1-15/16-30 Giugno 2009 - Anno XLV - NN. 57-58 - Caos Iran dopo le elezioni

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La ribellione a Teheran, dopo una partecipazione al voto senza precedenti, con l'80% degli aventi diritti al voto, quello che si temeva si è avverato: Ahmadinejad è stato rieletto al primo turno, con oltre il 60% dei voti. I dubbi sulla regolarità del voto sono moti e particolarmente fondati. E' stata una settimana di grande passione nella Repubblica islamica. La grande speranza di coloro che cercavano una discontinuità, si è sorprenden- temente espressa con manifestazioni organizzate via SMS, Facebook, Twitter. Un'inaspettata rivoluzione 2.0 che in un contesto come quello iraniano spiazza non poco. Il regime, all'inizio, ha probabilmente lasciato fare per di- mostrare la solidità della democrazia e soprattutto non preoccupato dal risultato già molto prima del- la consultazione. COPIA OMAGGIO In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Rom-Italy — Fondato da Turchi — www.lapiazzaditalia.it Caos Iran dopo le elezioni LA PIAZZA D’ITALIA Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 Ghedda: lezioni di democrazia Europarlamento, il gioco si fa duro APPROFONDIMENTI — a pagina 6 — — a pagina 8 — POLITICA I risultati Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti www.lapiazzaditalia.it Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 comma 1 - DCB-Roma 1-15/16-30 Giugno 2009 - Anno XLV - NN. 57-58 0,25 (Quindicinale) Mamma mia che risultati! Infatti, se da una parte ab- biamo un PD ai minimi storici con problemi an- che nelle amministrazioni locali più rappresentative (in Umbria, Marche e To- scana, per la prima volta, sono in difficoltà), anche il PdL arretra di 2.5% ovvero, 2.800.000 voti in meno rispetto alle Politi- che del 2008. Non è poi da sottovalutare la poca partecipazione al voto che, forse, è il vero dato da commentare. Gli Italiani, già non sen- tono (anche se da sempre i più Europeisti) il Tema Europeo come impellente e comunque pervasivo nel- la loro vita quotidiana, ma a questo, si è aggiunta una campagna elettorale squal- lida, senza temi e basata sul gossip. Il cittadino che, come al solito, dimostra più ca- pacità analitica di quella che la classe politica vuo- le riconoscere , è rimasto disgustato di tutto questo ed ha manifestato il suo dissenso non andando a votare. Questo “non voto” ha col- pito in maniera devastan- te il centro-sinistra, ma non ha salvato neanche il centro-destra che ha fatto poca campagna elettorale, con candidati nella mag- gior parte dei casi sicura- mente poco indicati per l’incarico a Bruxelles. Ora, a mio avviso, rim- bocchiamoci le maniche e riportiamo al centro del dibattito politico la vera politica o, meglio, l’agenda programmatica che il PdL ha dalle elezioni dell’anno passato e vedrete che, se si risponde ai temi economi- ci, previdenziali, di dina- mica e sviluppo del paese in un momento di crisi, le soddisfazioni del voto e l’affluenza ai seggi miglio- reranno sensibilmente. Abb. sostenitore da 1000 - Abb. annuale 500 - Abb. semestrale 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina Segue a pagina 4 di FRANZ TURCHI In tutto il continente le coalizioni di centro-destra avanzano L’Europa è sempre più a destra Lo spoglio finale dei voti del- le elezioni europee tenute lo scorso fine settimana in tutti gli stati dell’Unione Europea - bassissima la percentuale di chi nel vecchio continente si è recato ai seggi: 43% - ha confermato il “trend” politico degli ultimi anni: i partiti di centro-destra o conservatori prevalgono quasi ovunque nei confronti delle formazioni di centro-sinistra, progressiste o di sinistra estrema. In Spagna i socialisti di Zapatero - al go- verno da oltre sei anni - sono stati superati dai popolari di quasi 5 punti percentuali. In Germania la CdU-CsU della Merkel seppure in calo di cir- ca 6 punti rispetto alla scorsa tornata “europea” ha sopra- vanzato nettamente i social- democratici: il 38 % contro il 21 % , risultato quest’ultimo il punto più basso di tutta la loro storia politica. In Francia sostanziale tenuta del UMP guidato da Sarkozi - 28% cir- ca - e crollo dei socialisti che hanno raggiunto solo il 16 %. In Gran Bretagna il partito laburista del Premier Gordon Brown è in caduta libera in quanto i risultati elettorali lo relegano - con il 15 % delle preferenze - dietro i conserva- tori che hanno raggiunto circa il 27% dei suffragi totali, e addirittura quasi a pari merito con i liberali ed il partito degli euroscettici che hanno ognu- no quasi lo stesso numero di voti degli “orfani” di Tony Blair. In Italia invece il PdL del Primo Ministro Berlusconi si conferma di gran lunga il pri- mo partito italiano con il 35,2 % dei suffragi. In leggero calo rispetto alle elezioni politiche dello scorso anno quando fu toccato il 37% ma in aumen- to rispetto alle europee di 5 anni fa allorquando Forza Ita- lia ed Alleanza Nazionale, che all’epoca correvano ognuna per proprio conto, raggranel- larono il 32% dei suffragi e 24 seggi rispetto ai 29 ottenu- ti dopo quest’ultima tornata elettorale. Un Popolo delle Libertà che quindi non riesce a sfondare il “muro psicologi- co” del 40% delle preferenze come auspicato dal Cavaliere,

