1-15/16-28 febbraio 2010 - Anno XLV - NN. 73 - 74 - Ai blocchi di partenza

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Alle ore 12 del 27 febbraio è finalmente scattata ufficial- mente - tra le solite polemiche - la corsa “elettorale” che vedrà coinvolti decine di candidati di ogni partito e che terminerà i prossimi 28 e 29 marzo allor- quando all’apertura delle urne gli abitanti di tredici regio- ni italiane conosceranno chi li amministrerà per i prossimi cinque anni. Facciamo quindi un rapido giro d’orizzonte che aiuti il lettore a determinare meglio il quadro d’insieme riguardo i candidati e le alleanze elettora- li che si affronteranno regione per regione. Iniziamo dal Nord Italia dove si vota in Liguria, Piemonte, Lombardia e Veneto. In Liguria ci sarà la riedizione della sfida di cinque anni fa - alla faccia del rinnovamento della politica - tra Burlando (PD) e Biasotti (PdL) che vide il primo sopravanzare il secondo di quasi 60 mila voti: all’ombra della “lanter- na” il Partito Democratico sarà appoggiato nella sua corsa alla riconferma del proprio candidato Governatore anche dall’Udc di Casini. Udc che si schiera a fianco della sinistra e del PD pure in Piemonte dove la Governatrice uscente - Mercedes Bresso - cerca la riconferma dell’elezione ottenuta 5 anni fa ai danni di Enzo Ghigo, contro Roberto Cota in forza alla Lega di Bossi. Per la conquista del “Pirellone” si affrontano invece il favori- tissimo Roberto Formigoni, plenipotenziario di Berlusconi all’ombra della Madonnina, e l’ex presidente Democratico della Provincia di Milano - fre- sco di “trombatura” avvenuta non più tardi del giugno 2009 - Filippo Penati. In questa regio- ne il partito di Casini correrà da sola sostenendo l’ex sindacalista Cisl Savino Pezzotta. In Veneto invece, dopo la defe- nestrazione di Galan cui forse sarà riservato un posto ripara- tore in Consiglio dei Ministri, ci sarà la sfida tra l’attuale mini- stro dell’agricoltura leghista Zaia e il Segretario della Cgia di Mestre Bertolussi che in una regione storicamente governata da esponenti di centro destra prova a limitare i danni per la coalizione capeggiata dal Partito Democratico. L’UdC propone agli elettori veneti un proprio candidato al di fuori dei due massimi schieramenti : il sena- tore Antonio De Poli. Siamo di fronte ad una nuova dilagante emergenza corruzione come ai tempi di “Mani Pulite” come dicono alcuni oppure abbiamo davanti casi isolati di una fraudolenta gestione delle casse e del potere pubblico come si sforzano ad affermare altri? E se ci sono, quali le similitudini con tangentopoli? In effetti rispondere a questi interrogativi non è facile, ma esaminando i fatti accaduti in questi mesi sul versante “corru- zione” si possono trarre se non giudizi definitivi, almeno rispo- ste che siano le meno frettolose possibili. Da mesi oramai i mass media italiani bombardano i cittadini con notizie per nulla confortanti riguardo la moralità e l’eticità dei rappresentanti politici pre- senti nel nostro Paese. E se fino a qualche tempo fa giornali e televisioni avevano come unico bersaglio Berlusconi e i rappre- sentanti del centrodestra, adesso si respira una atmosfera di vera e propria caccia alle streghe che coinvolge anche settori più o meno vasti dei rappresentanti politici dell’opposizione. Dagli scoop sulle frequentazioni estive a “luci rosse” di “Villa Certosa” in Sardegna - residenza estiva del Capo del Governo - si era passati attraverso un vorti- ce di supposizioni, alla vicenda “scollacciata” delle escort giunte a Palazzo Grazioli - residenza romana del Premier - per giunge- re, all’approssimarsi delle elezio- ni europee dello scorso giugno, al caso riguardante il così detto ”naomi-gate”. Per mesi insom- ma i giornali di una certa parte politica, ma anche quelli che paventano un’indipendenza al momento solo presunta, hanno gettato fango sul presidente del Consiglio legittimamente elet- to dagli italiani, esercitando una Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-28 Febbraio 2010 - Anno XLV - NN. 73-74 E 0,25 (Quindicinale) In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy — Fondato da Turchi — USA VS China — a pagina 3— ESTERI Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 La Piazza d’Italia Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina COPIA OMAGGIO www.lapiazzaditalia.it di FRANZ TURCHI — a pagina 7 — APPROFONDIMENTI Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmen- te sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia www.lapiazzaditalia.it Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti Il Paese in questo momen- to ha necessità di un cam- bio di Classe Dirigente in tutti i settori, economici, pubblici, privati, politici. Credo infatti che come gli USA con l’arrivo di Obama, del quale possia- mo essere simpatizzanti o no, hanno determina- to un ricambio generale a tutti livelli e gli effetti si vedranno nei prossi- mi anni con l’arrivo dei giovani in tutti i settori, così ugualmente il nostro Paese avrebbe bisogno di un ricambio generazionale in tutti i livelli. Un ricambio che non deve essere solo annunciato, ma realizzato in modo pun- tuale e decisivo, in tutti i settori vitali dell’Ita- lia: dall’associazionismo all’università, dalla politica all’impresa. Credo infatti che i Romani nel Sacro Romano Impero, fin quando riuscirono a selezionare nel Senato o nella classe “Romana” i vari imperatori e Cesari, Roma è sopravvissuta; quando questo non ci fu più iniziò la scomparsa dell’Impero, proprio per la mancanza a tutti i livelli di quei “Cives Romani”. Credo che ora, a maggior ragione con una crisi così pesante, il coraggio di cambiare sia fondamenta- le per rilanciare l’Italia e soprattutto dare speranza e futuro ai nostri giovani. Iran: l’anniversario della rivoluzione La Classe Dirigente Segue a pagina 2 Segue a pagina 2 Ai blocchi di partenza Ufficializzate le liste dei candidati per le regionali, ma la classe politica riesce sempre a sorprendere Si salvi chi può Gli accadimenti giudiziari ad alti funzionari della Protezione Civile impongono riflessioni generali

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Ai blocchi di partenza - La Classe Dirigente - Si salvi chi può - USA vs China: l’illusione di un’amicizia - Berlusconi alla Knesset - Iran: il teatrino delle ambasciate assediate - Istat: in Italia il PIL è diminuito dello 0,2 nel Q3 del 2009 - I redditi delle famiglie sono scesi del 4% in 3 anni - Grecia: l’indebitamento spaventa l’Europa - La sfida nucleare in Italia - FIAT: Termini Imerese è destinato a chiudere - Moralizzare la politica, non politicizzare la morale - Foibe: il giorno della memoria - Barroso II : tra fallimenti passati e nuove sfide - Iran: l’anniversario della rivoluzione - Who is Camilla Clodel? - Alta Roma 2010

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Alle ore 12 del 27 febbraio è finalmente scattata ufficial-mente - tra le solite polemiche - la corsa “elettorale” che vedrà coinvolti decine di candidati di ogni partito e che terminerà i prossimi 28 e 29 marzo allor-quando all’apertura delle urne gli abitanti di tredici regio-ni italiane conosceranno chi li amministrerà per i prossimi cinque anni.Facciamo quindi un rapido giro d’orizzonte che aiuti il lettore a determinare meglio

il quadro d’insieme riguardo i candidati e le alleanze elettora-li che si affronteranno regione per regione.Iniziamo dal Nord Italia dove si vota in Liguria, Piemonte, Lombardia e Veneto.In Liguria ci sarà la riedizione della sfida di cinque anni fa - alla faccia del rinnovamento della politica - tra Burlando (PD) e Biasotti (PdL) che vide il primo sopravanzare il secondo di quasi 60 mila voti: all’ombra della “lanter-

na” il Partito Democratico sarà appoggiato nella sua corsa alla riconferma del proprio candidato Governatore anche dall’Udc di Casini.Udc che si schiera a fianco della sinistra e del PD pure in Piemonte dove la Governatrice uscente - Mercedes Bresso - cerca la riconferma dell’elezione ottenuta 5 anni fa ai danni di Enzo Ghigo, contro Roberto Cota in forza alla Lega di Bossi.Per la conquista del “Pirellone” si affrontano invece il favori-

tissimo Roberto Formigoni, plenipotenziario di Berlusconi all’ombra della Madonnina, e l’ex presidente Democratico della Provincia di Milano - fre-sco di “trombatura” avvenuta non più tardi del giugno 2009 - Filippo Penati. In questa regio-ne il partito di Casini correrà da sola sostenendo l’ex sindacalista Cisl Savino Pezzotta.In Veneto invece, dopo la defe-nestrazione di Galan cui forse sarà riservato un posto ripara-tore in Consiglio dei Ministri,

ci sarà la sfida tra l’attuale mini-stro dell’agricoltura leghista Zaia e il Segretario della Cgia di Mestre Bertolussi che in una regione storicamente governata da esponenti di centro destra prova a limitare i danni per la coalizione capeggiata dal Partito Democratico. L’UdC propone agli elettori veneti un proprio candidato al di fuori dei due massimi schieramenti : il sena-tore Antonio De Poli.

Siamo di fronte ad una nuova dilagante emergenza corruzione come ai tempi di “Mani Pulite” come dicono alcuni oppure abbiamo davanti casi isolati di una fraudolenta gestione delle casse e del potere pubblico come si sforzano ad affermare altri? E se ci sono, quali le similitudini con tangentopoli?In effetti rispondere a questi interrogativi non è facile, ma esaminando i fatti accaduti in questi mesi sul versante “corru-zione” si possono trarre se non giudizi definitivi, almeno rispo-ste che siano le meno frettolose possibili.

Da mesi oramai i mass media italiani bombardano i cittadini con notizie per nulla confortanti riguardo la moralità e l’eticità dei rappresentanti politici pre-senti nel nostro Paese. E se fino a qualche tempo fa giornali e televisioni avevano come unico bersaglio Berlusconi e i rappre-sentanti del centrodestra, adesso si respira una atmosfera di vera e propria caccia alle streghe che coinvolge anche settori più o meno vasti dei rappresentanti politici dell’opposizione.Dagli scoop sulle frequentazioni estive a “luci rosse” di “Villa Certosa” in Sardegna - residenza

estiva del Capo del Governo - si era passati attraverso un vorti-ce di supposizioni, alla vicenda “scollacciata” delle escort giunte a Palazzo Grazioli - residenza romana del Premier - per giunge-re, all’approssimarsi delle elezio-ni europee dello scorso giugno, al caso riguardante il così detto ”naomi-gate”. Per mesi insom-ma i giornali di una certa parte politica, ma anche quelli che paventano un’indipendenza al momento solo presunta, hanno gettato fango sul presidente del Consiglio legittimamente elet-to dagli italiani, esercitando una

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - dcb-Roma 1-15/16-28 Febbraio 2010 - Anno XLV - NN. 73-74 E 0,25 (Quindicinale)

In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romaninaper la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy

— Fondato da Turchi —

USA vS China

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Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina

COPIA OMAGGIOw

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lia.it

di FRANz tuRchI

— a pagina 7 —

approfondimenti

Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmen-te sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia

www.lapiazzaditalia.itUna Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti

Il Paese in questo momen-to ha necessità di un cam-bio di Classe Dirigente in tutti i settori, economici, pubblici, privati, politici.Credo infatti che come gli USA con l’arrivo di Obama, del quale possia-mo essere simpatizzanti o no, hanno determina-to un ricambio generale a tutti livelli e gli effetti si vedranno nei prossi-mi anni con l’arrivo dei giovani in tutti i settori, così ugualmente il nostro Paese avrebbe bisogno di un ricambio generazionale in tutti i livelli.Un ricambio che non deve essere solo annunciato, ma realizzato in modo pun-tuale e decisivo, in tutti i settori vitali dell’Ita-lia: dall’associazionismo all’università, dalla politica all’impresa.Credo infatti che i Romani nel Sacro Romano Impero, fin quando riuscirono a selezionare nel Senato o nella classe “Romana” i vari imperatori e Cesari, Roma è sopravvissuta; quando questo non ci fu più iniziò la scomparsa dell’Impero, proprio per la mancanza a tutti i livelli di quei “Cives Romani”.Credo che ora, a maggior ragione con una crisi così pesante, il coraggio di cambiare sia fondamenta-le per rilanciare l’Italia e soprattutto dare speranza e futuro ai nostri giovani.

Iran: l’anniversario della rivoluzione

La Classe Dir igente

Segue a pagina 2

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Ai blocchi di partenzaUfficializzate le liste dei candidati per le regionali, ma la classe politica riesce sempre a sorprendere

Si salvi chi puòGli accadimenti giudiziari ad alti funzionari della

Protezione Civile impongono riflessioni generali

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pressione su di esso che avrebbe potuto portare alla fantomatica scossa, come preconizzato da D’Alema, che avrebbe potuto schiantare in mille pezzi la coa-lizione governativa e con essa il debolissimo sistema bipolare italiano.Il punto di “flesso” di tale desta-bilizzante tentativo è stato il forum del G8 di luglio tenutosi a L’Aquila durante il quale ci sono stati gli ultimi tentativi

