1-15/16-31 maggio 2010 - Anno XLV - NN. 79 - 80 – In Europa occorrono organi decisionali centrali

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Non è utopia pensare di affidare le decisioni dell’UE in merito a questioni importanti di natura economica e monetaria e di rile- vante interesse comune ad un unico organismo che dovrebbe essere costituito ex novo e deno- minato Ministero economico europeo. I risultati di questa istituzione sarebbero immedia- ti, per esempio, se le decisioni non passeranno tutte per l’Eco- fin o per l’Eurogruppo o per il Consiglio europeo si eviteran- no lungaggini burocratiche e si imprimerà una forte accelera- zione al processo decisionale in sede europea. La Banca Centrale Europea, responsabile della poli- tica monetaria europea da sola non riesce certamente a prendere decisioni incisive ed importanti e questa costituirebbe un’ulteriore giustificazione all’introduzione di un unico organismo ovvia- mente a sostituzione dell’Ecofin e dell’Eurogruppo. L’Unione Europea è un orga- nismo unico costituito da Stati membri che unendo le loro sovra- nità traggono forza e influenza mondiale che nessuno di essi potrebbe acquisire da solo. Nella pratica, unire le sovranità signifi- ca che gli Stati membri delegano alcuni dei loro poteri decisionali alle istituzioni comuni da loro stessi create in modo che le deci- sioni su questioni specifiche di interesse comune possano essere prese democraticamente a livello europeo. Il processo decisionale dell’Unione europea, in genera- le, e la procedura di codecisio- ne, in particolare, implicano la partecipazione di tre istituzioni principali: il Parlamento europeo che rap- presenta i cittadini ed è elet- to direttamente da questi, il Consiglio europeo che rappre- senta i singoli Stati membri, la Comunità europea che ha il compito di difendere gli interessi generali dell’Unione. I poteri e le responsabilità di queste istituzio- ni sono sanciti dai trattati, che sono la base di tutte le attività dell’Ue. Oltre a tali istituzioni, l’Ue possiede una serie di altri organismi che svolgono fun- zioni specializzate: il Comitato economico e sociale europeo, il Comitato delle Regioni, la Banca centrale europea ecc. L’Ecofin indica il Consiglio Economia e Finanza costituito dall’insie- me dei Ministri dell’Economia e delle Finanze dei 27 Stati mem- bri dell’Ue riuniti in seno al Consiglio dell’Ue. In partico- lare l’Ecofin ha il compito di preparare e adottare ogni anno, insieme al Parlamento europeo, il bilancio dell’Ue e inoltre si occupa di coordinare le politi- che economiche, sorvegliare la situazione economica, monito- rare le politiche di bilancio e le finanze pubbliche dei Paesi membri. L’Eurogruppo ha una composizione simile a quella dell’Ecofin infatti è costituito dagli Stati membri la cui moneta è l’euro, si riunisce di norma il giorno precedente la sessione dell’Ecofin e tratta le questioni inerenti all’Unione economica “Questa crisi è un tornante della storia” e il nostro Superministro dell’Economia si è messo in testa di guidare il Paese nel gruppo dei primi a tornare al centro della carreggiata. Non c’è che dire, superando senza colpo ferire le voci della propaganda politica, il coro è unanime, l’Italia è tra i Paesi che meglio stanno affrontando il “curvone”. Non importa che tu sia tra quelli che Tremonti ha definito merca- tisti, che tu sia uno statalista, un socialista, un pragmatico conser- vatore o un liberista di sinistra, la Crisi innescata dal default della Grecia ha messo impietosamente a nudo tre fattori. Il debito pubblico conta (e l’Ita- lia come noto possiede il terzo al mondo) ma a contare ancor di più sono il debito nazionale aggregato (pubblico e privato); le prospettive a breve del deficit e la capacità di produrre “cose” e non fuffa, di un Sistema Paese. Il fatto è che il Ministro dell’Eco- nomia italiana questa previsione qui la fece anni or sono, suffra- gandola di una serie di pubblica- zioni di successo, non da ultimo il best seller internazionale “La Paura e la Speranza” e per tali ragioni negli ambienti finanziari delle cancellerie europee è visto ormai quasi come un guru. Chiamato dalla Germania a consiglio sul da farsi dopo gli errori e gli orrori del Governo Merkel nei giorni del collasso di Atene, coccolato dal Frankfurter Allgemeine e considerato dal The Economist, un qualcosa di impensabile sino a ieri per un uomo di Governo italiano. I suoi più inveterati avversari politici, i mercatisti, sebbene nascosti spesso allignati all’inter- no della sua stessa fazione pol- tica, con la prospettiva di un Euro in discesa rispetto al dollaro nel medio periodo e quindi di un ulteriore miglioramento della bilancia dei pagamenti, parlano sotto voce di possibile capolavoro tremontiano, quello di tenere il deficit sotto controllo, ridurre il peso degli interessi del debito e prendersi la ripresa trainata dalla ripartenza delle esportazioni. Perché l’Italia quanto a debi- to aggregato rivaleggia con la Francia, sta meglio del Regno Unito e degli USA e riesce a vedere la Germania, il suo defi- cit è sotto controllo e resta la seconda sponda manifatturiera dell’intera Unione Europea. E siamo al giorno d’oggi: c’è Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-31 Maggio 2010 - Anno XLV - NN. 79-80 E 0,25 (Quindicinale) In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy — Fondato da Turchi — Stato dell’Unione Europea — a pagina 6— approfondimento Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 La Piazza d’Italia Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina COPIA OMAGGIO www.lapiazzaditalia.it di FRANZ TURCHI — a pagina 8 — attualità Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia www.lapiazzaditalia.it Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti Ormai è evidente a tutti che la nuova manovra, sia per l’Italia che per tutti i principali Paesi della zona Euro, rappresenti la vera sfida del futuro dell’Eu- ropa, e della sua moneta di riferimento. Non è, infatti, solo un problema della crisi finanziaria e reale che ha portato ad interventi struttu- rali nella manovra di Bilancio dei singoli stati (compreso il nostro), ma soprattutto quella voce che sembrava dimenticata da tutto e da tutti che si chiama decifit o debito pubblico. E su questa voce che tutti i Premier ed i singoli Ministri dell’economia si sono concen- trati e hanno fatto quello che possiamo ritenere tecnicamente valido, economicamente effi- ciente ma sicuramente impo- polare. Infatti i sacrifici in termini di tagli alla spesa pubblica sono rilevanti, ma il rigore ed anche la volontà di porre in essere una strategia nel medio periodo, ha illuminato i vari interventi e soprattutto quello del Ministro Tremonti in questo caso. Ritengo che oramai l’uomo affi- dabile per l’economia italiana, ma a mio avviso anche di quella Europea sia il Ministro Giulio Tremonti; affidabile e credibile, e ora non solo dal punto di vista economico, ma anche sotto il profilo politico. Forse questa manovra non ha solamente salvato l’Europa, ma gli ha anche dato un futuro, una strategia ed ha trovato la sua futura Leadership. 7 secoli per l’Armagnac La nuova sfida Segue a pagina 2 Segue a pagina 2 In Europa occorrono organi decisionali centrali Il Superministro Per snellire le procedure occorre fare dei cambiamenti, la questione greca insegna

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La nuova sfida - In Europa occorrono organi decisionali centrali - Il Superministro - I salutisti della politica - Dimissioni Brown, spazio ai tories - Pasticcio Thailandese - Agenzie di rating e speculazione, binomio pericoloso - Serve un New Deal per salvare la Grecia - Crisi del debito sovrano europeo - La Gran Bretagna si è opposta al piano salva-Stati. Ha torto? - Stato dell'Unione Europea - Vita artificiale - 7 secoli per l’Armagnac

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Non è utopia pensare di affidare le decisioni dell’UE in merito a questioni importanti di natura economica e monetaria e di rile-vante interesse comune ad un unico organismo che dovrebbe essere costituito ex novo e deno-minato Ministero economico europeo. I risultati di questa istituzione sarebbero immedia-ti, per esempio, se le decisioni non passeranno tutte per l’Eco-fin o per l’Eurogruppo o per il Consiglio europeo si eviteran-no lungaggini burocratiche e si imprimerà una forte accelera-zione al processo decisionale in sede europea. La Banca Centrale

Europea, responsabile della poli-tica monetaria europea da sola non riesce certamente a prendere decisioni incisive ed importanti e questa costituirebbe un’ulteriore giustificazione all’introduzione di un unico organismo ovvia-mente a sostituzione dell’Ecofin e dell’Eurogruppo.L’Unione Europea è un orga-nismo unico costituito da Stati membri che unendo le loro sovra-nità traggono forza e influenza mondiale che nessuno di essi potrebbe acquisire da solo. Nella pratica, unire le sovranità signifi-ca che gli Stati membri delegano alcuni dei loro poteri decisionali

alle istituzioni comuni da loro stessi create in modo che le deci-sioni su questioni specifiche di interesse comune possano essere prese democraticamente a livello europeo. Il processo decisionale dell’Unione europea, in genera-le, e la procedura di codecisio-ne, in particolare, implicano la partecipazione di tre istituzioni principali:il Parlamento europeo che rap-presenta i cittadini ed è elet-to direttamente da questi, il Consiglio europeo che rappre-senta i singoli Stati membri, la Comunità europea che ha il compito di difendere gli interessi

generali dell’Unione. I poteri e le responsabilità di queste istituzio-ni sono sanciti dai trattati, che sono la base di tutte le attività dell’Ue. Oltre a tali istituzioni, l’Ue possiede una serie di altri organismi che svolgono fun-zioni specializzate: il Comitato economico e sociale europeo, il Comitato delle Regioni, la Banca centrale europea ecc. L’Ecofin indica il Consiglio Economia e Finanza costituito dall’insie-me dei Ministri dell’Economia e delle Finanze dei 27 Stati mem-bri dell’Ue riuniti in seno al Consiglio dell’Ue. In partico-lare l’Ecofin ha il compito di

preparare e adottare ogni anno, insieme al Parlamento europeo, il bilancio dell’Ue e inoltre si occupa di coordinare le politi-che economiche, sorvegliare la situazione economica, monito-rare le politiche di bilancio e le finanze pubbliche dei Paesi membri. L’Eurogruppo ha una composizione simile a quella dell’Ecofin infatti è costituito dagli Stati membri la cui moneta è l’euro, si riunisce di norma il giorno precedente la sessione dell’Ecofin e tratta le questioni inerenti all’Unione economica

“Questa crisi è un tornante della storia” e il nostro Superministro dell’Economia si è messo in testa di guidare il Paese nel gruppo dei primi a tornare al centro della carreggiata.Non c’è che dire, superando senza colpo ferire le voci della propaganda politica, il coro è unanime, l’Italia è tra i Paesi che meglio stanno affrontando il “curvone”.Non importa che tu sia tra quelli che Tremonti ha definito merca-tisti, che tu sia uno statalista, un socialista, un pragmatico conser-vatore o un liberista di sinistra, la Crisi innescata dal default della Grecia ha messo impietosamente a nudo tre fattori.Il debito pubblico conta (e l’Ita-lia come noto possiede il terzo al mondo) ma a contare ancor di più sono il debito nazionale

aggregato (pubblico e privato); le prospettive a breve del deficit e la capacità di produrre “cose” e non fuffa, di un Sistema Paese.Il fatto è che il Ministro dell’Eco-nomia italiana questa previsione qui la fece anni or sono, suffra-gandola di una serie di pubblica-zioni di successo, non da ultimo il best seller internazionale “La Paura e la Speranza” e per tali ragioni negli ambienti finanziari delle cancellerie europee è visto ormai quasi come un guru.Chiamato dalla Germania a consiglio sul da farsi dopo gli errori e gli orrori del Governo Merkel nei giorni del collasso di Atene, coccolato dal Frankfurter Allgemeine e considerato dal The Economist, un qualcosa di impensabile sino a ieri per un uomo di Governo italiano.I suoi più inveterati avversari

politici, i mercatisti, sebbene nascosti spesso allignati all’inter-no della sua stessa fazione pol-tica, con la prospettiva di un Euro in discesa rispetto al dollaro nel medio periodo e quindi di un ulteriore miglioramento della bilancia dei pagamenti, parlano sotto voce di possibile capolavoro tremontiano, quello di tenere il deficit sotto controllo, ridurre il peso degli interessi del debito e prendersi la ripresa trainata dalla ripartenza delle esportazioni.Perché l’Italia quanto a debi-to aggregato rivaleggia con la Francia, sta meglio del Regno Unito e degli USA e riesce a vedere la Germania, il suo defi-cit è sotto controllo e resta la seconda sponda manifatturiera dell’intera Unione Europea.E siamo al giorno d’oggi: c’è

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - dcb-Roma 1-15/16-31 Maggio 2010 - Anno XLV - NN. 79-80 E 0,25 (Quindicinale)

In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romaninaper la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy

— Fondato da Turchi —

Stato dell’Unione Europea

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COPIA OMAGGIOw

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lia.it

di fRANz tuRchI

— a pagina 8 —

attualità

Ricco, continuamente aggiornato:arriva finalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia

www.lapiazzaditalia.itUna Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti

Ormai è evidente a tutti che la

nuova manovra, sia per l’Italia

che per tutti i principali Paesi

della zona Euro, rappresenti la

vera sfida del futuro dell’Eu-

ropa, e della sua moneta di

riferimento.

Non è, infatti, solo un problema

della crisi finanziaria e reale che

ha portato ad interventi struttu-

rali nella manovra di Bilancio

dei singoli stati (compreso il

nostro), ma soprattutto quella

voce che sembrava dimenticata

da tutto e da tutti che si chiama

decifit o debito pubblico.

E su questa voce che tutti i

Premier ed i singoli Ministri

dell’economia si sono concen-

trati e hanno fatto quello che

possiamo ritenere tecnicamente

valido, economicamente effi-

ciente ma sicuramente impo-

polare.

