Ripartire si può e si deve - 1-15/16-31 Gennaio 2011 - Anno XLV - NN. 95-96-97-98

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sano essere oltre otto milioni di cause pendenti tra civili e penali e che, per superare tutti i gradi di giustizia previsti dalle leggi italiane, in media un cittadino del nostro Paese che si rivolge alla magistra- tura penale debba attendere più di otto anni. E’altresì intollerabile che la metà degli omicidi, quattro rapine su cinque e più del 90% dei furti rimanga impunito. Occorre assolutamente oltre che rivedere le norme che regolamentano l’azione penale obbligatoria dei PM, riela- borare in senso più restrittivo pure le disposizioni che disciplinano i benefici di legge dei condannati - la “Gozzini” per intenderci - e quelle che combattono l’immigra- zione clandestina visto che quasi il 40% degli ospiti delle patrie galere è straniero. I mprocrastinabile è pure rende- re più organizzata e funzionale la burocrazia che sopraintende il sistema giudiziario italiano, ammo- dernandone la tecnologia e impo- standola in senso più manageriale, per quanto è possibile tenendo conto che non si tratta in ogni caso di produrre auto o scarpe, anche pensando di mettere a capo dei distretti giudiziari o dei tribunali Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-31 Gennaio 2011 - Anno XLV - NN. 95-96-97-98 E 0,25 (Quindicinale) In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy — Fondato da Turchi — UE: strategia “Europa 2020” — a pagina 4 — ECONOMIA Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 La Piazza d’Italia Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina COPIA OMAGGIO www.lapiazzaditalia.it — a pagina 7 — ATTUALITÀ Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia www.lapiazzaditalia.it Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti Sindacati al punto di svolta di FRANZ TURCHI Quello che mi chiedo è se sia nor- male continuare a parlare di fatti da “gossip” quando i problemi del Paese restano sul tavolo. Bene ha fatto il Premier a richiamare l’attenzione su questo! Credo che la prima cosa da fare sia una riforma fiscale come quella presentata nel 2001: cioè tre aliquote con l’ultima al 33% e la prima al 10% con una no tax area rilevante tra i 10 ed i 15mila Euro. Tagliamo l’IRAP e riduciamo le ali- quote personali e facciamo una vera riforma fiscale in generale. Pagare meno ma tutti ed avere più servizi dallo Stato è la base di un rilancio economico e politico dell’attuale Governo. Se infatti, ad esempio, oltre a quanto detto verranno intro- dotte più voci deducibili nella nostra dichiarazione dei redditi allora si, creeremo una vera riforma, impor- tante per il Paese, per le famiglie che hanno problemi ad arrivare alla fine del mese; per l’economia in generale in quanto andrebbe a stimolare i consumi in maniera rilevante. Solo così potremo dire di esserci giocati il nostro futuro con alte pro- babilità di successo sia come Italia, sia come sistema Paese, sia come attuale coalizione governativa Non mi concentrerei, quindi, su mille argomenti, ma su uno: fare una riforma con un fisco all’Ame- ricana, con tutte le possibilità di deducibilità di spese possibili. Questo vuole dire essere concreti, questo a mio avviso vuole dire fare politica. Proviamoci nei prossimi mesi a rea- lizzarlo. Aggiungiamo anche una nota di politica estera per quello che succe- de in Egitto; bene il cambiamento, ma che sicuramente sia fatto in via democratica, e che non porti una deriva “islamista”. Infatti, bisogna considerare anche, che siamo in una regione dove l’Egitto da sempre è un crocevia di equilibri rispetto ad Israele, e quindi Iran ed Iraq. Auguriamoci che non ci siano altre vittime, ma che al contrario il leader che verrà continui nella politica di stabilizzazione dell’area. Il Redde Rationem Ripartire si può e si deve Il Governo deve necessariamente accelerare il passo per approvare alcune delle riforme necessarie al Paese Sperare che l’opposizione parla- mentare al Governo Berlusconi deponga finalmente l’ascia di guer- ra ed inizi a dare fattivamente il proprio, necessario, contributo alla formulazione di proposte concre- te per la riforma dell’affannato sistema Italia è cosa praticamente impossibile. E’ infatti sotto gli occhi di tutti come PD, Unione di Centro e i seguaci del Presidente della Camera e del FLI più che essere indaffarati a produrre idee, disegni di legge o essere impegnati a rinnovare le rispettive classi dirigenti, siano affaccendati a inseguire i bisogni di sindacati vetero-comunisti in costante affanno per la perdita delle decennali rendite di posizione accumulate all’interno della socie- tà italiana, o nello spalleggiare le “grida” ed i bandi che alcuni magi- strati rivolgono contro Berlusconi attraverso le spiate inventate dalle ninfette di turno. Unico scopo, sovvertire l’esito delle urne, sosti- tuendo in tal modo il legittimo Governo del Cavaliere senza però passare attraverso il giudizio degli elettori. Ed è logico che in tutto questo bailamme di accuse, minacce ed improperi talvolta la maggioran- za che sostiene Berlusconi possa perdere la bussola rimanendo per qualche tempo impantanata nella palude parlamentare delle stucche- voli discussioni che a nulla portano fuorché a infruttuose perdite di tempo, utili solo agli avversari poli- tici per tacciare di scarsa capacità e produttività l’asse Popolo della Libertà – Lega. Per uscire da tale situazione è necessaria solo una cosa: piegare la testa e lavorare con rinnovato vigo- re a quelle riforme che il Paese da troppo tempo aspetta, da soli o con il valido sostegno di chiunque in Parlamento sia capace di sostenere tali trasformazioni a prescindere dagli steccati consolidati ed insor- montabili che ingessano l’agenda politica italiana. Al più presto e senza tentennamen- ti quindi si devono portare a buon punto la rivoluzione federalista, quella fiscale, della giustizia e ten- tare di mettere i paletti per indivi- duare una nuova architettura isti- tuzionale al posto di quella attuale, logora ed obsoleta nonostante i poco più di 70 anni d’età. Per quanto riguarda le tematiche federaliste, molto a cuore a tutto lo stato maggiore ed al popolo leghista, il testo licenziato dal Ministro delle Riforme Calderoli, riguardante il decreto sulla fiscalità municipale approderà a giorni - entro la prima settimana di febbra- io - alla commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo, commissione nella quale sarà deci- sivo il voto del senatore finiano Baldassarri che attualmente presie- de tale assemblea. A tal proposito già si sono levate le grida di allarme delle opposizioni che definiscono tale testo irricevibile poiché domi- nato dall’incertezza e dalla confu- sione, chiedendo al Governo una ulteriore proroga alla discussione in atto da mesi sul tema, al fine di limare ulteriormente la propo- sta della Maggioranza che sostiene Berlusconi. Ad aggiungere carne sul fuoco ci sono anche le richie- ste dei Comuni che attraverso il Presidente dell’Anci Chiamparino - sindaco di Torino - richiedono ai legislatori di sbloccare le addizio- nali Irpef, la possibilità di introdur- re il contributo di soggiorno a tutte le città, regolare la disciplina del passaggio da Tassa a Tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urba- ni; insomma i Sindaci richiedono la possibilità di avere un “rubinet- to” che possa essere aperto a loro piacimento. Poi se a tali proposte “sindacali” si aggiunge il fatto che il primo cittadino della “Mole” è pure uno degli uomini di peso del PD e che tenta in ogni modo di sfilare la Lega a Berlusconi ingo- losendo Bossi con una promessa di inciucio sul federalismo a patto di creare un’alleanza PD – Lega – Terzo polo si riesce a capire che la situazione è quantomeno ingarbugliata. Per quello che concerne la riforma del sistema fiscale è sotto gli occhi di tutti che l’eccessiva pressione dell’erario imbrigli negativamen- te le forze positive e propulsive dell’economia italiana e perciò si deve -seppur in un contesto econo- mico nazionale e mondiale tra i più difficili - procedere senza perdere ulteriore tempo ad una riorganiz- zazione delle leggi che regolano tale settore. Magari si potrebbe gradualmente introdurre il coefficiente familiare, ridurre le aliquote di tassazione per i ceti medi, defiscalizzare set- tori che potrebbero essere trainanti come il turismo, l’agricoltura e le attività manifatturiere oppure pensare di diminuire - in accor- do con l’Unione Europea - l’IVA per le ditte gestite da giovani. La riduzione della tassazione in gene- rale passa attraverso la ricerca di una ancora maggiore produttività della Pubblica Amministrazione e sicuramente tramite la chiusura di alcuni carrozzoni semi-pubblici quali sono le tante municipalizzate sparse in giro per l’Italia con i bilanci perennemente in rosso. Un’ulteriore riforma che non può ulteriormente tardare a essere fatta - intorno alla quale sarà più diffi- cile trovare un accordo bipartisan con le opposizioni - è quella del sistema giudiziario. Rendere efficiente il sistema giudi- ziario italiano è un obbligo morale poiché è impensabile che ci pos- Segue a pagina 2

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Il Redde Rationem - Ripartire si può e si deve - I conti senza l’oste - Alemanno spariglia le carte - Tunisia e Algeria nel caos: che succede? - Il nuovo Brasile - UE: strategia “Europa 2020” - Taskforce per una riforma dell’economia UE - Reddito delle famiglie - L’economia mondiale riprende la sua marcia - Quel legame indissolubile tra finanza e mercato - Il treno della ripresa - Legittimo impedimento: bocciato? No, mediato - Sindacati al punto di svolta - Un’ondata di democrazia? - Cambogia: attraverso l’indocina più autentica - Madrid tra musei e movida - Skyline

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sano essere oltre otto milioni di cause pendenti tra civili e penali e che, per superare tutti i gradi di giustizia previsti dalle leggi italiane, in media un cittadino del nostro Paese che si rivolge alla magistra-tura penale debba attendere più di otto anni. E’altresì intollerabile che la metà degli omicidi, quattro rapine su cinque e più del 90% dei furti rimanga impunito. Occorre assolutamente oltre che rivedere le norme che regolamentano l’azione penale obbligatoria dei PM, riela-borare in senso più restrittivo pure le disposizioni che disciplinano i benefici di legge dei condannati

- la “Gozzini” per intenderci - e quelle che combattono l’immigra-zione clandestina visto che quasi il 40% degli ospiti delle patrie galere è straniero. Improcrastinabile è pure rende-re più organizzata e funzionale la burocrazia che sopraintende il sistema giudiziario italiano, ammo-dernandone la tecnologia e impo-standola in senso più manageriale, per quanto è possibile tenendo conto che non si tratta in ogni caso di produrre auto o scarpe, anche pensando di mettere a capo dei distretti giudiziari o dei tribunali

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-31 Gennaio 2011 - Anno XLV - NN. 95-96-97-98 E 0,25 (Quindicinale)

In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romaninaper la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy

— Fondato da Turchi —

UE: strategia “Europa 2020”

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ECONOMIA

Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727

La Piazza d’Italia

Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina

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ATTUALITÀ

Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani

e per un nuovo modo di fare politica in Italia

www.lapiazzaditalia.itUna Piazza di confronto aperta al dibattitosu tutti i temi dell’agenda politica e sociale

per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti

Sindacatial puntodi svolta

di FRANZ TURCHI

Quello che mi chiedo è se sia nor-

male continuare a parlare di fatti

da “gossip” quando i problemi del

Paese restano sul tavolo.

Bene ha fatto il Premier a richiamare

l’attenzione su questo!

Credo che la prima cosa da fare

sia una riforma fiscale come quella

presentata nel 2001: cioè tre aliquote

con l’ultima al 33% e la prima al

10% con una no tax area rilevante

tra i 10 ed i 15mila Euro.

Tagliamo l’IRAP e riduciamo le ali-

quote personali e facciamo una vera

riforma fiscale in generale. Pagare

meno ma tutti ed avere più servizi

dallo Stato è la base di un rilancio

economico e politico dell’attuale

Governo. Se infatti, ad esempio,

oltre a quanto detto verranno intro-

dotte più voci deducibili nella nostra

dichiarazione dei redditi allora si,

creeremo una vera riforma, impor-

tante per il Paese, per le famiglie che

hanno problemi ad arrivare alla fine

del mese; per l’economia in generale

in quanto andrebbe a stimolare i

consumi in maniera rilevante.

Solo così potremo dire di esserci

giocati il nostro futuro con alte pro-

babilità di successo sia come Italia,

sia come sistema Paese, sia come

attuale coalizione governativa

Non mi concentrerei, quindi, su

mille argomenti, ma su uno: fare

una riforma con un fisco all’Ame-

ricana, con tutte le possibilità di

deducibilità di spese possibili.

Questo vuole dire essere concreti,

questo a mio avviso vuole dire fare

politica.

Proviamoci nei prossimi mesi a rea-

lizzarlo.

Aggiungiamo anche una nota di

politica estera per quello che succe-

de in Egitto; bene il cambiamento,

ma che sicuramente sia fatto in via

democratica, e che non porti una

deriva “islamista”.

Infatti, bisogna considerare anche,

che siamo in una regione dove

l’Egitto da sempre è un crocevia di

equilibri rispetto ad Israele, e quindi

Iran ed Iraq.

Auguriamoci che non ci siano altre

vittime, ma che al contrario il leader

che verrà continui nella politica di

stabilizzazione dell’area.

