili per mante-nersi negli studi, ma per non perdere il diritto gli studenti dovranno essere in regola con gli esami.Nel provvedimento si preve-

de anche un sistema di incentivi per gli atenei migliori, il raff orza-mento della valutazio-ne anche sulle politi-che di reclutamento.Novità infi ne con l’in-troduzione della va-lutazione dei docenti e con il blocco degli scatti dello stipendio per i professori, che saranno reclutati se-condo regole più certe e stringenti: l'abilita-zione nazionale avrà durata quadriennale e ad assegnarla sarà una commissione sorteg-giata tra esperti nazio-nali e internazionali sulla base delle pub-blicazioni.Gli abilitati potranno partecipare ai concorsi di ateneo su cui do-

vranno pesare nel punteggio, titoli e curriculum.Insomma una rivoluzione co-pernicana, una riforma di cui da anni si parlava senza essere mai riusciti ad andare oltre le parole.La notizia del varo della rifor-ma ha provocato l’immediata agitazione dei gruppi studen-teschi della sinistra italiana, ma come auspicabile ha in-contrato il favore disinteres-sato degli addetti ai lavori.Una riforma universitaria ap-provata secondo queste linee direttrici rappresenta una ri-sposta fondamentale per assi-curare nel medio e nel lungo termine una riqualifi cazione professionale della futura classe dirigente italiana che rappresenta un primo fonda-mentale passo per tornare sui binari della crescita economi-ca.Se mettiamo insieme la visio-ne prospettica della riforma universitaria, con i provve-dimenti già varati in materia di scuola materna e primaria, ispirati al ritorno del maestro unico e ad una visione tradi-zionale della scuola italiana dopo i disastri del sessantot-tismo, il giudizio sull’operato del Ministro dell’Istruzione Gelmini non può che essere decisamente positivo.

“Ci sono stati, e potranno es-serci, grandi singoli pensatori in una generale atmosfera di schiavitù mentale. Ma in una simile atmosfera non c’è mai stato, né mai ci sarà, un popo-lo intellettualmente attivo. Là dove esiste un tacito accordo per cui i principi non devo-no essere messi in dubbio, là dove la discussione sui pro-blemi più rilevanti dell’uma-nità è da considerarsi chiusa, non possiamo sperare di tro-vare quel livello generalmente alto di attività mentale che ha reso così straordinari alcuni periodi della storia. In nessun caso, quando la discussione ha eluso argomenti così vasti e importanti da suscitare en-tusiasmo, l’intelligenza di un popolo è stata stimolata nel-le sue radici o le è stato dato quell’impulso che porta anche le persone intellettualmente meno dotate a partecipare in qualche modo alla dignità di essere pensante” (“Sulla liber-tà”; J.S. Mill; pag. 119).John Stuart Mill scrive “Sul-la Libertà” nel 1859 e in un capitolo preciso prende in considerazione la problemati-ca della libertà di pensiero, di opinione e di discussione.Questa lezione s’inserisce in un contesto italiano in cui il rischio di un'assuefazione è molto alto nei confronti della gestione della “Res Publica”.E’ auspicabile dice Mill, che sia passato il tempo in cui era necessaria la difesa della liber-

tà di stampa come una delle garanzie fondamentali del buon funzionamento della politica.Per prima cosa infatti, bisogna sempre pensare che l’opinio-ne che eventualmente si cerca di tacitare possa essere vera. Quindi, non permettere che su di essa si discuta, equivar-rebbe a negare a priori la sua verità. Così facendo, si pone l’impossibilità ad ogni altro di giudicare.Rifi utare di prestare ascolto ad un’opinione perché sicuri

che sia falsa, equivale a pre-supporre che la propria cer-tezza sia una realtà assoluta e ciò costituisce una pretesa di infallibilità.Ma la tendenza generale de-gli uomini è sfortunatamente quella di considerare in tal modo il proprio mondo, il quale invece è fallibilissimo tanto quanto il singolo indi-viduo.Proporzionalmente alla man-canza di fi ducia nel proprio giudizio individuale, ci si basa solitamente con fede implici-

