1-15/16-31 Gennaio 2009 - Anno XLV - NN. 47-48

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COPIA OMAGGIO La Piazza d’Italia In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Rom-Italy — Fondato da Turchi — www.lapiazzaditalia.it L’ultimo scorcio di 2008 e l’inizio dell’appena sorto 2009 sono stati caratterizzati dagli accorati appelli che pri- ma il Presidente della Repub- blica, poi quelli del Senato e della Camera hanno rivolto al mondo politico nostrano riguardo l’impellente neces- sità di ratificare - in tempi che siano i più brevi possibili - delle riforme istituzionali e strutturali che permettano al sistema Italia di tornare ad essere competitivo rispetto a quelli dei Paesi economica- mente più evoluti. A dare il “la” a questo “coro istituzionale” è stato Gior- gio Napolitano, il quale, nel consueto messaggio a reti unificate che ogni Presidente della Repubblica rivolge agli Italiani l’ultimo dell’anno, ha toccato - tra altri - il proble- ma delle riforme. Infatti Egli, dopo essersi auspicato che le forze politiche italiane pos- sano trarsi fuori finalmente dalla logica di sterile scontro, si è augurato che, nonostante le criticità economiche che il Paese sta attraversando, la po- litica riesca a riguadagnarsi la fiducia dei cittadini, impeg- nandosi al raggiungimento condiviso delle riforme che già sono all’ordine del giorno nell’agenda parlamentare. Obiettivo che, sempre sec- ondo il Presidente Napoli- tano, deve essere raggiunto attraverso l’impegno di tutte le componenti della nostra società e dall’insieme di ogni cittadino, dell’intera collettiv- ità nazionale: un invito ad un patto generazionale che porti ad una unica vitale reazione che permetta alla Nazione di superare la congiuntura inter- nazionale di crisi . Nei giorni seguenti all’intervento televisivo della più alta carica dello Stato, anche i Presidenti Schifani e Fini hanno proseguito nel solco tracciato da Napolitano attraverso delle dichiarazioni che ruotavano intorno alla stessa tematica: le riforme. Il Presidente del Senato, all’indomani dell'epifania, ha rivolto a tutti i rappresentanti dei partiti del panorama par- lamentare un invito attraverso il quale proporre la creazione di un tavolo comune su gius- La riunione dei ministri dell’economia dell’Unione Europea tenutasi a Bruxelles il 20 gennaio, ha focalizzato l’attenzione sui punti più im- portanti che i ministri hanno affrontato sul tavolo dell’Eu- rogruppo, in particolare quel- li relativi all’attuale crisi eco- nomica. Il nostro Ministro dell’Eco- nomia Giulio Tremonti, al termine dell’Ecofin, in un incontro con i giornalisti ha dichiarato che “abbiamo preso atto delle stime eco- nomiche della Commissione europea, un PIL del 2009 a -2% è un dato di consenso generale, penso che lo recepi- remo nel programma di stabi- lità aggiornato”. Tremonti ha indicato di conoscere già da qualche giorno la stima di un pil nel 2009 a -2%. Quanto alla polemica sulle previsioni economiche fatte dalla Banca d’Italia, che nei giorni scorsi lo stesso Tremonti aveva indi- cato di ritenere come “conget- ture”, il ministro ha invitato a tenere conto del fatto che es- sendo quella attuale non una “crisi normale” bensì caratte- rizzata da forte discontinui- tà, le variabili sono troppe e troppo intense per poter guar- dare alle stime senza dubbi. A proposito del 3,8% di deficit nel 2009, (livello stimato dal- la Commissione europea), “ se corretto per gli effetti del ciclo economico, ha detto Tremonti, è come se fossimo sotto il 3%”. Le cifre della Commissione europea indi- cano “che abbiamo adottato le politiche giuste e questo è sostenuto anche dall’Esecuti- vo europeo”. Per quanto riguarda l’even- tuale procedura per deficit pubblico eccessivo da parte della Commissione europea, Tremonti ha indicato che “è troppo presto per scendere in discorsi su questo tema”. In ogni caso il direttore generale del Tesoro Grilli, ha indicato Sotto il segno delle riforme Ecofin 2009 I messaggi al sistema finanziario e alle economie europee Le tre più alte cariche dello Stato spronano la classe politica ad approvare le riforme Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti www.lapiazzaditalia.it La Piazza d’Italia Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 Il medio oriente e la morale della morte Televisione: intreccio di potere e violenze APPROFONDIMENTI — a pagina 6 — — a pagina 7 — APPROFONDIMENTI La sicurezza ai nostri giorni Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 - DCB-Roma 1-15/16-31 Gennaio 2009 - Anno XLV - NN. 47-48 0,25 (Quindicinale) Credo che in questi ultimi periodi, il vero problema che non fa dormire le fa- miglie, oltre al fattore eco- nomico (mancano i soldi in casa), sia la Sicurezza. Si continua a vedere ogni giorno un bollettino di guerra di reati incredibili e drammatici, che arreca ad ognuno di noi angoscia e sconforto. Senza parlare poi dello stupro subito a Roma da una donna indifesa, che ha colpito tutti profonda- mente. Ritengo che su queste ma- terie non ci sia colore po- litico o bandiere da parte di uno schieramento, ma ritengo che tutti debbano unitamente fare di tutto e di più per arginare e ridur- re ai minimi termini tutto questo. Bene ha fatto il Governo, anche se ha provocato po- lemiche, intanto, ha met- tere i militari nelle città, così ha permesso alle for- ze dell’ordine di avere più mezzi e persone a dispo- sizione ma anche a dare visivamente più sicurezza in alcune cose (vedi il na- poletano e la Sicilia) alle persone. Di più si può fare, met- tendo forse più militari sul territorio ma anche dando più risorse a Carabinieri, Polizia, Guardia di Finan- za e forze dell’ordine in ge- nerale, continuando anche nell’essere a tolleranza zero sull’immigrazione clan- destina e sui fenomeni di criminalità organizzata. Continuerei nel dire di rafforzare il poliziotto di quartiere, come anche la polizia municipale e lo- cale o, meglio, puntiamo ad intensificare quello che abbiamo senza perderci in strade molteplici ed, in al- cuni casi, inefficaci. Abb. sostenitore da 1000 - Abb. annuale 500 - Abb. semestrale 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina Segue a pagina 2 Segue a pag. 4 di FRANZ TURCHI

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Sotto il segno delle riforme. Le tre più alte cariche dello Stato spronano la classe politica ad approvare le riforme - Gennaio 2009 LA PIAZZA D'ITALIA - www.lapiazzaditalia.it - fondato da Franz Turchi 1-15/16-31 Gennaio 2009 - Anno XLV - NN. 47-48 € 0,25 (Quindicinale)

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L’ultimo scorcio di 2008 e l’inizio dell’appena sorto 2009 sono stati caratterizzati dagli accorati appelli che pri-ma il Presidente della Repub-blica, poi quelli del Senato e della Camera hanno rivolto al mondo politico nostrano riguardo l’impellente neces-sità di ratificare - in tempi che siano i più brevi possibili - delle riforme istituzionali e strutturali che permettano al sistema Italia di tornare ad

essere competitivo rispetto a quelli dei Paesi economica-mente più evoluti.A dare il “la” a questo “coro istituzionale” è stato Gior-gio Napolitano, il quale, nel consueto messaggio a reti unificate che ogni Presidente della Repubblica rivolge agli Italiani l’ultimo dell’anno, ha toccato - tra altri - il proble-ma delle riforme. Infatti Egli, dopo essersi auspicato che le forze politiche italiane pos-

sano trarsi fuori finalmente dalla logica di sterile scontro, si è augurato che, nonostante le criticità economiche che il Paese sta attraversando, la po-litica riesca a riguadagnarsi la fiducia dei cittadini, impeg-nandosi al raggiungimento condiviso delle riforme che già sono all’ordine del giorno nell’agenda parlamentare. Obiettivo che, sempre sec-ondo il Presidente Napoli-tano, deve essere raggiunto

attraverso l’impegno di tutte le componenti della nostra società e dall’insieme di ogni cittadino, dell’intera collettiv-ità nazionale: un invito ad un patto generazionale che porti ad una unica vitale reazione che permetta alla Nazione di superare la congiuntura inter-nazionale di crisi .Nei giorni seguenti all’intervento televisivo della più alta carica dello Stato, anche i Presidenti Schifani

e Fini hanno proseguito nel solco tracciato da Napolitano attraverso delle dichiarazioni che ruotavano intorno alla stessa tematica: le riforme.Il Presidente del Senato, all’indomani dell'epifania, ha rivolto a tutti i rappresentanti dei partiti del panorama par-lamentare un invito attraverso il quale proporre la creazione di un tavolo comune su gius-

La riunione dei ministri dell’economia dell’Unione Europea tenutasi a Bruxelles il 20 gennaio, ha focalizzato l’attenzione sui punti più im-portanti che i ministri hanno affrontato sul tavolo dell’Eu-rogruppo, in particolare quel-li relativi all’attuale crisi eco-nomica.Il nostro Ministro dell’Eco-nomia Giulio Tremonti, al termine dell’Ecofin, in un incontro con i giornalisti ha dichiarato che “abbiamo preso atto delle stime eco-nomiche della Commissione europea, un PIL del 2009 a -2% è un dato di consenso generale, penso che lo recepi-

remo nel programma di stabi-lità aggiornato”. Tremonti ha indicato di conoscere già da qualche giorno la stima di un pil nel 2009 a -2%. Quanto alla polemica sulle previsioni economiche fatte dalla Banca d’Italia, che nei giorni scorsi lo stesso Tremonti aveva indi-cato di ritenere come “conget-ture”, il ministro ha invitato a tenere conto del fatto che es-sendo quella attuale non una “crisi normale” bensì caratte-rizzata da forte discontinui-tà, le variabili sono troppe e troppo intense per poter guar-dare alle stime senza dubbi. A proposito del 3,8% di deficit nel 2009, (livello stimato dal-

la Commissione europea), “ se corretto per gli effetti del ciclo economico, ha detto Tremonti, è come se fossimo sotto il 3%”. Le cifre della Commissione europea indi-cano “che abbiamo adottato le politiche giuste e questo è sostenuto anche dall’Esecuti-vo europeo”. Per quanto riguarda l’even-tuale procedura per deficit pubblico eccessivo da parte della Commissione europea, Tremonti ha indicato che “è troppo presto per scendere in discorsi su questo tema”. In ogni caso il direttore generale del Tesoro Grilli, ha indicato

Sotto il segno delle riforme

Ecofin 2009I messaggi al sistema finanziario e alle economie europee

Le tre più alte cariche dello Stato spronano la classe politica ad approvare le riforme

Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia

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politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti

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Credo che in questi ultimi periodi, il vero problema che non fa dormire le fa-miglie, oltre al fattore eco-nomico (mancano i soldi in casa), sia la Sicurezza.Si continua a vedere ogni giorno un bollettino di guerra di reati incredibili e drammatici, che arreca ad ognuno di noi angoscia e sconforto.Senza parlare poi dello stupro subito a Roma da una donna indifesa, che ha colpito tutti profonda-mente.Ritengo che su queste ma-terie non ci sia colore po-litico o bandiere da parte di uno schieramento, ma ritengo che tutti debbano unitamente fare di tutto e di più per arginare e ridur-re ai minimi termini tutto questo.Bene ha fatto il Governo, anche se ha provocato po-lemiche, intanto, ha met-tere i militari nelle città, così ha permesso alle for-ze dell’ordine di avere più mezzi e persone a dispo-sizione ma anche a dare visivamente più sicurezza in alcune cose (vedi il na-poletano e la Sicilia) alle persone.Di più si può fare, met-tendo forse più militari sul territorio ma anche dando più risorse a Carabinieri, Polizia, Guardia di Finan-za e forze dell’ordine in ge-nerale, continuando anche nell’essere a tolleranza zero sull’immigrazione clan-destina e sui fenomeni di criminalità organizzata.Continuerei nel dire di rafforzare il poliziotto di quartiere, come anche la polizia municipale e lo-cale o, meglio, puntiamo ad intensificare quello che abbiamo senza perderci in strade molteplici ed, in al-cuni casi, inefficaci.