Infatti i sacrifici in termini di

tagli alla spesa pubblica sono

rilevanti, ma il rigore ed anche

la volontà di porre in essere una

strategia nel medio periodo, ha

illuminato i vari interventi e

soprattutto quello del Ministro

Tremonti in questo caso.

Ritengo che oramai l’uomo affi-

dabile per l’economia italiana,

ma a mio avviso anche di quella

Europea sia il Ministro Giulio

Tremonti; affidabile e credibile,

e ora non solo dal punto di vista

economico, ma anche sotto il

profilo politico.

Forse questa manovra non ha

solamente salvato l’Europa, ma

gli ha anche dato un futuro, una

strategia ed ha trovato la sua

futura Leadership.

7 secoli per l’Armagnac

La nuova sfida

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In Europa occorrono organi decisionali centrali

Il Superministro

Per snellire le procedure occorre fare dei cambiamenti, la questione greca insegna

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Pag. 2 1-15/16-31 maggio 2010

Mentre il Primo Ministro Berlusconi si trovava insieme a tutti gli altri capi di gover-no europei ad affrontare - con risultati decisamente positivi - la crisi economica scoppiata a causa della disastrosa situazione finanziaria della Grecia, in Italia il mondo politico non trovava nulla di meglio di cui discutere che l’eventuale formazione di un Governo di “salute pubblica” per meglio affrontare la situazio-ne del Paese.Ma a chi era venuta in mente tale possibilità?Logicamente l’idea di ricorrere ad una pratica diffusissima nel mondo politico all’epoca della Prima Repubblica non pote-va che essere riproposta da un nostalgico dei “bei tempi anda-ti” quale Pierferdinando Casini, tra i più assidui sostenitori del ritorno del consociativismo par-titico tanto in auge negli anni ‘70 e ’80.Ma che cosa ha dichiarato il segretario dell’Udc nel corso di un’intervista televisiva domeni-cale rilasciata ai microfoni di Lucia Annunziata su RAI 3?Ha semplicemente esposto quello che egli da tempo sogna e pensa sia possibile realizzare anche se ciò in effetti fa a pugni con la realtà politica fin qui dipanatasi per mezzo dei risul-tati elettorali fino ad oggi avutisi nel nostro Paese.In soldoni l’ex Presidente della Camera - l’aria fina di Montecitorio evidentemen-te provoca a chi ne occupa lo scranno più alto dei mancamen-ti rasentanti le turbe psichiche - ha affermato che presto o tardi la creazione, come gesto di grande responsabilità di tutte le forze politiche, di un esecutivo di “salute pubblica” sarà inevi-tabile. Questo perché l’Italia ha bisogno di riforme, dalle pensio-ni alle liberalizzazioni e se non si risolvono tutte le questioni che sono sul tappeto il Paese sprofonderà nel baratro. Bella scoperta.Al fine di dare un proprio con-tributo allo sbroglio della matas-sa, il buon Casini preannuncia la creazione di una nuova for-

mazione politica aperta ai tes-serati dell’UDC ovviamente, e a tutti i centristi dei due partiti maggiori, oltre che ai seguaci - pochini in verità ma rumorosi - di Montezemolo e Rutelli. Tale nuovo soggetto politico, lascia-no poi intendere fonti vicine a Casini, in caso di un precipitare della situazione economica ita-liana, potrebbe dare man forte al Cavaliere per fare finalmente le riforme necessarie o almeno per cercare di recuperare qual-che strapuntino di sottopotere - vedi nella regione Lazio ad esempio - per tacitare la fame di poltrone delle periferie, aggiun-

giamo noi.I risultati ottenuti da questa estemporanea uscita di Casini in verità non sono stati dei miglio-ri, infatti da destra e sinistra si sono alzate voci contrarie a una tale evenienza.Calderoli ha definito la proposta di Casini come roba da Prima Repubblica, per fare interessi di bottega poiché è il popolo che votando stabilisce chi governa e non i giochi di palazzo. Fonti vicine a Berlusconi fanno notare come il suggerimento del leader dell’UDC sia fuori luogo e fuori tempo visto che l’Italia si trova - grazie alle politiche attuate da Tremonti - in una situazio-ne economica molto più solida rispetto sia a quella della Grecia che di molti altri partners euro-pei, su tutti Spagna, Portogallo e Irlanda.Bersani invece ha lapidariamen-te commentato il tentativo del Leader centrista affermando che solo attraverso la costruzione di

una seria alternativa a Berlusconi si possono risolvere i problemi del Paese , lasciando intendere che quella di Casini non è che una uscita estemporanea senza sostanza politica.In pratica, l’ex Presidente della Camera, dopo le recen-ti e cocenti sconfitte elettorali dove l’Unione di Centro non ha superato il 6% delle prefe-renze e la tattica dei due forni ha dimostrato che il partito dei centristi non solo raramente è decisivo ma quando si allea con la sinistra quasi dimezza i propri voti, tenta con ostinazione di allargare la propria galassia di

riferimento facendo gioco sulle divisioni e le incomprensioni in atto tra i due schieramenti maggiori.Nel Popolo delle Libertà sem-bra chiaro che l’obbiettivo dei “finiani” sia quello di portare una feroce guerriglia riguardo ogni proposta di legge che la maggioranza porterà al vaglio del Parlamento e certamente le dimissioni di Bocchino dalla carica di vice capogruppo della camera per il PdL ha esacer-bato ancora di più gli animi tra la maggioranza e minoranza interna al partito, anche perché il braccio destro di Fini tutto è meno che un capro espiato-rio di una situazione inaspri-tasi maggiormente per le sue continue infelici dichiarazioni contro chicchessia nel PdL. Lo stesso comportamento del Presidente della Camera è assai indecifrabile, passando egli stes-so da dichiarazioni accomodan-ti verso Berlusconi ad altre di

segno completamente opposto. Infatti come si potrebbe spiegare altrimenti il mancato incontro tra Denis Verdini - uno dei “triumviri” del Popolo delle Libertà incaricato di sondare lo stato dei rapporti tra le due anime del partito - e lo stesso Fini, dato per certo e poi saltato improvvisamente? Il motivo che è trapelato è che l’ex Presidente di Alleanza Nazionale non ha alcuna intenzione di fare incon-tri, tantomeno con intermediari, fino a che non ci saranno rispo-ste politiche ai problemi solleva-ti nel corso dell’acceso dibattito della Direzione Nazionale, tanto più che in questo fantomatico incontro si sarebbe dovuto par-lare di organigrammi di partito tema che sempre secondo i ben informati, dell’entourage di Fini ovviamente, non sta a cuore al Presidente della Camera, impe-gnato come è a cose di ben altro spessore politico: cercare di salvare la poltrona propria e quella dei suoi seguaci più vicini o strappare qualche “cadrega” assessorile nelle regioni in cui si è votato e vinto - per meri-to di Berlusconi ovviamente - per qualche cacicco di periferia pronto a voltargli la schiena in caso contrario. Bene farebbe il Cavaliere a non prestare il fianco ad ulteriori stilettate provenienti dai finiani e a procedere ad un passo più spedito possibile, alla realizzazione di quel programma elettorale approvato dagli italia-ni tramite il voto alle elezioni politiche di due anni or sono.Detto del PdL passiamo a vede-re quanto succede nel Partito Democratico. E qui se vogliamo la situazione è ancora più cao-tica ed imbarazzante. Bersani - dichiaratosi pronto addirittura a cambiare la formula delle pri-marie per non incorrere più in situazioni tipo Puglia - è apparso oramai accerchiato da chi, come Veltroni e Franceschini, chie-dono conto della fallimentare strategia che alle elezioni regio-nali ha portato all’infruttuosa alleanza con l’UDC in parecchie regioni e al tentativo di costru-ire un’alternativa a Berlusconi riproponendo una “Grande

Casini rilancia la proposta di creare un “governassimo” di salute pubblica

I salutisti della politica

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Per snellire le procedure occorre fare dei cambiamenti, la questione greca insegna

In Europa occorrono organi decisionali centrali e monetaria. Si tratta, dunque, di un organo informale che non costituisce una delle formazioni del Consiglio, ma essendo un centro di coordinamento che riunisce i ministri dell’economia e delle finanze degli Stati mem-bri prepara i lavori all’Ecofin. L’organismo si è reso necessario in quanto con l’allargamento a 27 Stati i 16 Paesi che adottano l’euro si trovano ad essere moni-torati all’interno dell’Ecofin, gli incontri informali dell’Euro-gruppo permettono di intensi-ficare il dialogo sulle questioni connesse alle competenze speci-fiche comuni agli Stati dell’Eu-rozona.Certo il quadro istituzionali summenzionato non prevede sicuramente un meccanismo burocratico leggero e snello, ogni volta le decisioni debbo-no essere prese nell’ambito di più riunioni e nella pratica ciò equivale ad allungare i tempi decisionali e ad intervenire con ritardo su questioni importanti

che necessitano invece, di una maggiore rapidità per risultare efficaci ed efficienti.A tal proposito non sarebbe

una cattiva idea sostituire que-ste con un Ministero econo-mico europeo che provveda di concerto con la Banca centrale europea a prendere decisioni inerenti la politica monetaria

ed economia a livello europeo. Non sembra che il tema della burocrazia pesante e farraginosa sia al centro dell’agenda euro-

pea, la costituzione di una unità centrale faciliterebbe il proces-so decisionale e la procedura di codecisione mediante una riduzione notevole dei tempi e attraverso l’adozione di poli-

tiche che interverrebbero più rapidamente nel mercato al fine di poter anticipare anche qual-che volta quelle situazioni che ex post potrebbero diventare irreversibili o più complicate da affrontare e da risolvere.Questa riforma istituzionale si rende necessaria nell’ottica di una Unione fra Stati sempre più complessa, dove il proces-so di integrazione ha raggiunto un punto tale da dover forni-re risposte serie e concrete alle problematiche che giorno dopo giorno diventano sempre più globali dipendendo spesso da mercati extra europei sia a livel-lo monetario che economico. Quando si ha una visione cen-tralizzata della problematica, la rilevazione e l’acquisizione delle informazioni relative diventano più semplici e di conseguenza si individua subito il proble-ma e si adottano decisioni con puntualità e tempestività, questo garantisce un miglior risultato in termini di efficacia. I problemi a livello europeo sono difficili da definire ma facili da riconoscere,

forse la difficoltà principale non risiede tanto nell’identificazione e nella definizione di questi pro-blemi, quanto nello spiegarli e ancor più nel modo di risolverli. Per esempio i problemi regionali che riguardano le disparità tra le diverse regioni della stessa nazio-ne in termini di reddito, pro-duttività e livelli di occupazione. Un Ministero economico euro-peo disponendo di una visione d’insieme delle varie situazioni economiche dei singoli Stati, ad esempio a seguito di uno studio potrebbe centralizzare la decisio-ne di intervenire in alcuni settori degli Stati stessi cercando di rag-giungere obiettivi di benessere generale. Non basta coordinare le politiche economiche ma è necessario che il coordinamento possa essere sottoposto a revi-sioni, modifiche e valutazioni di merito mediante un processo decisionale diretto e immediato che possa appunto riorientare laddove necessario le politiche nella direzione di obiettivi di crescita, coesione e redistribu-zione comune.

Dalla Prima

bisogno di un intervento per consolidare la buona accoglien-za da parte dei mercati sulla politica economica restrittiva del Governo, l’unico gioverà ricordarlo e rendergli merito, ad essersi tappato le orecchie quando ululavano le sirene dello “Stimolo” allo sviluppo, tutte esperienze rivelatesi autentici giri di denaro per la discarica della storia economica: eccola qui la manovra correttiva da 25 miliar-di di Tremonti che mette - sep-pur timidamente - a dieta i costi della politica e della burocrazia e cerca la sua strada nella lotta all’evasione.Blocco dei salari pubblici, ridu-zione, seppur di poco di quel-li più alti, tagli di 4 miliardi nel 2001 e 7 miliardi nel 2012 alla spesa senza controllo delle regioni che ora i soldi dovran-no trovarli o attraverso tagli di spesa oppure con nuove tasse contro un prezzo politico che i nuovi Governatori difficilmente vorranno pagare, inasprimento delle sanzioni (compresa l’ineleg-gibilità) per gli amministratori che bucano l’obiettivo, limite alle assunzioni.Taglio ai rimborsi elettorali, abo-

lizione di enti inutili, taglio oriz-zontale alle spese della pubblica amministrazione. Una manovra che si propone come seria, prova ne sia l’ennesimo sciopero gene-rale della CGIL.Molto ancora da fare invece sulle pensioni, la cui spesa è mitigata dalla riduzione degli scivoli in uscita, molto ancora da fare sulla promessa elettorale di cancellazione delle provincie osteggiata duramente però dal vero partito della spesa presen-te in Parlamento, la Lega, con l’unico particolare che il parere di Bossi è dirimente per la tenu-ta della maggioranza.Dobbiamo quindi aspettarci un futuro con strade, ponti, piaz-ze, statue equestri intitolate al Superministro dell’Economia italiano?Può darsi.Molto dipenderà dall’esito del federalismo fiscale, unica versa riforma strutturale che il Governo sembra avere in animo e possa realmente varare nella legislatura.Resta il fatto che al tornante della storia Tremonti potrebbe ritrovarsi al volante di una delle poche macchine che puntano al traguardo.

Unione” di prodiana memoria depotenziando il mito di un PD sostanzialmente autosufficiente rispetto ad apporti esterni.Gli italiani insomma, ancora una volta hanno avuto la dimostra-zione del diverso spessore politi-co di Berlusconi e Tremonti che erano in prima persona indaf-farati a cercare una soluzione alla crisi finanziaria che avvolge

l’Europa mentre i loro detrattori politici, interni ed esterni, in Italia discutevano di governi tec-nici, governissimi e giù di questo passo, un po’ come, qualche secolo fa, alla corte bizantina si discuteva del sesso degli ange-li mentre minacciosi i turchi erano oramai giunti alle porte di Bisanzio.