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Caos Iran dopo le elezioni - I risultati - Gheddafi : lezioni di democrazia - Europarlamento, il gioco si fa duro - L’Europa è sempre più a destra - Commedia all’italiana - Iran 2009: la rivoluzione verde - Obama al Cairo lascia il trono vacante - In Iran si muore e l'Europa? - Il Governo ad un bivio - Europee 2009: la lezione delle urne - Risultati economici del Governo - Solidarność: dopo 20 anni in una Polonia europea - Gheddafi : lezioni di democrazia - L'india alla dinastia Gandhi

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La ribellione a Teheran, dopo una partecipazione al voto senza precedenti, con l'80% degli aventi diritti al voto, quello che si temeva si è avverato: Ahmadinejad è stato rieletto al primo turno, con oltre il 60% dei voti. I dubbi sulla regolarità del voto sono moti e particolarmente fondati.

E' stata una settimana di grande passione nella Repubblica islamica. La grande speranza di coloro che cercavano una discontinuità, si è sorprenden-temente espressa con manifestazioni organizzate via SMS, Facebook, Twitter.Un'inaspettata rivoluzione 2.0 che in un contesto

come quello iraniano spiazza non poco. Il regime, all'inizio, ha probabilmente lasciato fare per di-mostrare la solidità della democrazia e soprattutto non preoccupato dal risultato già molto prima del-la consultazione.

COPIA OMAGGIO In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina

per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Rom-Italy

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Caos Iran dopo le elezioni

LA PIAZZA D’ITALIA

Per la vostra pubblicitàtelefonare allo 800.574.727

Gheddafi : lezioni di democrazia

Europarlamento,il gioco si fa duro

APPROFONDIMENTI

— a pagina 6 — — a pagina 8 —

POLITICA

I risultati

Ricco, continuamente aggiornato: arrivafi nalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per unnuovo modo di fare politica in Italia

Una Piazza di confronto aperta aldibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuoveidee e nuovi contenuti

www.lapiazzaditalia.it

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 comma 1 - DCB-Roma 1-15/16-30 Giugno 2009 - Anno XLV - NN. 57-58 € 0,25 (Quindicinale)

Mamma mia che risultati!Infatti, se da una parte ab-biamo un PD ai minimi storici con problemi an-che nelle amministrazioni locali più rappresentative (in Umbria, Marche e To-scana, per la prima volta, sono in diffi coltà), anche il PdL arretra di 2.5% ovvero, 2.800.000 voti in meno rispetto alle Politi-che del 2008.Non è poi da sottovalutare la poca partecipazione al voto che, forse, è il vero dato da commentare.Gli Italiani, già non sen-tono (anche se da sempre i più Europeisti) il Tema Europeo come impellente e comunque pervasivo nel-la loro vita quotidiana, ma a questo, si è aggiunta una campagna elettorale squal-lida, senza temi e basata sul gossip.Il cittadino che, come al solito, dimostra più ca-pacità analitica di quella che la classe politica vuo-le riconoscere , è rimasto disgustato di tutto questo ed ha manifestato il suo dissenso non andando a votare.Questo “non voto” ha col-pito in maniera devastan-te il centro-sinistra, ma non ha salvato neanche il centro-destra che ha fatto poca campagna elettorale, con candidati nella mag-gior parte dei casi sicura-mente poco indicati per l’incarico a Bruxelles.Ora, a mio avviso, rim-bocchiamoci le maniche e riportiamo al centro del dibattito politico la vera politica o, meglio, l’agenda programmatica che il PdL ha dalle elezioni dell’anno passato e vedrete che, se si risponde ai temi economi-ci, previdenziali, di dina-mica e sviluppo del paese in un momento di crisi, le soddisfazioni del voto e l’affl uenza ai seggi miglio-reranno sensibilmente.

Abb. sostenitore da € 1000 - Abb. annuale € 500 - Abb. semestrale € 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina

Segue a pagina 4

di FRANZ TURCHI

In tutto il continente le coalizioni di centro-destra avanzano

L’Europa è sempre più a destra

Lo spoglio finale dei voti del-le elezioni europee tenute lo scorso fine settimana in tutti gli stati dell’Unione Europea - bassissima la percentuale di chi nel vecchio continente si è recato ai seggi: 43% - ha confermato il “trend” politico degli ultimi anni: i partiti di centro-destra o conservatori prevalgono quasi ovunque nei confronti delle formazioni di centro-sinistra, progressiste o di sinistra estrema. In Spagna i socialisti di Zapatero - al go-verno da oltre sei anni - sono stati superati dai popolari di quasi 5 punti percentuali. In Germania la CdU-CsU della Merkel seppure in calo di cir-ca 6 punti rispetto alla scorsa tornata “europea” ha sopra-

vanzato nettamente i social-democratici: il 38 % contro il 21 % , risultato quest’ultimo il punto più basso di tutta la loro storia politica. In Francia sostanziale tenuta del UMP guidato da Sarkozi - 28% cir-ca - e crollo dei socialisti che hanno raggiunto solo il 16 %. In Gran Bretagna il partito laburista del Premier Gordon Brown è in caduta libera in quanto i risultati elettorali lo relegano - con il 15 % delle preferenze - dietro i conserva-tori che hanno raggiunto circa il 27% dei suffragi totali, e addirittura quasi a pari merito con i liberali ed il partito degli euroscettici che hanno ognu-no quasi lo stesso numero di voti degli “orfani” di Tony