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Sotto il segno delle riforme

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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI GIUGNO 2008

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Berlusconi e Fini definiscono insieme l’assetto del nuovo PDL

Le tre più alte cariche dello Stato spronano la classe politica ad approvare le riforme

Dopo aver varato in Par-lamento le norme messe in campo dal Governo per tentare di frenare la crisi economica e in attesa che in Senato si inizi tra pochi giorni la discussione riguard-ante il federalismo fiscale, il Primo Ministro Berlusconi e il Presidente della Cam-era Fini si sono incontrati a Montecitorio per un “pranzo di lavoro” in cui hanno dis-cusso soprattutto, ma non

solo, dell’oramai vicinissima nascita del PdL.Durante questo “rendez vous” a quattro occhi, i due sono convenuti sul fatto di met-tere nero su bianco - entro un mese - la bozza di statuto che regolerà il nuovo partito: un vero e proprio impegno formale che dà un utile colpo di acceleratore al processo costituente del PdL. Il Presidente della Camera ha quindi sottoposto a Ber-lusconi quelle che secondo Lui dovranno essere le linee guida da seguire per garantire il funzionamento della nuova formazione di centro destra e la sua democrazia interna: lo statuto infatti dovrà as-solutamente prevedere delle regole chiare che permettano oltre che lo scorrere fluido della “vita” del PdL anche le modalità di scelta dei candi-dati alle elezioni future e dei rappresentanti del territorio all’interno dell’apparato del partito. Secondo i bene informati, organi principali del nuovo soggetto politico del centro destra - che nascerà il 27 Mar-zo prossimo, una settimana dopo l’ultimo congresso di AN - saranno l’assemblea na-zionale, costituita da circa un migliaio di delegati, una di-rezione formata da un centi-naio di membri, un “gabinet-to” ristretto composto di circa 20 persone e tre coordinatori sotto le dirette “dipendenze” del Presidente del partito che come ovvio sarà il Premier Berlusconi.

L’incontro - definito dal Leader di Alleanza Nazionale utile ed amichevole - sem-bra, se non chiudere defini-tivamente le polemiche tra esponenti di Forza Italia e di quelli di AN riguardo l’assetto definitivo del PdL, dare finalmente il colpo di reni necessario al raggiungi-mento del traguardo che i politici di centro-destra si erano riproposti non più di qualche mese fa. L’auspicio dichiarato dai due leaders , oltre a quello di vedersi più spesso al fine di concordare insieme una programmazione condivisa della vita politica, è quindi quello di far decollare definitivamente il “progetto PDL” entro la fine di Marzo. Accantonate quindi pure le polemiche dovute alle ricor-renti voci che davano un Presidente della Camera pre-occupato riguardo il suo fu-turo politico più immediato: infatti rispondendo ad una domanda a tal proposito Fini ha affermato che “prima vi-ene il futuro del Popolo della Libertà”.Nei giorni precedenti l’incontro tra i due massimi esponenti del centro destra italiano, erano stati proprio i fedelissimi di Fini, Ronchi e La Russa, a sollecitare un intervento diretto del Presi-dente della Camera allo sco-po di rimettere in equilibrio il baricentro attorno al quale si sta organizzando il PdL, al momento troppo sbilanciato, sempre secondo ampi settori di Alleanza Nazionale, su

Forza Italia.L’attuale reggente di AN, La Russa, infatti, chiariva - alla vigilia del colloquio tra Fini e Berlusconi - che il nuovo partito dovrà essere moderno e “leggero” come Forza Italia ma che sia saldamente radica-to al territorio come Alleanza Nazionale e che preveda in ogni caso un ruolo impor-tante per Fini. Insomma per iniziare bene - sempre sec-ondo il Ministro della Difesa - non bisognerà nascondere i problemi sotto il tappeto come succede al PD di Wal-ter Veltroni bensì affrontare subito le criticità: organiz-zazione centrale e periferica, linee guida, modelli di op-eratività condivisi, intesa po-litica generale concordata dai due capi dei partiti.Per questa ragione, ha contin-uato il “reggente” di Alleanza Nazionale, è inderogabile che i due si incontrino con maggior frequenza di quanto sia accaduto nel recente pas-sato allo scopo di affrontare quest’inizio di “percorso” po-litico del PdL nella maniera più congeniale possibile.Sulla stessa lunghezza d’onda erano state le dichiarazioni del ministro di AN, Ronchi, il quale si sentiva in obbligo di ribadire il concetto che al partito di Fini non interessava fare un operazione di market-ing politico - o meglio lifting - a costruire cioè una Forza Italia allargata in cui Alleanza Nazionale si sarebbe sentita succube del più grande com-pagno di strada. L’”Aennino”

inoltre ribadiva, con una formula ancora più incisiva rispetto alle dichiarazioni di La Russa, che al momento mancavano nel progetto gen-erale dell’ossatura del nuovo partito le indicazioni per in-dividuare i luoghi di discus-sione, le regole, le strutture organizzative attraverso le quali discutere le problem-atiche politiche di un grande partito moderato. In soldoni al Ministro delle politiche comunitarie - e crediamo, a parecchi all’interno della sua stessa compagine politica - non andrebbe affatto giù la creazione di un partito troppo “leggero” che non sia niente altro che un comitato eletto-rale, senza dialettica interna e regole ben definite, oltre che senza l’indispensabile parità di importanza tra le varie anime costituenti.A quanto sembra, il “con-certo” orchestrato dagli es-ponenti di AN prima, e dal Presidente della Camera poi, sembra essere arrivato alle orecchie delle persone “giuste” se è vero che il gior-no dopo l’incontro tra Fini e il Presidente del Consiglio, il coordinatore di Forza Italia, Denis Verdini, si è premu-rato di definire giuste le riv-endicazioni del leader di Al-leanza Nazionale assicurando nel contempo che quando sarà varato il regolamento del PdL, esso conterrà norme atte a garantire la massima trasparenza e democrazia all’interno del Partito sia riguardo agli organi di ges-

tione del soggetto unitario che in riferimento al tessera-mento e alle scelte chiave comuni in vista delle pros-sime scadenze elettorali. Insomma Verdini, dopo le prese di posizione comuni degli esponenti di AN, ha as-sicurato tutti che si sta con-tinuando a lavorare fianco a fianco con gli alleati per dar vita ad un nuovo sodalizio politico che sia più vicino alla gente e tenga conto delle differenti identità ed esigenze delle varie formazioni po-litiche che lo compongono.Vedremo quindi tra poche settimane se e come le esi-genze dei politici e degli elet-tori di Alleanza nazionale saranno state recepite al mo-mento del “parto” di questo benedetto PdL.Il Paese in questa fase di recessione economica e di crisi evidente in ogni settore produttivo non sopporter-ebbe la creazione di un altro “pasticciaccio brutto” come il PD, ed infatti gli ultimissimi dati riguardanti le intenzioni di voto degli italiani asseg-nano al partito guidato(?) da Veltroni il 23% dei consensi contro più del 50% che ot-terrebbero i partiti ora al Governo. In definitiva l’Italia adesso non può permettersi l’esistenza contemporanea-mente di due “zombie” po-litici: un’opposizione inesist-ente e inconcludente ed una maggioranza di Governo imperniata su un partito che per faide interne implode su se stesso.

tizia, federalismo costituzi-onale, crisi finanziaria e in-frastrutture, attuando in tal modo l’autorevole richiesta di Napolitano di superare finalmente gli steccati che dividono il mondo politico italiano operando quindi per il bene del Paese. Sempre secondo Schifani è attraverso l’autonomia delle Camere che si possono cercare le op-portune convergenze su tali importanti tematiche, pas-sando quindi dalla teoria ai fatti: così come attraverso il lavoro parlamentare si sta giungendo ad una defin-izione concertata del federal-ismo fiscale così si potrebbero presentare e discutere i testi per riformare giustizia, per affrontare la crisi economica e le infrastrutture all’interno delle Commissioni apposite riportando quindi i vari con-fronti nell’alveo istituzionale del Parlamento, lavorando fi-nalmente sui contenuti e fer-mando gli anatemi ed i veti di ogni sorta.

Da parte sua, il Presidente della Camera Gianfranco Fini, in occasione dei festeg-giamenti per il 212° anniver-sario della creazione del pri-mo Tricolore a Reggio Emilia - ribadendo un concetto es-presso già qualche settimana fa dal Primo Ministro Berlus-coni - è tornato a “bomba” sul tema delle riforme istituz-ionali affermando che secon-do lui pur rimanendo tuttora validi ed intangibili i principi fondamentali della Costituzi-one Italiana non deve susci-tare scandalo la possibilità di modificare la Carta costituzi-onale laddove essa tocca il funzionamento delle Istituzi-oni, dando quindi un sostan-ziale via libera alla riforma in senso federalista - ed in seg-uito presidenzialista - della Repubblica Italiana.In sostanza l’ex presidente di Alleanza Nazionale ha voluto mettere sotto gli oc-chi dell’opinione pubblica e della politica italiana il fatto che a distanza di 60 anni lo schema istituzionale scaturito

dalla Costituzione è oramai vecchio e non risponde più alla necessaria funzional-ità che l’architettura di uno Stato moderno necessita. Insomma, le norme costitu-enti non sono certo i 10 Co-mandamenti e in alcuni casi si può, anzi si deve, agendo celermente , modificarle per il bene del Paese.Ed è proprio in questo rin-novato clima di decisionismo che pervade il mondo politi-co italiano che lo stesso Presi-dente della Camera dei Dep-utati ha inviato una lettera aperta al Corriere della Sera intervenendo direttamente nel dibattito riguardante l’importante tema della ri-forma del sistema giudiziario italiano.Oltre a ribadire l’auspicio già fatto da Napolitano, quello cioè di una riforma ampia-mente condivisa in Parla-mento dalla gran parte delle forze politiche, l’ex presidente di A.N. punta il dito contro il crescente sentimento di sfiducia nei confronti della

