1-15/16-30 Aprile 2009 - Anno XLV - NN. 53-54 - Devastazione

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COPIA OMAGGIO In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Rom-Italy — Fondato da Turchi — www.lapiazzaditalia.it Dopo la forte calamità naturale che si è abbattuta nella regione dell'Abruzzo, e dopo l'ondata delle vittime del terremoto, ora si pensa a ricostruire le mura di una città devastata. Una città ferita, drammati- camente invasa dalla fu- ria di un terremoto che ha distrutto ogni frammento di vita umana. Ora il prob- lema è ricostruire una città, l'Aquila, che non esiste più. Sono state avanzate una serie di ipotesi circa la ricostruzi- one, il sindaco del Pd del capoluogo abruzzese, Mas- simo Cialente, preferirebbe veder usate le risorse per rimettere in piedi il centro storico e per dare ordine alla periferia. Più possibilista, invece, il presidente della Regione Gianni Chiodi che però sottolinea l'importanza di non abbandonare il cen- tro. Le perplessità derivano, fondamentalmente da due motivi. Il primo è il timore per l'abbandono del centro storico. L'incubo che tutti vogliono rimuovere è quella città fantasma che inquieta chi all'Aquila è nato e cresciuto. Si vuole cercare di far ri- tornare a a vivere in fretta quel centro storico che ha bisogno di lavori ingenti di ricostruzione e di consolida- mento. Il secondo è di natura ambi- entale e urbanistica: l'Aquila ha un'estensione territoriale vastissima, ma ha avuto uno sviluppo disordinato nelle periferie, soprattutto ad ovest. Ciò rende difficoltosa l'individuazione di un'area abbastanza grande e con le caratteristiche necessarie per far nascere un'Aquila due, come ipotizzata da Berlus- coni. Al di là delle problematiche di natura urbanistica e affet- tiva, lo strumento principale che andrebbe a finanziare la ricostruzione della città è il canale del credito. Il terre- moto che ha colpito l'Aquila ferisce una realtà economica impegnata a rispondere alle conseguenze della crisi e della deindustrializzazione attraverso un'opera di valor- izzazione delle componenti migliori del settore terziario, dall'eccellenza dell'istruzione universitaria alla qualità dei consumi culturali e turistici. Capitale umano e patrimo- nio culturale potranno es- sere tra gli assi portanti della ricostruzione. Di fondamentale impor- tanza è il fondo di solida- rietà deliberato dalla giunta provinciale chietina per la ricostruzione degli edifici pubblici distrutti dal sisma. In particolare quanto verrà raccolto attraverso le dona- zioni che enti e cittadini vorranno effettuare sarà dev- oluto a favore della Provin- cia dell'Aquila, per la riedi- ficazione dei plessi scolastici di propria competenza. A rafforzare il gesto di solidari- età e a sottolineare la volontà di contribuire in prima per- sona alla causa i primi con- tributi saranno donati pro- prio dall'amministrazione chietina, che ha deciso di trattenere e devolvere parte della propria indennità. E' stato acceso un conto cor- rente bancario dedicato al fondo di solidarietà per la ri- costruzione della Casa dello Studente dell'Aquila. Non si può non sottolineare l'importanza del fondo di solidarietà per le catastrofi naturali a livello europeo, uno strumento necessario e flessibile per fronteggiare le emergenze. Mentre il pre- mier rifiuta l'ipotesi di aiuti dall'estero, anche se tempo- raneamente, da Bruxelles il Direttore del comitato eco- nomico e sociale europeo chiede che venga messo in moto il Fondo di Solidarietà per le catastrofi naturali, che l'Ue ha istituito nel 2002 per far fronte a situazioni estreme come quelle dell'Aquila. Il Presidente della Com- missione europea Barroso ha inviato un messaggio a Berlusconi per esprimere le “più sincere condoglianze”, e solidarietà verso il “terri- Devastazione LA PIAZZA D’ITALIA Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 Durban 2 Pensione Strasburgo ESTERI — a pagina 5 — — a pagina 4 — POLITICA L'Italia del 2009 Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti www.lapiazzaditalia.it Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 - DCB-Roma 1-15/16-30 Aprile 2009 - Anno XLV - NN. 53-54 0,25 (Quindicinale) Che brutta pagina ha visto il nostro Paese in queste ore! Si, davvero brutta…dalle candidature alle polem- iche in “casa”. Credo, infatti, che uno Stato che sia tale, si deb- ba distinguere per quello che propone, gestisce o, laddove necessita, per come interviene come in Abruzzo per le emer- genze, ma non certo per una polemica come quella che ho visto e letto. Mio malgrado mi trovo fuori dalle liste per scelte che non condivido ma che non voglio commen- tare perché lo riterrei inopportuno però sì che commento la mancanza della Politica alta, ba- sata sui valori e principi che da sempre hanno contraddistinto questo Paese e hanno dato fidu- cia lì quando ne ha cer- cato; hanno dato speran- za lì quando ne abbiamo avuto bisogno; hanno dato solidarietà quando è stata donata. Si, io sono per Dio, Pa- tria e Famiglia, ne sono orgoglioso, lo dico, me lo ha insegnato mio pa- dre ed è giusto che io difenda in tutte le sedi le mie scelte ed i miei principi. A tutti dico: fate con ac- cortezza la scelta sulle Europee e le Amminis- trative, perché è vero che in questo caso la pref- erenza è il nostro unico potere per noi cittadini, facciamolo valere, man- dando gente giovane, preparata e volenterosa di lavorare a Bruxelles nel rispetto dei nostri programmi e dei nostri principi. Abb. sostenitore da 1000 - Abb. annuale 500 - Abb. semestrale 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina Segue a pagina 2 di FRANZ TURCHI

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Devastazione - L'Italia del 2009 - Pensione Strasburgo - Durban 2 - Gli angeli dalla faccia sporca - La svolta obamiana nella politica estera statunitense - Social Global Pact - Sulla pace perpetua - Giano Accame - Il popolo di Vinitaly www.lapiazzaditalia.it - Fondato da Turchi

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COPIA OMAGGIO In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina

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Dopo la forte calamità naturale che si è abbattuta nella regione dell'Abruzzo, e dopo l'ondata delle vittime del terremoto, ora si pensa a ricostruire le mura di una città devastata.Una città ferita, drammati-camente invasa dalla fu-ria di un terremoto che ha distrutto ogni frammento di vita umana. Ora il prob-lema è ricostruire una città, l'Aquila, che non esiste più. Sono state avanzate una serie di ipotesi circa la ricostruzi-one, il sindaco del Pd del capoluogo abruzzese, Mas-simo Cialente, preferirebbe veder usate le risorse per rimettere in piedi il centro storico e per dare ordine alla periferia. Più possibilista, invece, il presidente della Regione Gianni Chiodi che però sottolinea l'importanza di non abbandonare il cen-tro. Le perplessità derivano, fondamentalmente da due motivi. Il primo è il timore per l'abbandono del centro storico.L'incubo che tutti vogliono rimuovere è quella città fantasma che inquieta chi all'Aquila è nato e cresciuto.

Si vuole cercare di far ri-tornare a a vivere in fretta quel centro storico che ha bisogno di lavori ingenti di ricostruzione e di consolida-mento.Il secondo è di natura ambi-entale e urbanistica: l'Aquila ha un'estensione territoriale vastissima, ma ha avuto uno sviluppo disordinato nelle periferie, soprattutto ad ovest. Ciò rende diffi coltosa l'individuazione di un'area abbastanza grande e con le caratteristiche necessarie per far nascere un'Aquila due, come ipotizzata da Berlus-coni.Al di là delle problematiche di natura urbanistica e aff et-tiva, lo strumento principale che andrebbe a fi nanziare la ricostruzione della città è il canale del credito. Il terre-moto che ha colpito l'Aquila ferisce una realtà economica impegnata a rispondere alle conseguenze della crisi e della deindustrializzazione attraverso un'opera di valor-izzazione delle componenti migliori del settore terziario, dall'eccellenza dell'istruzione universitaria alla qualità dei consumi culturali e turistici.

