La camera vota la sfiducia... a Fini - 1-15/16-31 Dicembre 2010 - Anno XLV - NN. 93-94

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morali e politici sono, non solo la sinistra extraparlamentare e il populista Di Pietro, ma pure Fini ed i suoi caporali di giornata. Adesso davanti a Berlusconi si prospettano due strade entrambe molto strette: la prima è quel- la dell’esplicitazione di una “crisi pilotata” mirante ad allargare numericamente la maggioranza politica che sostiene il Governo attraverso la definizione di nuove alleanze con alcuni rappresentanti di ambienti moderati presenti in parlamento come UDC, MPA, gruppo misto e “colombe” di FLI, intorno alla risoluzione condivisa di alcune problematiche poste sul tavolo da troppo tempo: giustizia, economia e federalismo fiscale. La seconda è che, vista nelle prossi- me settimane l’eventuale impos- sibilità di far approvare impor- tanti riforme fortemente volute dall’asse PDL- Lega, si proceda alla richiesta formale al Presidente della Repubblica delle elezioni anticipate per le quali il Cavaliere deve affrettarsi tuttavia a rafforza- re territorialmente il Popolo delle Libertà ora che le azioni di guerri- glia degli ex alleati finiani - all’in- domani della sconfitta al voto di fiducia alla Camera - potrebbero per forza di cose segnare il passo. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-31 Dicembre 2010 - Anno XLV - NN. 93-94 E 0,25 (Quindicinale) In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy — Fondato da Turchi — Per chi suona la campanella — a pagina 6 — approfondimenti Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 La Piazza d’Italia Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina COPIA OMAGGIO www.lapiazzaditalia.it — a pagina 2 — interni Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia www.lapiazzaditalia.it Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti La destra pensante di FRANZ TURCHI Mi piace parlare di futuro in termini non di slogan ma di concretezza, credo che molto si possa ancora fare per l’Italia qui voglio parlare soprat- tutto dell’agenda politica, riguardo alle proposte da portare avanti nel prossimo periodo soprattutto subito dopo le vacanze, allargando, se ci sarà la possibilità, anche la mag- gioranza. Quali sono queste proposte? La proposta di ridurre del 50% l’IVA per l’Italia, non solo per i giovani ma per tutto il Paese nei prossimi tre anni, concordandolo precedentemente, ovviamente, con l’Europa. Cercare al contempo di avere tre anni “bianchi” di sospenzione delle Normative Europee, nei settori industriali (salvaguardando la sicu- rezza del lavoro) per ridare competi- tività alle nostra aziende. Cercare di migliorare la legge obiet- tivo, e cioè la legge che ha già per- messo di fare molti cantieri ma che sicuramente è migliorabile al fine di semplificare l’arrivo dei fondi stessi e rendere cantierabili immediatamen- te molte delle opere che ad oggi sono ancora sospese. Semplificare la burocrazia e cercare al contempo di recuperare l’orgo- glio di essere membro dello Stato Italiano, o meglio l’onore di far parte della cosa pubblica. Ricominciare a parlare di agricoltura, di investire all’interno di questa risor- sa e come anche sul manifatturiero con una politica di investimenti e defiscalizzazione ad hoc per entram- bi i settori. A questo si aggiungono, ovviamen- te, tutte le politiche di sostegno che bisogna portare avanti per quanto riguarda i giovani che sono il nostro vero futuro, e per i quali bisogna investire, principalmente nella cultu- ra e nella ricerca. Ma al contempo, a mio avviso, il vero investimento che bisogna fare è quello di una riapertura della discus- sione politica in termini di valori e di ideali, messi in secondo piano negli utlimi anni; per esempio il classico Dio, Patria e Famiglia, inte- so ovviamente come Dio nelle tre grandi religioni monoteiste (cattolica cristiana, ebraica e mussulmana), la Patria per quanto riguarda l’interesse nazionale e la Famiglia intesa come famiglia naturale. Se i giovani riprenderanno a discute- re di tutto questo troveranno anche la forza di superare tutte le difficoltà che in questo momento, rispetto ad una crisi economica valutaria impor- tante, possono incontrare. Noi tutti ci auguriamo, anche che l’esempio di persone che abbia- mo visto nel passato, come Don Giussani, possano essere un esempio per gli stessi giovani, e che l’Italia abbia anche la capacità di formare una classe dirigente che possa por- tare lo stesso tipo di esempio anche adesso nelle posizioni che andranno a ricoprire ai vari livelli sia europei che nazionali. Dicendo questo mi auguro che nel prossimo futuro, sempre di più, possa essere portata avanti questa frase che ho trovato a particolamente adatta a quanto è successo negli ultimi tempi, è dell’Enrico IV di William Shakespeare: “...è peccatrice un’anima piena di onore, la mia anima è l’anima più peccatrice del mondo”. Dobbiamo essere orgogliosi di sot- tolineare tutto questo, e fare nostra la frase di Shakespeare. Auguri di Natale a voi e alle vostre famiglie. Oltre la fiducia La camera vota la sfiducia… a Fini Nelle sedi istituzionali fallisce miseramente il ribaltone di Fini Alla fine per tre voti il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è riuscito ad ottenere alla Camera dei Deputati quella fiducia che solo qualche settimana fa era pro- fetizzata da tutti i commentatori politici come impossibile. Il capo- volgimento del risultato è stato ottenuto grazie ad alcune defe- zioni dell’ultimissimo momento tra le fila delle opposizioni dei partiti di centro sinistra e tra quelle dei contorsionisti di Futuro e Libertà. A nulla quindi sono serviti gli ultimi proclami minacciosi e gli annunci intimidatori fatti dai “fal- chi” del FLI per intimorire fisica- mente e personalmente il capo del Governo, democraticamente eletto dai cittadini italiani, e costringerlo a rimettere il proprio mandato nelle mani di Napolitano, senza aspettare l’esito delle votazioni sulla fiducia alla Camera ed al Senato. Come pure a nulla è servita quell’ultima, patetica e rancorosa, intervista-comunicato fatta da Fini domenica scorsa nella trasmissione condotta da Lucia Annunziata su Rai Tre in cui il Presidente militan- te della Camera aveva proclamato, con tutta la sicumera a sua dispo- sizione, la prossima sconfitta poli- tica di Berlusconi accusato di voler rimanere attaccato alla poltrona di Primo Ministro perché fino a quan- do vi rimarrà non potrà essere giu- dicato dalla Magistratura italiana a causa del “legittimo impedimento”. Ma si sa che, oltre che come uomo delle Istituzioni “super partes”, pure come “mago” Fini non è che sia proprio il massimo che attualmente la piazza mette a disposizione. Così alle topiche riguardanti l’Ele- fantino che portò alla disastrosa - per Alleanza Nazionale - esperienza con Segni, alle elezioni europee di qualche lustro fa, e dopo aver definito la creazione del PdL come le comiche finali della politica ber- lusconiana - salvo poi imbarcarsi con ricco profitto suo e dei suoi scherani più accesi nella nascita del più grande partito di centro destra della storia italiana - adesso pos- siamo aggiungere il calcolo errato riguardo la capacità di Berlusconi di resistere in sella al Governo. In ogni altro Paese occidentale un politico che si rispetti dopo tante e tali “sviste” e “svarioni” avrebbe guadagnato in silenzio la porta , ma si sa che siamo in Italia e ciò che è consuetudine all’estero è qui da noi considerata anormalità e viceversa. Per far meglio comprendere la caratura del Personaggio in que- stione bisogna solo ricordare che le sue prime ed uniche dichia- razioni subito dopo il voto di fiducia ottenuto da Berlusconi a Montecitorio sono state quelle di confermare che non lascerà mai lo scranno di Presidente della Camera e che il soggetto politico da Lui creato - FLI - da ades- so potrà essere considerato come parte integrante delle opposizioni al Cavaliere. Ma d’altra parte come è possibile pensare che Fini possa farsi da parte adesso, dopo l’ennesimo cal- colo sbagliato? Il buon Gianfranco - ricordiamolo tutti sempre - è colui il quale, vero e proprio emulo di Nureyev, ci ha abituato a piroette e giravolte degne, più che dei vecchi “democristianoni” della Prima Repubblica, di un Etoile della Scala o dell’Opera di Parigi. In pochi anni infatti non si con- tano i cambiamenti di direzione della propria linea politica ed intel- lettuale. E’ passato dal definire Mussolini il più grande Statista del ‘900 e subito dopo lo ha tacciato di rap- presentare il “male assoluto”. Ha dapprima negato la possibilità di insegnamento nelle scuole di pro- fessori e maestri dichiaratamente omosessuali per auspicare loro - dopo un rapido ripensamento - la possibilità di costituire addirittura una famiglia legalmente ricono- sciuta. Prima ha firmato una legge - che tra le altre cose prende pure il suo nome - restrittiva nei con- fronti degli immigrati irregolari, per poi immaginarne addirittura la possibilità di permettere loro la rapida acquisizione della nazio- nalità e conseguentemente il voto alle elezioni. Prima ha indossato la “Kippah” ebraica e poi da mini- stro degli Esteri si è dimostrato più filo islamico di un Craxi o D’Alema qualsiasi. Fini, dopo tutto, è quel Presidente della Camera che sta usando la propria posizione e le mura di Montecitorio come “pied a terre” del soggetto politico da lui stesso da poco creato in attesa di una migliore sistemazione o di qualche altra donazione di qualche elettore che ancora crede in lui. Inutile, al tirar delle somme, è stato pure il tentativo - fatto soprattut- to da sinistra extra parlamentare e da Di Pietro - di caricare il voto di fiducia del Parlamento di un significato di attesa liberato- ria, quasi messianica, che avrebbe potuto e dovuto con un colpo solo spazzare via per sempre sia il Berlusconi, male assoluto, por- tatore del virus dell’immoralità “tout court” nella sana politica italiana, sia di risolvere come con un colpo di bacchetta magica tutti i problemi economici e sociali che il Paese si trova ad attraversare in questo difficile frangente. Il risultato del fallimento di que- sta attesa andata delusa è stato il “sacco di Roma” cui sono stati artefici i moderni Lanzichenecchi costituiti dai soliti noti dell’anta- gonismo anarcoide i cui “padrini”

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La camera vota la sfiducia... a Fini - Oltre la fiducia - 2010 un anno difficile - I sinistrati - La destra pensante - La morte dell’opinione pubblica - Sudan: il referendum democratico - I rischi del federalismo fiscale - Disoccupazione: una male da curare - Sotto accusa il debito in UE - L’intervento pubblico ed il costo-opportunità - Per chi suona la campanella - Henry David Thoreau - Avanti Fiat - L’Ordine della discordia - Stabilizzare o riformare strutturalmente il mercato del lavoro? - La Colombia che non ti aspetti - The Social Network - Buried - Sepolto Vivo

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morali e politici sono, non solo la sinistra extraparlamentare e il populista Di Pietro, ma pure Fini ed i suoi caporali di giornata.Adesso davanti a Berlusconi si prospettano due strade entrambe molto strette: la prima è quel-la dell’esplicitazione di una “crisi pilotata” mirante ad allargare numericamente la maggioranza politica che sostiene il Governo attraverso la definizione di nuove alleanze con alcuni rappresentanti di ambienti moderati presenti in parlamento come UDC, MPA, gruppo misto e “colombe” di FLI, intorno alla risoluzione condivisa di alcune problematiche poste sul

tavolo da troppo tempo: giustizia, economia e federalismo fiscale. La seconda è che, vista nelle prossi-me settimane l’eventuale impos-sibilità di far approvare impor-tanti riforme fortemente volute dall’asse PDL- Lega, si proceda alla richiesta formale al Presidente della Repubblica delle elezioni anticipate per le quali il Cavaliere deve affrettarsi tuttavia a rafforza-re territorialmente il Popolo delle Libertà ora che le azioni di guerri-glia degli ex alleati finiani - all’in-domani della sconfitta al voto di fiducia alla Camera - potrebbero per forza di cose segnare il passo.

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - dcb-Roma 1-15/16-31 dicembre 2010 - Anno XLV - NN. 93-94 E 0,25 (Quindicinale)

In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romaninaper la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy

— Fondato da Turchi —

Per chi suona la campanella

— a pagina 6 —

approfondimenti

Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727

La Piazza d’Italia

Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina

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interni

Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani

e per un nuovo modo di fare politica in Italia

www.lapiazzaditalia.itUna Piazza di confronto aperta al dibattitosu tutti i temi dell’agenda politica e sociale

per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti

La destra pensante

di fRANz tuRchI

Mi piace parlare di futuro in termini non di slogan ma di concretezza, credo che molto si possa ancora fare per l’Italia qui voglio parlare soprat-tutto dell’agenda politica, riguardo alle proposte da portare avanti nel prossimo periodo soprattutto subito dopo le vacanze, allargando, se ci sarà la possibilità, anche la mag-gioranza.Quali sono queste proposte? La proposta di ridurre del 50% l’IVA per l’Italia, non solo per i giovani ma per tutto il Paese nei prossimi tre anni, concordandolo precedentemente, ovviamente, con l’Europa. Cercare al contempo di avere tre anni “bianchi” di sospenzione delle Normative Europee, nei settori industriali (salvaguardando la sicu-rezza del lavoro) per ridare competi-tività alle nostra aziende.Cercare di migliorare la legge obiet-tivo, e cioè la legge che ha già per-messo di fare molti cantieri ma che sicuramente è migliorabile al fine di semplificare l’arrivo dei fondi stessi e rendere cantierabili immediatamen-te molte delle opere che ad oggi sono ancora sospese.Semplificare la burocrazia e cercare al contempo di recuperare l’orgo-glio di essere membro dello Stato Italiano, o meglio l’onore di far parte della cosa pubblica.Ricominciare a parlare di agricoltura, di investire all’interno di questa risor-sa e come anche sul manifatturiero con una politica di investimenti e defiscalizzazione ad hoc per entram-bi i settori.A questo si aggiungono, ovviamen-te, tutte le politiche di sostegno che bisogna portare avanti per quanto riguarda i giovani che sono il nostro vero futuro, e per i quali bisogna investire, principalmente nella cultu-ra e nella ricerca. Ma al contempo, a mio avviso, il vero investimento che bisogna fare è quello di una riapertura della discus-sione politica in termini di valori e di ideali, messi in secondo piano negli utlimi anni; per esempio il classico Dio, Patria e Famiglia, inte-so ovviamente come Dio nelle tre grandi religioni monoteiste (cattolica cristiana, ebraica e mussulmana), la Patria per quanto riguarda l’interesse nazionale e la Famiglia intesa come famiglia naturale.Se i giovani riprenderanno a discute-re di tutto questo troveranno anche la forza di superare tutte le difficoltà che in questo momento, rispetto ad una crisi economica valutaria impor-tante, possono incontrare.Noi tutti ci auguriamo, anche che l’esempio di persone che abbia-mo visto nel passato, come Don Giussani, possano essere un esempio per gli stessi giovani, e che l’Italia abbia anche la capacità di formare una classe dirigente che possa por-tare lo stesso tipo di esempio anche adesso nelle posizioni che andranno a ricoprire ai vari livelli sia europei che nazionali. Dicendo questo mi auguro che nel prossimo futuro, sempre di più, possa essere portata avanti questa frase che ho trovato a particolamente adatta a quanto è successo negli ultimi tempi, è dell’Enrico IV di William Shakespeare: “...è peccatrice un’anima piena di onore, la mia anima è l’anima più peccatrice del mondo”.Dobbiamo essere orgogliosi di sot-tolineare tutto questo, e fare nostra la frase di Shakespeare.Auguri di Natale a voi e alle vostre famiglie.