Il Redde Rationem

Ripartire si può e si deve Il Governo deve necessariamente accelerare il passo per approvare alcune delle riforme necessarie al Paese

Sperare che l’opposizione parla-mentare al Governo Berlusconi deponga finalmente l’ascia di guer-ra ed inizi a dare fattivamente il proprio, necessario, contributo alla formulazione di proposte concre-te per la riforma dell’affannato sistema Italia è cosa praticamente impossibile.E’ infatti sotto gli occhi di tutti come PD, Unione di Centro e i seguaci del Presidente della Camera e del FLI più che essere indaffarati a produrre idee, disegni di legge o essere impegnati a rinnovare le rispettive classi dirigenti, siano affaccendati a inseguire i bisogni di sindacati vetero-comunisti in costante affanno per la perdita delle decennali rendite di posizione accumulate all’interno della socie-tà italiana, o nello spalleggiare le “grida” ed i bandi che alcuni magi-strati rivolgono contro Berlusconi attraverso le spiate inventate dalle ninfette di turno. Unico scopo, sovvertire l’esito delle urne, sosti-tuendo in tal modo il legittimo Governo del Cavaliere senza però passare attraverso il giudizio degli elettori.Ed è logico che in tutto questo bailamme di accuse, minacce ed improperi talvolta la maggioran-za che sostiene Berlusconi possa perdere la bussola rimanendo per qualche tempo impantanata nella palude parlamentare delle stucche-voli discussioni che a nulla portano fuorché a infruttuose perdite di tempo, utili solo agli avversari poli-tici per tacciare di scarsa capacità e produttività l’asse Popolo della Libertà – Lega.Per uscire da tale situazione è necessaria solo una cosa: piegare la testa e lavorare con rinnovato vigo-re a quelle riforme che il Paese da troppo tempo aspetta, da soli o con il valido sostegno di chiunque in Parlamento sia capace di sostenere

tali trasformazioni a prescindere dagli steccati consolidati ed insor-montabili che ingessano l’agenda politica italiana.Al più presto e senza tentennamen-ti quindi si devono portare a buon punto la rivoluzione federalista, quella fiscale, della giustizia e ten-tare di mettere i paletti per indivi-duare una nuova architettura isti-tuzionale al posto di quella attuale, logora ed obsoleta nonostante i poco più di 70 anni d’età.Per quanto riguarda le tematiche federaliste, molto a cuore a tutto lo stato maggiore ed al popolo leghista, il testo licenziato dal Ministro delle Riforme Calderoli, riguardante il decreto sulla fiscalità municipale approderà a giorni - entro la prima settimana di febbra-io - alla commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo, commissione nella quale sarà deci-sivo il voto del senatore finiano Baldassarri che attualmente presie-de tale assemblea. A tal proposito già si sono levate le grida di allarme delle opposizioni che definiscono tale testo irricevibile poiché domi-nato dall’incertezza e dalla confu-sione, chiedendo al Governo una ulteriore proroga alla discussione in atto da mesi sul tema, al fine di limare ulteriormente la propo-sta della Maggioranza che sostiene Berlusconi. Ad aggiungere carne sul fuoco ci sono anche le richie-ste dei Comuni che attraverso il Presidente dell’Anci Chiamparino - sindaco di Torino - richiedono ai legislatori di sbloccare le addizio-nali Irpef, la possibilità di introdur-re il contributo di soggiorno a tutte le città, regolare la disciplina del passaggio da Tassa a Tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urba-ni; insomma i Sindaci richiedono la possibilità di avere un “rubinet-to” che possa essere aperto a loro piacimento. Poi se a tali proposte

“sindacali” si aggiunge il fatto che il primo cittadino della “Mole” è pure uno degli uomini di peso del PD e che tenta in ogni modo di sfilare la Lega a Berlusconi ingo-losendo Bossi con una promessa di inciucio sul federalismo a patto di creare un’alleanza PD – Lega – Terzo polo si riesce a capire che la situazione è quantomeno ingarbugliata.Per quello che concerne la riforma del sistema fiscale è sotto gli occhi di tutti che l’eccessiva pressione dell’erario imbrigli negativamen-te le forze positive e propulsive dell’economia italiana e perciò si deve -seppur in un contesto econo-mico nazionale e mondiale tra i più difficili - procedere senza perdere ulteriore tempo ad una riorganiz-zazione delle leggi che regolano tale settore.Magari si potrebbe gradualmente introdurre il coefficiente familiare, ridurre le aliquote di tassazione per i ceti medi, defiscalizzare set-tori che potrebbero essere trainanti come il turismo, l’agricoltura e le attività manifatturiere oppure pensare di diminuire - in accor-do con l’Unione Europea - l’IVA per le ditte gestite da giovani. La riduzione della tassazione in gene-rale passa attraverso la ricerca di una ancora maggiore produttività della Pubblica Amministrazione e sicuramente tramite la chiusura di alcuni carrozzoni semi-pubblici quali sono le tante municipalizzate sparse in giro per l’Italia con i bilanci perennemente in rosso.Un’ulteriore riforma che non può ulteriormente tardare a essere fatta - intorno alla quale sarà più diffi-cile trovare un accordo bipartisan con le opposizioni - è quella del sistema giudiziario.Rendere efficiente il sistema giudi-ziario italiano è un obbligo morale poiché è impensabile che ci pos-

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degli esperti di risorse del per-sonale e di amministrazione in quanto, come spesso afferma il Ministro Brunetta, fare il giudice o il Pubblico Ministero è cosa ben diversa rispetto al fare il manager che deve organizzare il lavoro in un tribunale.In ultimo, bisogna iniziare a costruire le fondamenta di una nuova architettura istituzionale dello Stato, puntando dritti verso il Presidenzialismo che faccia da contrappeso al federalismo regio-nale, a tagliando nel contempo pure le spese di funzionamento delle strutture parlamentari ita-liane oramai veramente superate dai tempi: il raggiungimento di questo obiettivo potrà veramente dare al motore del nostro Paese il “carburante” in più che gli possa

permettere di recuperare il gap accumulato nei decenni con i Paesi più sviluppati dell’Europa occidentale.Trovare gli accordi in Parlamento per fare tutto ciò - data anche l’at-mosfera non proprio costruttiva che si respira da troppi anni tra gli scranni di Camera e Senato - sarà sicuramente difficile.Vedremo a breve, quindi, se la l’attuale maggioranza di Governo sarà capace da sola o con il contri-buto di altre forze politiche, ed in tal senso la creazione di un nuovo gruppo parlamentare di appoggio all’azione dell’asse PdL – Lega è un fatto da considerarsi tutto sommato positivo, di produrre nel Paese ed in Parlamento le condi-zioni affinché tali cambiamenti non rimangano solo sulla carta.

prio compito istituzionale al 50% essendo per l’altra metà del tempo impegnato a promuovere in tutta Italia un partito “ad personam” nato dalla fecondazione artificiale di caporali di giornata e astiosi portaordini.A Fini ha fatto eco il suo attuale - chissà per quanto ancora staremo a vedere - compagno di navi-gazione Pierferdinando Casini il quale, nella corsa al ribasso senza freni, ha dichiarato di acconten-tarsi oltre che, come ovvio, delle dimissioni di Berlusconi senza se e senza ma, della eventuale parte-cipazione del Popolo della Libertà ad un governo di solidarietà nazio-nale purché senza l’ingombrante presenza del “satiro” Berlusconi poiché del resto nel PdL ci sareb-bero molte personalità in grado di guidare un Governo di unità nazionale politicamente schierato a centro destra.Lo stillicidio delle dichiarazio-

ni domenicali in chiave anti Berlusconi sono state infine concluse dalla Presidentessa di Confindustria Mercegaglia che prima ha bollato come insuf-ficiente gli ultimi sei mesi del Governo del Cavaliere e in segui-to - novella “Premier-maker” - ha immaginato la formazione di un governo Tremonti uscito fuori però dal responso delle urne. Tutti pensano a sostituire a Berlusconi in ogni modo.Per fortuna nostra e del Paese, gli unici che a quanto pare non pensano proprio a disfarsi del Presidente del Consiglio sono quelli il cui parere in una demo-crazia conta di più,gli elettori ita-liani, che secondo quanto ripor-tato dagli istituti di sondaggio al momento - nonostante il caso Ruby - non vedono alternative al Governo del Cavaliere e ancora sperano nella sua azione politica.

Da provetto scalatore quale è Gianni Alemanno ha atteso che passasse la bufera rappresentata dalla “parentopoli” romana - le assunzioni facili di famigliari, amici di politici o di personag-gi a loro vicini effettuate dalle municipalizzate capitoline - per riordinare le idee e ripartire di

slancio verso la scalata delle nuove vette che si ripropone di raggiungere: il rilancio dell’azio-ne amministrativa della propria giunta e il ritagliarsi uno spazio sempre più importante nello sce-nario politico nazionale.Per raggiungere questi due obiet-tivi ha compiuto una mossa a sorpresa, quella cioè di ritirare le deleghe assegnate agli assessori e ai consiglieri comunali avviando nel contempo i colloqui con i rappresentanti politici che hanno sostenuto fino ad oggi la sua giunta.La “crisi-lampo” avrà per stessa ammissione di Alemanno durata brevissima in quanto già per questo fine settimana la nuova squadra si metterà al lavoro per superare tutti quegli ostacoli che hanno impedito all’amministra-zione di agire compiutamente, secondo le linee programmati-che che due anni e mezzo fa con-sentirono al Popolo della Libertà e ai suoi alleati di strappare il governo della Capitale al cen-trosinistra.Naturalmente al fianco della scelta effettuata dall’inquilino del Campidoglio si sono subi-to schierati i vertici nazionali del PdL che, attraverso le paro-le di uno dei tre coordinatori nazionali, il Ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi, ha defi-nito la decisione di Alemanno responsabile e coraggiosa, valu-tando oltretutto positivamen-te l’esperienza amministrativa del centrodestra al Comune di Roma anche alla luce dei risultati fin qui ottenuti nonostante il pesante fardello di debiti - oltre dodici miliardi di euro - lasciati in eredità dalle precedenti ammi-

nistratori targate centrosinistra.La decisione di Alemanno ha ricevuto pure il sostanziale apprezzamento del Governatore del Lazio Renata Polverini che ha definito giusta la scelta del Sindaco poiché egli evidente-mente ha sentito il bisogno di rilanciare la propria azione di governo attraverso un gesto coraggioso che mette tutto in discussione. Sulla stessa lun-

ghezza d’onda il Ministro della Gioventù Meloni la quale ha ricordato che dell’azzeramento della giunta Alemanno si era già parlato qualche tempo fa e che comunque questo potrà essere uno strumento per rilanciare un’azione programmatica che ha portato comunque a risul-

tati straordinari, tenuto conto della situazione drammatica in cui il Comune di Roma era stato lasciato dall’esperienze ammini-strative del centrosinistra.Logicamente di senso total-mente opposto sono state le dichiarazioni dell’ex sindaco di Roma Rutelli - già ex radicale, ex socialista, ex margherita, ex Democratico e chissà tra quanto ex “terzo polista” - che ha parlato

di Città paralizzata dall’indeci-sionismo di Alemanno, capace solo di assunzioni clientelari e falsi annunci.Ma queste si sanno sono le solite critiche care alla sinistra che è capacissima solo di dimentica-re in fretta i propri fallimen-ti ammantandoli oltretutto di

falsa mitologia: Rutelli evidente-mente ancora non ha imparato nulla dalla lezione impartitagli due anni e mezzo orsono dai cittadini della Capitale che lo hanno sonoramente bocciato preferendo Alemanno e la sua coalizione piuttosto che lui e la solita cricca.Secondo Alemanno il cambia-mento che seguirà il rimescola-mento delle deleghe assessorili sarà molto rapido perché la Città ha fretta di vedere compiuti o almeno iniziati i progetti per i quali il centrodestra ha ottenu-to la fiducia della maggioran-za degli elettori romani: serviva insomma un’accelerazione per permettere a tutti di vedere nel più breve tempo possibile i risul-tati dell’azione amministrativa.Alemanno quindi, chiusa la prima fase di governo comu-nale improntata più che altro all’approvazione del piano di rientro del debito accumulato in oltre un quindicennio di ammi-nistrazione di centrosinistra, al conseguimento dell’importante risultato politico dell’attribuzio-ne alla Città dei poteri derivan-ti dalla legge “Roma Capitale”, ha in mente di progettare la seconda parte del suo mandato sindacale.Lavorare perché i nuovi poteri di Roma Capitale vengano in fretta calati sulla realtà comunale ponendo grande attenzione alla qualità della vita dei cittadini e dei quartieri, e per fare ciò l’ex aennino ha in mente di assegnare ad ogni assessore e ad ogni consigliere con delega una sorta di crono-programma di attuazione dei progetti a cui si dovrà attenere con la massima

precisione e puntualità.Tra i più probabili all’esclusione dalla nuova giunta si fanno i nomi di De Lillo - assessore all’ambiente ma con un fratello senatore che potrebbe far pesare agli stessi vertici nazionali del Popolo della Libertà la propria posizione all’interno del quadro politico, e numerico, delicatis-simo per la maggioranza che sostiene il Governo Berlusconi - di Sergio Marchi (Mobilità) tra i più colpiti dallo scandalo “Parentopoli”, ma anche quello di Antoniozzi per il fatto di ricoprire oltre alla carica di asses-sore pure quella di eurodeputa-to: basterà aspettare comunque ancora poche ore per sapere come andrà a finire.Da questa svolta fortissimamen-te voluta, Alemanno ne potrà uscire vittorioso e rafforzato se saprà scegliere gli uomini giu-sti da piazzare sulle poltrone assessorili che portino a con-clusione i punti programmatici di cui sopra, ma in ogni caso ha dimostrato di essere stato capace di mettere con le spal-le al muro l’intera coalizione che lo sostiene, prendendo sulle proprie spalle la responsabilità di un eventuale fallimento o i meriti di un potenziale successo dimostrando quel decisionismo e quella coerenza politica che i votanti e gli attivisti di destra apprezzano sempre in un uomo delle Istituzioni.