Capitale umano e patrimo-nio culturale potranno es-sere tra gli assi portanti della ricostruzione.Di fondamentale impor-tanza è il fondo di solida-rietà deliberato dalla giunta provinciale chietina per la ricostruzione degli edifi ci pubblici distrutti dal sisma. In particolare quanto verrà raccolto attraverso le dona-zioni che enti e cittadini vorranno eff ettuare sarà dev-oluto a favore della Provin-cia dell'Aquila, per la riedi-fi cazione dei plessi scolastici di propria competenza. A raff orzare il gesto di solidari-età e a sottolineare la volontà di contribuire in prima per-sona alla causa i primi con-tributi saranno donati pro-prio dall'amministrazione chietina, che ha deciso di trattenere e devolvere parte della propria indennità. E' stato acceso un conto cor-rente bancario dedicato al fondo di solidarietà per la ri-costruzione della Casa dello Studente dell'Aquila.Non si può non sottolineare l'importanza del fondo di solidarietà per le catastrofi naturali a livello europeo,

uno strumento necessario e fl essibile per fronteggiare le emergenze. Mentre il pre-mier rifi uta l'ipotesi di aiuti dall'estero, anche se tempo-raneamente, da Bruxelles il Direttore del comitato eco-nomico e sociale europeo chiede che venga messo in moto il Fondo di Solidarietà per le catastrofi naturali, che

l'Ue ha istituito nel 2002 per far fronte a situazioni estreme come quelle dell'Aquila. Il Presidente della Com-missione europea Barroso ha inviato un messaggio a Berlusconi per esprimere le “più sincere condoglianze”, e solidarietà verso il “terri-

Devastazione

LA PIAZZA D’ITALIA

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Durban 2PensioneStrasburgo

ESTERI

— a pagina 5 — — a pagina 4 —

POLITICA

L'Italiadel 2009

Ricco, continuamente aggiornato: arrivafi nalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per unnuovo modo di fare politica in Italia

Una Piazza di confronto aperta aldibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuoveidee e nuovi contenuti

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Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 - DCB-Roma 1-15/16-30 Aprile 2009 - Anno XLV - NN. 53-54 € 0,25 (Quindicinale)

Che brutta pagina ha visto il nostro Paese in queste ore!Si, davvero brutta…dalle candidature alle polem-iche in “casa”.Credo, infatti, che uno Stato che sia tale, si deb-ba distinguere per quello che propone, gestisce o, laddove necessita, per come interviene come in Abruzzo per le emer-genze, ma non certo per una polemica come quella che ho visto e letto.Mio malgrado mi trovo fuori dalle liste per scelte che non condivido ma che non voglio commen-tare perché lo riterrei inopportuno però sì che commento la mancanza della Politica alta, ba-sata sui valori e principi che da sempre hanno contraddistinto questo Paese e hanno dato fi du-cia lì quando ne ha cer-cato; hanno dato speran-za lì quando ne abbiamo avuto bisogno; hanno dato solidarietà quando è stata donata.Si, io sono per Dio, Pa-tria e Famiglia, ne sono orgoglioso, lo dico, me lo ha insegnato mio pa-dre ed è giusto che io difenda in tutte le sedi le mie scelte ed i miei principi.A tutti dico: fate con ac-cortezza la scelta sulle Europee e le Amminis-trative, perché è vero che in questo caso la pref-erenza è il nostro unico potere per noi cittadini, facciamolo valere, man-dando gente giovane, preparata e volenterosa di lavorare a Bruxelles nel rispetto dei nostri programmi e dei nostri principi.

Abb. sostenitore da € 1000 - Abb. annuale € 500 - Abb. semestrale € 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina

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La Piazza D’Italia - Italia

Devastazione

La Piazza d’Italiafondato da TURCHI

Via E. Q. Visconti, 2000193 - Roma

Luigi TurchiDirettore

Franz Turchico-Direttore

Lucio VetrellaDirettore Responsabile

Proprietaria: Soc. EDITRICE EUROPEA s.r.l.

Registrato al tribunale di Roma n.9111 - 12 marzo 1963

Concessionaria esclusiva per la vendita: S.E.E. s.r.l.Via San Carlo da Sezze, 1 - 00178 Roma

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Manoscritti e foto anche non pubblicati, e libri anchenon recensiti, non si restituiscono. Cod. ISSN 1722-120X

Stampa: DEL GROSSO s.r.l.Via Emilia, 43 - 00187 Roma

FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI APRILE 2009

GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI:L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifi ca o la cancellazione scrivendo a S.E.E. s.r.. - Via S. Carlo da Sezze, 1 - 00178 Roma. Le informazioni custodite nell’archivio dell’editore verranno utilizzate al solo scopo di inviare copie del giornale (Legge 675/96 tutela dati perso-nali). La responsabilità delle opinioni espresse negli artioli fi rmati è degli autori

Tutta l’Italia ha stretto con un unico caloroso abbraccio le popolazioni abruzzesi colpite dal sisma

Il tremendo terremoto che la notte del 6 aprile scorso ha squassato il cuore dell’Abruz-zo provocando 295 morti e più di un migliaio di feriti oltre che a radere al suolo il centro storico de L’Aquila e di altre decine di borghi e paesi sparsi tra la Marsica, i mon-ti della Laga, e le pendici del Gran Sasso ha portato sotto gli occhi di tutti - oltre che la grandissima dignità e la forza d’animo con cui le popola-zioni colpite dal sisma stanno vivendo la terribile esperienza occorsagli - l’abnegazione e la dedizione con cui i soccorrito-ri, siano essi appartenenti alle forze dell’ordine, pompieri, militari o della protezione ci-vile, stanno aff rontando l’or-ganizzazione di questa prima

fase d’emergenza da cui sono scaturiti numeri da brividi. Infatti oltre al numero di mor-ti e feriti sopra menzionati, i circa 8 mila soccorritori han-no dovuto far sfollare dalle ol-tre 40 località delle province dell’Aquila, Teramo e Pescara investite dalle onde sismiche, quasi 50 mila persone, costru-ire dal nulla 41 aree di riparo dove ospitare pressappoco 20 mila cittadini, ed organizzare il ricovero di altrettante nei circa 170 alberghi della costa Abruzzese che hanno messo a disposizione delle autorità le loro strutture ricettive.Uno sforzo - quello dei soc-corritori che si è concretiz-zato già pochi minuti dopo la prima scossa avvenuta in piena notte - che è stato ap-plaudito per la rapidità e la capacità non solo da tutti i cittadini italiani ma anche dai commentatori stranieri a cui forse era rimasta impres-sa nella memoria, il caos e il dilettantismo della macchina dei soccorsi americana all’in-domani dell’uragano Katri-na che nell’agosto del 2005 praticamente distrusse New Orleans.Ma da chi è composto e come è strutturato questo vero e proprio “corpo d’élite” di soc-corritori, che tutto il mondo ci invidia e che loro malgra-do emergono agli onori del-le cronache solo in caso di disastri, pur lavorando ogni giorno per la salvaguardia e l’incolumità di tutti noi?Innanzitutto quello che fa della Protezione Civile del nostro paese una macchina rapida ad agire in ogni luogo e momento è appunto la di-stribuzione capillare in tutti i comuni d’Italia delle strutture che devono far fronte ai primi interventi.Infatti una legge dello Stato - la numero 225 del 24 feb-braio del ’92 - stabilisce che

il servizio nazionale di Pro-tezione Civile, coordinato politicamente e direttamente dal Presidente del Consiglio attraverso un dipartimento ad hoc, è costituito dalle ammi-nistrazioni dello stato centrali e periferiche, dalle Regioni, dalle Provincie e dai Comuni. Quindi, già da questa distri-buzione di responsabilità si capisce perché la Protezione Civile è capace in tempi rapi-di di mobilitarsi in ogni an-golo d’Italia. Negli altri paesi europei invece il compito di intervenire in caso di cata-strofi naturali è affi dato ad una sola istituzione o a poche strutture pubbliche.Naturalmente esiste, oltre che un’organizzazione ammini-strativa e decisionale, anche un “braccio operativo” co-stituito da professionisti del pronto intervento come i Vi-gili del Fuoco, Forze Armate, Polizia di Stato,Carabinieri, Finanza, Forestale, e da isti-tuti di ricerca come il C.N.R, l’Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione am-bientale), l’Istituto Nazionale di Geofi sica e Vulcanologia, l’ENEA, la Croce Rossa,il Soccorso Alpino e Speleo-logico. Ma il fattore che ha contribuito a far diventare la Protezione Civile una vera e propria macchina da guerra è stata l’azione di volontariato di migliaia di associazioni - circa 2500 diff use sia a livel-lo nazionale che locale - che sono iscritte ad appositi albi statali o regionali ed alle qua-li è riconosciuto per legge il ruolo di “struttura operativa nazionale” alla stregua delle organizzazioni statali prima citate.In questa maniera, decine di migliaia di volontari - oltre 1 milione e 300 mila - sono in grado di integrarsi insieme con la struttura costituita dal-le forze istituzionali per creare

in ogni territorio un servizio di pronta risposta alle neces-sità che di volta in volta la Protezione Civile si trova ad aff rontare. Ed è quindi facile comprendere come all’inter-no di una così grande massa di operatori si celino anche professionalità - ingegneri, medici, chirurghi,infermieri ecc. - o persone come mura-tori, idraulici, elettricisti, che attraverso le loro competenze costituiscono una ricchezza fondamentale per il Paese in caso di grandi emergenze. Ecco che troviamo associazio-ni specializzate come i gruppi cinofi li o subacquei, quelle formate da gruppi di radioa-matori, di speleologi o coloro i quali per statuto associativo si occupano dello spegnimen-to degli incendi boschivi. Insomma in pochi anni, il volontariato di Protezione Ci-vile è divenuto un fenomeno nazionale per partecipazione e capacità di organizzazione, ciò grazie anche all’impatto che hanno avuto sull’opinio-ne pubblica italiana le grandi emergenze verifi catesi nel no-