- anche da parte di giornalisti stranieri - di infliggere un colpo mortale alla credibilità italiana di fronte agli occhi di tutto il pianeta. Fallito quest’ulti-mo tentativo di delegittimare Berlusconi attraverso scandali di natura sessuale, si è passati ad accusarlo di contiguità con la cupola mafiosa attraverso le demenziali affermazioni rese da Ciancimino junior, ma visto che anche queste accuse, prive di riscontri oggettivi, sono cadute logicamente nel vuoto ecco che gli esperti dell’anti mafia hanno preso ad accusare esponenti Governo di essere manutengoli dei clan malavitosi chiedendo-ne a gran voce le dimissioni come nel caso del sottosegretario all’economia Nicola Cosentino.Insomma i mass media anti-Cavaliere hanno tentato, grazie all’uso strumentale di pentiti ad orologeria e di talune toghe non propriamente imparziali, di far passare l’idea che il Paese sia amministrato da un Governo del Malaffare, tesi questa respin-ta al mittente a causa delle numerose azioni messe in atto dai dicasteri dell’Interno e della Giustizia volte all’inasprimento delle sanzioni contro i mafiosi e alla cattura - oramai quasi quo-tidiana - di esponenti di spicco della criminalità organizzata, siano essi affiliati alla mafia, alla camorra o alla n’drangheta .Fallito anche il tentativo di impe-lagare direttamente Berlusconi in affari di sesso o mafia ecco che la santa alleanza moralizza-trice imperante in Italia - costi-tuita dall’impero mediatico De Benedetti, dai giornali e dai par-titi della Sinistra estrema, dal partito di Di Pietro e da quello delle Toghe che poi sono l’iden-

tica cosa - ha preso ad attac-care anche i simboli del buon Governo Berlusconiano inizian-do da quello forse più amato nel Paese: Guido Bertolaso sottosegretario alla Protezione Civile. Il mezzo utilizzato il soli-to: intercettazioni telefoniche che cercavano di coinvolgere il sottosegretario se non in azioni di corruzione, messe in atto da alti funzionari della Protezione Civile, su cui le autorità giudi-ziarie getteranno crediamo la giusta luce, nelle solite accu-se di scarsa moralità per aver usufruito di prestazioni sessuali “gentilmente”offerte da impren-ditori consenzienti.Insomma se non si può attaccare il “Capo” si devono attaccare tutti coloro che gli stanno più vicini e che ne puntellano e ingigantiscono, con il loro ope-rato, il tasso di gradimento tra i cittadini.Il fatto è che però al solito, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.Si è tentato di macchiare la moralità del Cavaliere attraverso scandali sessuali?Ed ecco che come per magia prima il “trans gate” con pro-tagonista l’ex Governatore della regione Lazio Marrazzo - espo-nente di spicco dei Democratici che ha fatto le sue fortune poli-tiche e professionali grazie al suo moralismo “un tanto al chilo” che tanto piacciono oggigior-no agli schifati dalla vecchia partitocrazia che costellano il web e che si affastellano nelle piazze - e poi il caso del Sindaco dimissionario di Bologna Del Bono - Prodiano a tutto tondo - beccato a spendere e spande-re i soldi dei contribuenti in vacanze in giro per l’Italia e per

il Mondo con la sua ex segretaria nonché ex amante.Si cerca di colpire esponenti poli-tici del centrodestra con accuse di mafia e di corruzione? Ed ecco che contemporaneamente spuntano fuori comportamenti a dir poco sospetti o per lo meno politicamente colpevoli da parte di esponenti del centro sinistra nazionale e locale: Bassolino, De Luca , Jervolino,Vendola, Loiero chi più chi meno è coin-volto in inchieste che riguarda-no casi di mala gestione della cosa pubblica attraverso aiuti sospetti ad imprenditori amici o ad ambienti contigui alla cri-minalità.Il paragone con venti anni fa riguardo Tangentopoli non sem-bra al momento reggere: l’unica cosa che sino a qualche mese fa sembrava essere simile era lo strabismo dei mass media nel dirigere lo sguardo indagatore ed accusatore solo ed esclusiva-

mente verso una parte politica: quella del centro destra.Una volta provato a scoperchia-re il verminaio però, gli schizzi di fango - più o meno veri - hanno per forza di cose investito tutti, è apparso cioè quello che tutti sapevano ma che nessuno aveva il coraggio di dire : mele marce si trovano a destra come a sinistra passando per il centro.Ai tempi di “mani pulite” una parte dei partiti - quella che per decenni avevano governato, più o meno bene, il Paese - erano stati spazzati via e la Sinistra aveva cercato di occupare il loro posto.Adesso si tenta attraverso una campagna destabilizza-trice di limitare la forza dei due partiti maggiori - PdL e Partito Democratico - visto che quest’ultimo non pare in grado, per una propria debolez-za strutturale, di mettere nella rete del centrodestra gli assist

provenienti da magistrati e mass media: a questo punto pare che a parecchi sia venuta la voglia, attraverso i dipietristi, giro-tondini, “grillini” e quant’al-tro offre la piazza ribollente, di ridurre tutto in macerie, di sfasciare ogni cosa cioè, sia per odio verso il Berlusconismo ed il sistema bipolare, sia per calcolo politico.La tattica del tanto peggio tanto meglio cioè, in maniera da spalancare la strada ad un “Governicchio” di boiardi di Stato, sostenuto in Parlamento da fuoriusciti dei due schiera-menti, centristi e moralizzatori di professione, e al di fuori dalla grande finanza e dalla grande industria perennemente in affan-no, guidati da un pinco pallino qualsiasi, sarebbe un dramma democratico a vantaggio dela vera Prima Repubblica.Insomma, si salvi chi può.

Giuliano Leo

Dalla Prima

Gli accadimenti giudiziari che hanno coinvolto alti funzionari della Protezione Civile impongono riflessioni di carattere generale.

Ufficializzate le liste dei candidati per le regionali, ma la classe politica riesce sempre a sorprendere

Si salvi chi può

Ai blocchi di partenza

La Piazza d’Italia - Interni

Le regioni dell’Italia centrale al solito vedranno il tentativo di scalfire il quarantennale potere delle amministrazioni “rosse” da parte dei rappresentanti del centro-destra.In Toscana il Partito Democratico, non confermata la terza candidatura consecu-tiva del Governatore uscente Martini, schiera Enrico Rossi che affronterà Monica Faenzi, sindaco di Castiglion della Pescaia che correrà per il Popolo delle Libertà. Anche in questa regione i centristi dell’UDC schiereranno un proprio can-didato, il deputato Francesco Bosi.In Emilia Romagna, dopo la recente tempesta mediatico-giudiziaria abbattutasi sull’ora-mai dimissionario sindaco di Bologna Del Bono, espressione quest’ultimo dell’ex Presidente del Consiglio Prodi, i vertici del Partito Democratico per non rischiare ulteriori sorprese hanno compiuto uno strappo alle regole interne del Partito candidando - caso unico - per la terza volta consecutiva il Governatore uscente Vasco Errani. I vertici del Popolo della

Libertà hanno invece gettato nella tenzone un nome nuovo, la quarantacinquenne Anna Maria Bernini la quale dovrà vedersela oltre che con Errani pure contro Galletti candidato dell’UDC.In Umbria il Partito Democratico non ha accetta-to ulteriori deroghe al proprio regolamento interno come accaduto in Emilia, non schie-rando per questa tornata elet-torale amministrativa la due volte Governatrice Maria Rita Lorenzetti. Infatti in questa regione, dopo l’esito favore-vole delle primarie, Catiuscia Marini del PD sfida, in una competizione tutta al femmi-nile, la candidata del centro destra Fiammetta Modena e l’ex teo-dem fresca di fuga dal PD Paola Binetti.Nelle Marche invece tenta di ottenere la riconferma il Governatore uscente Gian Mario Spacca appoggiato pure dall’UDC: a tentare un difficile ribaltone in favore del PdL ci proverà Erminio Marinelli.Nel Lazio uscito dalle “mar-razzate” amministrative si scontrano - o meglio a questo punto si dovrebbero scontrare la candidata del centro-sinistra,

pardon radicale, Emma Bonino e la segretaria dell’UGL Renata Polverini. La pupilla di Fini oltre che da tutto il PdL com-patto, è qui sostenuta pure dal partito di Casini, che più per ragioni di “famiglia” che di politica non può permettersi assolutamente di restare “fuori” dalla cabina di regia regionale. Senza contare che non avrebbe potuto sostenere la radicale per ovvi motivi e vecchie ruggini. Insomma una collaborazione elettorale per un ampio proget-to politico condiviso…Dicevamo poco prima che la Bonino e la Polverini ”dovreb-bero” affrontarsi poiché di ciò ancora non si ha purtroppo la minima certezza. Infatti come successo cinque anni fa con la contestata candidatura della Mussolini, che fece poi perdere per un pugno di voti il governa-tore uscente Storace, un nodo procedurale rischia di far salta-re la corsa della candidata del centro-destra. Nel momento in cui scriviamo intanto il primo ricorso alla bocciatura della lista del PdL è stato respinto ma altri appelli si succederanno per cercare di riparare la situazione disperata.Qui però alcune considerazioni

che prescindono il dato politico è d’uopo farle.Da quasi un decennio ormai, il centro-destra romano e più in generale quello laziale, è in mano a fazioni che più che curarsi di promuovere politi-che innovatrici che interessino i cittadini perseguono pervi-cacemente solo il bene di una ristretta cerchia di “cacicchi” locali.A queste lotte interne tra cor-renti che non permettono né un reale rinnovamento dei qua-dri dirigenziali del Partito né una vera dialettica democra-tica che interessi i tesserati , i simpatizzanti e gli eletti alle cariche amministrative e poli-tiche si è andata ad innestare la volontà di dare spazio non alla vera “società civile”- che tra parentesi ancora non si è capito cosa essa sia veramente - ma ai “dilettanti” allo sbara-glio composti da movimenti che vivono lo spazio di una campagna elettorale - vedi i circoli della Libertà ad esempio - o da liste civiche o di auto-convocati che poi al momen-to magari di presentare una lista, compito che in passato era svolto egregiamente senza intoppi dalle vecchie sezioni dei

partiti,sbagliano irrimediabil-mente. Purtroppo per il centro-destra italiano tale “malattia” che alligna nel Lazio sembra propagarsi a macchia d’olio in tutta Italia e bene farebbero Berlusconi e Fini a sedersi seria-mente intorno ad un tavolo per decidere finalmente che tipo di partito vogliono contribuire a costituire.Stesse problematiche che hanno portato alla corsa in Campania del socialista Caldoro,candidatura impo-sta da Bocchino, il quale non nuoce ricordarlo, 5 anni fa prese poco più della metà dei voti di Bassolino, e che solo grazie all’apparentamento con l’UDC ha forse qualche “speranzella”di battere il sindaco sceriffo, e plu-ri-inquisito, di Salerno De Luca sostenuto oltre che dal PD, anche dai giustizialisti a fasi alterne dell’Italia dei Valori.Corsa a tre in Calabria dove al Governatore uscente il Democratico Loiero si oppon-gono l’attuale sindaco di Reggio CalabriaScopellitti e l’impren-ditore del tonno Callipo per il partito di Di Pietro.In Puglia il terzetto di compe-titori è composto da Vendola, Governatore uscente candi-

dato dal centro-sinistra unito, Adriana Poli Bortone soste-nuta da liste civiche locali e dall’UDC e Rocco Palese appoggiato dal centro destra, altra candidatura questa volu-ta senza contraddittori da una ristretta cerchia dei soliti noti capeggiati dal Ministro Fitto.Infine si voterà in Basilicata dove al governatore uscente di centro sinistra Vito Di Filippo sostenuto pure dall’Udc si con-fronterà con scarsissime possi-bilità di vittoria il candidato del centro-destra Pagliuca.Undici sono le regioni, tra quelle che a marzo andranno al voto, attualmente in mano alle coalizioni di centro-sinistra , due quelle guidate da PdL e Lega , vedremo se questo bilancio tra le due coalizio-ni si confermerà o molto più probabilmente si riequilibrerà in favore dei partiti di centro-destra: secondo i sondaggisti infatti il centro-destra oltre che riconfermare Lombardia e Veneto potrebbe riconquistare al PD ed alleati, almeno la Calabria e il Lazio - sempre se si risolveranno i problemi di cui sopra - mentre la lotta è aper-tissima in Liguria, Piemonte, e Campania.

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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI FEBBRAIO 2010GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a S.E.E. s.r.l. - Via S. Carlo da Sezze, 1 - 00178 Roma. Le informazioni custodite nell’archivio dell’Editore verranno utilizzate al solo scopo di inviare copie del giornale (Legge 675/96 tutela dati personali). La responsabilità delle opinioni espresse negli articoli firmati è degli autori.

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con l’America Latina…”).Ma la Cina non manifesta sola-mente la voglia di volontà di inve-stire in Sud America e di cercare lì l’espansione futura alla sua pro-duttività, bensì si impegna alla costruzione di infrastrutture e al miglioramento della diplomazia

militare.Sotto un profilo geopolitico non può sorprendere l’interesse della Cina per l’America del Sud, quello che sorprende è invece il silenzio e ancora una volta l’accondiscen-denza con la quale gli Stati Uniti sembrano mollare una sfera di

influenza che sin dalla Dottrina Monroe del 1823 è stata ritenuta strategica.Tutto ciò accade nel momento in cui la Crisi del mondo economi-co-finanziario statunitense morde l’economia reale con un oppor-tunismo che dovrebbe porre più

di fa porre più di una domanda all’Amministrazione Obama.Conti alla mano la politica del G2 della Casa Bianca rischia di porta-re gli USA contemporaneamente alla bancarotta e ad una nuova Guerra Fredda.

Giampiero Ricci

La Piazza d’Italia - Esteri

USA vs China: l’illusione di un’amicizia

Iran: il teatrino delle ambasciate assediate

Il viaggio in Israele del nostro Presidente del Consiglio ha avuto il suo culmine questa mattina con il discorso alla Knesset.Dopo aver sancito accordi di col-laborazione a vari livelli con lo Stato ebraico, Berlusconi è stato accolto nel Parlamento israeliano con parole di grande affetto e stima.Prima il Presidente dell’assem-blea parlamentare israeliana lo ha accolto sottolineando l’importanza di quanto affermato nei due giorni precedenti dal nostro Presidente del Consiglio, poi Netanyahu lo ha portato ad esempio ringra-ziandolo dell’amicizia dimostrata e marcando un rapporto personale che con questa visita si è ulterior-mente consolidato (aspetto non da sottovalutare con cui Berlusconi è riuscito a risolvere problematiche piuttosot spinose) e che ha rag-giunto momenti di commozione quando ha raccontato della madre del Presidente del consiglio che, malgrado fosse incinta di otto mesi, si oppose all’arresto di una donna ebrea da parte di un sol-dato tedesco.Ha concluso la fase di benvenuto l’ex Ministro degli Esteri e ora capo dell’opposizione, Livni.Le posizioni assunte dal nostro capo del Governo hanno scaldato molto il cuore degli israeliani, arri-vando a sostenere la causa dello Stato ebraico in un modo sorpren-dentemente vigoroso.Gli argomenti principali su cui il premier italiano si è granitica-mente mosso sono l’ingresso di Israele nella UE, la pace non a scapito della sicurezza e la minac-cia iraniana.I tre argomenti, fortemente lega-ti l’uno all’altro, e le posizioni prese sono un modo per affermare un’Italia decisa che, con questo assetto, può affermarsi nello scac-chiere mediorientale come sponda per poter arrivare a dei risulta-ti concreti. Per troppo tempo,