Blair.In Italia invece il PdL del Primo Ministro Berlusconi si conferma di gran lunga il pri-mo partito italiano con il 35,2 % dei suffragi. In leggero calo rispetto alle elezioni politiche dello scorso anno quando fu toccato il 37% ma in aumen-to rispetto alle europee di 5 anni fa allorquando Forza Ita-lia ed Alleanza Nazionale, che all’epoca correvano ognuna per proprio conto, raggranel-larono il 32% dei suffragi e 24 seggi rispetto ai 29 ottenu-ti dopo quest’ultima tornata elettorale. Un Popolo delle Libertà che quindi non riesce a sfondare il “muro psicologi-co” del 40% delle preferenze come auspicato dal Cavaliere,

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tura economica italiana - e mondiale - che solitamente in questi casi avrebbe visto du-ramente puniti i partiti che governano. Innanzi tutto, in nessuna delle circoscrizioni del Nord Italia è avvenuto il temu-to sorpasso della Lega sul PdL tenendo conto che il partito di Bossi ha compiuto un vero “exploit”: dal 5% di cinque anni fa è passata al 10,2 % del-lo scorso fine settimana, da 4 seggi ottenuti ai 9 appena con-quistati . In Italia centrale ad-dirittura il partito del tridente Verdini - Bondi - La Russa ha superato come numero di voti il PD nelle Marche, in Umbria e nell’oramai solito Lazio un tempo feudo di Veltroni e Ru-telli: ma anche in Toscana ed Emilia il PdL raggiunge cifre mai toccate prima. Nel sud e nelle isole il PdL stacca il Par-tito democratico di quasi 20 punti percentuali. Tutto bene allora? Certamente no.In primo luogo i voti persi dal PdL al nord sono andati si, a rinforzare la Lega alleata di Governo , però certo questo seppur piccolissimo riequili-brio delle forze nel campo del-la maggioranza porterà a più pressanti richieste da parte de-gli appartenenti al “Carroccio”. Quindi sarà più difficoltoso per il Cavaliere trovare un punto

d’equilibrio tra le esigenze di PdL e Lega riguardo temi scot-tanti come il referendum sulla legge elettorale, l’abolizione delle province, o per le candi-dature delle elezioni regionali del prossimo anno.Il secondo punto delicato che elezioni europee hanno eviden-ziato è che nel mezzogiorno si sta aprendo una piccola scolla-tura tra PdL e il suo elettorato. Infatti Il grande astensionismo delle regioni meridionali - do-vuto al fatto che il Governo ancora non ha posto in essere tutte le azioni necessarie, tran-ne in Campania, al fine di mi-gliorare la situazione di disagio sociale, infrastrutturale che appesantiscono il sud - ha fat-to mancare al conto totale dei voti una grandissima somma di suffragi che sarebbero andati al centro destra non permetten-dogli così di raggiungere un ri-sultato più congruo alle aspet-tative della vigilia. Oltre tutto alla vigilia delle elezioni si è aperto uno spinoso “caso Sici-lia” - il Governatore Lombardo ha compiuto un rimpasto nella giunta regionale estrometten-do i rappresentanti del Pdl e il caso rifiuti a Palermo - che ha contribuito ad ingarbugliare la situazione.Infine la terza causa che non ha permesso al partito guida-

to da Berlusconi di “volare” alto è insita proprio nella bre-ve esistenza del Pdl: il partito non è ancora definitivamente formato - o meglio, riformato - in tutte le sue parti. I sim-patizzanti di centro-destra, gli attivisti e quella che dovrebbe esserne la base elettorale anco-ra non sentono il PdL come il loro partito. Ciò non avverrà sino a quando non si svolgerà un vero congresso nazionale, e veri congressi locali con tesse-rati reali, e finchè continueran-no ad esistere candidati a tutti i livelli – sia politici che am-ministrativi - o coordinatori regionali e provinciali che sono calati dall’alto per la scelta dei soliti noti.Ma chi è uscito con le ossa rotte dalle elezioni europee è senza dubbio il Partito Demo-cratico. Nel raffronto con le scorse elezioni europee infatti il PD - 5 anni fa Unione - ha perso 5 punti percentuali e 3 seggi. In rapporto alle ultime politiche la compagine guidata da Franceschini ha lasciato sul campo il 7% dei suffragi. Ri-sultati devastanti mitigati solo in alcune “enclavi” del centro dove il PD -Toscana ed Emi-lia - ancora regge all’ondata di centro-destra seppur per-dendo consensi. La campagna elettorale basata su insulti al