Giuliano Leo

Il SuperministroDalla Prima

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La Piazza d’Italia - Esteri

Lezione inglese: largo ai gio-vani.A presiedere il nuovo gover-no inglese siedono due lea-der poco più che quarantenni, Cameron e Clegg e già tutto ciò dovrebbe suonare come un esempio per le nostre clas-si dirigenti. Oltre a questo dato, la rapidità: sono stati sufficienti 5 giorni di trattative e discussioni per dare l’attesa “fumata bianca” e affidare il nuovo governo britannico a David Cameron, netto vinci-tore dell’ultima tornata elet-torale con 306 seggi (contro i 258 dei Laburisti di Brown e i 57 dei Liberali di Clegg).Il nuovo premier britannico, il 43enne David Cameron, più giovane premier di Gran Bretagna dal 1812, “ha ingag-giato” i liberl-democratici di Clegg, mai ago della bilancia della politica britannica dell’era elisabettiana. Ingaggiato, perché nonostante le frasi di circostanza, Clegg ha offer-to il suo partito cedendo alle lusinghe una volta degli uni (Tories) una volta degli altri (Gordon Brown ci ha provato fino all’ultimo). Complice l’in-certezza, visto che dalla vittoria Tory, non è scaturita una mag-gioranza assoluta come pareva dover essere alla vigilia.“Metteremo da parte le diver-genze - ha dichiarato Cameron - per dare al Paese un gover-no forte e stabile” che possa

affrontare i principali proble-mi, tra cui l’enorme deficit e la riforma del sistema politico”.Ma il leader dei liberali-demo-cratici sembra un osso duro e secondo le prime indiscrezioni avrebbe già posto alcuni paletti sulle riforme necessarie per il Paese. Come è in parte giusto che sia visto che senza Clegg, il buon Cameron faticherebbe alquanto.Tra successi e fiaschi, il partito laburista in questi tredici anni ha comunque cambiato la fac-cia dell’Inghilterra.Tra i più gandi errori il tan-dem Blair - Brown (tredici anni ininterrotti al potere, mai era successo prima) annovera: l’intervento in Iraq - altamente impopolare e dagli esiti infausti in termini di perdite umane, criticato non ultimo per l’at-teggiamento prone agli Usa di Bush - e il fallito tentativo di ridurre la disuguaglianza tra i redditi, per nulla agevolato peraltro dalla crisi degli ultimi mesi. Tra i meriti indiscutibili, l’aver aperto un Paese storica-mente conservatore e bigotto. Hanno puntato sull’innova-zione investendo senza rispar-mio e la cultura è rinata grazie all’introduzione di nuovi fondi per artisti e attività a sfondo umanistico, molte associazioni non governative sono nate gra-zie al sostegno dello Stato. Il tutto agevolato da un periodo di crescita economica forte e

stabile durato dieci anni senza interruzioni, che ha consen-tito l’introduzione del salario minimo obbligatorio, che ha permesso a molte famiglie di risollevasi spingendo molti stranieri a tentare “l’avventura inglese”. Molti “Soloni” dalla memoria corta criticano oggi il modello inglese, omettendo di ricordare che quando nel resto dell’Europa non si tro-vava lavoro il Regno Unito dava impiego a molti degli oltre 1.700.000 cittadini del

Unione Europea che sono regolarmente registrati e che sono stati censiti dall’Office of National Statistics, l’Istat bri-tannico, nel 2008. Stando alle stime ufficiali oltre 105.000

mila di questi erano Italiani.Tutti ricordiamo, a livello internazionale, come la terza via di Blair abbia offerto un nuovo modello a molte sini-stre europee. E pure a qual-che centro-destra, visto che i progressisti britannici sono per certi versi (versante eco-nomico) più simili alle destre che alle sinistre, ad esempio in Italia. Ma detto questo, la fine del conflitto tra cattolici e protestanti in Irlanda del Nord ha rappresentato un successo

memorabile, da ascrivere tutto ai laburisti.Complici congiuntura eco-nomica sfavorevole e il lungo periodo che li ha visti in sella, i laburisti vengono ora media-

ticamente colpiti e disprezzati. Ingenerosamente visto che il bicchiere al netto degli errori è per ¾ pieno. Sulle prime, Cameron non sembra affatto un predestinato. Il primo segna-le della sua fragilità lo abbiamo già potuto vedere: ha fallito un impresa data per certa, di stra-vincere le elezioni. I Tories che pochi mesi fa avevano oltre il 40 per cento dei consensi, non sono stati in grado di convin-cere la maggioranza dell’eletto-rato britannico. Resta sospesa

poi la variabile euroscettica incarnata da Cameron, che in un momento come questo per l’Europa potrebbe avere il suo peso in negativo. Dal canto loro, i Liberal Democratici,

dopo aver fatto gli schizzinosi con Clegg, che aveva descrit-to l’ipotesi di cadere tra le braccia di Tories o Labours come una scelta tra sdegno e disperazione, non appena gli si è presentata l’occasione di arraffare qualche poltrona ci si sono fiondati. Sintomo che in Gran Bretagna, come nel in gran parte del mondo, la pretattica lascia il tempo che trova. Peraltro, il messaggio che i liberaldemocratici tenta-no di far passare - rappresen-tare il nuovo in grado di dare la giusta sterzata al Paese - non ammalia nessuno.In casa laburista ci si lecca le ferite ma non troppo. Era in preventivo la sconfitta, ed essere riusciti a limitare i danni può essere considerato un par-ziale successo. Intanto, David Miliband - il 44enne ministro degli esteri uscente vicino a Blair - sembra apprestarsi a diventare il leader dei laburisti per una transizione che potreb-be essere breve, viste alcune differenze e la personalità di Clegg e Cameron. Su tutte l’Europa. Fra le poche cose che accomunano i due l’Europa latita.“Perché Nick ha sciacquato i panni a Bruxelles”, dicono i suoi supporter ricordando la prima vita di un leader che fu euroburocrate. David no.Quando la forma è sostanza.

Francesco di Rosa

Pasticcio Thailandese

Dimissioni Brown, spazio ai toriesAccordo Cameron - Clegg per governare. Molte le incognite e i problemi dietro l’angolo

La vicenda Thailandese parte da lontano. Dalla situazione socio-economica complessa, caratterizzata da grandi cleave-ges socio-culturali (da un lato i ritmi di crescita del Paese, una delle tigri asiatiche, dall’altro ingenti fette di popolazione ai margini del grande sviluppo) alle imperdonabili pecche di una “casta” politica corrotta e miope, fino al ruolo dei milita-ri, da sempre decisivo.L’istaurazione di un governo di coalizione, guidato dal Partito del Potere del Popolo (PPP), leale al Primo Ministro spode-stato Thaksin Shinawatra, ha prodotto il conflitto coi mili-tari, che nel 2006 rimossero Thaksin. Il tutto verte sul pro-gramma del PPP che prevedeva la modifica della costituzione, cosa che ha fatto innescare la rivolta antigovernativa.Alle elezioni, il PPP ha guada-gnato 233 seggi sui 480 della Camera, in confronto ai 165 del Partito Democratico all’op-posizione. Il leader del PPP, Samak Sundaravej, ha formato il governo ed è diventato primo ministro in base alle alleanze con cinque piccoli partiti e con gli indipendenti. Ma il senato, è dominato dai senatori leali alla giunta uscente.La modifica della costituzio-ne richiede la maggioranza in entrambe le camere del Parlamento. Il governo ritene-va di avere i 316 voti necessari

per avviare gli emendamenti costituzionali. Ma la dissolu-zione dei due alleati del PPP sconvolgerebbe questi calcoli.La costituzione vigente è stata elaborata dalla giunta, che nel 2006 rovesciò Thaksin Shinawatra, ed è stata approva-ta tramite un plebiscito l’ago-sto scorso. La partecipazione elettorale era stata il 57,6% e

soltanto il 42% ha approvato la nuova costituzione. Nelle zone rurali del nord, dove il sostegno a Thaksin resta forte, la maggioranza ha votato con-tro. Le disposizioni elettorali della costituzione sono state progettate per impedire al PPP di ottenere il potere.Il PPP è costituito dai soste-nitori di Thaksin, dopo che il suo partito Tha Rak Thai (i tailandesi amano i tailandesi), è stato messo al bando e le 111 sue figure maggiori, compreso Thaksin, sono state interdette

dalla politica per cinque anni.La costituzione ha dato ampi poteri alla commissione eletto-rale e alle corti giudiziarie nel controllare i partiti politici e nel limitare i poteri del gover-no e del Parlamento.Con la vittoria nelle elezioni del dicembre 2007, il gover-no del PPP stava cercando di emendare la costituzione, per

rimuovere il potere della com-missione elettorale e delle corti di dissolvere un partito eletto al Parlamento. Samak inoltre, ha suggerito di rimuovere la clausola che protegge i capi del golpe del 2006 da un possibile processo. Contro tale richiesta, sono ovviamente insorti i ver-tici militari.Samak ha sostenuto di aver ricevuto degli avvertimenti, riguardo a un nuovo tentativo di golpe. Sul golpe del 2006 è emersa la collaborazione fra il comandante dell’esercito,

Generale Anupong Paochinda, e il capo del golpe, Sonthi Boonyaratglin, ufficiale dell’esercito anch’egli. Il colle-gamento fra i due Generali ha disturbato – a dire poco – la popolazione.L’Alleanza del Popolo per la Democrazia (PAD), la coalizio-ne dei gruppi che hanno orga-nizzato le enormi dimostrazioni anti-Thaksin, a Bangkok nel 2006, descrive il programma per emendare la costituzione come “golpe silenzioso” e ha minaccia-to di indire proteste nelle strade contro i cambiamenti.Apertamente contrario con un editoriale il quotidiano Nation, che così commentava il fatto: “Proporre un cambiamento della costituzione, soltanto a pochi mesi dall’elezione, non è fattibile. Il governo dovrebbe dedicarsi a ristabilire la fiducia del pubblico nell’economia, ad assicurare degli investitori stranieri della stabilità politica tailandese e a generare armonia in una società guastata da pro-fonde divisioni.”Queste divisioni provengo-no da differenze fondamenta-li sulla politica economica da adottare. Il populista di destra Thaksin, dopo aver preso il potere nel 2001, capitalizzan-do della diffusa ostilità verso le “riforme” economiche volu-te dal FMI (fondo monetario internazionale), e imposte dal precedente governo del Partito

Democratico, a seguito della crisi economica asiatica del 1997-1998 (che vide protago-nista il miliardario interventista Goerge Soros), decise di pro-teggere il commercio tailandese ed ha destinato alcune spese limitate per migliorare la situa-zione socio-economica nelle zone rurali. Sottoposto alle pressioni economiche interna-zionali e delle rivalità regionali nel campo degli investimenti, Thaksin adottò le misure di ristrutturazione economiche, comprese le privatizzazioni, la liberalizzazione ed i colloqui sul trattato di libero scambio con gli Stati Uniti. Tale spo-stamento di fondi ha alienato i commercianti e gli interessi politici conservatori che lo ave-vano sostenuto precedentemen-te, dando vita a una campagna per la sua rimozione.Le grandi proteste ricordiamo nacquero nel febbraio 2006, dalla vendita del conglome-rato delle telecomunicazioni Shin Corp, della famiglia di Thaksin, assegnato al ramo investimenti del governo di Singapore, al prezzo di 1,9 miliardi di dollari. Le accuse di corruzione hanno suscitato ulteriore rabbia verso i meto-di autocratici di Thaksin e la sua rinnovata guerra contro i separatisti musulmani nel sud del paese (confinante con la Malaysia) e per gli effetti delle sue riforme di mercato sui

lavoratori.Da quel momento ci sono stati mesi di agitazione politico-sociale e una crisi costituzio-nale prodotta dal boicottaggio delle elezioni da parte dei par-titi dell’opposizione. E appe-na la situazione ha minacciato di degenerare, i militari, con il supporto del re Bhumibol Adulyadej e delle fazioni con-servatrici dell’elite tailandese, hanno deciso di intervenire prendendo il potere nel set-tembre 2006.Il governo militare del Primo Ministro Surayud Chulanont, tuttavia, si è dimostrato inca-pace di risolvere i problemi economici di fondo.Il tasso di crescita ha conti-nuato a scendere così come gli investimenti esteri. La deci-sione della giunta di tenere le elezioni entro il 2007, che con-sentirono al PPP di prendere le redini del governo, fu un segno dell’affievolirsi del supporto politico e dell’opposizione cre-scente nei circoli dominanti verso la giunta militare.Ed oggi, la soluzione dei pro-blemi sembra molto di là da venire: Bangkok è presa d’as-salto con i militari (“waterme-lon” o cocomeri) che in taluni casi sembrano strizzare l’occhio ai rivoltosi, che hanno, giorni fa, assaltato indisturbati l’emit-tente Thaicom.E se si girano gli eserciti …

Francesco di Rosa

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La Piazza d’Italia - Economia