infatti, sono stati sottovalutati i potenziali del nostro Paese sia da parte dei Paesi che cercano da decenni, invano, di prendere in mano la situazione sia dai nostri stessi politici.La complessa rete di collaborazio-ni, accordi e partnership economi-che che il nostro Paese detiene con tutti i Paesi dell’area e l’amicizia che lega Berlusconi con alcuni attori di primo piano dello sce-nario mediorientale, permettono all’Italia di posizionarsi in prima linea come interlocutore per la pacificazione tre Israele e gli Stati arabi.In questo senso non devono stupi-re le decise parole di elogio che il Presidente del Consiglio ha avuto nei confronti del Primo Ministro Netanyahu e di Israele nei vari momenti difficili della sua esi-stenza. A dimostrazione di questo, la forte opposizione del nostro Paese al rapporto Goldstone, con-siderando giusta la reazione di Israele ai lanci di razzi da parte di Hamas, che proprio sotto l’input del Governo Berlusconi è stata inserita nella lista europea della organizzazioni terroristiche alcuni anni fa.L’idea di accogliere lo Stato ebrai-co all’interno dell’Unione Europea può sembrare una provocazione ma sotto l’aspetto politico, ordi-namentale ed istituzionale Israele è assai più vicino all’Europa di un Paese come la Turchia che è in predicato di entrarvi.Un altro aspetto che va colto, e che Berlusconi ha inserito nel suo discorso, riguarda la parteci-pazione, che secondo lui dovrebbe essere simbiotica, dell’Europa nei confronti delle minacce e della sorte di Israele. Cosa che in pochi si sono spinti a dire fino ad ora e per cui sarà interessante verifi-care le reazioni degli altri partner soprattutto nella fascia settentrio-nale dell’Unione Europea.Il segnale comunque forte che è

stato lanciato da Berlusconi non tanto allo Stato ebraico ma all’Eu-ropa è quello di svegliarsi perché gli USA di Obama non sono più quelli decisionisti di Bush e quindi per cercare di sistemare una zona a noi molto vicina è necessaria una spinta forte e decisa da parte di quei Paesi che nella storia hanno contato molto ma che vedranno il loro peso disgregarsi di fron-te ai blocchi che nei prossimi anni prenderanno una consisten-za abnorme. Gli USA dopo la crisi e la Cina, ora impegnate in schermaglie ideologiche, si stanno realmente giocando la partita del XXI secolo e, se non vogliamo scomparire, noi europei abbiamo il dovere di compattare le nostre politiche ed agire in modo da influenzare concretamente le futu-re dinamiche nel mediterraneo.L’altro aspetto è la pace con i vicini. Dopo la critica sulla politica degli insediamenti, Berlusconi non ha indugiato ancora sugli ostacoli al dialogo ma ha cercato di ravviva-re l’atmosfera collaborativa con le parti in gioco cercando di stimolare la sfera degli interessi comuni che passano per un piano Marshall per la Palestina, che porti benes-sere a chi in questo momento non ne ha e che vede quello del vici-no crescere. Secondo Berlusconi la collaborazione economica può essere il ponte più robusto per far comunicare due popoli allontanati dalle ideologie e dalle sofferenze.Un punto di vista questo che da molto tempo ha il nostro Presidente ma che altri non hanno portato avanti con la dovuta con-vinzione, probabilmente anche per l’ostilità dei Paesi arabi vicini che non vedrebbero di buon occhio un’evoluzione non ideologica della questione, vedendosi smon-tare il loro gioco di decenni basato sulla disperazione di un popolo a loro vicino per distruggere un altro Stato. Questo suo pragmati-smo potrebbe essere la chiave per

far riprendere le trattative sotto gli auspici migliori.Il terzo punto è l’Iran. L’Italia è un partner assai importante per la Repubblica islamica e la posi-zione di Berlusconi è di notevole coraggio. Il fatto di paragonare, senza nominarlo, il Presidente Ahmadinejad ad Hitler non è una boutade ma una chiara presa di posizione senza alcuna inde-cisione che potrebbe segnare un nuovo sentiero su cui potrebbero e dovrebbero camminare tutti gli Stati occidentali. Testualmente “... di fronte alle minacce contro Israele e contro la sicurezza del suo popolo, l’Italia non è indif-ferente. L’efferatezza antisemita, a differenza di quanto è avvenuto alla vigilia e durante la Seconda guerra mondiale, non potrà e non dovrà più nutrirsi della compli-ce indifferenza dei Governi. In una situazione che può aprirsi alla prospettiva di nuove catastrofi, l’intera comunità internazionale deve decidersi a stabilire con paro-le chiare, univoche e unanimi, che non è accettabile l’armamento atomico a disposizione di uno Stato i cui leader hanno procla-mato ‘apertamente’ la volontà di distruggere Israele ed hanno nega-to insieme la Shoah e la legittimità dello Stato ebraico”. Parole che dovrebbero essere ripetute non solo ad alcuni leader europei ma anche a quelli russo e cinese che troppo spesso indugiano sull’ar-gomento.Una visita, quella di Berlusconi, che ha portato l’Italia sopra gli altri alleati per l’incisività nel trat-tare gli argomenti più spinosi e che mostra la sua visione del futu-ro assetto e che chiarisce quelli che dovrebbero essere i ruoli nei confronti delle minacce all’ordi-ne internazionale portate avanti da quelle forze radicali che fino ad ora si sono mosse con trop-pa libertà, complice un occidente pavido e senza le idee chiare.

In attesa di quelli che saranno i disordini di domani in occasione del 31° anniversario della rivolu-zione islamica in Iran, noi europei ci troviamo a riflettere su quanto accaduto ieri a Teheran davanti alle ambasciate di Italia, Francia, Germania e Olanda.Un teatrino messo in scena da un regime, a quanto pare, preoccu-pato per il suo futuro. Malgrado Ahmadinejad ritenga invulnerabile il suo potere ed anche il suo Paese, qualcosa scricchiola visto che sono dovuti ricorrere ad una rievocazio-ne di quanto fatto all’ambasciata statunitense nel 1979, la differenza sta nell’azione della polizia che, sempre secondo un copione pre-stabilito, è intervenuta per riporta-re l’ordine prima che si arrivasse al peggio con un’occupazione, ma ha semplicemente fatto presente che questa volta le cose sono andate così, nel futuro chissà? Visto il precedente con la detenzione di 52 ostaggi per mesi e mesi non c’è da stare tranquilli.Cosa ha scatenato questa comme-dia? A quanto dicono gli organi del regime sono state le parole di

Berlusconi in Israele, non quelle che accostavano il Presidente ira-niano a Hitler (per lui un com-plimento, probabilmente) ma la presa di posizione netta a favore dell’opposizione.A questo ha poi seguito una ferma dichiarazione, dopo l’ennesima provocazione iraniana sull’arric-chimento dell’uranio, da parte del Ministro degli Esteri Frattini per delle forti e coese sanzioni che riportino la Repubblica islamica sulla strada della ragione.L’Italia ha anche disposto che domani non sia presente l’am-basciatore alle celebrazioni ma il numero due che ha l’ordine di lasciare la manifestazione in caso di dichiarazioni negazioniste, apo-logie nucleari o insulti all’Unione Europea.Un altro nodo importante che il nostro Governo deve gestire è l’impegno delle aziende italiane in Iran. La collaborazione delle nostre rappresentanti abbraccia tutti i rami, da quello energetico a quello della ricerca, da quello dei trasporti a quello aerospaziale.Fatturati importanti che hanno

finora limitato l’insistenza della politica a fare fronte comune con il mondo imprenditoriale per fer-mare la follia iraniana.Una situazione nuova che ha acce-lerato negli ultimi giorni dopo la dichiarazione di Ahmadinejad di voler portare l’arricchimento dell’uranio dall’attuale 3,5% al 20% in barba alle proposte di Paesi amici e non e soprattutto dell’agenzia ONU per l’energia atomica.L’occidente si è affrettato a cer-care di arginare un’escalation che potrebbe portare ad una situazione assai difficile in caso di attacco militare, da parte di Israele che sente la minaccia di un Iran nucle-arizzato sempre più consistente.Il Ministro degli Esteri turco è par-tito per Teheran improvvisamente per cercare di far ragionare con un tentativo disperato il Governo ma nessuno ha creduto nel buon esito della missione.Anche gli USA si sono scaldati per questa ennesima azione iraniana. Il conciliante e debole Presidente Obama, distratto dal conto dei suoi insuccessi sta cercando di

rilanciare una superpotenza ora poco credibile, facendosi porta-tore dell’iniziativa delle sanzioni in seno al Consiglio di sicurez-za delle nazioni Unite, forte di un quasi certo si da parte della Russia ma dubbioso sull’atteggia-mento della Cina che ovviamente giocherà una partita diversa da quella mediorientale parlando comunque dell’Iran, ma questa è un’altra storia.Ma quali sono i pericoli che stan-no muovendo improvvisamente il mondo occidentale?Secondo Sueddentsche Zeitung l’Iran è in possesso di una testata piccola che può essere installata su un Shahab 3, il razzo che è stato testato più volte negli ultimi anni.Fino ad ora, malgrado importanti indizi che i servizi israeliani e non solo avevano portato all’attenzione dei potenti di turno, si pensava che l’Iran fosse in possesso di piani di costruzione per un ordigno nucle-are di derivazione cinese risalente agli anni ’60. In quel periodo Mao decise la svolta nucleare della Cina ma le bombe erano troppo grandi per poter essere montate su dei

razzi, potevano essere trasportate dagli aerei, decisamente più inter-cettabili di un missile balistico.A quanto pare il merito di questa realtà preoccupante sarebbe di uno scienziato della ex URSS, il cui nome vero è ignoto, il quale avreb-be fornito il know how necessario per rendere le aspirazioni iraniane al passo con i tempi.Veniamo alle sanzioni. È neces-sario a questo punto paralizzare l’Iran con oculate mosse che pos-sano fiaccare il regime e non com-pattare un tessuto politico e sociale che mostra per la prima volta delle crepe convincenti.Si dovrebbe bloccare l’importa-zione di benzina e di derivati del petrolio fondamentali per l’Iran, fermare le attività delle aziende straniere (bene ha fatto l’Italia a sospendere l’assicurazione che pro-tegge gli interessi economici di chi è impegnato in Paesi “particola-ri”), negare i visti e permettere il transito solo di cibo e medicinali cercando di evitare l’effetto deva-stante per la popolazione come è stato per quella irachena con l’embargo imposto anni fa per far

desistere Saddam.Sarebbe opportuno anche che non solo i poteri centrali dimostrassero un chiaro intento dissuasivo: ad esempio gli accademici di mezza Europa, che hanno negato la coo-perazione accademica ai colleghi israeliani, dovrebbero fare lo stes-so, questa volta non per sterili e assurdi motivi ideologici me per un chiaro progetto distruttivo che sta prendendo forma e che anche se non colpirà direttamente le nostre case porterà un‘instabilità che sarà causa di un innalzamento del costo del petrolio che ci mette-rà in ginocchio velocemente.E’ necessario focalizzare il concet-to che quanto più saranno forti e condivise le sanzioni, più sarà chiaro il messaggio all’opposizione iraniana sulla determinazione di tutti a far cadere Ahmadinejad.Un messaggio importante visto quanto accadrà certamente doma-ni e che sarà necessario sostenere con forza. Le milizie Basiji sono pronte, l’Onda Verde anche, il copione lo conosciamo tutti. Il dramma è pronto.

Gabriele Polgar

Berlusconi alla Knesset

La copertina del The Economist di questa settimana è paradigmatica, Mr Barack Obama è seduto su una sedia ed è amabilmente accondi-scendente e conciliativo nei con-fronti di un Dragone che lo guarda fieramente in cagnesco, buttando fuoco dalle narici, pronto a farne un sol boccone.Il settimanale inglese rompe gli indugi e pone sul tavolo la questio-ne della razionalità del famigerato G2, ovvero della strategia di part-nership tra due potenze ricono-sciutesi reciprocamente egemoni che l’Amministrazione Obama ha dato l’idea di avere in mente per arginare la crescita irrefrenabile di Pechino.Ma come per altri dossier non solo di politica estera, le cose non sembrano andare nel senso auspi-cato dall’inquilino di Pennsylvania Avenue. Esistono stime per cui in un paio d’anni la Cina avrà supe-rato il PIL statunitense e Pechino sarà a quel punto diventata la prima potenza economica mondiale, con l’aggravante della circostanza di fatto di essere questa il principale detentore di Buoni del Tesoro di Washington.Alla pressione internazionale per una rivalutazione dello Yuan, Pechino fa le orecchie da mer-cante, continua a godere di un mercato del lavoro che giudicare concorrenziale è limitativo giacché può risultare ultra competitivo in virtù della impostazione sociale per casta, culturalmente istituita delle relazioni umane più elementari nel continente da secoli sino a questa parte.Di contro sino ad ora la Cina ha mostrato sullo scenario internazio-nale il suo volto migliore, quello del Panda buono, ma ai tassi di cre-scita a cui si è abituata, la fame di energia a cominciato a farla correre in giro per il mondo esercitando la scalata africana, dove è diventata partner di Stati che dispongono di energia e di giacimenti petroliferi e di gas in barba alle relazioni che questi paesi intrattengono con gli States o con l’occidente.La storia delle relazioni interna-zionali tra gli U.S.A. e la Cina di Mao Tse Dong inizia allorquando Kissinger con il suo pragmatismo si fa regista del disgelo e organizza la missione con Nixon, da quel momento in poi paradossalmen-te sono state le Amministrazioni repubblicane quelle che sono riu-scite ad intrattenere i migliori rap-porti con Pechino e perché a diffe-renza dei democratici, hanno sapu-

to esercitare un salutare braccio di ferro e perché non hanno mai rinunciato ad esercitare la deter-renza americana anche in zone di influenza cinese.La domanda che ci si pone è se il paradigma obamiano del “parlia-mone” possa essere accettabile per un Paese come gli States che non riescono più, ai tassi di crescita attuali, a digerire le importazioni dalla Cina necessarie a mantenere l’interscambio import/Buoni del Tesoro che Pechino ha sino ad ora assicurato.La Clinton e Obama fanno la voce grossa contro i provvedi-menti anti Google, promossi dal Governo cinese ma le loro armi sono palesemente spuntate, doves-se Pechino annunciare ai mercati che da domani non investirà più in Buoni del Tesoro statunitense, il dollaro sarebbe condannato.Di contro il risultato della crisi greco-iberica indebolisce l’euro, ma la notizia non è tanto ferale per le economie europee quanto per Washington dal momento che un dollaro più forte nel rapporto con l’euro renderebbe le esportazioni americane meno competitive in un momento in cui è ancora presto per dire che la domanda interna sia ripartita.Partono quindi i contratti di arma-mento tra USA e Taiwan, in un tentativo scomposto del Presidente di farsi “repubblicano” nei fatti e democratico a parole, ma il prezzo è lo stop a qualsiasi inasprimento delle sanzioni su Teheran e la sua corsa all’atomica.In una situazione del genere è stato giusto buttare a mare l’Eu-ramerica?Oggi parte dell’UE comincia a guardare alla Russia e alla sponda sud del Mediterraneo e in questa partita il Paese a stelle e strisce da la sensazione di essere uno spet-tatore.In questo quadro Pechino intanto entra nel cortile di casa. La politica cinese in Sud America infatti non può non dirsi imperialista, anche solo leggendo il foglio operativo diramato il 5 novembre del 2008 è da illusi pensare ad una strategia diversa quando esplicitamente si evidenzia l’importanza strategica della zona per il piano di crescita economica a lungo termine, per l’accesso a materie prime e risorse naturali e il rafforzamento della posizione di Beijing come pilastro di sponde politiche per i paesi in via di sviluppo (“…intensificare la crescita delle relazioni della Cina