“Giustizia” italiana che ser-peggia tra i cittadini a causa delle lungaggini che afflig-gono chi vi ricorre. La strada maestra da seguire, per Fini, deve essere quella che porterà alla restituzione di efficienza - per tutti - all’intero sistema. Insomma non ci si deve occu-pare della “ Mala Giustizia” solo a causa dei casi eclatanti che riguardano gli uomini politici ma perché il meccan-ismo si è inceppato a tutti i livelli . Se una tale riforma verrà poi messa in cantiere, sempre secondo Fini, non si dovranno modificare solo le norme che regolano l’utilizzo delle intercettazioni - senza però privare la Magistratura di uno strumento efficace per combattere le mafie, il terror-ismo ma anche la malversazi-one della Cosa Pubblica - ma si dovrà pure porre mano a riformare il CSM per super-are definitivamente le logiche correntizie che finora hanno screditato e bloccato tale im-portantissime istituzione.Il Presidente della Camera ha

proseguito il suo discorso sof-fermandosi poi sulla separazi-one delle carriere dei magis-trati: tale riforma ipotizzata per garantire l’effettiva terzietà dei Giudici, non può avvenire a discapito dell’autonomia e dell’indipendenza dei PM. E’ necessario quindi dividere i ruoli ma facendo rimanere il PM subordinato sempre e solo al potere giudiziario.Inoltre ha continuato Fini nella sua lettera aperta al “Corriere della Sera”, sen-titi Parlamento e Procura generale della Cassazione, si dovrà valutare a quali reati dare la priorità di trattazi-one, visto che l’obbligatorietà dell’azione penale negli anni - e il malfunzionamento del sistema in generale - ha por-tato ad un numero di carichi pendenti esorbitanti, tanto che di fatto il PM discrezi-onalmente sceglie quali sono i reati da perseguire e quali no. Tale eventuale modifica del metodo ad ogni modo non deve diventare regola ma deve essere attuato per un

ben definito periodo di tem-po entro il quale restituire ef-ficienza alla giustizia.Più che le parole, le teorie o le semplici convenienze di bottega, dovrebbero essere i numeri a convincere la po-litica dell’importanza di far riformare rapidamente tutto il sistema giudiziario italiano: a tutto il 2006 in Italia il nu-mero di controversie civili arenate davanti ai tribunali di primo grado erano circa 4 milioni, contro le quasi 600 mila della Germania , le 800 mila della Spagna o il milione circa della Francia.Andando nel campo del “pe-nale” la situazione non migl-iora: più di un milione e 200 mila procedimenti giacenti nel primo grado, contro i 70 mila del Regno Unito, i meno di 300 mila della Ger-mania e i circa 200 mila della Spagna.Anche il debito “pubblico” della Giustizia italiana as-petta di essere colmato al più presto.

Giuliano Leo

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che a Bruxelles si procederà prima sui Paesi che si trova-no in deficit pubblico sopra il 3% già nel 2008. Si tratta di Irlanda, Grecia, Spagna, Francia e Malta. Il 18 febbra-io la Commissione europea presenterà i rapporti su tali Paesi, un secondo gruppo di paesi, invece, sarà al centro dell’analisi comunitaria suc-cessivamente.Anche se ai fini di una dina-mica interna tali previsioni incidono minimamente, dal punto di vista della situazione complessivamente considera-ta nell’ambito dell’economia europea, occorre sottoline-are che gli altri Paesi stanno peggio. L’intera Europa è in recessione, la locomoti-va tedesca farà anche peg-gio dell’Italia, con un secco -2,3% e a tal proposito non manca un apprezzamento per il piano anticrisi predisposto dal Governo italiano. E’ suf-ficiente accontentare le istitu-zioni europee per uscire dalla crisi? Oppure è solo un modo per rispettare degli obblighi vincolistici? Rispondere a queste due domande signifi-cherebbe prender atto di una drammatica realtà: non è suf-ficiente soddisfare le richieste di stabilità dell’UE e non è al-trettanto risolutivo rispettare i parametri europei su deficit e PIL, però le politiche da adottare al fine di poter per-correre la strada di uscita dal

tunnel della crisi economica sono quelle che soddisfano comunque i vincoli europei. Come dire i governi europei si trovano sulla buona strada se nel corso di questa crisi riescono a rispettare i para-metri del deficit e del debito pubblico, in modo da tenere sotto controllo la crescita e i conti pubblici. Ma quello che realmente occorre alle econo-mie europee è uscire di forza e al più presto da una crisi lun-ga e logorante. Quindi, bene ai governi che rispettano il patto di stabilità, bene anche a quelli che li rispetteranno in forza di una crisi aggressiva che magari attecchisca di più in alcuni paesi e meno in al-tri. Insomma la flessibilità nel rispetto dei vincoli è doverosa per quei Paesi che non riesco-no a contemperare politiche di riequilibrio dei conti pub-blici con quelle delle crescita.Un minimo di tolleranza le istituzioni europee comunque debbono averla, e debbono concederla alle economie che trovano maggiori difficoltà nel risalire la china; comun-que gli obiettivi del conteni-mento del debito e del disa-vanzo sono indispensabili per limitare i danni della crisi che con sé ha già fisiologicamente prodotto notevoli difficoltà nei vari sistemi economici di-storcendone le dinamiche di crescita e di sviluppo.In linea con gli altri Paesi eu-

ropei, l’Italia non ha ancora presentato a Bruxelles le sue previsioni. Sono in via di ul-teriore limatura, osservano i collaboratori del ministro dell’economia, e in ogni caso non si discostano di molto da quelli della Commissione eu-ropea: il PIL in flessione tra l’1,7 e il 2% e il deficit attor-no al 3,8%.L’aggiornamento del pro-gramma di stabilità dovrebbe comunque essere inviato a breve, per l’esame in uno dei prossimi Ecofin. L’esposizio-ne per ora è verbale, con un focus particolare sugli inter-venti messi in campo finora attraverso il decreto anticrisi all’esame del Senato, e soprat-tutto sulle ulteriori misure in cantiere. Il confronto con Bruxelles sui fondi aggiuntivi pari a circa 8 miliardi da uti-lizzare per gli ammortizzatori sociali è in corso. Si tratta di risorse europee, parte del Fon-do sociale. Se come sembra non incontreranno obiezioni da parte della Commissione, farebbero parte del pacchetto che il Governo si appresta a discutere con le parti sociali e con le Regioni. La partita sarà di non semplice definizione, soprattutto dal punto di vista della concreta allocazione dei fondi, diretti in gran parte con vincolo di destinazione alle Regioni del Sud e alle aree svantaggiate del Paese. Vista la situazione della finan-

za pubblica e dell’economia in generale, è necessaria una combinazione equilibrata di incentivi e prudenza. Que-sta combinazione sembra del resto già esistere nelle misure attuali. Come ha sottolineato il cancelliere tedesco Ange-la Merkel quella in atto è la prima crisi mondiale nella moderna globalizzazione. La Germania ha messo in campo un maxipiano da 80 miliardi che si aggiunge ai massicci in-terventi già disposti alla fine del 2008. Ogni Paese cerca la sua strada in una “corni-ce” europea. C’è la partita dell’auto, e ora dopo il via libera di Bruxelles, si ragio-na concretamente in termini di aiuti al settore, Tremonti ha annunciato che su que-sto fronte l’Italia si allineerà all’Europa.Un appello da parte della Banca d’Italia è stato poi gi-rato al sistema bancario, “le banche si impegnino a far ripartire il credito”. Questo è stato l’appello che è scaturito dall’incontro tra il Direttorio di Palazzo Koch e i vertici delle principali banche ita-liane. Le banche hanno con-fermato come la crisi finan-ziaria internazionale, che ha mostrato punte di particolare intensità nell’ultimo trime-stre del 2008, le abbia in que-sti mesi interessate in misura marginale. Il significativo de-terioramento del quadro con-

giunturale, richiede ora alle banche un particolare impe-gno sul piano del credito.La crescita dei prestiti conti-nua a decelerare. La discus-sione ha messo in luce che nel corso del 2009 sarà necessaria grande attenzione a preserva-re la qualità degli impieghi. Ma assicurare un’adeguata di-sponibilità di credito, eviden-zia Via Nazionale, è essenziale per la crescita del sistema eco-nomico ed è al centro delle strategie delle banche. L’ap-pello dell’Ecofin: “ora tocca a voi”, ora è necessario insom-ma che si ritorni a concedere prestiti alle imprese ed alle

famiglie. L’effetto integrato di questi appelli dovrebbe tradursi in una concreta po-litica dell’unione europea, dove tutti gli Stati adottando politiche di risanamento e di crescita dovrebbero produr-re il risultato di uscire al più presto dalla crisi, o quanto meno di attenuare il più pos-sibile gli effetti negativi della stessa. A corollario di tutto occorre anche non fasciarsi la testa, rimboccarsi le maniche ed essere ottimisti; si tratta comunque di lavorare anche sull’aspetto psicologico delle forze produttive di un Paese.

Avanzino Capponi

La Piazza D’Italia - Economia

I messaggi al sistema finanziario e alle economie europee

Incipit doveroso: a Mosca si spara. L’ “erede” di Anna Poli-tkovskaya - Anastasia Baburova - è stata uccisa in un agguato assieme a Stanislav Markelov, un avvocato impegnato della lotta per i diritti civili in Cece-nia. L’obiettivo principe sareb-be in realtà stato l’avvocato che si era battuto contro il rilascio anticipato del colonnello Yuri Budanov, l’ufficiale più alto in grado a essere condannato per crimini di guerra da un tribu-nale russo. Abbiamo e sempre di più avremo a che fare con questo tipo di mostro di cui ci diciamo amici. Ma come si fa ad essere amici di quelli da cui si dipende così tremendamen-te. Parliamo di energia, ovvia-mente.La dipendenza dell’Italia dalle importazioni di gas è molto forte e la Russia è il nostro se-condo fornitore dopo l’Algeria. Ma mentre dell’Algeria nessuno sa, della Russia tutti ne parlano visto che tale dipendenza com-porta conseguenze poltiche ben più serie. Nel 2007 sono stati importati 73.882 miliardi di metri cubi, complessivamente l’87% del gas immesso in rete.Dopo Algeria (33,2% del gas totale importato) e Russia (30,7%), a garantire il gas ri-chiesto sono la Libia (12,5%), l’Olanda (10,9%) e la Norve-

gia (7,5%). Il restante 5,2% del gas importato proviene da altri Paesi. Dalla Russia arrivano nel nostro Paese 60 milioni di me-tri cubi di gas al giorno. Ma che non siamo soli in quest’imba-razzo è confermato da ulteriori dati che fanno di questa realtà un problema a dimensione eu-ropea. Alcuni Paesi dell’Unio-ne dipendono fino al 100% del loro fabbisogno dal gas fornito dalla Russia. E se l’Italia copre il 27% dei suoi consumi con il metano di Mosca (dati Agenzia Internazionale dell'Energia) si inguaia ad ogni “capriccio” di Gazprom - il 30,7% secondo i dati del ministero dello Svilup-po economico – la situazione di Estonia, Finlandia, Lettonia Lituania e Slovacchia, che im-portano dalla Russia il 100% del gas di cui hanno bisogno, rasenta il tragico. È poi la volta di Bulgaria (90%), Gre-cia (81%) e Repubblica Ceca (78%), anche loro gravemente dipendenti.Una dipendenza importan-te anche per Austria (67%), Ungheria (65%) e Slovenia (51%), mentre Polonia (46%) e Germania (39%) si abbassa-no a livelli più “umani”. Vici-nissima all’Italia, la Romania (31%) mentre Francia e Belgio guardano il fenomeno Gaz-prom con ostentato distacco,