Presidente del Consiglio e alla maggioranza che lo sostiene e incentrata sul gossip da buco della serratura ha prodotto ef-fetti deleteri soprattutto su chi ha organizzato tale tempesta mediatica. E ancora peggio per “Franceschiniello” sono andate le elezioni provinciali e comunali che si sono tenute contemporaneamente a quelle europee. I comuni di Firenze, Bologna, Cremona, Ferrara, Prato, Forlì, Terni - tradiziona-li roccaforti rosse - e Bari si de-cideranno al ballottaggio come le province di Milano, Torino, Parma, Ferrara, Arezzo, Gros-seto tutte appartenenti in pre-cedenza al PD. Perse inoltre le province di Napoli e Salerno, Teramo, Cremona, Piacenza: in totale il PDL tiene tutte le provincie da esso governate e ne conquista oltre una quindi-cina al centrosinistra. Insom-ma una vera e propria “Capo-retto” politica che sicuramente approfondirà lo stato di coma in cui versa il PD.I partiti italiani della sinistra radicale escono definitivamen-te anche dal Parlamento eu-ropeo in quanto non riescono - Sinistra e Liberta, e Rifonda-zione Comunista - a superare lo sbarramento del 4% che gli avrebbe consentito di ottenere dei rappresentanti a Strasbur-

go: entrambi fermi poco al di sopra del 6% diventano però interlocutori indispensabili al Partito Democratico al fine di limitare le perdite nei ballot-taggi per le amministrative che avverranno tra 15 giorni e so-prattutto in vista delle elezioni amministrative che il prossimo anno interesseranno parecchie regioni italiane.L’unico che fa festa tra i partiti politici dell’opposizione è l’Ita-lia dei Valori di Di Pietro che passa dal 2,2% racimolato nel 2004 al quasi l’8% ottenuto oggi: da 2 parlamentari euro-pei l’IdV passa a 7, “canniba-lizzando” il PD. Felicissimo è pure l’UDC di Casini che pur aumentando solo dello 0,6% rispetto alle elezioni politiche dello scorso anno, e dello 0,8% nei confronti delle passate con-sultazioni europee, sembra aver sbancato il lotto: è evidente che il rito democristiano della prima repubblica pentapartiti-ca di brindare a variazioni per-centuali da prefisso telefonico è ancora difficile a passare.Infine non pervenuti Radicali e MPA - Destra che restano fuori dall’emiciclo di Strasbur-go: mesto addio alle ribalte più importanti per Pannella, Boni-no e Storace. Sicuramente non mancheranno agli italiani.E adesso?

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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI MAGGIO 2009

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Il segretario del PD Franceschini al termine del ballottaggio delle amministrative e dei referendum canta vittoria

In tutto il continente le coalizioni di centro-destra avanzano

Finalmente dopo quasi due mesi di campagna elettorale ininterrotta - tra elezioni eu-ropee, amministrative varie e referendum - il povero citta-dino italiano può riporre nel cassetto l’oramai logora scheda elettorale e gustarsi comoda-mente lo spettacolo che dopo ogni elezione va in scena per merito degli esponenti politici nostrani.Si sa, che ad urne ancora “bol-lenti”, i commedianti della po-litica italiana, nel commentare i dati numerici scaturiti dallo scrutinio delle schede, danno fondo a tutto il loro reperto-rio di consumati macchiettisti: tutti lesti a scattare sui blocchi per dichiararsi vincitori anche nel caso in cui si sono ricevute legnate memorabili.Indiscutibilmente il principe di questo “vaudeville” di casa nostra è risultato essere Dario Franceschini.Ed ecco allora il segretario del Partito Democratico - da con-sumato “Rodomonte” quale è - annunciare davanti a tutte le telecamere che fi nalmente il centro destra ha iniziato il proprio declino in tutta Italia. Insomma grazie alla sua saga-ce tattica le truppe dell’oramai maggioranza di centro destra che fu, sono in rotta disordina-ta lungo tutto lo stivale: dalle Alpi agli Appennini, dalle re-gioni rosse alle valli padane, fi n giù a Capo Passero, è iniziata la fulminea riscossa dei Democra-tici di casa nostra.Ma cosa ha spinto l’ex delfi -no di Benigno Zaccagnini a

esternare la sua felicità per aver perso 9 comuni capoluogo di provincia e più di 20 ammini-strazioni provinciali, riuscendo nell’impresa di non conquistare alcuna “piazzaforte” - che fosse una - in mano al centro destra?Il caldo forse? Non può essere perché l’ultimo fi ne settimana elettorale è stato contraddistin-to da nubi e temporali anche di forte intensità lungo tutta la Penisola. Che lo spirito del defunto - solo politicamente per carità - “mortadella “ Pro-di si sia impadronito del buon Dario? Impossibile. Nemmeno al “Professore” sarebbe venuto in mente di rilasciare dichia-razioni così distorte e lontane dalla realtà come fatto dal buon Dario: l’ex Presidente del Con-siglio si sarebbe al massimo li-mitato a bofonchiare qualcosa d’incomprensibile ai microfoni dei cronisti.Invece la spiegazione più plau-sibile è che Franceschini, burat-tino tra le mani del defenestra-to Veltroni - sia etero diretto da quest’ultimo in vista dello scontro campale d’autunno in occasione del congresso che stabilirà chi succederà all’at-tuale segretari pro-tempore del PD. Infatti se fi no a qualche settimana fa sembrava essere scontata la vittoria congres-suale di Bersani, sponsorizzato da D’Alema, da una decina di giorni a questa parte si è fatta sempre più concreta la possi-bilità di una candidatura dello stesso Franceschini - supporta-to da Veltroni, Bettini, Bindi, Fioroni ed altri - in contrappo-