stro Paese negli ultimi decen-ni: alluvioni del Polesine e di Firenze, terremoti del Belice, del Friuli e dell’Irpinia in oc-casione dei quali si ebbe una grande mobilitazione sponta-nea di cittadini che peccava però di organizzazione e co-ordinamento. In ultima lettura - come spes-so accade - gli italiani hanno dimostrato di dare il meglio di loro stessi nei momenti più terribili e tragici. Non solo la struttura della Protezione Civile, ma tutta la società italiana nella sua inte-rezza si è mobilitata nell’ap-prontare ed inviare ogni tipo di sostegno: da quello mone-tario ai generi alimentari o di primo soccorso. Insomma per una volta il “Bel Paese” ha fatto leva su quella che molto spesso si è dimostrata una in-trinseca fragilità del “sistema Italia”: l’atavico senso di ap-partenenza e la strutturazione in mille campanili, associa-zioni, consorzi o corporazio-ni del nostro tessuto socio economico ha fatto sì che si scatenasse una vera e propria

gara di solidarietà, una com-petizione volta appunto ad aiutare lo sfortunato popolo abruzzese.“Gara” a cui non si sono sot-tratti certamente i giovani,tra i primissimi a prestare la pro-pria opera di soccorso sia in loco, che in tutte le piazze italiane, attraverso la collabo-razione con le organizzazioni non solo più direttamente legate al volontariato di Pro-tezione civile ma connesse all’associazionismo cattolico -Scouts, oratori, parrocchie - e a quello sportivo, solida-ristico o a titolo puramente personale: insomma la tan-to bistrattata generazione di internet, dei cellulari o dei “talk show” ha dimostrato di non aver assolutamente nulla di che invidiare alla “meglio gioventù” degli anni sessanta - tanto decantata dalla stampa di sinistra - che “salvò” tan-te opere d’arte in occasione dell’alluvione di Firenze o che scese in piazza a contestare durante le“radiose” giornate del ’68.

Giuliano Leo

per informazioni e abbonamentichiamare il numero verde:

Dalla Prima

Gli angeli dalla faccia sporca

bile terremoto”, l'esecutivo Ue “seguirà con molta at-tenzione gli sviluppi in Ita-lia”. Intanto il Presidente del Comitato economico e sociale europeo Mario Sepi, sempre da Bruxelles, ha fat-to circolare una nota in cui chiede che venga messo in moto il Fondo di Solidari-età per le catastrofi naturali, secondo una logica di inter-vento rapido che è alla base dell'istituzione di questo Fondo. Si ricorda appunto che tale Fondo è stato istitu-ito nel 2002 con il Trattato di Amsterdam per garantire la coesione economica tra gli Stati membri dell'Ue.

Si tratta di uno strumento fi nanziario supplementare distinto dagli altri strumenti strutturali, è stato creato su proposta della Commissione europea a seguito delle allu-vioni che hanno devastato i paesi dell'Europa centrale nell'agosto 2002. In caso di catastrofi gravi, gli Stati membri e i paesi con i quali sono in corso negoziati di adesione possono chiedere un sostegno fi nanziario a ti-tolo di Fondo di solidarietà. Occorre sottolineare che il FSUE non è stato istituito per sostenere la totalità dei costi generati in caso di catastrofe naturale. I danni a privati, ad esempio, sono es-clusi dalla sfera di intervento

del Fondo. Le azioni a lungo termine, quali la ricostruzi-one sostenibile, il rilancio economico e la prevenzione, possono fruire di vari inter-venti previsti nell'ambito di altri strumenti, in partico-lare i Fondi strutturali.Il Fondo di solidarietà eu-ropeo tende a fornire in maniera rapida, effi cace e fl essibile un aiuto fi nanziario d'emergenza per azioni quali le misure provvisorie di al-loggio o il ripristino di in-frastrutture indispensabili alla vita quotidiana. Alla fi ne del mese di ottobre 2003 il Fondo di Solidarietà eu-ropeo aveva sostenuto otto interventi in sette paesi, ap-provando in tempi estrema-

mente brevi lo stanziamento complessivo di circa 833 milioni di euro. I primi quattro interventi riguarda-vano le zone colpite dalle alluvioni del 2002 in Ger-mania, Austria, Repubblica Ceca e Francia, mentre i restanti quattro si riferivano rispettivamente al naufragio della “Prestige” (Spagna), ai terremoti in Puglia e Molise e all'eruzione dell'Etna in Sicilia, nonché ai terribili incendi divampati in Porto-gallo.Tuttavia oltre a garantire gli aiuti di emergenza, è neces-sario prevedere misure che consentano di fronteggiare una probabile ripetizione delle catastrofi , dovute

in parte agli eff etti nocivi dell'antropizzazione e in particolare ai mutamenti cli-matici sempre più rapidi. Di fronte a questa sfi da è neces-sario raff orzare la solidarietà europea.Gli Stati membri e la Com-missione saranno pertanto chiamati a sviluppare inizia-tive in questo campo, incen-trando il proprio intervento essenzialmente sul coordina-mento e la prevenzione.Nella fattispecie del sisma dell'Abruzzo la solidarietà nazionale è stata davvero stu-pefacente, e grazie all'attività coordinata della protezione civile, dei volontari, delle associazioni di vario tipo, c'è stata una mobilitazione

a 360°. Il Governo è stato sempre presente in ogni tipo di operazione ed ora in tempi rapidi la new town diventerà una realtà frutto dell'animus solidale degli italiani. An-che l'Europa comunque si è dimostrata all'altezza della situazione di emergenza. Se ogni emergenza venisse af-frontata con questo spirito i problemi non avrebbero diffi coltà a risolversi, però occorre attivarsi anche a pre-venirli questo ora è lo sforzo che tutti debbono fare.Questo dimostra anche che se l'Europa c'è anche gli Sta-ti membri possono risolvere le emergenze con molta tem-pestività. Il mondo plaude la solidarietà all'italiana.

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La Piazza D’Italia - Esteri

Diciamo la verità: Ahmadi-nejad è un fenomeno, lucido nella pianifi cazione, abile nel-la scelta dei toni, strabiliante nella scelta dei tempi.La conferenza di Ginevra or-ganizzata sotto l'egida delle Nazioni Unite, soprannomi-nata Durban 2, è il seguito di una prima conferenza in Sud Africa in cui il mondo della diplomazia fu incastrato nel-la trappola che alcuni (mol-ti) paesi decisero di tendere e che si dimostrò un attacco senza precedenti a Israele e ai valori dell’Occidente. Cono-scendo quindi l’inizio sareb-be stato diffi cile immaginare una conclusione diff erente da quanto puntualmente si sta verifi cando.Vale la pena soff ermarsi sul fatto che la conferenza sul raz-zismo prevedeva una platea di delegati e un solo capo si Sta-to, quello iraniano.Va sottoli-neato anche il fatto che, con-trariamente a quanto la logica imporrebbe, questa conferen-za non ha il compito di por-tare a un documento fi nale in quanto detto documento è stato già redatto dopo lunghi negoziati e per questo Israele, Italia, Germania, Usa, Cana-da, Olanda, Polonia e Nuova Zelanda hanno boicottato l'evento. Il contenuto del do-cumento “fi nale” per questi paesi era inaccettabile - anche con alcune mediazioni - tan-

to da infi ciare tutte le energie profuse (che anche e soprat-tutto il nostro Governo ha portato avanti per scongiurare il fallimento). Il vizio insor-montabile è stato che l’attuale conferenza partisse dalla vali-dità di quanto aff ermato nella prima conferenza di Durban.Contrariamente a quanto fat-to da questi sette virtuosi, gli altri paesi occidentali hanno voluto partecipare motivando la cosa con un idealismo sen-za alcuna base, frutto forse di quello spirito obamiano che sta pervadendo il mondo e che si manifesta col disarmo preventivo.Il risultato è stato che Ahma-dinejad ha continuato il suo teatrino, ha defi nito “l'entità sionista” quanto di più crude-le e razzista ci sia al mondo e ha incolpato l'occidente per la sua nascita, oltre che per i suoi silenzi (o approvazioni) riguardo l'iniziativa militare a Gaza, intascando gli applau-si di gran parte della platea, mentre le delegazioni occiden-tali mestamente sono uscite abbandonando la conferenza. Come da copione. Fuori da questo copione è stato l'ab-bandono della conferenza da parte delle delegazioni di Giordania e Marocco.Fin qui nulla di sorprenden-te, i ruoli, ben defi niti già da tempo, davano una visuale di quella che sarebbe stata la

conferenza sul razzismo: ti-ranni e l'islam radicale, com-patto, la fanno da padroni reinventando il concetto di razzismo e di discriminazione con i paesi occidentali, come al solito frammentati, che la fanno da spettatori e che, con la loro presenza, hanno legit-timato i lavori e le scontate conclusioni.Ma veniamo ai reali risultati della conferenza di Ginevra, visto che il razzismo era solo un pretesto: il Presidente ira-niano ha messo con le spalle al muro gli Stati Uniti di Oba-ma, ha messo in crisi i rapporti tra Santa Sede e Israele, che ha contestato la permanenza dei delegati vaticani, si è candida-to una volta di più a guidare i paesi che contestano il siste-ma occidentale usando ancora il palco dell'organo mondiale più importante per la tutela dell'uomo (almeno questa era la sua ispirazione ideale).Con gli Stati Uniti la situazio-ne è paradossale: da una parte Obama, con la sua politica della mano tesa, cerca una ritirata onorevole dal medio oriente, conscio del fatto che gli Stati Uniti non possono so-stenere costi di guerre lunghe e dai risultati incerti dopo la crisi che li ha piegati. Dall'al-tra deve scegliere cosa fare per-ché la questione del nucleare è ancora sul tavolo ma di tempo ne è passato tanto ed invano