Giuliano Leo

La Piazza d’Italia - Interni

Dopo il voto di fiducia ottenu-to dal Governo Berlusconi alle Camere lo scorso dicembre sem-bravano essersi sciolti al sole come la neve in primavera. Invece, complice il caso Ruby ecco che si rifanno sotto con rinnovato vigo-re i componenti la santa alleanza anti-cavavaliere. Di chi stiamo parlando? Ovviamente del redi-vivo Veltroni, di Bersani, Fini, Casini, Di Pietro e della “New

entry” Marcegaglia pronti tutti insieme a portare l’ultimo assalto al fortino Berlusconiano.L’ex sindaco di Roma è ritornato sabato scorso a parlare di politica durante un importante incontro pubblico organizzato al Lingotto di Torino dalla sua corrente - Modem, minoranza interna del PD - al quale era presente pure il segretario dei Democratici Bersani.Veltroni, sentendo aria di pos-sibili inciuci e quindi di un suo possibile rientro in campo alla grande, ha pestato sull’accelerato-re riguardo i classici temi del pro-prio repertorio. In primo luogo ha preconizzato un nero futuro per il Paese grazie ovviamente alla presenza del Governo Berlusconi il quale starebbe proseguendo inutilmente e pericolosamente la propria attività facendo imbar-

barire ulteriormente la situazione italiana. L’ex segretario del Partito Democratico ha aggiunto poi di considerare agghiaccianti le paro-le di Berlusconi contro i Pubblici Ministeri di Milano, il Cavaliere insomma dovrebbe dimettersi per il bene- oltre che del PD- anche del Paese, ferito nella sua imma-gine - internazionale soprattut-to- dalle accuse rivolte al Primo Ministro di organizzare festini a

luci rosse con la partecipazione di minorenni. Il Cavaliere quindi è già stato condannato da Veltroni e “com-pagnucci” senza appello, senza prove e senza possibilità alcu-na di difendersi alla faccia della Giustizia che deve fare il proprio corso solo per gli amici degli amici e del garantismo a fasi luna-ri alterne assicurato dal centro-sinistra innocentista solo per i terroristi rossi pluri - pregiudicati come l’esule Venditti. Insomma sempre secondo l’ex sindaco di Roma, occorrerebbe un governo di unità nazionale che coinvolga tutte le opposizio-ni in Parlamento, al limite pure la Lega a cui verrebbe concesso il federalismo purché si sganci dal Cavaliere: il Presidente del Consiglio legittimamente eletto dagli Italiani deve farsi da parte

senza difendersi dalle accuse infa-manti a cui e sottoposto e nel contempo deve lasciare il Partito che ha ideato, fondato e plasmato pur di permettere a Veltroni e soci di tornare a sedere su quel-le poltrone ministeriali da cui il popolo “bue” - va da sé - li ha malamente cacciati a pedate nel sedere. Veltroni ha terminato poi il suo intervento evocando lontana-

mente pure lo spettro delle elezio-ni - pericolo devastante solo per il Partito Democratico - alle quali si dovrebbe arrivare, il più tardi possibile ovviamente, ma almeno con una alleanza non solo limitata alla sinistra radicale ma la più allargata possibile per evitare che ancora una volta il popolo - “bue” ancora una volta di più - faccia rivincere Berlusconi come nel ’94, quando la gioiosa macchina da guerra di Occhetto trasformò la propria auspicata marcia trionfale verso il Governo in una rotta epocale stile Caporetto tanto per restare in tema bellico. Al momento l’unico risultato tangibile del “rendez-vous” vel-troniano è stato il sotterramento dell’ascia di guerra con Bersani, contro il quale non più di un paio di settimane or sono la minoranza interna del Partito Democratico

si era scagliato con forza non con-dividendo alcunché della politica che la classe dirigente del Partito Democratico stava portando avanti. Ennesima dimostrazione questa , per chi ne avesse ancora bisogno, che l’unico collante tra le fazioni interne del PD e dei Democratici con gli alleati esterni rimane sempre e solo l’anti- ber-lusconismo “tout court”.Ma lo scorso fine settimana è

stato caratterizzato, oltre che dagli strali di Veltroni, pure dall’azione a tenaglia che i “Dioscuri” terzo-polisti Fini e Casini hanno porta-to contro il Cavaliere.Il Presidente della Camera “super partes” ha preso la palla al balzo e ha definito, in un intervista al Corriere Adriatico, opportune le dimissioni di Berlusconi a causa del “Ruby-gate” e come para - feudale oltre che patrimoniale la concezione della politica del Presidente del Consiglio riguardo la discussione interna nell’ambito del PdL. Molto meglio la sua di visione della politica, basata magari sulla splendida vedu-ta che si ha da un balcone di Montecitorio o di Monte Carlo, in ogni caso politica svolta coi soldi degli italiani che pagano lo stipendio intero a un Presidente della Camera che svolge il pro-

La crisi pilotata del Campidoglio servirà a rilanciare l’azione amministrativa

Fini, Veltroni, Marcegaglia, Casini tutti insieme appassionatamente

I conti senza l’oste

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Alemanno spariglia le carte

Ripartire si può e si deve

dalla Prima

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La Piazza d’Italia - Esteri

Disordini, sangue e saccheggi. Sono queste le parole chiave del disagio sociale abbattutosi nel Maghreb. Un disagio multifor-me, innescato da un’insofferenza, per così dire, multifattoriale. In Tunisia la situazione non si è ancora normalizzata, e anche se a ritmo ridotto proseguono i sac-cheggi di negozi e supermercati. Anche nelle carceri sono scoppiate rivolte, per le strade gli scontri con la polizia hanno lasciato sul campo di versi morti. Intanto con la fuga di Ben Ali (da ben 24 anni in sella) - accolto in Arabia Saudita - i poteri di capo di Stato sono passati momentaneamente dal premier Ghannouchi al pre-sidente del Parlamento el-Maba-zaa. In Algeria, è stato un brusco aumento dei prezzi di numerosi prodotti base che ha fatto infuria-re i giovani, scatenando disordini.Tunisia e Algeria hanno due punti in comune: sistemi politici autori-tari e una gioventù sovrabbondan-te e senza futuro.In Tunisia, il gesto tragico di Mohamed Bouazizi - la cui fami-glia è strangolata dai debiti - è stata la classica goccia. Egli si è dato fuoco il 17 dicembre, davan-ti alla Prefettura di Sidi Bouzid, dopo la confisca dei beni che vendeva illegalmente. Gravemente ustionato, è morto il martedì dopo. Ovviamente il caos che ne è seguito è la spia di una situazione sociale insostenibile. La disoccu-pazione, l’assenza di speranze, il disprezzo delle autorità che si sono rifiutate di riceverlo hanno fatto il resto. E il focolaio di rivolta sorto a Sidi Bouzid si è allargato a macchia d’olio. L’ovvia repres-sione poliziesca ha rappresenta-to ulteriore benzina sul fuoco, inasprendo scontri e provocando diversi morti.In Algeria, la causa degli scontri è

più specifica - sebbene riveli altresì un clima generale di malessere diffuso. Questa è riconducibile all’esagerato aumento dei prezzi di beni essenziali (+23% per i prodotti dello zucchero, + 13% per i semi oleosi, + 58% per le

sardine).Sono disordini di alto livello quelli in atto nel Maghreb. Si tratta di “laureati senza lavoro”. In Tunisia, i laureati a spasso sono il 35%. In Algeria, il 20%.Il problema dei giovani, in realtà socio economiche in cui i ventenni rappresentano quasi il 50% della popolazione non può che essere aspro, e assume i connotati di un vero scontro generazionale, visto che in genere i governanti sono

uomini nati tra le due guerre.In Tunisia, i giovani non sono soli nella protesta. La rivolta infatti si è allargata ad altri settori come gli avvocati, in nome delle libertà civili.Economicamente parlando se

analizziamo i numeri degli ulti-mi 10 anni, vediamo che il PIL algerino è triplicato negli ultimi dieci anni. Merito di governi lun-gimiranti? Tuttaltro. Merito del petrolio. E del gas. Tuttavia la for-tuna di possedere tali risorse non ha rappresentato uno stimolo alla crescita e al miglioramento delle proprie strutture economiche, bensì ha rappresentato un limite. Ci si è adagiati sugli allori. Inoltre la guerra del governo condotta tra

il ‘92 e il ‘99 per sradicare l’Islam e costata più di 150mila morti non è culminata in una nuova era politica di apertura e parte-cipazione, ma è proseguito tutto sulla falsariga di prima. Elezioni truccate come sempre, gli islamisti

- fatti fuori dalla politica ufficia-le - fanno proseliti nella società civile. Contemporaneamente, un conventicola politico-militare (il settantaquattrenne Bouteflika ne è a capo da 12 anni) detiene il controllo del paese e fa scempio delle risorse nazionali. In preda a un esecrabile “delirio arraffone”, Algeri ha promulgato una nuova legge che vieta a qualsiasi straniero di possedere più del 49% di una società locale.

Similarmente in Tunisia, la fami-glia Ben Ali la fa da padrona e si può parlare di un “quasi stato-mafia”. La stampa indipendente praticamente non esiste, i partiti di opposizione contano meno di zero. I giovani tunisini resisto-ni con Internet: la mobilitazio-ne degli studenti passa attraverso Facebook, e significativi attacchi ai siti della pubblica amministra-zione.Le ragioni profonde della crisi tunisina, sono legate a un eccesso di manodopera qualificata senza sbocco. Il settore turistico su cui Tunisi ha incominciato a puntare negli anni ‘70 con egregi risultati è ormai saturo e non può più far fronte all’offerta di lavoro interna. Perciò ecco che giovani istruiti, senza lavoro, in regimi autoritari costituiscono elementi micidiali per una miscela davvero espolsiva. Tuttavia, pur se apperentemente simili, le due crisi culminate in rivolta presentano degli elementi distintivi da non sottovalutare.La natura autoritaria dei governi che accomuna le due crisi infatti non è l’unico fattore.L’Algeria, come già accennato, è reduce da una guerra civile san-guinosissima durata tutto l’arco degli anni ‘90 (scaturita per il golpe militare contro la presa del potere da parte degli islamici vin-citori delle elezioni) e il processo di pacificazione è ancora di là da venire.Ora, gli islamici algerini hanno preso la denominazione “Al Qaida nel Maghreb” - il nome rende l’idea? - e ogni settimana il com-puto delle vittime che seguono ai loro attentati lascia di stucco. Nonostante il silenzio dei media, che hanno inspiegabilmente cala-to il sipario su una vicenda ancora apertissima.Pertanto, l’instabilità algerina

frutto di una tensione mai sopita anzi ancora tragicamente viva è evidente.Al contrario, la Tunisia è sempre stata ritenuta uno dei Paesi più stabili dell’area, con poche rivolte sociali e un livello di benessere più elevato: tutto vero. Ma tutto ha un prezzo a queste latitudini: la mancanza di libertà. Libertà di stampa e libertà d’espressione.Tunisi è al penultimo posto mon-diale nella classifica della libertà su internet, seconda solo alla Cina e in compagnia di Cuba.Il fermento algerino che pure ger-moglia su problemi del genere, viene però da più lontano, è spia di mali più profondi: i 150mila morti e passa della guerra civile - con la serie di tragedie concatenate - sono sufficienti a rendere l’idea. E si è sempre sull’orlo del precipi-zio per via dell’Islam radicale che sferza a suon di blitz e attentati la società senza tregua.Stando così le cose, appare eviden-te che in Algeria vi è una rivolta di tipo socio-economico, mentre in Tunisia è soprattutto politica. Ad Algeri c’è la rabbia di cittadi-ni sbandati, disorientati e senza punti di riferimento da anni che, per giunta, ora hanno fame. Con l’integralismo islamico a soffiare sul fuoco.In Tunisia, la situazione è più semplice. Ma solo apparentemen-te. Si chiede un cambio di regime, si fa una protesta di tipo pretta-mente politico e questo atterrisce non poco l’establishment, che non si fa pregare nella repressione. Difatti quando il regime non è democratico, il cambio dello stes-so non può che avvenire per via violenta. Con forti implicazioni negative per il turismo, quindi per l’economia, quindi per tutti tunisini - vittime e aguzzini.

Il 2010 ha confermato l’impor-tanza - economica e conseguen-temente politica - di Paesi che un tempo erano considerati ai margini dello sviluppo, i cosiddet-ti BRIC (Brasile, Russia, India E Cina) - ma anche Turchia e Corea del Sud.Ciò segna ufficialmente il definiti-vo tramonto del sistema internazio-nale bipolare (Europa Occidentale – Nord America), inaugurando una nuova era, caratterizzata dal multipolarismo economico. L’attuale sistema affranca di con-seguenza vaste aree del mondo dalla subalternità economica, che per tale ragione assumono un peso politico nettamente più rilevante, decretando de facto l’obsolescenza del G8 e l’impellente necessità di rifondare le strutture internazio-nali. Bisogna prendere atto che il mondo è cambiato e pertanto va riaggiornato tutto.Un esempio lampante lo offre il deficit degli Stati Uniti verso la Cina (un tempo impensabile) e l’ affermazione di Paesi come il Brasile di Lula, ora in mano a Dilma Rousseff.Soffermiamoci sul Brasile, che lo spiacevole “affaire Battisti” ha portato alla ribalta delle cronache italiane, creando un caso diploma-tico di non facile soluzione.Tanto per renderci conto con chi avremo a che fare, anche nell’ avvenire.È evidente che con Lula il Brasile abbia definitivamente spiccato il volo, trovando stabilità e riuscen-do a dar vita un circolo virtuoso. Senza produrre la frequente diva-ricazione ricchi/poveri, tipica dei paesi in cui lo sviluppo avviene troppo velocemente e in modo disordinato (oltre venti milio-ni di brasiliani sono usciti dalla condizione di povertà grazie ai programmi di ridistribuzione del

reddito).Ora, Brasilia, veleggia al nono posto nel ranking delle economie mondiali, esprime un invidiabile dinamismo imprenditoriale che se confermato consentirà al Brasile di essere tra le prime tre economie entro il 2016.Peraltro, mesi fa, Roma ha dato vita ad un legame non da poco col paese sudamericano, intensifican-do di fatto le relazioni.Il 12 aprile 2010, in occasione del Summit mondiale su controllo e proliferazione delle armi nuclea-ri convocato dal Presidente degli Stati Uniti, il Presidente della Repubblica Federativa del Brasile Lula e il Presidente del Consiglio Berlusconi hanno firmato, presso la sede dell’Ambasciata del Brasile a Washington, un “Accordo di Partenariato Strategico” fra Brasile e Italia.Riassumiamone i punti salienti.Si parte dal dialogo politico.Nell’accordo si prevede l’inten-sificazione del dialogo per la trattazione di temi globali quali la lotta alla fame e alla povertà, cambiamento climatico, ambiente e sviluppo sostenibile, disarmo e proliferazione nucleare) e si impe-gnano attivamente ad una riforma delle Nazioni Unite, incluso il Consiglio di Sicurezza.Sul piano più strettamente bilate-rale Italia e Brasile riaffermano la validità dei due strumenti esisten-ti: il “Consiglio Italo-Brasiliano per la Cooperazione economica, industriale e finanziaria” (CCEIF), e il “Meccanismo di consultazioni politiche” (MCP) che si integrano a vicenda e continueranno a riu-nirsi con regolarità.Un aspetto da rimarcare è quel-lo concernente l’intensificazione della cooperazione in materia tecnico-militare e in campo spa-ziale (che di recente ha portato

alla creazione dell’AMX Ghibli, cacciabombardiere leggero italo-brasiliano).Tuttavia, l’accordo militare, a seguito dello sgarbo di Lula sull’estradizione del terrorista plu-riomicida Battisti, rischia di trova-re strenui oppositori a Roma e la ratifica prevista per gennaio non è

per nulla scontata.L’accordo di aprile prevede capi-toli dedicati a turismo ed energia (assai rilevante quest’ultimo) oltre all’ immancabile cooperazione economica, commerciale, indu-striale e finanziariaSenza dubbio cooperare in modo serio con un gigante in costante

crescita (5% annuo), dalla mone-ta stabile e l’inflazione in calo è un’occasione da sfruttare appieno. Senza dubbio un’ottima chance per le nostre imprese.Ma chi crede che il Brasile possa essere “terra di conquista” si sba-glia di grosso. Entrare, date le condizioni ideali per investitori

(costo del lavoro e burocrazia sotto controllo), non comporta automaticamente nessuno “shop-ping” a buon mercato.Piuttosto, in un recente studio ‘Globality’, Boston consulting ha individuato 13 società in grado di dare del filo da torcere anche a noti giganti occidentali. A titolo

d’esempio, Vale do Rio Doce, colosso delle estrazioni minera-rie, è arrivata a capitalizzare 190 miliardi di dollari. Vale a dire Eni ed Enel messe assieme.A proposito di shopping. I bilanci delle imprese sono sani, i soldi in cassa tanti, domanda interna in continua crescita.