coprendo solo il 16% e il 4% dei propri consumi di gas con forniture russe. Assieme a Gran Bretagna, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Porto-gallo, Spagna, Svezia, Cipro e Malta, che possono dirsi orgo-gliosamente svincolati da Mo-sca.Il quadro, a parte gli ultimis-simi casi, è tetro e vede Mosca tentare di far valere la propria posizione non solo economica-mente, ma anche e soprattutto politicamente. La monopolista Gazprom, in mano al governo, è un vero ed efficace srumento di pressione, in grado di met-tere in ginocchio popoli, go-verni ed economie. E quando l’inverno si affaccia minaccioso – in particolar modo sui paesi dell’est – uno spettro di nome Gazprom s’aggira per l’Europa e molti tremano, non solo di freddo.Insomma, se negli anni bui della guerra fredda si poteva a ragione parlare di “pericolo rosso” oggi si può non a torto ragionare sul “pericolo russo”: una vocale non cambia la so-stanza.La gran parte del metano rus-so arriva attraverso l’Ucraina. Per questo motivo ad ogni crisi russo-ucraina l’Europa dipen-dente rischia di farne le spese. E la Russia, che chiudendo un

rubinetto manda in tilt l’Unio-ne, gongola beandosi della propria potenza. Due piccioni con una fava dunque, tanto da lasciar credere che l’accusa di rubare gas rivolta alla Ucraina sia assolutamente pretestuosa, mirante da un lato a mettere in guardia l’Ucraina dalle proprie ambizioni di affrancamento e avvicinamento politico all’occi-dente (nota l’aspirazione a Ue e Nato), dall’altro a spedire mes-saggi trasversali all’Europa.Il vecchio continente fatica a porre in essere strategie che puntino all’indipendenza ener-getica. Emblematico il caso dell’Italia, incapace persino di istallare un inceneritore. E i dati restano impietosi: secon-do Eurogas, la federazione che riunisce le compagnie del gas europee, nel 2007 i Paesi Ue hanno consumato 505 miliardi di metri cubi di gas naturale.A fronte di ciò, l’offerta di gas europeo è in costante calo. Ecco il trend: entro il 2020 non do-vrebbe più arrivare a un terzo dei consumi, per scendere a un quarto entro il 2030. Sarebbe fatale. Assolutamente da evita-re, attraverso la ricerca e l’at-tuazione di canali alternativi di approvvigionamento, come il gasdotto Nabucco, che dovreb-be portare in Europa metano del Mar Caspio da Azerbaigian,

Turkmenistan, Kazakistan e, forse, Iran. Tale progetto però, subisce il costante boicottaggio della Russia che attraverso una certosina opera di persuasione – con metodi tutti russi – ral-lenta incredibilmente il tutto.Un’altra strada è costituita dallo sviluppo di gas naturale liquido, che però richiede la costruzione dei “famigerati” rigassificatori, che richiedono aspre lotte con le comunità locali – in Italia ne abbiamo avuto un saggio.Tornando all’attualità, che si incastra perfettamente con l’analisi fatta sinora e lascia intravvedere gli scenari fututi, la società statale dell’energia ucraina Naftogaz ha ripreso a ricevere gas in transito dalla Russia verso l'Europa, dopo la firma con Mosca.L'ordine di riprendere le for-niture di gas è stato corredato dalla firma di un contratto di

dieci anni tra Mosca e Kiev. Ma i trattati, si sa, quando c’è di mezzo la politica di potenza non sono che pezzi di carta...Intanto, un anno fa, il gabinet-to bulgaro ha deciso di consen-tire al gasdotto South Sream di passare attraverso il proprio territorio nel percorso che va dal Mar Nero all’Europa Me-ridionale.Questo progetto è però rivale del suddetto Nabucco, soste-nuto da Unione Europea e Sta-ti Uniti.C’è da considerare che il South Stream sarà sviluppato da Gaz-prom congiuntamente alla italiana Eni. Tali complicati in-trecci dagli imperscrutabili esiti descrivono tutto il male della dipendenza, rafforzando una convinzione: cominciare a far da sé tentando di provvedere a se stessi.

Francesco Di Rosa

Nel corso di ogni inverno vengono a galla tutte le mancanze di un sistema energetico insufficiente

La battaglia del Gas

Ecofin 2009

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La Piazza D’Italia - Esteri

Era atteso ma non si conosceva-no le reali dimensioni, era stato annunciato ma non si voleva-no credere le intenzioni.Quel-lo che si è scatenato su Gaza è un intervento dirompente non solo sulla vita di quel lembo di terra governato da Hamas ma anche per quello che ne scatu-rirà al suo termine. Le preoccupazioni sull’effetto che l’offensiva avrà sul quel popolo di disperati usati come carne da macello da mettere in mostra davanti alle telecamere, al fine di indignare l’opinione pubblica mondiale da parte di Hamas, sono spinte da un giusto sentimento di naturale umanità. Per questo le reazio-ni nel mondo erano scontate, quello arabo parla di ingiusti-ficata aggressione, fa appello all’ONU e alla comunità in-ternazionale, quelle occiden-tali invece mantengono una posizione di equilibrio che nel giro di poco comunque saran-no a “favore” della compagine palestinese. Il motivo sarà sen-za dubbio il numero di civili che verranno coinvolti (Hamas ha da sempre posto i suoi siti strategici in mezzo alle case) in questa operazione che Israele aveva programmato da tempo ma che ha avuto il via libera del Governo Olmert solo il 25 dicembre.

Dopo i primi vagiti e moniti da parte dei vari leader arabi sono cominciate però ad arrivare di-chiarazioni che dipingono una situazione un po’ diversa: un esempio è la protesta da parte di Abu Mazen per aver raccolto in un luogo a rischio tutti i de-tenuti di Fatah (arrestati per la disputa sul controllo di Gaza) da parte di Hamas, poi diventa-ti vittime di un bombardamen-to, oppure la dichiarazione del Ministro degli Esteri egiziano che accusa Hamas di non aver permesso per troppo tempo il transito in Egitto dei feriti tra-mite il valico di Rafah apposi-tamente aperto, e ancora Fatah accusa Hamas di non aver vo-luto trattare una nuova tregua e per questo di essere respon-sabile della reazione israeliana e che è pronta a riprendere il controllo di Gaza. Questo a si-gnificare che l’annientamento di Hamas o un suo più realisti-co indebolimento, sarebbe ben visto da una buona parte di Paesi (Iran e Siria ovviamente esclusi) che per garantire l’or-dine al proprio interno, fanno dichiarazioni di facciata contro il piano di Israele.Non è una partita di calcio, non c’è da tifare, ci sono due schieramenti che si contrap-pongono e per forza uno deve sopraffare l’altro. Non esistono

tregue, non esistono conferen-ze e dialoghi.Gli equilibri dopo decenni di scontri, più o meno lunghi e violenti, non possono che esse-re definiti da una resa dei conti tra le parti per porre fine alla contesa.Israele ha lasciato Gaza nel 2005, da quel momento il ter-ritorio è stato nelle mani dei palestinesi, prima sotto Abu Mazen, poi, dopo violentissi-mi scontri fratricidi, Hamas ha messo alla porta Fatah e con esso l’ANP e ha preso il con-trollo del territorio sancendo così de facto l’interruzione dei colloqui di pace con Israele. Lo Stato ebraico, malgrado incontri e promesse, sa perfet-tamente che finché ci sarà il feudo di Hamas la pace non si potrà mai realizzare perché il fondamento di tutto è la coesi-stenza di due stati in pace e in sicurezza e Hamas questo non lo vuole. Come potrebbe essere attuabile un accordo con Abu Mazen e l’ANP mentre Hamas a sud continua a lanciare razzi? Cosa rimarrebbe di un ipoteti-co accordo al momento di una reazione, in nome del sacro-santo diritto all’autodifesa, per fermare il lancio da Gaza come quello che Israele sta portando avanti?Hamas vuole la distruzione di

Israele. Questa è la situazione che bonariamente il contesto internazionale ha sempre cer-cato di mitigare, è quindi scon-tato che non sia possibile alcun approccio che non sia quello armato. Ma la cosa da consi-derare in ambito mediorientale è che quanto si sta verificando a Gaza il mondo potrebbe do-verlo sostenere anche con un Iran che non ne vuole sapere di cedere alle pressioni per l’arre-sto del processo nucleare.Quello attualmente in atto è lo specchio di un sistema mon-diale che sta ultimando il suo ciclo: il prezzo altissimo pagato da tutti i paesi nella seconda guerra mondiale ha imposto giustamente un approccio da parte dell’occidente che scon-giurasse quanto più possibile un dispendio di vite.La storia insegna, e molto. So-prattutto mette in evidenza dif-ferenze sostanziali su come la cultura di una parte del mon-do sia andata in una direzione mentre un’altra non ha fatto lo stesso percorso. Il fatto di con-tinuare a perseguire la distru-zione senza se e senza ma, da parte di Stati e organizzazioni come l'Iran, la Siria, Hezbollah e Hamas, pur di vedere ali-mentato il proprio potere (in barba al bene dei loro popoli) sta portando il nostro mondo

verso quel crinale di sofferenza che speravamo di avere ormai alle spalle.Improbabile che su questo pia-neta possano coesistere tutti senza tensioni e guerre quindi bisogna rassegnarsi, pensare ad un oculato intreccio di alleanze

perché solo tramite una com-plessa rete di accordi tra i Paesi sarà possibile rallentare, inter-ferire e magari bloccare ten-sioni che andrebbero a toccare interessi comuni tra entità pro-fondamente distanti tra loro.

Gabriele Polgar

Per un medio oriente più libero?

Bombe su Hamas

Il territorio della Somalia è in gran parte arido e semi-arido ad eccezione del sud, più fer-tile. La sua povertà è profonda e tragica non solo nell’econo-mia ma anche nelle istituzioni politiche e nella qualità della vita. A tutto ciò c’è una spie-gazione: la guerra civile che si scatena da anni con dramma-tiche situazioni umanitarie e spesso poste in seconde piano rispetto alle più riconosciute zone di crisi come Iraq e Af-ghanistan. Compiendo un veloce per-corso storico, ricordiamone le sue travagliate vicende dalla seconda metà del ‘900. Dopo l’indipendenza (Soma-lia Italiana e Britannica nel 1960; Stato del Gibuti ed ex Somalia Francese nel 1977), nel 1964 e 1977 ci sono 2 guerre contro l’Etiopia (go-vernata da cristiani) per mo-tivi territoriali: era conteso il territorio rimasto all’Etiopia ma popolato da Somali, in se-guito alla divisione delle terre colonizzate, effettuata dalla Gran Bretagna nella seconda metà dell’800.Dal 1961 al 1991 il Paese è governato dal dittatore Siad Barre. Un colpo di stato mili-tare portò al potere il generale e verso la fine degli anni ’70 iniziano a formarsi organiz-zazioni di guerriglia ostili al regime. Da qui incomincia un periodo di guerra civile