sizione a quella dell’ex ministro dell’industria del Governo Pro-di. L’ennesima riedizione - ri-vista e corretta - dello scontro decennale tra Veltroni e D’Ale-ma.Ed ecco quindi che per rag-giungere l’obbiettivo di non ar-rivare all’appuntamento autun-nale col segretario in carica del tutto “azzoppato” - e quindi già strabattuto - è stato dato l’or-dine dall’entourage veltroniano di minimizzare le perdite ed amplifi care le poche vittorie(?) sia nelle elezioni europee che in quelle amministrative. In quest’ottica infatti si spiegano le bottiglie di spumante stap-pate all’annuncio dello stri-minzitissimo 26 % raggiunto dal PD alle elezioni europee di 15 giorni fa e le tarantelle balla-te al termine dei ballottaggi di domenica scorsa.Evidentemente la matematica non è proprio il forte di “Fran-ceschiniello” e compagnia esultante. Il PD alle europee ha ottenuto 5 deputati e più di 2 milioni di voti in meno rispetto al 2004 quando era ancora Unione. Nel Pdl invece il numero di voti ottenuti se-paratamente da Forza Italia ed Alleanza Nazionale equivaleva-no, nel 2004, a circa 10 milioni e mezzo contro i 10 milioni e 8oo mila raggiunti nel 2009: mai la fusione di due partiti aveva prodotto più voti della somma dei singoli.Inoltre il centro sinistra nelle amministrative poteva disporre di una dote di 50 presidenti di provincia contro i 9 del PdL.

Stessa situazione per quel che riguardava le amministrazioni comunali dei capoluoghi di provincia che sono andati al voto questa prima decade di giugno: 25 a 5 sempre per il PD. Al tirar delle somme dopo lo scrutinio dei ballottaggi il PdL ha conquistato -oltre le “sue” 9 che già in precedenza governava – altre 25 Province. Nelle comunali il centro destra ha eff ettuato un altro consi-derevole recupero rispetto a 5 anni fa conquistando in totale 14 capoluoghi di provincia.Tale atteggiamento simile a quello dell’orchestra del Ti-tanic che suonava mentre il transatlantico inesorabilmente aff ondava, è stato ripreso pure da” Repubblica”, il vero organo di partito del centro sinistra.Addirittura il corsivista Mas-simo Giannini a commento dei risultati elettorali scrive sul giornale caro a De Benedet-ti che il Partito Democratico praticamente regge al Nord, mentre nelle roccaforti rosse del centro Italia non c’è nulla da fare per il PdL. Nientemeno al sud - sempre secondo quanto potuto vedere dal suo strategi-co punto di osservazione dal buon Giannini - i Democratici grazie al’alleanza con l’UDC vincerebbe dappertutto. In più le amministrazioni conquistate dagli epigoni di Franceschini sarebbero molto più importan-ti di quelle tenute dai “fedelis-simi” di Berlusconi.In realtà al nord il PD è quasi del tutto scomparso in Lom-bardia - perse Cremona, Berga-

mo, Lecco, Monza - e Veneto- anche Belluno e Venezia, dopo oltre 30 anni quest’ultima, fi niscono in mano al centro destra - mentre in Piemonte il PD regge solo per l’apparenta-mento con l’UDC a Torino ed Alessandria.Al centro il PdL oltre a conqui-stare per la prima volta in asso-luto più voti - alle europee - del Pd in Umbria e Marche, riesce a conquistare Frosinone, Prato ed Ascoli, oltre che perdere per il rotto della cuffi a a Grosse-to, Arezzo, Terni, Ancona. In precedenza erano state vinte al primo turno Macerata, Isernia, Chieti, Teramo e Pescara, tutte governate dal Partito di France-schini.A sud il Partito Democratico - dopo aver perso le province di Napoli, Salerno, Crotone, Lecce, Trani e Caltanissetta, l’unica che governavano in Si-cilia - riesce a tenere il comune di Bari - ma non la provincia- per il solito accordo a macchia di leopardo con l’UDC. A tal riguardo è interessante notare che laddove il partito di Casini si allea col centro destra quan-do si vince il suo apporto risul-ta essere ininfl uente oppure la coalizione perde i ballottaggi; quando va col centro sinistra gli ex democristiani vincono: evidentemente gli elettori del PdL mal digeriscono la coali-zione con i reduci dello scudo crociato.In tutto questo “can can” passa in secondo ordine il risultato elettorale dei referendum - per i quali il Pd si era speso e l’IDV