Oltre la fiducia

La camera vota la sfiducia… a Fini Nelle sedi istituzionali fallisce miseramente il ribaltone di Fini

Alla fine per tre voti il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è riuscito ad ottenere alla Camera dei Deputati quella fiducia che solo qualche settimana fa era pro-fetizzata da tutti i commentatori politici come impossibile. Il capo-volgimento del risultato è stato ottenuto grazie ad alcune defe-zioni dell’ultimissimo momento tra le fila delle opposizioni dei partiti di centro sinistra e tra quelle dei contorsionisti di Futuro e Libertà.A nulla quindi sono serviti gli ultimi proclami minacciosi e gli annunci intimidatori fatti dai “fal-chi” del FLI per intimorire fisica-mente e personalmente il capo del Governo, democraticamente eletto dai cittadini italiani, e costringerlo a rimettere il proprio mandato nelle mani di Napolitano, senza aspettare l’esito delle votazioni sulla fiducia alla Camera ed al Senato.Come pure a nulla è servita quell’ultima, patetica e rancorosa, intervista-comunicato fatta da Fini domenica scorsa nella trasmissione condotta da Lucia Annunziata su Rai Tre in cui il Presidente militan-te della Camera aveva proclamato, con tutta la sicumera a sua dispo-sizione, la prossima sconfitta poli-tica di Berlusconi accusato di voler rimanere attaccato alla poltrona di Primo Ministro perché fino a quan-do vi rimarrà non potrà essere giu-dicato dalla Magistratura italiana a causa del “legittimo impedimento”. Ma si sa che, oltre che come uomo delle Istituzioni “super partes”, pure come “mago” Fini non è che sia proprio il massimo che attualmente la piazza mette a disposizione.Così alle topiche riguardanti l’Ele-fantino che portò alla disastrosa - per Alleanza Nazionale - esperienza con Segni, alle elezioni europee di qualche lustro fa, e dopo aver definito la creazione del PdL come

le comiche finali della politica ber-lusconiana - salvo poi imbarcarsi con ricco profitto suo e dei suoi scherani più accesi nella nascita del più grande partito di centro destra della storia italiana - adesso pos-siamo aggiungere il calcolo errato riguardo la capacità di Berlusconi di resistere in sella al Governo.In ogni altro Paese occidentale un politico che si rispetti dopo tante e tali “sviste” e “svarioni” avrebbe guadagnato in silenzio la porta , ma si sa che siamo in Italia e ciò che è consuetudine all’estero è qui da noi considerata anormalità e viceversa.Per far meglio comprendere la caratura del Personaggio in que-stione bisogna solo ricordare che le sue prime ed uniche dichia-razioni subito dopo il voto di fiducia ottenuto da Berlusconi a Montecitorio sono state quelle di confermare che non lascerà mai lo scranno di Presidente della Camera e che il soggetto politico da Lui creato - FLI - da ades-so potrà essere considerato come parte integrante delle opposizioni al Cavaliere.Ma d’altra parte come è possibile pensare che Fini possa farsi da parte adesso, dopo l’ennesimo cal-colo sbagliato? Il buon Gianfranco - ricordiamolo tutti sempre - è colui il quale, vero e proprio emulo di Nureyev, ci ha abituato a piroette e giravolte degne, più che dei vecchi “democristianoni” della Prima Repubblica, di un Etoile della Scala o dell’Opera di Parigi.In pochi anni infatti non si con-tano i cambiamenti di direzione della propria linea politica ed intel-lettuale.E’ passato dal definire Mussolini il più grande Statista del ‘900 e subito dopo lo ha tacciato di rap-presentare il “male assoluto”. Ha dapprima negato la possibilità di

insegnamento nelle scuole di pro-fessori e maestri dichiaratamente omosessuali per auspicare loro - dopo un rapido ripensamento - la possibilità di costituire addirittura una famiglia legalmente ricono-sciuta. Prima ha firmato una legge - che tra le altre cose prende pure il suo nome - restrittiva nei con-fronti degli immigrati irregolari, per poi immaginarne addirittura la possibilità di permettere loro la rapida acquisizione della nazio-nalità e conseguentemente il voto alle elezioni. Prima ha indossato la “Kippah” ebraica e poi da mini-stro degli Esteri si è dimostrato più filo islamico di un Craxi o D’Alema qualsiasi.Fini, dopo tutto, è quel Presidente della Camera che sta usando la propria posizione e le mura di Montecitorio come “pied a terre” del soggetto politico da lui stesso da poco creato in attesa di una migliore sistemazione o di qualche altra donazione di qualche elettore che ancora crede in lui.Inutile, al tirar delle somme, è stato pure il tentativo - fatto soprattut-to da sinistra extra parlamentare e da Di Pietro - di caricare il voto di fiducia del Parlamento di un significato di attesa liberato-ria, quasi messianica, che avrebbe potuto e dovuto con un colpo solo spazzare via per sempre sia il Berlusconi, male assoluto, por-tatore del virus dell’immoralità “tout court” nella sana politica italiana, sia di risolvere come con un colpo di bacchetta magica tutti i problemi economici e sociali che il Paese si trova ad attraversare in questo difficile frangente.Il risultato del fallimento di que-sta attesa andata delusa è stato il “sacco di Roma” cui sono stati artefici i moderni Lanzichenecchi costituiti dai soliti noti dell’anta-gonismo anarcoide i cui “padrini”

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L’anno solare e politico che tra pochi giorni terminerà sembra concludersi alla stessa maniera di come era iniziato e di come è pro-seguito nei restanti mesi: Governo Berlusconi e partiti che sostengono la maggioranza impegnati a rim-boccarsi le maniche per avviare o portare a termine tutte quelle riforme veramente necessarie per far fare al Paese il tanto atteso salto di qualità e opposizioni - PD, IdV a cui si sono ufficialmente unite recentemente UDC e FLI - pronte solo ad attaccare personalmente con tutti i mezzi disponibili il Cavaliere, senza proporre alcuna soluzione ai diversi problemi sul tavolo. L’unico interesse di costoro era e rimane disarcionare - senza ricor-rere alle urne, ovvio - il Cavaliere tramite manovre di Palazzo e ribal-toni, manifestazioni di piazza o di cortile, data l’esiguità del seguito di alcune di esse, trame oscure intessute all’ombra di veri o pre-sunti lupanari che hanno sortito un duplice effetto, uno negativo ed un altro tutto sommato prov-videnziale: rallentare o intralciare senza sosta l’azione del Governo e delle Camere ma anche quello di far uscire allo scoperto le “quinte colonne” dell’ opposizione di cen-tro sinistra che si annidavano tra le fila della maggioranza uscita vinci-trice dalla competizione elettorale.Ma al tirar delle somme la gran-dissima parte dei Senatori ed Onorevoli eletti sotto il simbolo di Berlusconi Presidente o ad esso alleatisi attraverso l’asse Lega - PdL non hanno ceduto né alle minacce e neppure alle lusinghe dei (fron-disti) seguaci di Fini né a quelle del centro-sinistra ed hanno invece tenuto botta facendo quadrato intorno al Cavaliere e alla straor-dinaria possibilità di svolta politica che esso ancora rappresenta per l’Italia intera.Per Berlusconi quindi Il nuovo anno politico si apre con una dupli-ce constatazione. La prima è quella di aver perso una solidissima mag-gioranza numerica in Parlamento che nella storia Repubblicana quasi nessuna coalizione aveva ottenuto prima, dall’altro c’è la consapevo-lezza che spazzati via coloro i quali puntavano a cucinare a fuoco lento la compagine governativa dall’inter-no, finalmente si potrà rilanciare sia l’azione di governo - puntellandola magari attraverso il reintegro di quei parlamentari costituenti l’onda di riflusso della sconsiderata azione politica di Finiani e Casiniani - sia

il progetto della strutturazione nel Paese del Popolo della Libertà. Entrambi i traguardi sembrano essere raggiungibili attraverso la stessa modalità: dare forza a quel-la componente più propositiva di Ministri e figure politiche che hanno le capacità, la forza e le idee di portare avanti il rinnovamento del Paese, del sistema politico e del Partito.Lo sviluppo tra la classe dirigen-te - a tutti i livelli - del PdL di temi importanti come il liberismo economico, il senso d’identità ed appartenenza ad un’unica entità culturale, religiosa ed anche etica potrà contribuire finalmente alla creazione di un soggetto politico che abbia la capacità e la lungimiranza di elaborare le strategie più utili per permettere al tessuto economico e sociale italiano di risvegliarsi dallo stato di torpore in cui è caduto da troppi anni: l’esempio della riforma universitaria appena approvata è un primo passo che sicuramente va nella giusta direzione.E’ palpabile tra i cittadini il bisogno di ricevere, nel più breve tempo possibile, risposte adeguate e certe alla richiesta di maggiore sicurezza, della diminuzione del livello delle imposte, dell’auspicio di una più rilevante competitività nel mondo del lavoro, di una più concreta sburocratizzazione della pachi-dermica macchina della Pubblica Amministrazione.Tale risposte possono essere dun-que date da un Popolo della Libertà maggiormente rafforzato a tutti i livelli organizzativi, poiché certo non si potrà fare alcun conto sopra il contributo in termini di idee dei movimenti politici o partiti di opposizione che sono o strettamen-te legati ai veri poteri reazionari del Paese - sindacati, magistratura - o fanno dell’odio personale verso Berlusconi l’unica calamita capace di tenerli uniti.Tale fragilità strutturale dei par-titi che costituiscono l’opposizio-ne, oltre che a nuocere al Paese in termini di proposte politiche alternative a quelle dell’attuale Governo,rende merito certamente al panorama politico “pre- tangen-topoli”. In quali frangenti della storia repubblicana avrebbero mai potu-to recitare una parte importante politici come Bocchino, Granata, Di Pietro, Bersani o Vendola? Quando mai si sarebbero potuti vedere partiti scalcagnati come quelli presenti nell’attuale fase

politica nel Parlamento italiano? A chi sarebbe stato mai permesso di effettuare cambi di casacca, o salti della quaglia che dir si voglia , con la frequenza di quelli registrati negli ultimi mesi? Si sarebbe mai potuto immaginare un Berlinguer che lascia il Partito Comunista per approdare verso il “centro”? Ed un Almirante a braccetto con Cossutta? E neppure si sarebbe potuto vedere Fanfani abbando-nare Andreotti per gettarsi tra le braccia di un Craxi o di un Saragat qualsiasi. Venti, trenta anni fa all’interno dei partiti più o meno grandi si sarebbe potuto assistere allo sgretolarsi di qualche corren-te o correntina ma mai l’elettore italiano avrebbe visto la serie di (tradimenti) cui siamo obbligati ad assistere negli ultimi anni.Il PD è alle prese con l’eterno dilemma: primarie si , primarie no. Segretari di partito scarsamente rappresentativi frutto degli accordi sottobanco dei soliti signori delle tessere. In più il partito più grande dell’opposizione si trova ad affron-tare un’ardita minoranza interna, i così detti rottamatori di Renzi, che stanno contribuendo a creare più caos che altro.A destra invece la diaspora dei (Finiani) dal Popolo delle Libertà è stata dovuta, più che a motivazioni politiche, a rancori personali.Stentiamo a credere infatti che poli-tici- anche di lungo corso- che si proclamano di destra facciano del diritto di voto agli extracomunitari, della critica costante riguardo la posizione che le gerarchie vaticane hanno nei confronti di tematiche ben precise( diritto familiare, pro-creazione, orientamento sessuale) e della difesa ad oltranza dell’attua-le struttura dell’ingessato sistema istituzionale e sociale del Paese le battaglie per cui combattere all’in-terno del Parlamento italiano. L’auspicio è che dal prossimo anno sempre più persone culturalmen-te e politicamente adeguate siano chiamate a portare avanti nel Paese attraverso la propria azione e quella del Popolo della Libertà gli ideali che storicamente sono stati patri-monio della destra italiana - Dio, Patria e Famiglia per intenderci- poiché senza di ciò il PdL non potrà che essere niente altro che un altro PD o FLI : semplici sigle che non rappresentano gli ideali e i bisogni di una Nazione ma solo personaggi in cerca d’autore.

Giuliano Leo

La Piazza d’Italia - Interni

Il giorno della verità per il Governo Berlusconi si avvicina ma a temere di più il risultato del 14 dicembre sembrano essere proprio coloro i quali stanno tentando un intemerato, quanto insperato, colpo di mano nei confronti del Cavaliere.Negli ultimi giorni infat-ti la sicurezza con la quale il Presidente del Consiglio sta affrontando il conto alla rove-scia dei momenti che manca-no alla discussione al Senato e alla Camera dei Deputati, della mozione di sfiducia presentata da circa 85 Onorevoli apparte-nenti a FLI, UDC ed API, sta mettendo a dura prova le certez-ze che i firmatari della richiesta di dimissioni del Governo sino a pochi giorni fa ritenevano gra-nitiche. Insomma Fini, Casini e Rutelli sembrano vacillare nelle loro convinzioni - soprattutto riguardo il raggiungimento del

numero minimo di voti neces-sari a sfiduciare Berlusconi alla Camera - tanto che risultano assai varie e contraddittorie le proposte e le alternative che di ora in ora vengono avanzate al tavolo delle trattative con il resto delle opposizioni di centro sini-stra, sia su quello dei negoziati con la maggioranza costituita dal Popolo della Libertà e dalla Lega.Se poi questi continui mutamen-ti di direzione della tattica dei tre “congiurati” siano dovuti al fatto che essi hanno notizie certe di onorevoli pronti a saltare o risal-tare dalla parte del Presidente del Consiglio o perché non hanno preparato un piano “B”, non ritenendolo necessario in quanto sicuri che Berlusconi non abbia veramente l’intenzione di andare alla conta finale alle Camere, per metterli con le spalle al muro, invece di cedere ai loro ricatti all’ultimo minuto, questo lo si saprà solo dopo il voto della prossima settimana. Ma tenendo conto degli ultimi frenetici con-tatti tra gli “sherpa” delle due posizioni sembra che la paura di perdere la battaglia serpeggi più tra le truppe “casifiniane” che tra i fedeli del Presidente del Consiglio e della volontà degli elettori.Il Presidente della Camera Fini, che dovrebbe impersonare la figura istituzionale “super par-tes”, per ogni dove continua a criticare ogni atto del Governo oltre che auspicare le dimissio-ni del Presidente del Consiglio prima del 14 Dicembre, poiché Berlusconi dovrebbe prendere atto di non possedere più una maggioranza politica in grado di sostenerlo. Le censure a tali posizioni ovviamente ruotano intorno a più punti. La prima delle tante critiche che si pos-sono muovere al rottamatore di Alleanza Nazionale è che maga-ri per sfiduciare un Capo del Governo democraticamente elet-to dagli elettori bisognerebbe che tale passaggio fosse ratificato dal Parlamento attraverso un voto chiaro o per lo meno mediante una discussione, seppur accesa, alla luce del sole.Insomma la prassi democra-tica ed istituzionale a quanto

pare deve essere seguita solo dal Cavaliere, dal Governo e dai rap-presentanti di PdL e Lega Nord mentre sinistra, “finiani” e com-pagnia infangante possono fare e dire di tutto ad incominciare da chi, per il rispetto alla carica che occupa Fini, dovrebbe se non tacere, per lo meno dimet-tersi per avere mani libere poli-ticamente, ma si sa che nel suo caso la coerenza riguardo una posizione etica o politica è una indisposizione fisica che al mas-simo ha la durata di un’influenza stagionale. Se poi qualche cre-dulone si aspetta dal Presidente della Camera il rispetto delle regole stabilite - e noi certamen-te non siamo tra questi - verrà sistematicamente deluso anche alla luce delle esperienze passate, poiché l’ex “Duce” della destra italiana non ha mai convocato un congresso serio di Alleanza Nazionale ed ha sempre deciso

tutto in solitudine - dalle allean-ze elettorali all’”Elefantino”, dai Ministri ai deputati, dalle ster-zate etiche e politiche alle epu-razioni degli oppositori alla sua linea politica. In secondo luogo se Fini ed i suoi manutengoli del momento sono sicuri del fatto loro e soprattutto dei numeri in loro possesso cosa temono da un voto parlamentare?Non sono certamente così “signori” da voler evitare a Berlusconi la magra figura di un “cappotto” alla Camera! Il doppiopesismo della “santa alle-anza” contro il Presidente del Consiglio si evince poi ancor di più dal fatto che se Berlusconi venisse sfiduciato, lo sarebbe per una manciata di voti e quasi sicuramente solo alla Camera e non al Senato, in tal caso non si capisce il meccanismo mentale dei congiurati secondo il quale la governabilità impossibile per “sua Emittenza” sarebbe in que-sto caso garantita a loro.Il fatto poi che si è in una fase di confusione completa lo si evince pure dalle parole ondeggianti del fido caporale di giornata di Fini, Bocchino, per il quale di volta in volta, a seconda forse del tempo meteorologico, Berlusconi si deve dimettere ovviamente senza neppure appurare se ancora pos-siede in Parlamento la fiducia degli onorevoli ma soltanto sulla parola dei suoi detrattori per poi sparire dalla scena politica italia-na buono buono.Altre volte invece, molto appassionatamente, concede al Cavaliere, con molta magna-nimità da parte sua, bisogna ammetterlo, la possibilità di un reincarico - un Berlusconi “bis” insomma - purché mediante la costituzione di un’alleanza allargata comprendente pure l’UDC. A questo punto l’unica è che Bocchino soffra di sdop-piamento della personalità in quanto Egli sembra fungere da portavoce alternativamente di Fini e di Casini forse perché non riesce più a distinguerli visto che i due hanno occupato nel passa-to e nel presente lo scranno più alto della Camera oppure per le loro origini? O invece perché Futuro e Libertà è un partito al momento così liquido da essere

obbligato a stare il più vicino possibile - tanto da esserne dif-ficilmente identificabile - ad un contenitore solido come può esserlo l’UDC?Fossimo in Bocchino ci pre-occuperemmo più del proprio futuro politico che di quello di FLI, Unione di Centro e dei rutelliani, poiché se non riesce lo sgambetto al Cavaliere difficilmente Fini - visti anche i precedenti rispetto agli ex colonnelli Storace, Alemanno, La Russa, Gasparri, eccetera - si interesserà alla sua sorte se dovrà preoccuparsi Egli stesso della propria di “poltrona”. Di tanto prodigarsi - assai sospetto in verità - per la causa dell’UDC sembrano sorprendersi pure gli stessi rappresentanti del partito di centro, tanto che accetta-no tale grazia piovuta dal cielo con molta circospezione anche perché, da buoni ex democri-

stiani, si sospetta sono in atte-sa di un cenno del Capo del Governo per un clamoroso rien-tro in maggioranza, per cui non vogliono farsi trascinare dalla vis polemica di Bocchino in una strada senza uscita.L’unico risultato che per il momento sembra sicuro è che Fini è riuscito con le sue avvedu-te tattiche a distruggere una mag-gioranza solida uscita dalle urne, minare il bipolarismo allo scopo di resuscitare l’italica pratica del “salto della quaglia”. La caccia è aperta, ed è inutile che questi “illuminati” provino ad elevarsi moralmente, stanno dimostran-do che ogni cosa essi vorranno ed hanno voluto fare non è per il bene del Paese ma per sedersi comodamente su qualche nuova poltrona, in fondo non proprio una novità…