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La Piazza d’Italia - Economia

duzione, piuttosto che sulla base del suo valore di mercato. Nonostante l’unica modalità possibile di misu-razione di molte attività pubbliche sia la valutazione dei costi connessi, ciò comporta una curiosa conse-guenza: se un dipendente pubblico, grazie a un aumento della propria produttività è in grado di svolgere la mole di lavoro che in precedenza veniva svolta da due persone e il lavoratore in esubero si sposta nel settore privato, la misura del contributo del settore pubblico al reddito nazionale registrerà una diminuzione. Questa, quindi, è una conseguenza inevitabile ma curiosa, della misurazione del valore della produzione pubblica basata sul costo dei fattori, soprattutto quello del lavoro, utilizzati nel processo produttivo ovvero una valutazione basata sui fattori di produzione

piuttosto che sui prodotti finiti.A questo punto è importante sot-tolineare che solo la spesa pubblica destinata all’acquisto di beni e ser-vizi correntemente prodotti entra a far parte del PIL, mentre una grande parte delle spese pubbliche ne rimane esclusa.La quarta categoria di spesa aggre-gata, estremamente importante nell’economia, deriva dal commer-cio con l’estero, cioè le importazio-ni e le esportazioni influenzano il reddito nazionale. Il Pil di un paese rappresenta il valore complessivo dei beni e dei servizi finali prodot-ti sul territorio nazionale. Se una persona spende 20 mila euro per l’acquisto di un’automobile pro-dotta in Germania, solo una piccola parte di quel valore costituirà una spesa per prodotti italiani; infatti una parte di esso rappresenta il

pagamento per i servizi offerti dal rivenditore italiano e per il traspor-to fisico dell’automobile all’interno del paese, ma, per il resto, il bene acquistato è prodotto da imprese tedesche e, quindi, la spesa è desti-nata a prodotti tedeschi. Se una persona, ad esempio, ha intenzione di passare le sue vacanze in Francia, destinerà la maggior parte delle sue spese all’acquisto di beni e di servizi prodotti in Francia, contribuendo così all’aumento del PIL francese.Tutto questo per dire che se il Pil di un Paese diminuisce sicuramente una delle componenti suindicate non sta facendo registrare perfor-mances positive, per cui l’azione pubblica dello Stato dovrà orien-tarsi verso politiche che sostengano la crescita, ad esempio politiche dei redditi e della produttività per sostenere consumi ed investimenti.

Fino ad ora è stato fatto trop-po poco, e soprattutto in una congiuntura così negativa dove le dinamiche internazionali obbliga-no i sistemi economici a rivedere i loro modelli di crescita, i Governi hanno il dovere e la responsabilità istituzionale di mettere in campo tutte le misure necessarie per far ripartire al più presto la crescita. È da qualche mese, ormai, che in tutte le sedi televisive, i dibattiti politici si concentrano nell’ana-lizzare le dinamiche che stanno interessando il Pil dei vari paesi, valutazioni congiunturali, ipotesi di intervento e prospettive, ponen-do al centro della questione una sola domanda: “quali saranno i tempi della ripresa?”. Gli addetti ai lavori, politici e governanti rispon-dono sia a destra che a sinistra dello schieramento politico, allo

stesso modo: “i tempi di ripresa ci saranno, anzi per alcuni ci sono stati perché il peggio è passato”. Se questa può costituire una valida e reale risposta alla attuale situazio-ne economica che vede migliaia di piccole e medie imprese chiu-dere i battenti con conseguenti licenziamenti, basti pensare alla chiusura dello stabilimento di Termini Imerese allora è in atto una mediatica e politologica fal-sificazione della realtà. Ciò dimo-stra, inoltre, l’assenza di politiche che intervengano strutturalmente a riformare alcuni mercati. Che fare? Ci sarebbe molto da fare ma l’unica cosa che sarebbe da evitare è la politica delle attese perché i politici possono anche attendere mentre l’economia reale non può permetterselo.

Avanzino Capponi

Nel periodo compreso tra gennaio e settembre del 2009 si sono svol-te le interviste dall’indagine cam-pionaria sui bilanci delle famiglie italiane relativa all’anno 2008. Il questionario, composta di sezio-ni monografiche ha riguardato il benessere percepito, le condizioni della famiglia di origine, gli stru-menti di pagamento e l’informazio-ne finanziaria.Il supplemento al bollettino statisti-co di Bankitalia illustra i principali risultati desunti dai dati dell’in-dagine e ne descrive le principali caratteristiche.Nel 2008 le famiglie italiane risul-tano composte in media da 2,5 componenti e 1,64 percettori di reddito, circa 1,5 componenti per ogni percettore; sulla base dei dati sulla popolazione dell’Istat è possi-bile stimare in circa 23,9 milioni il totale delle famiglie italiane.C’è da sottolineare che negli ulti-mi tre anni la distribuzione delle famiglie per tipologia si è forte-mente modificata. In particolare, si è rilevato un forte aumento di famiglie mono-componente (pas-

sate dall’8,5% ad oltre il 26%) e delle coppie senza figli che costi-tuiscono quasi un quarto delle famiglie italiane.Nel 2008 il reddito familiare medio annuo, al netto delle imposte sul reddito e dei contributi previden-ziali e assistenziali, è risultato di 32.146 euro, pari a 2.679 euro al mese. Il reddito familiare medio risulta più elevato per le famiglie con capofamiglia laureato, lavora-tore indipendente o dirigente, di età compresa tra i 45 e i 64 anni, mentre risulta inferiore per le fami-glie residenti al Sud e Isole.Il reddito equivalente, cioè quel-lo che ciascun individuo dovreb-be disporre se vivesse da solo per raggiungere lo stesso tenore di vita che ha in famiglia, nel periodo 1993-2008 è aumentato di circa il 12% in termini reali; nel biennio 2006-2008 la contrazione è stata di circa il 2,6%. Gli indipendenti hanno registrato il maggior incre-mento del reddito equivalente negli ultimi quindici anni, nonostante il significativo calo osservato fra il 2006 e il 2008 di circa il 7%.

Tra i dipendenti il reddito equiva-lente è invece aumentato dal 1993 in misura pari a circa il 4% in ter-mini reali. Per i pensionati o per gli individui in altra condizione non professionale, la crescita del reddito disponibile è stata quasi il 14% nel periodo 1993-2008.Nel 2008 quasi il 90% delle fami-glie italiane possiede almeno una attività finanziaria, la maggior parte delle famiglie italiane (63%) pos-siede solo il deposito; tra le fami-glie che investono in altre attività oltre ai depositi, le più numerose sono quelle che acquistano titoli rischiosi (16%). Il 4% detiene un portafoglio che, oltre ai depositi, comprende sia titoli di Stato sia titoli rischiosi quali azioni e obbli-gazioni private.Il deposito bancario o postale rappresenta dunque lo strumento finanziario più diffuso: l’89% delle famiglie italiane ha dichiarato di possederne uno nel 2008. La dif-fusione delle attività finanziarie varia in ragione del reddito, del titolo di studio e della condizio-ne professionale del capofamiglia;

prosegue la tendenziale riduzione, osservatasi negli ultimi anni, della propensione delle famiglie a dete-nere strumenti rischiosi.L’indebitamento per l’acquisto o la ristrutturazione di immobili e il credito al consumo interessano rispettivamente il 12,6% e il 13,3% dei nuclei familiari. Nel complesso, le famiglie che hanno con le istitu-zioni finanziarie una o entrambe le tipologie finanziamento, per ragio-ni diverse da quelle professionali, risultano pari al 23,8% del totale.La ricchezza familiare netta, costi-tuita dalla somma delle attività reali (immobili, aziende e oggetti di valore), delle attività finanzia-rie (depositi, titoli di Stato ecc.) al netto delle passività finanziarie (mutui e altri debiti), presenta un valore mediano di euro 153.000. Livelli più elevati di ricchezza netta sono detenuti da famiglie con capofamiglia laureato, dirigente o imprenditore con valori mediani compresi fra 310.000 e 370.000 euro. Livelli più bassi si riscontrano per le famiglie con capofamiglia senza titolo di studio (circa 50.000

euro) o operaio (35.000 euro). Negli ultimi quindici anni il valore mediano della ricchezza familiare netta è cresciuto di quasi il 43 in termini reali, soprattutto grazie alla crescita del valore degli immobili che ne costituisce la parte più con-sistente. Quello però che va rilevato è il grado di disuguaglianza della distribuzione della ricchezza; oltre a questo va rilevato anche il grado di mobilità della stessa, ossia la frequenza con cui le famiglie si spo-stano fra le varie classi di ricchezza nel corso del tempo. Nel periodo recente il grado di mobilità risulta in lieve aumento, sia nel 1993-2000 sia nel 2000-2008 comun-que, la maggior parte delle famiglie tende a rimanete nella stessa classe di ricchezza iniziale o a muoversi in classi adiacenti.La riduzione dei redditi delle fami-glie è simile a quella della recessione del 1991-1993. Il 10% più ricco possiede quasi il 45% dell’inte-ra ricchezza delle famiglie italiane. Tale livello di concentrazione è rimasto sostanzialmente invariato negli ultimi quindici anni.

Lo stato dell’arte della finanza pubblica greca registra per il 2009 un rapporto deficit/Pil al 12,7% e debito/Pil al 120%. Non si tratta di percentuali taroccate ma reali. Anche perché alcune indiscrezioni avrebbero sostenuto che esistereb-bero ulteriori 40 miliardi di debiti nascosti, anche se Atene ha smen-tito il tarocco. Comunque fermo restando la veridicità dei livelli suin-dicati solo questi sarebbero suffi-cienti a far tremare l’Europa perché sforano ampiamente quelli che sono i c.d. parametri di Maastricht da rispettare.Trichet ha dichiarato che i gover-natori della banca centrale euro-pea hanno appoggiato gli obiettivi di risanamento sui conti pubblici previsti nel piano appunto di risa-namento del Governo della Grecia, “ma attendiamo fiduciosi che il governo prenderà tutte le decisioni per centrare questi obiettivi”.Le recenti misure di austerità sup-plementari decise da Atene sono “passi nella giusta direzione”, lo ha affermato il presidente della BCE, Jean Claude Trichet, ma ora è cruciale rispettare questi impegni. “Il target sul deficit 2010 dovrà essere centrato, così

come quello sul 2012”, ha detto lo stesso presidente.Dunque, la Grecia è divenuta una sorta di “sorvegliato speciale” finendo sotto la tutela della UE. Il rapporto decifit/Pil dovrà essere tagliato nel 2010 del 4%, nel 2011 del 5,6% e nel 2012 del 2,8%.Si ripropone il solito problema per i policy makers chiamati a vincere la sfida della crescita. Nel caso della Grecia, si rileva molto chiaramente che la prima operazione da fare è quella di tagliare il deficit, le poli-tiche volte al raggiungimento di questo obiettivo non è che siano molto complicate ma presentano un problema reale, cioè quello di stabilire i tempi e le modalità. Il fattore tempo è fondamentale per la Commissione europea che al ter-mine del 2012 chiede alla Grecia di far rientrare il rapporto deficit/Pil al 3%. Non sempre però è possibile rispettare la tempistica di un organismo del tutto estraneo alle dinamiche di finanza pubblica degli Stati. Questo è un altro problema che fin dalla nascita degli “Stati Uniti d’Europa” si è presentato agli occhi dei governatori degli Stati membri e delle istituzioni europee. Comunque sta di fatto che esistono

dei parametri da rispettare e gli Stati devono impegnarsi affinché possa-no rispettarli. Nel caso della Grecia è stato presentato un piano di risa-namento dei conti pubblici giudica-to credibile da Bruxelles, ma questo ovviamente non basta a far togliere alla Grecia l’etichetta di sorvegliato speciale, anzi da Bruxelles fanno sapere che questo sconfinamento finanziario della Grecia ha alzato il livello di guardia anche nei con-fronti degli altri Stati membri che saranno più sorvegliati di prima.Chiaramente il taglio del deficit greco si inserisce in un contesto critico, dove la congiuntura sia interna che internazionale non è molto forte, positiva anche se timidi segnali di miglioramento comin-ciano ad incoraggiare imprese e lavoratori.Il Governo greco dovrà porsi anche il problema di come far ripartire la crescita nel Paese, il rapporto deficit/Pil, infatti, ha come deno-minatore il prodotto interno lordo che non può decrescere perché più decresce più dovrà decrescere il numeratore cioè l’andamento del deficit. Quindi, i policy makers farebbero bene a pensare a qualche politica economica che restituisca

crescita e sviluppo al paese, chia-ramente è molto difficile muovere la spesa pubblica visto che questa accrescerebbe il deficit ma non è altrettanto difficile dare un impulso agli investimenti delle imprese e ai consumi delle famiglie.Pur se i consumi delle famiglie risentono direttamente dei relativi redditi, e quindi della condizio-ne economica in cui si trovano, ovvero dello stato di occupazione o disoccupazione che rivestono, è altrettanto vero che quella parte di popolazione che ha smesso di garantire un certo livello di consumi per effetto della pessima congiun-tura, devono riprendere a consu-mare ed essere incoraggiati a farlo. Insieme a questo incoraggiamen-to è inutile sottolineare che è del tutto necessario ed urgente adottare politiche a sostegno del mercato del lavoro: i disoccupati debbo-no essere messi nelle condizioni di trovare una nuova occupazione, o meglio nell’intervallo di tempo che intercorre dall’interruzione di un rapporto di lavoro all’assunzione di un altro occorre che lo Stato tenga degli ammortizzatori sociali congrui e dignitosi.La finanza pubblica di uno Stato

può essere risanata ma questo è un processo che subisce di anno in anno molti rischi relativi alla buona riuscita e per questo vanno moni-torati continuamente e molto pru-dentemente. Comunque il piano di risanamento della Grecia dovrà essere rispettato con rigore e austeri-tà dagli stessi che lo hanno redatto, anche a costo di prendere decisioni impopolari.Ridurre il deficit non vuol dire che i servizi essenziali non debbano essere garantiti e soprattutto non debbano rimanere efficienti. E’ vero anche che non c’è efficienza se non si spende in efficienza, ma è altret-tanto vero che quei servizi che ci sono devono sicuramente funziona-re meglio senza sprechi.La chiave comunque del risana-mento greco è la crescita che deve ripartire al più presto.Non si tratta di disattendere o meno Trichet, ma la Grecia deve fare un grande sforzo per la sua storia, per la sua cultura e per i suoi cittadini. Se uno Stato mem-bro riesce a migliorarsi l’Unione europea non può che trarne van-taggio in termini di crescita e di sviluppo, lo stesso vale per gli altri membri dell’UE.