La crisi greca è un potente promemoria dei divari da lungo tempo esistenti nell’ar-chitettura fiscale dell’eurozona, colmare i gap richiederà un rafforzamento sostanziale della disciplina fiscale e l’introduzio-ne delle procedure per gestire la crisi.Da diverse settimane ormai la Grecia è al centro dell’attenzio-ne mondiale a causa della grave crisi economica che il paese sta attraversando. La situazione della nazione ellenica eviden-zia l’enorme massa del debi-to pubblico e il drammatico rapporto tra l’indebitamento e il Pil attualmente previsto al 12,7% sforando ampiamente la soglia del 3% imposta dal Trattato di Maastricht.Sicuramente la crisi economica che sta attraversando la Grecia rientra perfettamente nel com-plesso mondiale della grandi crisi del 2008, quella defini-tiva, destinata a cambiare per sempre, il modello economico-finanziario a cui siamo abitua-ti, ma, oltre a questo innega-bile fattore, la crisi in Grecia porta in sé i germi di un’altra crisi più profonda, un disastro economico e sociale che ha origini molto lontane, figlie di una cultura che ha assorbito in sé le influenze più distanti.Quando la Grecia entrò a far parte della Comunità Europea, composta da Stati economi-camente forti, dotati di un settore secondario altamente

produttivo e competitivo, era il parente povero della famiglia europea, bisognoso di sostegno per raggiungere lo status degli altri membri. E gli aiuti arriva-rono, assai copiosi, sotto forma di sovvenzioni. Iniziò, quindi, negli anni ottanta un flusso notevole di fondi europei che giungevano in Grecia per fare in modo che venissero compiu-ti gli investimenti necessari per l’ammodernamento del Paese. La Grecia, grazie a questi aiuti, nel giro di venti anni raggiun-se lo status sociale delle altre nazioni europee; nel frattempo il debito pubblico cresceva in maniera esponenziale, finchè, con lo scoppio della crisi e il livello del debito totalmente fuori controllo, la realtà ha bussato alle porte della Grecia, il problema è che ha bussato alle porte della popolazione.Ecco quindi l’origine della situazione ellenica attuale, una situazione in cui nessuno è a suo modo “innocente”. Le responsabilità dei governanti, corrotti oltre ogni limite, sono in proporzione enormemente maggiori rispetto a quelle del singolo cittadino che sempli-cemente si è ritrovato den-tro un gioioso bengodi. La colpa delle persone comuni, semmai, è stata quella di non aver mai riflettuto sull’origine della propria ricchezza, e di aver accettato senza eccessi-ve rimostranze la pratica della corruzione generale, nonché il

sistema dei favori diffuso ad ogni livello, considerando nor-male e socialmente accettabile trovare un lavoro fisso presso un ente pubblico grazie alla raccomandazione del proprio meson, oppure dover pagare bustarelle per poter sbrigare perfino le più piccole pratiche burocratiche. Sistema che asso-

miglia molto a quello italiano, e già per questa similitudine le preoccupazioni dovrebbero essere trasformate in politiche di intervento al fine di cambia-re il sistema stesso.A fronte di questa crisi il pre-mier socialista greco George Papandreou ha presentato il piano anticrisi che prevede il raggiungimento del rapporto debito/Pil al 3% nel 2013, ciò significa che nell’arco di tre anni questo rapporto su base annuale dovrebbe ridursi di

almeno 4 punti percentuali, visto che le previsioni per il 2010 lo attestano al 12,7%.Papandreou ha affermato che serve un new deal per salvare la Grecia, la quale rischia di essere strangolata dal debito. I problemi principali secondo il premier riguardano le modali-tà con cui è gestita la sanità, la

corruzione e l’evasione fisca-le. Una prima manovra sarà quella che ridurrà il rapporto deficit/Pil greco sotto il 3% nel 2013. Il piano di Papandreou prevede anche una drastica riduzione della spesa attraverso un congelamento dei salari dei dipendenti pubblici che gua-dagnano più di euro 2.000,00, taglio e un tetto per i salari e i bonus (che saranno tassati al 90%) dei manager, riduzione del 10% delle spese operative del governo, un congelamento

delle assunzioni pubbliche nel 2010 e un criterio di 1 a 5 dal 2011 in poi, sensibile ridu-zione delle spese militari per i prossimi tre anni. Il premier ha annunciato anche un aumen-to degli investimenti pubblici fino al 4,2% del Pil nel 2010 per accelerare l’assorbimento dei fondi europei, e riforme per favorire gli investimenti internazionali. Papandreou ha chiesto “la cooperazione di tutti” per la sua strategia ed ha assicurato che “ognuno contri-buirà secondo le sue forze”.Da quanto si evince, emerge con tutta chiarezza il problema delle responsabilità istituziona-li dello Stato. Nella fattispecie, i governanti della nazione elle-nica sono i veri responsabili per aver favorito lo sviluppo della corruzione, dell’evasione fiscale e del debito pubblico senza adottare le dovute misu-re di controllo.La realtà è che la Grecia per rimanere nell’Unione Europea deve rispettare i c.d. parame-tri di Maastricht che prevedo-no il rispetto della soglia del 3% nel rapporto deficit/Pil. Per rispettare questa soglia si devono fare sacrifici, tagli alla spesa pubblica, che tradotti in termini molto pratici significa meno assunzioni, meno salari, più tassazione. Queste sono tutte misure che sicuramente porteranno al raggiungimen-to dell’obiettivo del bilancio pubblico, risaneranno i conti,

faranno rimanere la Grecia in Europa, ma a farne le spese sono soprattutto i cittadini che per tre anni saranno costretti a ridimensionare le loro aspetta-tive di crescita e di migliora-mento della qualità della vita. Come finisce sempre, quan-do si deve uscire da una crisi economica a pagare sono in primis i cittadini. Questo è più tollerabile in una democrazia economica e sociale moderna? Un intervento equo e giusto sarebbe quello di far pagare i debiti a chi ha la responsabilità di governare un paese man-tenendo il bilancio pubblico in equilibrio, chi contribuisce mediante politiche scellerate (e fraudolente) a conseguire risultati economici e finanziari negativi ne risponde personal-mente ed illimitatamente. Se si introduce il meccanismo della responsabilità che avrebbe un socio o un amministratore di una società privata in una azienda pubblica come quella dello Stato, delle Regioni, delle province, degli enti pubblici in generale, allora le crisi saranno meno frequenti, meno sistemi-che, e ognuno pagherà per gli errori commessi e di sua com-petenza. Solo così si può dare un utile contributo alla gover-nance istituzionale garanten-do efficienza amministrativa e crescita sociale ed economica in un Paese.

Avanzino Capponi

È ormai opinione diffusa che le agenzie abbiano contribui-to alla crisi assegnando rating troppo alti alle obbligazioni garantite da mutui subprime. Il rating è un metodo utiliz-zato per classificare sia i titoli obbligazionari che le imprese in base alla loro rischiosità. I rating sono periodicamente pubblicati da agenzie specializ-zate, principalmente Standard & Poors, Moody’s e Fitch Ratings. Un declassamento del rating di aziende o sog-getti pubblici particolarmente indebitati, ha la conseguen-za a breve termine di provo-care un rialzo degli interessi applicati sui prestiti in corso e quindi un aumento degli oneri finanziari. Per ottenere un rating, una società, una banca o uno Stato devono rivolgere una richiesta esplicita a una delle agenzie di rating. Ottenuto l’’incarico, l’agenzia inizia l’analisi. L’analista attin-ge da informazioni pubbliche (ad esempio i bilanci), studia i fondamentali economici e finanziari e incontra i manager per raccogliere tutte le infor-mazioni necessarie. Solo dopo questa analisi è possibile espri-mere un voto sull’affidabilità creditizia della società che ha richiesto il rating. Terminato il lavoro dell’analista entra in azione un comitato, sarà, infat-ti un organo collegiale, e non un singolo analista, a valutare tutto il materiale raccolto e ad esprimere una giudizio sotto forma di rating. In seguito, il rating viene votato a maggio-ranza dal comitato, formato da esperti del settore in cui

opera la società richiedente, e poi si passa alla pubblicazione. Questa espone però la società a rischio di aggiotaggio e insider trading, ovvero all’omissione di comunicazione o la ritarda-ta diffusione che avviene per favorire un cliente dell’agenzia di rating che può pagare per avere informazioni privilegiate oppure fornire una percentuale su guadagni ottenuti speculan-do a breve termine al ribasso o al rialzo, con la vendita del titolo a prezzi ancora remune-rativi primachè la diffusione delle informazioni sulla reale situazione dell’emittente indu-ca il crollo del corso azionario. Più che un guadagno si trat-ta di una mancata perdita, a meno che il prezzo di vendita non superi comunque quello di acquisto del titolo. Il divario tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto e il guadagno dello speculatore sono maggiori se il rialzo artificioso del rating e del prezzo sono preceduti da un declassamento immo-tivato da reali peggioramenti della solvibilità dell’emittente. Il declassamento consente di acquistare titoli quando tutto il mercato vende, per ottenere la vendita delle proprie posizioni al primo riapprezzamento del titolo. Questo meccanismo quindi, consente allo specu-latore di acquistare il titolo quando l’agenzia di rating ha declassato la società emittente, in modo che al primo riap-prezzamento è come se ven-desse il titolo ad un prezzo più alto perché la forbice tra prezzo di acquisto e di vendita risulta maggiormente divaricata. La

crisi finanziaria ha avuto la disgrazia di avere un notevole impulso e contributo da que-sto meccanismo di specula-zione che ha fatto ingrassare appunto gli speculatori grazie alle informazioni privilegiate fornite dalle agenzie di rating e alle loro artificiose mano-vre, ma ha provocato un crack sul mercato finanziario che a catena ha danneggiato l’eco-nomia internazionale nel suo complesso.Per tali ragioni si è resa neces-saria una regolamentazione delle agenzie di rating a livello europeo, il 12 novembre 2008 la Commissione europea ha pubblicato una “draft regu-lation” , la proposta è stata approvata il 23 aprile 2009 dal Parlamento europeo e il 27 luglio dal Consiglio. Il nuovo Regolamento europeo sulle agenzie di rating affronta il tema della vigilanza la quale deve essere affidata all’autorità competente dello Stato mem-bro di origine (per esempio, in Italia la Consob), in colla-borazione con le autorità com-petenti degli altri Stati mem-bri interessati, avvalendosi del collegio competente e coin-volgendo opportunamente il Cesr (Committee of European Securities Regulators) che raccoglierà tutti i dati storici sulle performance dei rating emessi dalle agenzie registra-te e li renderà pubblici sul proprio sito. Le agenzie che vogliono operare nell’Unione Europea devono registrarsi presso il Cesr e devono adot-tare tutte le misure necessarie per garantire che l’emissione di

un rating non sia influenzata da alcun conflitto di interes-se, esistente o potenziale. Su questo aspetto, le misure pro-poste sono: graduale rotazione degli analisti; determinazione della retribuzione degli anali-sti in modo indipendente dal volume del fatturato generato dalle entità valutate; il consi-glio di amministrazione deve prevedere almeno un terzo di

membri indipendenti, la cui retribuzione non è collegata ai risultati economici dell’agenzia di rating; le agenzie devono pubblicare i modelli, le meto-dologie e le ipotesi di base utilizzate per emettere i rating; le agenzie dovrebbero astenersi dal valutare strumenti finan-ziari per i quali non abbia-no informazioni sufficienti e affidabili; gli strumenti finan-ziari strutturati devono avere una differente simbologia; le agenzie non dovrebbero offrire servizi di consulenza, con par-ticolare riferimento alla moda-lità di strutturazione di atti-vità finanziarie complesse; gli

intermediari finanziari, per fini regolamentari, possono utiliz-zare solo rating emessi da agen-zie stabilite nella Comunità e registrate presso il Cesr.Il nuovo regolamento ha molti aspetti positivi e potrebbe rap-presentare un passo importan-te verso la riqualificazione del valore dei rating agli occhi sia degli investitori che dei regola-tori. Due punti però meritano

una riflessione più attenta: il livello di disclosure e il grado di concorrenza nel settore del rating.Comunicare al mercato troppe informazioni sulle metodolo-gie utilizzate dalle agenzie di rating potrebbe essere danno-so. Infatti gli emittenti potreb-bero sfruttare le informazioni per strutturare le obbligazioni in modo tale da ottenere il rating massimo con il minimo di garanzie collaterali. Sebbene sia auspicabile un aumento del grado di concorrenza in questo settore, la situazione è più complicata, perché occorre tener presente che al crescere

del numero di agenzie, aumen-ta la possibilità per gli emit-tenti di fare shopping nella ricerca del giudizio a loro più favorevole.Non bisogna dimenticare che lo scopo dei rating è quel-lo di dare una stima sintetica del rischio di credito di un titolo. Di conseguenza, inve-stitori e intermediari, non solo dovrebbero affiancare al rating altre stime della probabilità di default, ma, soprattutto, dovrebbero utilizzare anche altri indicatori, capaci di misu-rare il rischio di liquidità e quello di mercato.Ma occorre anche superare un approccio alla regolamentazione in cui i rating offrono una via d’usci-ta, meccanica quanto illuso-ria, a problemi che devono essere affrontai caso per caso. Ad esempio, la decisione della BCE di ammettere al rifinan-ziamento i titoli greci, anche dopo il declassamento a junk status, è indicativa come le istituzioni e le autorità com-petenti debbano farsi carico di stabilizzare i mercati che hanno perso la bussola sospen-dendo, se necessario, i criteri di esclusione basati sui rating.In conclusione, i danni provo-cati chi li risarcisce? La risposta è ovvia e scontata ma vale la pena ricordarla cioè la comuni-tà dell’economia internaziona-le che lavora, produce, si sacri-fica e non specula. Si auspica che le nuove regole dettate dal regolamento europeo pos-sano limitare i rischi di un’altra catastrofe finanziaria.