intermittente che dura ancora oggi e vede contendersi diver-si protagonisti.Nel ’91 Barre venne estromes-so e la lotta per il potere che ne segue coinvolge diversi gruppi tribali con un crescendo espo-nenziale e drammatico di vio-lenza, il tutto, accompagnato da una terribile carestia.Il conflitto diviene così con-fuso e atroce che decreta ad-dirittura il fallimento della missione ONU. Gli Ameri-cani si ritirarono nei primi mesi del 1994 provocando la capitolazione della pro-getto UNOSOM. Nel ’95, l’ONU, incapace di far fronte alla situazione e all’evolversi del conflitto Somalo, ritira le proprie forze. Questo periodo è caratterizzato dalle terribi-li violenze dei “Signori della Guerra”, i temibili capi clan che sottomisero la popolazio-ne e costrinsero alla fuga an-che i caschi blu dell’ONU.Alla fine degli anni ‘90 ci sono significativi scambi diplo-matici e solo nel 2004 sem-bra concludersi il processo di pacificazione; viene eletto dall’IGAD (organizzazione politico-commerciale formata dai paesi del corno d’Africa) un parlamento federale e ven-gono nominati un Presidente ad interim e un Governo, il Governo di Transizione So-malo.Queste istituzioni si mostrano

subito fragili e non in grado di governare il Paese, soprat-tutto a causa della dura oppo-sizione dei signori della guerra di Mogadiscio, per altro quasi tutti componenti del governo stesso.Così, in seguito alla 14a Con-ferenza di Pace, proprio per questa loro presenza nel pote-re, i vari signori decidono di accordarsi per creare un altro governo e Mr Yusuf, il più potente di loro, viene eletto Presidente. Nel 2006 il governo dei Si-gnori avvia un’ambigua guerra ad Al qaeda, colpendo anche molti integralisti inoffensivi con attacchi molto violenti. Nessuno li ferma o è capa-ce di farlo; la popolazione si schiera a difesa dei perseguita-ti. Inevitabilmente, nel 2006 sopraggiunge una nuova cri-si: le milizie controllate dalle Corti Islamiche, cacciano da Mogadiscio, con l’appoggio della popolazione, i Signori della guerra. Per impedire il rovesciamento del Governo internazionalmente ricono-sciuto, l’esercito etiope corre a dare man forte a quello gover-nativo. Ma i Signori perdono il controllo della capitale e si rifugiano a Baidoa, a circa 250 km dalla capitale.Le Corti stabiliscono una cal-ma relativa nella società so-mala: dopo 11 anni riaprono persino il porto e l’aeroporto

e scendono i prezzi di molti beni di prima necessità. Tutto questo viene ottenuto però, con esecuzioni sommarie e gravissime riduzioni delle li-bertà, come anche la chiusura dei cinema. Per chiarire e ricordare, l’Unione delle Corti Islami-che raggruppa le varie corti di quartiere che esistevano a Mo-gadiscio; fondate e finanziate da uomini d’affari negli anni ’90, esse avevano la funzione di sistemare le contese locali, d’ interessarsi all’aspetto socia-le della zona, di combattere il banditismo e l’impunità delle fazioni armate. Tutto questo anche attraverso la creazione di proprie milizie, vista l’assen-za di un forte potere centrale. Si uniscono nell’Unione delle Corti dopo le persecuzioni del 2006 da parte dei Signori della guerra. Esse tentarono anche di introdurre la Sharia, la legge tradizionale Islamica, ma non vi riuscirono a causa della forte frammentazione politico-sociale del Paese. Ri-nunciarono quindi alla crea-zione di uno stato Islamico e quindi al controllo religioso e si fermarono alla conquista del potere politico.Una Somalia ormai ripiegata su stessa, vede il riacutizzarsi degli scontri tra le corti e i si-gnori nella seconda metà del 2006, quando il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approva

la risoluzione 1725, che da il via libera formale (revocando l’embargo delle armi al go-verno federale) ad una forza internazionale regionale di monitorare e mantenere la sicurezza a Baidoa e, di fatto, permettendo il riarmo alle istituzioni transitorie. L’eser-cito Etiope, sostenitore delle forze di Baidoa, entra così nella capitale e ne seguono violentissimi scontri che pro-vocano migliaia di vittime. Nel Gennaio del 2007 gli Sta-ti Uniti decidono di entrare militarmente nel conflitto a supporto dell’esercito Etiope; numerosi civili restano vittime degli scontri e l’azione è for-temente criticata dall’Unione Europea e dall’Onu. Nei primi giorni di marzo, giungono nel Pese martoriato le truppe ugandesi della mis-sione di pace dell’Unione Afri-cana, incaricate di controllare la capitale e contrastare il ri-torno delle milizie islamiche. Nonostante ciò, gli scontri aumentano ancora d’intensità e la situazione a Mogadiscio precipita di nuovo, come da anni non accadeva. Gli scontri tra le truppe etiopi, il governo di transizione, i signori della guerra e le milizie islamiche devastano il paese.Tra violenze, epidemie e caos, nell’autunno del 2007 la So-malia è in piena catastrofe umanitaria e gli sfollati hanno

raggiunto quota un milione.Nel giugno del 2008 viene concordato un accordo tra go-verno somalo, parte dell’op-posizione e l’Etiopia, esso prevede: la fine degli scontri armati, l’ingresso delle forze internazionali e il ritiro dei militari etiopi. Per perveni-re a tale accordo, finalmente sono state coinvolte le realtà moderate collegate alle corti islamiche. Alla fine del dicembre 2008 il presidente Abdullahi Yusuf Ahmed ha rassegnato le di-missioni dichiarando che la sua decisione è dovuta all’im-possibilità di portare la Soma-lia ad una fase seria e vera di pacificazione ed accordo tra le parti. Inoltre ha criticato fortemente la comunità in-ternazionale per il mancato sostegno economico, senza il quale non è possibile formare un esercito in grado di con-trastare le corti islamiche e gli altri gruppi che si contendono il potere.E’ di pochi giorni fa la notizia che si è avviato il ritiro delle truppe etiopi dalla Somalia.Di fronte a una situazione così grave e rispetto agli altri con-flitti nel mondo degli ultimi anni, sembra davvero ingenuo pensare che la diplomazia e l’intervento internazionale siano stati sconfitti dalla guer-ra civile che infuria in questo paese.

Ricordando la SomaliaLa devastazione di uno Stato

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La Piazza D’Italia - Approfondimenti

Dalla Prima I giovani sono il futuro.Diciamo la verità senza veli, qualcuno potrebbe essere spa-ventato da questa affermazio-ne, perché generalizzando, a guardarsi bene intorno, i ra-gazzi di oggi che hanno un’età compresa più o meno tra i 14 e 22 anni spesso e volentieri non mostrano un bel panorama del loro mondo e del loro modo di relazionarsi alla realtà che li circonda e di ciò a volte, pare anche che se ne compiacciano.I motivi di questo sbando sono diversi e piuttosto gravi ma uno li riassume forse un po’ tutti: la fortissima mancanza di modelli buoni.C’è un mezzo di comunicazio-ne di massa che senza ombra di dubbio ha un potere enorme: la televisione. Essa offre tut-to ma tragicamente anche dei modelli. Dico “tragicamente” perché se nel secondo dopo-guerra ha assunto immedia-tamente un incredibile ruolo educativo e positivo facendo l’Italia e soprattutto gli Italiani, oggi essa è per gran parte noci-va a chiunque posi lo sguardo su di un qualsiasi programma, eccetto alcune trasmissioni. I modelli che essa offre possono rappresentare un pericolo per la giovane mente di un qual-siasi adolescente che la guarda e che si sta formando un’idea di ciò che lo circonda, perché

essi non si pongono il fine di educare civilmente e sono for-temente fuorvianti dalla realtà. Quindi come la TV può inse-gnare, può anche diseducare, sempre e comunque propo-nendo, interpretando, intrat-tenendo e divertendo e visto che essa arriva velocissima a tutti e indubbiamente presen-ta stereotipi, forma opinioni e presenta modelli, essa ha le sue responsabilità nella dispersione giovanile di oggi.Karl Popper (1902-1994) nel-la sua incessante produzione filosofica, rifletté anche su questa questione e oggi insie-me ne parleremo. Ricordiamo che egli, filosofo della scienza e della politica, è considerato uno dei più grandi teorici del pensiero liberale.In “Cattiva maestra televi-sione” con la lucidità che lo contraddistingue, ci dice che la televisione potenzialmente così come è una sicura alleata del male, potrebbe essere una preziosa paladina del bene. Ma è improbabile che quest’ultima condizione si venga a verificare perché per prima cosa è terri-bilmente difficile il compito di diventare una forza al servizio del bene e in secondo luogo, più semplicemente, non c’è gente che possa realizzare per più di 20 ore al giorno materia buona e programmi di valore.

Così è molto più facile trova-re persone che producano per tutto questo tempo materia scadente e cattiva. Inoltre, più sono le stazioni emittenti, tan-to più è difficile trovare profes-sionisti davvero capaci di pro-durre sia cose interessanti che di qualità. In ultima analisi, la radice del deterioramento della tv sta nel fatto che le stazioni televisive per mantenere la loro audience, devono produrre sempre più genere scadente e sensazionale e quest’ultimo difficilmente è buono.Popper va oltre e afferma, per quanto strano ci possa sembra-re visto che è un liberale, che un altro problema altrettanto fondamentale per la tv è che ci sono troppo stazioni emittenti in competizione. Ovviamente esse competono per accapar-rarsi i telespettatori e non per un fine educativo; quindi non fanno a gara per produrre pro-grammi di solida qualità mo-rale, introducendo ai bambini una certa forma di eticità. Questo aspetto è importan-tissimo perché l’etica si può insegnare ai più giovani solo fornendo loro un ambiente affascinante, per mezzo soprat-tutto di esempi sani e buoni modelli. La possibilità di poter scegliere tra più canali e più trasmissioni

non equivale dunque al rispet-to dei principi della democra-zia. Al contrario, anche se il contesto è quello di uno Stato liberale, una maggior possibili-tà di scelta può comportare un forte abbassamento del livello educativo dei programmi pro-posti, il perché l’abbiamo visto prima e di questo infernale meccanismo dobbiamo esserne tutti consapevoli.Di sicuro nella democrazia, sostiene Popper, un principio vale su tutti gli altri, ossia la di-fesa dalla dittatura ma, non c’è neppure nulla che dica che la gente che dispone di più cono-scenza non debba offrirne a chi ne ha di meno. Anzi, la dottri-na democratica per principio e sua essenza, ha sempre incorag-giato e fatto suo l’innalzamen-to del livello di educazione. Questa è una sua tradizionale vocazione. A questo aspira perché ovvia-mente più cose si conoscono e sanno, più si ha un’ educazione seria, più si è in grado di op-porsi ai pericoli degli abusi di potere. Le produzioni che mirano forsennatamente all’audience e alla competizione offrono invece livelli sempre peggio-ri e bassi e pare che tutto dal pubblico venga accettato, pur-ché il condimento sia fatto di violenza, sesso e sensazionali-

smo. Ma il pericolo che deri-va da questo circolo vizioso è gravissimo: Popper insegna che più si impiegano questi condi-menti, più si educa la gente a richiederne.Non valgono dunque le ra-gioni di chi a tutto questo ri-sponde dicendo che una per-sona che non ama un certo programma ha la possibilità di cambiare perché, per prima cosa, abbiamo capito che in una democrazia l’educazione e la qualità delle cose hanno un valore fondamentale, quindi alcuni programmi non dovreb-bero neanche essere pensati; in secondo luogo la competizione per l’audience favorisce mate-riale scadente, quindi anche se si ha la possibilità di girare ca-nale, sempre mondezza si trova e terzo punto fondamentale, la gente deve essere abituata al bello per richiedere cose di qualità, altrimenti come già detto sopra, la quotidianità del brutto chiede sempre più avi-damente cattivi condimenti.Le persone che fanno televi-sione devono capire che hanno una responsabilità enorme: che gli piaccia o no, sono coinvolte nell'educazione di massa che è un tipo di educazione terri-bilmente potente e importante e tra le tante cose che devono tenere bene a mente una è di base e l’inizio di tutto: i bam-

bini vengono al mondo strut-turati per un compito, quello di adattarsi al loro ambiente e insegnare ai bambini e ai ragaz-zi significa influenzare il loro ambiente in modo che possa-no prepararsi per i loro futuri compiti: diventare cittadini, la-vorare, diventare padri e madri e via dicendo.La soluzione non è nella cen-sura ma sta in un lavoro pre-ventivo su chi vuole lavorare in questo mondo, cercando di responsabilizzarlo il più possi-bile. Questa è un’operazione urgentissima e assolutamente necessaria per salvaguardare la democrazia stessa. In quan-to, dice Popper, la democrazia consiste nel mettere sotto con-trollo il potere politico; ma ora è accaduto che la tv è diventata un potere incredibile, anzi forse ormai il più importante di tut-ti e “una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà stato pienamente scoperto” (pag 80). Quando i nemici della demo-crazia capiranno fino in fondo questa sua potenzialità, allora la useranno in tutti i modi, an-che nelle situazioni più perico-lose. Ma a quel punto, sarà già troppo tardi.