Sono proprio i brasiliani che hanno cominciato a farlo, pene-trando nel mercato Usa.Recentissimamente la brasiliana Marfrig ha deciso di acquisire Keystone Foods per 1,25 miliardi dollari, divenendo così un forni-tore rilevante di McDonald’s e Subway.

Una volta rotto il ghiaccio (nel 2008, con l’acquisizione di Anheuser-Busch da parte di InBev, settore birra), prepariamoci a una lunga serie di acquisizioni, che già comprende: Pilgrim’s Pride, acquistato dal colosso alimentare Jbs per 800 milioni di dollari; il settore “sostanze chimiche” di Sunoco acquistato per 350 milio-ni dal produttore brasiliano di materie plastiche Braskem; un ramo di Devon Energy, acquista-to dal gigante petrolifero Petrobas. Il miglioramento delle condizioni generali del Paese, il fiorire di una classe media di consumatori più solida, la sostanziale indipenden-za energetica grazie alla grande quantità di materie prime a dispo-sizione e a rimarchevoli relazioni con Cina e Iran, indicando che il momento per il salto di qualità è finalmente giunto. Chissà che queste amicizie “scomode” che hanno attirato critiche globali, non vengano sepolte dalla recente scoperta di ricchissimi giacimenti petroliferi nell’Oceano Atlantico.Per tutte queste ragioni, l’accor-do di cooperazione economico – finanziaria italo-brasiliana ha un suo preciso perché. Se è vero come è vero che è l’economia a sancire le sorti del mondo e a influenzare per questo l’agenda politica dei governi e si è lungimiranti, non si può trascurare ciò che il Brasile rappresenta oggi e rappresenterà in futuro – come mercato (200 milioni di abitanti) e come part-ner a tutto tondo L’Italia è inoltre ben rappresentata laggiù: oltre alla Fiat (Marchionne ha annunciato l’obiettivo di produrre 1 milione di veicoli all’anno), sono presen-ti Magneti Marelli, Telecom e Pirelli, tutti altamente interessati all’intensificarsi delle relazioni tra i due paesi.

Francesco di Rosa

Tunisia e Algeria nel caos: che succede?

Il nuovo Brasile Ritratto del Paese che ci nega Battisti e delle implicazioni economiche

Cause del fuoco nel Maghreb

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La Piazza d’Italia - Economia

Se c’è una cosa che ha nobili-tato l’animus dei padri fonda-tori della Comunità Europea (ex CEE), è l’istituzione della medesima basata sul principio dell’integrazione economica, sociale e monetaria.Tutte le strategie, ora verto-no su questo binario, e tutte le modalità di attuazione nel corso degli anni hanno incon-trato difficoltà e aritmie nei tempi di realizzazione delle politiche nazionali. L’Unione Europea, mediante la sua isti-tuzione cardine, il Consiglio Europeo, non ha più intenzio-ne di mantenere quei tempi, ed ora si proietta nella ricer-ca concreta e fattiva di una accelerazione importante per la realizzazione di un sistema economico europeo più effi-ciente e funzionale ai bisogni effettivi delle singole realtà nazionali.Questo lo fa con la strategia di “Europa 2020” che indica la strada da seguire a tutti gli Stati membri.Per quanto concerne l’Italia, il primo passo è rimuovere gli

ostacoli alla crescita della sua economia, ovviamente come avverrà per gli altri partners europei. In particolare nel mercato del lavoro italiano, vanno ricercate le principali difficoltà. Per il lavoro, così, l’obiettivo del Governo ita-liano è raggiungere un tasso di occupazione al 2020 del 67-69%, attraverso strumenti già in corso di attuazione, come il piano triennale per il lavoro, che prevede quali punti chiave la lotta al lavoro irregolare e l’aumento della sicurezza sul lavoro, il decen-tramento della regolazione e l’attuazione del principio di sussidiarietà, lo sviluppo delle competenze per l’occupabilità ed il reimpiego.L’incremento del tasso di occupazione delle donne riveste un ruolo chiave, che avverrà tramite la conciliazio-ne dei tempi di lavoro con quelli dedicati alla cura della famiglia con pari opportunità nell’accesso al lavoro. Per i giovani, la difficile transizione dal mondo dell’istruzione e

della formazione a quello del lavoro resta una delle princi-pali criticità su cui intervenire per contrastare i crescenti tassi di disoccupazione, la disper-sione scolastica e i bassi tassi di occupazione giovanili.La riforma del modello con-trattuale del lavoro, sarà essenziale per migliorare la competitività delle imprese e permettere un migliore alline-amento della crescita dei salari alla crescita della produttività. Le misure in atto porteranno alla riduzione degli abbando-ni scolastici ad un livello del 15-16% e ad un incremento della diffusione dell’istruzione terziaria o equivalente fino al 26-27% della popolazione.Di essenziale importanza per lo sviluppo futuro del nostro Paese il ritorno all’energia nucleare, che avrà effetti enor-memente positivi in termini di competitività delle impre-se italiane. Alcuni obiettivi su energia e clima sono stati definiti a livello europeo: ci si riferisce a quello sulle ener-gie rinnovabili, pari al 17%

dei consumi finali interni, a quello sulla riduzione delle emissioni, del 20% a livello europeo. Sull’efficienza ener-getica, invece, l’Italia ha adot-tato un obiettivo del 13,4% al 2020, misurati come risparmi di energia primaria.L’Italia si è impegnata in Europa, ad eliminare gli squilibri macroeconomici, a migliorare la competitività del Paese e a rafforzare il merca-to dei prodotti e del lavoro, mantenendo e migliorando la sostenibilità delle finanze pubbliche. In questo senso le ambizioni delle azioni future dovranno essere contempera-te da un necessario realismo, condizione indispensabile perché esse siano credibili e condivise.Le riforme dovranno esse-re finalizzate ad una cresci-ta intelligente, sostenibile ed esclusiva, nello spirito della Strategia Europa 2020, cer-cando di superare gli ostacoli che ancora frenano la cresci-ta del Paese nel medio-lungo periodo.

Se la priorità dei padri fonda-tori all’epoca della istituzione della CEE, era rappresentata dall’introduzione di uno mer-cato comune, senza barriere, ora si pone un’altra priori-tà all’attenzione dei Governi nazionali, completare e perfe-zionare la strategia dei padri fondatori rimuovendo i nuovi ostacoli posti dalla crisi econo-mica, e soprattutto fornire da parte di tutti gli Stati membri quel contributo necessario alla crescita dell’economia euro-pea. Solo che questa volta gli ostacoli alla crescita sono di natura strutturale, e presup-pongono un lasso di tempo maggiore per essere rimossi, la vera sfida, è dunque, la seria capacità degli Stati membri di attuare riforme struttura-le nelle singole economie al fine di farle ripartire e al fine più generale e comunitario di spingere l’economia euro-pea verso un cambio di passo notevole e significativo.Dare una risposta all’input dei padri fondatori è doveroso, fornire soluzioni importanti

a problemi economici sem-pre più complessi è una sfida tanto moderna quanto affa-scinante, per questo gli Stati debbono mettercela tutta al fine di poter trainare la loco-motiva europea verso un livel-lo di competitività dignitoso e rispettabile. Solo le singole economie nazionali possono determinare questo risultato, e questo è proprio lo spirito della strategia Europa 2020, che mediante la definizione di un orizzonte temporale di medio-lungo periodo non fa altro che dimostrare quanto siano seri ed indispensabili gli obiettivi prefissati.L’Italia si sta adoperando affinché il suo impegno possa essere apprezzato e rispettato in sede europea, si auspica che tutti gli altri Stati mem-bri facciano la stessa cosa, se così sarà, i padri fondatori potranno una volta tanto gioi-re vedendo completarsi effica-cemente la loro opera d’arte.

UE: strategia “Europa 2020” L’Unione Europea vuole cambiare passo sia a livello economico che a livello sociale

Nell’autunno del 2010 è stata presentata la bozza relativa al Programma Nazionale di Riforma, prevista per tutti gli Stati membri dell’Unione Europea. La versione finale del Programma verrà presen-tata nell’aprile 2011. Questo documento è stato approvato dal Consiglio dei Ministri del 5 novembre 2010.È previsto, inoltre, che entro aprile 2011 ciascun Paese dell’UE presenti all’Ecofin due documenti, tra di loro coordinati e coerenti. Il primo documento è previsto come “Stability Program”; il secon-do documento è previsto come “National Reform Program”.Nello sviluppo di questo pro-cesso il nostro Governo, come gli altri governi europei, deve, dunque, elaborare con il mas-simo della coerenza necessa-ria e possibile i due nuovi documenti; deve mantenere tuttavia il suo impegno a pre-sentare all’UE il “Programma Nazionale di Riforma”, come previsto dalla vecchie proce-dura.Al di là della mera elencazione procedurale, ciò che occorre rilevare è che la crisi ha deter-minato e sta determinando, un nuovo disegno delle poli-tiche economiche europee. La discussione su questa materia si è sviluppata in tutti i prin-cipali fori internazionali: G20, G7, IMF, EU.Il consenso a cui si è giunti è che l’obiettivo delle politi-che economiche, una crescita duratura ed equa, non è rag-giungibile, se non in un con-testo di stabilità finanziaria. La stabilità finanziaria, contra-riamente alla visione pre-crisi, è una entità complessa, di cui certo fanno parte tanto gli equilibri di finanza pubblica quanto in modo ugualmente cogente, la finanza privata (il comportamento delle famiglie, la struttura bancaria, le proie-zioni pensionistiche, ecc.).Queste considerazioni hanno portato alla formalizzazione di tre processi di riforma e sor-

veglianza multilaterale, sia a livello G20 che EU. La rifor-ma globale del settore finan-ziario e bancario, la sorve-glianza fiscale, che in UE si concretizza con la revisione del Patto di stabilità e di cresci-ta, attraverso il rafforzamento dei criteri di contenimento del deficit e di riduzione del debi-to pubblico, anche con l’in-troduzione di pesanti sanzioni in caso di mancato rispetto degli impegni; sorveglianza macroeconomica, che in EU si concretizza con l’introduzione di un processo di monitorag-gio degli squilibri strutturali dell’economia. Su questi punti sono stati impegnati i Ministri delle Finanze Europee con i lavori della taskforce costituita ad hoc.Per quanto riguarda la stabilità finanziaria le implicazioni per l’Italia dei nuovi orientamen-ti internazionali e dei nuovi processi di sorveglianza sono di grande rilevanza. Le con-clusioni del G20 ed EU sono tutte allineate sul principio della prudenza e del rigore fiscale. Cioè che è chiaro è che non ci sono più spazi per incertezze: la politica di rigore fiscale non è temporanea, non è la conseguenza imposta da una congiuntura economica negativa, ma invece è politica necessaria e senza alternative per gli anni a venire. Un conto è una normale congiuntura. Un conto è una crisi storica.Anche in assenza di una regola europea, i mercati non preten-derebbero nulla di sostanzial-mente diverso. Devono esse-re quindi logica ed impegno comune, tanto della politica quanto di tutte le parti sociali, non avere e/o dare illusioni, attraverso messaggi contrad-dittori, supponendo una pre-sunta alternativa tra rigore e crescita. Non esiste per l’Italia (e per nessun altro paese in condizioni di finanza pubbli-ca simili alle nostre, per la verità oggi sono la maggior parte) una scelta tra crescita e contenimento del deficit.

L’unico messaggio responsa-bile e nell’interesse del Paese è che non esistono i presupposti per una crescita duratura ed equa senza stabilità dei conti pubblici. La crescita non si fa più con i deficit pubblici.Nella strategia di sviluppo del nostro Paese ci sono un vin-colo e quattro obiettivi fonda-mentali. Il vincolo è quello del debito pubblico, gli obiettivi da raggiungere si pongono su quattro questioni essenziali: meridionale; fiscale; nucleare; legale.La crisi economica ha avuto, quindi, tra i suoi più impor-tanti effetti quello di spingerci a ripensare i meccanismi con i quali l’economia è governata in Europa. La crisi greca e le decisioni che hanno portato ad una sua soluzione condivisa ci hanno insegnato che i pilastri sui quali poggiava la stabilità europea non erano sufficienti; e d’altro canto è maturata la consapevolezza che non basta avere una struttura rafforzata sulla stabilità, bisogna avere una struttura più forte per il coordinamento di tutte le politiche economiche di rifor-ma. Proprio recentemente, il portavoce del Commissario UE agli Affari economici e monetari Rehn, ha fornito pareri sui conti pubblici degli Stati membri, dichiarando che all’Italia “non chiediamo nulla di più” in quanto “ha già intrapreso un solido percorso di consolidamento dei conti pubblici”. Questa dichiarazio-ne è stata fatta non a caso a margine della conferenza stampa di presentazione del rapporto annuale sulla cresci-ta per il coordinamento delle prossime leggi finanziarie che dovranno essere adottate nei Paesi UE nel 2011. La non casualità riflette appunto la strategia di coordinamento delle politiche che si sta per-seguendo a livello europeo al fine di poter raggiungere una maggiore coesione economi-ca e sociale. A tal proposito sarebbe molto utile ribadire la

necessità di istituire a livello europeo un unico Ministro delle Finanze e dell’Economia con poteri di coordinamento e di indirizzo delle politiche economiche nazionali.Accanto alla figura istituziona-le del Ministro bisogna, però, trovare un metodo perché le politiche di riforma siano convergenti e rispondano real-mente ai bisogni dei Paesi, affrontando con efficacia gli ostacoli allo sviluppo.La scelta compiuta dal Consiglio Europeo di adotta-re la nuova strategia “Europa 2020” deriva da questa nuova consapevolezza. Stabilità e riforme sono oggi le due direttrici chiave della politica economica in “Europa 2020”, i cui contorni sono delineati nei due documenti strategici, il Programma di Stabilità e il Programma Nazionale di Riforma. Essi rappresentano

la mappa che i Paesi euro-pei dovranno seguire per rag-giungere obiettivi di crescita e occupazione più ambiziosi e sostenibili.Il documento che il Governo italiano ha redatto in questa fase transitoria della strategia serve a dare l’avvio a questa nuova fase. In questa prima fase ci sono iniziative già in atto, che servono all’Italia ad avviare il processo per rag-giungere gli obiettivi al 2020 su occupazione, conoscenza, energia e clima, povertà.I principali ostacoli alla cre-scita del nostro Paese sono noti: l’elevato livello di debi-to pubblico, e la conseguente necessità di controllare stretta-mente le finanze pubbliche; la competitività, anche guardata dal punto di vista della rela-zione tra salari e produttività; il grado di concorrenza, anco-ra insoddisfacente, in alcuni

settori; il sistema di istruzione e formazione, che deve esse-re più moderno ed efficien-te a tutti i livelli; un livello di ricerca ed innovazione che deve essere migliorato e por-tato al servizio della competi-tività delle imprese; un livello di occupazione che presenta ancora forti differenze a livel-lo regionale, e specialmente se consideriamo l’occupazione femminile e quella giovanile.Se ogni Stato membro, con profondo senso di respon-sabilità riuscisse a mante-nere gli impegni assunti nel Programma Nazionale di Riforma, la scelta compiu-ta dal Consiglio Europeo di adottare la nuova strategia “Europa 2020” avrebbe una logica concretizzazione, altri-menti nascerebbe il solito pro-blema del “cane che si morde la coda”.