Ennesima performance negativa del Pil italiano, rilevato dall’Istat dopo la diffusione delle stime prelimina-re sul prodotto interno lordo nel quarto trimestre del 2009. Mentre gli Stati Uniti hanno registrato in termini congiunturali un aumen-to del Pil dell’1,4% ed il Regno dello 0,1%, l’Italia mette a segno una diminuzione non certo inco-raggiante. Il risultato di questa diminuzione sostiene l’ufficio di statistica nazionale, è il risultato di una diminuzione del valore aggiun-to dell’industria, di una sostanziale stazionarietà del valore aggiunto dei servizi e di un aumento del valore aggiunto dell’agricoltura.La misurazione del reddito naziona-le avviene sulla base di due diverse modalità: l’una relativa alla determi-nazione del valore della produzione e l’altra relativa alla determinazione del valore dei diritti sul reddito generato, che è appunto chiama-to prodotto interno lordo (PIL). Quando viene calcolato sommando la spesa totale per ognuna delle principali componenti della pro-duzione finale, esso prende il nome di Pil basato sulla spesa; quando invece viene calcolato a partire da tutti i redditi generati dalla produ-zione, esso prende il nome di Pil basato sul reddito. La convenzione della contabilità a doppia entrata richiede che a ogni valore prodotto debba corrispondere un diritto di qualcuno su quel valore. Ad esem-pio, la spesa che un individuo com-pie per acquistare un determinato bene deve essere anche incassata da chi gli ha offerto in cambio il bene acquistato; pertanto il valore di ciò che è stato speso dall’acqui-rente rappresenta la spesa, mentre il valore del prodotto che gli è stato venduto rappresenta la produzione. Entrambe lo modalità di compu-to, comunque, sono interessanti, poiché forniscono quadri di rife-rimento diversi e utili; inoltre, la possibilità di calcolare secondo due modalità, tra loro indipendenti, la stessa quantità, in questo caso la somma dei valori aggiunti dell’eco-nomia, offre un’utile verifica delle procedure statistiche e degli inevi-tabili errori di misurazione.La misura del prodotto interno lordo basata sulle spese è la somma delle quattro categorie di spesa cioè della spesa per consumi, per investi-menti per beni e servizi e le espor-tazioni nette. La spesa per consumi comprende gli acquisti relativi a tutti i beni e servizi prodotti e ven-duti ai loro utilizzatori finali, nel corso dell’anno. Essa comprende, quindi, servizi come tagli di capelli, le cure mediche e l’assistenza legale, vestiti, televisori, automobili ecc. La spesa per investimenti è quella definita come la spesa relativa alla produzione di beni finalizzati non al consumo immediato ma piutto-sto a un utilizzo futuro; i beni che sono creati da questo tipo di spesa sono detti beni di investimento o capitali. La spesa per investimenti, inoltre, può essere suddivisa in tre categorie: l’accumulazione di scor-te, la formazione di capitale fisso e la costruzione di edifici a uso residenziale.Quando le pubbliche ammini-strazioni forniscono beni e servizi che i cittadini desiderano, quali l’assistenza sanitari e l’illuminazio-ne stradale, è evidente che essere aumentano il prodotto totale di valore così come fanno le imprese private che producono, per esem-pio, automobili. Gli statistici addet-ti al calcolo del reddito nazionale non si pongono il problema di quali siano le spese pubbliche più utili e adottano il criterio in base al quale tutti gli acquisti pubblici di beni e di servizi entrano a far parte del reddito nazionale e del prodotto nazionale. Il prodotto del settore pubblico viene generalmente valu-tato sulla base del suo costo di pro-

I redditi delle famiglie sono scesi del 4% in 3 anniE’ quanto emerge dallo studio di Bankitalia sui bilanci delle famiglie nell’anno 2008

Grecia: l’indebitamento spaventa l’EuropaIl piano di risanamento della Grecia ispira fiducia

Istat: in Italia il PIL è diminuito dello 0,2 nel Q3 del 2009La politica delle attese danneggia e rallenta la crescita economica

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La Piazza d’Italia - Attualità

Si è improvvisamente riaccesa nel nostro Paese la battaglia intorno alla possibilità che in Italia, in perenne “sete” energe-tica, si riprenda la costruzione di centrali nucleari dopo che il referendum popolare del 1987 - all’indomani della tragedia di Cernobyl - aveva chiuso ogni opportunità di sviluppare il set-tore in questione.Invece grazie soprattutto alla spinta data dal Governo Berlusconi e dalla maggioranza politica che lo sostiene e dopo la definitiva approvazione del DPEF 2009-2011, sembra che ci possa essere una sorta di inversione di marcia in grado di riportare l’Italia alla pari di tutti gli altri Paesi, e sono tanti, che utilizzano il nucleare come fonte d’energia alternativa al petrolio o agli altri combustibili fossili.Segno indiscutibile che l’esecu-tivo di centro-destra ha inten-zione di fare sul serio è stata poi la decisione presa non più di una settimana fa dal Consiglio dei Ministri di impugnare davanti alla Consulta i provve-dimenti legislativi che tre con-

sigli Regionali - di Campania, Puglia e Basilicata - hanno approvato al fine di rendere impossibile sui rispettivi ter-ritori la costruzioni di nuove centrali atomiche.Le tre leggi regionali a pare-re del Governo, e per bocca del Ministro dello Sviluppo Scajola, sono state contestate poiché intervengono autono-mamente in una materia di stretta competenza dello Stato centrale - produzione, traspor-to e distribuzione di energia elettrica - e perché in tal modo si intende disincentivare altre Regioni dello Stivale ad adotta-re altre similari decisioni nega-tive sulla localizzazione d’infra-strutture necessarie per il Paese intero. Lo stesso Ministro ha poi ricordato di come il ritor-no al nucleare sia un punto fondamentale del programma del Governo Berlusconi, indi-spensabile per garantire la sicu-rezza energetica, ridurre i costi dell’energia per le famiglie e per le imprese, combattere il cambiamento climatico ridu-cendo le emissioni di gas serra secondo gli impegni presi in

ambito europeo.Tale provvedimento ha ovvia-mente scatenato la solita reazio-ne scomposta proveniente dal campo dei fautori della denucle-arizzazione completa dell’Italia. I primi a insorgere sono stati ovviamente i Governatori di Campania, Puglia e Basilicata che hanno subito attaccato la mossa del Governo.Bassolino - noto ai più per il disastro ambientale dovu-to all’emergenza rifiuti in Campania di cui è stato uno dei principali artefici - si è dichiarato certo che la Consulta non boccerà le leggi regionali in quanto esse rispettano le norme costituzionali e le competen-ze attribuite allo Stato e alle Regioni.Vendola, ringalluzzito dalla vit-toria alle primarie per la can-didatura del centro sinistra a Governatore della Puglia, non perde l’occasione per stare sotto i riflettori dei mass media, affer-mando da vero capo popolo che la Puglia sarà la Regione più disobbediente d’Italia conti-nuando comunque a dire no al nucleare: un evidente tentativo

di ergersi a paladino degli inte-ressi politici ed ideologici di Verdi e Comunisti suoi fedeli scudieri nella tenzone elettorale di primavera da sempre anti nuclearisti convinti senza se e senza ma.Da ricordare che non più di qual-che settimana fa il Governatore uscente del Veneto, e non più ricandidato, Galan si era detto favorevole alla costruzione sul territorio della Regione da lui amministrata (stessa propensio-ne che avevano espresso pure i presidenti di Lombardia e Friuli) di una o più centrali nucleari.Nell’occasione si sono fatti vivi, oltre che i soliti Dipietristi detti-si pronti a raccogliere firme per un nuovo referendum contro i disegni di politica energetica del Governo Berlusconi, anche i Verdi, di cui da mesi si erano perse le tracce, che, attraverso il loro presidente Angelo Bonelli, hanno definito la decisione del Consiglio dei Ministri fascista e priva di democrazia.Siamo sicuri che l’ulteriore passo che il Governo effettue-rà, quello cioè di approvare definitivamente il decreto legi-slativo recante le misure sulla definizione dei criteri per la localizzazione delle centrali nucleari, porterà ad ulteriori accese polemiche politiche tra i due schieramenti.Fin qui il dato politico, ma quali sono i numeri e le moti-vazioni reali che si celano dietro il gioco delle parti che con-traddistingue il duro dibattito intorno alle problematiche sul ritorno del “nucleare” in Italia?Il nucleare oggi fornisce il 16% dell’energia mondiale, il 34% di quella occorrente nei paese europei dove 15 dei 27 mem-bri dell’UE hanno impianti nucleari: la Francia addirittura

genera attraverso le sue centrali all’uranio il 73% dell’elettrici-tà che le occorre e che vende ai Paesi limitrofi - compreso il nostro, ovviamente a caro prezzo. In tutto il pianeta in totale sono 34 le nazioni che dispongono almeno di una cen-trale nucleare, gli impianti in tutto sono 436 di cui 194 nel Vecchio Continente e al giorno d’oggi sono ben 59 i reattori in via di costruzione - di cui 17 in Europa.Attualmente sono gli Stati uniti d’America il Paese che ha più impianti in funzione - 104 e circa il 20 % dell’energia totale fornita dai reattori - e a quanto pare ci sarà un ulteriore impul-so alla costruzione di nuove centrali nucleari grazie ai 54 miliardi di dollari di prestiti fondamentali per rilanciare le aziende del settore che l’ammi-nistrazione Obama sbloccherà nei prossimi mesi.Un impianto di terza generazio-ne - come se ne stanno costruen-do in Francia e Finlandia cioè - ha un costo di circa 3,2 miliardi di Euro. Secondo dati aggiornati forniti da prestigiosi centri di ricerca Universitari e privati, il costo medio di un KWH prodotto tramite una centrale nucleare è compreso tra il centesimo e mezzo e i 5 centesimi di euro contro i 20 centesimi per KWH prodotti da biomasse, i 13 dal CDR, 10 dell’eolico, 10-18 con l’idroe-lettrico e i 41-50 centesimi per KWH prodotti attraverso l’uti-lizzo dei tanto sovvenzionati pannelli solari. Al massimo - sempre secondo studi effettuati da importanti organizzazioni e centri universitari - le fonti rin-novabili potranno contribuire alla produzione di energia elet-trica , nei Paesi più industrializ-zati ovviamente, per il 25% di

quella necessaria.Secondo i dati di Eurostat gli utenti italiani pagano per un KWH attualmente il prezzo più elevato tra tutti i Paesi dell’UE: il 40% in più della media degli altri stati d’Europa e l’80% in più rispetto a quanto pagano i cittadini francesi.Nonostante questo in Italia la costruzione e l’utilizzo delle centrali nucleari sono stati bloc-cati per una decisione politica isterica subito dopo l’incidente di Cernobyl. In questo modo è andato pure perso tutto l’ know how tecnologico riguar-dante l’ingegneria nucleare che da fine anni ’50 contraddi-stingueva l’industria italiana: basti pensare che nel secondo dopoguerra il nostro Paese era il terzo o quarto al mondo ad essersi dotato di infrastrutture scientifiche ed industriali per produrre energia civile dall’ato-mo.La “liberazione” dalla schiavi-tù economica - in taluni casi pure dai ricatti politici - dei Paesi produttori di combusti-bili fossili o di elettricità passa oltre che dalla costruzione di nuove centrali nucleari o dallo sviluppo di nuove tecnologie, che rafforzino la produzione di elettricità dalle energie alterna-tive diversificandone le fonti d’approvvigionamento, passerà pure dalla rottura dei vincoli e degli ostacoli che le amministra-zioni periferiche interpongono alle decisioni di quelle centrali in materia di infrastrutture: basti pensare ad esempio, che attualmente decine di doman-de di costruzione di impianti idroelettrici - considerata un tipo di energia rinnovabile - sono ignorate o dichiarate irri-cevibili dalle amministrazioni locali che dovrebbero rilasciare le autorizzazioni.

La sfida nucleare in Italia

FIAT: Termini Imerese è destinato a chiudereAncora una volta una stangata sull’economia italiana: ma la colpa di chi è?

“Tutto il resto sono chiacchie-re che non voglio nemmeno commentare”, così rispon-de il Presidente della Fiat Montezemolo sulla questione dello stabilimento di Termini Imerese. “La Fiat è e rima-ne un’azienda italiana, non solo perché è l’unica azienda automobilistica al mondo che si chiama FIAT, ma soprat-tutto perché da quando io sono Presidente e Marchionne amministratore delegato, parlo della seconda metà del 2004, abbiamo investito nel mondo 25 miliardi di euro e in Italia oltre 14 miliardi”.Emma Marcegaglia, Presidente di Confindustria, invece, sostie-ne che “quando si fanno stabi-limenti che non hanno ragione economica non c’è incentivo che tenga”. Il tema vero è fare tutto il possibile per reimpiegare le persone e mantenere la forza lavoro attraverso la formazio-ne. Scelte industriali che vanno nella direzione di rendere com-petitiva un’azienda non pos-sono essere disgiunte dal farsi carico di problemi che riguarda-no le famiglie, questo è un tema centrale sostiene Montezemolo. “Fiat ha molto dato e molto ricevuto dall’Italia”, ma “da quando noi siamo alla Fiat, non ha ricevuto un euro dallo Stato,

dice a chiare lettere il presidente della Fiat, non voglio rientrare in polemiche perché in questo Paese io preferisco il confronto e il dialogo quando i problemi sono grossi e quando vedo tante aziende internazionali che lascia-no il nostro Paese o che non vengono a investire in Italia”. “Ho visto delle cifre che dicono che gli incentivi sono andati il 70% alle aziende straniere e solo il 30% alla Fiat. Credo che dobbiamo uscire da un approc-cio demagogico e guardare alla realtà così com’è”.Se le dichiarazioni del Presidente della Fiat hanno questo spirito e questi contenuti è chiaro che qualche osservazione va dove-rosamente fatta. In primo luogo la Fiat è un’azienda che storica-mente ha sempre ricevuto aiuti dallo Stato, semmai il problema è capire che fine hanno fatto questi aiuti. In secondo luogo occorrerebbe capire perché ogni qualvolta si verifica una crisi aziendale o una cessazione di attività il management va subito ad attaccare il Governo. Finché in Italia, non si finisce di fuggire dal reale senso di responsabilità fisiologicamente connaturato, nella fattispecie, al DNA di una politica industria-le, che determina il suo successo o insuccesso della politica stessa,

non si esce dal vortice della demagogia.La Fiat ha deciso strategicamen-te di dislocare un suo ramo di attività a Termini Imerese, lo ha deciso sulla base di uno studio preventivo relativo alla oppor-tunità di localizzazione geogra-fica. Questa decisione si è rive-

lata a quanto pare inesatta e non proficua tanto da determinare la probabile chiusura dello stabili-mento. La colpa di chi è? Dalle affermazioni del Presidente Montezemolo sembrerebbe del Governo, sarebbe bello conosce-re quale sarebbe stata la reazione del Presidente Montezemolo se quello stabilimento avesse rea-

lizzato le migliori performances del complesso aziendale Fiat, coerenza vuole che sarebbe, nel caso, stato merito del Governo. Si capisce bene che non si tratta altro che di un vero e proprio scarico di responsabilità tipica-mente connaturato all’etica del sistema Italia nel suo complesso.