Ilaria Parpaglioni

Non si tratta di una questione certamente nuova e scono-sciuta sia a livello politico che a livello sociale. Quella del divario tra Nord e Sud è una problematica che ri-sale alla Seconda guerra mon-diale, quando l’Italia comincia a seguire un andamento a due velocità. La dinamica econo-mica settentrionale sembra avere una marcia in più, i tassi di crescita delle Regioni del Nord sono maggiori di quelli delle Regioni del Sud, un’Italia dunque, che presenta una gap che nel corso dei decenni si è progressivamente incrementa-to a scapito soprattutto della performances complessiva che può esprimere il sistema eco-nomico nazionale.Le perplessità dei più attenti studiosi erano proprio rife-rite non tanto alla possibili-tà di raggiungere una unità territoriale, quanto quella di realizzare conseguentemente una omogeneità nel livello di crescita e sviluppo. Era ov-viamente plausibile, già da tempo, che l’economia meri-dionale si caratterizzasse per la sua forte vocazione agrico-la, mentre quella settentrio-nale avesse, al contrario, una attitudine alla managerialità, al fare impresa. Oggi, quelle perplessità si sono conferma-te in maniera integrale, anzi,

ancora una volta al centro del dibattito politico e parla-mentare permane la questione dello squilibrio economico fra Nord e Sud.Proprio oggi, in un pranzo di lavoro a Montecitorio, i due leader, il presidente della Ca-mera Gianfranco Fini, e il pre-mier Silvio Berlusconi, avreb-bero avuto un colloquio sulla questione dello squilibrio. Fini avrebbe chiesto al premier di non abusare della decreta-zione d’urgenza e di coinvol-gere l’opposizione nella rifor-ma della seconda parte della Costituzione e della giustizia.Dunque il confronto sullo scenario economico e sulle ricadute sociali della crisi ha portato alla conclusione che il divario tra Nord e Sud risulte-rà ancor più accentuato. Sul tema è intervenuto anche il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, il qua-le indica come via d’uscita dalla crisi il “creare spazio per liberare le forze del Paese che sono in grado di innovare”. Il numero uno di via Nazio-nale cita le parole dell’ex Go-vernatore: “Non sono sopite nel Paese forze rigogliose che accettano le condizioni nelle quali il genio dell’innovazione si sviluppa in finezza sotto la costrizione dell’aumento del rischio, in un mercato che

si estende fino ai confini del mondo”. Quindi, prosegue Draghi, “chiunque abbia o possa avere responsabilità di comando nella sfera pubblica e nella sfera privata, può crea-re lo spazio, intelligentemente ordinato, perché queste forze possano agire. Così renderem-mo omaggio a un grande ita-liano e a un grande europeo”.Draghi cita a più riprese pas-saggi dei discorsi di Guido Carli, fa riferimento in parti-colare agli appelli rivolti agli imprenditori che “devono ricercare un sistema politico che permetta l’innovazione economica. Un sistema poli-tico che non permette rinno-vazione sociale, l’alternarsi tra i gruppi, non ammette nean-che l’innovazione economica”. Carli proponeva un tipo di intervento che costituiva una mediazione fra il libero gioco delle forze di mercato e un dirigismo fra i più vincolanti che veniva invocato da alcuni attori politici: le misure messe in atto da Carli passavano co-munque attraverso il mercato, erano con esso compatibili e avevano la caratteristica della reversibilità”. Secondo Draghi, “non è inutile” chiedersi come avrebbe reagito un economi-sta con l’esperienza di Carli di fronte ad una crisi come quella attuale: nel novembre

del 1987, ricorda il Gover-natore, commentò in Senato il crollo di borsa avvenuto a New York nel mese prece-dente, sostenendo: “è impos-sibile la coesistenza a tempo indeterminato di un elevato disavanzo del governo federale degli Stati Uniti, di tassi di in-teresse stabili o sollecitati ver-so il basso, di un cambio del dollaro stabile”. Il divario tra Nord e Sud, rimarca Draghi, è una delle principali preoc-cupazioni della Banca d’Italia. Ancora una volta cita Guido Carli, facendo riferimento alla sua denuncia degli squilibri che rilevava nel Paese nel ’69: “gli squilibri non erano solo intersettoriali, ma anche terri-toriali”, per cui il divario tra Nord e Sud era allora e rimane oggi una delle preoccupazioni maggiori della Banca centrale, commenta Draghi.Quello che occorre rilevare però, è un classico all’italiana: è vero che tutti i principali rappresentanti delle istituzio-ni politiche e finanziarie del Paese si sono pronunciati con preoccupazione sulla questio-ne annosa del gap Nord-Sud, ma è altrettanto vero che al di là di mere citazioni che hanno sicuramente una valenza stori-ca e sicuramente hanno avuto i loro effetti nei periodi storici di riferimento, oggi, quel che

ci resta di queste citazioni sono ripetizioni formali che non trovano però politiche con-crete atte a risolverle. In una economia globalizzata, dove gli Stati con le proprie perfor-mances determinano i tassi di crescita dell’economia europea e soprattutto la loro velocità, l’Italia non può permettersi di correre a due velocità, perché è il sistema Paese nel suo com-plesso a rimetterci. Inoltre, ci sono delle motivazioni di carattere sociale: la disoccupa-zione meridionale tende a cre-scere più del doppio rispetto a quella settentrionale, e sempre più i lavoratori del Sud vanno a cercare un posto di lavoro al Nord, costretti a spostarsi an-che con intere famiglie. Non preoccupa tanto la mobilità o la flessibilità del mercato del lavoro quanto la sua precarie-tà, o il fatto di rimanere disoc-cupati di lungo corso. Ecco la necessità di politiche concrete ed efficaci che sostengano la flessibilità ma che consentano di creare nuovi posti di lavoro in tutta la penisola. E’ vero che l’economia attuale ha bisogno di spazi per creare opportunità di innovazione, ma alla base di un impianto innovativo o di una creatività imprenditoriale c’è sempre il margine stretto di non poterlo fare per ragioni strutturali.

Quello che i cittadini italiani si attendono dal Governo è l’intervento sostanziale e ra-pido nel mercato del lavoro, dove oltre a prevedere forme di garanzia per i neo disoccu-pati al fine di poter mantenere un tenore di vita dignitoso, occorre prevedere misure che modifichino le condizioni attuali di accesso nel mondo del lavoro smantellando un sistema baronale soprattutto nel pubblico impiego, ripristi-nando l’imparzialità nella va-lutazione delle graduatorie, e introducendo la meritocrazia ovunque, sia nella sfera pub-blica che in quella privata. Per cui tutti debbono partire dal medesimo piano, poi chi vale di più ha diritto a far carrie-ra e quindi ad ottenere scatti retributivi che gli consentano di remunerare la propria me-ritevolezza.Solo attraverso modifiche di questo tipo si può contribu-ire alla riduzione del gap tra Nord e Sud. Un invito alle istituzioni sarebbe quello di evitare sempre citazioni dot-trinarie sui problemi perché rendono l’idea di un signifi-cato molto importante e giu-sto ma un modo per ovviare concretamente alla risoluzione dei problemi. La politica deve fare bella figura non a parole ma con i fatti.

Karl Popper contro il potente mass media

La preoccupazione del numero uno di Bankitalia Mario Draghi

Televisione: intreccio di potere e violenze

Divario tra Nord e Sud

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Quello che giorno dopo gior-no matura nella coscienza umana di fronte a una tra-gedia come quella di Gaza è un sentimento devastan-te che mette in discussione ogni singola molecola delle nostre certezze, o almeno dovrebbe.Non ha realmente importan-za chi muore e chi uccide nel momento in cui una vita innocente viene strappata: quando, agli occhi di tutti, i corpi straziati di innocenti giacciono riversi in quelle inermi gestualità che solo la morte sa dare, è la dispera-zione che dovrebbe prendere possesso di ognuno di noi.La disperazione che dovreb-be essere vissuta come catar-si di anime sporcate dall’ide-ologia, qualsiasi essa sia, di sinistra, di destra, religiosa pro o contro chicchessia.Ed è proprio da questo feno-meno che dovremmo parti-re per poter almeno tentare di dare un senso a ciò che i nostri occhi impietosi ci lanciano dentro la nostra co-scienza.Da oramai settimane sentia-mo commentatori più o meno autorevoli che ci propinano teorie storico politiche sulle ragioni del conflitto, sulle reazioni e sulle provocazio-

ni, sugli anni di tensioni e soprusi, sulla speranza, sulla paura, sulla rassegnazione. Tutti alimentati dal proprio credo e quindi mai obiettivi per la parte che vorrebbero convincere.Ma dopo oltre trecento bam-bini morti la ragione e l’orro-re si fondono lasciando una macchia unica, indelebile sulle bandiere di chi com-batte, la differenza sarà so-lamente come verrà vissuto alla fine questo peso enorme che ogni popolo dovrà soste-nere. Chi piangerà quei morti e non chi li festeggerà potrà definirsi il vincitore.Ma allora perché tutto que-sto è accaduto, perché non è stato evitato?Scontato era l’uso delle armi dopo il lancio continuo di razzi, scontato era l’uso de-gli scudi umani, scontati gli errori, le valutazioni e le considerazioni, gli “effetti collaterali” e la presa sulla gente. La risposta la potrem-mo trovare nei libri di storia o nelle cronache degli ultimi anni ma realmente perché tanti innocenti siano morti non potrà mai trovare una ri-sposta che potrà appagare le nostre coscienze. Forse an-che perché tendiamo a rele-gare l’operato umano come