aveva aiutato a raccogliere le fi rme - i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti: meno del 25 % di partecipazione e quorum del 50% lontanissimo.Anche in questo caso UDC, e Sinistra radicale - su tutti - si sono aff rettati a dichiararsi vincitori morali della tenzone cercando di “appropriarsi” del 75% degli italiani che hanno preferito disertare le urne, ma quel che ci preme sottolineare non sono le battute da caba-ret degli orfanelli di Peppone e Don Camillo , ma il segnale che i cittadini hanno mandato al mondo politico.Primo: troppe tornate elettorali in poco più di un mese fanno venire la nausea. Secondo: i re-ferendum così come sono posti e chi li “fabbrica” evidentemen-te non vanno bene. Lo svaluta-to ricorso a questo sistema di democrazia diretta va ripensato poiché toglie forza ad un’im-portante arma che la Costitu-zione da’ in dotazione ai citta-dini. Occorrerebbe, a questo punto, pensare d’innalzare il numero di fi rme necessarie per presentarne un quesito referen-dario ed abolire il quorum.Terzo: ai cittadini - al mo-mento - della legge elettora-le non importa nulla o poco più. Un Governo che gode di un’importante maggioranza al Parlamento e nel Paese c’è, quindi bando alle ciance e si vada avanti, senza tentenna-menti, col programma pre-sentato agli elettori poco più di un anno fa.

Giuliano Leo

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Commedia all’italiana

L’Europa è sempre più a destrama che comunque sostanzial-mente perde poco rispetto alle trionfali elezioni politiche del-lo scorso anno anche tenendo conto della pessima congiun-

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I sostenitori del modera-to Moussavi hanno cercato nella tecnologia il mezzo per diff ondere la propria propa-ganda.La speranza di un elettorato defi nito giovane e di classe media per una vita più li-bera si è però spento ancor prima del discorso del Pre-sidente rieletto vedendo che le comunicazioni cellulari

erano state misteriosamente interrotte. Gli inviati ai seg-gi hanno fatto a malapena in tempo a mandare alcuni dati via SMS che davano tenden-ze ben diverse dal risultato dichiarato dal Ministero de-gli interni.La rabbia di fronte a questa privazione del mezzo liberal-tecnologico si sta sfogando nelle strade con manifesta-

zioni violente represse du-ramente dalla polizia, con centonaia di feriti ed alcuni morti.Ironico vedere come il pote-re di Ahmadinejad, dittatore con ambizioni nucleari, va-cilli di fronte ai messaggini.Dirigenti del Mosharekat, il partito che si oppone ad Ahmadinejad, sono stati ar-restati, lo stesso Moussavi è

praticamente agli arresti do-miciliari non potendo uscire nè comunicare con l'ester-no.In tutto questo qulacosa di nuovo si è mosso ma diffi -cilmente potrà accadere il miracolo del cambiamento: chiunque sia il Presidente, la poltica della Repubbli-ca viene comunque decisa dall'Ayatollah Kamenei, congratulatosi subito con Ahmadinejad.Oltre al blocco della telefo-nia cellulare ed internet le autorità hanno consigliato ai giornalisti stranieri di la-sciare il Paese.Solita sceneggiatura degna delle migliori dittature in-fatti arrivano le prime con-gatulazioni dei paladini della democrazia: Chavez, Hamas ed Hezbollah.La mano tesa di Obama ora ha un interlocutore che spe-rava diverso. Sarà ora più diffi cile portare avanti un dialogo di per se già compli-cato.Sarà duro giustifi care ai cit-tadini americani il ramoscel-lo d'ulivo ad un dittatore oppressore negazionista che

minaccia la pace di mezzo mondo.Le aspirazioni di Obama si scontreranno anche con i timori dei sunniti quali Ara-bia Saudita ed Egitto che non rimarranno disarmate di fronte ad un Iran nuclea-rizzato innescando il mecca-nismo della proliferazione.Non ultimo Israele che vede sempre più comprovate le sue paure.Al momento la reazione de-gli USA si limita a monitora-

re la situazione. Un segnale debole che dimostra quanto azzardato sia stato il passo della nuova amministrazio-ne americana che avrebbe dovuto aspettare le elezioni iraniane invece di sperare di incidere sul risultato con un discorso che ora rischia di dare il tempo necessario al riconfermato Presidente Ah-madinejad per concludere il suo progetto, qualunque esso sia.

Gabriele Polgar

La Piazza D’Italia - Esteri

Gli sviluppi della sollevazio-ne popolare in atto in Iran all’indomani del contesta-tissimo risultato elettorale restano ad oggi ancora im-prevedibili.Il regime stringe la sua mor-sa contro i rivoltosi ma ciò a cui stiamo assistendo è mol-to più di un tentativo della piazza di sovvertire un risul-tato elettorale.Per la prima volta in trent’an-ni l’autorità dell’Ayatollah è messa in discussione, il suo spazio di manovra è limita-to da un confl itto tra poteri interno alle istituzioni del-la Repubblica Islamica che “arma” le milizie paramili-tari e i militari tout court. Da una parte assistiamo allo sbocciare improvviso di un anelito di libertà in terra persiana, dall’altra alla ra-pida militarizzazione dello scontro, possibile preambolo ad un pericoloso saldarsi tra l’ala oltranzista guerrafon-daia ed i vertici accerchiati dello Stato dei Mullah.Mentre scriviamo è diffi cile lasciarsi andare alla speranza che la rivolta possa trasfor-marsi in Regime Change, di certo il leader moderato Mousavi nei giorni scorsi ha compiuto una svolta anti sistema che non era rintrac-ciabile nella sua campagna elettorale tutta costellata sì, da distinguo in politica este-ra, dai j’accuse contro la dis-