Al Grand Hotel Flora in Via Veneto, il 16 dicembre si è svol-ta un’interessante ed intensa riunione di saluto ma anche di riflessione sugli ultimi avveni-menti politici organizzata dal Min. Franco Frattini con l’On. Franz Turchi.Si sono riuniti intorno al Min. Mariastella Gelmini, il Ministro Galan, il Coordinatore del PDL On. Denis Verdini, l’On. Biancofiore e molti altri parla-mentari e rappresentanti loca-li del PDL anche amici che volevano avere la conferma che il motore di un partito come quello del Presidente Berlusconi non fosse bloccato e intimorito dalle manovre degli ultimi mesi.La domanda fondamentale a cui si voleva dare una risposta era: cosa fare dopo la fidu-cia ottenuta dal Presidente Berlusconi e dal Governo da lui presieduto.Una parte fortemente pensan-te del centro destra che, dalle parole dell’On. Turchi, che ha iniziato la serata, ha rivendicato con orgoglio l’importanza di un partito unito e coeso in questa

fase e la scelleratezza delle scelte dei fuoriusciti di FLI, approda-ti ad un’inconsistente area di opposizione.Il Min. Frattini ha sottoline-ato le dinamiche che stanno muovendo il Governo e le contraddizioni in Italia dovute a continui conflitti ideologici che fanno perdere di vista, a chi sta all’opposizione, il reale bene del Paese. Esempio è come troppe volte i meriti di que-sto centro destra sono ricordati dai colleghi degli altri Paesi e quasi mai da quelli italiani, di opposizione. Ci sono stati anche importanti riferimenti alle parole pronunciate da Papa Benedetto XVI in merito alle giuste iniziative portate avan-ti dal Ministero degli Esteri a tutela dei cristiani laddove ci sono forti tensioni che hanno portato ad eventi tragici negli ultimi mesi.Il Min. Gelmini, molto attesa in vista dell’approvazione defi-nitiva della riforma dell’uni-versità il 22, ha criticato forte-mente quanto accaduto a Roma ed in altre città il 14 dicembre ma ha rimarcato con estrema

decisione la bontà della rifor-ma che ha richiesto non solo il suo coraggio ma quello di tutto il Governo che l’ha por-tata avanti.Le parole del Min. Galan, sim-patiche ma allo stesso tempo testimoni di come la gente si stia raccogliendo intorno al PDL ed la suo Presidente, hanno dato una linfa meno istituzionale forse nei toni ma di indubbia efficacia alla serata.La conclusione degli interventi, in un clima assai amichevole, è passata per le parole dell’On. Verdini il quale ha ribadito quanto sia importante unire e non dividere la destra dei moderati come invece qualcuno ha tentato di fare.L’evento si è concluso con un brindisi di augurio con tutti i presenti sia per le imminenti festività, sia per le sfide che il 2011 riserverà ad una destra che troppo presto qualcuno ha dato per perduta e che,anche grazie alle parole ed alla passione dei suoi rappresentanti di questa sera, è viva e certa delle prospettive di un movimento così ampio.

Gabriele Polgar

In una Roma avvolta dal gelo il cuore del PDL batte forte

Fini, Casini e Rutelli alleati a sorpresa del centro sinistra

La destra pensante

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I sinistrati 2010 un anno difficile

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La Piazza d’Italia - Esteri

Vedere un nesso causa-effetto tra il “fattore Wikileaks”, che ha messo in imbarazzo mezzo mondo politico e diplomati-co, e l’ultimo provvedimento ungherese in materia di infor-mazione non è ipotesi pere-grina. Solo apparentemente parados-sale è il fatto che più delle relazioni internazionali, sono le democrazie e i loro rappresen-tanti, in soggetti più intimo-riti dai vari dossier. Laddove traballa il consenso – base del sistema occidentale – tremano i polsi.Ecco dunque che si comincia a intravedere una stretta drastica sulla libertà di stampa e sui media, a tutti i livelli. Perché il più grande degli effetti di Wikileaks, i cui dossier sino-ra, hanno accreditato piutto-sto “pruriggini gossippare”, potrebbe essere quello “boo-merang”. Relativamente all’Ungheria, ultimo caso scottante in mate-ria si evince che ai diploma-tici statunitensi di stanza a Budapest sarebbe stato richie-sto da Wikileaks di raccogliere informazioni relative all’estate 2009, con tutti i dati sui politici ungheresi al governo e all’op-posizione in quei mesi. Dalle relazioni dell’Ungheria con NATO e Stati Uniti, alle mis-sioni militari all’estero, passando per le relazioni con la Russia e i paesi limitrofi, ma anche i piani dell’Ungheria riguardo alle minoranze magiare residenti in altri paesi, la situazione poli-tica locale, la Presidenza 2011 dell’Unione europea. Roba da ammazzare un toro. Inoltre, vi sarebbero da dare in pasto all’opinione pubblica informa-zioni molto dettagliate sui leader politici e di opposizione, sulla

sicurezza energetica del paese, gli estremismi, i Diritti Umani, il crimine. Naturalmente non mancano i rapporti sul partito di estrema destra Jobbik e sulla Magyar Garda, il corpo militare della formazione politica, ormai fuori legge. L’ex Ambasciatore USA in Ungheria, Andras Simonyi, con dichiarazioni che sembrano ai più di circostan-za, ha dichiarato all’agenzia di stampa MTI che non potrebbe emergere niente in grado di ledere i rapporti Ungheria-Stati Uniti.Proprio in quest’ottica, l’esta-blishment magiaro ha profu-so ogni energia per correre ai ripari, pena la sicurezza interna del paese.Una sorta di tabula rasa, un provvedimento andato in scena nella peggiore tradizione dei golpe del ‘900. Cose dell’altro mondo – si potrebbe dire – che in un paese dell’UE non ha precedenti.Con la maggioranza di due terzi il Parlamento unghere-se, controllato dal partito di destra Fidesz del primo mini-stro Viktor Orban, ha dato vita a una legge sulla stampa con i seguenti punti cardine:- soppressione delle redazioni di news alla tv e alla radio, che confluirebbero in un unico centro di notizie presso l’agen-zia di stampa nazionale Mti, finanziata dallo Stato: un vero e proprio repulisti.La nuova legge prevede multe salatissime agli organi d’infor-mazione nel caso di violazione di un interesse pubblico piutto-sto elastico, articoli “non equi-librati politicamente” o “lesivi della dignità umana”. La pos-senza delle sanzioni (multe che vanno da 700 mila euro per le tv, a 89 mila per i giornali e siti

internet) favorisce palesemente una sorta di censura preventiva, che di fatto scoraggia la pubbli-cazione di notizie scomode.Inoltre, i telegiornali dovranno rispettare un tetto del 20% per le notizie di cronaca nera e, nel solco della più classica delle tradizioni autarchiche, almeno il 40% della musica trasmes-sa dovrà essere di provenienza ungherese.Infine, la ciliegina sulla torta avvelenata. Ovverosia, l’ob-

bligo da parte dei giornalisti di rivelare le loro fonti per questioni legate “alla sicurezza nazionale” – questo Carneade in salsa ungherese - con le autorità investigative lecitate ad analizzare tutti i loro strumenti e i documenti anche prima di aver identificato un delitto. Tra penali letali e obbligo di rivelazione delle fonti, addio

scoop, praticamente addio notizie.Perché se il rischio di sborsare somme da capogiro scoraggia gli organi di informazione a dar notizie, quello di compa-rire come fonte diretta scorag-gia senza ombra di dubbio gli “informati” a rivelare alcun-chè.Tuttavia la connessione iniziale tra il “Wikileaks factor” e la deriva oscurantista di scena in Ungheria non completa l’ana-

lisi della situazione. La suddetta “legge bavaglio” infatti, va inscritta a pieno titolo all’ultimo punto dell’iter di realizzazione di un disegno politico preciso: l’accentramen-to del potere in seno al governo di destra. Una concentrazione di potere – questo si, imba-razzante – che assume come chiave di volta i media, veicolo

di consenso, in tutte le loro declinazioni.A luglio, in virtù della grande maggioranza ottenuta alle ele-zini di aprile, che gli consente di modificare la Costituzione e la struttura dello Stato, il primo ministro Orban ha subito isti-tuito un’Autorità nazionale delle telecomunicazioni con a capo la garante Annamaria Szalai (fedele al premier). Tale autorità è composta da cin-que membri tutti nominati dal

partito di governo, alla quale è stato assegnato un mandato di nove anni con inoltre la facoltà di emanare decreti. Poi è stato istituito un ente unico di cui fanno parte la televisione pub-blica (Mtv e Duna), la radio pubblica (Mr) e l’agenzia stam-pa Mti, con direttori nominati dal garante.Nonostante il premier Orban

ostenti sicurezza, dichiarando la legge in linea coi paramen-tri europei e faccia spallucci a chiunque, in patria e fuori muova pesanti critiche a tal provvedimento, l’Istituto inter-nazionale della stampa (Ipi), si è detto invece preoccupato per la situazione della stampa in Ungheria, e anche l‘Organizza-zione per la sicurezza e la coo-perazione in Europa (Osce), ha espresso critiche severe nei confronti della riforma.Nel rapporto di “Reporters sans frontieres” sulla libertà di stampa nel 2010 di 178 paesi, l’Ungheria figurava peraltro in alta classifica (24esimo posto). Sic stantibus rebus, la perfor-mance magiara in materia è destinata inesorabilmente a sprofondare.Il caso ungherese, inaudito nell’Unione europea, potrebbe avere uno sciagurato sequel in altri paesi, una sorta di conta-gio che inaugurerebbe quello che da tempo molti paventano: la morte dell’opinione pubbli-ca. Proprio come accade in Cina e in altre realtà avanzate economicamente, ma distanti anni luce alla democrazia.La stessa articolazione della cosiddetta “legge bavaglio” abbraccia la totalità dei media, anche della “rete”, da tutti con-siderata la realizzazione di quel-la sfera pubblica teorizzata da Habermas.Ecco perché, tornando all’in-cipit dell’articolo, è lecito domandarsi se il caso Wikileaks non sia un grande bluff, il nemico di cartapesta ideale per giustificare tutte le restrizioni summenzionate e impedire così la formazione del libero pensie-ro su scala globale.To be continued.

Francesco di Rosa

Mentre i media si stanno dedi-cando, quando non c’è una notizia relativa alle vacanze natalizie, alla questione dell’au-toproclamazione dello Stato palestinese, unilaterlamnente alle Nazioni Unite, in Africa potremmo essere all'alba di un nuovo massacro.In Sudan dopo decenni di conflitti e 2 milioni di morti, oltre ai 4 milioni di rifugiati, il 9 gennaio ci sarà il refe-rendum che stabilirà, almeno nelle intenzioni, la composizio-ne di questo Stato e di quello che dovrebbe nascere: il Sud Sudan.La divisione principale che ha portato a guerre e massacri è di matrice religiosa: al nord c'è la maggioranza musulmana e al sud quella cristiano-animista.Nel meridione ci sono anche le ricche risorse minerarie del Paese che di certo non potran-no essere ceduti in caso di vit-toria dei separatisti del Sud.La storia del Sudan è intrisa di sangue ed è per questo che la comunità internazionale si sta concentrando su questo evento: per paura che non venga accet-tato da Karthoum il verdetto delle urne e che l'instabilità e i rancori portino ad un'altra

lunghissima lista di morti tra la popolazione.I primi a preoccupar-si della situazione sono stati gli americani per voce del Segretario di Stato Clinton.

L'Italia, coinvolta nella stipu-la degli accordi del 2005 che

hanno portato a 5 anni di rela-tiva calma, guarda con pre-occupazione al panorama del Paese africano malgrado le ras-sicurazioni di Mustafa Osman Ismail, consigliere speciale di

al Bashir in visita a Roma: «Ci sono molte voci sul fatto

che dopo il referendum scop-pierà un conflitto, perché una delle due parti non accetterà il risultato», ha detto Ismail. “La consultazione verrà monitorata dalla comunità internazionale:

se gli osservatori diranno che il referendum è giusto, impar-

ziale, allora lo accetteremo. Ci siamo combattuti l’un l’altro (Nord e Sud, ndr) per oltre 50 anni, non vogliamo altre guerre”.Anche una star di Hollywood come George Clooney è sceso in campo, non come inutile testimonial, come spesso acca-de a personaggi tanto famosi, ma per qualcosa di molto più concreto: tramite la sua fon-dazione Not On Our Watch (Non sotto i nostri occhi) ha finanziato il Satellite Sentinel Project, in collaborazione con Enough Project e Harvard Humanitarian Initiative. Un progetto, a cui partecipa anche Google, per monitorare, tra-mite la copertura satellitare, il confine per testimoniare e pre-venire azioni ostili o addirittura veri e propri eccidi, nella spe-ranza che questo possa essere un deterrente forte. Il monito-raggio sarà pubblicato sul sito del progetto http://www.sat-sentinel.org regolarmente.Visto però quanto avvenuto in Darfur c'è poco da stare tranquilli, troppi gli interessi e poche le reali aspettative per un rispetto democratico del verdetto.Proprio a proposito del Darfur,

teatro di genocidi costati al Presidente al Bashir la con-danna della Corte Penale Internazionale, in un rappor-to delle Naizoni Unite viene dichiarato che sono stati ritro-vati proiettili di chiara e recen-te (2009) fabbricazione cinese usati contro i ribelli e contro le forze Unhaid delle Nazioni Unite.Se confermata, questa sareb-be una gravissima infrazione dell'embargo stabilito nel 2005 dalla comunità internazionale relativo alle forniture di armi al Sudan, non di certo la prima ma forse la più eclatante. I diretti interessati negano ma dal palazzo di vetro si dice che contemporaneamente stiano cercando di ritardare la pubbli-cazione del rapporto.il Sudan è una polveriera pron-ta ad esplodere anche se la spe-ranza non deve mai morire.Auguriamoci solo che la pachi-dermica diplomazia interna-zionale impieghi molto meno tempo a trovare soluzioni in caso di un ripetersi della sto-ria che, curiosamente, spesso annoia lo spettatore per la sua ciclicità ma quasi mai insegna a chi deve agire ripetendosi.