Ma questo non fa onore alla Nazione, non è certo la pana-cea delle soluzioni più giuste per intraprendere la strada del miglioramento. Così facendo si alzano solo i toni di una pole-mica che arriva nelle case delle famiglie italiane cercando di far capire alla stesse che i licenzia-menti derivanti dalla chiusura

di Termini Imerese sono stati causati dall’assenza di incentivi da parte del Governo. Chi si occupa un po’ di impresa, e non è necessario farlo a grandi livelli, sa perfettamente che l’azienda è un complesso di beni organizza-ti dall’imprenditore per l’eser-cizio dell’impresa come recita l’articolo 2555 del c.c. e non è un complesso di beni organizza-ti dallo Stato.L’impostazione, che appare maggiormente condivisibile, è quella che sposa una con-cezione estremamente ampia del concetto di azienda, com-prendendovi tutto ciò che, contribuendo alla funzionalità e all’avviamento, serve all’eser-cizio dell’impresa. Appare poco plausibile che in questa accezio-ne tra i principali protagonisti dell’impresa si rilevi l’attività dello Stato. In altri termini si ritiene corretto ricondurre nel novero degli elementi costitu-tivi di un complesso aziendale tutti gli elementi patrimoniali (materiali e immateriali) e tutti i rapporti obbligatori attivi e pas-sivi. L’azienda in dottrina è un sistema socio-tecnico, perché i suoi componenti sono l’elemen-to umano e i fattori produttivi, complesso perché articolato in più aree funzionali, aperto per-ché interagisce con l’ambiente

esterno, finalizzato perché il suo comportamento è orientato al raggiungimento di determinati obiettivi.In tutto questo l’intervento dello Stato può essere utile ma non causa esclusiva e principale di una chiusura di uno stabili-mento o di scarsi profitti. Stare sul mercato, azzeccare un posi-zionamento territoriale è frutto di una intuizione imprendito-riale o di studi settoriali e/o di geografia economica, non può essere responsabilità del management statale che fino a prova contraria non partecipa non guida e non decide nulla dell’azienda.Almeno per una volta, un atto di umiltà intellettuale potrebbe giovare alla causa, quello cioè di far chiarezza, di far capire alle famiglie italiane che una delocalizzazione può anche fal-lire e se fallisce è colpa del management aziendale che ha sbagliato i calcoli e non dello. E’ solo su questa assunzione di responsabilità che si può costru-ire il reinserimento della forza lavoro nel tessuto occupazionale e imprenditoriale.Lo Stato può non aiutare ma gli errori di mercato o di posiziona-mento vengono fatti solo dalle imprese sia nel bene che nel male sia piccole che grandi.

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La Piazza d’Italia - Cultura

Moralizzare la politica, non politicizzare la moraleDialogo filosofico sul controllo del potere

All’uomo che ancora non ha imparato

Socrate insegnava che un uomo politico responsabile deve essere amante della verità e della sapienza ed un uomo è sapiente soltanto se è consapevole dei propri limiti.Il problema che si pone in Italia da diverso tempo non è essere garantisti o giustizialisti di fronte ai continui episodi di presunta o provata corruzione, ma sono questi stessi fatti a generare malessere.Prendere posizione è certamente una conseguenza ovvia in seguito ad un malaffare che si scopre in seno al Paese, ma altrettanto scon-tata invece, non dovrebbe essere la tendenza che si avverte in modo sempre più diffuso a non rispettare le regole della società.Col termine Protezione Civile s’in-tendono tutte le strutture e le atti-vità messe in campo dallo Stato per tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni deri-vanti da calamità naturali, da cata-strofi e da altri eventi calamitosi. La legge che disciplina il Sistema Nazionale della Protezione Civile è, appunto, la legge 225/92.Il servizio si occupa quindi delle problematiche legate alla previsio-ne e prevenzione dei rischi che insistono sul territorio e di far

fronte alle eventuali emergenze per limitare le conseguenze negative che qualsiasi disastro naturale o causato dall’uomo, può avere sulla comunità.Trattandosi di un “sistema”, è evi-dente che la Protezione Civile ita-liana si serve, sia in tempo di pace che in emergenza, di tutte le forze già esistenti, nonché di un grosso numero di volontari.E’ allarmante sapere che questo organo tanto importante e di valo-re sia in Italia ora sotto inchiesta, spazzato dalla bufera della corru-zione e degli appalti truccati.In queste circostanze e alle porte delle Regionali, la passione per la politica resta anche, ma è davvero il male minore che può accadere l’indignazione nei confronti di chi è delegato e scelto per gestire gli affari delle stato e dei cittadini.Quest’ultimo episodio italiano coinvolge attori che hanno deci-so e beneficiato degli appalti del dipartimento di Bertolaso, vede emergenze nazionali trasformarsi in succose situazioni per intasca-re tangenti, guadagni e profitti, inghiotte nell’arbitrarietà le consu-lenze milionarie per le grandi opere e altro non c’è da dire sul procu-ratore aggiunto di Roma, Achille

Toro che ha fatto da “talpa” e spia per la cricca dei neoindagati.Tornando al discorso iniziale, si può ben dire che nel panorama italiano, a monte di tutto ci sono una dilagante mancanza di respon-sabilità nella gestione degli affari pubblici e una malata concezione del potere come mezzo di profitto personale ed economico.Se dunque il potere corrompe, si pone una forte esigenza di control-larlo, di monitorare la scelta dei capi e il loro operato.La buona pratica del governare e del dirigere non può esimersi dal pensare e dallo studiare; allora con umiltà, si ritorni anche alla teoria della politica e ai problemi sollevati da chi ha riflettuto filoso-ficamente parlando, sui problemi delle democrazie, perché non esiste lavoro senza preparazione teorica.La base di partenza ce la da Montesquieu quando spiega in “L’esprit des lois” (1748) che la virtù è la molla che muove ogni democrazia. Infatti in un governo popolare, chi fa eseguire le leggi sente di esservi sottomesso lui stes-so e ne porta il peso; mentre solo in una monarchia chi decide, si giudica al di sopra delle regole.Quando però, ammonisce

Montesquieu, in un governo democratico le leggi hanno cessato di essere messe in esecuzione, sic-come ciò non può che dipendere dalla corruzione della repubblica, lo stato è già perduto.La frugalità, la sobrietà, è il fulcro di un governo popolare; il rispet-to per questa e per l’uguaglianza sono favorite in una democrazia quando l’ordinamento le stabilisce e le garantisce e nulla da maggio-re forza alla legislazione quanto la subordinazione dei cittadini ai magistrati.Come dice Karl Popper nel primo volume, capitolo sesto de “La società aperta e i suoi nemici” (1945), “Ciò di cui abbiamo biso-gno e ciò che vogliamo è moraliz-zare la politica, non politicizzare la morale”.La forza delle leggi, insegna il nostro filosofo contemporaneo, non sta nelle sanzioni, ma nella propensione dell’individuo ad obbedire ad esse, cioè nella volontà morale dell’individuo.Popper, in questo contesto, solleva una legittima riflessione sulla scelta della leadership. Egli parte dalla considerazione platonica che pone la questione su chi sia più adatto a governare. Con questa problema-

tica, egli afferma che Platone ha prodotto una secolare confusione nel campo della filosofia politica.La domanda “chi deve governare?”, ha prodotto nella storia innumere-voli deformazioni e risposte poco idonee, ad esempio, deve decidere la volontà della razza superiore o la volontà generale intesa nel senso di Rousseau o il proletariato, etc. Ma così, l’elemento più evidente è che il problema viene aggirato perché molto semplicemente i dirigenti, da qualsiasi ambito provengano, non sono sempre buoni e saggi.La teoria politica non può non prospettare la possibilità di avere una classe dirigente “cattiva”.Quest’ ultima considerazione porta un nuovo approccio al problema sollevato da Platone, perché alla luce delle precedenti riflessioni, si è costretti a sostituire la domanda del filosofo greco con una più adatta, ossia: “Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno”?Coloro che credono non sia questa la domanda più pertinente che ci si debba porre, presuppongono tacitamente, dice Popper, che il “decidere” debba essere essenzial-

mente azione priva di controlli. Chi sostiene questa posizione, può arrivare quasi ad affermare che chi ha potere possa fare ciò che vuole, rafforzando il proprio dominio, rendendolo via via sempre più illimitato.Convinzione del filosofo ed esi-genza condivisa più che mai oggi è che ogni riflessione sulla sovranità trascura di affrontare la questione più importante, cioè la realizza-zione del controllo istituzionale dei governanti, bilanciando i loro poteri contrapponendone altri.Questa teoria dei “freni e contrap-pesi” pone come supposto fonda-mentale che i leaders di qualsiasi organo istituzionale si tratti, non siano sempre buoni o saggi, anzi come dice Popper, i governanti nella storia raramente sono stati, sia moralmente che intellettual-mente, al di sopra della media, anzi, ben al di sotto di essa.L’attenzione dunque deve essere spostata non sul principio plato-nico della leadership, ossia su chi debba governare, ma sulla teo-ria popperiana che pone come questione centrale la realizzazio-ne dei mezzi efficienti e indipen-denti finalizzati ad evitare quanto più possibile i danni causati da un’eventuale gestione incapace e irresponsabile della cosa pubblica.In questo modo viene così messa a fuoco la centrale e urgente que-stione del controllo del potere.Il problema dell’azione confor-me all’ordinamento è posto anche da un altro filosofo politico con-temporaneo, Hans Kelsen in “La Democrazia”.Egli dice che l’esecuzione della volontà dello Stato è per essenza sottomessa all’idea di legalità e questa deve essere mantenuta ad ogni livello dell’amministrazione per garantire la realizzazione della democrazia stessa; per quest’ulti-ma si debbono chiedere ed orga-nizzare tutte quelle istituzioni di monitoraggio che garantiscano l’idoneità dell’esecuzione.Oltre alle norme individuali stabi-lite dagli atti amministrativi, anche quelle generali devono essere sot-toposte ad un controllo giurisdi-zionale: le prime in base alla loro conformità alla legge e le seconde in base alla Costituzione.Il destino della democrazia moderna, afferma Kelsen, dipende dall’organizzazione sistematica di tutte queste istituzioni.Senza, la democrazia è a lungo andare impossibile: “Essa infatti, senza quella autolimitazione che rappresenta il principio della lega-lità, si autodistrugge” (pag.123).

Ilaria Parpaglioni

si parte subito. Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvin-te le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 k. Fummo sospinti verso l’orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott’acqua schiaccian-domi con la pressione dell’aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete sco-scesa e guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in una buca”.

La “foiba” è un tipo di inghiotti-toio naturale dalle elevate dimen-sioni; si tratta di voragini scavate per erosione idrica che assumono la forma di imbuto rovesciato e possono raggiungere la profondità di 200 metri. Si trova nella regio-ne del Carso, terra condivisa da Italia, Slovenia e Croazia. Ce ne sono circa 1700 in Istria.Ci voleva la naturale spietatezza umana ad adibirle a fosse comuni.In Italia questo nome è infat-ti associato a uccisioni di massa perpetrate da partigiani comuni-sti jugoslavi del maresciallo Tito durante e subito dopo la seconda guerra mondiale contro gli italiani ex fascisti o semplicemente demo-cratici o anticomunisti che veniva-no percepiti come nemici.Con la Legge n. 92 del 30 Marzo 2004 si è istituito il giorno 10 Febbraio per ricordare le vittime dei massacri delle foibe, perché la memoria illumini gli eccidi e ricordi la sofferenza della guerra e degli scontri etnici.Il quadro storico di quegli anni era caratterizzato dalla forte ascesa dei nazionalismi europei e dallo sviluppo del concetto di popo-lo come comunità unificata dalla stessa razza, lingua e cultura.I contrasti erano cosi a portata di mano quando una nazione riven-dicava territori abitati da propri connazionali e posti al di fuori dei confini del proprio stato. Oppure i problemi esplodevano quando specifiche minoranze etniche cer-cavano la secessione da uno stato, sia per formare una nazione indi-pendente, sia per unirsi a quello che consideravano il loro paese di appartenenza. Un terzo e ugual-mente grave motivo di conflitto fu provocato dal tentativo di molte nazioni di assimilare od espelle-re minoranze etniche dal proprio stato, considerate un pericolo per la propria integrità territoriale o anche perché realtà estranee alla nazione.Istriani e Dalmati, cominciaro-no in questo contesto storico ad identificarsi nelle proprie naziona-

lità appartenenti: italiana, slovena, serba e croata.Ciascuna fazione iniziò a lottare per riunificare le proprie terre alle rispettive “madrepatrie”.Alla base dei massacri delle foibe c’è questa contrapposizio-ne etnica.Tra i croati nacque l’idea che Istria, Fiume e Dalmazia fossero parte integrante dei loro territori; la presenza di comunità italiane non era né riconosciuta, né giu-stificata.La situazione e il precario equi-librio slavo si inclinarono drasti-camente con l’avvento del fasci-smo, perché venne gradualmente

introdotta in Italia una politica di assimilazione delle minoranze etniche: il piano prevedeva l’italia-nizzazione dei nomi, la chiusura delle scuole slovene e croate e il divieto dell’uso della lingua stra-niera in pubblico.Questa azione del governo Mussolini annullò l’autonomia culturale e linguistica di cui gli slavi avevano sempre goduto durante la dominazione asburgica ed ovviamente esasperò gli animi.L’azione di contrasto venne orga-nizzata velocemente: le società segrete irredentiste slave, esistenti già allo scoppio della guerra, si fusero in gruppi più grandi a

carattere nazionalista e comuni-sta, che cominciarono ad attaccare militari, civili e infrastrutture ita-liani. Le persone catturate, ven-nero sommariamente processate e giustiziate.Durante la seconda guerra mondiale, la situazione nella ex Jugoslavia degenerò presto in una feroce guerriglia, che vedeva da una parte la resistenza contro gli eserciti invasori e quelli collabo-razionisti e dall’altro lato la lotta fra le diverse etnie. Tutte le parti in causa commisero gravissimi cri-mini di guerra.In Croazia fu scatenata una ter-ribile pulizia etnica verso i serbi,