un percorso maledetto che un qualcosa di non umano dovrebbe correggere o quan-tomeno spiegare.Probabilmente uno Stato che è minacciato dalla sua nascita deve avere le spalle sufficientemente larghe per poter sopportare l’orrore di tanto sangue come anche il suo popolo.Deve essere capace di sop-portare i giudizi di tutti co-loro che vedono la sofferen-za in TV e che per questo si sentono moralmente maturi per poter esprimere giudizi istintivi dettati da una mora-le vuota degna dei bigliettini trovati nei dolcetti cinesi o forse peggio.Spesso la gente che legge e vede di sfuggita immagini orribili, non si rende conto di come da quel momento diventa una parte di un’arma potentissima a disposizione di chi fa leva sulla compas-sione tutta occidentale.Quando quest’arma sofisti-cata, che gli integralisti han-no, capirà come è stata usata anche questa volta, si troverà a fare una scelta non tra torto o ragione ma di coscienza e di coerenza.Quanti alla luce reale dei fatti, qualora fossero diversi da come sono apparsi in un

primo momento, avranno il coraggio di dire che si erano sbagliati e quanti invece ap-poggeranno con ancora più forza la causa di Hamas solo per non dire “ho sbagliato”?Ecco la cosa che dovrebbe intimorire più di tante altre. La nostra è oramai una cultu-ra confusa, facciamo riferi-menti continui alla saggezza e alla pietà ma guai a chi ci tocca la macchina, che si an-cora ai principi fondamentali perché ha rinunciato ad una reale evoluzione interiore,

le domande che ci poniamo sono sempre meno, appal-tiamo le nostre riflessioni a qualche commentatore o cantante e nel frattempo re-agiamo in modo isterico sen-za renderci conto di quanto tutto questo ci abbia resi vul-nerabili e perfetti per essere plasmati da chi in realtà con-tabilizza i morti per fini che di umano hanno ben poco.Purtroppo coloro che tratta-no la morte degli innocenti con tanto cinismo saranno coloro che continueranno ad

usarci, ci renderanno la vita sempre più pesante perché per loro la carne da macello ha un prezzo molto basso e costa meno delle munizioni che dovrebbero sparare per raggiungere il medesimo obiettivo.Una situazione, questa, che ci impone di cercare la verità anche a casa nostra, perché ci sono fior di "soldati" che usano la suddetta arma an-che nei nostri media.

Gabriele Polgar

Il medio oriente e la morale della morteLa Piazza D’Italia - Approfondimenti

Dalla recessione alla depressione?Il timore che l'attuale crisi economia e finanziaria pos-sa caratterizzare ancor più in maniera negativa l'andamen-to della congiuntura interna-zionale è diffuso e condiviso, ma che possa addirittura de-terminare il passaggio critico da una fase di recessione ad una di depressione forse è prematuro assiomatizzarlo.La fiducia dell'America in se stessa è sicuramente molto scossa: il Presidente uscen-te si chiede se l'attuale crisi economica e finanziaria non sarà peggiore della Big De-pression degli anni '30. Ma è sbagliato essere così pessimi-sti: dopo un brutto 2009, è probabile che nel 2010 l'eco-nomia USA, e globale, si ri-prenda. L'ipotizzare il trend dell'economia nei prossimi mesi non è così scontato come potrebbe sembrare quando il contesto economi-co non è invaso da una crisi, diventa, invece, più compli-cato fare delle previsioni at-tendibili quando lo scenario è caratterizzato da crisi. Nella fattispecie congiunturale, la difficoltà principale risiede nel dovere di registrare passo dopo passo come l'andamen-to economico negli ultimi mesi abbia seguito un trend estremamente negativo, dove

i tassi di crescita dell'econo-mia hanno fatto registrare segni al di sotto dello zero, a peggiorare poi questo anda-mento è stato l'effetto mol-tiplicatore che dall'embrio-ne americano si è diffuso in Europa generando una crisi globale. La permanenza dei tassi di crescita economici al di sotto dello zero è dovuta alla forte crisi finanziaria che ha devastato i mercati azio-nari. Comunque, oggi, solo una buona dose di sfortuna e di errori potrebbe far de-generare la recessione in una Grande depressione mondia-le. Un numero crescente di uomini d'affari incomincia a chiedersi se gli Stati Uniti sa-ranno in grado di raddrizzare sollecitamente la loro eco-nomia. Le previsioni mag-giormente diffuse evidenzia-no una crescita negativa del -1,5%, questa sarebbe una dolorosa recessione, ma poca cosa in confronto al crollo del 10-15% della produzione normalmente associato a una vera depressione. Le previsioni, c'è da dire, sono state sbagliate sul fronte dell'ottimismo, ed è quin-di normale che la gente ora rimanga scettica. Con il si-stema finanziario sotto respi-razione artificiale, il prezzo

delle abitazioni in caduta libera, la disoccupazione in crescita, l'economia ameri-cana sembra indebolita come mai lo è stata a partire dagli anni '70, e forse dalla secon-da guerra mondiale. Inoltre, occorre considerare che una crescita negativa per oltre due anni è un evento piutto-sto raro, anche dopo severe crisi bancarie.Il Giappone sembra che ab-bia avuto bisogno di un'eter-nità per riprendersi dalla sua crisi infatti, lo ha costretto a ristrutturarsi mentre contem-poraneamente doveva assor-bire l'enorme contraccolpo imposto dal prepotente emer-gere della concorrenza cine-se. La paralisi politica che ha prevalso durante l'interregno fra il presidente Bush e Oba-ma non è stata sicuramente d'ausilio. Ora si tratta di spe-rare nella squadra economica del presidente eletto Obama la quale deve saper adottare una linea più coerente. Già la coerenza sarebbe far fare una passo avanti alla fiducia. Il criterio che deve seguire il nuovo governo americano è quello del mark to mar-ket per i prezzi degli asset, dalla ristrutturazione e rica-pitalizzazione delle banche, e da una nuova regulation

che consente la creatività, proteggendo meglio però il pubblico da alcune follie che hanno imeprato per più di un decennio.Tutti i giornali hanno mes-so in evidenza come questa crisi abbia una dimensione planetaria, ed abbia posto in discussione i principi car-dini dell'economia di libero mercato, l'intervento pubbli-co dunque, è necessario per risolvere situazioni critiche e negative. Senza lo Stato il mercato non può autonoma-mente e liberamente creare le condizioni per far uscire il sistema economico da una crisi. Quello però che occorre sottolineare a tal proposito, è la seguente considerazione: la crisi scoppiata negli Stati Uniti ha avuto una natura prettamente finanziaria che a sua volta ha avuto ripercus-sioni negative sull'economia reale, cioè quella delle im-prese, delle famiglie. Visto che l'economia statunitense si fonda per la maggior par-te su un sistema finanziario, questo, una volta crollato, ha prodotto una distorsione nel rapporto finanziario tra le famiglie e le banche, il quale bruscamente ha impedito alle famiglie stesse di poter ono-rare regolarmente i prestiti

causa l'innalzamento dei tassi d'interesse. Questo meccani-smo di inadempienza ha spez-zato il rapporto fiduciario ed ha innescato una spirale sfa-vorendo la rinegoziazione dei mutui. Un enorme numero di famiglie americane hanno visto in poco tempo rastrella-re sacrifici per acquisire il di-ritto di proprietà di una casa, e l'impossibilità appunto di poter guardare al futuro con ottimismo. A questa cristi si è aggiunta quella puramente finanziaria, dove gli specula-tori hanno rastrellato il mer-cato di azioni con rendimenti elevati pulendo gli istituti di credito di contante. Quando la moneta non circola all'in-terno del sistema bancario si rompe il meccanismo del fi-nanziamento, e questo a sua volta determina un arresto degli investimenti delle im-prese. Meno investimenti, meno acquisti, tensioni in-ternazionali frequenti e im-pellenti, il tutto genera timo-re, contrazione delle crescita e crollo dei mercati.Oggi, ci si chiede se il nuo-vo Governo americano sarà in grado di uscire dalla crisi, sicuramente questa non si trasformerà in depressione viste le ingenti iniezioni di li-quidità che i governi dei vari

paesi si sono già impegnati ad effettuare, quello, invece, che preoccupa sono i tempi di una ripresa che per velo-cizzarsi probabilmente avrà bisogno di un governo mon-diale dell'economia. Ma visto che a livello politico formale il tavolo si potrà pure forma-re, il problema nasce quando il protocollo degli indirizzi politici inevitabilmente con-trasterà con le decisioni e gli interessi dei singoli paesi..Sinceramente, un governo mondiale dell'economia sa-rebbe opportuno per pren-dere misure di imparzialità, laddove gli interessi sono multilaterali, nelle singole fattispecie invece, ogni siste-ma economico ha la sua strut-tura e i suoi problemi, e per risolvere quelli dell'economia reale sarebbe meglio che ogni Governo adottasse misure di crescita e rilancio coerenti con le esigenze della propria collettività. Sicuramente oc-corre sostenere i redditi, rida-re fiducia alle famiglie e alle imprese e garantire a tutti un livello di stipendi adeguato al costo della vita. Solo attraver-so il rilancio dell'economia del lavoro, e delle imprese i paesi possono riprendere a crescere.

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La Piazza D’Italia - Attualità

Stragi sulle stradeAltro giro di vite (…a vuoto?)

Il problema delle continue stragi sulle strade è noto or-mai da anni e dovuto ad una serie di concause che ne han-no fatto assumere a tratti le dimensioni di una vera e pro-pria mattanza.Ad ogni nuovo risalto dato dai mezzi di comunicazione alla questione è sempre se-guita da parte dell’esecutivo di turno la risposta attraver-so il cosiddetto “giro di vite”, formula caratteristica del modo di comunicare politico e che dovrebbe avere come significato l’inasprimento dell’attenzione del Governo al problema con conseguente programmazione di strumen-ti e risorse per la risoluzione o, quanto meno, per la ridu-zione del problema. “Giro di vite” o “pugno di ferro” che sia, tutte le intenzioni degli esecutivi che si sono succe-duti da quando il problema si è presentato altro non hanno fatto che manifestarsi in con-tinui inasprimenti della nor-mativa di settore.Non è stato soltanto in occa-sione del problema dell’alto tasso di mortalità conseguen-te agli incidenti stradali che tale soluzione è stata adottata ma degli altri ce ne occupere-mo in altre occasioni.Come tutti gli esecutivi an-che il Governo attuale ha ben pensato di modificare, per l’ennesima volta, le norme del Codice della Strada preve-dendo inasprimenti al limite del draconiano. Tutto questo

naturalmente come risposta forte al problema, come vera presa di coscienza delle di-mensioni e delle conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.Con il decreto-legge 92/2008, poi convertito dalla legge 125/2008, sono state, infat-ti, modificate in particolare le norme riguardanti la guida sotto l’influenza dell’alcool (art. 186 D.lgs. 285/92). La fattispecie si struttura sostan-zialmente suddividendo in tre livelli di gravità il fatto: se il valore del tasso alcolemico si attesta tra 0,5 e 0,8 grammi (di alcool) per litro (di san-gue) ne consegue la ammen-da da 500 € a 2000 €; se il valore invece si attesta tra 0,8 g/l e 1,5 g/l ne consegue la ammenda da 800€ a 3200€ e l’arresto fino a 6 mesi; se, infi-ne, il valore si attesa oltre 1,5 g/l allora la risposta sanziona-toria è data dall’ammenda tra 1500€ e 6000€ e l’arresto da 3 mesi ad 1 anno. A queste si affianca la sanzione acces-soria della sospensione della patente che a seconda del li-vello di gravità incide per un periodo che va dai 3 mesi ai 2 anni nonché la confisca del veicolo.Se in tali condizioni il con-ducente dovesse poi causare un incidente stradale le pene vengono automaticamente raddoppiate.Nel caso di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti

l’articolo 187 si allinea ver-so l’alto alla norma descritta prevedendo l’ammenda da 1500€ a 6000€ e l’arresto dai 3 mesi ad 1 anno. Al di là della considerazione che punire un tasso alcolemi-co del valore tra 0,5 e 0,8 g/l sembra oltre che irreale quasi illegittimo, atteso che sareb-bero sufficienti due bicchieri di vino rosso per trovarsi al di sopra dello stesso (precisando che il tutto sia assolutamen-te soggettivo stante la tota-le diversità di assimilazione dell’alcool da organismo ad organismo), quello che più perplime non è il contenuto delle modifiche ma l’utilizzo di uno strumento del genere per combattere il fenomeno in questione.L’inasprimento di una norma non può avere alcun valore se la stessa, già esistente, co-munque non trovava appli-cazione. Quello che permette le continue mattanze sulle strade non è certo la mancata preoccupazione da parte degli utenti della gravità della san-zione quanto e soprattutto la convinzione che tale sanzione non trovi applicazione stante la mancanza dei controlli e delle attività in concreto eser-citate sulle strade.Se un individuo è conscio che ad un proprio comportamen-to potrebbe conseguire una sanzione pesantissima ma è altresì consapevole che l’ac-certamento della condotta è ridotto a percentuali bassissi-

me (…da vincita al Lotto) è chiaro che tale sanzione non produrrà alcun effetto deter-rente. Avrebbe questo effetto una sanzione anche di minore rigore ma sicuramente di co-stante e frequente applicazio-ne.Se poi si volesse davvero cer-care di affrontare la questione della mortalità sulle strade allora sarebbero (anche e so-prattutto) altre le vie da se-guire.In primo luogo il degrado e la vetustà delle infrastrutture, è sufficiente fare un giro per la Capitale per rendersi conto di come il sistema viario sia asso-lutamente inadeguato: buche, tombini a sbalzo, brecciolino dovuto a corrosione dell’asfal-to, guard-rail killer…A tale inadeguatezza si ag-giunga la crescita esponen-ziale nell’ultimo ventennio del parco macchine in circo-lazione dovuto alla rincorsa al benessere, alla mancanza di una vera alternativa all’uso dell’automobile e alle abitu-dini del Paese e dei suoi cit-tadini.A quanto indicato si sommi anche l’illogica e sporadica organizzazione che permea l’attività di controllo della sicurezza sulle strade volta maggiormente a rimpingua-re le (vuote) casse dei singo-li Comuni piuttosto che a prevenire gli incidenti sulle strade.Lo stesso utilizzo distorto di strumenti tecnologici quali

possono essere gli autove-lox o il cosiddetto sistema “Tutor” non fa altro che ali-mentare dubbi sulla effica-cia degli stessi. Tali sistemi dovrebbero essere utilizzati non per comminare sanzioni pecuniarie ai proprietari degli autoveicoli quanto per evitare che condotte, quali in que-sto caso l’eccesso di velocità, possano produrre conseguen-ze tragiche. Se questi fosse-ro utilizzati correttamente dovrebbero permettere a chi di dovere di intervenire per evitare il protrarsi di tali con-dotte e diminuire il rischio delle conseguenze. Se lasciati semplicemente alla produzio-ne di “autoritratti” e connesse sanzioni amministrative nulla potranno prevenire od evita-re. Né si può sempre utilizzare la giustificazione di non aver contestato immediatamente la violazione per l’impossibili-tà connessa all’intralcio al tra-sporto pubblico che sarebbe conseguito ad un intervento.

La contestazione immediata non ha soltanto la funzione di permettere al presunto vio-latore di esprimere le proprie ragioni quanto, ed in partico-lare, di interrompere quanto prima la condotta pericolosa ed evitare, per quanto possi-bile, il verificarsi di ulteriori conseguenze.Sarebbe, quindi, auspicabile che un serio programma di intervento nel settore venisse effettuato attraverso una radi-cale programmazione non, o quantomeno non solo, a livel-lo normativo quanto piuttosto a livello di investimenti sia in-frastrutturali che di controllo del territorio: rinnovamento dell’impianto viario principa-le e secondario, dislocamento di uomini e mezzi allo scopo di prevenire o quantomeno intervenire prontamente in caso di violazione, sanzioni mirate ed effettivamente ap-plicate, programmi di seria educazione stradale e civica.

Marcello Grande

Il buonsenso di Bossi“Con Berlusconi vince sempre il buonsenso”, finisce così la querelle Lufthansa-Air Fran-ce/Klm ovvero Malpensa-Fiumicino.Ancora una volta al momento di vedere le carte, di fronte ai piedi puntati del Premier, la Lega Nord dai graffi passa con disinvoltura alle carezze.Con la partenza della Nuova Alitalia e la scelta da parte del CDA di CAI di privilegiare l’unico vettore internaziona-le, Air France/KLM, che da subito abbia manifestato un reale interesse per l’azienda della compagnia di bandiera italiana, viene scongiurata la nascita di un altro abominio anti-economico, uno di quelli foriero di sicure postume la-crime leghiste magari da pian-gere scaricando qualche altro slogan contro il complottismo demo-pluto-romano.E’ già perché quando la Lega Nord si mette a giocare al Mo-nopoli del Capitalismo che conta non servono i fucili di mezzo milione di bergamaschi a lasciare sul campo morti e feriti, come dimenticare il fal-limento della già Banca della Lega, CredieuroNord, salvata dalla Banca Popolare di Lodi di Fiorani per €2 ad azione

(dagli €28 iniziali) e secon-do le valutazione della Banca d'Italia, che fece un'ispezione dal 10 marzo 2003 al 23 mag-gio 2003, una gestione capace in meno di 4 anni di mandare in fumo 20 milioni di euro tra perdite e crediti in sofferenza.E come dimenticare la lunati-ca retorica anti-romana all’in-domani della corsa della Banca di Roma, imbeccata dall’allora Governatore di Bankitalia Fa-zio, al salvataggio dal default della BIPOP CARIRE: a do-ver essere salvata doveva essere la Banca di Roma e in realtà il salvataggio in extremis – nella visione leghista - sarebbe stato a favore della Banca di Roma da parte della BIPOP CARI-RE e non il contrario. Cavalcando il peggio del suo populismo la Lega Nord ed il suo Segretario, trasformatisi da tempo da partito liberista in partito propugnatore di un nuovo centralismo Milano centrico (centralismo che per primi al nord nessuno vuole) aveva con i toni lasciato inten-dere che per il suo movimento lo sviluppo di Malpensa (di re-cupero non può parlarsi visto che il secondo scalo milanese non è realmente mai partito) veniva prima di tutto, prima

ancora della salvaguardia del traffico aereo e di persone in-finitamente maggiore che gra-vita attorno a Fiumicino. L’aeroporto – con buona pace di tanti – della capitale italia-na doveva adattarsi a trasferire a Malpensa parte del traffico di Fiumicino e questo in un ottica “strategica” e per ripa-gare le colpe del fallimento di Malpensa ovvero il fatto che la maggior parte dei dipendenti dalla responsabilità dirigen-ziale di Malpensa vivendo a Roma erano pendolari e co-stavano troppo alla Società. Al di là delle iperboli poli-tichesi, livello occupaziona-le per livello occupazionale, l’imprenditore brianzolo che va in Cina, bisognava esser certi che vi andasse diretta-mente da Malpensa senza che avesse a dover patire scali di alcun tipo era una priorità na-zionale.Gli imprenditori di CAI, che per fortuna di impresa e in-vestimenti miliardari si inten-dono e non di campanilismo da poche lire, devono aver da subito tirato giù due statisti-che abbastanza incontroverti-bili per cassare come antieco-nomica la strategia leghista e hanno fatto immediatamente

intendere che non se ne par-lava, di qui l’amore della Lega per Lufthansa, un vettore inte-ressato al traffico sulla Roma-Milano e ad assistere gli utenti tedeschi sulle tratte mitteleu-ropee più significative.Quanto sia significativa inve-ce per lo sviluppo del Nord la centralità dello scalo di Malpensa è dimostrato anche dalla prossima manifestazione trasversale per potenziare e non abbandonare l’aeroporto di Venezia che Sindaco e Pre-sidente della Regione Veneto hanno indetto spaventati dalla “centralità strategica” di Mal-pensa per il nord Italia che il Presidente di CAI Colaninno ha sentenziato annuncian-do l’accordo con Air France/Klm.Nel 2015 Milano sarà chia-mata ad ospitare l’Expò, per quella data c’è da augurarsi che si sia addivenuti ad una razionalizzazione economica e non demagogica del traffico nel nord Italia, una razionaliz-zazione che passa per la “devo-luzione” (questa sì) di traffico da Linate a Malpensa, senza penalizzazione per gli scali di Bergamo, Torino, Venezia e Verona che sono realtà vita-li ed essenziali per il tessuto

piccolo imprenditoriale della pianura padana.Il centrodestra e la Lega, l’al-leanza al Governo, gode oggi della fiducia e della simpatia degli italiani ed è chiamata a riforme e a scelte che deter-mineranno il mantenimento e la possibilità di recupero della competitività del tessu-to economico del Paese, sono scelte troppo serie per essere vendute in nome di qualche voto in più alle europee o per rosicchiare subdolamente un po’ di consenso all’alleato che ci mette la faccia. Bene ha fatto Berlusconi ha chiarire che non esisteva al-cuna proposta Lufthansa, che non esiste una politica pro-nord dal monopolio leghista e che esiste invece una politica pro-nord della coalizione tut-ta del centrodestra tutto.Il nord Italia è centrale nel-la strategia politica del PDL come in quello della Lega, ma all’indomani dell’appro-vazione del Federalismo Fisca-le, quando il Carroccio avrà svuotato il caricatore della pistola che tiene puntata con-tro il sistema da anni, dovrà decidere una volta per tutte se continuare la sua maturazione in partito regionalista respon-

sabile sul modello della CSU bavarese oppure se cavalcare la tigre autonomista e portare avanti una strategia di tensio-ne contro lo Stato centrale, magari ottenendo dagli alleati la candidatura alla poltrona di Presidente della Regione Lombardia. La battaglia su Alitalia anti-cipa più di quanto sia dato immaginare probabili attriti nei futuri rapporti all’interno della maggioranza e perché questi non si traducano in al-trettanti attriti a livello istitu-zionale dipenderà dalla tenuta e dalla chiara affermazione del PDL come primo partito nel Nord del Paese. Con buona pace della diri-genza locale ciò continuerà a verificarsi se nel futuro prossi-mo il messaggio spedito tra la gente da parte della dirigenza del PDL non sarà di debolez-za, di condiscendenza alle in-temperanze leghiste o peggio di fuga in avanti sui temi che il Carroccio di volta in volta propone sul tavolo, poiché si sa in politica la debolezza non paga né riconduce al buon-senso, tanto più se l’interlocu-tore che si ha davanti è la Lega Nord di Umberto Bossi.

Giampiero Ricci