Gabriele Polgar

La morte dell’opinione pubblica

Sudan: il referendum democraticoL’esito favorevole ai separatisti potrebbe riaccendere la violenza

La legge bavaglio in Ungheria può inaugurare quanto paventato a più riprese dal popolo della rete?

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La Piazza d’Italia - Economia

Con la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, una parte significativa della Costituzione è stata modificata, a seguito del referendum confermativo che, il 7 ottobre 2001 ha votato il testo approvato dal Senato l’8 marzo 2001, deno-minato “modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione”. Le modifiche introdotte rispetto al vecchio testo della Costituzione sono numerose e riguardano tra le altre la ripartizione dei pote-ri legislativi e dei poteri di amministrazione tra i diversi livelli di governo presenti in Italia, i mezzi di finanziamen-to di Regioni ed enti locali e le regole di perequazione, infine la possibilità di forme di autonomia differenziata per le Regioni a statuto ordinario.Alle Regioni vengono attribu-ite alcune competenze in via esclusiva su alcune materie, per l’utilizzo di regole finanziarie uniformi per tutti i livelli di governo (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni). Per gli economisti interessati all’arte della politica econo-mica, la Costituzione ha una sua valenza aggiuntiva a quella giuridica. Essa concorre infatti a fissare quei giudizi di valore che gli consentono di costrui-re il ponte tra la possibile neu-tralità della teoria e le scelte concrete dell’azione politica. L’art. 119 del vecchio testo costituzionale attribuiva alle Regioni “autonomia finanzia-ria”, non precisando però se tale autonomia si riferisse alle entrate, alle spese o ai saldi di bilancio; indicava che l’auto-nomia finanziaria si esercitava “nelle forme e limiti stabili-ti dalle leggi nazionali”. La dottrina e la pratica legislati-va corrente hanno fissato che l’autonomia finanziaria delle Regioni si applica a tutte le grandezze che definiscono la politica di bilancio: i livelli di spesa, i livelli delle aliquote dei tributi propri, i parametri

delle basi imponibili dei tri-buti propri, i saldi di bilancio, il livello del debito regionale. Quindi il nuovo testo statui-sce che Regioni ed enti locali hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. In materia di autonomia tributaria, il nuovo testo si esprime con un linguaggio più forte rispetto al vecchio testo, in quanto afferma il principio che gli enti decen-trati “dispongono di risor-se autonome, stabiliscono e applicano tributi propri”. Un cambiamento molto rilevan-te nei criteri di perequazione rispetto a quelli dal vecchio testo, nel nuovo testo, è pro-posto, come modello basato sulla perequazione delle capa-cità fiscali, mentre nel vec-chio la perequazione era gesti-ta all’interno di un modello “legato ai bisogni”. Le quote del fondo perequativo devo-no essere destinate solo alle Regioni con minore capacità fiscale. Il nuovo testo dell’ar-ticolo 119 non affronta in modo diretto la questione più politica e più importante di un modello di perequazione: se le quote del fondo perequa-tivo devono eliminare o solo ridurre le differenze di entrata causate dalle differenze inter-regionali nella capacità fiscale. È interessante osservare come la Legge Fondamentale della Repubblica Federale Tedesca offra, a questo riguardo, una soluzione più precisa e circo-stanziata laddove fissa preci-si parametri quantitativi per le formule di perequazione da utilizzare nel governare i trasferimenti interregiona-li di risorse. Nella tradizione dei paesi che si riferiscono espressamente al criterio della perequazione delle capacità fiscali (per esempio Germania, Canada, Australia), la pere-quazione non si pone come obiettivo di eliminare le diffe-renze, ma solo quello di ridur-le. Nel caso italiano, sarebbe

una vera contraddizione avere introdotto il criterio di attri-buire le compartecipazioni alle singole Regioni in relazione al gettito prodotto nei loro terri-tori per poi eliminare, con le quote del fondo perequativo, le differenze interregionali che derivano dalla sua applicazio-ne. La lettura combinata del nuovo testo del 2° e 3° comma dell’art.119 porta al convin-cimento, che il Costituente abbia inteso conservare, alme-no in parte, le differenze nei gettiti pro-capite prodotti dalla diversità delle basi impo-nibili dei tributi regionali. Il nuovo testo attribuisce agli enti locali il potere di stabilire ed applicare tributi propri, secondo i principi di coordina-mento del sistema tributario, ovviamente tale imposizione deve necessariamente rientrare nell’ambito di una previsione legislativa a livello nazionale. La vera novità della nuova Costituzione è che la legge regionale potrebbe divenire la fonte istitutiva del tribu-to locale. Ora la competenza regionale in materia tributaria è solo di natura concorrente e riguarda, specificamente, il solo coordinamento del siste-ma tributario. Nella nuova Costituzione, le Regioni assu-mono un ruolo nella defi-nizione della legislazione di coordinamento del sistema tributario, essendo questa materia attribuita al regime della competenza concorrente. Essendo difficile pensare che le Regioni possano disporre di potere legislativo nel defi-nire il coordinamento tra il sistema dei tributi regionali e il sistema dei tributi statali, diventa più logico pensare che la ripartizione della competen-za sia intesa in senso verticale: il legislatore nazionale fissa i limiti e coordina l’esercizio dell’autonomia tributaria delle Regioni, il legislatore regio-nale fissa i limiti e coordina l’esercizio dell’autonomia tri-

butaria degli enti locali per tutti quegli aspetti che il legi-slatore nazionale vorrà affidare all’autonomia regionale. La separazione tra respon-sabilità politica (in capo a Stato e Regioni) e responsa-bilità amministrativa (in capo agli enti locali) può produrre effetti indesiderabili sulla con-trollabilità della spesa pubbli-ca complessiva. È probabile tuttavia che gli amministra-tori locali finiranno per porsi, al pari degli amministratori regionali nel caso della sani-tà, come interpreti dei biso-gni locali e delle esigenze dei lavoratori del settore. La loro azione sarà finalizzata a pro-durre aumenti delle prestazio-ni e della spesa, senza riguardo per i mezzi di finanziamento, ribaltati sulla responsabilità dei titolari della competenza legi-slativa. Il trasferimento delle funzioni verso enti ammini-strati in regime di rappre-sentanza politica non accom-pagnata da responsabilità di finanziamento, aumenta la trasparenza della distribuzio-ne territoriale dell’intervento pubblico, mette in evidenza le disparità di trattamento dei cittadini nei diversi punti del territorio e produce spinte imitative per aumenti di spesa diretti a raggiungere i livelli dei territori ed enti meglio trattati dai servizi ex statali. Il decentramento delle attività di spesa, non accompagnato da un corrispondente decen-tramento delle responsabilità politiche sul finanziamento è stato nel passato fattore nega-tivo, responsabile della perdita di controllo sulla dinamica della spesa pubblica.La nuova Costituzione, dun-que, interviene in modo ampio e parzialmente con-traddittorio sui problemi di finanza locale e sui rapporti finanziari tra regioni ed enti locali. Attribuisce, da un lato, la materia della perequazio-ne alla competenza esclusi-

va dello Stato e, dall’altro, la materia del coordinamen-to del sistema tributario alla competenza concorrente delle Regioni. La struttura di fede-ralismo fiscale che si legge nel nuovo Testo del Titolo V della Costituzione è certamen-te più articolata e complessa di quella statuita dal vecchio testo. I cambiamenti intro-dotti sono orientati verso una maggiore autonomia e verso un maggiore decentramento politico e amministrativo. Ci sono però dei rischi colle-gati alla dinamica degli effetti che può innescare il meccani-smo di devoluzione fiscale. A rilevarli è il senatore del Pd Stradiotto il quale utilizza i dati della Copaff, la commis-sione paritetica sul federalismo fiscale che lavora al Ministero del Tesoro. Deriverebbero enormi disparità tra Nord e Sud del Paese. Le regioni set-tentrionali beneficeranno di nuove risorse, mentre quelle meridionali saranno in netta sofferenza. Nel dettaglio, lo studio rileva che dall’applica-zione del federalismo fiscale, in particolare la perdita di risorse per i servizi essenziali per i capoluoghi di provincia nel passaggio dai trasferimenti all’autonomia impositiva pre-vista dalla riforma, è pari com-plessivamente a 445.455.041 milioni di euro. Tra i 92 capoluoghi considerati, 52 otterrebbero benefici dalla riforma proposta mentre altri 40 verrebbero penalizzati e di conseguenza alcuni di questi enti dovranno attingere dal fondo perequativo di riequi-librio per garantirsi le entrate necessarie e gestire i servizi. In sostanza, dalle proiezioni appare chiaro che il meccani-smo di devoluzione della fisca-lità immobiliare come prevista dal D.Lgs 292 rischia di non dare una risposta corretta alla necessità di riequilibrio nella ripartizione delle risorse tra i diversi Comuni. Per compen-

sare a tali forti differenze è necessario prevedere un fondo perequativo molto capiente e questo rischia di annacquare il federalismo fiscale in quan-to resterebbero in vigore dei meccanismi di ripartizione delle risorse simili a quelli degli attuali trasferimenti con il pericolo di non riuscire a rompere una storica sedimen-tazione di privilegi creatisi con la spesa e i trasferimenti storici.Nel dettaglio, il Comune capoluogo che otterrebbe i maggiori benefici dalla rifor-ma, sarebbe Olbia, con un incremento delle entrate del 180%, seguito dal Comune di Imperia con un incremento del 122% e Parma con un incre-mento del 105% e Rimini con il 74%. Il Comune capoluogo, invece, più penalizzato sareb-be l’Aquila con un taglio del 66% rispetto al 2010, verreb-be poi Napoli con un taglio del 61% e Messina con un taglio del 59%. È chiaro che si tratta di proiezioni, ma è altrettanto chiaro che se fos-sero vere si allargherebbe il gap tra Nord e Sud e questo dualismo non farebbe bene né alla crescita né allo sviluppo del Paese complessivamente considerato. La riforma del federalismo fiscale come su ampiamente riportata, lascia ancora aperte alcune questioni a livello di interpretazione, ma lascia anche molte per-plessità sulla dinamica degli effetti in termini di armoniz-zazione qualitativa dei servizi essenziali rivolti alla collettivi-tà. Sicuramente emergeranno Regioni più virtuose e Regioni meno virtuose, il timore è che la riforma del federalismo fiscale produca gli stessi effetti dell’euro, cioè determini la scomparsa del c.d. “ceto medio regionale” ed allarghi la forbice tra Regioni sempre più ricche e Regioni sempre più povere.

I rischi del federalismo fiscaleIl passaggio al nuovo sistema fiscale ad autonomia impositiva regionale può creare un dualismo territoriale

Poteva andar meglio , ma la situazione disoccupazionale stringe in una morsa ancor più forte il mercato del lavoro ita-liano . A settembre il tasso era all’8,4%. Ad ottobre, invece sale all’8,7%. È quanto comu-nica l’Istat nell’aggiornamento delle stime mensili relativa-mente al terzo trimestre 2010, aggiungendo che si tratta del valore più alto dall’inizio delle serie storiche mensili, ovvero dal gennaio 2004.Negli ultimi tre mesi, il nume-ro delle persone in cerca di occupazione risulta pari a 2.068.000 unità, con una flessione dell’1,7% (-36.000 unità) rispetto al secondo tri-mestre. La discesa congiun-turale della disoccupazione si concentra nelle regioni setten-trionali. Rispetto allo stesso periodo dell’anno preceden-te il numero dei disoccupati sale invece del 3,1% (+61.000 unità). Cala ancora il numero di occupati. Nel terzo trime-stre 2010 al netto dei fat-tori stagionali, risulta pari a 22.811.000 unità segnalando un calo rispetto al trimestre precedente pari allo 0,2%. A fronte della significativa disce-sa nel Mezzogiorno e, in misu-

ra più ridotta, nel Centro, l’occupazione rimane stabile nel Nord. La riduzione con-giunturale dell’occupazione, riguarda soprattutto l’agri-coltura e l’industria. Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, sempre in termini destagionalizzati, il numero di occupati scende di 176.000 unità (-0,8%), anche in termi-ni tendenziali il calo dell’occu-pazione riguarda in particolare il Mezzogiorno.Questi dati riflettono chiara-mente il persistente dualismo economico tra Nord e Sud e le relative difficoltà che il merca-to del lavoro incontra in termi-ni di armonizzazione e di coe-sione territoriale. Nonostante le notevoli difficoltà congiun-turali dell’economia nazionale ed internazionale, l’Italia ha saputo tenere i conti in ordine, ha cercato di non aumentare la pressione fiscale, e sta comin-ciando a definire ed attuare le prime riforme necessarie al cambiamento. Il mercato del lavoro però pur essendo ritenuto da tutti il luogo più importante per le dinamiche del sistema eco-nomico non è in considera-zione come meriterebbe. Le

politiche volte al riequilibrio della domanda e dell’offerta, in questo specifico mercato, debbono necessariamente avere un carattere strutturale per cambiare lo status quo. La verità purtroppo è che molte aziende stanno chiudendo i battenti perché non riesco-no a sopravvivere alla crisi economica. Molti lavoratori non riescono a trovare una nuova occupazione e da trop-po tempo redditi e consumi non traggono forza e vigore dai rispettivi mercati. È inutile ripetere come la stagnazione dei redditi e la conseguente contrazione dei consumi inci-da negativamente sulla ripresa economica. Ma c’è comunque da rilevare che, nonostante questi macroaggregati non rie-scano a fornire stimoli all’eco-nomia, le stime sulla crescita e quindi sul Pil portano un segno positivo seppur intorno all’1,3%. Se si vuole adottare una interpretazione natalizia del dato relativo al Pil italiano si prende il segno positivo e ci si ferma lì, se al con-trario, si vuole adottare una interpretazione più realistica si deve necessariamente conside-rare il livello di percezione, in

termini reali, della crescita e del benessere collettivo. Stime percentuali prossime all’unità non impattano per nulla sulla realtà dei fatti, il nostro Paese cresce talmente poco che i suoi effetti positivi sono.Del resto, va sottolineato che non siamo i soli a crescere in questi termini, c’è chi sta peggio di noi, ovviamente c’è chi sta meglio, quello che è certo è che la nostra colloca-zione non è buona rispetto al rango di Paese industrializ-zato e alle potenzialità stesse del nostro sistema economi-co. Conviene, allora, dare una spallata all’economia nazionale cercando di riportare stabilità e governabilità all’interno del sistema. Ultimamente, i lavori del Parlamento hanno subito un notevole rallentamento a causa di contrasti politici, proprio quello che non ci voleva in un periodo così delicato come l’attuale. Le forze politiche del Paese debbono fare appello al pro-prio senso di responsabilità e chi vuole impedire all’attuale Governo di portare a termine la legislatura si dovrà assumere tutta la responsabilità istituzio-

nale del caso. Per ridare fidu-cia ai cittadini, per realizzare l’interesse generale, per ridare fiducia all’economia, la politi-ca ha il dovere di dare risposte serie e concrete. Le istituzioni debbono garantire quel prin-cipio democratico secondo cui nell’ambito di una piena e libera dialettica parlamentare i partiti possono anche diverge-re purché tali divergenze siano di natura esclusivamente pro-grammatica in modo tale che dal dibattito politico-istituzio-nale possano scaturire propo-ste costruttive e indirizzate al raggiungimento del benessere della collettività. I dissidi per-sonali o meglio i personalismi finalizzati al raggiungimento inopportuno della leadership non fanno bene né all’econo-mica, né alla società nel suo complesso e determinano sem-pre più quella divaricazione tra le istituzioni ed i cittadini in termini di credibilità e di affidabilità. Questo governo, per evitare la crisi, deve resi-stere, deve governare fino alla fine garantendo stabilità a tutti costi, perché questa è indi-spensabile ad avviare la sta-gione delle riforme strutturali necessarie alla ripresa econo-

mica. L’ammodernamento del sistema Italia passa attraverso la realizzazione del program-ma elettorale che il Pdl ha presentato ai suoi elettori, per questo deve portarlo a termine con tutte le sue forze. Solo in tal modo si garanti-rà quel sostegno compatto ed unitario alle politiche econo-miche che in questi mesi deb-bono rinvigorirsi e debbono essere indirizzate al riequili-brio del mercato del lavoro. I lavoratori hanno il sacrosanto diritto di vedersi garantite le condizioni idonee a cercare un’occupazione, non è suffi-ciente che si mettano a cercare lavoro se il lavoro non c’è, per-ché le politiche pubbliche, a causa di impedimenti politico-istituzionali, non fanno altro che peggiorare le difficoltà del mercato del lavoro. Insomma, ai cittadini italiani non inte-ressa nulla, giustamente, del terzo o del quarto polo, quello che conta è che ci sia fino alle fine della legislatura questo Governo per fare le riforme necessarie e quindi per garan-tire a tutti i disoccupati ita-liani una migliore prospettiva economica e sociale.