zingari, ed ebrei. Contro gli occu-panti presero le armi invece i partigiani di Tito, plurietnici e comunisti. Questi ultimi a loro volta perpetrarono crimini contro la popolazione croata. Nella pro-vincia di Lubiana, la repressione italiana fu durissima e colma di crimini di guerra; furono istituiti campi di concentramento (Arbe e Gonars) e nel ’42 gli scontri rag-giunsero l’apice del massacro.Nel ’43, con la firma dell’armisti-zio e lo sfascio del Regio Esercito, improvvisati tribunali che face-vano riferimento ai partigiani dei Comitati popolari di liberazione, emisero centinaia di condanne a

morte; le vittime non furono solo rappresentanti del regime fasci-sta italiano, ma anche oppositori politici e semplici personaggi in vista nella comunità italiana. La maggioranza dei condannati, fu gettata nelle foibe e nelle miniere di bauxite, alcuni quando erano ancora vivi.Nel ’44 una nuova ondata di eccidi attraversò la Dalmazia, nelle zone dove risiedevano comunità italiane. A Zara le vittime italiane venivano annegate, mentre nella Venezia Giulia, infoibate.Nella Primavera del ’45 la IV Armata Jugoslava puntò verso Fiume, Istria e Trieste, con lo

scopo di occupare la Venezia Giulia prima dell’arrivo degli allea-ti, mentre Zagabria e Lubiana ven-nero lasciate in mano ai tedeschi.L’OZNA, la polizia segreta jugo-slava, aveva una totale autonomia nelle manovre e il suo compito era quello di arrestare i componenti del CLN e delle altre organizzazio-ni antifasciste italiane e tutti coloro che avrebbero potuto opporsi alla futura annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia, perché rivendicavano l’appartenenza della prima all’Italia.Dal Maggio del 1945 i massacri si verificarono in tutta la zona (Trieste, Gorizia, Fiume, Istria);

all’arrivo degli alleati vennero scoperte migliaia di vittime, la maggior parte delle quali, gettate nelle foibe.Questi fossi venivano usati per tre scopi: eliminare gli oppositori politici che si opponevano all’asce-sa di Tito, dominare e terrorizzare la popolazione italiana delle zone contese e infine, anche mettere a tacere contrasti personali.Sulle responsabilità di questi mas-sacri, il dibattito è ancora aperto, Comunismo e Fascismo si con-tendono nella storia il peso di quanto sia successo, da una parte gli eccidi diventano una reazione all’occupazione fascista, dall’altra sono un crimine del comunismo, un genocidio di cittadini inermi.Il PCI non ebbe responsabilità dirette sugli omicidi, ma accon-sentì a lasciare la Venezia Giulia e il Friuli orientale sotto il controllo dei soldati di Tito; per questo motivo fu ordinato ai combattenti partigiani italiani di porsi sotto comando jugoslavo. Questa linea politica fu coerente con l’idea dell’internazionalismo che sopra ogni cosa poneva l’espansione del comunismo. Negli anni successivi però, molti ex partigiani e militan-ti presero la via dell’esodo dopo aver sperimentato il lato oscuro e repressivo del regime di Tito.Libertà è il concetto che deve sempre volare alto su tutti gli altri interessi e al suo fianco deve sem-pre avere ben salda l’applicazione pratica dell’autodeterminazione e della tolleranza fra i popoli.Questo tris allena a che queste indefinibili follie non accadano ancora.Terminiamo la nostra testimo-nianza alla memoria delle foibe con le parole di Graziano Udovisi, Giovanni Radeticchio e Vittorio Corsi che si salvarono miracolo-samente risalendo le foibe: “dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamen-te percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell’alba, sen-tii uno dei nostri aguzzini dire agli altri facciamo presto, perchè

Foibe: il giorno della memoria

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La Piazza d’Italia - Approfondimenti

Barroso II : tra fallimenti passati e nuove sfide

Il popolo iraniano si è diviso, il resto del mondo pure

precedente aveva trovato una situazione economica serena e una disoccupazione in calo, quella per il periodo 2010-14 dovrà affrontare le sfide aperte dalla più grave recessione degli ultimi decenni. Lo scorso autunno il presiden-te Barroso aveva indicato le sue priorità, sottolineando che occorreva anzitutto promuo-vere la ripresa economica e far ritrovare un impiego a milioni di disoccupati. Si era anche impegnato a spingere per rifor-me del settore finanziario che evitino nuove crisi. Riguardo agli obiettivi di lungo termine, va notato che il piano decennale dell’UE per la cre-scita, la strategia di Lisbona, scadrà quest’anno. Il presidente Barroso ha in tal senso illustra-to ai capi di Stato e di governo dell’UE la strategia “Europa 2020”, incentrata sulla promo-zione di industrie a bassa pro-duzione di anidride carbonica, gli investimenti in ricerca e svi-luppo, il decollo dell’economia digitale e la modernizzazione di istruzione e formazione. Occorrerà rafforzare il merca-to comune e riportare sotto controllo i deficit pubblici nazionali, anche attraverso un maggiore coordinamento delle politiche economiche. Il caso Grecia, rischia di pro-vocare un vero disastro non solo locale ma generalizzato. A maggior rischio effetto domino ci sono Spagna e il Portogallo di Barroso (sono venti i paesi che hanno superato il tetto del 3% del PIL per il deficit di bilancio). La Commissione Barroso II dovrà affrontare anche la grana ”Trattato di Lisbona” - intro-dotto per snellire i processi decisionali e rafforzare il profilo dell’Europa sulla scena interna-zionale. La nuova Commissione dovrà garantire l’applicazione del nuovo ordinamento. Un lavoro duro e complesso, dal momento che quasi tutte le istituzioni europee sono toccate dai cambiamenti, Commissione compresa. Gradita e facilitante è senz’al-tro l’introduzione di portafogli completamente dedicati alle questioni interne e a quelle umanitarie, e vari altri incarichi sono stati riformati. Buon lavoro, nella speranza che stavolta i più superino i meno.

Francesco di Rosa

La linea della continuità ha voluto la conferma all’Europar-lamento di Josè Barroso, votato con 488 sì, 137 no e 72 asten-sioni. Il giuramento dei com-missari alla Corte di Giustizia avverrà a fine mese.Nel nuovo esecutivo Ue ci sono 13 conservatori, 8 liberali, sei socialisti; 9 donne contro 8 nella Commissione uscente. Al di là del nome “ Durao“ che in portoghese sta per “duro”, è davvero duro il compito che si prospetta al rinomina-to Barroso. Considerando lo scarno computo di successi e la lunga lista di fallimenti che hanno scandito il suo primo quinquennio. La precedente commissione verrà ricorda-ta anche per una proverbiale pigrizia legislativa. Inoltre, in generale la “Barroso I” è appar-sa una commissione piuttosto timida. La pressochè totalità dei commissari ha tenuto un profi-lo assai basso e fedele alla linea morbida e arrendevole dettata dal suo presidente. Un punto a favore di “Durao” è lo stori-co accordo stretto dagli Stati membri per ridurre le emissioni di gas serra in Europa del 20% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020., oltre al sostegno offer-to dall’esecutivo alla promo-zione e diffusione delle energie

rinnovabili (grazie all’omonima direttiva), a dimostrazione di una moderata sensibilità per le tematiche ambientali. Ancora più lodevoli, i conseguimenti in materia di mercato interno e protezione dei consumatori – tra di essi le nuove rego-le introdotte per il roaming telefonico o la direttiva servizi – in limpida coerenza con il proprio ferreo credo liberista. Senza precedenti è stato inoltre l’attacco lanciato ai monopo-li economici dal Commissario alla Concorrenza Neelie Kroes. Questi i “più” del mandato “barrosiano”. Veniamo ora ai meno, ben più pesanti, pur-troppo. La lista dei fallimenti è difatti ben più lunga. Essa va dalla mancata liberalizzazione del mercato energetico, al defini-tivo fallimento della strategia di Lisbona. Dall’incerta poli-tica sull’ immigrazione, all’at-teggiamento assai prono agli stati in materia economica. Le problematiche sociali, già sol-levate dagli effetti collaterali della globalizzazione sono state colpevolmente trascurate. Non ha affrontato il tema del rapido e preoccupante incremento del trasporto su strada e ancor di più aereo poco compatibile con le ambizioni ambientaliste del

20-20-20. E i diritti umani? Silenzio. Ecco perché, citate una ad una le defaillances più che di fallimenti, occorre parla-re di gravi omissioni. Tuttavia, Barroso ha ottenuto un nuovo mandato. Questo perché alle botteghe nazionali, fa comodo il suo pragmatismo politico, pieno di compromessi e inerzia, che lascia ai singoli governi un grande potere negoziale. E pazienza se Nicholas Sarkozy e Angela Merkel hanno in più occasioni lasciato trapelare giu-dizi tutt’altro che lusinghieri verso il politico portoghese. Sic stantibus rebus, le sfide della nuova Commissione hanno il nuome e cognome delle omis-sioni della “Commissione Barroso I”: globalizzazione, sicurezza energetica, l’immi-grazione e ambiente. Sullo sfondo uno scenario geopo-litico in costante mutamento caratterizzato dall’aggressiva crescita di nuovi potenti atto-ri attori internazionali come Cina, India e Brasile. In altre parole l’esecutivo comunitario dovrebbe impiegare il proprio potere, la propria influenza e soprattutto le proprie com-petenze al servizio della riso-luzione di problematiche da cui dipende in buona parte il

futuro benessere e la credibilità del continente. Liberalizzare il mercato dell’energia, tanto per fare un esempio, allevierebbe sul lungo termine la dipenden-za europea da paesi produttori terzi con tutte le conseguenze

economiche e politiche che ciò implica. Difficoltà non trascurabili derivano dal mutato contesto europeo scaturito dalla crisi economica. Mentre infatti la Commissione

Come da copione l’Iran si è diviso in due: la popolazione che sostiene il regime e quella che lo vorrebbe far cadere.Della prima categoria c’è da fare una piccola precisazione visto che non tutto l’apparato statale che vive del pane del regime necessariamente appog-gia il proprio datore di lavoro.Fatta questa piccola introdu-zione la cronaca è scontata con i soliti proclami del Presidente Ahmadinejad e l’ovvia repres-sione delle manifestazioni dell’opposizione, l’onda verde.Il capo del regime ha lancia-to segnali affatto concilianti in merito al progetto nucle-are lasciando il mondo in un dubbio sempre più pesante sull’eventuale intervento mili-tare.Chi è al potere sa che l’Iran non è un Paese comune non fosse altro per la sua estensione che rende qualsiasi iniziativa sul suo suolo al limite dell’im-possibile.Il movimento di opposizione si è misurato a mani nude con la polizia e le milizie Basiji, urlando proclami contro Ahmadinejad e comunicando, per quanto gli era possibile, all’esterno tramite i blog e ciò che di internet anco-ra non è stato possibile bloccare come ad esempio Twitter.Questa volta l’apparato repres-sivo si è mosso per tempo ed ha ostacolato la comunicazione esterna ed interna in maniera più capillare arrivando a blocca-re il servizio di posta di Google, Gmail, tra i più diffusi.Fortunatamente testimonian-ze ce ne sono state lo stesso e questo è un bene, per chi ancora bisogna capirlo. Per il movimento verde che vorrebbe la testa dell’attuale Presidente o per un occidente che spera che in un eventuale cambio di governo si possa intravedere

qualche spiraglio di dialogo?Intanto si cerca conferma di quanto apparso in rete sui morti civili (chi dice tre, chi arriva a otto), sugli arresti di centinaia di persone e sulle aggressioni ai leader riformisti ed alle loro famiglie.Tutto questo poteva tranquil-lamente essere scritto qualche giorno fa senza il rischio di sba-gliare una virgola, ciò che sor-prende e mai in senso positivo, è l’atteggiamento dell’Europa: chi sperava in una condotta unita e coesa per dimostrare la determinazione delle posizioni a chiacchiere dichiarate si sba-gliava di grosso. Solo alcuni Paesi hanno disertato con il loro corpo diplomatico le cele-brazioni, altri hanno pensato bene di chiudere gli occhi e toc-carsi il portafoglio, l’Italia ha dimostrato coerenza e decisione mantenendo la parola, implici-tamente data al movimento di

opposizione.Ancora una volta non è stato possibile mettere d’accordo una sorta di combriccola ragazzini che non vede il contesto in cui sta giocando. E pensare che al momento del toto-nomine per l’alto rappresentante per la politica estera dell’UE il pensie-ro diffuso, ma non dichiarato, era quello che tanto peggio di Solana non si poteva andare. E invece eccoci di nuovo all’im-mobilità, a pensare, chi più chi meno, al proprio giardino, senza una strategia comune che dovrebbe essere il frutto di una valutazione a lungo termine su quelli che saranno gli equilibri del futuro. A poco serve la dichiarazione di Lady Ashton a supporto dell’opposizione a fine giornata.Questa miopia deve essere con-tagiosa perché nell’ultimo mese negli Stati Uniti il Presidente Obama, mentre proclama-

va la sua ferma decisione per delle dure sanzioni contro la Repubblica islamica, per cui ha bisogno del non veto della Cina nel Consiglio di Sicurezza, ha pensato bene di, nell’ordine: prendere di petto l’argomento delle libertà in Cina con il caso Google, vendere per miliar-di di dollari armi sofisticate a Taiwan, criticare la politica monetaria della Cina definen-dola scorretta e confermare l’incontro con il Dalai Lama. Vale a dire minaccio e poi do la colpa a qualcun altro se non posso concretizzare nulla.La diplomazia come anche la più bassa delle politiche neces-sita di tempismo ed oppor-tunismo che per l’ennesima volta l’amministrazione USA, in poco più di un anno, ha dimostrato di non avere.E meno male che la Russia, dopo aver fornito i sistemi di difesa dei siti nucleari all’Iran

ed aver favorito almeno la fase iniziale del suo programma, ora sembra la più giudiziosa delle potenze in gioco, tace.Nel frattempo i progetti nefa-sti che l’Iran sta perseguendo vanno avanti, la sua area di influenza si allarga e raccoglie sempre più consensi: mentre prima solo la Siria era al passo, ora il Libano e la Turchia sono entrate nel club, senza contare che poco tempo fa il Presidente Ahmadinejad ha incassato il consenso del Brasile al suo “pacifico” programma nucleare. Piccola parentesi: fa sorridere come ora il Presidente Lula stia facendo di tutto per temporeg-giare nel dare la conferma della sua visita a Teheran prevista per maggio. Il Venezuela di Chavez, si sa, lo appoggia da sempre e la Cina potrebbe non ostacolarlo in questo momento per un’opportunità irripetibile di far pagare dazio agli USA.Internamente sarà necessario aspettare gli effetti della deci-sione che il regime iraniano ha preso per il taglio di circa cento miliardi di dollari allo stato sociale. La situazione potrebbe complicarsi parecchio.Questo disordinato film in cui non si riesce a capire in quale direzione remino la maggior parte dei figuranti, è l’espres-sione di un mondo in cerca di un equilibrio di poteri che da venti anni manca e che non trova più nei suoi apparati istituzionali la giusta risposta, sintomo di un globo profonda-mente cambiato.Da ignorante la domanda che però mi pongo è: la Cina può tollerare che sia l’Iran il cata-lizzatore del futuro potere anti-USA? La risposta o parte di questa si potrà vedere a breve, nelle imminenti riunioni del Consiglio di Sicurezza.