e l'alleato di sempre, Israele, sta facendo pressioni per usa-re metodi più decisi e fermare il progetto di un paese il cui Presidente ha dichiarato di volerlo la cancellazione dalla cartina geografi ca. Cosa farà ora Obama? deciderà di con-tinuare a negoziare? E se Isra-ele dovesse attaccare i siti nu-cleari che lo minacciano cosa farebbe? Rinnegherebbe l'alle-anza per sancirne una nuova? Possibile, vista la disinvoltura dimostrata nel ripensare il va-lore di certi principi per cui tanti suoi compatrioti sono caduti. Non dimentichiamo che in questi giorni in Iran è stata condannata a otto anni (provvisoriamente, visto che le porte della pena capitale

sono sempre aperte) una gior-nalista statunitense-iraniana perché ha continuato il suo lavoro senza l'autorizzazione del regime ed è l'ultima di una lunga serie di giornalisti e blogger fi niti in prigione, o morti o semplicemente scom-parsi.Il mondo non è cambiato e il nuovo corso che gli USA stan-no intraprendendo, a seguito si di una grave crisi, ma pur sempre della durata di qual-che anno, rischia di compro-mettere gli equilibri globali per un periodo ben più lungo. L’amministrazione america-na sta facendo affi damento su cose che mai nella storia l'umanità ha dimostrato di avere: correttezza, lungimi-

ranza e altruismo.Obama, la sua squadra e qual-che europeo di troppo non vengono da un altro pianeta ma - a voler giocare con il pa-ragone - probabilmente sono appassionati di fantascienza e pensano che questi interlocu-tori con cui si stanno aprendo siano davvero “nuovi”, esseri più evoluti di noi che si mi-metizzano meglio di tutti gli altri nei mali e nei dolori che affl iggono il nostro pianeta e che un giorno si riveleranno dicendoci la loro verità.Speriamo solo che questa ve-rità non abbia il volto violen-to che spesso, purtroppo, la storia ha vestito per guardare negli occhi gli illusi.

Gabriele Polgar

Una commedia con un protagonista e troppi personaggi in cerca di autore

Durban 2

Dopo il crollo di Wall Street del Settembre scorso e la corsa bipartisan dei Governi statu-nitensi a coprire con i soldi dei contribuenti falle perico-lose apertesi nell’economia, il Ministro delle Finanze tedesco Peer Steinbrueck dichiarò che gli Stati Uniti avevano “perso il loro status di superpotenza fi nanziaria”. Recentemente il Governatore della Banca Cen-trale cinese Zhou Xiaochuan chiese a gran voce la sostitu-zione del dollaro da moneta di riserva del sistema monetario mondiale. Ancora più recen-temente, al G-20 di Londra, il Premier britannico Gordon Brown, non l’Ayatollah Kha-menei, dichiarò che “il vec-chio ‘Washington consensus’ è terminato".Che il neo Presidente Barack Obama si trovasse a dover ini-ziare il mandato presidenziale in un ambiente ostile era suf-fi cientemente chiaro, l’inter-rogativo verteva per lo più su come egli avrebbe tentato di coniugare la voglia di cambia-menti radicali che la sua can-didatura rappresentava con la realpolitik imposta dai precari equilibri economici e geopoli-tici ereditati.La soluzione al dilemma è venuta direttamente dalle sue labbra a Londra prima dell’in-contro con la stampa interna-zionale durante il G-20: “Se seduti in una stanza ci sono

solo Roosevelt e Churchill con un brandy, si tratta di un negoziato semplice,” ha detto Obama, "ma questo non è il mondo in cui viviamo, e non dovrebbe essere il mondo in cui viviamo. E così, volete sa-perlo, questa non è una scon-fi tta per l’America".A parlare di dichiarazioni pre-fi guranti una superpotenza al tramonto non è stato uno scorretto magazine conserva-tore ma il New York Times che ha così tradotto il verbo presidenziale: “sono fi niti i giorni, dalla Pax Britannica alla Pax Americana, quando Gran Bretagna e Stati Uniti costruivano le regole e gli altri seguivano.”. Il viaggio europeo del nuovo inquilino della Casa Bianca come noto, dopo Londra, ave-va un’altra importante tappa in quel di Strasburgo, allorché Obama avrebbe dovuto pre-sentarsi ad una platea meno globale e più europea, convin-cendo i partner storici della NATO sulla bontà di questo nuovo restyling del Brand U.S.A. In conferenza stam-pa gli è stato chiesto se fosse pronto a sottoscrivere l’ ”ecce-zionalismo americano”:"Io credo nell’eccezionalismo americano, proprio come so-spetto che i cittadini britan-nici credano nell’eccezionali-smo della Gran Bretagna e i greci nell’eccezionalismo della

Grecia", ha risposto Obama, dichiarando de facto di non credere all’eccezionalismo di nessuno.Tale manifestazione planetaria di umiltà è andata accompa-gnandosi ad alcuni fatti salien-ti accaduti negli ultimi mesi: la pacifi ca accettazione della crescita del potere cinese nelle istituzioni economiche inter-nazionali in cambio della pro-messa da parte di Pechino di una certa continuità nel fl usso di acquisto dei buoni del te-soro di Washington; l'apertu-ra indiscriminata a Teheran, buttando al mare opposizione e dissidenza contro il regime iraniano e dimenticando in un batti baleno il prezzo in vite umane pagato dallo zio Sam nel confl itto iracheno grazie ai fi nanziamenti alle milizie estremiste sciite irachene del Governo Ahmadinejad, il tut-to a fronte di un possibile im-pegno di Teheran per l'allarga-mento delle trattative politi-che in Afghanistan ai Talebani - quelli moderati (?) - e per un suo coinvolgimento nella stabilizzazione di un Iraq sulla strada della pacifi cazione; infi -ne l'abbraccio alla Russia au-toritaria di Medvedev in nome di un nuovo disarmo nucleare con l'implicita rinuncia alla politica della deterrenza che ha trovato sorpresi gli stessi Putin e Medvedev increduli di fronte a tanta grazia.

A Strasburgo Obama doveva convincere gli europei ad im-pegnarsi di più in Afghanistan e non c’è riuscito e non solo perché non ha fatto anticipare una missione di rappresen-tanti della Hollywood da bere presso le capitali delle rilut-tanti cancellerie europee come ha pensato bene di fare nel caso dell’Iran, no, la sua Am-ministrazione oltre alle belle parole durante il cerimoniale sull’alleanza atlantica, come nella migliore tradizione degli anni in cui alla Casa Bianca risiedeva Bill Clinton, ha fatto capire dal primo minuto il suo scarso interesse per l’Europa, ritenendo il Pacifi co il cen-tro dello sviluppo economico mondiale per il prossimo ven-tennio e quindi il luogo dove trovare la soluzione possibile alle proprie paturnie econo-miche. Con una manifestazione di arroganza più che bushiana Obama ha fatto capire all’Eu-ropa che a questa Amministra-zione i rapporti con la UE in-teressano solo ai fi ni di forzare i suoi membri riluttanti ad accettare la candidatura della Turchia ai fi ni della stabilizza-zione del Medio Oriente cer-to, ma nemmeno a dirlo, leggi per scaricare così gli U.S.A. di una certa dose di responsabi-lità nel rapporto con il mon-do islamico; curioso che tale nuova strategia venga portata

avanti corteggiando i mem-bri storicamente più contrari all’entrata della Turchia nella UE come Francia e Germa-nia e scaricando invece l’unica sponda possibile sul dossier e cioè l’Italia: risultato, la rabbia e la frustrazione in un colpo solo di tre dei quattro membri più importanti della UE.Quello che il Presidente Oba-ma deve ancora dimostrare è che la politica della mano tesa e il suo “smart power” por-tino realmente ad una mag-giore stabilità sullo scacchiere internazionale perché quello che sino ad ora si è potuto comprendere è che gli U.S.A. stanno seriamente pensando di liquidare la loro infl uenza nel mondo nel lampo di una generazione.Giova ricordare alcuni nume-ri, alcuni risultati di questa in-fl uenza nel mondo, della Pax Americana: secondo la Free-dom House, nel periodo tra il 1976 e il 2006 è raddoppiato il numero delle nazioni libere passando da 42 a 90, mentre le nazioni “non libere” sono scese da 68 a 45. Oggi ci sono 123 nazioni democratiche contro le 22 del 1950. Un resoconto del Governo australiano ha reso noto che tra il 1972 e il 2006, sono cadute 67 ditta-ture. Nel 1950 metà della po-polazione mondiale viveva in povertà. Oggi, circa un quinto del mondo rimane in povertà

e in questo mondo gli U.S.A. ancora oggi rappresentano un quarto del prodotto interno lordo mondiale.La realpolitik è una necessità quando sottintende il perse-guimento di un risultato vir-tuoso frutto di una visione nata all’interno di un proces-so costituzionale che metta al centro di tutto il valore della persona, tutto questo sono stati gli U.S.A. anche quando fi nanziavano regimi anti-de-mocratici, ma la nuova dire-zione presa dalla Casa Bianca di Mr Obama sembra andare verso un disimpegno non solo dalla vocazione degli U.S.A. ad essere superpotenza ma anche dalla propria tradizione costituzionale: Hillary Clin-ton si inchina alla stessa Cina che vende armi al Sudan e che nelle scorse settimane, insie-me alla Russia ha bloccato il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite pronto a vota-re misure contro la ripresa dei test missilistici nord-coreani.La Pax Americana con tutto quello che ha signifi cato si è retta sul prestigio dell’eccezio-nalismo statunitense, sulla sua deterrenza militare anche nu-cleare e sulla capacità del suo capitalismo di leccarsi da sé le ferite, Obama in pochi mesi, come promesso, ha azzerato tutto, ma come qualcuno ha rilevato, ci ha riportati nel 1939.