Avanzino Capponi

La Grecia ha perso ogni credibilità internazionale e rischia di essere strangolata dal debito

Il regolamento comunitario approvato recentemente detta nuove regole per le agenzie di rating

Serve un New Deal per salvare la Grecia

Agenzie di rating e speculazione, binomio pericoloso

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La Piazza d’Italia - Economia

Dopo 11 ore di vertice, è stato siglato l’accordo da parte dei 27 Ministri delle Finanze dell’UE al vertice Ecofin tenutosi a Bruxelles per stanziare 500 miliardi ai quali si aggiungono altri 250 del Fondo Monetario Internazionale.Londra dice no al fondo salva-Stati. Il Ministro delle Finanze britannico Alistair Darling ribadisce la contra-rietà al piano di sostegno europeo. Quindi la Gran Bretagna non parteciperà al fondo contro la crisi nell’eu-rozona.Il Fondo salva-Stati verrebbe costituito a maggioranza qua-lificata, sulla base dell’articolo 122 del Trattato di Lisbona. “Qualora uno Stato mem-bro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di cala-mità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determina-te condizioni un’assistenza finanziaria dell’UE (quindi dei 27) allo Stato membro interessato”. Come si evince dal dettato dell’articolo, l’as-sistenza finanziaria è prevista nel caso in cui la situazione

di difficoltà sia stata causata da circostanze eccezionali che sfuggono al controllo dello Stato membro interessato. Qui c’è da precisare che la circostanza eccezionale della Grecia, cioè il suo enorme

indebitamento pubblico non è tanto configurabile come causa che sia sfuggita al suo controllo. Il problema risiede proprio in questo passaggio: la Grecia da anni è alle prese con la crescita esponenziale del suo debito pubblico e da anni i suoi governanti non fanno nulla per ridurla, salvo chiedere aiuti ai part-ners di riferimento, cioè FMI ed Europa. Per tale ragione

sarebbe motivata la scelta bri-tannica di non partecipare al fondo salva-Stati, non perché sia contraria a questa misura ma semplicemente perché la corruzione dei politici greci non è causa di circostanze

eccezionali che sfuggono al controllo del Governo greco, così come prescrive l’articolo 122 del Trattato di Lisbona.Il processo di integrazione economica europea iniziato alla metà degli anni Ottanta e caratterizzato dalla continua espansione dell’agenda euro-pea, dal rafforzamento dei legami economici fra i paese europei, dal trasferimento di nuovi poteri a istituzio-

ni comunitarie, così come dall’estensione geografica di quello che si può chiamare il sistema economico euro-peo, nella decisione di stan-ziare 500 miliardi per i Paesi membri in difficoltà è sicu-ramente in sintonia con lo spirito di solidarietà istituzio-nale dell’UE. D’altronde se si vuole rafforzare il mercato interno europeo, oltre all’eli-minazione di tutte le rima-nenti barriere alle transazioni economiche tra i Paesi mem-bri della Comunità europea, il clima politico ed economi-co è fondamentale quando si tratta di prender decisioni come quelle dell’Ecofin.Questa tendenza rappresen-ta un fattore determinante per rafforzare i legami tra gli Stati membri, e poi le diffi-coltà sono cicliche e toccano prima o poi un po’ tutti gli appartenenti alla Comunità. Il vero fattore, però, su cui riflettere è dato dal fatto che l’articolo 122 del Trattato di Lisbona contiene una pre-sunzione di innocenza dei governanti, laddove recita che la situazione di difficoltà deve essere causata da circo-stante eccezionali che “sfug-gono al controllo dello Stato membro interessato”. Come

si può pensare che un livello di indebitamento, frutto di un processo di accumulo che non cresce dall’oggi al doma-ni possa sfuggire al controllo di un ministro delle finan-ze? Solo in uno Stato senza burocrati e funzionari, senza software e senza consulenti si può incorrere in questo rischio; siccome la realtà è che le macchine ministeria-li sono talmente strutturate ed organizzate in modo da monitorare continuamente i conti pubblici degli Stati è difficile credere che tale monitoraggio sia sfuggito al controllo degli addetti ai lavori. Se fosse così, come nella realtà purtroppo lo è, il piano salva-aiuti varato all’Ecofin di Bruxelles, non configurando la fattispecie causale prevista dall’articolo 122 del Trattato di Lisbona contravviene al precetto in considerazione per cui la votazione ed il piano sareb-bero giuridicamente nulli.Far ricadere la difficoltà economica della Grecia nel precetto dell’articolo 122 significa rimanere intrappo-lati in una presunzione di innocenza dei policy makers, significa non voler affrontare il tema delle responsabilità

neanche a livello europeo, e in ultima analisi ma non meno importante significa far accollare impietosamente alla collettività di un Paese e per solidarietà agli altri Paesi il costo di aiuti e di interven-ti per i quali non dovevano alcun prezzo.A tal proposito sarebbe opportuno porre all’atten-zione dei responsabili delle istituzioni europee la rivisi-tazione dell’articolo 122 del Trattato di Lisbona in chiave di responsabilità dei singo-li Stati senza trascinare gli altri in una solidarietà fittizia. Se l’Europa passasse da una solidarietà formale ad una solidarietà sostanziale, dove si intende un intervento armo-nico degli Stati a sostegno di Paesi che hanno difficoltà oggettive causate da “circo-stanze o da shock improvvisi davvero incontrollabili”, allo-ra il sistema solidale europeo diventerebbe maggiormente credibile ed efficace e tro-verebbe la convergenza di tutti i membri dell’Unione Europea, altrimenti è ingiu-sto aiutare gli altri quando questi sono stati causa di dif-ficoltà che potevano preveni-re e non alimentare.

La crisi economico finanziaria greca ha innescato un dram-matico meccanismo mediati-co-speculativo che rischia di travolgere non solo l’Euro bensì l’intero sistema econo-mico sociale del continente già provato dagli esiti del Credit Crunch americano.Così ci dicono gli scontri e le vittime di Atene, così ci dicono le gravi turbolenze dei mercati sui titoli banca-ri italiani scatenate dai dubbi di Moody’s e così ci dicono anche le incertezze politiche addirittura nella ultracentena-ria democrazia britannica alle prese dopo decenni con un parlamento dalla maggioranza incerta.La vicenda è nota, i conti pubblici greci furono taroccati sin dall’entrata di Atene nella moneta unica, l’Amministra-zione pubblica del Paese si dimostra non più in grado di far fronte ai propri impegni e prossima al default senza l’intervento degli organismi finanziari internazionali e dei Paesi principali dell’Unione Europea.Poi il balletto di Berlino intor-no all’opportunità dell’inter-vento a sostegno del debito di un altro Stato dell’Unione, a causa della rivolta di un elettorato tedesco prossimo ad una delicata consultazione elettorale che si sente tradito dalla solenne promessa ante adesione all’Euro del sistema politico che solennemente aveva garantito che mai la Germania - a causa dell’en-trata nella moneta unica - si sarebbe trovata a dover pagare

per debiti di altri.Il tutto per un messaggio arri-vato forte e chiaro ai merca-ti finanziari globali: il debito sovrano dei Paesi europei con i conti fuori controllo non è più una fonte sicura di investi-mento, meglio vendere.Contro queste grida di allar-me le proposte della Merkel al Bundestag di rivedere il patto di stabilità fondativo dell’Euro, di chiedere a cre-ditori ed investitori istituzio-nali di mostrarsi disposti ad allungare le scadenze dei titoli del tesoro greco, di introdurre nel patto dell’Euro una sorta di procedura fallimentare per gli Stati in default, non hanno fatto altro che aumentare l’in-certezza.Il mondo finanziario nel men-tre il comparto bancario euro-peo, Italia e UK compresi, finisce sotto attacco, si chie-de: la Germania vuole guida-re l’Unione Europea dall’alto della solidità della sua econo-mia o vuole tornare ad uno dei suoi sogni proibiti: l’Europa a due velocità, due monete, una buona (quella sua) e una cattiva?In un batti baleno i paesi affet-tuosamente definiti P.I.G.S. (maiali) dalla stampa econo-mica britannica, Portogallo-Irlanda-Grecia-Spagna (la “I” è stata solo di recente tolta all’Italia per essere consegna-ta all’Irlanda), ovvero quelli con il peggior rapporto tra Attivo su Debito pubblico e privato, sono entrati nel miri-no delle agenzie di rating più spregiudicate, agenzie, giova ricordare, legate a doppia

mano alla finanza statunitense di area democratica (leggi i vari George Soros) votata al sostenimento del dollaro il cui apprezzamento risulta essere fondamentale per riequilibra-re un bilancio della Federal Reserve tragicamente appesan-tito dai bailout e dagli allegri programmi di spesa dell’Am-ministrazione Obama.Da una parte quindi il neces-sario deprezzamento dell’Eu-ro nei confronti del dollaro,

adesso che l’economia interna statunitense dimostra segni di ripresa che potrebbero bilan-ciare la diminuzione delle esportazioni e quindi della cre-scita cui si andrebbe necessa-riamente incontro a causa un dollaro più forte, dall’altra la difesa dell’euro forte, baluar-do contro la crescita dei tassi di interesse dei Paesi europei schiacciati da enormi debiti pubblici, in un braccio di ferro che rischia nel lungo termine di travolgere i rapporti euro-atlantici.Una crisi originale questa cui assistiamo, giocata su gran-

dezze aggregate che includono anche il peso dell’indebita-mento dell’economia priva-ta e non solo i numeri della finanza pubblica, valutati più che altro sulla capacità dei rendimenti dei titoli del tesoro dei vari Stati di rimanere il più agganciati possibile ai tassi dei titoli del tesoro tedeschi.La Spagna ha reagito positiva-mente proprio in questi giorni con un’asta di titoli del tesoro andata tutta venduta e con

uno spread sul bund tornato a scendere dopo le pericolose oscillazioni delle ultime volte, ma Madrid sarà presto chia-mata a dimostrare di poter assorbire una disoccupazione vicina al 21%; al Portogallo i mercati l’hanno già giura-ta con un declassamento che appare dietro l’angolo per le medesime ragioni della Grecia (fatta salva la falsificazione dei conti) ovvero una economia priva di dinamicità sul versan-te produttivo; sull’Irlanda il giudizio resta sospeso per via della grande elasticità dell’eco-nomia di Dublino nonché al

grande potenziale di crescita della pressione fiscale che l’Ir-landa tuttora possiede; quin-di la Gran Bretagna con un deficit ancora stabilmente a doppia cifra, un incerta tenuta del sistema finanziario ed una situazione politica che rischia di complicare maledettamen-te le cose, ma pur sempre la patria della City; infine noi, l’Italia.La notizia è che, paradossal-mente un’Italia capace di usci-re indenne dalla turbolenza, capace cioè di riuscire a man-tenere stabili i suoi fondamen-tali che parlano di un deficit già sotto il 4% dal prossimo anno e al 2,75 nel 2012, con un fabbisogno finanziario che negli ultimi 4 mesi è calato di 6,6 mld di Euro (-15% circa) e uno spread sui bund tede-schi sotto il punto percentuale (0,8), un rapporto tra attivo e debito aggregato tra i più com-petitivi in occidente (per via del bassissimo debito privato), potrebbe davvero essere pros-sima a cogliere la strada della ripresa e della crescita per via del deprezzamento dell’Euro che diverrebbe un autostrada privilegiata per un industria dell’esportazione ritornata di recente a trainare in positi-vo la bilancia dei pagamenti dopo che nell’ultimo decennio con estrema fatica è riuscita a riconvertirsi e a fare a meno delle svalutazioni competitive per vincere la sfida sui mercati: l’industria delle esportazioni non potrebbe che cogliere in pieno l’opportunità di un Euro debole trainando positivamen-te tutta l’economia del Paese

(che resta il secondo Paese manifatturiero dell’Unione Europea) finalmente fuori dalle forche caudine della cre-scita zero cui l’Italia dovette piegarsi per inseguire il risana-mento dei conti pubblici già a partire dal 1992.Ma c’è un ma, l’Italia deve riu-scire a non rimanere travolta dall’inevitabile effetto domi-no che si scatenerà attorno al default tecnico della Grecia, il nostro Paese per via del suo debito pubblico e della sua immagine di convalescen-te, resta uno dei fronti che la speculazione internaziona-le potrebbe attaccare, prova ne sia la gratuita aggressione al sistema bancario italiano (notoriamente solidissimo) cui si è assistito.Tempestivamente il Ministro dell’Economia ha comunicato una manovra aggiuntiva per mettere nel cassetto gli obiet-tivi di bilancio, una mano-vra che appare corretta, come del resto, anche agli occhi dei più critici, appare essere stata lungimirante ed inecce-pibile la strategia di Tremonti del patto di stabilità con gli enti locali, del no agli stimoli all’economia e dei denti digri-gnati in faccia a chiunque chieda soldi. Dovesse avverar-si lo scenario migliore per il belpaese, un posto nella storia di questo Paese non potrà toglierglielo nessuno.Alla possibilità che non doves-simo reggere l’impatto della speculazione non vogliamo neanche pensare.

Giampiero Ricci

Un’attenta lettura ed interpretazione dell’articolo 122 del Trattato potrebbe dare la risposta

Per l’Italia una luce in fondo al tunnel

La Gran Bretagna si è opposta al piano salva-Stati. Ha torto?