ta, sulla giustezza del mondo in generale. Ma con quest’ul-timo si intende la parte di esso con cui si entra in contatto: il partito politico, la setta, la chiesa, la classe sociale. Quin-di il mondo risulta essere tan-to vasto quanto il proprio pa-ese o la propria epoca.Non c’è bisogno neanche di tirar fuori una teoria parti-colare per dimostrare che le epoche non sono più infalli-bili degli individui e che solo il puro caso ha determina-to quale mondo sia oggetto della fi ducia personale di un uomo.Bisogna sottolineare in realtà, che la libertà di poter confu-tare la propria opinione, è la condizione fondamentale per supporre la verità della stessa, in vista dell’azione.Questa, è a parere di Mill, l’unica via per un essere uma-no di assicurarsi razionalmen-te di essere nel giusto.L’uomo ha una qualità men-tale straordinaria, la capacità di correggere i propri errori. Questo può accadere solo però attraverso la discussione e l’esperienza. La prima è fon-damentale perché serve ad in-dicare come la seconda debba essere interpretata.La costante abitudine a com-pletare le proprie opinioni confrontandole con quelle degli altri, costituisce l’unico fondamento per una giusta fi ducia in esse. Le obiezioni e le diffi coltà non devono es-

sere evitate.Questa è l’unica via che per-mette ad un essere fallibile di conseguire una data certezza.Per cui è assai strano, com-menta Mill, quando si nota che sebbene una materia, una dottrina o dei principi par-ticolari siano assolutamente suscettibili di dubbio e quindi aperti per natura ad una libera discussione, vengano invece esclusi dalla critica in quanto certi o giudicati tali da chi li sostiene.“Nell’epoca presente- un’epo-ca che è stata descritta come priva di fede, ma terrorizzata dallo scetticismo” (pag.87), le pretese di un’opinione ad essere preservata da attacchi pubblici, non si basano tanto sulla sua verità, quanto piut-tosto sulla sua rilevanza per la società.Pare ci siano, riporta Mill, particolari credenze ritenute così utili o addirittura indi-spensabili al benessere di tutti che è dovere del governo so-stenerle negli stessi termini in cui si protegge ogni altro inte-resse per la comunità.Questo modo di pensare por-ta con sé che la giustifi cazione dei limiti imposti alla discus-sione diventi una questione non di verità, bensì di utilità delle dottrine.Ma è evidente che il porre in essere l’utilità di una opinione è già materia di discussione e di conseguenza bisognosa di dibattito come tutte le altre

alternative.In questo caso, coloro che so-stengono la non necessità di un dibattimento, non si ren-dono conto che la pretesa di infallibilità viene solo trasfe-rita da un punto all’altro con relativo alleggerimento delle coscienze.Purtroppo,non sono solo le menti degli “eretici” a venire maggiormente danneggiate dalla messa al bando di ogni indagine speculativa che non si concluda con esiti confor-mi all’ortodossia: il danno più grande lo ricevono coloro i quali non sono eretici e il cui pieno sviluppo mentale viene così bloccato.La verità non guadagna nulla da chi accetta delle opinioni solo per togliersi il disturbo di pensare.Inoltre, l’assenza di un dibatti-to pubblico provoca l’incono-scibilità dei fondamenti della materia di cui si sta parlando e fi nisce che ci si scorda anche del suo stesso signifi cato.Le parole che la esprimono e la indicano non suggeriscono più immagini mentali e idee.Si provoca invece un male in-tellettuale quando la mancan-za di una libera discussione ha lo scopo di lasciare gli uomini nell’ignoranza dei fondamenti di un’opinione in esame.Per tutto questo, lasciamo che l’oscurantismo sia una prati-ca e un atteggiamento da cui trarre lezione, non una fase da riesumare.

Sulla libertà di discussione e di pensiero

John Stuart Mill

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La Piazza D’Italia - Approfondimenti

Giornata dell'informazione: una rifl essione

Il dilemma della politica estera italiana

La cerimonia al Colle off re lo spunto per alcune considera-zioni sulla salute dell'informa-zione nel nostro Paese.L'antefatto: Obama dichiara guerra a Fox, Berlusconi (qua-si) al Gruppo L'Espresso e agli affi liati. Curioso parallelismo per due personaggi che in casa loro dividono nettamente i sostenitori e i detrattori. La diff erenza viene marcata inve-ce dall'alone di santità che il Presidente USA ha generato su di se agli occhi di tutto il