La svolta obamiana nella politica estera statunitense

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Appena scaduti i termini per la consegna delle liste dei nomi dei candidati alle ele-zioni europee, gli Italiani si sono trovati - per l'ennesima volta - di fronte alla diffi coltà di scegliere dei rappresentati politici adeguati al compito che dovranno, o perlomeno dovrebbero, ricoprire.Puntuale, come l'alternarsi delle stagioni o del giorno e della notte, sia che si tratti di elezioni locali, nazionali, regionali, amministrative o politiche il problema si ripre-senta periodicamente: i citta-dini sono costretti a turarsi il naso e votare candidati di qualsiasi appartenenza poli-tica, quando è possibile dare le preferenze, che sono stati scelti dai soliti noti della po-litica italiana o per alchimie di partito oppure per qualità "eugenetiche" o parentali. Da più di quindici anni in-somma, sia che si voti col proporzionale puro - ma con liste bloccate - che con i col-legi uninominali, la politica italiana non riesce ad uscire dal buco nero, costituito dalla scarsissima rappresentatività degli eletti e dalla loro autore-ferenzialità, in cui si è andata a infognare e da cui sarà diffi -cilissimo farla uscire.La presentazione delle can-didature, sia a destra che a sinistra, per queste elezioni europee non ha mostrato di

rappresentare una svolta a questa brutta abitudine.D'altro canto, già le pole-miche che hanno preceduto la scelta dei candidati per il seggio di Strasburgo o per le elezioni amministrative che si terranno in contempora-nea, non lasciavano presagire niente di buono per gli elet-tori.A destra si sono avute anima-te discussioni riguardo l'op-portunità di candidare ex-portieri alla carica di sindaco in importanti città, oppure per i corsi intensivi di poli-tica economica e di diritto amministrativo impartiti di-rettamente da ministri e sot-tosegretari.A sinistra invece si sono vi-ste, al contrario di quel che succede di solito, le fughe a non farsi candidare. Addirit-tura lo stato maggiore del PD si è dovuto inventare di aver posto il diktat ai suoi rappre-sentati - scusa, a cui nessu-no crede - di candidare solo persone che non abbiano già qualche carica elettiva.La verità è che nessuno dei "big", o presunti tali, del centro sinistra ha voluto farsi invischiare - e di conseguen-za "trombare" - dalla prono-sticata colata a picco, stile Titanic, del PD.Ma facciamo adesso un rapi-do excursus dei nomi candi-dati dai diversi schieramenti

politici per queste elezioni europee di Giugno.Nel PdL spiccano le candi-dature , oltre che quella di Berlusconi, capolista in tutte le circoscrizioni e La Russa in quella del Nord est, dell'ex sindaco di Milano Albertini, di Vito Bonsignore ex UDC, dell'Angelilli al centro, della Muscardini, di Salvatore Ta-tarella al sud e di Mauro al Nord. Tutti onorevoli europei uscenti e con grande espe-rienza e seguito alle spalle. Ma poi si trovano in lista personaggi come la Zanicchi - buona per una serenata da fare a Barroso, forse - Licia Ronzulli che possiede come unica qualità quella di essere stata fi sioterapista, Elisabetta Gardini volto noto del picco-lo schermo, Lara Comi por-tavoce del ministro Gelmini ed autrice di una memorabile tesi in Economia delle im-prese alla Bocconi riguardo "l'organizzazione della socie-tà calcistica A.C. Milan".Nella circoscrizione centra-le il PDL candida pure due giovanotti della politica lo-cale: il settantenne ex DC Potito Salatto grande ami-co di Fini, braccio destro in passato dell'indimenticabile "squalo" Sbardella ed ora di Alemanno, e l'ex coordina-tore di Forza Italia del Lazio il 73 enne ciociaro Pallone. Gli abitanti del centro Italia

avranno pure la fortuna di poter scegliere tra gli altri, le giovani e belle onorevo-li Barbara Mannucci, eletta alla Camera(?) in Puglia, laureata al Dams di Roma, presidentessa dei Circoli del Buon Governo che attual-mente siede alla commissio-ne lavoro del Parlamento, e Maria Rosaria Rossi, diplo-ma d'Istituto tecnico com-merciale e partecipante alla commissione giustizia della Camera, ma che dubitiamo possano difendere adeguata-mente gli interessi italiani in Europa.Nella circoscrizione meridio-nale invece oltre al già citato Mastella, spiccano i nomi della soubrette ed attrice(?) Barbara Matera, di Giaco-mo Mancini nipote dell'ex sindaco socialista di Reggio Calabria, Giuseppe Gargani ex democrazia cristiana e Er-minia Mazzoni ex UDC: per la serie, porte aperte a tutti.Nel Pd segnaliamo la pre-senza in lista dell'oramai ex sindaco di Bologna ed ex se-gretario generale della CGIL, Coff erati, appena condanna-to da un giudice del lavoro per condotta anti sindacale, il quale ha rifi utato di candi-darsi per un secondo manda-to all'ombra della Garisenda perché la compagna ha dato da poco alla luce un erede e il "cinese" non se la sentiva di

rimanere lontano da Genova (dove vive la piccola con la neo mamma): non bisogna essere insigni geografi infat-ti per sapere che Strasburgo, sede del parlamento Euro-peo, non è così lontana - un tiro di scoppio - dalla città della Lanterna.Nel centro sinistra - seguendo le orme di Badaloni, Marraz-zo, Gruber e Santoro - si can-dida pure il mezzobusto RAI David Sassoli. A fargli com-pagnia saranno, tra gli altri Luigi Berlinguer, Rita Borsel-lino, Paolo De Castro, l'olim-pionica di windsurf Sensini, Silvia Costa e Vittorio Prodi fratello di Romano.Di Pietro candida, oltre che se stesso, il fi losofo Vatti-mo, l'ex PM De Magistris e la "barricadera" dell'Alitalia Maruska Piredda.L'UDC vede nelle proprie liste la presenza di Carlo Ca-

sini, Luca Volontè, Magdi Allam, e il Principe ballerino Emanuele Filiberto.Sparsi negli altri partiti mi-nori ci sono i vari Stora-ce, Agnoletto, Lombardo, Sgarbi, il vignettista Staino, Ferrero e Diliberto e pure la giornalista Sgrena: insomma la solita compagnia di giro.A quanto pare ancora una volta a brindare nel Parla-mento Europeo saranno i rappresentanti degli altri Paesi che si troveranno di fronte ai 72 deputati italiani poco o per nulla capaci - sal-vo poche lodevoli eccezioni - ad attrarre fi nanziamenti, progettare interventi strut-turali o abili nello strappare accordi politici nel campo dell'ambiente, della politica economica o energetica che possano far fare al nostro Paese il salto di qualità che fi nora non ha avuto.