Disoccupazione: una male da curare

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La Piazza d’Italia - Economia

All’orizzonte si prospettano rigidità normative per il piano di rientro sul debito pubblico degli Stati membri dell’Unio-ne Europea. Questa prospetti-va non piace affatto al nostro Ministro degli Esteri Franco Frattini, il quale ha dichiarato che l’Italia si opporrebbe a queste norme rigide. In termi-ni più espliciti si opporrebbe ad una modifica del Trattato UE che introducesse norme giuridiche per il rientro del debito entro il parametro del 60% (come del resto previsto a Maastricht).“Ci è stato detto con chiarezza e abbiamo visto il testo, che non ci sono né cifre né trend vincolanti, né rigidità. Se que-sto non fosse rispettato l’Italia potrebbe opporsi”, ha detto Frattini alla vigilia del vertice dei capi di Stato e di Governo Ue a Bruxelles. “Sul rientro del debito entro il 60% del Pil abbiamo ricevuto delle promesse molto puntuali secondo cui il debito aggregato e la sostenibilità del nostro sistema pensionistico saran-no considerati come fattori mitiganti”, ha proseguito il Ministro.Nel documento finale dei ministri delle finanze europei pubblicato il 21 ottobre scor-

so sulla riforma del Patto di stabilità che arriverà sul tavolo dei capi di Stato e di Governo, si dice, però esplicitamente che verrà definito un parametro numerico per valutare il ritmo a cui un paese riduce il debito pubblico in eccesso e si indica che, nel valutare il calo del debito, saranno presi in consi-derazione altri fattori giudicati rilevanti, senza elencarli.I criteri quantitativi precisi, la metodologia e le misure per valutare se il debito stia calan-do a un ritmo soddisfacente devono essere definiti e inseriti nella legislazione secondaria e/o nel codice di condotta, recita il documento prepa-rato ad ottobre dai ministri finanziari nelle vesti della Task Force guidata dal presidente Ue. L’indebitamento italiano dovrebbe raggiungere a fine anno il 118,5% del Pil, quasi il doppio del tetto del 60% posto da Maastricht.Secondo Bankitalia, il debi-to pubblico italiano a ottobre ha fatto registrare un nuovo record, si è attestato infatti a 1.867,398 miliardi di euro, in ulteriore crescita rispetto ai 1.844,817 mld fatti registrare a settembre. Non c’era bisogno di questi dati, comunque, per certificare l’andamento disa-

stroso del nostro debito pub-blico. La marcia inesorabile dell’indebitamento non alleg-gerisce per nulla il bilancio dello Stato e di conseguenza non facilita la ripresa econo-mica del Paese. A tal propo-sito più che soffermarsi sulle misure che potrebbe decidere l’Ue per fronteggiare la crisi debito pubblico degli Stati membri, ogni Paese dovrebbe, invece, e con profondo senso di responsabilità adottare una vera e propria politica di con-tenimento e di abbattimento del debito pubblico nazionale. Le politiche c.d. macroecono-miche, in un contesto di inde-bitamento pubblico elevato debbono necessariamente assi-curare l’esistenza e il funziona-mento del mercato, correggere le molteplici inefficienze deri-vanti dal concreto funziona-mento del mercato stesso ed assicurare una distribuzione della ricchezza ritenuta equa e a garantire la presenza di beni meritori.Come è noto la permanen-za di deficit e disavanzi nel bilancio pubblico, provocano un’accumulazione nel tempo di debiti. L’Italia ha un rap-porto fra debito e Pil troppo elevato, perché nel tempo esso è cresciuto a ritmi vertiginosi

ed incontrollati. Le politiche di rientro, cioè quelle volte alla riduzione del rapporto suindi-cato possono essere ottenute attraverso l’uso di molteplici strumenti capaci di influenzare fattori dai quali dipende la dinamica di quel rapporto. Anzitutto converrebbe evita-re un eccessivo irrigidimento dello stock di debito pubblico per lasciare quel margine di flessibilità necessario alla spesa pubblica a garantire l’efficien-za dei servizi. Esistono anche modi drastici per ridurre lo stock di debito, per esempio mantenendo un livello forte di inflazione, e chiaramente questa strada non è né percor-ribile né auspicabile in Italia in vista dei drammatici pro-blemi che stanno vivendo le famiglie a causa della scarsa redditività lavorativa, perché rischia in termini reali di man-dare all’aria in poco tempo risparmi lentamente accumu-lati, ed ha effetti redistributivi pesantissimi a volte incontrol-labili. Altrettanto drastica, pur se meno drammatica, sarebbe una politica di consolidamento del debito, che va dall’allunga-mento unilaterale delle scaden-ze al vero e proprio “rifiuto” da parte dello Stato di ripagare i capitali prestati, trasformando

i titoli in rendite perpetue. Un creditore dello Stato potrebbe in tal caso liberarsi del suo cre-dito soltanto rivendendolo sul mercato secondario, trovando cioè un altro operatore deside-roso di acquistarlo.Le politiche di rientro per-corribili e raccomandate dalle istituzioni economiche sono basate essenzialmente sul con-tenimento dei deficit pubblici attraverso misure restrittive di politica fiscale: tagli alla spesa pubblica e aumenti di imposte. L’ambizione è quella di otte-nere avanzi del bilancio “pri-mario” (calcolato al netto della spesa per interessi), che con-sentano di ridurre la velocità di crescita dello stock di debito fino a farla diventare inferiore alla velocità di crescita del Pil. C’è da rilevare però che le poli-tiche restrittive non sono prive di conseguenze. Diminuire le spese pubbliche e aumentare le imposte vuol dire ridurre ridurre la velocità della crescita del Pil, e quando il reddito nazionale diminuisce, il gettito fiscale diminuisce automati-camente, grazie al sistema di tassazione che fa dipendere le imposte dal reddito.C’è da osservare che in passato le politiche restrittive hanno comunque avuto l’effetto di

ridurre il rapporto debito/Pil. Infatti, se consideriamo la fase storica che parte dalla secon-da metà degli anni novanta, in Italia, ad esempio, da quel valore massimo del 122% rela-tivo al 1994, siamo arrivati nel giro di cinque anni al 114%. (dato del 1999). Attualmente l’Unione Europea sta cercando di definire norme giuridiche rigide per imporre agli Stati membri il rispetto del parametro di Maastricht debito /Pil, si auspica però, che la procedura automatica di sorveglianza possa non coinci-dere con una tempistica trop-po stretta. Ogni Stato ha una storia di debito pubblico a sé, per questo va valutata separa-tamente e con tempi differen-ti. Frattini ha ragione quando sostiene l’eventuale opposi-zione dell’Italia di fronte alla eventuale rigidità normativa dell’Unione Europea.Accanto alla giustezza della opposizione italiana occorre-rebbe un maggior contribu-to del Governo allo stimolo dell’economia nazionale in modo da evitare sprechi ed inefficienze e al fine di far ripartire in modo deciso il sistema economico italiano.

L’UE potrebbe definire norme troppo rigide per il rientro del debito degli Stati membri

Sotto accusa il debito in UE

Tutte le imprese vengono influenzate in qualche modo dai cicli generali nel sistema economico. Tali cicli sono ben documentati fin dai tempi biblici ed è improbabile che scompaiano in un futu-ro vicino. Comprendere gli andamenti e le cause dei cicli economici ha un’importanza vitale per tutti coloro che desi-derano operare nell’industria, nel commercio o nella finan-za. Quindi, è necessario che imprenditori e Governo inter-cettino le forze economiche che possono condurre a boom e recessioni. Perciò sarebbe molto pericoloso trascurare lo studio del sistema economico generale. Il messaggio essen-ziale che viene dalla macro-economia è che la maggior parte delle economie industria-li presentano una certa crescita positiva della produzione e dei redditi nel corso del tempo (in termini reali), ma che la tendenza di lungo periodo pre-senta una notevole volatilità. I governi hanno un limitato potere di influenzare queste variazioni ed è fievole la spe-ranza ottimistica che i cicli possano essere mai eliminati da un qualsiasi singolo gover-no operante da solo o anche di concerto con altri governi. Gli operatori economici devo-no imparare a sopravvivere alle ricorrenti recessioni e a trarre profitto dai boom.L’economia politica, in par-ticolare, aiuta a comprendere l’ambiente in cui operano le imprese. L’economia contie-ne un corpus di conoscenze riguardo al modo in cui fun-ziona il sistema. Tutti, dagli imprenditore ai rappresentanti istituzionali si pongono con-tinuamente domande quali: “L’economia si riprenderà l’an-no prossimo o nell’ultimo tri-mestre?”, “Che cosa accadrà se un nuovo produttore entra nel mercato”? “L’euro si apprez-zerà sul dollaro? e viceversa?”.

È chiaro che l’economia non è l’unica disciplina necessaria nell’attività imprenditoriale. Sono importanti molte altre discipline, comprendenti la contabilità, la statistica, il dirit-to, la psicologia, l’informatica.

Conoscere bene l’economia non è necessario né sufficiente per avere successo negli affari e nel risolvere i problemi di sopravvivenza delle imprese, però solide basi di economia conferiscono la capacità di ana-lizzare le situazioni aziendali e le congiunture economiche con una profondità difficile da

ottenere altrimenti.Pertanto, i governi hanno a disposizione lo strumento dell’economia politica per spiegare il comportamento del sistema economico costruen-do ipotesi e teorie valide per

fornire una soluzione utile ed efficace alla situazione che si è venuta a verificare. Se i policy makers non si avvalgono delle conoscenze proprie dell’eco-nomia politica non possono sicuramente risolvere alcun problema economico, oltre a non individuarlo e a capirlo. Questa scienza sociale è utile

anche per gli imprenditori perché fornisce loro gli stru-menti per capire l’evoluzione del mercato e per individuare la strada migliore per elevare la loro competitività e la loro profittabilità.

Perché il sistema economico italiano e quello internazionale negli ultimi anni è entrato in recessione? Questa è una tipica domanda di macroeconomia, cioè di quel settore genera-le della disciplina economica che considera la produzione dell’intero sistema economico e considera problemi aggre-

gati relativi all’inflazione, alla disoccupazione, alla bilancia dei pagamenti e ai cicli eco-nomici. Oggi, infatti, le cono-scenze macroeconomiche sono al centro del dibattito politi-co-parlamentare, dal quale si cercano gli strumenti per tro-vare soluzioni alla recessione/stagnazione che sta colpendo tutto il pianeta salvo alcune economie emergenti. Ma è suf-ficiente sforzarsi ad approfon-dire le teorie macroeconomi-che per restituire competitività alle imprese e per far riparti-re un sistema economico? La risposta è ovvia e non può che essere negativa.Al Governo italiano vengo-no imputate responsabilità in termini di politiche concre-te di intervento, il Ministro dell’Economia ha fermato la spesa per lo sviluppo del Paese.Non è da Tremonti, viste le più remote finanziarie, e non è neppure giustificabile questo atteggiamento del non fare con il rigore dei conti pubblici, per-ché se è vero che in momenti di forte indebitamento bisogna contenere la spesa pubblica non è accettabile non spendere nemmeno un euro per alme-no un intervento a sostegno del Welfare e delle famiglie. Quello che manca in questo momento è il coraggio di fare le riforme. Occorrono politi-che economiche che portino sostanziali cambiamenti nel mercato del lavoro, nell’econo-mia degli investimenti.Poiché le risorse sono scarse, è necessario compiere delle scel-te. Dal momento che un Paese non è in grado di produrre tutti i beni e i servizi che i cittadini desidererebbero con-sumare, deve esistere qualche meccanismo che permetta di decidere che cosa produrre e che cosa no, quale quantità di beni produrre, quali desideri soddisfare e quali no. In molte collettività queste scelte sono

influenzate da molte persone e da organizzazioni diverse, che vanno dai singoli consumatori alle organizzazioni di impren-ditori, ai sindacati dei lavora-tori e ai membri del governo. Una delle differenze tra le eco-nomie degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dell’India è la diversa influenza che i diversi gruppi hanno nel determinare queste scelte.Se una persona decide di avere una maggiore quantità di qualche cosa, essa, nel caso di una effettiva scelta, deve avere necessariamente una minore quantità di qualcos’altro. Si pensi, ad esempio, a un sog-getto con un reddito certo che sia in procinto di comprare il pane. Si potrebbe suppor-re che il costo del pane sia pari a una certa quantità di denaro per ogni pagnotta. Un metodo migliore per valutare il costo consiste nell’esprimerlo in termini di ciò a cui bisogna rinunciare per ottenere il pane; ad esempio, il consumatore decide di rinunciare ad andare al cinema per un certo numero di volte. Consideriamo ora il medesimo problema a livel-lo dell’intera collettività. Se il governo decide di costruire più strade, e ottiene il dena-ro necessario rinunciando alla costruzione di un certo nume-ro di scuole, allora il costo di strade nuove può essere espres-so in termini di scuole per ogni kilometro di strada. In economia, il costo espresso in termini di alternative a cui si rinuncia è denominato costo-opportunità.Tutto questo per dire che il problema dell’economia italia-na è in termini di costo-oppor-tunità. La realtà è che i costi del non intervento pubblico continuano a gravare in misu-ra crescente sulla collettività e sulle loro esigenze che troppo spesso non trovano soddisfa-zione e conforto in una politica economica a livello nazionale.

L’intervento pubblico ed il costo-opportunità

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La Piazza d’Italia - Approfondimenti

In un momento socialmente e poli-ticamente scomodo, caotico, incer-to e di protesta, perché questo pare davvero essere lo scenario che la gran massa del popolo italiano vive, a meno che non si appartenga alle ville dorate dell’alta società forgiate da una ricchezza che prende sempre più le distanze da un ceto medio che fatica a sopravvivere e da un proletariato che conquista il pri-mato numerico delle classi sociali, analizziamo un filosofo che ha fatto della disobbedienza civile un legitti-mo ricorso alle ingiustizie.Gandhi in un articolo del 1921 dirà di Henry David Thoreau: “ Thoreau forse non era un vero campione della non violenza” ma il suo scritto sulla “Disobbedienza Civile” è un’opera magistrale.A riguardo, si espressero in maniera similare e convinta prima Tolstoj e poi Martin Luther King.E’ “in modo civile, cioè non vio-lento” che chi sceglie la strada della disobbedienza civile si pone al di fuori della legge e ne accetta le con-seguenti sanzioni e provvedimenti; chi resiste, rifiuta di obbedire a quella legge che in coscienza reputa ingiusta, dunque la sua azione sarà immediata e avrà subito conseguen-ze, senza attendere che si formino maggioranze che un giorno forse saranno capaci di fare riforme volte a limitare violenze e soprusi.In effetti come sostiene Hume, la libertà come la giustizia e la dignità non si perdono in un giorno solo e visto che la libertà è eterna e attiva vigilanza, uomini che si sacrificano a pagare di persona le denunce dell’immondizia della politica fatta di gente a caccia di guadagni facili e privilegi, rappresentano il sale della terra. E, a differenza di quegli utopisti e riformisti che chiudono gli occhi aspettando un mondo migliore, il disobbediente civile non violento, agisce subito, hic et nunc.