resto del mondo occidentale. Cosa che invece non è riuscita al nostro Presidente del Con-siglio per vari motivi più o meno importanti, più o meno contestabili.All'occhio salta subito un di-verso approccio della stampa alle due questioni. Il problema di fondo è che nella sostanza le due si assomigliano molto ma perché allora nessuno ha ritenuto opportuno gridare all'emergenza per la libertà di informazione in USA? Per

quale motivo i media italiani che attaccano continuamente il Premier italiano non hanno fatto lo stesso con Obama?Allora è vero che il problema della libertà di stampa in Italia (come forse anche all'estero) è più che altro alimentato dai mezzi di informazione stessi facendo della faziosità la loro bandiera, qualsiasi essa sia.E' evidente che pretendere una stampa totalmente indi-pendente sarebbe assurdo ma quello che è il contesto in Ita-

lia è allarmante.E' vero che Obama nella fatti-specie non ha querelato gior-nali o TV cosa che Berlusconi (inopportunamente) ha fatto, ma la risonanza data alle azio-ni dei due non può essere così diff erente.Cosa sarebbe successo se Ber-lusconi avesse deciso di far escludere dai briefi ng con la stampa i giornalisti del Grup-po di De Benedetti? E se avesse fatto annunciare dal portavoce di turno una dichiarazione di ostilità ad un media avverso come ha fatto l'amministra-zione americana nei confronti della Fox di Murdoch?Fiumi di persone sarebbero state “trascinate“ in strada dai soliti noti paladini della libertà, l'Italia sarebbe precipitata nel-le autorevolissime classifi che dei Paesi liberi, probabilmen-te superata dall'Iran e dalla Cina, Berlusconi sarebbe stato diffi dato dalle Nazioni Unite, Chavez gli avrebbe fatto una telefonata di solidarietà.L'isterismo sitematico che ge-nera l'amore viscerale per un Presidente, che ancora deve

dimostrare cosa è capace di realizzare della sua nuova vi-sione del mondo, e l'accani-mento che investe un altro leader, controverso si ma co-munque eccessivamente sotto i rifl ettori inquisitori, anche di Paesi estranei alla sua area di infl uenza (ad esempio In-ghilterra e Spagna), rendono lecito interrogarsi su cosa re-almente debba intendersi per libera informazione, perché estremizzare comportamenti in un modo o nell'altro non fa che generare (o almeno do-vrebbe) sospetti pesanti su ciò che realmente muove i cavalie-rei bianchi delle nostre libertà che fi niscono per raccontarci la verità, sì, ma la loro.In chi scrive si sta facendo strada un sentimento di diffi -denza per tutto quanto viene raccontato in televisione e sui principali giornali nazionali, uno strano incancrenirsi di ipotesi cospirative non verso il bersaglio di turno, di destra o di sinistra che sia, ma verso il popolo bue spinto a ragio-nare secondo schemi imposti da qualcuno che tesse una rete

di parole e disegna quadri alle volte piuttosto "astratti" e vi-sioni parziali mascherate da vasti panorami.Non si accorge, chi sta per-petrando tutto questo, che la sfi ducia nell'informazione è la prima crepa che si vede nel rap-porto dei cittadini con la de-mocrazia e con il sistema di cui fanno parte volenti o nolenti.C'è da sperare che qualcosa cambi, che il nostro diventi un Paese democraticamente maturo in cui i fatti non ven-gono confusi con le opinioni da chi li racconta. Un Primo passo questo verso un aff ran-camento anche nei confronti di quei signori che dall'ester-no si cimentano nel dileggiare un popolo che, pur vivendoci, riesce con diffi coltà ad osser-vare la situazione complessa del suo Paese, perso com'è nelle brume di un tutti contro tutti disorientante, ma non per questo dovrebbe accettare prono bacchettature e letture superfi ciali mal documentate di una stampa presuntamente grande e libera.