Gabriele Polgar

Iran: l’anniversario della rivoluzione

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La Piazza d’Italia - Tempo Libero

L’atteso appuntamento con la moda si è svolto dal 30 gennaio al 2 febbraio.Questo evento, organizzato da Alta Roma, è una manifestazione che si ripete due volte l’anno, a gennaio e a luglio ed è uno dei più importanti nel panorama del “made in Italy”.L’ufficio di Roma si occupa dei rapporti con le istituzioni e orga-nizza la settimana dell’alta moda, questo per evitare i problemi di sovraffollamento nelle altre edi-zioni di Milano Moda Donna, tenendo presente che da sempre Roma è la capitale della moda.Gli appuntamenti annuali con la fashion week capitolina sono molteplici occasioni di incontro tra le storiche maisons italiane e le nuove realtà produttive creati-ve internazionali una settimana che prevede non solo passerelle ma anche inediti luoghi dove vivere una sintonia unica dal design “arte moda”.Non sono mancate polemiche di alcuni stilisti a causa della loro esclusione dal calendario ufficiale e un appello particolare ai poli-tici da parte di Marella Ferrera, stilista siciliana a non abbando-nare i sarti al proprio destino, in un momento di crisi economica grave come quella attuale.La moda a Roma è sempre stata principalmente dedicata alla nobiltà, gli stilisti creavano abiti sontuosi per i matrimo-ni dei regnanti, delle star del cinema quando il nostro cinema era all’apice del suo splendore e si esprimeva anche nei salot-ti dell’alta società romana, nelle ville adagiate nel verde dei quar-tieri alti o negli appartamenti del pieno centro.Questa sontuosa eleganza rimane nella nostra memoria ma non è altro che la sua scia che ha però una grande capacità di reinven-zione e comunicazione che si può mescolare con altre forme d’arte, diventando cultura, fotografia, musica.Queste nuove forme ci serviran-no per giungere ai mass media in modo che l’alta moda non sia circoscritta solo per un certo tipo di clientela e di pubblico, come già detto nella conferenza stampa nel luglio 2009 (a detta del presi-dente Nicoletta Fiorucci).Per la primavera-estate 2010 belli i tessuti e gli accessori cre-

ati nei colori fantasia Donatella Versace.in questa edizione, Milano, Roma e Firenze (quest’ultima per la moda maschile in “Pitti style” in un classico sapiente-mente aggiornato) sono stati a capo dell’alta moda italiana.Tra i primi a sfilare per la pri-mavera-estate sulle passerelle di Santo Spirito in Sassia (preceduto da un progetto speciale made in “who is on next” di sala Lanzi) il famoso sarto napoletano Fausto Sarli che ha proposto una imma-gine femminile incarnata in un allure avveniristico dove astratto e naturale, materiale e concettua-le si fondono insieme in un gioco di contrasti e felici accostamenti. L’unione degli opposti da vita ad una silhouette rigida e al contem-po fluttuante creando così “abiti scultura“. Piccoli abiti dal soffio leggero con alte cinture, tailleur couture in gazar di seta essenziale e dalle maniche rigirate come calle, corpetti formati da petali di rosa acceso. Proprio al presidente Napolitano il sarto avrebbe volu-to dedicare il ”cigno bianco“ un giacchino formato da 500 calle di organza (due mesi di lavoro) indossati da una top d’eccezione, la russa Vlada Roslyakova, pur-troppo il Presidente aveva invia-to una lettera di ringraziamento scusandosi di non poter interve-nire, per motivi lavoro preceden-ti alla sfilata. Alberto Terranova (il braccio destro si Sarli) ha lamentato la poca disponibilità verso il settore alta moda da parte delle istituzioni capitoline. anche il Sindaco Alemanno non ha potuto essere presente in questa occasione, però, con la promessa da parte di Zingaretti, presente in sala, ad intervenire alla prossi-ma edizione di Alta Roma.I colori di Sarli: bianco, rosa cipria e tutte le gradazioni del rosa, (colore vedette della prossi-ma primavera estate), nero - rosa, i colori metallici, applicazioni di petali che evidenziano, anche per la sposa, uno stile senza tempo, sospeso e magico.Dopo Gianni Serra con una precollezione autunno-inverno 2010- 2011 “made is who on the next” e l’opening cocktail al tem-pio di Adriano, lo stilista libanese Abed Mahfouz, che ha propo-sto “la renaissance de la femme” che appare come una ribellione

ai canoni tradizionali, per una donna che rinnova il guardaro-ba modificandone le strutture e le linee. I gioielli semipreziosi decorano gli abiti tutti da sera (e questa è la novità) esaltando gli effetti luminosi delle perle, in mille cascate, e delle pietre. i colori spaziano dai rosa ai verdi, alla acqua marina, all’arancio, altro colore vedette per la prossi-ma primavera estate.Con un opening party organizza-to da Alta Roma a Villa Medici, si è conclusa la prima giornata di sfilate capitoline.Gattinoni ha aperto, la seconda kermesse di passerelle al com-plesso monumentale di S. Spirito in Sassia con una collezione inti-tolata “la rinascita” che esalta una donna nuova, simbolo di rinascita e di rinnovamento, per la primavera estate 2010. “La mia donna ritorna misteriosa-mente alla sua infanzia - spiega Mariotto direttore della maison Gattinoni - i più spensierata e più libera”.Alle “dee” è intitolata la colle-zione della brava stilista siciliana Marella Ferrera che, per l’occa-sione, si è portata dalla Sicilia due giovanissime indossatrici. Visioni di dee ora con fiori che ne profu-mano l’aria ora con piume da cui spiccano il volo gli abiti leggeri e fluttuanti di varie lunghezze che sono adornati di coralli di Sciacca e da gioielli antichi a decorare chilometri di tulle di lino (in sala Body Guard invisibili ma sempre all’erta!) un racconto da favola, pepli che ricordano l’antichità.Silvio Bettarelli con una collezio-ne autunno inverno 2010-2011 e Carta e Costura, per la cronaca hanno preceduto il ritorno “alla grande” della stilista milanese Raffaella Curiel per due anni assente dalla capitale per le sfilate a causa di una serie di malintesi con le autorità capitoline.“Basta con i bisticci, è il momen-to di coalizzarsi e lavorare insie-me per l’alta moda” ha dichiarato la Curiel che con la sua collezio-ne rende “omaggio a Roma” e a Roma sono ispirati i colori dei suoi splendidi tailleur: il rosa dei tramonti il bianco del traverti-no l’ottanio dei sampietrini, il verde di villa borghese. Giacche con tubini che prendono spunto da fiori e petali, colli a peonia, gonne corolla, spunta ancora il

plissé e le fantasie sono ispira-te al magico mondo vegetale. Applausi a scroscio nella gremi-tissima sala della protomoteca del Campidoglio da parte dei vip presenti. Il Sindaco Alemanno accompagnato dalla consorte e da alcune cariche capitoline, ha offerto una medaglia ricordo alla brava e molto commossa stilista. Con lei, come sempre, la figlia Gigliola che ha curato gli accessori. Scarpe e piccole borse gioiello che impreziosiscono e rendono ancora più desiderabili gli abiti da cocktail e da sera che hanno trasparenze sovrapposte ispirate alle dee e alle vestali della Roma imperiale. Corpini impe-ro e drappeggi che avvolgono la siluette rendendola giovane e sofisticata.Sfila poi a Santo Spirito in Sassia il siriano Rami Al Ali che con-trariamente ai tempi presenta creazioni da sera tutte ispirate all’oriente ma perfettamente sin-cronizzate con l’occidente.Il libanese Tony Ward con la sua couture glamour ha preceduto l’attesa performance di Lorenzo Riva che nella sua conferenza stampa rivisita gli anni settanta, ispirandosi a Jeanne Moreu quan-do era musa di Pierre Cardin.La sua, dice lo stilista milanese, è una donna svelta e scattante, elegante a tutte le ore” e una donna non dovrebbe mai rinun-ciare a osservare questi canoni! la collezione “birillo” prevede una donna romantica ma molto determinata: piccole giacche su gonne molto costruite ed ela-borate tutte corte. Giganteschi i “pied de coq” su organze rica-mate che fanno tanto primavera, fiori in pizzo ricami a profusione su tessuti esclusivi nei toni pastel-lo, bianco zucchero, verde Nilo, bianco e nero. Donna “birillo” per abiti a tubo segnati in vita che si aprono sul fondo con gonna a corolla. Cocktail e sera corti, svelti e portabili. Curiosi caschetti di capelli che ricordano vagamente le tribù aborigene.L’ accademia di costume e di moda, sponsorizzata da Nicoletta Fiorucci, nel suo “final work” 15 collezioni per raccontare che “la moda è un mestiere” “the art of the loom” realizzata da giova-ni stilisti i concomitanza con il ”National Institute Of Fashion Tecnology di New Dehli “tes-

suti tutti fatti a telaio e colori molto particolari sabbia, bluette, viola, grigio e rosso, divertente la gonna a petalo con cappellino uguale!L’accademia Koefia ha organizza-to al Museo Borghese una mostra (aperta al pubblico per un mese) “gioielli di carta” disegni d’au-tore di Giovanni Valli per i cin-quant’anni di alta moda italiana. Un connubio tra il design del gio-iello e lo stile dell’alta moda negli ultimi cinque decenni del XX secolo rappresentata dai grandi sarti di quell’epoca: da Shuberth a Battilocchi, dalle sorelle fonta-na a Mila Shon, Irene Galizine a Fernanda Gattinoni, Sarli, Valentino, Lancetti e Ferrè. I modelli sono realizzati esclusiva-mente con il supporto cartaceo. A fine serata, attesissimo come sempre (dopo Camillo Bona), lo stilista Renato Balestra in un parterre gremissimo di stampa e vip, in S. Spirito in Sassia.La collezione, leggera e fluida si basa soprattutto sul “blu” in tutte le tonalità del “blu Balestra” e del “blu notte”. Allegre le giacche a righe ricamate di mille colori per “lei“ e per “lui” su jeabs stretti e attillati. Sfilano i piccoli vestiti “ fiore” con la gonna a petali e pic-cole vitine drappeggiate come i calici dei fiori. Borchie in acciaio sottolineano i tagli delle giac-che dei tailleur bianchi. anche le grandi bluse spumeggianti in organza bianca si indossano su jeans neri attillati, con cuciture in swaronsky. Entusiasmanti gli abiti blu corti bordati d’argento (come i gilet ricamati degli smo-king maschili) o da mille piccole ruches bianche bordate di blu. Per la sera gli abiti luccicanti di ori e fiori multicolori sono ricamati su tulle e completati da scialli anche in tulle. In perline madreperlacee romantico sofi-sticato vaporoso, con un tocco volutamente di semplicità, ecco, l’abito da sposa decorato con motivi di tralci di fiori tra righe digradanti che fanno molto “pri-mavera”.Per finire la serata una mega torta decorata di blu per gli amici ospi-ti dello stilista!A chiusura delle giornate di passerelle alta moda romane, il nuovo Nino Lettieri con le sue creazioni (già conosciute in tutto il mondo), ed il noto Gianni

Calignano. L’Accademia di Belle Arti di Frosinone ha presenta-to ”metamorhoseon”, a testi-monianza dei processi creativi e della dimensione progettuale dei giovani stilisti. Una collezione riferita al rapporto tra natura e artificio. Nei gesti e nel corpo in movimento si esprime la meta-morfosi della donna moderna.Con re(f)iuse, progetto di moda e riciclo nelle discariche africa-ne in collaborazione con ITC, Carmina Campus, Fashion on Paper, e altre iniziative collate-rali, si sono spente le luci, anche per questa edizione sulle pas-serelle a S. Spirito in Sassia ed in altre sedi sponsorizzate come sempre da Alta Roma. Un cha-rity party dinner con un even-to dove sono stati messi all’asta oggetti appartenenti a personaggi famosi e stilisti, tra i quali la giacca di Tom Cruise indossato nel film “Mission Impossible”, ha concluso le sfilate con grande afflusso di appartenenti al mondo dello spettacolo e della moda.Negli occhi, rimane il ricordo e la tentazione, non da tutte rea-lizzabili di una primavera-estate 2010. Fatta di mini abiti che mettono in mostra le gambe, o abiti lunghi con strascico dietro e corti davanti fluttuanti e rica-mati a dispetto della praticità e del risparmio. Un tripudio di fiori e farfalle è il motivo dominante di molte collezioni. Quest’estate spopoleranno scar-pe con zeppe altissime e tacchi vertiginosi (15, 18 cm!), borse gioiello in tinta con gli abiti da cocktail e sera in tulle e chiffon impalpabili enfatizzati da spalle completamente scoperte. I colo-ri per la prossima primavera-estate? tenui e pastellati: molto rosa in tutte le gradazioni, verde Nilo, celestino, arancione ma anche nero e arancione, nero e rosa, bianco marmorizzato, oro e argento. I gioielli saranno gran-di e vistosi semipreziosi e con pietre dure. Le sfilate dei grandi stilisti, promosse da Alta Roma, serviranno a scegliere, per le più fortunate che non risentono la crisi, capi innovativi e di grande effetto, e per le altre un indirizzo sicuro su quello che andrà di moda la prossima primavera-estate. Comunque sarà un sogno di mezza estate… per tutte.

Anna Maria Vandoni

Il colore e l’amore per l’arte le appartengono fin da quand’era bambina, ma è attraverso le sue collezioni che Camilla Clodel esprime la sua forza e sensibilità plasmando il cashmere attraverso una lettura personale e creativa.In una realtà dinamica e reattiva, l’ufficio stile sotto la direzione della stilista Chiara Contardi, crea una collezione completa di abiti in puro cashmere abbinati ad una linea originale di accessori e relazioni emozionali capaci di risvegliare l’eleganza e la personalità libera di ogni donna.

Alta Roma 2010A Santo Spirito in Sassia hanno avuto luogo le sfilate primavera-estate 2010 promosse da Alta Roma

Who is Camilla Clodel?