La Piazza D’Italia - Politica/Economia

E' la proposta avanzata da Sil-vio Berlusconi nel G8 Social Summit, "un patto globale con cui sostituire l'ottimismo al pessimismo, la fi ducia alla sfi ducia e con cui trasformare la paura in speranza". Inoltre ha lanciato anche una stoc-cata ai Commissari europei che "invece di lavorare fanno prediche ai Governi". "Serve una regola precisa in base alle quale per la Commissione eu-ropea possano parlare soltanto il presidente ed il suo portavo-ce". Infi ne se la prende anche con le stime dell'Ocse: "Prima non è stata capace di preve-dere la crisi e poi fa previsio-ni negative un giorno sì e un giorno no".Il premier alla conferenza stampa di chiusura del G 8 Social Summit, dichiara che l'incontro sul tema del lavoro è stato molto approfondito, "un lavoro che comincerà a venir meno con numeri pre-occupanti", "venti milioni di posti di lavoro in meno per il 2010 sono una grande preoc-cupazione per tutti i governi". "Porterò i risultati del Social Summit al G 20 e saranno te-nuti in considerazione anche per il G 8 de La Maddalena" sottolineando che "i governi si devono interessare prima di tutto a chi perde il lavoro per-

ché questa è la cosa più impor-tante". Ed ha ricordato le sue parole in chiusura del congres-so del PDL: " Non lasceremo nessuno indietro". "Uno Stato moderno non può disinteres-sarsi del bene dei lavoratori so-prattutto quando non hanno più il bene del salario". Il Cavaliere ha tenuto anche a sottolineare come non vi sia al-cuna contraddizione tra quello che egli stesso e il suo governo considerano un "imperativo categorico", vale a dire l'eco-nomia sociale di mercato, e la dottrina sociale della Chiesa. E' proprio in base a questo imperativo che gli Stati de-vono impegnarsi a sostenere i lavoratori che perdono il posto di lavoro fi ntanto che durerà la crisi.Quanto all'impegno del suo governo, Berlusconi assicura che in tempo di crisi "gli italia-ni si troveranno di fronte a uno Stato che li sosterrà". "Non sono spaventato di aumentare il defi cit, se dovessimo aff ron-tare una spesa di primaria im-portanza. Garantiremo che lo Stato sia vicino ai lavoratori". e comunque, "i fondi previsti sono abbondanti rispetto ai costi che l'Italia sta sostenen-do. Tremonti mi ha detto che quanto previsto è suffi ciente ma io voglio sottolineare che

nel caso in cui sia necessario non possiamo privilegiare il bilancio pubblico lasciando le persone da sole nella fame"."Abbiamo già destinato 12 miliardi di euro, e 8 miliardi di euro in più all'interno del Cipe. In tutto 36 miliardi che però possono arrivare fi no a 40 miliardi di euro".Tra le misure adottate dal go-verno per contrastare gli eff etti della crisi sull'occupazione, è inoltre previsto "un aiuto per chi voglia diventare impren-ditore e fondare un'impresa, come l'esclusione dalla tassa-zione dei risultati per i primi 3 anni".Berlusconi ha poi annunciato che le parti sociali verranno convocate prima di luglio per portare al vertice del G 8 de La Maddalena "una radiogra-fi a del mondo del lavoro at-tuale".Durante la conferenza stampa il Cavaliere ha ribadito il no al protezionismo che "porta solo danni", ed ha espresso apprez-zamento per le parole di Oba-ma sulla Fiat, "un momento di grande soddisfazione, il ri-conoscimento di un'eccellenza di una nostra importante im-presa".Molti leader europei, nell'am-bito dei loro interventi tecnico-politici fanno spesso riferimen-

to al modello dell'economia sociale di mercato, oggi molto attuale vista la grave crisi che sta colpendo l'economia inter-nazionale. Tale modello è un modello di sviluppo dell'eco-nomia che si propone di ga-rantire la libertà di mercato e la giustizia sociale, attraverso una loro effi cace armonizza-zione. Dunque, le politiche che verranno adottate in questi termini avranno l'obiettivo di contemperare questi due pre-supposti cardine del modello di sviluppo economico. A tal proposito si inquadra il Social Global Pact, il patto globale a cui far riferimenti per superare il momento di crisi. Globale perché interessa tutti i siste-mi economici, patto perché occorre un'armonica misura di intervento in accordo con i vari Stati, la natura pattizia è indispensabile per garanti-re l'effi cacia degli interventi e per omogeneizzare le dinami-che di sviluppo nell'ottica di una processo di integrazione economico e sociale. L'idea di base è che la piena realizza-zione dell'individuo non può avere luogo se non vengono garantite la libera iniziativa, la libertà di impresa, la libertà di mercato e la proprietà priva-ta, ma che queste condizioni, da sole non garantiscono la

realizzazione della totalità de-gli individui, (la c.d. giustizia sociale), e la loro integrità pri-cofi sica, per cui lo Stato deve intervenire laddove esse pre-sentano i loro limiti. L'inter-vento pubblico però non deve interferire con le dinamiche del mercato o con i suoi esiti naturali; deve semplicemente prestare il suo soccorso lad-dove il mercato stesso fallisce nella sua funzione sociale (c.d. fallimento del mercato). La funzione sociale del mercato deve essere garantita, insieme alla uguaglianza sociale degli individui, cioè ogni uomo, indipendentemente dalla sua posizione sociale e dalla sua provenienza, deve avere la possibilità di essere considera-to alla pari di tutti gli altri uo-mini in ogni contesto.Come noto la uguaglianza sociale è un obiettivo politico soprat-tutto dei partiti socialisti e so-cialdemocratici, ma la matrice storica di questi valori comun-que è ora attualmente un pun-to fondamentale nella mission del PDL, un partito che ha al suo interno anche culture socialiste e socialdemocrati-che. E' importante cogliere la diff erenza tra l'egualitarismo propugnato dal centro sinistra e quello invece sostenuto dal PDL. I primi ritengono che la

giustizia sociale sia un punto di arrivo, il PDL, invece, sostiene che l'uguaglianza costituisce il punto di partenza per una so-cietà più giusta dove tutti gli uomini possano avere le stesse opportunità e possibilità per crearsi un avvenire.Un sistema liberale, inoltre, deve fondarsi sulla libertà eco-nomica, sulla libertà di produr-re, di scambiare beni e servizi per soddisfare una domanda di mercato, senza coercizione e senza l'intervento dello Stato. La libertà economica dunque ha le sue fondamenta nei di-ritti civili e sociali come quelli alla proprietà privata e alla ini-ziativa privata. La direzione che il Governo italiano sta seguendo è plausi-bilmente ragionevole, in linea con quanto previsto dagli altri governi nazionali, membri di un mercato comune. La co-esione sociale deve essere ga-rantita in modo sicuro e certo perché costituisce un elemen-to necessario a creare le condi-zioni a far ripartire il processo di crescita e di integrazione. La sfi da che questa crisi ha ormai lanciato agli Stati è di natura social-economica: minimizza-re i costi sociali massimizzan-do sviluppo e crescita in modo giusto ed equo. Il Governo ita-liano l'ha colta in pieno!

Pensione StrasburgoI partiti presentano le candidature per le europee: poche luci e molte ombre

Lo sviluppo economico è possibile se fondato sull'idea di un'economia sociale di mercato

Social Global Pact

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Ogni intellettuale, impegna-to politicamente o no, meri-ta di essere ascoltato, perché le parole, le idee, diventano spunti di rifl essione e chiavi per aprire nuovi orizzonti.Giano Accame, con fi erezza e con orgoglio ha sempre espresso i suoi non comuni punti di vista, ma ciò non vuol dire che fossero fuori luogo o non lungimiranti.Si è spento a 80 anni, dopo aver attraversato tutta la sto-ria del dopoguerra, con co-erenza duratura, assumendo posizioni sempre molto ric-che e signifi cative.Forte delle sue vicende po-litiche, non amava un’Italia che si rinnova attraverso i rinnegamenti della propria storia politica: la destra e la

sinistra fanno a gara a chi di più si allontana dal proprio passato, rischiando di fare degli italiani, un popolo di rinnegati.L’adulazione per lui era uno dei peccati più gravi, così pe-ricolosa e insidiosa, presente ad ogni convention di parti-to, comprese le feste di Forza Italia, dove viene premiato chi ha ottenuto i maggiori profi tti. Questo è marketing, non politica, diceva lui.Pessimi quelli che erano iscritti al PC e che ora di-cono di non essere mai stati comunisti. E quelli alla Vel-troni, che fanno i congressi con gli slogan americani e fanno cantare Sting, quan-do la sinistra in Italia, ha un patrimonio generoso di can-

tautori.Lui Repubblichino, ha perso le staff e quando Fini ha detto che la Repubblica di Salò era il male assoluto, ma non ha mancato di riconoscere che ora questi rappresenta la par-te ragionevole del PDL.Ha vissuto gli anni ’60 -’70 rompendo col “Borghese” perché il giornale non con-divideva il fermento sociale e politico, mentre loro, erano contro il sistema già prima del movimento studentesco.Erano gli anni in cui a Roma, destra e sinistra si parlavano, Rauti e Berlinguer si scam-biavano opinioni.Non amava Bush e non si spiegava come quell’uomo, con quel suo portamento da cow-boy, potesse piacere agli

americani. Questa cosa gli faceva temere per il genere umano.Giano Accame ha scritto diversi saggi, preoccupato come diceva lui, di far usci-re la destra dal suo letargo: “Socialismo tricolore”, “Il fascismo immenso e rosso”, “Ezra Pound economista”, “La destra sociale”, “Il potere del denaro svuota le demo-crazie”. Da vero irregolare del pa-norama politico e culturale di destra, ha ricoperto ruoli diversi nella sua vita: il 25 Aprile 1945, nel giorno del-la Liberazione, a 17 anni, si arruola nella marina milita-re della Repubblica sociale italiana, ma viene subito catturato dai partigiani di