Gabriele Polgar

La storia della politica estera italiana è un susseguirsi di vor-rei ma non posso, di un’idea di voler praticare una politi-ca estera di grande o almeno media potenza regionale, sen-za sapersi prendere le dovute responsabilità, senza investire adeguatamente sulle infra-strutture diplomatiche, mili-tari, economiche e politiche necessarie perché tale ambi-zione si traduca in comporta-menti coerenti tali da trovare un riconoscimento di fatto nei nostri partner strategici.L’aff ermazione non è soltan-to vera per il nostro passato recente ma a ben vedere è un leit motive che lo Stato italia-no si porta dietro già a parti-re dalla sua nascita o meglio prima ancora della sua na-scita: come catalogare l’ansia cavouriana di partecipare alla pre-risorgimentale spedizione in Crimea.Lo schema della guerra di Cri-mea fu però un esempio fortu-nato e se vogliamo necessario, riuscì infatti nell’obiettivo di porre il piccolo Stato piemon-tese a pieno titolo dentro quel gioco degli Stati europei otto-centeschi laddove solamente la questione italiana avrebbe potuto essere sollevata e con-tribuì in modo determinante al successo della tessitura di quella complessa rete di al-leanze ed omissioni che con-sentirono il clima favorevole al compimento del processo risorgimentale.Ma lo stesso schema fu invece perseguito con minor successo in altre missioni diplomatiche e militari come nelle intese che portarono all’impegno bellico nella Grande Guerra, cui partecipammo solo in un secondo momento e con idee apertamente speculatrici più che per una maturata con-

vinzione politica. Il risultato notoriamente fu una contro-versa e drammatica condotta militare che pesò nella divi-sione del “bottino” di guerra allorché ci fu negata la sponda del Dodecaneso promessa e la posizione italiana nel tratta-to di Versailles fi nì per essere derubricata ad incombenza di secondo piano, ponendosi così le basi, nonostante tutto il sangue versato sull’Isonzo, per la frustrazione e la rabbia nei confronti dei paesi “amici” che doveva poi costituire uno dei fattori e neanche dei più trascurabili per la nascita pri-ma del movimento e poi del partito nazionale fascista.Non fu molto distante da questa voglia di contare molto impegnandosi poco, lo spirito con cui il Governo Berlusco-ni nel 2003 appoggiò i piani di G.W. Bush in Iraq, scen-dendo al fi anco di USA e UK per “pacifi care” la provincia di Nassirya, direttamente po-sta sotto il Governatorato di Roma. L’Italia infatti vi parte-cipò, ma solo a operazioni di invasione concluse e con mol-ti distinguo di fondo.Né lo fu l’entusiasmo con cui il Governo Prodi si avocò il comando dell’operazione Unifi l nel teatro del Libano meridionale all’indomani del-la fi ne della guerra tra Israele e le milizie di Hezbollah. In fi n dei conti a contendere lo scettro di arbitro senza capaci-tà reale di infl uenza sul teatro degli scontri ancora oggi resta solamente la Spagna zapateri-sta del politicamente corretto: dov’è l’impegno e il prestigio oltre la spesa (ancora oggi la missione Unifi l è la più cara pagata dai contribuenti ita-liani con un costo che sfi ora i 387 mln di Euro annui (Fon-te: Testo coordinato del decre-

to-legge 31 gennaio 2007, n. 4)?Ma va dato atto ai Governi Berlusconi che, a diff erenza delle nostre precedenti espe-rienze diplomatiche, l’Italia ha saputo dimostrare ai propria alleati di poter cominciare ad essere considerato un Paese capace di prendersi le proprie responsabilità e per il prezzo di sangue pagato e per i rischi di terrorismo patiti in questi anni (vedi il recente tentativo di strage alla caserma di Mi-lano), non da ultimo anche per la capacità riconosciuta ai nostri militari di sapere tenere unito il tessuto civile nei teatri che si sono trovati a dover pa-cifi care, infi ne per aver saputo tenere con successo il coman-do anche in scacchieri diffi cili come quello afghano: qualcosa di impensabile solo pensando agli anni ‘90 quando gli ame-ricani dopo la nostra contro-versa missione in Somalia ci tacciarono apertamente come inaffi dabili.Allora perché fatichiamo così tanto a raggiungere obietti-vi anche meno impegnativi come la incasellatura di nomi-ne in posizioni strategiche si-gnifi cative non solo all’interno di organismi globali ma anche all’interno dell’Unione Eu-ropea? E perché questo scet-ticismo e le critiche neanche tanto velate per i risultati della nostra diplomazia?Una risposta è senz’altro nel-la nostra scarsa capacità di promuovere i nostri interessi all’interno della trimurti che muove il Governo europeo: con Francia, Germania e UK abbiamo da sempre oggetti-ve diffi coltà poiché per i pri-mi siamo semplicemente un mercato, per i secondi dei clienti e per i terzi un fasti-dioso concorrente. Negli anni