Avanzino Capponi

Taskforce per una riforma dell’economia UE

Il reddito disponibile delle famiglie italiane nel terzo tri-mestre del 2010 è rimasto invariato rispetto ai tre mesi precedenti, mentre è calata la propensione al risparmio. Lo comunica l’Istat segnalando inoltre che il potere d’acquisto, vale a dire il reddito disponibi-le in termini reali, è diminuito dello 0,5% sia rispetto al tri-mestre precedente che al terzo trimestre 2009. Nel complesso da gennaio a settembre 2010, le famiglie italiane hanno subito una riduzione del loro potere d’acquisto dell’1,2% rispetto al medesimo perio-do dell’anno precedente; nei primi nove mesi del 2009 la perdita di potere d’acquisto era stata molto più incisiva pari al 3,2%.

In calo la propensione al risparmio, infatti nel trimestre del 2010 la propensione al risparmio delle famiglie è stata pari al 12,1%, in diminuzio-ne di 0,7 punti percentuali rispetto al trimestre preceden-te e di 0,9 punti percentuali rispetto al terzo trimestre del 2009. La flessione del tasso di risparmio, è il risultato, spiega l’Istat, “di una stasi del reddito disponibile, cui si accompagna una dinamica positiva della spesa per consumi”. Infatti, il reddito disponibile delle fami-glie nel terzo trimestre 2010 non si è modificato rispetto al trimestre precedente, men-tre la spesa delle famiglie per consumi finali ha segnato un aumento dello 0,8%.Sempre secondo l’Istat, nel

terzo trimestre 2010, il tasso d’investimento delle famiglie si è attestato all’8,8%, supe-riore di appena 0,1 punti per-centuali rispetto al trimestre precedente e di 0,3 punti per-centuali rispetto al terzo tri-mestre dell’anno precedente. Gli investimenti delle famiglie sono infatti aumentati solo dello 0,6% rispetto al trimestre precedente.Si tratta di un quadro macro-economico scontato, vista la dinamica del Pil e la situazio-ne occupazione dei lavoratori italiani. Non c’è da stupirsi se i redditi sono al palo, quando il tasso di disoccupazione è in crescente aumento e quando il numero di lavoratori in cassa

Reddito delle famiglie

È prevista una taskforce ad hoc per garantire una crescita duratura ed equa

Cala la propensione al risparmio delle famiglienel terzo trimestre del 2010

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La Piazza d’Italia - Economia

Il Presidente della Banca Centrale Europea Trichet, da Basilea, commenta l’andamen-to dell’economia mondiale affermando che rispetto alle precedenti previsioni essa ha mostrato una capacità di reazio-ne molto positiva. Sicuramente si tratta di una affermazione che incoraggia i mercati, che tende a rafforzare ipotesi di rilan-cio delle economie nazionali. Trichet, inoltre, ha sottolinea-to i notevoli risultati raggiunti dalle economie emergenti, ma ha anche ammonito contro i rischi di un’inflazione in cresci-ta, “una caratteristica generale” di questi paesi. “Tutti noi, ha concluso, consideriamo molto importante controllare salda-mente le aspettative di crescita dei prezzi”.Lo scenario internazionale che ha contraddistinto il 2010 ormai è a tutti noto, la crisi economica ha colpito tutti gli Stati sia in termini di reddito nazionale che di competitività delle imprese. Quelli che più degli altri hanno sofferto la crisi sono state le economie industrializzate da quella sta-tunitense a quelle europee ivi compresa l’Italia. La crisi ha riguardato la redditività delle maggiori banche internaziona-li, i mercati europei diretta-

mente intaccati dalla dinamica dei conti pubblici, imprese e famiglie hanno evidenziato le maggiori difficoltà soprattutto in Italia legate alle tensioni del sistema produttivo, al grado di indebitamento delle imprese, al tasso di disoccupazione cre-scente.La crescita dell’economia mon-diale, dunque, prosegue ma ral-lenta, facendo registrare anda-menti eterogenei. L’attività economica, come sostiene giu-stamente Trichet, è sostenuta nei paesi emergenti e in via di sviluppo, soprattutto in Cina, India e Brasile, grazie alla robu-sta espansione della doman-da privata. Questa è l’esatta dinamica che dovrebbe verifi-carsi nell’economica europea, ancora stretta nella morsa della crisi e nelle relative difficoltà di ripresa, anche se questa c’è ma molto più contenuta, con un indebolimento nella seconda metà del 2010. C’è da eviden-ziare, comunque, che la ripresa congiunturale non si è tradotta per nulla in una significativa riduzione del tasso di disoc-cupazione, prossimo al 10% sia nell’area dell’euro sia negli Stati Uniti.In base alle previsioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI), nel 2011, il prodotto

dei paesi emergenti e in via di sviluppo crescerebbe del 6,4%, un ritmo di poco inferiore a quello del 2010; la situazione migliorerebbe nell’Europa cen-trale e orientale. Nelle econo-mie avanzate il rallentamento in corso, legato alla debolezza dei consumi privati, prosegui-rebbe nei primi mesi del 2011

soprattutto a causa della gra-duale correzione delle politi-che di bilancio e dell’esaurirsi della spinta proveniente dal ciclo delle scorte; complessi-vamente, la dinamica del Pil mondiale sarebbe del 2,2% nel 2011 (dal 2,7% del 2010). L’inflazione si manterrebbe

stabile, poco sopra l’1% nelle economie avanzate e intorno al 5% in quelle emergenti e in via di sviluppo. Secondo le previsioni delle organizzazioni internazionali e dei principali analisti privati, in Italia il Pil crescerebbe nel 2011 attorno all’1%, accelerando lievemente all’1,2% nel 2012.

Nelle economie avanzate i rischi per la ripresa sono legati in primo luogo all’evoluzione della domanda interna e soprat-tutto all’incertezza dei consumi e degli investimenti. I consumi potrebbero risentire in modo significativo dell’esigenza di ridurre ulteriormente l’indebi-

tamento del settore privato, in più paesi tuttora elevato; in particolare, negli Stati Uniti il riequilibrio in atto potrebbe essere accentuato dalle deboli prospettive macroeconomiche e da ulteriori cadute dei prezzi degli immobili. Sui consumi grava in particolare l’incertezza sulle prospettive occupaziona-li, che potrebbe ripercuotersi sulla fiducia dei consumatori e aumentare il risparmio pre-cauzionale.Permangono rischi nei mer-cati finanziari, gli investitori sembrano attendersi bassi tassi di interesse anche su orizzonti più lunghi. Queste aspettative sono circondate da incertezze crescenti, segnalate dall’innal-zamento della volatilità attesa dei tassi a lungo termine. In prospettiva, vi è il rischio di un significativo rialzo dei tassi a più lunga scadenza, soprattutto in relazione al forte deterio-ramento dei conti pubblici in più paesi. Un peggioramento dei saldi di finanza pubblica può influenzare l’evoluzione futura dei rendimento a medio e a lungo termine soprattutto attraverso tre canali. In primo luogo, in presenza di un’offer-ta non perfettamente elastica risparmio, il finanziamento dei deficit pubblici entra in com-

petizione con la domanda di fondi da parte del settore pri-vato, spingendo al rialzo i tassi di interesse reali. Inoltre, la cre-scita del debito pubblico può generare timori di insolvenza degli stessi emittenti sovrani, dilatando i premi per il rischio di credito corrisposti sui tito-li pubblici. Infine, l’aumento del disavanzo può alimenta-re aspettative di inflazione o di deprezzamento del cambio, con ulteriori ripercussioni sui tassi di interesse.La tendenza alla ripresa dell’economia mondiale è un dato di fatto questa può spin-gere i mercati verso la dire-zione giusta, la dinamica della ripresa però non è molto soste-nuta anzi talvolta si inceppa in rallentamenti indesiderati. Le economie avanzate dovreb-bero far ripartire la domanda interna, i consumi e quindi dare una spallata al proprio prodotto interno lordo, al fine di poter contribuire a rilanciare in modo continuo e duraturo la ripresa globale in atto. Tutto dipende dalle politiche econo-miche che adottano si singoli Governi, maggiore sarà la loro incisività maggiore sarà la loro efficacia. Bisogna intervenire in fretta con senso di responsabili-tà e senso dello Stato.

Rispetto alle previsioni, l’economia mondiale ha mostrato una capacità di reazione migliore

L’economia mondiale riprende la sua marcia

Benvenuto al primo contributo della Banca d’Italia in tema di stabilità finanziaria, che analizza appunto i fattori di rischio per il sistema finanziario, valutando-ne i possibili effetti. Tale con-tributo costituirà sicuramente un valido strumento per tutte le autorità pubbliche preposte all’implementazione di politiche economiche rivolte alla crescita ed allo sviluppo del Paese sia in termini finanziari che economi-ci. Questo Rapporto, inoltre, verrà anche utilizzato nei lavo-ri del Comitato europeo per il rischio sistemico (European Systemic Risk Board).La crisi ha colpito, come ormai noto, solo indirettamente le banche italiane, a differenza di altre, che in Europa hanno

subito contraccolpi drammatici e soprattutto negli Stati Uniti dove il sistema finanziario ha generato la crisi. Le banche italiane sono sono riparate da un modello di intermediazione fondamentalmente sano, basato sull’attività di intermediazione creditizia in favore di famiglie e imprese, nonché da un quadro regolamentare e da un modello di vigilanza prudenti. Per tutti gli enti creditizi, i rischi deriva-no soprattutto dalle debolezze delle rispettive economie nazio-nali, prime fra tutte la bassa crescita; emerge, ancora una volta, così il legame inscindibile tra stabilità finanziaria e cresci-ta economica, un legame che attualmente sta subendo forti oscillazioni a causa proprio della

preoccupante crisi economica che sta investendo un po’ tutti i Paesi europei ed extraeuropei. La sfida dei Governi nazionali è appunto quella di salvaguar-dare questo legame da even-tuali fluttuazioni. Dunque, al fine di preservare la stabilità del sistema finanziario, la priorità oggi è adottare politiche che aumentino il potenziale di cre-scita dell’economia italiana e internazionale.Il rafforzamento del livello di patrimonializzazione delle banche attraverso aumenti di capitale, di utili, emissioni di titoli sottoscritti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, è stata una operazione doverosa che le banche italiane hanno posto in essere per fronteggiare

i rischi della crisi economica. Infatti, in una fase di ripresa ciclica caratterizzata da rischi rilevanti, sia finanziari che cre-ditizi, è essenziale consolidare la crescita dei mezzi propri. In una prospettiva di più lungo periodo, i maggiori intermediari italiani, così come le principali banche internazionali, dovran-no compiere uno sforzo rilevan-te per adeguarsi ai più stringenti requisiti di capitale varati dal Comitato di Basilea. Sui merca-ti italiani, gli operatori in questi ultimi mesi, hanno mostrato una maggiore e crescente atten-zione ai rischi di credito e di liquidità, infatti, è aumentata la quota degli scambi garantiti a scapito di quella delle transazio-ni non garantite. È aumentata

la percentuale delle transazio-ni over-the-counter (OTC). È diminuita l’incidenza degli scambi con operatori esteri. Queste trasformazioni hanno consentito agli intermediari di contenere i rischi, in una fase di instabilità del sistema finanzia-rio globale. C’è da sottolineare anche il ruolo delle infrastrut-ture di pagamento che hanno garantito affidabilità e conti-nuità all’ordinato svolgimento delle negoziazioni sui mercati italiani.A fronte di una prospettiva di rallentamento dell’economia internazionale che rileva anda-menti eterogenei, con i Paese emergenti che crescono molto come India, Brasile e Cina, l’attività economica mondiale subisce la prospettiva suindicata a causa dei rallentamenti della maggior parte dei Paesi e quin-di la stabilità finanziaria deve diventare un obiettivo prio-ritario per questi altrimenti i rischi di una disconnessione con crescita e sviluppo potrebbero significativamente aumentare.Le condizioni macroeconomiche dei Paesi dell’Europa centrale e orientale sono in miglioramento grazie proprio alla ripresa della domanda estera e alla stabiliz-zazione dei mercati finanziari locali. Nei principali mercati dei Paesi europei ed extraeuropei la ripresa economica è legata all’andamento della domanda interna che fino ad oggi ha subi-to una notevole contrazione. L’eccezionale deterioramento delle finanze pubbliche solle-va dubbi sulla sostenibilità dei conti pubblici in più economie avanzate, rischiando di condi-zionare la ripresa. Secondo il FMI, negli Stati Uniti il disa-vanzo pubblico inizierebbe a scendere già nell’anno in corso all’11,1% del Pil, per poi ridur-si fino al 6,7% nel 2012; il rapporto debito/Pil, salito di 20 punti percentuali dal 2008 al 2010, crescerebbe di altri 10 punti percentuali nel prossimo biennio, al 102,9%. Secondo

la Commissione europea, per il complesso dei paesi dell’area dell’euro l’indebitamento netto inizierebbe a ridursi nel 2012 (al 4,6%); il debito continuerebbe a salire, raggiungendo l’88,0% del Pil nel 2012. Per l’Italia, la Commissione prevede per il triennio 2010-12 un disavan-zo in graduale miglioramento (al 3,5% del Pil) e un rappor-to debito/Pil in lieve aumen-to (al 119,9%); nel confronto internazionale, l’andamento dei conti pubblici italiani negli anni più recenti ha beneficiato del fatto che nel nostro paese non è stato necessario impegna-re fondi pubblici per effettuare salvataggi bancari.In tal senso, l’Italia dovrebbe avere meno difficoltà degli altri Paese a coniugare la stabilità finanziaria, come suesposto non intaccate direttamente dalla crisi, con la crescita eco-nomica, il vantaggio starebbe per il Governo nell’intervenire solo dal lato del Pil, in termini di domanda interna, redditi e consumi delle famiglie. Inoltre, va monitorato un altro fattore di rischio, che interessa al pari imprese e famiglie, la possibilità, cioè, che il deterioramento della qualità del credito e le difficol-tà di reperire finanziamenti sui mercati possano condizionare l’offerta di prestiti bancari, limi-tando le risorse disponibili per il rilancio dell’accumulazione, dei consumi e degli investimenti.La strada italiana è ben traccia-ta nella direzione di una sta-bilizzazione finanziaria, quello che ancora manca è la dire-zione di politiche economiche volte a rilanciare l’economia del paese, anche se l’obiettivo della sostenibilità dei conti pubblici sembra che sarà parzialmente raggiunto almeno per quanto riguarda il rapporto deficit/Pil. È chiaro che c’è ancora molta strada da fare, e l’impegno delle istituzioni deve essere dal 2011 quello di ricercare il pieno equi-librio tra stabilità finanziaria e crescita economica.