sennata politica economica di Ahmadinejad ma non da un rigetto delle istituzioni della Repubblica che a que-sto punto egli si propone apertamente di riformare.In tempi di vacche grasse petrolifere Ahmadinejad ha destinato una minima parte dei surplus petroliferi ad irrobustire un economia asfi ttica preferendo l’in-nalzamento del livello di coinvolgimento di Teheran come leader anti-occidenta-le nel grande Medio Oriente alienandosi le simpatie delle classi produttive.Ora che il prezzo petrolife-ro è crollato i nodi vengono al pettine e anche i bazari, classe portante del Paese, gli hanno voltato le spalle. Ma la notizia è che non hanno voltato le spalle solo a lui, le hanno voltate anche ai reli-giosi.In un quadro complesso come quello a cui stiamo as-sistendo diventa assordante il silenzio degli U.S.A., fonti diplomatiche parlano di una serrata rifl essione in corso in queste ore per valutare l’op-portunità di un intervento “diretto” a sostegno dei ri-voltosi secondo uno schema già visto più volte nella sto-ria dell’Iran. Obama avrà il coraggio di fare un tale salto di qualità?Indipendentemente dalla capacità del regime di se-

dare la rivolta, la possibilità che i fatti di questi giorni possano avere il signifi cato che fu di Tien an Men, di-penderanno dal realismo dei religiosi e degli alti dirigenti politici iraniani. Come la Cina di allora comprese che

si sarebbe potuta salvare so-lamente introducendo – an-che se a piccole dosi – reali riforme economiche e dei diritti civili, per il futuro Iran la strada da prendersi all’indomani del bagno di

sangue appare obbligata, pena presto o tardi il totale sovvertimento delle istitu-zioni da parte di una popo-lazione mediamente giova-ne, che non sopporta più la dittatura teocratica.Una rifl essione si impone.

I fatti che scuotono l’Iran sono diffi cilmente scindibili dall’esito delle elezioni liba-nesi che hanno visti scon-fi tti gli Hezbollah, diretta emanazione dei pasdaran, alle porte della Terra Santa.

La rivoluzione verde per le strade di Teheran non è altro che la stessa manifestazione, lo stesso bisogno di libertà e democrazia che in Liba-no hanno potuto trovare espressione nelle urne e che i manifestanti iraniani sono

invece costretti ad esprimere nelle piazze al prezzo della loro vita.Tutto ciò può anche esse-re visto come l’onda lunga della War on Terror e della politica della Democracy

Building in Medio Oriente iniziata con la passata am-ministrazione americana.All’indomani dell’11 settem-bre gli States di G.W.Bush decisero per la guerra ai Talebani e per il Regime Change in Iraq, ciò portò alla sollevazione popolare antisiriana in Libano e al fi orire della speranza demo-cratica pure nel martoriato Iraq, da quel momento alle prese con le prime consulta-zioni democratiche.Alla deposizione del seme della democrazia l’Iran ri-spose armando i proposito egemonici siriani in Liba-no oggi sconfi tti, portando alla guerra contro Israele gli Hezbollah, ispirando e fi -nanziando il colpo di stato di Hamas nei Territori Pa-lestinesi e da ultimo votan-dosi alla destabilizzazione di Baghdad, il tutto incar-nato nella fi gura di Ahma-dinejad e nella sua visione di un Iran atomico. Ebbene questa deriva è stata scon-fi tta e non da eserciti occi-dentali ma dalle masse su cui i regimi stessi autori di tale disegno si appoggiava-no: una svolta copernicana. Paradossalmente Barack Obama rischia di racco-gliere i frutti dell’azione politica di G.W Bush, ma si sa la storia si serve spesso di paradossi per stendere la sua trama.

Iran 2009: la rivoluzione verdeLa crisi della Repubblica Islamica

Caos Iran dopo le elezioni

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Quello di Obama all'Universi-tà del Cairo è stato certamente un discorso storico sia nei toni che nei contenuti.Dopo una interessante intro-duzione in cui ha sottolinea-to quanto sia presente l'Islam nella vita dell'Occidente da secoli, il Presidente USA ha insistentemente rimarcato che è necessaria l'armonia nel mondo. Poi è entrato nel me-rito delle questioni che ha ocu-latamente deciso di aff rontare in questa sede ma ha omesso le questioni più spinose che avrebbe dovuto aff rontare ma a cui ha rinunciato.Da oggi possiamo dire che gli USA hanno abdicato, lascian-do il trono vacante, anzi si sono ritirati, hanno rinnegato quanto fatto in nome degli ideali fondanti l'occidente per cercare una strada onirica per risolvere confl itti decennali. Poco incidono dichiarazio-ni successive dalla Francia, al fi anco di un più attivo Sar-kozy, per ammonire le ambi-zioni nucleari di Iran e Corea del Nord che genereranno instabilità in aree del mondo molto delicate.Per voce del Presidente Oba-ma, in meno di un'ora, l'occi-dente ha capito che invece di lottare per le libertà civili ed individuali si è scoperto op-pressore violento che ha insiti nella sua cultura la violenza e la sottomissione del diverso.E' per questo che Barack Oba-ma ha chiesto scusa, per rifon-dare il rapporto con il mondo islamico.