Henry David Thoreau è un filo-sofo e scrittore statunitense, nato a Concord il 12 Luglio 1817 e morto nella sua stessa città natale, il 6 Maggio 1862.Fu tra i principali aderenti alla corrente del trascendentalismo ed è conosciuto soprattutto per due suoi lavori, “Walden, ovvero la vita nei boschi” (1854), opera questa decisamente autobiografica e “La Disobbedienza civile” (1849) in cui sostiene che è ammissibile non rispettare le leggi quando esse vanno contro la coscienza e i diritti dell’uomo, ispirando in tal modo i primi movimenti di protesta e resistenza non violenta.Coerente col suo credo, trasformò questo suo pensiero in azione nel 1846 quando si rifiutò di pagare la tassa che il governo imponeva per finanziare la guerra schiavista al Messico che egli considerava ingiu-sta perché contraria ai principi di libertà, uguaglianza e dignità. Per questo venne incarcerato, ma solo per una notte, perché una zia decise di pagare al suo posto la somma che lo Stato pretendeva.Nella prima opera citata, l’autore racconta due anni della sua vita, dal 1845 al 1847, trascorsi sulle rive del lago Walden, per recuperare un rapporto intimo con la natura e per ritrovare se stesso in una società che non rappresentava ai suoi occhi i veri valori da seguire, ma solo l’utile mercantile.La seconda opera contiene invece gli ideali e le riflessioni di Thoreau in merito alla Dichiarazione di Indipendenza del 1776 e la sua ferma opposizione alla guerra mes-sicano-statunitense.Il filosofo si pone su una posizione prettamente individuale ma volta al bene comune: la disobbedienza ad una linea politica, ad una legge e a decisioni governative deve essere condotta secondo coscienza, secon-

do il principio fondamentale che prima di essere politici, sudditi o cittadini, siamo uomini.Nella sua esperienza personale, Thoreau non era un anarchico, non chiedeva l’abolizione del governo in quanto istituzione, ma chiedeva subito un governo migliore perché oltre al potere stesso che lui vedeva e conosceva quotidianamente, nes-suno poteva dimostrare in maniera migliore quanto gli uomini potesse-ro essere ingannati e persino potes-sero autoingannarsi nel proprio interesse. Accusava il suo governo di non incoraggiare nessuna impre-sa, anzi ne denunciava la solerzia con cui le aveva tolte di mezzo, lo criticava nella sua volontà di non mantenere libero il Paese e di non volere istruire i cittadini.Auspicava un governo dove a deci-dere non fosse la maggioranza ma la coscienza del singolo; che questa non fosse delegata al legislativo, in quanto la rinuncia al proprio senso di rettitudine significava dimen-ticarsi di essere uomini prima che sudditi.Il cittadino, lamenta Thoreau, serve lo Stato come fosse una macchina, non con coraggio; egli vede intor-no a sé solo individui conformi, forgiati e utili alla stregua di pezzi di legno e denuncia la necessità di convertire questo cammino, perché non siano più questi i cosiddetti buoni cittadini.Una persona saggia, servirà come uomo ma mai si dovrà sottomettere ad essere “creta”.Sprezzante per il suo governo, nei confronti del quale dichiara che mai ci si potrà riconoscere e a cui non ci si può associare senza ignominia, delinea un’azione e un principio fondamentale: “Tutti riconoscono che esiste un diritto alla rivoluzione – il diritto di rifiutare obbedienza o di opporsi a un governo la cui inefficienza o tirannia siano grandi

e insopportabili” (pag. 21).La condanna non deve essere solo mentale, ma un atto pratico e visi-bile; i patrioti di oggi, gli uomini onesti, esitano, si dispiacciono, capi-ta che scrivano delle petizioni ma nulla di serio che abbia un qualche effetto. Il loro atteggiamento è quel-lo di una fiduciosa attesa che speri nell’intervento di qualche miracolo che ponga rimedio ai mali, così da non doversene più preoccupare. Magari il loro massimo impegno lo concretizzano dando un voto a ciò che considerano giusto, un piccolo incoraggiamento, utile più per con-vincere se stessi che qualcosa stanno facendo, che in qualche modo si stanno partecipando. Ma sempre se questo progetto giusto passi loro accanto e il più vicino possibile.Cosa è il voto, si chiede Thoreau; il voto non è che un gioco d’az-zardo con una certa tinta morale, ma certo è che la reputazione dei votanti non viene messa in gioco perché di sicuro a quei piani alti della società non si è vitalmente ed esistenzialmente interessati a che il giusto prevalga, poiché tanto sarà la maggioranza politica a determinar-lo, altro non è possibile fare.Il dovere di voto si trasforma nel dovere di compiere ciò che è con-veniente e dunque, anche votare per ciò che è giusto diventa non fare nulla. Il voto allora non arriva ad esprimere altro che un debole desiderio.“Un uomo saggio non lascia il giu-sto alla mercé del caso né desidera che esso si affermi attraverso il pote-re della maggioranza” (pag. 25).Come nota Thoreau per il suo stato, il Massachusets, quando la maggioranza deciderà di votare contro la schiavitù, sarà perché o la schiavitù non gli interessa più o perché è rimasto ben poco da abolire. Dov’è si chiede Thoreau, un uomo

che sia tale e che abbia una spina dorsale che non si può perforare con la sola pressione di una mano.Se un uomo, argomenta il filosofo, è convinto di essere oppresso, non può trarre gioia e soddisfazione dal limitarsi ad ascoltare; la percezione e l’attuazione di un diritto mutano le cose e i rapporti e questo è un fatto essenzialmente rivoluzionario, non armonizza nulla col preesi-stente e divide lo stato dallo stato, la chiesa dalla chiesa, la famiglia dall’individuo.Egli polemizza con la prassi di emendare una legge: emendare significa aspettare che si sia convin-ta la maggioranza ad un’azione del genere e quindi opporsi alla legge in questione diventa nell’attesa, un rimedio peggiore del male stesso. Ma se la maggioranza della classe politica è inadeguata a rappresen-tare i disagi e le richieste della col-lettività, anche questa più moderata opera diventa vana.Se il rimedio è peggiore del male è colpa di chi gestisce la cosa pub-blica che non è pronto a prevenire situazioni del genere mettendo in atto riforme significative, che non protegge la minoranza, che “grida e si oppone ancor prima di essere ferito” e non incoraggia i cittadini a star pronti ad indicare i suoi errori. La premura di ogni oppresso e di ognuno in generale deve essere quella di non prestarsi all’ingiustizia che si condanna.Quindi Thoreau nella prassi, invi-ta i suoi concittadini Abolizionisti, a non attendere che si formi una maggioranza al governo del Massachusetts per far prevalere ciò che è giusto, ma che si agisca nell’immediato godendo e facen-dosi bastare l’appoggio di Dio per l’uguaglianza di tutti.Così quando l’esattore delle tasse andò dal nostro filosofo per farsi pagare la somma richiesta per soste-

nere la guerra in Messico, l’esattore gli disse tra le linee “dunque ricono-scimi, sono lo stato”; lui non pagò e venne incarcerato. Così gli uomini operano per giuste cause, perché al servizio di giuste cause servono uomini non decine e decine di giornali.Una minoranza che si conforma ad una maggioranza non serve a nulla, una minoranza che attende una maggioranza è senza forza e il ricco è sempre colluso con l’istitu-zione che lo rende tale. Il denaro si insinua tra l’uomo e i suoi obiettivi e glieli fa ottenere, così mette a dor-mire tante domande e solo una ne fa sopravvivere, tossica e corrotta: come spendere.Sono in migliaia gli oratori, i poli-tici e gli eloquenti, ma nessuno ha ancora aperto la bocca per indicare la soluzione delle questioni gravi all’ordine di ogni giorno; l’eloquen-za è certamente amata come eser-cizio dialettico, per se stessa, ma non certo per le verità che può esprimere e per gli eroismi che può ispirare.Thoreau è un uomo che ha dichia-rato guerra al suo Stato a modo suo e pacificamente, seguendo i percorsi della sua obbedienza, badando a che il suo denaro non servisse per comprare uomini e moschetti.Ha fermamente creduto che uno stato non è davvero illuminato se non riconosce nell’individuo la forza più alta e indipendente; ha sperato in uno stato che non giu-dichi pericolosi per la sua quiete quegli individui che vivono per proprio conto, che lascia maturare i suoi frutti per preparare un cammi-no superiore. Ha immaginato che tutto questo potesse esistere, ma nel 1849 ancora non l’aveva visto in nessun luogo: tempi ancora non opportuni, incapacità a legiferare o naturale essenza della politica?

Ilaria Parpaglioni

Henry David Thoreau

A mente fredda, con dietro le spalle le immagini della vie del centro della Capitale in fiamme, delle vetrine rotte e delle pozzanghere sinistra-mente rosse, andiamo tra le righe di quel faustiano testo che è la riforma dell’Università recentemente appro-vata.Per il movimento studentesco, che il PD ha provato e prova a cavalcare, si tratta di una battaglia da CLN, di una postmoderna lotta partigiana da “Bella Ciao”, bandiere rosse per le strade da far impallidire le parate militari breznieviane.Ecco i punti controversi della rifor-ma (Fonte Ansa) che ha provocato oltre un centinaio di feriti tra le forze dell’ordine e soprattutto ha mosso milioni di coscienze tra i giovani di tutta Italia sull’adagio del famoso verso di John Donne “…E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana. Essa suona per te.”, verso ripreso poi anche da Hemingway quale epi-grafe sul romanzo che lo richiama nel titolo.ADOZIONE DI UN CODICE ETICO, per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parente-le. Per partecipare ai concorsi non si dovranno avere, all’interno dell’ate-neo, parentele fino al quarto grado. Alle università che assumeranno o gestiranno le risorse in maniera non trasparente saranno ridotti i finan-ziamenti del Ministero. Una passo disdicevole della riforma, per cui i ragazzi fanno benissimo ad intervenire e che per lo spirito di provocazione che lo pervade merita una dura riprovazione e la chiamata in causa dalla Corte per i diritti umani. Giustamente il Presidente della Repubblica è intervenuto a raccogliere le lamentele dei ragazzi, anche se non si conosce bene l’esito della conversazione.LIMITE MASSIMO AL MANDATO DEI RETTORI di complessivi 6 anni, inclusi quelli già trascorsi prima della riforma. Un rettore potrà rimanere in carica un

solo mandato e sarà sfiduciabile.Qui, quel diavolaccio della Gelimini ha veramente superato il segno: ma ci vogliamo forse davvero dimen-ticare di ringraziare gli Onoratissi Rettori delle Università italiane che con il loro latifondismo culturale hanno permesso l’emergere di una fiorente editoria scientifica che tutto il (sub)mondo ci invidia: l’Univer-sità deve restare uno stipendificio anonimo o non essere. Questo è un principio in nome dei diritti dei più deboli (i Rettori) che è costitu-zionalmente garantito, come giusta-mente ricordano anche Bersanov e tutto il suo politburo.DISTINZIONE NETTA DI FUNZIONI TRA SENATO E CDA: il Senato avanzerà proposte di carattere scientifico, ma sarà il CdA ad avere la responsabilità chia-ra delle assunzioni e delle spese. Il Cda vrà almeno 3 membri esterni su 11. Il presidente potrà essere esterno. Presenza qualificata degli studenti negli organi di governo. Negli auspici ed in pratica la gestio-ne universitaria esce fuori dagli ambiti politici e sindacali giacché i 3 membri esterni al senato univer-sitario che faranno parte del Cda (nuovo unico organo responsabi-le per assunzioni e spese) avranno la possibilità di divenire ago della bilancia nelle votazioni dell’organo amministrativo. Un esproprio ai danni dell’emi-nentissimo Soviet studentesco! Un segno ancora evidente della grave crisi etica indotta dall’autoritarismo individualista che pensa a gestioni manageriali invece che “magnage-riali”.Un motivo nobile per la mobilita-zione giovanile.DIRETTORE GENERALE AL POSTO DEL DIRETTORE AMMINISTRATIVO: il diretto-re generale avrà compiti di grande responsabilità e dovrà rispondere delle sue scelte, come un vero e proprio manager dell’ateneo. Qui per gli studenti il punto non è

chiaro ma comunque contestabile.NUCLEO DI VALUTAZIONE D’ATENEO A MAGGIORANZA ESTERNA per garantire una valu-tazione oggettiva e imparziale. Come sopra.GLI STUDENTI VALUTERANNO I PROFESSORI e questa valutazione sarà determinante per l’attribuzione dei fondi dal Ministero.Qui a contestare sono gli analisti.FUSIONE ATENEI: ci sarà la pos-sibilità di unire o federare università vicine, anche in relazione a singoli settori di attività, di norma in ambi-to regionale, per abbattere costi e aumentare la qualità di didattica e ricerca.Anche qui si va contro a quel-lo spirito fieramente campanilista che ha fatto dell’Italia il Paese da un milione tra province, comuni, comunità montane, ecc. ecc. , in pratica un insulto gratuito frutto di quella sottocultura da sit-com televi-siva berlusconiana di cui la Gelmini è un evidente prodotto.RIDUZIONE DEI SETTORI scientifico-disciplinari e R I O R G A N I Z Z A Z I O N E INTERNA DEGLI ATENEI, dagli attuali 370 alla metà (consistenza minima di 50 ordinari per settore). No a micro-settori che danneggiano la circolazione delle idee e danno troppo potere a cordate ristrette. Riduzione molto forte delle facoltà che potranno essere al massimo 12 per ateneo. Anche qui gli studenti non hanno ben capito comunque contesta-no giustamente perché “Striscia la Notizia” (e le Veline) dovrebbe(ro) essere nel palinsesto della RAI e non di proprietà privata.Sul punto la solidarietà della FIOM.RECLUTAMENTO E ACCESSO DI GIOVANI STUDIOSI: intro-dotta l’abilitazione nazionale come condizione per l’accesso all’associa-zione e all’ordinariato. L’abilitazione è attribuita da una commissione

nazionale sulla base di specifici para-metri di qualità. I posti saranno poi attribuiti a seguito di procedure pubbliche di selezione bandite dalle singole università, cui potranno accedere solo gli abilitati. Tra i punti salienti: Commissioni di abilitazio-ne nazionale autorevoli con membri italiani e, per la prima volta, anche stranieri; cadenza regolare annuale dell’abilitazione a professore, al fine di evitare lunghe attese e incertezze; distinzione tra reclutamento e pro-gressione di carriera. Il ddl introduce anche interven-ti volti a favorire la formazione e l’accesso dei giovani studiosi alla carriera accademica. Tra i punti salienti: revisione e semplificazione della struttura stipendiale del per-sonale accademico per eliminare le penalizzazioni a danno dei docenti più giovani; revisione degli assegni di ricerca per introdurre maggiori tutele, con aumento degli importi; abolizione delle borse post-dottorali, sottopagate e senza diritti; nuova normativa sulla docenza a contratto: riforma del reclutamento. Qui si mette in discussione l’italia-nità della ricerca e si minaccia quel valore del nonnismo invidiatoci da mezzo mondo! E’ forse possibile che l’autorevolezza del mondo acca-demico italiano che così tanto ha prodotto nel recente passato per la ricerca mondiale debba essere umi-liato magari dall’intervento nelle valutazioni per divenire professore associato e professore ordinario, di accademici provenienti da Harvard o Yale o Oxford o Cambridge: i giovani no! A questo schifo non ci stanno!GESTIONE FINANZIARIA, VALUTAZIONE DEGLI ATENEI, SCATTI STIPENDIALI SOLO AI PROFESSORI MIGLIORI, OBBLIGO PRESENZA DOCENTI A LEZIONE, MOBILITÀ DEL PERSONALE: Introduzione della contabilità economico-patrimoniale uniforme, secondo criteri nazionali

concordati tra Istruzione e Tesoro: i bilanci dovranno rispondere a criteri di maggiore trasparenza. Commissariamento e tolleranza zero per gli atenei in dissesto finan-ziario.Le risorse saranno trasferite dal ministero in base alla qualità della ricerca e della didattica. Fine della distribuzione dei fondi a pioggia. Obbligo di accreditamento, quindi di verifica da parte del ministero di tutti i corsi e sedi distaccate per evitare quelli non necessari e valu-tazione dell’efficienza dei risultati da parte dell’Anvur (istituenda Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Uni-versità e della Ricerca).Per i Professori l’obbligo di certifica-re la loro presenza a lezione. Questo per evitare che si riproponga senza una soluzione il problema delle assenze dei professori negli atenei. Viene per la prima volta stabilito inoltre un riferimento uniforme per l’impegno dei professori a tempo pieno per il complesso delle attività didattiche, di ricerca e di gestione, fissato in 1500 ore annue di cui almeno 350 destinate ad attività di docenza e servizio.Si rafforzano poi le misure annun-ciate nel DM 180 in tema di valu-tazione dell’attività di ricerca dei docenti. In caso di valutazione nega-tiva si perde lo scatto di stipendio e non si può partecipare come com-missari ai concorsi.Sarà favorita la mobilità tra gli ate-nei, perché un sistema senza mobili-tà interna non è un sistema moder-no e dinamico. Possibilità per chi lavora in università di prendere 5 anni di aspettativa per andare nel privato senza perdere il posto.Qui si mette in discussione il valore del dissesto se è motore di promo-zione sociale e di cultura dell’ideale tout court, i giovani dicono basta al mercimonio! Basta con questa cosa di fare i conti, di vedere se le strut-ture si reggono o meno e ci pensi qualcun altro, no!? Le Università sono delle comunità di Sant’Egidio

della cultura, così ci si prepara alla competizione e alla guerra di sistemi con le economie emergenti.Last but not least: DIRITTO ALLO STUDIO E AIUTI AGLI STUDENTI MERITEVOLI - Delega al governo per riformare organicamente la legge 390/1991, in accordo con le Regioni per spo-stare il sostegno direttamente agli studenti per favorire accesso agli studi universitari e mobilità. Inoltre sarà costituito un fondo nazionale per il merito al fine di erogare borse di merito e di gestire su base uni-forme, con tassi bassissimi, i prestiti d’onore.Qui inopinatamente si cerca di mutuare il sistema americano che permette ai giovani dotati di essere “chiamati” dalle migliori Università giacché è possibile, in virtù del pre-stito d’onore, pagare anche rette salate, magari di istituzioni anche private e non solo pubbliche a seconda della scelta dello studente. Incredibile: la capacità e la possi-bilità di scelta viene affidata allo studente e non è lo Stato a decidere per lui! Una vergogna. Lo studente meritevole potrà, ad esempio, essere chiamato dalla Bocconi o dalla Luiss o da qualche altro Istituto, non importa se pubblico o privato, per scommettere sulla propria costru-zione professionale e non sui soldi di Papà! Qui si vuole sfasciare la famiglia. Intervenga qualcuno!Questo è il succo del frutto avve-lenato lasciato ai posteri del Paese dalla riforma universitaria, un ten-tativo di derubare l’Italia di quella splendida prospettiva di sindaca-lizzazione della cultura scientifica e della ricerca che è stata la stagione post-sessantottina e che ci ha dato così tanto (in termini di debito pubblico).Anche noi quindi, ci uniamo a John Donne e all’eterno Hemingway per non mandarglielo a dire – ai ragaz-zi – che ora basta: è suonata la campanella, pulite tutto e tornate in classe.