Quel legame indissolubile tra finanza e mercato

La Banca d’Italia ha rilevato il legame inscindibile tra la medesima e la crescita economica,passando per politiche volte all’aumento del potenziale di crescita dell’economia italiana

integrazione si è notevolmen-te incrementato. La dinami-ca dei redditi delle famiglie è strettamente collegata a quel-la dei salari e della occupa-zione su base nazionale. Allo stesso modo la dinamica del risparmio privato è fortemente influenzata e condizionata da quella dei redditi. La quota di risparmio accantonata varia da famiglia a famiglia, ovvia-mente non dipende soltanto dal reddito derivante dall’atti-vità lavorativa svolta dai com-ponenti del nucleo familiare, ma anche da altre componenti quali eredità, rendite varie. In termini correnti, le famiglie con un reddito pari ad x hanno ridotto significativamente la loro quota di reddito non spesa e quindi risparmiata. Su questa contrazione influisce l’aspetta-tiva che il lavoratore ha del suo futuro, in termini occupazio-nali e di reddito.L’incertezza che caratterizza il futuro soprattutto in questa particolare fase di congiuntura economica non fa altro che

condizionare le scelte di spesa e di risparmio delle famiglie. Il reddito disponibile delle fami-glie quando si decrementa o ristagna riflette uno squilibrio del mercato del lavoro.Le politiche di sostegno al red-dito delle famiglie potrebbero essere quelle relative al poten-ziamento degli ammortizza-tori sociali. Questo Governo ha già provveduto a fare ciò, ma non basta. La carta acqui-sti quale forma di pagamen-to elettronico addebitata allo Stato e introdotta dal Governo nel 2009, è stata una misura sicuramente importante ma anch’essa insufficiente a dare una spallata decisiva ai redditi delle famiglie.C’è da sottolineare una real-tà che sembra nascondere un problema invece del tutto rilevante. Quando si verifica una crisi economica, inevita-bilmente i vari mercati subi-scono uno squilibrio, se questi sono già squilibrati è ovvio che alla situazione preesistente si sovrappone quella nuova che non fa altro che aggravarla.

Questo è un po’ quello che è successo nel mercato del lavo-ro italiano, già pesantemen-te squilibrato e sofferente in termini di domanda e offerta di lavoro, ha subito, a segui-to della crisi, una distorsione ancora più forte alterandone le dinamiche di funzionamento in modo strutturale. La crisi, inoltre, ha determinato una forte contrazione della doman-da interna, che a sua volta si è ripercossa sulla redditività delle imprese, le quali, hanno dovu-to chiudere i battenti perché impossibilitate a sopravvivere alla crisi economica. Tutto questo ha creato un vortice che ha travolto l’architettura dei mercato ed ha stravolto le regole dell’economia, impo-nendo una rivisitazione di tutte le politiche economiche dello Stato, nell’ottica di un intervento pubblico maggiore e più incisivo rispetto a quello che si poteva ipotizzare nel periodo pre-crisi.Ancora oggi, tutti i giornali, riportano notizie negative rela-tive agli aggregati macroecono-

mici, alla situazione economica italiana, e sembra non esserci via d’uscita dall’illustrare una realtà che è talmente visibile e tangibile da non poter far finta di nulla. Se non fosse che questo scenario, così come dipinto dai dati statistici, riveli andamenti inconfutabili, inop-pugnabili, tassi che decrescono o ristagnano e da qualche anno non riescono a salire. Il Pil ita-liano fa segnare qualche segno positivo ma ad essere realistici questo è del tutto impercetti-bile dimostrato dal fatto che i naturali indicatori correlati non dimostrano il contrario.L’Europa conosce bene le diffi-coltà di tutti gli Stati membri, il Governo italiano ha la possi-bilità, all’interno del suo mana-gement, di poter fare di più e di poter invertire il trend. Le politiche economiche dal 2011 dovrebbero andare in questa direzione perché quando l’ac-qua arriva alla gola dovrebbe subentrare un istinto naturale e fisiologico di responsabile reazione.

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La Piazza d’Italia - Approfondimenti

Per i pendolari italiani líanno è di 13 mesi e mezzo.Non è una battuta, purtroppo, ma è la realtà fotografata dal Censis per descrivere la vita dei lavoratori pendolari italiani, che impiegano in media 72 minuti per gli spostamenti gior-nalieri di andata e ritorno, pari a un mese e mezzo lavorativo per anno. Bastano questi pochi dati per far comprendere quanto il traspor-to pubblico costituisca, non da oggi, un freno allo sviluppo del nostro paese.Se si riducessero i tempi di percorrenza da 72 minuti a 40 minuti, tagliando sulle ineffi-cienze ed i ritardi dei treni, i pendolari italiani risparmiereb-bero ogni anno 15 giornate che potrebbero essere destinate o ad una maggior produttività od al miglioramento della qualità della vita. Mai come oggi, dunque, è importante porsi il problema di come migliorare la mobilità nel nostro paese e mai come oggi è necessario rispondervi potenziando e migliorando il trasporto pubblico locale, a par-tire da quello ferroviario, che costituisce, dopo líautomobile, il mezzo di trasporto più diffuso

tra i pendolari, siano essi stu-denti o lavoratori (dati Censis). Certo, negli ultimi anni, nel nostro Paese, abbiamo assistito a uníinversione di tendenza. Si pensi soltanto agli investi-menti effettuati per migliorare la sicurezza sullíintera ferrovia-ria o alla recente gara per 50 nuovi treni ad altissima velocità indetta da Trenitalia e vinta dal consorzio AnsaldoBreda / Bombardier, ma molto rimane da fare per il materiale rotabi-le, soprattutto sul fronte del trasporto regionale, per il quale mancano investimenti pubbli-ci per l’ammodernamento del materiale rotabile. Soprattutto se confrontato con i dati degli altri paesi. Il recente rapporto OPMUS dellíISFORT mostra infatti uníItalia fanalino di coda nel trasporto su ferro, tra i paesi più importanti del Vecchio Continente, nonostante la quota di coloro che effettua-no i propri spostamenti - in treno, metropolitana o tram - sia aumentata del 22% tra il 2005 e il 2009, passando dal 27,6 al 33,6%. I dati del Rapporto ISFORT in tal senso non lasciano dubbi: la quota di italiani che si sposta

utilizzando le ìstrade ferrateî è stata nel 2008 del 5,7% contro il 10,1% della Francia, lí8,6% della Germania e bel al di sotto della media UE pari al 7,3%.Il trasporto su rotaia sembra essere il mezzo preferito dopo líautomobile, ma solo per il 33% degli italiani contro il 67% della Francia, il 58% della Germania e il 53% del Regno Unito.Il ritardo rispetto agli altri paesi europei è però anche la dimo-strazione che si può e si deve investire nel ìferroî.A cominciare dal materiale rota-bile in circolazione. I nostri treni regionali, con uníetà media di oltre 20 anni, non sono più adeguati a garantire quegli stan-dard di comodità, affidabilità e puntualità necessari per svolgere un servizio di qualità. Per fare questo occorre però rompere quel circolo vizioso per il quale a basse tariffe cor-risponde un servizio scadente; e a bassi investimenti, scarsa qualità del servizio. Di questo, tutti, politici e ope-ratori del settore, sono consa-pevoli e concordi; semmai il problema è capire come trovare le risorse finanziarie necessarie alla loro sostituzione.

Bene, su questo punto occorre dire che non c’è paese al mondo nel quale i servizi di trasporto pubblico locale si ripagano solo con gli introiti di biglietti e abbonamenti. Ovunque stato e amministrazioni locali inter-vengono economicamente per rendere possibile un servizio che ha ovviamente un grande peso sociale. Ad esempio, per il servizio di Trasporto Regionale, Trenitalia incassa 12,1 centesimi di euro per passeggero/km, dei quali 3,6 da biglietto o abbonamento e 8,5 dai contratti di servizio (pagati dalle Regioni). In Francia la cifra è di 19,1 centesimi - rispettiva-mente 7,9 dalle tariffe e 11,2 dai contributi; in Germania di 21,8 centesimi, 8 da tariffa e 13,8 dai contributi pubblici. Senza con-tare che in questi Paesi Stato, Regioni e amministrazioni locali finanziano a parte l’acquisto dei nuovi mezzi. Sul reperimento di risorse finanziarie destinate allíacqui-sto di nuovo materiale rotabile, il Parlamento aveva trovato una soluzione grazie ad una pro-posta di legge che prevedeva l’acquisto dei nuovi treni con un apposito contributo di 300 milioni di euro l’anno per 15 anni, la cui copertura finanzia-ria era assicurata con l’incre-mento di un centesimo al litro dell’accisa sui carburanti. Tale progetto di legge, approva-to all’unanimità dalla commis-sione trasporti della Camera nel maggio 2010, è stato poi accan-tonato dopo un tira e molla con la Commissione Bilancio pro-prio sulle modalità di copertura finanziaria.Oggi le Regioni, in virtù della manovra Tremonti, debbo-no affrontare un significativo taglio del 20% delle risorse destinate al trasporto collettivo su ferro. Ed a seguito di ciò stanno ridimensionando l’offer-ta dei servizi alla collettività od aumentando le tariffe.A tale proposito, l’Asstra, che è l’associazione nazionale delle aziende di trasporto pubblico locale su gomma e su ferro, ha stimato che se si dovesse tagliare líofferta del 10% ciò produrrebbe 740mila clienti in meno al giorno, con ripercus-sioni negative sui bilanci delle aziende di trasporto e, dunque, sui lavoratori. Come dire: meno clienti, dunque, meno ricavi, meno occupazione.In realtà, una tale politica, oltre che miope e anacronistica, sarebbe dannosa per tutti: per chi i mezzi li utilizza e per chi i mezzi li costruisce o li gestisce. E per i costruttori di materiale rotabile, che patiscono la man-canza di una strategia industria-le che porti ad una riconversio-ne del trasporto su gomma a quello su ferro e via mare.Verrebbe da chiedersi, quindi, che senso ha una tale politica quando paesi Europei come la Francia od emergenti come la Cina, líIndia, il Brasile, stanno investendo copiosamente pro-prio nellíindustria del ferro. Certamente, treni belli, efficien-ti, che rispondano alla doman-da di mobilità si possono fare, anche in Italia. Non lasciamo-ci sfuggire quest’occasione! I “binari” stanno accrescendo il proprio peso e il nostro Paese vanta nel settore ferroviario una tradizione e un sapere secolari: la ripresa può passare anche da qui, se lo vogliamo.

Ing. Roberto TazzioliPresidente e Amministratore DelegatoBombardier Transportation Italia

La ripresa del Paese passa anche dalla ferrovia

Il treno della ripresaRoberto TazzioliNato a Modena il 21 settembre 1954 e laureato in Ingegneria Civile ed Idraulica presso l’Università di Firenze. Dal 1999 al 2002 è stato Amministratore Delegato di Alstom Transport Systems e membro del Consiglio del Consorzio Saturno per l’Alta Velo-cità Ferroviaria.Dal 2003 al 2005 ha assunto la carica di Presidente del Consorzio Trevi.Ricopre la carica di Presidente ed Amministrato-re Delegato di Bombardier Transportation Italy dal 2003.

I NUMERI DI

BOMBARDIER TRANSPORTATION*

10 miliardi di dollari il fatturato •

27,1 miliardi il portafoglio ordini •

100.000 i veicoli Bombardier circolanti nel mondo•

25% la quota di mercato •

95% la presenza dell’azienda nei consorzi europei •

per l’alta velocità

93% la percentuale di materiali riciclabili sui treni •

Bombardier

Fino al 50% di risparmio energetico con il pacchetto •

di prodotti ECO4 di Bombardier

In Italia

800 le persone che lavorano tra Vado Ligure •

(Savona) e Roma

600 quelle impiegate nella produzione a Vado •

Ligure (Savona)

400 milioni il fatturato in Italia•

1700 le locomotive prodotte a Vado Ligure dal •

1905

638 le locomotive elettriche E464 ordinate da •

Trenitalia per il trasporto regionale

50 i treni ad altissima velocità in consorzio con •

AnsaldoBreda, ordinati nel 2010 da Trenitalia

NB. il fatturato 2009 di Bombardier Aerospace e •

Transportation è stato di 19,4 mld. Di dollari

* Dati relativi all’esercizio fi scale 2009

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Forse tutti possiamo essere d’ac-cordo con la seguente massima generale: che una società organiz-zata secondo ragione è in grado di garantire la felicità collettiva; questa idea difficilmente può essere messa in discussione perché fa riferimento moderatamente e logicamente a un mezzo equilibrato e ad un fine posi-tivo per la società.Le teorie e dunque, le probabili divergenze possono nascere quan-do si comincia a riflettere su cosa si intenda per sistema basato sulla ragionevolezza e per felicità diffusa il più largamente possibile. Le argo-mentazioni si amplificano ancora di più nel momento in cui si discute sui vari modi per realizzare il bene comune.C’è una corrente di pensiero, una teoria filosofica che potrebbe essere all’altezza per individuare un cor-retto percorso di mezzo che faccia convergere ipoteticamente più idee su di un argomento: l’ Utilitarismo, che pare ben adattarsi ad un epoca in cui, ci suggeriscono, non sia più quella delle ideologie.Jeremy Bentham (Londra 1748-1832) è considerato il fondatore dell’Utilitarismo, sebbene il termine si debba a James Mill, seguace e amico di Bentham; la sua etica, il suo pensiero politico, la sua filosofia del diritto hanno un comune centro teorico: il concetto di utilità.E’ molto diretto il suo ragionamen-to: l’utilità è un termine astratto che indica la capacità o la tendenza di una cosa a preservare dal male o a procurare del bene; il male e il bene si identificano rispettivamente col dolore e col piacere, i due padroni assoluti, del genere umano. Il bene e l’utile, sono dunque ciò che tende ad aumentare la somma totale del benessere, massimizzando i piaceri e minimizzando i dolori.Questa teoria diventa un princi-pio normativo nel momento in cui viene assunta come regola morale e guida per l’azione: si approva o si rifiuta un’azione a seconda della ten-denza che essa ha ad aumentare o a diminuire la felicità della parte il cui interesse è in questione. Quest’etica, spiega Bentham, è razionale, ogget-tiva, si esprime col calcolo dei pia-ceri e dei dolori e non cade nelle astratte leggi della ragione, né cede ai sentimentalismi.Da qui ne deriva, prosegue il filo-sofo, che ciò che è bene per l’indi-viduo, vale anche per la comunità intera, perché il bene della società è dato dalla somma del benessere dei singoli; allora la felicità sociale sarà la massima felicità per il maggior numero di persone.Scopo della legislazione deve esse-re l’aumento della felicità sociale, quindi buono sarà quel governo che persegue questo risultato e cattivo quello che se ne allontana.Alla luce di queste considerazio-ni, Bentham afferma che lo scopo generale della società si articola in quattro fini “subordinati” che sono: sussistenza, sicurezza, abbondanza, uguaglianza. L’utilitarismo così inteso potrebbe essere una giusta strada per valutare le questioni sociali più urgenti e le politiche più accorte da adotta-re, andando oltre le ideologie, così come vuole il nostro presente.