Crisi del debito sovrano europeo

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La Piazza d’Italia - Approfondimenti

Stato dell’Unione EuropeaPrima Parte - Gli intenti passati e l’Europa di oggi

Seconda Parte - Stabilità e affari: la ricchezza tra egemonia e distrazioni

Di lui, von Metternich disse: “Ebbi a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d’accordo tra loro impe-ratori, re, e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un bri-gante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commedian-te, infaticabile come un innamo-rato, il quale ha nome: Giuseppe Mazzini”.E quest’ultimo in altrettante poche righe, rammentò ai poste-ri un baleno di futuro: “il mondo non è uno spettacolo ma un campo di battaglia”.Mazzini, uno dei nostri grandi padri della patria fu tra i primi a creare il sogno di una fratellanza di stati europei.Costretto alla latitanza fino al suo ultimo affannato sospiro, lottò sempre per la missione a cui credeva di essere stato asse-gnato, perché sopra ogni cosa, senza una patria libera nessun popolo può realizzarsi e appena al di là di questo primo glorioso gradino, l’ascesa doveva aspirare alla realizzazione dell’Umanità, dispiegantesi nell’associazione dei liberi popoli sulla base della comune Civiltà Europea.“Il banchetto delle nazioni sorel-le”, per il nostro appassionato patriota era, non una spregevo-le gara di nazionalismi, ma un nobile e sovrano banchetto emu-lativo delle libere genti, volto a forgiare e creare una nuova e più diffusa libertà.La Giovine Europa, strumen-to rivoluzionario di una prima coscienza europea, affilava le sue armi per il suo grandioso campo di battaglia, mettendo in prima linea l’imperativo dell’agire comune e strumenti democra-tici per affermare un condiviso

sentire.Allora una “santa alleanza dei popoli” in contrapposizione alla Santa alleanza dei sovrani, oggi la viva speranza che di alleanza si tratti.Dal progetto premonitore del nostro antenato, soffocato dalla persecuzione e dai tempi poco maturi, alla nostra moderna Unione Europea, di passi ne sono stati fatti, a volte a rilento, a volte in ritardo, a volte col senno di poi di aver perso l’occasione per osare di più.La comunità uscita dalla nostra mano contemporanea oggi è costituita di 27 stati, ma in fieri l’assetto perché già tre nazio-ni sono candidate ad unir-si alle “sorelle”: la Croazia, la Macedonia e la Turchia, il cui andamento democratico e civile si spera sia ben valutato e pon-derato, alla luce delle aspirazioni del nostro nobile antenato.Solo 16 i paesi che hanno aderito alla moneta unica e chissà se Mazzini avrebbe accettato una tale disunità nell’unità; magari avrebbe dichiarato: l’eurozona o si fa con tutti o manca di effetti-vo senso di appartenenza.L’Unione Europea è un organi-smo sui generis, non è né una Federazione di stati né una orga-nizzazione intergovernativa, ma un organismo alle cui istituzioni, gli stati membri delegano parte della loro sovranità nazionale.Punti nevralgici del potere euro-peo sono a Bruxelles dove lavo-rano la Commissione Europea, il Consiglio dell’Unione Europea e il Parlamento Europeo (quest’ul-timo qui apre poche sedute).Il Lussemburgo ospita la Corte di Giustizia dell’Unione, il Tribunale e il Segretariato Generale del Parlamento europeo. La sede del Parlamento Europeo è nella francese Strasburgo. Sul

Meno in Germania, nella teuto-nica Francoforte, c’è il nocciolo dell’economia europea, la BCE, la Banca Centrale Europea pre-sieduta dal Novembre 2003 da Jean-Claude Trichet.Il Consiglio dell’Unione Europea o noto come il Consiglio dei Ministri Europei è, insieme al Parlamento Europeo, il ramo Legislativo della comunità. Il primo è composto dai ministri degli stati membri; a seconda della questione all’ordine del giorno, la rappresentanza sarà diversa, perché ciascuna nazio-ne prenderà parte col ministro responsabile di quell’argomento. La Presidenza del Consiglio è assunta a rotazione da ogni paese comunitario, per una durata di sei mesi.Le materie trattate in sede sono affari generali, affari esteri, affari economici e finanziari (Ecofin), agricoltura e pesca, giustizia e affari interni, occupazione, poli-tica sociale e salute, competitivi-tà, trasporti, telecomuinicazioni ed energia, ambiente, istruzione, cultura e gioventù.Esercita il potere legislativo e la funzione di bilancio; coordina le politiche economiche generali, le azioni degli stati membri, defi-nisce la politica estera e di sicu-rezza comune della UE, adotta misure nel settore della coope-razione di polizia e giudiziaria in materia penale e conclude, a nome dell’Unione stessa, accordi internazionali tra la UE e uno o più stati o organizzazioni inter-nazionali.Il Parlamento è l’unica istituzio-ne ad essere eletta direttamente dai cittadini ed è una delle due camere che compongono il legi-slativo. La sua azione è limitata rispetto ai parlamenti nazionali e inoltre non prevede la classica separazione dei poteri; esso deve

essere giusto consultato sui prov-vedimenti più importanti. Ogni 5 anni, contemporaneamente in ogni paese si tengono le elezioni per gli eurodeputati. Si spera in un ruolo sempre forte e deci-sionale di questo organismo, in cui i ministri diventino, via via, sempre più operativi in senso comunitario, a dispetto dei sin-goli interessi nazionali.Quando si parla di Commissione Europea, intendiamo una istitu-zione che è composta da un “indi-viduo” per ogni membro UE, ma totalmente indipendente dai governi nazionali che lo indica-no. Quest’organismo rappresen-ta la tutela e gli interessi di tutta l’organizzazione, ha monopolio del potere di iniziativa legislativa, per cui propone l’adozione di atti normativi comunitari, propone le normative su cui poi si devo-no pronunciare il Parlamento Europeo e il Consiglio. E’ infi-ne responsabile dell’attuazione delle decisioni degli organi legi-slativi. Essa è composta da 27 Commissari Europei, uno per ogni stato, scelti tra le perso-nalità di spicco del paese, a cui però non devono essere assolu-tamente legati da alcun titolo perché devono rappresentare esclusivamente gli interessi della Comunità Europea.Altra sua funzione fondamenta-le è di sanzionare gli stati ina-dempienti nell’attuazione delle decisioni europee e per i ritar-di nella approvazione di leggi in ricevimento dalle direttive comunitarie. Dopo il secondo richiamo formale, la procedura prevede l’espulsione del “reo” dall’Unione.Il Consiglio Europeo invece, non è da confondere col Consiglio dei Ministri, perché ha una funzione particolare: esamina le principali problematiche dovute dal pro-

cesso di integrazione europea. La sua composizione è data dai capi di governo (se si tratta di Repubbliche parlamentari) o di stato (se si tratta di Repubbliche presidenziali o semipresidenziali) assistiti dai ministri degli esteri.La Corte di Giustizia dell’Unio-ne vigila sull’applicazione del diritto comunitario.Il lato economico dell’UE è affi-dato all’Ecofin e alla BCE.L’Ecofin si riunisce una volta al mese a Bruxelles o a Lussemburgo; è l’insieme dei Ministri dell’Economia e delle Finanze dei 27 stati membri.Scopo prevalente della BCE è mantenere sottocontrollo i prez-zi mantenendo saldo il potere d’acquisto nell’area dell’euro. Controlla l’inflazione, cercando di mantenere, tramite opportune politiche monetarie, il suo tasso intorno al 2%. Soltanto i gover-natori delle banche appartenenti ai paesi dell’eurozona possono prendere parte al processo deci-sionale e attuativo della politica monetaria della BCE.Infatti il cosiddetto “eurosiste-ma” è composto dalle banche dei paesi che hanno introdot-to la moneta unica. Invece, il SEBC, il sistema europeo delle banche centrali comprende la Banca Centrale Europea e le banche centrali di tutti i membri dell’UE. Questo crea ovviamen-te una coesistenza dei due sistemi che inizialmente non era stata prevista in quanto si era certi che tutti i paesi adottassero l’euro. Le Banche Centrali Nazionali sono le uniche autorizzate alla sottoscrizione e alla detenzione di capitale sociale della “banca madre”, la BCE. La sottoscri-zione di tale capitale è stato organizzato secondo un criterio di ripartizione proporzionale al PIL di ogni stato membro. La

Deutsche Bundesbank ha il più alto capitale versato alla BCE, la Banca d’Italia è la terza, precedu-ta dalla Banque de France.Suoi diritti esclusivi sono emette-re banconote all’interno dell’UE, possibilità di acquisire informa-zioni statistiche dalle autorità nazionale per monitorare il suo operato e può realizzare relazioni operative con istituzioni e organi dell’Unione non.Il processo decisionale è cen-tralizzato sul modello della Bundensbank tedesca; caratteri-stica di cui si vanta e di cui più necessita è l’indipendenza totale dal potere politico, sebbene i suoi poteri derivino da quest’ul-timo. Molti infatti criticano la lontananza degli obiettivi della UE rispetto a quelli dei cittadini europei e la sua eccessiva imper-meabilità alle critiche; inoltre beneficia per legge sul territorio degli stati membri, di immunità che le sarebbero necessari per svolgere i suoi compiti, entro le condizioni previste dal protocol-lo sui privilegi delle Comunità Europee.Come Mazzini aveva una forte componente ideale nel suo pro-getto europeista, anche la nostra comunità ha il suo pensiero ispiratore, perché promuove il concetto di Sussidiarietà che è punto di riferimento per la poli-tica europea: esso prima ancora che un principio organizzativo del potere, è un principio antro-pologico che esprime una conce-zione globale dell’uomo e della società, in virtù del quale, fulcro dell’ordinamento giuridico è la persona umana.Nella nostra “Giovine Europa”, a causa forse di una probabile ancor poca coscienza europea, si auspica che esso non resti troppo ideale.

I.P.

Istituzioni stabili che garanti-scano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani, il rispet-to delle minoranze, un’econo-mia di mercato funzionante con capacità di fronteggiare la competizione e le forze del mercato e infine, la capacità di sostenere gli obblighi derivan-ti dall’adesione alla comunità europea, sono i punti fonda-mentali per entrare a far parte dell’Unione.I parametri che hanno certi-ficato l’ingresso dei diversi paesi, sono stati un rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%, un rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%, permanenza di almeno due anni nello SME senza fluttuazioni della moneta nazionale e tasso d’inflazione non superiore all’1,5% rispetto a quello dei paesi più virtuosi.Tutto questo perché, biso-gna vigilare sulla stabilità dei mercati, difendere il potere di acquisto dei cittadini e vedere garantiti i diritti fondamentali dell’uomo.Infatti, gli stati membri creano politiche economiche volte non solo all’interesse nazionale e le

attuano nella considerazione dei più ampi obiettivi che si pone l’Europa.Tutto è finalizzato alla crescita e alla stabilità, per assicurare una sana gestione collettiva delle finanze pubbliche, onde evitare che atteggiamenti irresponsabili e lassisti di un paese qualsiasi, penalizzino l’andamento degli altri membri.Questo è il Patto di Stabilità e Crescita (PSC).Si richiama agli articoli 99 e 104 del trattato di Roma e si attua con il rafforzamento delle politiche di vigilanza sui deficit e sui debiti pubblici; esso è entrato in vigore il 1 Gennaio del 1999.In base al PSC gli stati devono continuare ad attenersi ad un certo ordine fiscale che prevede un deficit pubblico non supe-riore al 3% del PIL e un debito pubblico al di sotto del 60%, o comunque tendente al rientro.A questo scopo la vigilanza della Commissione prevede un tipo di richiamo suddiviso in tre fasi per coloro che non si attengono ai regolamenti: avvertimento, raccomandazione e sanzione. Una critica rivolta a questo

sistema è che spesso molti paesi non si sono mantenuti entro il tetto stabilito e non hanno ricevuto nessuna sanzione, vedi la Germania, vedi la Francia, tra l’altro maggiori promotori del Patto.Comunque l’intento è disci-plinare il bilancio ed evitare disavanzi eccessivi e intorno a questa attitudine i paesi che hanno adottato la moneta unica coordinano le loro poli-tiche economiche.La sorveglianza multilaterale deve prevenire in modo reat-tivo il determinarsi di fattori negativi che minano l’equili-brio monetario; infatti ogni stato trasmette un programma di stabilità o di convergenza ( per coloro che non fanno parte dell’area euro) al Consiglio o alla Commissione; in sede si esamina se l’obiettivo di bilan-cio a medio termine si basa su ipotesi economiche realistiche e rispetta un margine di sicu-rezza che consente di evitare disavanzi eccessivi, se lo stato in questione procede a miglio-rare annualmente il saldo di bilancio e se le misure adottate o in programma sono credibili

al fine di conseguire il risultato ponderato.Oggi la Grecia è comunque capitolata sotto il peso schiac-ciante della corruzione, del deficit pubblico, del lavoro sommerso e di quel lassismo che tanto si voleva evitare; le sanzioni e gli avvertimenti sono stati inefficaci o inesistenti, ma forse il coordinamento inter-nazionale alla disattenzione è stato congiunto.Riformare ora il Patto di Stabilità è un’opzione, ma poteva essere un’alternativa intervenire efficacemente per prevenire, come del resto pro-prio il PSC prevedeva.E’ credibile supporre che il pro-blema ci sia stato a monte, là dove la precisione tedesca in concerto con gli altri stati hanno strizzato l’occhio ad una crisi imminente e grave.Come in altri continenti, il benessere dei paesi europei varia, sebbene certo, i paesi più poveri nella nostra comu-nità siano ben al di sopra della media di altri, nelle diverse zone del mondo.L’economia nazionale che fa da traino nell’Unione è proprio

quella della Germania; l’espor-tazione di prodotti Made in Germany è uno dei principali fattori della sua ricchezza; le sue politiche commerciali sono determinate da accordi tra la Comunità e stati membri e dalla legislazione sul mercato unico.I politici tedeschi, forti soste-nitori dell’allargamento, hanno fin da subito spinto per ammet-tere sia i paesi più settentriona-li che quelli orientali. Con il loro deciso appoggio, l’UE ha cominciato a realizzare accordi di associazione con lo scopo di offrire l’accesso ai mercati ai paesi ex comunisti, di cui ormai la Germania stessa è da tempo il partner commerciale più soli-do. L’integrazione è dunque avvenuta cercando di aumen-tare sia il quadro della coope-razione economica ma anche il dialogo politico e culturale.Usualmente, la ricchezza con-ferisce potere decisionale e la Germania corre perciò al suo ruolo egemone, assumen-do infatti anche un posto di rilievo nelle discussioni sulle liberalizzazioni del commercio mondiale.