Brescia.In seguito diventa dirigente del MSI, che lascia nel 1956 stanco delle polemiche in-terne. Da qui inizia la sua avventura nel giornalismo: diventa redattore di Cronaca Italiana, Il Borghese, Il Fiori-no, Lo Stato, il Tempo, Area e dall’88 al ’91 è direttore del Secolo d’Italia.Negli anni ’60 è anticipatore del discorso sulla Repubblica Presidenziale, nel ’65 è tra i relatori al convegno sulla Guerra rivoluzionaria che getta le basi teoriche della strategia della tensione.Il 14 Maggio del 2001 con-versava a Napoli con gli studenti del Liceo Classico Umberto I; sollecitato dalle domande, parlava di pensie-

ro antidemocratico, di con-formismo e di intelligenze scomode.La premessa all’incontro de-scrive i nostri tempi come un secolo dove la massa si è fatta protagonista e il conformi-smo, l’automatismo menta-le, l’inerzia e il torpore sono diventati condotta comune, norma di comportamento.Spiegava Accame, che andare contro l’opinione comune, signifi ca ribellarsi al grande mercato fi nanziario. Questo potere internazionale è sco-modo perché ha nelle mani la maggior parte degli organi di informazione, quindi c’è libertà di criticare i politici ma non c’è altrettanta gene-rosità nel riservare lo stesso

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Immanuel Kant

Una vita, l'ideologia, le rifl essioni

Sulla pace perpetua

Giano Accame

In tempi di forte instabilità politica ed economica, i ven-ti che soffi ano, malgrado gli inviti alla serenità, annun-ciano terremoti in arrivo.Kant nel 1795 scrisse “Per la Pace Perpetua” con lo scopo di caratterizzare questo scrit-to nei termini di un progetto fi losofi co. Esso è un fermo invito alla ragionevolezza o meglio all’uso pubblico della ragione.L’uso pubblico della ragione è quello di chi ha di mira un uditorio virtualmente universale i cui confi ni sono indipendenti dalle comunità date o assegnate.Il titolo dell’opera può sem-brare un tantino utopico, ma Kant non lo è, in quanto non è fuori luogo condivide-re la sua fondazione trascen-dentale dell’idea di diritto e dell’uguale rispetto dovuto a ciascun essere umano in quanto semplicemente esse-re razionale. Il suo progetto per la pace perpetua è molto logico e si basa sull’idea di estendere per analogia la soluzione del contratto sociale dal versan-te interno degli stati all’are-na delle relazioni interna-zionali; i tre celebri articoli defi nitivi “dell’immaginario trattato per la pace perpe-tua” fra gli stati, specifi cano i requisiti che devono essere soddisfatti perché il pianeta non divenga il “grande cimi-tero dell’umanità”, desolante eff etto dello sterminismo.Kant indubbiamente era dotato anche di una lungi-miranza incredibile, visto che la storia dopo di lui non ha mancato di confermare i suoi timori.Il secondo articolo in par-ticolare, rappresenta un passaggio cruciale del testo:

“la ragione dal suo trono di suprema potenza mo-rale legislatrice, condanna in modo assoluto la guerra come provvedimento giuri-dico mentre eleva a dovere immediato lo stato di pace che tuttavia non può essere creato e assicurato senza una convenzione di popoli”. Il diritto internazionale deve fondarsi su una federazione di stati liberi per adempiere al compito della funzione intellettuale di “pensare la pace”, individuando critica-mente le condizioni di im-possibilità della guerra.Kant parla di cosmopoliti-smo, di incertezza e perples-sità che sono in gradienti preziosi nella formazione di un abito intellettuale e ri-fl essivo, perché mantengo-no saldi il senso dei limiti, la percezione realistica dei nostri piccoli poteri e della portata dei nostri ricorrenti modi di pensare un mondo più degno di essere abitato.Il testo non è solo questo, ma è universalismo connes-so al ruolo fondante della ragione (pensare “largo”), è logica e fi tta analisi rifl essi-va, un intreccio di pensieri concatenati e perfettamente coerenti e realisti. Ma, prendiamo ad analizza-re solo un articolo dell’ope-ra, che indubbiamente ci riguarda più nell’immediato: “ Sulla discordanza tra mora-le e politica in relazione alla pace perpetua”.Qui Kant aff erma che la mo-rale è una pratica come le leggi incondizionatamente imperative secondo le quali noi dobbiamo agire. Non può dunque essere in con-fl itto con la politica in quan-to quest’ultima è dottrina pratica del diritto; la morale

ha lo stesso valore ma è ma-teria teorica.Di sicuro, la massima che af-ferma “l’onestà è la migliore politica”, cade spesso in con-traddizione con la realtà, ma che “l’onestà sia meglio di ogni politica”, è insostituibi-le condizione dell’ultima.Il fatto è, che sebbene la ra-gione ancora non sia illumi-nata così tanto da cogliere la serie delle cause predetermi-nanti che lasciano preannun-ciare l’esito buono o cattivo del fare e del non fare degli uomini, essa è comunque in grado di tracciare con estre-ma chiarezza cosa si debba fare per restare sul cammino disegnato dal dovere (secon-do le regole della saggezza).Per realizzare il fi ne che con-duce alla pace perpetua non è suffi ciente la volontà di tutti i singoli uomini di vivere in una costituzione legale se-condo i principi della liber-tà, ma è necessario che tutti i cittadini vogliano questa condizione; serve in ultima analisi l’unità collettiva delle volontà riunite.Ci deve essere quindi una causa unifi cante che produca una volontà comune.Certo se non ci sono né li-bertà né una legge morale fondata su di essa e, tutto ciò che accade è lasciato al caso, la politica risulta essere un pensiero senza sostanza.Ma se invece il concetto del diritto lo si collega in modo necessario alla politica, esso diventa condizione limitativa della politica stessa. Da qui, deriva la loro conciliabilità.Kant, distingue un politico morale, da un moralista po-litico: il primo, il più equili-brato, prende i principi della prudenza politica in modo che possano convivere con

la morale, il secondo foggia, crea una morale in funzione della convenienza dell’uomo di stato.Il politico morale si pone come scopo di individua-re i difetti di un’eventuale costituzione o nei rapporti con gli altri stati e cerca di migliorarli. Si deve chiede-re in modo forte e chiaro a chi detiene il potere di avere sempre presente nel suo spi-rito la massima della neces-sità di un tale cambiamen-to per rimanere in costante avvicinamento allo scopo: migliorare secondo le leggi del diritto.Infatti, i concetti della ragio-ne accettano esclusivamente una costrizione legale basata solo sui principi di libertà, attraverso la quale, solo è possibile una costituzione

politica legittimamente du-ratura.Il moralista politico inve-ce, agisce sottomettendo i principi allo scopo, ren-dendo vana la possibilità di conciliare la politica con la morale e ostacolando così il

processo verso la pace per-petua.Per realizzare in modo op-portuno la politica pratica bisogna comprendere se nei compiti propri della ragio-ne pratica si deve iniziare a procedere dal principio materiale, cioè dallo scopo (l’oggetto dell’arbitrio), o dal principio formale che vuole che si agisca in modo tale da volere che la propria massima diventi una legge universale, qualsiasi sia lo scopo dell’azione.Il primo metodo è proprio del moralista politico, il se-condo del politico morale per il quale vale il compito etico della costruzione della pace perpetua che si deside-ra non solo come bene fi sico ma anche come condizione che nasce dal riconoscimen-

to del senso del dovere.“Ricercate” dice Kant, “ pri-ma di tutto il regno della ragione pratica pura e la sua giustizia, così il fi ne, il be-nefi cio della pace perpetua, arriverà da sé.Dunque, a livello teorico,

oggettivamente non esiste contrasto tra la morale e la politica. Soggettivamen-te (ossia nella propensio-ne egoistica degli uomini, la quale però non essendo fondata su massime della ra-gione non deve ancora venir chiamata pratica), questo contrasto esisterà sempre, in quanto serve da incentivo alla virtù. Infatti il vero co-raggio non consiste tanto nel resistere con forte proposito ai mali e ai sacrifi ci, ma nel guardare negli occhi il prin-cipio del male dentro di noi e nel vincere la sua perfi dia: principio pericoloso, ingan-nevole e traditore eppure sottile nella sua pretesa di giustifi care con la debolezza della natura umana qualsiasi trasgressione.La vera politica quindi non

può fare nessun passo avanti senza prima aver reso omag-gio alla morale. E, il diritto degli uomini deve essere considerato sa-cro; la politica deve inginoc-chiarsi davanti a questo suo unico e possibile re.