Ogni qual volta allora che si viene a porre un’importante questione che riguarda la comunità dei cittadini e del paese intero, potrebbe essere cosa buona perseguire la legittima teoria-pratica di Bentham, dubitando sem-pre sulla capacità di ognuno di rea-lizzare il massimo bene individuale e quindi la massima felicità sociale. Buon campo di prova è di certo la più attuale questione sulle vicende che hanno visto protagoniste la Fiat, i sindacati e di fatto, il cambio di marcia di Mirafiori; la questione può essere posta analizzando l’utilità (intesa nel senso sopra indicato) del concetto di progresso sviluppatosi con le vicende, l’utilità di intro-durre flessibilità nel lavoro, l’utilità di un mercato globale, delle delo-calizzazioni, di un contratto collet-tivo aziendale in luogo di quello nazionale, di un referendum, di un operaio che vota per il suo futuro, del ruolo mediatore o non mediato-re della politica, del consenso, della concertazione, di uno Statuto dei lavoratori risalente al 1970, della globalizzazione, della presenza o meno di un dialogo sociale europeo, di un’economia sociale di mercato, di uno sciopero e di una pausa in più e più lunga, di un gruppo industriale che mette in pratica le sue direttive e linee operative, di una rappresentanza sindacale dentro e fuori le fabbriche e forse, infine, l’utilità, i mezzi e il senso stesso dei sindacati di oggi.Il dibattito post referendum è ovvia-mente ancora aperto perché non v’è dubbio che la faccenda abbia segnato un cambio di rotta non solo di un’azienda e delle relazioni industriali, ma anche di concetti quali contrattazione, rappresen-tanza sindacale, apertura a sistemi produttivi più “dinamici” e muta-zione dell’idea stessa di rapporto operaio/”padrone”.Le discussioni si concentrano, come era prevedibile, sull’eventualità di diffondere come prassi il contratto aziendale al posto di quello nazio-nale o di prevedere una possibilità di scelta tra i due e sull’opportunità della fine di un sistema contrattuale uguale per tutti, ma tra i no e i si a queste ipotesi e i no al far west, il dibattito prosegue e in tutto ciò il ruolo dei sindacati gioca una partita importante, o forse no.Nel senso, il loro match è importante se essi hanno ancora consapevolezza della loro forza e degli interessi che rappresentano, ma anche del gioco che cambia, se essi sono in grado di compiere un’autocritica e una riflessione sulla loro ragion d’essere, confermando o modificando il loro operato, il tutto magari, lasciandosi guidare da quel concetto filosofico dell’Utilità, sopra esposto. Se i rapporti di forza si evolvono in “melius” o in “peius”, è legittimo ed anche necessario che ci sia un momento in cui le parti tornino sulla teoria, per rivalutare le proprie posizioni alla luce di una più equili-brata opportunità di essere presenti nella società.Durante il Fascismo il contratto collettivo viene istituito a strumento di sintesi del superamento della lotta di classe (lotta di classe che oggi in teoria non dovrebbe più esserci perché appunto, non è più questa

l’era delle ideologie: ma si può essere ben certi che il caso Mirafiori, con l’acuirsi dello scontro, oltre ad aver aperto tante discussioni, non abbia riaperto una lotta di classe sopita da un benessere appartenente al passa-to?); la Carta del Lavoro approvata dal gran Consiglio del Fascismo il 21 Aprile del 1927 recita: “Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solida-rietà tra i vari fattori della produzio-ne, mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, e la loro subordi-nazione agli interessi superiori della produzione”Questi erano gli anni del Corporativismo, dottrina propria del Fascismo, codificata proprio in questa Carta, il cui intento era di creare una terza via tra capitalismo e marxismo, sintetizzando così la risoluzione dei conflitti tra le classi sociali e limitava, nella realtà dei fatti, ad assai scarse materie i diritti politici delle corporazioni.Dal dopoguerra agli anni ’60 si ha una contrattazione debole e statica perché l’Italia aveva un sistema di relazioni centralizzato e prevalen-temente di matrice politica; spazi per discussioni e accordi a livello

inferiori non ce ne erano, dunque contratti collettivi aziendali o di categorie erano quasi inesistenti.Gli anni ’60 e dal ’68 alla seconda metà degli anni ’70 il boom econo-mico favorisce indubbiamente mag-gior peso decisionale, quindi politico e di partecipazione dei lavoratori, di conseguenza le rappresentanze si rafforzano, favorendo una buona decentralizzazione del sistema sin-dacale italiano. Il culmine arriva nel biennio di lotta ‘68/’70, quando la contrattazione collettiva nazionale non perde la sua posizione centrale ma acquista numerosissimi punti la contrattazione collettiva aziendale. Con la seconda metà degli anni ’70 arriva la crisi economica e lo Stato interviene di più nelle relazioni indu-striali con i mezzi di cui dispone, per incentivare i sindacati e i datori di lavoro alla cooperazione, supe-rando così il difficile momento del paese: concede agevolazioni fiscali agli imprenditori, promette una legislazione a sostegno dei sindacati. Gli accordi diventano così trilaterali, lavoratori, imprenditori e istituzioni. Negli anni ’80 la ripresa favorisce un nuovo decentramento, ma l’azione sindacale comincia ad indebolirsi per-ché la contrattazione si pone obiettivi

via via più difensivi, riducendo il proprio ambito di azione e dunque la propria efficacia. L’ultimo decennio del secolo appena terminato, a causa della necessità di risanamento del debito pubblico e della preparazione per l’entrata in Europa, vede un nuovo accentramento della politica contrattuale e col protocollo del 23 Luglio del 1993 si istituzionalizza e fonda la “concertazione sociale”: un sistema di collaborazione tra le maggiori confederazioni sindacali e Governo che mira ad una sempre più ampia partecipazione delle prime alle decisioni di macroeconomia del potere politico. Questo momento segna probabilmente un punto di rottura, un punto di modifica impor-tante del ruolo dei sindacati: essi non sono più strumenti di rivendicazione, di difesa dei diritti e argine contro i potenziali disagi provenienti dalle forze che decidono le sorti dei lavora-tori, ma si trasformano in collabora-tori delle istituzioni e dei governi. Qui forse muta per la prima volta l’essenza, la struttura portante delle rappresentanze.Il nuovo secolo parla di europeismo, ma a riguardo ancora si ha molto da lavorare; i primi anni del 2000 introducono il concetto di “dialo-

go sociale”, attitudine questa poco incisiva e determinante al momen-to della contrattazione, perché con questo sistema il ruolo dei sindaca-ti viene più che altro riconosciuto nella loro possibilità di dare per lo più pareri e raccomandazioni e ciò ovviamente ha aperto la strada ad un loro indebolimento sul piano dei rapporti tra legge e contratto.In più, l’avanzata della prospettiva del contratto collettivo aziendale in sostituzione di quello nazionale di sicuro dà un ulteriore scossone al già discusso ruolo delle confederazioni. Quindi tutto è in fieri, sebbene il sentiero paia essere in parte già tracciato: che allora siano i sindacati per primi, sollecitati da un’evidente e diffusa difficoltà del mondo del lavoro, a muovere una riflessione su se stessi, ripercorrendo le loro pagine storiche, le condizioni di allora e di oggi, trovando soluzioni di ammo-dernamento adeguate però mante-nendo fermo il loro fine essenziale: essere a servizio dei lavoratori.L’Utilità, pensiero filosofico sopra indicato, può essere un buon alleato per una riconsiderazione di se stessi e del proprio operato, efficace “erga omnes”.

Ilaria Parpaglioni

La Piazza d’Italia - Attualità

Jeremy Bentham: la fi losofi a dell’utilità

Sindacati al punto di svolta

I poteri che si contrappongono in un contesto democratico spesso fanno la fortuna della democrazia facendola crescere e maturare.Il contesto italiano come spesso accade è qualcosa che va oltre gli schemi, non ha una logica diffusa e spesso contraddice se stesso e le regole che lo governano.Per questo il caso del lodo Alfano, prima Lodo Schifani e poi, ora, legittimo impedimento, non va visto solo, come qualcuno vorreb-be, come una legge salva premier ma come qualcosa di più.Il nostro Paese è cambiato tante volte negli ultimi anni ma in fondo le problematiche di natura etica e morale sono rimaste uguali.Attraverso crisi più o meno pilotate del sistema politico, più o meno indotte da questo o quel potere,

politico e non, gli uomini di potere si sono sempre trovati a dover rispondere di qualcosa di fronte alla giustizia.A questo punto è lecito domandar-si due cose:1. Non sarà che, facendo un esame profondo di noi stessi, il problema ce l’abbiamo nel nostro DNA?2. Una volta che il popolo si è pro-nunciato è giusto che il verdetto, qualunque esso sia, debba poter essere influenzato da decisioni terze anche se di un magistrato?Relativamente al primo punto, sarebbe ora che dall’alto o dal basso cresca un sentimento, spinto dall’orgoglio che ancora è rimasto in noi, che ci faccia crescere e che ci ampli la visione di insieme che come popolo quasi sempre ci manca. Senza questo potremmo

anche tornare ad essere sudditi di un Papa ma saremo sempre in dif-ficoltà nel rapportarci, in termini di civiltà e correttezza con gran parte degli altri popoli europei.In merito al secondo punto, la soluzione non esiste, potrebbe esi-stere però un metodo che garan-tirebbe al popolo il rispetto della propria volontà.Questo metodo potrebbe nascere proprio da questa “mediazione” quale è la sentenza della Consulta sul legittimo impedimento.Al primo comma dell’art. 1 ven-gono indicati nel dettaglio leggi e regolamenti che disciplinano le attività dei membri del Consiglio dei Ministri e che possono essere considerate legittimo impedimento a queste si legano tutte le “relative attività preparatorie, conseguenziali

e coessenziali”. Si tratta di consiglio dei ministri, incontri internaziona-li, conferenza Stato-Regioni e tutto ciò che è previsto dagli articoli 5-6-12 della legge 23 agosto 1988 n.400 e successive modificazioni; gli articoli 2, 3 e 4 del decreto legi-slativo 30 luglio del 1999 n. 303 e successive modificazioni; regola-mento interno del Consiglio dei ministri di cui al decreto del presi-dente del Consiglio dei ministri 10 novembre 1993.E’ stato però cancellato l’art. 4 e cioè l’impedimento “continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni” e qui nasce il dubbio sulla applicabilità della tutela a garanzia del verdetto democratico, sul “garantire il sereno svolgimento delle funzioni” di governo. Perché è vero che, in sostanza, questo ver-

detto, in un Paese senza la sfiducia nella magistratura che regna in una parte del nostro popolo, delegan-do ad una figura super partes (il giudice) di valutare la legittimità dell’impedimento che non permet-te ad un membro del Consiglio dei Ministri di presenziare in aula, darebbe garanzia di imparzialità e correttezza. Non ci sarebbe neanche da obiettare sulla impossibilità di poter espletare le proprie mansioni di governo serenamente, perché in gran parte del mondo civilizzato la sensazione che lo “zelo” di alcuni magistrati sia mosso da passioni che esulano dalla giustizia sarebbe difficilmente difendibile.Ma sappiamo quanto il clima sia acceso e pericoloso su questo tema in Italia. Il lavoro di qualcuno ha macchiato quello ben fatto da

tutti gli altri e così la questio-ne Berlusconi assume un aspetto abnorme che pone il problema della garanzia del rispetto della volontà popolare nel permettere o no l’espletamento sereno dell’atti-vità di governo.Per gli oppositori Berlusconi è da sempre un male che deve essere estirpato ma per la maggioranza di coloro che hanno votato alle poli-tiche del 2008 così non è, questa maggioranza di cittadini e la sua volontà espressa deve comunque essere tutelata perché al di là delle polemiche questo è il fulcro di tutto e nessuno può rimanere inerme di fronte ai tentativi di negarle con metodi - si perdoni lo stereotipo - da Repubblica Sudamericana anche se travestiti da referendum abrogativo.