Per chi suona la campanellaLa riforma Gelmini prende definitivamente corpo

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La Piazza d’Italia - Attualità

Non bastavano le tensioni che già ci sono, e forti, nel dibatti-to sul medioriente, non sono bastate le polemiche false e pre-testuose per quello sventurato assalto alla Freedom Flotilla turca mentre tentava di rom-pere l’embargo israeliano verso Gaza. I movimenti pro Gaza e pro Hamas vogliono riprovar-ci e stanno organizzando una seconda spedizione internazio-nale in cui sarà presente anche la componente italiana.Ma chi potrà farsi carico di divulgare l’informazione in merito a questa preziosa ini-ziativa? Presto detto: l’Ordine Nazionale dei Giornalisti.L’utilissimo Ordine tra le sue gradite e fondamentali funzio-ni, per accrescere il suo presti-gio e per dare un’idea certa di come affronta situazioni in cui dovrebbe quantomeno tenere distanze eguali tra le parti, ha deciso di organizzare, patroci-nare, promuovere la Freedom Flotilla II per l’Italia.I più assennati diranno che no è possibile, che hanno magari concesso uno spazio della loro sede di Roma e che magari non sono neanche al corrente di quanto stia avvenendo e invece, incredibilmente, non è così.Non si tratta di una improv-visata conferenza stampa ma di un evento organizzato in cui verrà presentato il libro “Verso Gaza” della giornali-sta Angela Lano, presente alla prima spedizione, alla presen-za, udite udite, del presiden-te dell’Ordine Enzo Jacopino (autore anche della prefazione), poi verrà proiettato il “docu-

mentario” The Raid di un altro dei partecipanti alla prima spe-dizione e poi verrà presentata la seconda spedizione, prevista per marzo 2011, alla presen-za dell’European Campaign to end the siege on Gaza, del Free Gaza Movement e della IHH turca e di altri rappresentanti di organizzazioni che appog-giano il regime islamo-fascita di Hamas a Gaza. L’IHH per esempio è nella black list tede-sca ed è in predicato di entrare in quella USA per i suoi forti legami con Hamas e con i Fratelli Mussulmani oltre ad essere stata coinvolta in indagi-ni per terrorismo; Mohammad Hannoun, presidente dell’Asso-ciazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese, altro ospite dell’evento, ha dichiara-to che tra i suoi assistiti ci sono anche le famiglie dei kamikaze. Alcuni esempi che permettono di delineare un chiaro profilo dell’iniziativa e che non lascia-no punti oscuri su quali siano i valori portati avanti.Che ci sia l’assoluta libertà di espressione in questo Paese non c’è dubbio, anzi sono coloro che appartengono alle aree vicine a questi progetti a lamentarne la mancanza, ma che venga usata la sede di quel-lo che dovrebbe essere l’organo supremo a tutela del fare infor-mazione e della sua correttezza per promuovere delle iniziative provocatorie, faziose e anti isra-eliane e soprattutto a favore di un partito come Hamas, sulla black list di Europa e Stati Uniti, responsabile di attentati sanguinosi, di crimini contro i

suoi stessi cittadini e contro i suoi oppositori, un partito che fomenta l’odio verso lo Stato ebraico, che nega la possibilità di pace e che viene sostenuto e finanziato dall’Iran, è a dir poco scandaloso.Questa è un’altra dimostrazio-ne di come l’informazione sia in pessime mani: i giornalisti da questo organo vengono giu-dicati e se quest’ultimo prende posizioni così definite, coloro che pensano e scrivono idee assai diverse come dovrebbero sentirsi, tutelati o minacciati? Non si tratta di valutare solo se è giusto o no agire in que-sto modo, è ora che in questo Paese si riprenda a valutare il concetto di opportunità perché francamente già è difficile com-prendere a cosa realmente serva un’Ordine come questo, se poi viene usato per legittimare iniziative come la Freedom Flotilla, che rispecchiano una parte (speriamo assai piccola) degli iscritti, allora veramente si arriva al grottesco.Usare l’Ordine per dare aiuto ad Hamas non è democrazia ma la dimostrazione di pura inciviltà sia per il soggetto che viene aiutato sia per l’uso che viene fatto da coloro che cre-dono di essere i padroni di qualcosa che dovrebbe garanti-re uguaglianza e libertà e che di certo non dovrebbe appartene-re a nessuno.Un’altra cosa che in Italia dovrebbe essere cambiata si è manifestata in tutte le sue contraddizioni, viva la demo-crazia.

Gabriele Polgar

“E’ un accordo storico e posi-tivo, utile al Paese, intesa asso-lutamente innovativa”, così commenta Silvio Berlusconi la joint venture tra Fiat Mirafiori e Chrysler. Si tratta di un accordo separato tra Fiat e sindacati, con la Fiom che non firma l’intesa per il rilancio dello stabilimento torinese siglata da Fim, Ugl e Fismic. Al termine di un mese di trattative, l’epilogo è quello ipotizzato alla vigilia dell’incon-tro: Fiat va avanti, investe un miliardo puntando sulla Jv con Chrysler e incassa le assicura-zioni che voleva sul piano della produttività. Il fronte sindacale, invece, con-ferma divisioni che sembrano ormai insanabili, con l’isolamen-to delle tute blu dalla Cgil che rischia di diventare un fatto-re “strutturale” nelle relazioni industriali. Ora l’intesa sarà sot-toposta al giudizio dei lavoratori alla ripresa dell’attività lavorativa dopo le feste, a metà gennaio. È un epilogo che l’ad Sergio Marchionne ha inseguito capar-biamente e che oggi saluta con estrema soddisfazione. Mirafiori scandisce: “inizia oggi una nuova fase della sua vita” e “potrà com-piere un salto di qualità e farsi apprezzare a livello internaziona-le, diventando un esempio unico in Italia di impegno condiviso da un costruttore di automo-bili estero come la Chrysler”. Ora assicura “Fiat farà partire gli investimenti previsti nel minor tempo possibile”.Il responsabile nazionale auto della Fiom, Giorgio Airaudo, parla di “firma della vergogna”, perché non si è andati neppure davanti ai delegati a firmare un accordo che limita la libertà e l’agibilità sindacale e peggiora le condizioni dei lavoratori”. Per il leader delle tute blu della Cgil Maurizio Landini, un referen-dum in questa condizioni “è illegittimo, perché si chiede ai lavoratori di rinunciare ai diritti, siamo oltre il ricatto”.Il Ministro dello sviluppo econo-mico, Romani, evidenzia, invece, come la firma dell’accordo sia “un tassello importante per la crescita del sistema industriale italiano”. Anche il Presidente

di Confindustria Emma Marcegaglia, che si è spesa negli ultimi giorni in una costante opera di mediazione, esprime “grande soddisfazione” per l’in-tesa raggiunta, che rappresen-ta “un significativo elemento di innovazione per le relazioni industriali e che va a vantaggio dell’intero sistema economico e produttivo del Paese”. Molto critica, invece la voce dell’opposizione. “L’accordo separato su Mirafiori, dopo quel-lo di Pomigliano, non può essere giudicato un successo da nessu-no. È un accordo regressivo”, osserva il responsabile economia e lavoro del Pd Stefano Fassina, “quello che continua a essere negativo è che si arrivi ancora una volta a un accordo separa-to, che sicuramente non favorirà corrette relazioni sindacali, non solo negli stabilimenti Fiat”. Numerose sono state le reazioni politiche, di tono e di contenuto diverso, alcune hanno posto l’at-tenzione sull’apertura di una fase difficile nelle relazioni sindacali nelle aziende italiane, altri, inve-ce hanno rilevato la giustezza e la fondatezza di questo accordo dal punto di vista della produt-tività e delle relazioni industriali sia a livello nazionale che inter-nazionale. Per capire meglio i termini dell’accordo occorre fare un po’ di chiarezza e cercare di fare una sintesi. Lotta all’as-senteismo, più turni settimanali, taglio alle pause; sono questi in sintesi le novità principali dell’accordo firmato giovedì sera da Fiat e sindacati per il rilancio dello stabilimento di Mirafiori. Sull’intesa, che prevede anche la richiesta di cassa integrazione straordinaria per un anno dal 14 febbraio 2011, è prevista la consultazione di tutti i lavoratori dello stabilimento. Per far cre-scere la produttività sono state fissate nuove regole di organiz-zazione del lavoro che occupa circa 5.000 lavoratori e a regime di punta a produrre 280.000 vet-ture l’anno: per quanto concerne la questione delle pause, queste saranno di tre di 10 minuti cia-scuna invece di due da 15 e una da 10 minuti. I dieci minuti che si lavorano in più saranno retri-

buiti (€32,47 al mese). Per gli altri lavoratori collegati al ciclo produttivo saranno confermati 20 minuti di pausa. Per quanto riguarda la mensa, la mezz’ora resterà collocata all’interno del turno (e non a fine turno come inizialmente aveva proposto l’azienda). Per quanto concer-ne il tema dell’assenteismo, dal luglio 2011 se non si sarà rag-giunto un livello di assenteismo inferiore al 6% (adesso è all’8%), i dipendenti che si assenteranno per malattie brevi (non oltre i 5 giorni) a ridosso delle feste, delle ferie o del riposo settimanale per più di due volte in un anno non avranno in busta pagato il primo giorno di malattia. Dal primo gennaio 2012, se l’assenteismo non sarà sceso sotto il 4% i gior-ni di malattia non pagati saranno i primi due. In riferimento ai turni, a regime si lavorerà su 18 turni (tre turni al giorno su sei giorni), con una settimana di sei giorni lavorativi e la successiva di quattro giorni. Il 18esimo giorno sarà retribuito con una maggiorazione (pagato 21 ore). Gli addetti alla manutenzione e alla centrale vernici lavoreran-no su 21 turni (sette giorni su sette), mentre per i dipendenti addetti al turno centrale (quadri, impiegati, operai) l’orario sarà dalle 8.00 alle 17.00 con un’ora di pausa non retribuita.A livello di organici, le assun-zioni del personale per la joint venture saranno fatte priorita-riamente dagli stabilimenti Fga di Mirafiori e successivamente dalle altre Fiat torinesi garanten-do retribuzione e inquadramento precedenti. L’accordo diventerà operativo dopo che sarà appro-vato dalla maggioranza dei lavo-ratori mediante referendum. In tema di straordinari, le ore saranno 120 obbligatorie ogni anno, (15 sabati lavorativi), 80 in più delle 40 attuali. Infine, l’accordo prevede che saranno tenuti corsi di formazione per i lavoratori cig la cui frequenza sarà obbligatoria. A fronte di questi contenuti dell’accordo, risulta del tutto evi-dente come sia molto equilibrato e vada proprio nella direzione di contemperare i diritti dei lavo-

ratori con quelli della produtti-vità aziendale. Pertanto, non si comprendono bene le opinioni contrarie dell’opposizione, ma si sa quando gli accordi lavorativi prevedono più lavoro, la sinistra non è mai d’accordo. Finalmente, dunque, un accordo che coniu-ga gli interessi dell’azienda con quelli dei lavoratori, centrando in pieno l’obiettivo del rilancio

industriale dello stabilimento di Mirafiori. L’auspicio è ovvia-mente che i lavoratori contri-buiscano a renderlo operativo mediante la loro approvazione referendaria. Quando ci si mette il cuore alla fine si partoriscono ottime intese con lo sforzo di tutti e per il bene del Paese e della colletti-vità Questo ne è sicuramente

un esempio molto importante. Sicuramente ne usciranno raffor-zate sia l’immagine industriale del Paese, sia la capacità relazionale di tutte le categorie interessate, tranne i soliti distruttori della coscienza economico-nazionale e finalmente anche Berlusconi potrà tirare un sospiro di sollievo in virtù di questo efficace inten-dimento.

Avanti Fiat L’Ordine della discordia L’Ordine Nazionale dei Giornalisti si affilia alla causa di HamasSiglato l’accordo tra Fiat Mirafiori e sindacati