della Guerra in Iraq, il gioco era ben più facile, gli USA di Bush consideravano Francia e Germania, la “Vecchia Euro-pa” e le posizioni di Chirac e Schroeder isolarono quei Paesi permettendo all’Italia di tesse-re interessanti rapporti con l’est europeo (la Repubblica Ceca di Topolanek), con la Li-bia di Gheddafi e last but not least con la Russia di Putin.Le ultime due trame hanno portato i frutti di intese come i recenti accordi con Tripoli che assicurano alla nostra compa-gnia di bandiera petrolifera una posizione di vantaggio su riserve sotto-sfruttate che si prevede nei prossimi decenni diverranno strategiche per l’ap-provvigionamento energetico del continente europeo, con la Russia si sono sottoscritti ac-cordi capaci di far defenestra-re l’ambasciatore americano Spogli, in pratica sabotando di fatto il gas-stream Nabucco in favore di un ulteriore sbocco da sud per il gas russo e con l’evidente indebolimento del confi ne ucraino e quindi della deterrenza USA nella capacità

d’infl uenza di Mosca sul vec-chio continente.Washington non ha fatto altro che entrare nel club di Parigi, Berlino e Londra, tutto ciò in un momento in cui gli eff etti dei rapporti di forza interna-zionali dopo la crisi, devono evidentemente ancora conso-lidarsi. In un quadro simile, avendo compiuto – a torto o a ragione – dei passi espliciti verso una visione del futu-ro prossimo evidentemente antitetica al club di sopra, diventa diffi cile pensare di es-sere accolti a braccia aperte, di vedersi spalancate le porte ad incarichi globali o europei.Né appunto, e per il noto peso del debito pubblico e per la capacità di sopportazione dell’opinione pubblica, è dato pensare alla programmazione di una sovraesposizione mili-tare su qualche teatro militare (leggi Afghanistan) che possa bilanciare la rabbia USA.Ecco che a parere di chi scrive non si comprendono le criti-che e le lamentele di tanti os-servatori, a meno che queste non debbano essere ascritte

nel nostro consolidato costu-me del piangersi addosso ov-vero nel gioco al massacro che tanto ci piace.E a meno che non si ritenga più utile della realizzazione di un disegno di alleggerimento della nostra dipendenza ener-getica nei confronti dei soliti noti, qualche nomina nel Par-lamento europeo.Siamo convinti che con un bi-lancio dello Stato che punti a risalire la china dell’ottavo po-sto mondiale per spesa milita-re (appaiati alla Arabia Saudita e distante quasi del doppio la nostra da quella francese), un debito pubblico sgravato da riforme strutturali ineludibili (eppure ancora inevase) e il perfezionamento delle intese libiche e russe, la voce italiana nel medio periodo fi nirà per contare qualcosa di più.Un risultato senz’altro più prestigioso che ottenere ma-gari presidenze in organismi pletorici rinomatamente ot-tenute per grazia ricevuta dai nostri ingombranti partner continentali.

Giampiero Ricci

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La Piazza D’Italia - Attualità

La carrese di San PardoTra le feste devozionali quel-la di San Pardo è considera-ta una delle più belle che si celebrano nella Penisola. Per la rappresentazione vengo-no allestiti circa 130 carri; come tradizione comanda, essi sono, per l’occasione, preziosamente addobbati e coloratamente ricoperti di fiori, trainati da pecore, vi-telli, mucche e buoi.“Lodiam l'alto Signore, Che a Pardo Protettore” recita un verso dell’Inno dedicato

a San Pardo. Ma chi era questo Santo? Egli fu Vescovo del Pelo-ponneso, perseguitato si rifugiò da prima nella Ca-pitale, per poi, ritirarsi in preghiera, nella cittadina di Lucera (un tempo Apulia). Nel passaggio, tra il Lazio e l’Abruzzo, San Pardo sostò tre anni a Larino, dove pro-fuse il Vangelo. Durante i tre giorni dediti alla celebrazione (che van-no dal 25 al 27 maggio di

ogni anno), Larino ricorda il martirio subito anche da Primiano, Firmiano e Casto che furono uccisi nell’Anfi-teatro del paesino molisano, i cui resti, ancora oggi, si possono ammirare. Questa era l’epoca in cui i cristiani fuggivano perché perseguitati. Nell’anno 842, Larino fu invasa dai sarace-ni e distrutta, costringendo i suoi abitanti alla fuga; al loro ritorno si accorsero che le reliquie dei tre santi