Così Angela Merkel dichiara, che dopo la crisi Grecia, è neces-sario che siano gli stati più forti a decidere sul consolidamento e sulle manovre economiche e perciò il suo Ministro delle Finanze, Schaeuble, arringa che il suo paese sta per proporre un programma rigorosissimo dei conti pubblici per tutti i mem-bri dell’eurozona.E in perfetta sintonia coi tede-schi, Trichet, pochi giorni fa ha annunciato che la Germania deve diventare il poliziotto dell’eurogruppo. Ci si potrebbe domandare dove fosse tutta la sua influenza nel periodo pre-baratro greco.E’necessario, dice la Merkel, che non siano più i paesi debo-li ad indicare le decisioni per arginare situazioni gravose, ma i più competitivi. Magari affer-ma questo per praticità, però dimenticando quel progetto di fratellanza comune che preve-deva le “sorelle europee” sedute ad un banchetto ispirato alla fratellanza.Che ci fosse la necessità di sanzioni efficaci contro chi commette violazioni al Patto di Stabilità era cosa già nota

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La Piazza d’Italia - Approfondimenti

Stato dell’Unione Europea

Terza Parte - Il tetris europeo: ambizioni da creare e strategie consolidate

da tempo. Ma chi non le ha applicate o fatte applicare, resta a quanto pare, un indifferente dato di fatto.La Commissione Europea arti-cola in 4 punti le linee guida per rafforzare i controlli: coe-renza dei conti pubblici con il PSC e un più profondo coordi-namento delle politiche fiscali, l’ampliamento della sorveglian-za economica per prevenire e correggere, l’istituzione di un semestre europeo ogni anno per sincronizzare le valutazio-ni delle politiche economiche degli stati membri (si ricordi che l’Ecofin già si riunisce una volta al mese) e punta a crea-re un meccanismo permanen-te di prevenzione delle crisi, a prescindere dalle situazioni di emergenza (resta valido il “sospetto” che la situazione di emergenza in Grecia ci fosse già da tempo).Tuttavia in Germania il Die Welt qualche giorno fa scrive-va che l’eurozona è dominata da paesi per i quali la stabilità

della moneta non è importante e il fattore che simboleggia di più questo aspetto è la perdita d’indipendenza della BCE in seguito al fatto che si è assunta l’onere di acquistare titoli di stato dei paesi a rischio. Se que-sta voce avesse risuonato più forte a partire dalla Germania, una speranza di non piombare nel panico dei mercati ci sareb-be stata, ma dopotutto la crisi greca è servita per prendere decisioni che fino ad ora non erano state adottate o che non si aveva avuto il coraggio di portare avanti.Insomma, la proverbiale regola che segue “il senno di poi” è un rassicurante segnale per il futuro.Questi discorsi corrono lungo una strada comune che attra-versa il precario equilibrio tra gli interessi degli stati nazionali che a volte si mascherano dietro un’apparente idealità dell’agire e di buoni intenti per la causa comune o si manifestano anche più esplicitamente nell’azione

dei gruppi di interesse in seno alla comunità europea.La crescita della divisione, mol-tiplicando il numero dei con-fini politici, aumenta i costi del commercio internazionale e riduce la crescita economi-ca; in questo quadro, le lobby, espressione degli interessi di determinati gruppi, hanno il loro buon da fare all’interno di un mercato comune, spostan-do e influenzando gli equili-bri politici nel proporre prima e nell’applicare poi, le norme UE.A riguardo, è interessante con-siderare la visione dell’econo-mista Michele Ruta; spiega che la Comunità Europea ha un deficit democratico che si rico-nosce nell’assenza di un governo direttamente eletto dai cittadini e nella sua cronica imperfezione dovuta al preponderante peso dei governi nazionali sulle sue competenze; ciò aumenta l’effi-cacia delle lobby e crea un pro-blema di legittimazione delle decisioni politiche europee.

Anche la debolezza dei partiti transeuropei affievolisce la fun-zione democratica comunitaria, comportando delle distorsioni nelle applicazioni legislative a favore di alcuni gruppi o di altri stati membri.In un sistema intergovernativo come il nostro i paesi hanno non responsabilità unica, ma sono corresponsabili delle scel-te. Quindi c’è più inclinazione a votare delle politiche a favo-re di qualche interesse, scari-cando poi la colpa di fronte alla propria opinione pubblica, sul processo di negoziazione dell’Unione.Il lungo passaggio che ha porta-to i poteri nazionali ad affidare una parte della loro sovranità, ha permesso a gruppi di diver-se nazionalità ma con interessi simili, di unirsi per coordinare le proprie attività di lobbying, formando forti gruppi di pres-sione. Tra questi, i maggiori che si realizzano, appartengono alle organizzazioni imprendi-toriali.

Nello stesso allargamento ad altri paesi, come ad esempio a quelli dell’est, si è avuta un’in-tensa attività favorevole delle lobby più occidentali, mentre un più diffuso malcontento in quelle orientali, sebbene l’opi-nione pubblica fosse favorevole all’entrata in Europa.Ciò perché per organizzarsi, i gruppi di pressione devono superare difficili problemi di coordinamento; è più agevole operare in questo senso se c’è una tradizione democratica sta-bile che ovviamente, accomuna di più i paesi dell’ovest.Quando due modalità diver-se di lobbying s’incrociano, la politica di equilibrio pende a favore dei paesi in cui l’attività dei gruppi di pressione è più diffusa e sperimentata.Ne scaturisce che le lobby dei paesi europei storici sono in grado di esercitare più peso deci-sionale rispetto alle poche esi-stenti dell’est. I primi traggono un beneficio dall’allargamento perché possono godere di una

più ampia sfera di espansione e quindi di profitto, mentre i secondi soffrono per la perdita di potere quasi monopolistico sul mercato nazionale.Una volta allargata la Comunità, una lobby può usare la pro-pria capacità di fare pressione sulle autorità di Bruxelles per influenzare le regole da appli-care a proprio vantaggio, anche nei neo paesi appartenenti.Questo panorama frastagliato di certo fa responsabilizzare sulla necessità di un aumento della partecipazione collettiva alla politica europea, mettendo in primo piano la costante e sempre maggiore attenzione al carattere democratico delle scel-te attuative; inoltre, fa suonare per tutti un campanello d’allar-me sulle logiche di distribuzione dei pesi e delle influenze nella nostra grande regione europea, dinamica questa, che non va d’accordo con quell’unitaria coscienza di appartenenza che fa muovere verso il progresso.

I.P.

La finestra che abbiamo aperto sull’Europa in questi giorni, ha mostrato dei meccanismi e degli andamenti che si possono sinte-tizzare in diversi argomenti.Questo scorcio ha visualizzato errori, mancanze e un concet-to comunitario ancora troppo influenzato dagli interessi nazio-nali.Il probabile grande errore delle classi politiche europee è stato quello di considerare il Trattato di Maastricht solamente come un accordo, sia nella sua genesi, sia nella sua successiva appli-cazione. A riguardo si è visto prevalere un atteggiamento comune: che la sua attuazione si sarebbe prestata ad interpre-tazioni flessibili, capaci troppo spesso, di aggirarne il conte-nuto.Infatti, nonostante l’apertura di alcune procedure per deficit eccessivo nei confronti di pochi stati, diversi membri, anche di grande peso politico ed eco-nomico, non hanno rispettato gli impegni presi con l’adozio-ne della moneta unica (alcuni, sono stati fatti entrare già con un deficit pubblico fin troppo alto, vedi purtroppo l’Italia o la Grecia). Nessuno è mai stato sanzionato per non aver attuato le giuste manovre correttive per rimanere entro i limiti fissati dall’UE.Questi provvedimenti devono essere approvati dall’Ecofin e forse non stupisce eccessivamen-te che i ministri delle Finanze non abbiano voluto applicare provvedimenti agli inadempien-ti, magari per non precludersi un giorno la possibilità di essere a loro volta graziati.Le conseguenze negative però poi si manifestano come si è visto, in situazioni di crisi glo-bali.I dubbi sulla legittimità al mega prestito greco, garanti-to anche dal Fondo Monetario Internazionale, derivano ovvia-mente in primo luogo dalla

sconcertante inefficienza e irre-sponsabilità della classe dirigen-te ellenica, ma anche dal fatto che gli stessi paesi “donatori” non navigano in acque buone e sicure. Infatti in Germania l’opinione pubblica era forte-mente contraria al salvataggio e la conseguenza si è vista nella bocciatura di “Madame Non”, Angela Merkel, alle sue preziose elezioni in Nordreno-Vestfalia. In Italia invece, per chiari moti-vi, ci si pone una questione importante, ossia da dove ver-ranno presi i soldi da girare allo stato “reo”.Ma la causa comune non vacil-la, non può dubitare, perché l’Europa non può permettersi un indebolimento del sostegno politico ai paesi che ne costitui-scono il nucleo.La seconda questione messa in luce dalla critica afferma che l’Europa non è un’area valutaria ottimale. Ad essa fanno parte stati con poche rassicuranti con-dizioni economiche, affette per esempio da tanto deficit e poca crescita. L’Euro si è allargato a partire da un’area relativa-mente omogenea, verso paesi più fragili e quindi disomogenei rispetto ai primi. Ciò ha portato ad una dinamica curiosa, piena di risvolti interessanti, quanto pericolosi, ossia che le banche dei paesi più solidi sono andate a comprare il debito dei più deboli. La crisi greca mostra bene questo andamento perché è un paese che ha vissuto troppo al di sopra dei suoi mezzi, con un economia fiscale arretrata, con un debito per giunta non più suo, ma comprato dall’este-ro.Il problema è che sin dalla sua creazione, la moneta unica si è contraddistinta per l’assenza di una reale unione politica tra le nazioni residenti e fin dai primi anni questa situazione venne indicata come un forte fattore di rischio sfociante in probabili tensioni economiche, sociali e

istituzionali. Senza una guida sicura, le regole del mercato prendono un sopravvento con-fuso e deletereo.Se la moneta unica non indurrà i paesi membri ad integrarsi in una sana creatura, la disintegra-zione di Eurolandia ha possibili-tà di approssimarsi senza troppi ostacoli.Gli Europei devono dunque spezzare quel circolo vizioso fatto di atteggiamenti irrespon-sabili, debito economico stellare e di democrazie clientelari, pro-muovendo invece nuove moda-lità di governo e una politica più concreta; è il modus operandi che deve essere rivisto.Un altro profilo di valutazione della situazione ce l’ha dato il punto di vista della Germania. Un paese che più che Europeo è mondiale, perché sono tede-sche le imprese che costruiscono molte delle grandi infrastrutture della Cina o dell’India e perché i viaggi del cancelliere di soli-to sono seguiti da una schiera numerosissima di imprenditori.Può darsi che un paese così affascinato dalla globalizza-zione, grazie agli affari che fa, sia un po’ stanco di confon-dere la sua forte identità con un’Europa che è alle prese con stati insolventi. Fortuna però che il vicepresidente della Commissione, la lussemburghe-se Viviane Reding, ha invitato la Merkel a fare scelte coraggiose, ricordandole per l’occasione, la solidarietà espressa da tutti gli stati quando si trattò della riuni-ficazione della Germania; tutta l’Europa allora, pagò affinché tutto avvenisse.Ma i tedeschi alzano la voce contro i pigs, quando loro stessi hanno sforato in modo piutto-sto grave i limiti al disavanzo e al debito pubblico prima che la crisi internazionale esplodesse.Tuttavia, di fronte ad un’opi-nione pubblica piuttosto rilut-tante e alla consapevolezza del suo peso economico, fatica a

considerarsi una sorella come le altre.Però riflettendo molto mali-ziosamente, si potrebbe anche leggere la situazione in questo modo: visto che più della metà dell’interscambio commerciale tedesco è con i paesi dell’Unio-ne, forse sotto sotto, possono far sempre comodo, per una bassa legge non scritta di un distorto capitalismo, che ci siano sempre una Grecia, una Spagna o un Portogallo pronti ad importare senza badare a troppe spese; inoltre, le banche tedesche avendo nel portafoglio una grande quantità di titoli del debito greco non sono molto propensi a far fallire Atene, per-ché in realtà aiutando la Grecia, salvano anche loro stessi.Ma se si va più a nord, oltre la Manica, si può osservare che anche la Gran Bretagna ha le sue peculiarità.L’Inghilterra è per efficienza e come tradizione vuole, uno dei paesi più industrializzati al mondo; il suo PIL porta il paese ad essere tra i primi 5 più avan-zati.E’ uno stato membro dell’Unio-ne Europea dal 1971, ma con tutte le sue necessità d’indipen-denza.Durante il Trattato di Maastricht ha negoziato una serie di “opt-out” (option out), 4 per l’esattezza.Il diritto della Comunità è gene-ralmente valido in tutti i paesi di Eurolandia. In alcuni casi però gli stati si sono appellati ad un opt-out dalla legislazione o dai trattati, ovvero la possibilità di non partecipare ad alcune strutture comuni in determinati campi.Sull’Unione Economica e Monetaria il Regno Unito oppose le sue più forti perplessi-tà, così le fu concessa la clausola di opting-out attraverso la quale avrebbe potuto rimanere nella futura UE anche senza acco-gliere le innovazioni che il suo