Non stupisce né i letto-ri più attenti né quelli meno attenti l’allarme lanciato dal Governatore di Bankitalia Mario Draghi, sulla necessità di definire una prospettiva urgen-te di stabilizzazione dei precari. Tutti i dati statistici, sia nazio-nali che internazionali, rilevano una permanente stagnazione occupazionale del mercato del lavoro italiano. Ovviamente, il Governo ne è al corrente, e sta cercando di tamponare questa situazione utilizzando i classici strumenti, c.d. “ammortizzatori sociali”, che hanno la funzione di reintegrare la quota retri-butiva non più disponibile nel paniere dei lavoratori, in quan-to disoccupati.Gli ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione ordi-naria e straordinaria, pur con-sistendo in misure di sostegno al reddito finalizzate ad evitare, che i lavoratori rimangano privi di retribuzione quando il datore di lavoro non sia in grado per motivi legittimi, definiti anche “cause integrabili”, di riceve-re la prestazione lavorativa e di conseguenza non abbiano

più l’obbligo di corrispondere la retribuzione, non offrono la possibilità di beneficarvi a tutti i lavoratori disoccupati. Infatti, il ricorso a questa modalità di sostegno è applicabile solo a determinate categorie di lavo-ratori e solo a determinati set-tori produttivi. Ciò evidenzia in modo molto chiaro come la prospettiva di stabilizzazione dei precari in Italia, non goda di una piena soddisfazione, e quindi in conseguenza della sua parziale applicabilità non risol-ve il problema, neppure tempo-raneamente, all’universalità dei lavoratori disoccupati.Cosa fare? Da tempo si discute di flessibilità, di aumentare i stanziamenti per gli ammor-tizzatori sociali, di affidare più autonomia e potere alle agenzie interinali, ai centri per l’impie-go, ma nella realtà, il meccani-smo generale delle assunzioni non tiene conto ancora di que-sti istituti, e quindi le barrie-re all’ingresso del mercato del lavoro non sono state ancora eliminate. È agevole allora com-prendere come la modalità di intervento debba avere neces-

sariamente un carattere struttu-rale di stampo riformista, e che consideri, dunque, a 360° tutti gli istituti necessari per garan-tire il funzionamento sinergico degli interlocutori principali della domanda e dell’offerta lavorativa. Di qui la definizione di riforma strutturale, riforma perchè occorre fronteggiare l’evoluzione economica in atto con politiche tendenti al sod-disfacimento della evoluzione medesima, deve esistere cioè, una corresponsione biunivoca tra politica e cambiamento; strutturale perché occorrono interventi forti sulle leve basi-che del mercato del lavoro sia dal lato dell’offerta che da quel-lo della domanda.L’ultima riforma del mercato del lavoro, conosciuta come legge Biagi, è ben struttura-ta, perché prevede una serie di interlocutori tra domanda ed offerta che avrebbero dovuto ammorbidire quella rigidità che si era creata per entrare nel mercato del lavoro, soprattutto a causa di difficoltà relative ad assumere chi e secondo quale criterio. È chiaro che l’intro-

duzione di questi interlocutori non ha risolto il problema della rigidità, infatt,i il meccanismo delle raccomandazioni ancora è imperante e dominante su quel-lo meritocratico. Comunque la Legge Biagi aveva introdotto l’elemento della flessibilità che però nel corso del tempo si è tradotto in precarietà. Ma la flessibilità si può avere quando esiste continuità occupazionale, quando cioè, l’interruttore della domanda lavorativa è sempre acceso, quando, invece, accade quello che si è verificato in questi ultimi tempi, che l’offer-ta lavorativa comincia a decre-mentarsi, e l’offerta di lavoro, cioè i lavoratori che chiedono di essere assunti supera appun-to la domanda delle imprese e degli enti pubblici è chiaro che il surplus negativo non fa altro che tradursi in disoccupazione perché non assorbito dal mer-cato del lavoro. Di qui la neces-sità dell’intervento pubblico, ente regolatore della doman-da e dell’offerta, che mediante appositi interventi dovrebbe riequilibrare il mercato.La legge Biagi, ritenuta colpevo-

le di aver tradotto la flessibilità in precarietà ha rappresentato comunque l’ultimo tentativo di riforma strutturale in questo mercato.Mario Draghi afferma che “i giovani pagano il prezzo del non agire”, e invita il Governo a non abbassare la guardia: “le difficoltà dell’economia italiana a crescere non deve smettere di preoccuparci”.Quindi un’Italia al bivio tra stagnazione e crescita. Per il Governatore “è indispensabile offrire una prospettiva di stabi-lizzazione dei precari”.Quanto affermato da Mario Draghi è giusto e comprensibile, ma non è sufficiente stabilizzare i precari perché il numero dei disoccupati di lungo periodo soprattutto i giovani neolaure-ati, neodiplomati o che hanno terminato la scuola dell’obbli-go è molto maggiore di quel-li precari. Quindi l’intervento di stabilizzazione dei precari deve sicuramente trovare misu-re efficaci di risoluzione ma è altrettanto urgente intervenire su quelle categorie di persone che non riescono ad entrare nel

mercato del lavoro perché c’è una offerta scarsa o addirittura inesistente.Insomma, per risolvere il pro-blema della disoccupazione, in Italia occorre una coraggiosa riforma strutturale del mercato, anche a costo di inasprire le rivendicazioni sindacali, che la scienza economica ha sempre considerato i veri ostacoli delle politiche soprattutto del lavo-ro ed in particolare di stampo riformista.Se i sindacati hanno l’esigen-za di massimizzare i tesserati, l’Italia ha la necessità di ridurre drasticamente la disoccupazio-ne giovanile e quella relativa ad anagrafiche più avanzate. Questa necessità costituisce un dovere morale del Paese, un obbligo costituzionale che va legittimamente adempiuto.Ci vuole più coraggio e meno chiacchiere, meglio agire e scon-tentare qualcuno che non agire, perché la politica del non inter-vento genera costi sia sociali che economici che non fanno altro che aggravare il disagio preesistente.

Avanzino Capponi

L’allarme è del Governatore di Bankitalia Mario Draghi sulla eccessiva precarizzazione dei lavoratori italiani.

Stabilizzare o riformare strutturalmente il mercato del lavoro?

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La Piazza d’Italia - Attualità

Le lezioni di cinema che i grandi maestri della settima arte ci hanno lasciato con i loro capolavori, fortunatamente non cadono nel dimenticatoio e così succede che registi come Rodrigo Cortés accettano la sfida di portare sullo schermo una sceneggiatura ritenuta infilmabile. Questo giovane e talentuoso regista spagnolo segue, in modo intelligente, la lezione di uno dei suoi dichiarati maestri, Alfred Hitchcock. Fin dai racconti di Edgar Allan Poe il tema della sepoltura prematura è sempre stata materia della letteratura. Figlia di un’epoca in cui le conoscenze mediche e scientifiche non erano sufficientemente sviluppate per poter evitare il rischio di dichiarare cadavere un corpo in stato di catalessi, la fobia di risvegliarsi in una bara, di essere rinchiusi in spazi angusti e piccoli, ha percorso la letteratura di tanti paesi. Come rendere concreta al cinema questa angoscia, per mezzo

dell’ unità di tempo e luogo, in 94 lunghissimi minuti? E’ proprio questo che ha motivato Cortés e nonostante lo spazio sia ristretto, non rinuncia ai movimenti di macchina e riempie lo spazio filmico di voci, rumori e azione. Il risultato è un film assai meno claustrofobico di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, in cui, anche se ci stanno a cuore le sorti del civile americano rapito e rinchiuso in una bara in Iraq in attesa di riscatto, ci identifichiamo più con le sue azioni che non con la prospettiva di una fine lenta e dolorosa. Assieme all’uomo, infatti, sono sepolti un cellulare e vari attrezzi di cui si servirà nelle varie fasi della vicenda, e noi seguiamo con curiosità e partecipazione ogni atto di questo dramma che si trasforma di volta in volta in commedia dell’assurdo, tragedia, e action che si apre alla speranza.Soprassedendo sull’evidente aspetto politico, è fortissima anche la denuncia

dell’incomunicabilità nell’era della comunicazione istantanea. Il cellulare che dovrebbe garantire la sicurezza e il rapido contatto col mondo esterno diventa un nemico. E’ difficilissimo raggiungere chi dobbiamo contattare, sia per una sciocca dimenticanza, sia per il muro posto da decine di persone che svolgono nel loro loculo e con piccolezza d’animo il loro ruolo burocratico, senza mai spostarsi di un millimetro, nemmeno di fronte a una questione di vita o di morte. Apprezzabilissima la regia, con un finale risolto benissimo nonostante la prevedibilità e l’interpretazione di Ryan Reynolds, concentrata soprattutto sul corpo. Staremo a vedere cosa farà in futuro questo regista autodidatta e cinefilo che oltre ad omaggiare i mostri sacri del cinema, tenta di superarli.

Raffaella Borgese

Spesso ne parlano i media, è quasi sempre per denunciare gravi fatti legati alla droga o alle infini-te tensioni politiche e sociali, detenendo il primato mondiale della produzione e della commer-cializzazione di droghe (l’unico a trattare contemporaneamente marijuana, cocaina ed eroina). La Colombia è però una nazio-ne che vanta luoghi interessanti, che dal punto di vista turistico merita di essere visitato. Ubicato sull’Equatore nell’estremo nord ovest dell’America meridionale, confina ad est con Venezuela e Brasile, a sud con Equador e Perù, a nord-ovest con Panamà, mentre si affaccia a nord sul mar dei Carabi e ad ovest sul Pacifico; la striscia del Panamà ha sempre costituito il punto di transito e di collegamento tra i due subconti-nenti americani. A nord ovest presenta l’inizio dell’imponente catena delle Ande, mentre l’oriente offre pia-nure, savane e foreste tropicali poco abitate; la Sierra Nevada sul Caribe costituisce la catena costiera più alta del mondo, con

il Picco Colon che tocca 5.770 m. La sua copiosa varietà ambientale determina un clima assai mute-vole e la frammentazione in habi-tat piuttosto diversi (montagne,

ghiacciai, coltivi, praterie, foreste, giungle, savane, deserti e grandi

fiumi amazzonici) con una delle maggiori biodiversità del pianeta, il più elevato numero di specie animali e vegetali in proporzione al territorio, il primato assoluto di uccelli e 20 mila specie di

orchidee, il fiore nazionale. Il suo territorio gode di 33 par-

chi, 11 riserve e 5 siti Unesco. Un patrimonio naturale che pochi paesi possono vantare. La lingua comune è lo spagnolo e la religio-ne dominante è quella cattolica. Il mosaico sociale è composto

da culture diverse (pensiamo agli indios precolombiani, ai coloni

spagnoli, agli schiavi africani) che riverberano sull’aspetto culinario, musicale, artistico, del folclore e dell’artigianato, facendone un paese culturalmente affascinante che trova le sue massime espres-sioni negli scritti di Gabriel Garcia Marquez. Un possibile itinerario non può che partire da Bogotà, la bella capitale costruita nel 1538 a 2.650 m di quota sulla Cordigliera Orientale, con il suo quartiere storico centrale ricco di edifici di epoca coloniale; da non perdere il Museo dell’Oro, unico nel suo genere al mondo, con una raccolta di 34 mila pezzi aurei antichi e 20 mila in pietra, ceramica e pietre preziose, una salita al panoramico santuario di Monserrate, con vista su città e Ande, e alla singolare Cattedrale del Sale di Zapaquira scavata entro una miniera di salgemma. Tramite il servizio aereo si può raggiungere Neiva e visita-re il parco archeologico di San Agustin, il più vasto e straordina-rio centro cerimoniale precolom-biano del Sudamerica protetto

dall’Unesco, disseminato di enor-mi statue in pietra antropomorfe e zoomorfe, sarcofagi, tombe e sculture policrome, un museo all’aperto in un suggestivo con-testo ambientale tra montagne, giungla, canyon e cascate. Si pro-segue attraverso la Cordigliera centrale per Tierradentro, altro importante sito archeologico con grandi tombe e ipogei funerari decorati, ancora abitato da una comunità india. Dopo la città bianca coloniale di Popayan e il parco nazionale di Purace, for-mato da vulcani spenti, lagune, cascate, fonti sulfuree e varie spe-cie di flora e fauna endemiche, si arriva sulla costa caraibica a Cartagena, gioiello d’epoca colo-niale racchiusa entro mura del XVI sec. e protetta dall’Unesco, circondata da candide spiagge e da isole coralline. A ben guar-dare, forse è ora di rivalutare la Colombia e spogliarla da quella immagine che la costringe ad essere una meta turistica ancora non particolarmente goduta dai viaggiatori.

Alice Lupi

In una sera d’autunno del 2003, lo studente di Harvard Mark Zuckerberg, un genio dell’informatica, siede al suo computer e inizia con passione a lavorare ad una nuova idea. Passando con furore tra blog e linguaggi di programmazione, quello che prende vita nella sua stanza diventerà ben presto una rete sociale globale che rivoluzionerà la comunicazione. In soli sei anni e con 500 milioni di amici, Mark Zuckerberg è il più giovane miliardario della storia, ma per lui il successo porterà anche complicazioni personali e legali. David Fincher è tra i più innovativi cineasti contemporanei, in quanto sta tentando di tradurre in una visione adatta al pubblico di oggi la lezione di molto cinema americano del passato. Lo spirito liberal e sanamente indagatore degli anni ’70,

che spesso si poggiava sulle basi funzionali del genere (e su sceneggiature nella maggior parte dei casi inattaccabili) è stato fatto proprio dal regista che, in maniera alternativa sta tentando di avere uno sguardo non banale, né conciliatorio sulle contraddizioni del nostro tempo. The Social Network evidenzia ancora di più il tentativo del regista di sintetizzare con armonia la sua ricerca estetica all’interno di un’idea di messa in scena classica, senza tralasciare l’indagine civile sull’America contemporanea.Ma facciamo un passo indietro e torniamo al lavoro precedente di Fincher. A ben guardare, quasi tutti i suoi lungometraggi sono specchio di un aspetto più o meno contraddittorio della società americana di oggi. Il serial killer di Seven si scagliava contro i peccati capitali che

ormai regnavano incontrastati sulla morale comune. Il Nicholas Van Orton di The Game si trovava a passare guai di ogni sorta fondamentalmente a causa del suo arrivismo e della perdita di valori. In Fight Club è evidente il messaggio critico nei confronti dello status quo e del perbenismo. La voglia del cineasta di rappresentare le problematiche del nostro presente con toni apocalittici e visioni da incubo si è poi col tempo orientata verso una visione più lineare e pacata della messa in scena. Un film di svolta è stato senz’altro Zodiac in cui Fincher ripropone al pubblico la spinta liberal e indagatrice di cineasti come Sydney Pollack, Sidney Lumet, Alan J. Pakula. I due reporter (interpretati da Robert Downey Jr. e Jake Gyllenhaal) sono mossi dalla volontà di mettere l’informazione al servizio

del cittadino e ciò rimanda direttamente alla stessa volontà della mitica coppia formata da Robert Redford e Dustin Hoffman in Tutti gli uomini del presidente. Ebbene, come anticipato The Social Network sintetizza in qualche modo tutte le sperimentazioni fatte da Fincher in passato: si tratta del primo lungometraggio che mette al centro della storia, legittimandolo definitivamente agli occhi del pubblico, l’ultimo e più potente dei media informativi, internet, strumento principale di connessione globale. Attraverso la storia della nascita di Facebook e delle vicende giudiziarie legate al suo creatore Mark Zuckerberg, viene raccontata fra le righe la frammentazione psicologica ed emotiva delle generazioni più, ma anche meno giovani, ammaliate dalla possibilità di stringere rapporti virtuali potenzialmente infiniti, ma sempre più in difficoltà quando si tratta di stringerne nella vita reale. Zuckerberg, interpretato con notevole aderenza da Jesse Eisenberg, diventa in questo modo anti-eroe e simbolo di questa contraddizione contemporanea, senza diventare in alcun momento retorico o invasivo rispetto alla costruzione narrativa. Il merito di questo va anche attribuito alla penna finissima di Aaron Sorkin, genio assoluto quando si tratta di far passare un messaggio civile o sociale dietro dialoghi taglienti e trame complesse. Dal canto suo Fincher dirige il film mettendo l’inquadratura al servizio di dialoghi ed attori, molto più che nei lavori precedenti. Elegantissimo nella fotografia e perfettamente scandito nel montaggio, il film però non antepone mai la messa in scena alla storia e ai personaggi e trova un equilibrio tra visione e narrazione. C’è chi ha accostato quest’ultimo gioiello di Fincher a Quarto potere di Orson Welles: per quanto possa risultare azzardata, l’idea ha un suo fondamento. Se dal punto di vista prettamente cinematografico i

due lungometraggi non sono neppure avvicinabili – Welles con Citizen Kane ha riscritto l’estetica del cinema americano e mondiale, definendola negli anni a seguire – alcune similitudini sono evidenti: prima di tutto la scomposizione temporale della storia, ricostruita ad arte sull’evoluzione (o involuzione) del personaggio principale, fino a regalarne al pubblico un ritratto in chiaroscuro di affascinante ambiguità. In secondo luogo la riflessione profonda sul mezzo di comunicazione preso in considerazione: come Welles mostrava senza paura il pericolo di un uso improprio e personale della carta stampata anche Fincher ci insinua il dubbio, la sottile inquietudine che si accompagna all’uso di internet come possibilità/illusione di vita sociale. L’accostamento tra i due film è quindi plausibile, forse a pensarci per primo non è stato il cineasta, ma Aaron

Sorkin, uno scrittore che da sempre riflette sull’ingerenza dei media nei confronti dei fruitori e sulla responsabilità etica e civile di chi controlla l’informazione. Matrix ci aveva propinato la visione inquietante di un’umanità costretta dalla “macchina” a vivere una realtà virtuale, fittizia. The Social Network va oltre questa visione fantascientifica e ne propone una più reale e preoccupante: è il singolo individuo che ha scelto più o meno consapevolmente di connettersi alla “macchina” per cercare una connessione più o meno fittizia con quello che ci circonda. Senza voler appesantire questo aspetto con discorsi fatti e rifatti chi scrive si limita a constatare che Fincher, Sorkin, Eisenberg e il loro magnifico film ci mostrano il lato scintillante e allo stesso tempo oscuro, di chi più di tutti ha permesso che questo accadesse.

Buried - Sepolto Vivo

La Colombia che non ti aspetti

The Social Network

Esiste un paese che è quattro volte più grande dell’Italia, bellissimo, ricco di storia e cultura che ancora non gode di ottima fama