erano state rubate dai lesi-nati (cittadini pugliesi); i larinesi si organizzarono per riappropriarsi delle spoglie di Primiano, Firmiano e Casto partendo alla volta di Lesina. Giunti sul posto si trovaro-no di fronte il sepolcro di San Pardo; i larinesi con-siderarono il ritrovamento del corpo come un segno divino. Così caricano le sue spoglie su di un carro agri-colo che ornarono con tanti

bei fiori e lo riportarono a Larino il 26 maggio 842, declamandolo santo patro-no del pae-se. D’allora la tradizione continua.Durante la celebrazione, ogni pome-riggio del 25 maggio, tutti i carri si radu-nano nel cen-tro storico e la processione si avvia a prele-vare l’effige di San Primiano per accompa-gnarlo poi a San Pardo.

In un paesaggio rurale come quello molisano, nei tre giorni di festa devozionale, i carri vengono tirati fuo-ri dalle cantine per essere sottoposti a manutenzione prima e addobbati poi dalle donne di ogni famiglia. Sono due i tipi di carri adot-tati durante la celebrazione, uno detto “a capanna”, il più antico, e l’altro, più recente, detto “trionfale” il cui aspetto ricorda molto le chiese gotiche. In ogni caso, sono carri che si avvalgono ancora di forza motrice con buoi che li trai-nano, non viene applicato nessun congegno meccanico o addirittura elettronico. Si va indietro nel tempo!Perché l’intera comunità larinese sia pronta per la sfilata dei carri tanto attesa, occorre che le famiglie la-vorino durante il lungo in-verno; le donne si occupano della decorazione degli stes-si, si dedicano alla realizza-zione di fiori (avvalendosi di fil di ferro e carta crespa) ma anche alla scelta di piz-zi, coccarde, nastri e stoffe finemente decorate. Anche la base dei carri, se non co-perta da drappeggi, lascia intravedere lavori artistici di pittura decorativa e di intaglio sul legno, opera di

artigiani locali.Ovviamente se vi è un car-ro deve esserci necessaria-mente un carriere, figura principale attorno alla quale ruota tutta la Carrese di San Pardo. Ogni famiglia o gruppo di persone proprietarie del carro decide, di volta in vol-ta, i colori ed i tipi di fiori che andranno ad abbellire il proprio calesse. L'’obiettivo è quello di realizzare il carro più bello! E la comunità in competizione dando libe-ro svolgo alla creatività più raffinata e alla fantasia più colorata.Nella celebrazione si pos-sono notare vari simboli del mese di maggio; il più evidente è la presenza dell’ "albero di maggio”, rappre-sentato da un grosso ramo di ulivo che, solo per il giorno 26, viene issato sui carri arricchito di prodotti caseari.Il mattino del 27 maggio, dei colpi di fuochi d’artifi-cio preannunciano che San Pardo sarà riportato nella sua chiesa, mentre San Pri-miano ritornerà nella sua cappella, in una festa molto sentita tra colori e simboli all'interno delle strade e dei vicoli di Larino.

Alice Lupi

Quanto fanno quaranta anni in unità di tempo tecnologi-ca?Sarebbe interessante che qual-che scienziato si dedicasse a defi nire l'equivalente di un anno di un uomo nell'evo-luzione tecnologica che ci ha investito, come nel rapporto 1:7 uomo-cane.Molte cose erano diverse qua-rant'anni fa ma spesso dimen-tichiamo che le cose cambiate nella maggior parte dei casi lo sono state per via di un'in-novazione tecnologica che ha profondamente penetrato le nostre vite.Un tempo le ipotesi più fan-tasiose ed assurde facevano parte della fantascienza, ora l'immaginario ha ceduto il posto alla defi nizione di un lasso di tempo, non importa quanto lungo sia, che deve passare tra l'idea ed una sua realizzazione.Si è diff usa la consapevolezza, spesso eccessivamente ottimi-stica, che prima o poi anche l'assurdo può prendere for-ma.Il 29 ottobre del 1969 il professor Leonard Kleinrock inviò un messaggio ad un nodo di rete distante 500 km (l'unico presente al tempo), il primo tentativo fu un succes-so a metà: la parola "login" fu inviata parzialmente per un problema tecnico ma dopo