Gabriele Polgar

La Consulta lo modifi ca ma riconosce la correttezza della natura del provvedimento

Legittimo impedimento: bocciato? No, mediato

Come un’onda implacabile, la pro-testa delle popolazioni dei Paesi del Mediterraneo africano contro gli attuali poteri, spesso ultra decenna-li, dei loro governanti sta investen-do aree sempre più vaste.Prima l’Algeria, proteste dai risulta-ti scarsi, poi la Tunisia che ha visto fuggire come l’ultimo dei ladro-ni l’allora Presidente Ben Ali, ora l’Egitto.E’ un contesto assai delicato quello in cui sta avvenendo tutto questo ed è necessario chiedersi per quale motivo sta succedendo.Per prima cosa l’aspetto pratico: gli attuali apparati di potere, malgrado un controllo piuttosto serrato sui mezzi di comunicazione, non si sono dimostrati pronti a fronteg-giare l’epidemia di pensiero prove-niente dai Social Network. Come già successe in Iran, in gran parte è da qui che il tam tam si è diffuso tra la gente e tramite le nuove tecnologie qualcosa di antagonista si è mosso in aree in cui il deserto non è solo un’area geografica ma anche un contesto politico di effet-tiva opposizione (soprattutto per il poco spazio che le è concesso).La seconda considerazione è sulla causa di tanto malcontento. Il pro-blema della libertà di pensiero non è da considerarsi la leva principale, le popolazioni di questi Paesi a cui va aggiunto lo Yemen sono povere e soprattutto stanche di vivere con sulle spalle quel mondo di privile-gi che li comanda da generazioni ininterrottamente.La ricerca del benessere, termi-ne sempre relativo al contesto, potrebbe essere uno spunto piut-

tosto importante ma francamen-te pensare che improvvisamente centinaia di milioni di persone si siano trovate ad esplodere contro questo o quel governante perché incoraggiate dal popolo confinan-te, con cui non avevano neanche un rapporto idilliaco sino al giorno prima, suona piuttosto strano.Allora è il caso di contestualizzare i fatti in un ambito più ampio in cui entrano quasi tutti i continenti e in cui le situazioni da valutare rendo-no la questione allo stesso tempo più complessa e più banale.Partendo da occidente si deve pren-dere atto del vuoto lasciato dalla politica estera dell’amministrazione Obama, quella della mano tesa e delle tante parole, dai contenu-ti piuttosto modesti quasi quanto gli effetti (nulli) ottenuti, gli USA stanno lasciando il mondo a gio-care senza l’arbitro che nella storia contemporanea ha mantenuto gli equilibri.Con l’assenza degli Stati Uniti, l’area mediorientale sta cercando una nuova morfologia che stenta a definirsi soprattutto per la vola-tilità di molti dei componenti lo scenario.L’Iran, in silenzio, continua il suo progetto egemone. La Siria è impe-gnata a gestire la crisi della “sua” regione marittima: il Libano, ad un passo da una nuova guerra civile dopo la caduta del Governo di Hariri con le dimissioni della componente di Hezbollah (mossi dall’Iran).Il fantasma dello Stato palestinese si contorce per l’estenuante dualismo tra ANP (Fatah) e Hamas in cui,

anche questa volta, il movimento integralista sembra stia avendo la meglio soprattuto dopo le rivelazio-ni di Wikileaks in cui Abu Mazen sembrerebbe disposto a concessioni addirittura su Gerusalemme pur di arrivare alla pace con Israele (cosa tutta da dimostrare viste le precon-dizioni pretese dall’ANP per tornare a dialogare). Sempre l’ANP chiede al mondo di riconoscere lo Stato palestinese (quale?) per mettere fine ai torti ed “all’ostruzionismo” di Israele. In conseguenza della latitanza degli USA (vedi sopra), Argentina, Brasile ed ora la Russia hanno deciso di dare seguito a que-sta richiesta che non farà altro che alzare i toni in una situazione tal-mente assurda che pensarla favorita da queste genialate è pura follia.A completare lo scenario una Turchia sempre più alla ricerca di un suo ruolo come mediatrice in qualsiasi situazione spinosa ed un mondo europeo-occidentale in balia di chi possa sostenere il suo debito per continuare ad illudersi di conta-re qualcosa in un prossimo futuro.In questa situazione generale in cui si inseriscono i fatti di questi giorni, non è assurdo pensare che qualcu-no stia cercando di approfittare di questo vuoto di potere diffuso per poter cambiare le sorti del proprio progetto di affermazione mondiale muovendo dal basso.Sembra incredibile ma proprio quando doveva essere il momento di mettere alle strette l’Iran per il suo progetto nucleare, visto che i tempi cominciano a stringere, uno tsunami “democratico” si abbatte sul Paese chiave, sia per la sua

cultura che per il suo peso politico, l’Egitto. Il Paese che più ha media-to per cercare una soluzione dura-tura al conflitto israelo-palestinese e che più è impegnato, almeno nella sua componente ufficiale, a stabilizzare la regione.La situazione esplosiva in questa nazione è una minaccia per tutto il Mediterraneo perché in caso di caduta di Mubarak la parte politica che ne gioverebbe di più sareb-be quella dei Fratelli Musulmani (parte dell’asse iraniano) anche con il “liberale” El Baradei, neo salvato-re della patria, pronto a candidarsi.Ed è proprio questo il punto di svolta: la situazione potrebbe favo-rire movimenti politici islamici che sconvolgerebbero il mediterraneo per come lo conosciamo dando riposte populiste a delle popolazioni in cerca di un’affermazione si politi-ca ma prima ancora di una risposta alla loro richiesta di dignità che spesso, questi movimenti, danno in apparenza, muovendo poi verso atteggiamenti che ormai conoscia-mo bene e che portano solo povertà, repressione e instabilità.Ancora una volta bisogna sperare che gli USA si muovano per far abbassare i toni prima che sia trop-po tardi, l’Europa si è già mossa con Lady Ashton che ha dato prova di grande presenza chiedendo di lasciar protestare la popolazione liberamente. A questo siamo ridot-ti: ad una considerazione di facciata che ci ritrae come dei vecchi idea-listi in disgrazia che predicano la libertà ma che fanno davvero poco perché questa sia reale e radicata.

Gabriele Polgar

Le rivolte in nord Africa e qualche sospetto

Un’ondata di democrazia?

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La Piazza d’Italia - Attualità

Madrid è una delle capitali più allegre, goderecce euro-pee. Il patrimonio storico e artistico è rilevante interesse, che rende la capitale spagno-la centro culturale ricche e

dinamico.Madrid annovera nel suo elenco monumentale nume-rose piazze, cattedrali, palazzi ma anche tre dei più impor-tanti musei d’arte di tutto il

mondo – Prado, Reina Sofia e Tyssen-Bornemisza – uno dei maggiori excursus sulla pittura europea dal Medioevo ai giorni nostri, per altro ubicati a breve distanza uno

dall’altro in quello che viene chiamato il Triangolo d’oro madrileno. Il Prado, attivo dal 1819, regala la più qualificata rac-colta di pittura europea, con i

migliori esponenti della scuo-la italiana, spagnola, olande-se e fiamminga, da Raffaello a Tiziano, da Velasquez a Goya, da Bosch a Durer. Il Thyssen-Bornemisza è la

raccolta privata di un magna-te tedesco dell’acciaio, con capolavori dal Duecento al Novecento e particolare riguardo all’impressionismo tedesco, all’avanguardia russa

e alle prime opere astratte, acquistata nel 1993 dallo stato spagnolo. Il Centro d’Arte Reina Sofia è invece dedicato all’arte moderna e contemporanea, dal cubismo in poi, da Dalì a Mirò e Picasso. Senza dimenticare la monu-mentale Plaza Mayor e la Puerta del Sol, l’opulen-to Palazzo Reale sorto sulle rovine dell’alcazar moresco ed eretto nel 1734 dagli architetti italiani Juvarra e Sacchetti e affrescato tra gli altri dal Tiepolo, la chiesa di San Antonio con la volta affrescata da Goya che vi è sepolto.Ma aldilà di musei e monu-menti, Madrid rimane la patria incontrastata della movida e della gioia di vivere, forse come reazione del fran-chismo e della guerra civile. Per chi ha voglia di divagarsi e divertirsi la città offre svariate tentazioni: locali di ogni gene-re si animano dal calar del sole fino all’alba; con ogni quar-tiere propone le sue attrattive e la possibilità di mangiare e bere a tutte le ore. Una serata dedicata alla movida è d’obbligo in un viaggio nella capitale spa-gnola, magari in uno dei quartieri alla moda come Chueca, Malasana, Lavapiès o Salamanca.Non si può lasciare Madrid senza aver provato l’emozio-ne di vedere uno spettacolo di flamenco, senza aver pran-zato in una tapas gustando tortillas, paellas e jamon y queso (prosciutto e formag-gio) bevendo cerveza o aver fatto una puntata domeni-cale a El Rastro, uno dei più grandi mercatini delle pulci del mondo.

Jarrod (Eric Balfour) ed Elaine (Scottie Thompson), felicemente fidanzati, si reca-no a Los Angeles per il com-pleanno di Terry (Donald Faison), il migliore amico di lui, che è arrivato al succes-so e vive nell’agio in uno splendido appartamento dei quartieri “alti”. Terry vorreb-be che Jarrod si trasferisse definitivamente a Los Angeles per un importante proposta di lavoro, fattore che lo mette in contrasto con Elaine, che

inoltre ha da rivelare al com-pagno un segreto fino ad allo-ra celato. Ma la stessa notte tutto è destinato a cambiare per sempre: strani luci com-paiono in cielo, e lo stesso Jarrod attratto da una di esse rischia di venir trasportato via. E’ il primo segnale di una massiccia invasione di astronavi aliene, che metto-no a ferro e fuoco la città, catturando quanti più essere umani possibili per condurli a bordo delle loro navicelle. Ora per questo piccolo grup-po di sopravvissuti, che vede anche la ragazza e un amica di Terry è l’inizio di una lotta per la sopravvivenza. Ma come opporsi ad un nemico apparentemente invicibile e spietato: aspettare nella spe-ranza di un intervento mili-tare o cercare da soli una via di salvezza? Dal punto di vista degli effetti speciali il film ha un notevole impatto visivo, decisamente superiore al budget messo in campo, dopo un claudicante primo tempo che mostra la man-canza di un minimo sindacale di caratterizzazione dei per-sonaggi, tutti intercambiabili tranne il volenteroso veterano David Zayas volto noto del serial tv Dexter, il film nella seconda parte ha un repen-tino crollo con un’escalation di sequenze che saccheggiano la sci-fi di ultima generazione miscelandola in un frullatone. Skyline è un compendio cita-zionista dall’inizio alla fine, Indipendence Day incontra Cloverfield, La guerra dei mondi e L’invasione degli

ultracorpi, andando a pren-dere a piè mani scene letteral-mente fotocopiate da questi classici (dalla diversa qualità artistica, ma innegabilmente tutti cult). Come su detto, la parte più negativa è il cast, ma il racconto non richiede parti-colari performance dramma-tiche, in quanto si incanala dopo il primo quarto d’ora sul versante dell’azione pura, con continue esplosioni e un evidente accento sugli esseri alieni, siano essi giganteschi

mostri di memoria godzillia-na o macchine “comandate” in pieno stile Matrix. Se si accetta il film per il risulta-to prodotto, senza aspettarsi introspezione o risvolti accat-tivanti, in poche parole se si è consapevoli che si tratta di un puro e semplice “giocatto-lone americano”, durante la visione è necessario staccare ogni connessione logica dei neuroni, perché i ragiona-menti in questo caso hanno ben poco senso. Come pro-dotto di puro entertainment Skyline svolge discretamente il suo compito, salvo perdere qualsiasi briciolo di credibili-tà in un insensato finale che scade nel ridicolo involonta-rio. Rimangono efficaci scene d’azione aerea, un piacevole design dei mezzi e delle figure aliene e qualche momento di tensione che riescono a salvare il tutto da una piena insufficienza. Si poteva fare molto peggio, e questo, dalla Hollywood più commerciale, è già un avvenimento. Chissà come ci comporteremmo nel caso di un’invasione alie-na. Difficilmente seguire-mo i comportamenti a tratti insensati dei protagonisti di Skyline. Un film di fanta-scienza incentrato sull’azione e ricco di rimandi a classici del genere, che nonostante molti difetti e un finale da dimenticare, si fa comunque vedere con piacere, rivelan-dosi un prodotto leggero ed innocuo. Ma per gli amanti di alieni e co. , può tranquil-lamente bastare.

La Cambogia ha attraversato lunghi periodi di devastazio-ni e bombardamenti, ma le elezioni politiche del 1998 hanno permesso la costru-zione di un governo di coa-lizione che ha aperto nuove prospettive per il paese.

Per questo Stato, grande oltre metà dell’Italia, il turi-smo può essere una risorsa economica fondamentale.La Cambogia occupa la parte meridionale del centro della penisola indocinese, in pra-tica un enorme bassopiano alluvionale tagliato a metà

dal fiume Mekong, sul golfo del Siam e con rilievi rico-perti da rigogliose foreste tropicali e pluviali. Il Mekong, oltre ad essere il fiume più lungo e importan-te della regione indocinese, abbonda d’acqua e di pesce

(tra cui i pesci gatto giganti, lunghi fino a 3 m e del peso di 300 kg, e gli ormai rari delfini d’acqua dolce) offre al centro una vera curiosità geografica: il Tonlè Sap, un lago a superficie assai varia-bile, oggi divenuto riserva Unesco della biosfera.

Gli studi sulla pianificazione turistica appaiono importan-ti in questa nazione dove la cultura è antica e preziosa. La Cambogia è terra di gran-di civiltà fin dall’epoca pro-tostorica, ha subito notevoli influenze culturali e religiose

dai suoi vicini, in particola-re quelle indiane, induiste e buddiste, rielaborandole poi in una creativa cultura pecu-liare autoctona. Il maggior periodo di splen-dore si ebbe tra IX e XV sec. con il regno Khmer (fu un potente impero che

ebbe centro in Cambogia ma che riuscì a dominare anche parte della Tailandia, del Laos e del Vietnam meri-dionale) capace di realizza-re una raffinata architettura monumentale giunta quasi intatta fino ai nostri giorni.

Gli abitanti di questo regno erano grandi idraulici e otti-mi agricoltori, costruirono strade, ponti ed ospedali ed edificarono imponenti città con templi, monumenti ed edifici vigorosi.La capitale della Cambogia è Angkor, con le suoe ecce-

zionali opere di valore, è un luogo che conserva ancora il fascino dei siti archeologici dove l’uomo ha scritto una delle più sublimi pagine della sua storia, uno dei maggiori centri artistici e culturali del mondo e uno dei più impor-tanti dell’umanità. Basti pen-sare che per la costruzione del solo quartiere di Angkor Wat, esteso su 208 ettari, ci sono voluti 40 anni, 10 mila operai, 50 mila elefanti, 700 zattere e 4 mila carri, con

tante pietre quanto per la piramide egizia di Kefren.La Cambogia, una terra in cui l’esistenza viene regolata dalla natura, e i cambogiani ricchi di un senso antico e saggio della vita derivante dal buddismo, miscela di sapien-za e di moderazione che nep-pure le atrocità dei Khmer Rossi di Pol Pot sono riusciti a scalfire.

Alice Lupi

Madrid tra musei e movida

Skyline

Cambogia: attraverso l’Indocina più autentica