governo nazionale rifiutava.Il primo punto non condiviso è sugli accordi di Schengen; il secondo opt-out riguarda la possibilità di non aderire alla moneta unica; il terzo è stato ottenuto al fine di fare in modo che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee non potes-se chiamare in giudizio i paesi sulla base della Carta dei diritti che è legalmente vincolante nel Trattato di Lisbona e l’ultimo, il quarto è un opt-out ottenuto per il passaggio dall’unanimi-tà alle decisioni a maggioranza nel campo della cooperazione giudiziaria e di polizia in mate-ria penale. Quest’ultimo però è più un opt-in, ossia permette al Regno Unito una valutazione caso per caso e quindi la con-seguente possibilità di aderire volta per volta, nel momento in cui lo si riterrà opportuno. Chance che ha anche nei casi di Giustizia e Affari interni, in cui lo UK si è tratto fuori da certe decisioni sugli affari inter-ni dell’UE.Come sempre però l’attenzione si concentra sulla moneta; la decisione di non aderire all’eu-rozona già presume una consa-pevolezza di un’economia forte, particolarmente legata ad alcune zone del mondo e che quindi non vuole parametri economici oltre lo stretto necessario.Inoltre l’Inghilterra non ha molta fiducia nello UEM; più che altro la vede come una ricetta che produce stagnazio-ne, in quanto il contenimento inflazionistico della BCE non va totalmente d’accordo con le sue strategie economiche. Ad esempio, in una fase di recessio-ne, un paese non può stimolare la sua economia attraverso la svalutazione della moneta, inco-raggiando così le esportazioni.Teme quindi la perdita di auto-nomia economica, ma anche sostanziali trasferimenti fiscali verso i paesi più poveri all’in-terno dell’Unione Europea e

infine, non vede di buon occhio il deficit di coordinamento che c’è tra le singole banche centrali e il comitato dei ministri delle finanze poiché ciò, determina una maggiore difficoltà nell’al-leviare le economie locali.La politica europea non è quindi per la Gran Bretagna pienamen-te convergente in senso reale e strutturale, in più, non sono da meno le sue preoccupazioni riguardo a quali paesi potreb-bero effettivamente dominare il funzionamento della BCE.Da qui è abbastanza chiaro il NO del Regno Unito al piano salva-stati; la proposta di creare un fondo per la stabilità è una faccenda che riguarda l’euro-gruppo, ha chiarito il ministro delle finanze inglese, Darling.Nella sua secolare tradizione, l’Inghilterra difende a spada tratta l’indipendenza, quando si tratta del suo destino.Così di fronte alla crisi greca, gli ambienti più ostili al pro-getto europeo, ribadiscono la loro estraneità all’unità politi-ca e monetaria, ricordando la maggiore vicinanza dell’Inghil-terra agli USA, piuttosto che al Vecchio Continente.Tirando un po’ le somme, forse l’aiuto alla Grecia è stato un cal-colo di macroeconomia, infatti anche la Cina ha espresso pre-occupazione per un’eventuale bancarotta ellenica e un indeboli-mento dell’euro perché nel caso, ne avrebbero risentito anche le sue esportazioni; l’irresponsabilità più grave si è avuta probabilmen-te nel lasciare spazio di manovra ad un indiscriminato laissez faire, che senza regole e guide non ha fatto onore al più tradizionale liberismo. Di qui l’auspicio che si sia tracciata una comune accorta strada verso una maggiore coope-razione di intenti politici.Una moneta senza stato, senza un sistema congiunto di gover-no, non può esistere.

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La Piazza d’Italia - Attualità

Settecento anni e non li dimo-stra. Questa è l’età anagrafica del distillato francese bevuto dai quattro moschettieri.Era il 1310 quando, nel sud-ovest della Francia, nasceva l’Armagnac. La sua storia, ben documentata, gli fa conquista-re il gradino alto del podio per essere la più antica acquavite di vino del mondo.“Rende l’uomo felice soprat-tutto” scriveva così il Maestro Vital DuFour nel suo libro datato 1310, conservato anco-ra oggi presso gli Archivi della Biblioteca Vaticana. Nella sua opera medica egli celebrava le “quaranta virtù” dell’“aygor-dent” (acqua ardente), acqua-vite che porterà poi il nome della terra dalla quale ha avuto i natali: l’Armagnac. I suoi benefici sono stati decanta-ti anche in altri scritti, come l’opera “Dell’arte di conser-vare la gioventù” di Arnaud di Villeneuve (1235- 1313), medico privato di Clemente V. Ma anche il Manoscritto di Auch descriveva, nel 1441, trenta usi dell’acquavite, defi-nita come la medicina indi-spensabile.A partire dal XV secolo, la

produzione dell’Armagnac si sviluppa, e le acquaviti rag-giungono i porti dell’Atlantico (Bayonne e Bordeaux) e quelli del Mediterraneo.Nel XVII secolo, gli olandesi sono i padroni incontrastati dei mari; la loro abilità nel commercio fu tale da avviare il mercato dell’Armagnac oltre i confini francesi, grazie alla caratteristica delle acquavite: continuare ad affinarsi nelle barriques anche durante i lun-ghi trasporti.Nel frattempo gli americani boicottano i prodotti anglosas-soni come il whisky e il cognac; alcolici preferiti dai loro avver-sari inglesi durante la guerra di Indipendenza degli Stati Uniti. Così gli abitanti Usa optarono per il consumo dell’Armagnac. Poco a poco, il commercio del distillato d’Oltralpe diventa elemento portante per l’econo-mia della regione del sud-ovest della Francia.Intanto che il commercio dell’acquavite si espande, la tecnica di distillazione si evol-ve: l’alambicco (apparecchio di distillazione) si modifica, e gli ingegneri e i chimici fanno prova di ingegnosità finché

Jacque Tuillière, poëlier a Auch, depone il brevetto di un modello di alambicco a colon-na, caratteristico della regione, che nel 1818 prese il nome di alambicco armagnachese.La denominazione d’origine “Armagnac” è riservata alle acquaviti provenienti da vini prodotti e distillati nella zona delimitata dal decreto del 25 maggio 1909: Ténarèze, Bas-Armagnac et Haut-Armagnac che danno vita ai rispettivi “crus”.Proviamo a delineare qual-che tratto caratteristico del distillato francese in modo da conoscerlo meglio nel caso avessimo la fortuna di poterlo gustare in una serata tra amici.Le menzioni di invecchiamen-to riportate sull’etichetta di un Armagnac sono:“Tre Stelle per gli Armagnac” con almeno due anni di invec-chiamento nel legno; .“V.O., V.S.Q.P. o Réserve” per gli Armagnac con almeno cin-que anni di invecchiamento nel legno; “Extra, Napoléon, X.Q., Vieille Réserve” per gli Armagnac con almeno sei anni di invecchiamento nel legno;

“Hors d’âge per gli Armagnac “con almeno dieci anni di invec-chiamento nel legno. Ed infi-ne, l’Armagnac “Millésimée”, specificità della regione, corri-sponde esclusi-vamente

all’an-no di rac-colta menzionato sull’etichetta.Da tener presente che l’Ar-magnac una volta imbotti-gliano non evolve più. Può essere quindi degustato al momento stesso dell’acquisto. Un’accortezza da riservare è

quella di conservare la bottiglia in piedi, ossia verticalmente affinchè l’alcool non vada ad attaccare il tappo.Generalmente per apprezzare

un prodotto è neces-sario ricono-

scere la qualità. Per bere l’Ar-

magnac occorre prima di tutto possedere un bicchiere a “bal-lon”, leggermente chiuso, non grande, in modo da permettere di concentrare i profumi senza accentuare il ruolo dell’alco-

ol. Impugnandolo al piede e riempito di un terzo, lo si fa roteare il bicchiere accostan-dolo al naso a brevi e frequenti riprese, ed alla bocca, con sorsi piccoli e ripetuti, cercando e scoprendo ogni volta sensazio-ni diverse.

E’ alla fine del p a s t o

il momen-to in cui maggior-

mente si apprezza un buon Armagnac: i piccoli sorsi, continui, si alternano all’ascol-to delle sensazioni olfattive. Roteando il bicchiere, in silen-zio, o conversando, o ascol-tando musica per arricchire, con piacevoli sensazioni, questi momenti sereni.

Alice Lupi

Le scoperte della scienza vanno accolte senza clamori, con entusiasmo per il progresso e con particolare attenzione alle implicazioni per il futuro.E’ di questa settimana la crea-zione della prima specie vivente sul nostro pianeta “che ha come

papà un computer”. Opera del gruppo di Rockville di Craig Venter, scienziato già ampia-mente conosciuto nel campo dell’ingegneria genetica.Il team ha creato un batterio artificiale che può in teoria rice-vere qualsiasi ordine e diven-tare ciò che l’uomo decide di formare.A seconda del DNA che gli scienziati inseriranno negli organismi prodotti, essi diver-ranno utilizzabili per gli scopi voluti.Il batterio uscito dal labora-torio appartiene alla specie

Mycoplasma mycoides e non ha nessuna possibilità per ora di sopravvivere da solo; infatti è tenuto sotto stretto controllo e nutrimento.Di solito in natura colonizza le capre, ma gli sono stati tolti quei 14 geni che lo fanno legare

all’animale, quindi se oggi si trovasse in presenza di questa specie, non ci sarebbe perico-lo di alcuna sua propagazione nefasta.Da tempo si era arrivati a ad assemblare cromosomi anche più grandi, ad esempio nel 2007 i laboratori di Venter erano riu-sciti a trapiantare il DNA da un batterio di una specie ad un’al-tra; due elementi diversi nel 10% dei loro geni (più o meno la differenza che passa tra un uomo e un topolino). In questa occasione per la prima volta si era avuta una conversione attra-

verso la modifica del genoma come se si trattasse del sistema operativo di un computer.Nell’esperimento della setti-mana appena passata, il vero problema è stato l’attivazione, cioè trovare il modo di far scat-tare quella sorta di interruttore

che trasforma una catena di elementi chimici in vita. Per legare tutte le parti tra di loro è stata usata una cellula di lievito di birra. L’ultimo passo è stato estrarre dal lievito il prodotto finale per inserirlo successiva-mente nel batterio, cercando di evitare che il sistema di difesa distruggesse il cromosoma cre-ato.La sperimentazione ha dato il suo frutto, ottenendo l’accen-sione di un buon motore che ha la capacità però di replicarsi, riprodursi e quindi moltipli-carsi come una qualsiasi altra

cellula.Certo è che la scoperta viene compresa appieno solo da chi effettivamente tutti i giorni mastica microbiologia.In realtà non si può dire che lo scienziato abbia creato vita, per-chè di fatto ha inserito l’infor-mazione genetica per far ripro-durre un batterio nella cellula di un altro microessere di specie simile, privata però del proprio corredo originario.L’organismo che ha ricevuto questa modifica, era vivo prima dell’esperimento ed è rimasto tale terminato il processo, pur cambiando il suo comporta-mento genetico.In questa circostanza, gli scien-ziati hanno costruito il geno-ma artificiale partendo da un genoma di un batterio vivente. Quindi la vera grande novi-tà dell’evento sta nella sintesi chimica.Anche il lievito di birra usato come officina di tutta l’opera-zione dimostra come senza que-sto strumento non si sarebbe potuta creare altra vita.Il fatto sensazionale sta dun-que, non in un “soffio divino umano” ma nella costruzione per la prima volta di un intero genoma sintetico, funzionante e vitale.Le cellule batteriche hanno tutti i numeri per riprodursi da sole, quindi grande interesse viene posto su quanto la ricerca e la scienza potranno beneficiare di questa nuova esperienza, ma come suggerisce Bagnasco, il progresso deve andare di pari passo con la responsabilità, in

quanto non è difficile imma-ginare gli usi negativi che si possono fare di questo enorme passo avanti della microbiolo-gia.Uno dei sogni di Venter è costruire dei batteri salva-ambiente con un DNA pro-grammato per pulire acque e terreni contaminati; egli stesso dichiara che il prossimo passo sarà la creazione di una specie di alghe mangia petrolio.Infatti, tra le applicazioni even-tuali che potrebbero essere pre-viste da questa nuova scoperta ci sono la possibilità di dare ordini genetici a batteri arti-ficiali di produrre sostanze o svolgere funzioni utili all’uomo, come l’inserimento d’istruzio-ni nel DNA sintetico di un batterio o di un’alga affinché si nutra di sostanze inquinanti per eliminarle poi attraverso la digestione o imprimere l’imput di distruggere anidride carbo-nica, principale responsabile dell’effetto serra o comandare la produzione di idrogeno sfrut-tando il processo di fotosintesi o creare batteri con DNA pro-grammato per produrre etanolo o altri biocarburanti.E qui s’inseriscono gli affari. La nota BP e la Exxon Mobil hanno già siglato un accordo con Venter. In particolare la seconda, già nel 2009 ha stret-to un accordo con il capo di Rockville da 600 Milioni di dollari, perché la grande com-pagnia del petrolio spera di riuscire a mettere per prima le mani sul carburante del futuro, che si tenta di avere tramite

la creazione di alghe artificiali che secondo le direttive impres-se dallo scienziato al DNA, dovrebbero nutrirsi di anidride carbonica e secernere etanolo. Insomma, un bel modo per produrre energia pulita.Obama però frena gli entusia-smi, spinge alla massima cau-tela per il potenziale pericolo che potrebbe derivare dalla scoperta (senza però specificare quali timori lo preoccupano) e ordina alla Commissione per lo studio della bioetica un esame della massima urgenza da con-segnare al suo tavolo entro sei mesi, sul nuovo orizzonte delle cellule artificiali, ponendo sotto i riflettori i rischi per la sicurez-za e la salute.Forse pensa al potenziale busi-ness che deriverebbe dalla nascita di nuovi carburanti, che andrebbe a minare magari interessi già ben consolidati, o può essere che guardi con sospetto o attenzione alle armi batteriologiche che ne potreb-bero derivare o probabilmente vuole ben studiare le diverse benefiche applicazioni che la medicina può trarre dai nuovi confini della microbiologia.Comunque sia, l’atteggiamen-to della Chiesa e quello del Presidente americano hanno mostrato degno equilibrio di fronte a questo nuovo scenario, perché senza esplosioni entu-siastiche, è necessario aspettare che la scienza continui il suo percorso di ricerca per verificare poi tutti i possibili pregi e difet-ti delle nuove sperimentazioni.

Ilaria Parpaglioni

Vita artificiale

7 secoli per l’Armagnac

La nuova scoperta, tra riflessioni e applicazioni