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trattamento ai poteri eco-nomici. La politica si deve perciò per forza, adeguare al potere economico.Sullo stesso piano elogiava Ezra Pound, il quale accusava la classe dirigente democrati-ca americana di essersi asser-vita ai banchieri, al grande capitale fi nanziario e di avere quindi tradito la stessa Co-stituzione, che riservava al Congresso la sovranità mo-netaria. Il conformismo di oggi, di-ceva Accame agli studenti napoletani, sta soprattut-to nell’economicismo, cioè nell’avere come obiettivo esistenziale e principale, l’idea di arricchimento. E ciò può portare a delle gare che possono essere addirittura distruttive per il genere uma-no. Prima, chiunque faceva la propria professione tenden-do a trovare la gratifi cazione nell’esistenza e in altri valo-

ri oltre che quelli monetari. Oggi la ricerca dell’arricchi-mento, spegnendo altre aspi-razioni dell’uomo, esprime una forma di conformismo assai pericolosa.Il conformismo oggi è anche individualismo: dopo la ca-duta del Muro di Berlino, ci si lamenta della creazione di un pensiero unico, ossia del pensiero liberale individua-lista. Per cui l’anticonformismo sta nel manifestare un ritorno a un pensiero comunitario, all’idea di sentirsi insieme, all’idea di una società a cui aderire.E c’è poco da fare, l’anti-conformismo e l’opinione comune non possono andare d’accordo.Come non possono andare a braccetto i termini rivoluzio-ne e normalità.La rivoluzione è cambiamen-to, la normalità è stabilizza-zione. La grossa diffi coltà nel

rapporto tra gli intellettuali e la politica è che, soprattutto in periodo democratico, la politica si muove nella nor-malità.La politica perciò deve usare argomenti accessibili al gran-de pubblico, ormai banaliz-zati; mentre l’intellettuale ha il ruolo di spingersi oltre, di dire delle novità. Quest’ulti-mo ha perciò il compito più diffi cile.La normalità si adegua e per questo non può essere rivo-luzione. Solo quest’ultima è il vero cambiamento.Vedeva la de-ideologizza-zione in atto quasi come un processo naturale ma che presupponeva nel modo più assoluto rifl essioni diverse, una preparazione nuova.Forse non ci sono state que-ste attenzioni verso il nuovo e forse le ideologie non è lecito che passino in secondo piano: lo scontro democratico serve e le forze sociali esistono e

non hanno più esattamente chiaro in mente quali partiti politici le rappresentano.Essere di parte è giusto, non è costruttivo invece, il grigio

del pensiero unico. Parlare di Accame oggi ci ha fatto ricordare cosa sia la coerenza politica, il senso di appartenenza, il coraggio di

manifestare le proprie idee e una politica fondata sulle ideologie, di cui il popolo italiano ha forse nostalgia.

Ilaria Parpaglioni

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Vinitaly è una festa. Perbac-co (per rimanere in tema), qualcuno potrebbe esclama-re, è la fi era del vino più im-portante al mondo! E’ vero, e ogni anno conferma il suo primato. L’organizzazione che c’è alle spalle è rigorosa, l’off erta dei vini e distillati è davvero ampia , tanto da procurare l’imbarazzo nella scelta durante le degustazio-ni, così come gli eventi di contorno sono interessanti, eseguiti da professionisti…Ma allora perché dire che il Vinitaly è una festa? O meglio, perché si coglie l’impressione che essa sia percepita come una festa dai visitatori? Provo a spie-garmi. Prima di tutto basta stare nelle vicinanze della fi era ad inizio giornata per vedere come la gente si af-fretti e allunghi il passo per

raggiungere i cancelli d’in-gresso. Queste persone han-no stampato sul volto un leggero sorriso che è proprio di chi aspetta da lungo tem-po un momento goliardico, quasi annunciato.Una volta varcata la soglia il timido sorriso lascia il posto ad uno più deciso. Il buo-numore è nell’aria, la gente presa dal gran ventaglio di proposte dimentica fatiche e problemi. Una piccola sorta di panacea, che sep-pur temporanea, è davvero benefi ca.Gli standisti riescono a non perder le staff e, nonostan-te il pubblico dei visitatori aff olli ogni spazio espositi-vo, vuoi per l’educazione, vuoi perché i visitatori sono avvolti da una cordialità contagiosa che si diff onde nell’aria.Voi lettori potreste pensare: “presto detto, è l’eff etto del vino, mette allegria”. Certo, io credo, che l’eff etto piace-re, innato nella bevanda di Bacco, non sia da scartare e che giochi un ruolo impor-tante. Ma credo non basti

per defi nire la percezione di Vinitaly come una festa.Ci sono molte fi ere, sia na-zionali che internazionali, con una rispettabilissima organizzazione alle spalle, che promuovono prodotti altrettanto di qualità, ospi-tate in città preziose d’ar-te e di storia, con servizi e infrastrutture (parcheggi, trasporti, viabilità…) fun-zionali… ma non godono dello stesso eff etto che ha Vinitaly.All’interno dei padiglioni della manifestazione della città scaligera, gli stand sono prevalentemente personaliz-zati, pochi sono quelli stan-dard. La creatività, unita alle disponibilità economiche di un’azienda, può raggiunge-re livelli strepitosi: riprodu-zioni e strutture fantasiose ma tutte profondamente

rappresentative dell’attività, della mission e dell’anima dell’impresa che espone al Vinitaly; il tutto gioca un ruolo “magico” sulla per-cezione che il visitatore ha dell’evento. Visitando la fi era non si ha l’impressio-ne di un’estetica arrangiata, tutt’altro…e, ovviamente, anche quest’aspetto è co-municazione.Ma veniamo all’oggetto del-la fi era: il vino, nettare degli dei o bevanda di Bacco che dir si voglia, è un settore che negli ultimi anni ha re-gistrato non solo l’interesse di molti appassionati ma anche numeri economici considerevoli. Senza dimen-ticare la qualità del vino ita-liano e non solo.Inoltre, da varie statistiche sembra che il vino piaccia anche ai giovani; nuove fi -losofi e, negli ultimi anni, si sono aff acciate tra i sosteni-tori del bere consapevole e del degustare con lentezza per poter apprezzare profu-mi, colori e caratteristiche del vino.Il connubio di questi ele-

menti fi -nora citati ( l o c a t i o n , servizi, orga-nizzazione, prodotti di qualità, città ospitante…) è fondamen-tale per la riuscita di una mani-festazione. Ma quando un evento, che si pre-senta per la 43° volta al p u b b l i c o , assume le dimensioni imponent i come quel-le che ha Vinitaly (signifi cativo è il fatto che l’uffi cio stampa

dell’organizzazione ha fatto un giro di vite abbastanza stretto con i giornalisti e comunicatori) deve avere un quid, un appeal parti-colare, una personalità che coniughi tradizione e inno-vazione, fattori collaudati e novità.Nonostante la dichiarata crisi internazionale, di cui il settore vino non è stato risparmiato, la fi era vero-nese non si è contratta, come è accaduto ad altre manifestazioni, ma si è in-grandita, infatti quest’anno è stato aggiunto un nuovo padiglione. Il numero degli espositori è salito rispetto allo scorso anno ( 4.200 espositori su uno spazio 91.000 metri quadrati), probabilmente vuol signifi -care che le imprese hanno ancora tutto l’interesse a partecipare alla “piazza” sca-ligera, nella quale si fanno ancora business.Vinitaly come voluttuosi-tà, come toccare con mano la propria passione, come concentrato del sapere del vino in un luogo, seppur

grande, ma circoscritto. Al Vinitaly si possono appro-

fondire temi, stabilire con-tatti, cono-scere novità; si fa parte di un gruppo: dai dati rile-vati dall’ente fi eristico esso a s s o m i g l i a sempre più ad un “po-polo”, consi-derato il nu-mero di oltre 150.000 visi-tatori che è lì per lo stesso fi ne e ognu-no con le sue motivazioni.Il “popolo” di Vinitaly, che poi fi -nita la fi era si disperde e si racco-glie l’anno

successivo –scomodando il sociologo Alberto Abruz-zese lo potremmo defi nire “spazio leggero” - è disponibile, sug-gerisce e consi-glia, informa e illustra anche il neofi ta che si ferma a domanda-re come è possibile p a r t e c i -pare ad una de-termina-ta degu-stazione piuttosto che sapere dove pren-dere un gad-get….Il “popolo” di Vi-nitaly regge tempi grossomodo simili: la fret-ta nell’accedere alla fi era, i ritmi sostenuti nel passare da uno stand all’altro e la lentezza nel sortire, quasi a voler prolungare l’evento, oramai fuori l’evento. Un

luogo di socializzazione e di appartenenza. La struttura fi eristica di Verona è il luo-go di autoriconoscimento del popolo di Vinitaly.Cosa faccia di questo evento una festa è anche la separa-zione del tempo lavorativo da quello ludico; si potreb-be aggiungere che il tempo ludico infl uenzi ed ispiri in qualche modo quello lavo-rativo.Molte persone si recano al Salone veronese del vino e dei distillati per lavoro; l’at-mosfera di festa che si respi-ra è una nota ottimistica per lo stesso mercato, confer-mando agli addetti ai lavori che la grande affl uenza dei winelover sia incoraggiante per l’incontro tra la doman-da e l’off erta.Poco importa, nel taglio di questo articolo, quanto il par-tecipante al Vinitaly conosca tecnicamente o no il vino, quanto sia inte-

ressato a quel padiglione piuttosto che ad un altro, sta di fatto che l’insieme degli elementi rappresenta-ti conduce alla percezione della fi era come festa.Provando a recarsi fuori dal-le mura, che abbracciano la struttura fi eristica, a fi ne giornata, si potrà sondare facilmente che il grado di soddisfazione è impresso nei volti dei visitatori, i quali non solo assumono uno sguardo sognante ma il loro passo diviene rallentato, quasi a sottolineare la voglia di con-tinuare a gustare gli ultimi attimi della magica giornata trascorsa tra vini e stand, tra calici e sorrisi, tra distillati e…battute di spirito.

Alice Lupi

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Il popolo di Vinitaly

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