un'ora la cosa riuscì com-pletamente. Pensare a queste micro operazioni rispetto alla moltitudine di dati che invia-mo, anche involontariamen-te, dai nostri terminali oggi, fa un po' tenerezza.Cerchiamo di immaginare, negli USA del 1969, cosa po-teva esserci nella testa di que-gli scienziati illuminati che in piena guerra fredda, per con-to del Dipartimento della Di-fesa, quando le super potenze si misuravano non solo con le armi nucleari ma anche con la tecnologia, riuscirono a col-legare i computer di quattro centri, l'Università della Ca-lifornia di Los Angeles, l'SRI di Stanford, l'Università della California di Santa Barbara e l'Università dello Utah, fa-cendo nascere Arpanet.Qualcuno avrebbe potuto so-gnare che il mondo, miliardi di persone, si sarebbe potuto unire o distruggere dietro un monitor e decine di miliardi di pagine? Probabilmente no, anche se la letteratura aveva già aff rontato le questioni ma, come si diceva prima, un libro rimaneva un libro e diffi cilmente sarebbe stato il precursore di un manuale di istruzioni per il mondo glo-balizzato di oggi.Per la verità l'idea di creare una rete continentale Jo-seph C.R. Licklider l'ebbe

all'inizio del 1963, ma solo dopo oltre sei anni la cosa si materializzò. La velocità di trasmissione era di 50 Kbps, oggi chiunque accede a con-nessioni di 7,2 Mbps con il proprio cellulare, quasi 150 volte più veloce.Arpanet crebbe con il colle-gamento anche oltre oceano con altre strutture e passo dopo passo ha cominciato ad assomigliare alla rete che uti-lizziamo tutti i giorni senza farci troppe domande, dan-dola per scontata nella nostra quotidianità.Nel 1976 le email erano già utilizzate dagli addetti ai la-vori, nel 1978 ci fu il primo caso di SPAM (defi nito così nel 1993 da uno sketch dei Monthy Pyton), nel 1979 vennero creati gli emoticons con l'obiettivo di abbrevia-re lo scritto per descrivere il proprio stato d'animo e quin-di rendere più effi ciente la trasmissione.Nel 1983 è il cinema a trat-tare l'argomento con il fi lm War Games che ha aff ascina-to gli spettatori collegando l'innovazione dei personal computer con la paura nucle-are di quegli anni e per i po-tenziali scenari che potevano derivare da un utilizzo diff uso dei computer in rete.Bisogna comunque attendere il 1991 per intravedere inter-

net come la conosciamo oggi: al CERN Tim Berners-Lee defi nì il protocollo HTTP che utilizziamo.I browsers che oggi usiamo sono fi gli di Mosaic che nel 1993 ha sempifi cato l'espe-rienza di navigazione supe-rando altri protocolli di con-sutazione come FTP, Usenet e Gopher e favorendo lo svilup-po della rete fuori da contesti accademici e aziendali.La nostra vita è stata investita da internet, un mezzo di cui ancora oggi non si comprende

la vera potenza, e grazie a que-gli scienziati visionari (come anche Vinton Cerf ) ora la conoscenza è alla portata di tutti, comunicare è diventato l'atto di libertà più importan-te (come hanno dimostrato i ragazzi iraniani durante le manifestazioni contro il re-gime), abbiamo la possibilità di consultare giornali, cerca-re notizie vecchie di decenni, leggere libri, vedere in diretta avvenimenti, comprare e ven-dere cose, lavorare, conoscersi e ritrovarsi.

La rete è la trasposizione elet-tronica dei nostri occhi che possono guardare il mondo senza che ci venga necessa-riamente raccontato. Questo, forse, ha tolto molto alla nostra fantasia ma ci ha resi partecipi di un qualcosa che prima era in mano a pochi uomini che agivano indisturbati.Farne un uso consapevole è la cosa più diffi cile ma "da un grande potere derivano gran-di responsabilità" e questo nell'era di internet riguarda ognuno di noi.

Ottobre 1969: Arpanet la madre di InternetLa genesi di ciò che defi nisce la modernità del nostro tempo

Il Molise è una delle regioni d’Italia che custodisce meglio le tradizioni e il folklore