Nel suo discorso, deciso e scandito spesso da applausi, ha deciso che l'occidente ha dichiarato, negli anni passati, guerra alla religione mussul-mana ed ai suoi fedeli e con questo continuo chiedere scusa non ha fatto altro che avvalorare la tesi dei più radi-cali capi del mondo arabo, ali-mentando un errore concet-tuale che genera conseguenze gravi e legittimando politiche integralistiche ed oltranziste.Mai l’occidente ha dichiarato guerra in questi anni ad una religione. Non risultano atti di discriminazione su base religiosa. Al contrario è sta-ta la cultura dell’odio e del-la violenza di certi ambienti estremisti nel mondo arabo a spingere per una lotta senza quartiere agli infedeli, cioè noi occidentali.E’ ovvio che di errori ne sono stati fatti: la guerra in Iraq, le "cause" che l'hanno scatenata. Il comportamento dei soldati durante la guerra non dovreb-be mai sfuggire di mano e nel-le ultime è successo un nume-ro vergognoso di volte. Ma se un Presidente chiede scusa fa del comportamento di alcuni la volontà del popolo che rap-presenta facendo diventare gli americani sanguinari e sadici assassini agli occhi di un mon-do disinformato e manipolato da chi vuole lo scontro.Parlare dell’Islam moderato, a volte eccessivamente idealizza-to, è giusto ma non si rende giustizia, usando i toni che ha usato Obama, a quell’infi nità

di vittime di governi dittato-riali che negano i diritti uma-ni e discriminano le donne in nome di un’interpretazione della religione. Dire che sarà necessario fare dei passi avanti in questo senso è illudersi di far cambiare la volontà ad un dittatore parlando di bel tem-po.E’ bello e giusto dire che nell’Islam c’è giustizia e pro-gresso ma non si può trascu-rare la realtà. Le vittime parla-no e ammoniscono su questa morbidezza con cui si approc-ciano sanguinose dittature che giustiziano oppositori o pre-sunti tali come noi uccidiamo fastidiosi insetti.Nel suo discorso è stato accor-to, il Presidente, a non usare mai la parola terrorismo: non si parla di corda in casa dell’im-piccato. Ha parlato della mi-naccia e della rinuncia della violenza ma forse si è sentito di aver urtato qualcuno e, per rimediare, ha detto: "I pale-stinesi devono abbandonare ogni forma di violenza, perché resistere attraverso la violenza e l’omicidio è sbagliato e non porta al successo". Usando il verbo resistere ha sancito una legittimazione alla stessa azione che poi ha denigrato nella me-desima frase e questo nessuno si era mai sognato di farlo, in Occidente soprattutto per ri-spetto a migliaia di civili inno-centi che hanno perso la vita.Raramente accade che un pre-sidente rinneghi in modo così perentorio quanto fatto dai suoi predecessori. Per questo

viene spontaneo porsi la do-manda sul perché.E’ un dato di fatto che gli USA non di oggi non riescono a sostenere l’impegno militare profuso in decenni se ne de-duce che la strategia di questo nuovo corso preveda un uso estremo del più economico linguaggio della diplomazia. Come in tutte le cose, però, spendere meno signifi ca ri-nunciare a qualcosa e ad una prima occhiata gli Stati Uniti stanno rinunciando ad una consistente quota di effi cacia.Pensare che la deterrenza mi-litare sia un concetto abusato e sbagliato è fare un salto nel buio soprattutto quando in questa commedia c’è un attore come l’Iran.La Repubblica Islamica merita una particolare attenzione: in-torno a lei girano tre questioni fondamentali che potrebbero mettere in discussione da su-bito gli intenti progressisti del Presidente Obama. La prima questione sono le elezioni po-litiche: non ci si illuda qualora non dovesse essere riconfer-mato Ahmadinejad , non ci saranno diff erenze sulla que-stione nucleare poiché sono le massime autorità religiose a decidere e non il Presidente. Probabilmente senza l’attuale leader la diff erenza si avvertirà sentendo meno teoremi nega-zionisti.La seconda questione sono le elezioni in Libano: se dovesse aff ermarsi Hezbollah, Israele si troverebbe la succursale ira-niana alle porte di casa, una

minaccia che potrebbe portare ad una rapida destabilizzazio-ne della regione.La terza questione e quella del nucleare: l’obiettivo del Pre-sidente Obama è un mondo senza armi nucleari. Il Presi-dente ha anche detto che tutti hanno diritto al nucleare civile arrendendosi al fatto che l’Iran su questo tema è inarrestabile, dando ragione alla linea dura e pura di Ahmadinejad e smon-tando il lavoro del quartetto (comunque rivelatosi inuti-le) e generando sicuramente qualche fastidio in più di un leader.Sempre legato alla questione iraniana c’è il raff reddamento dei rapporti con lo Stato ebrai-co. Israele, da poco governato da Netanyahu, ha smesso di credere negli accordi fi rmati e mai rispettati. Non ha mai rifi utato, il nuovo governo, l’ipotesi della pace ma tiene conto per la prima volta for-malmente dell’impossibilità di negoziare con due interlocu-tori diversi che si combattono sanguinosamente le porzioni principali di ciò che dovreb-be essere lo Stato palestinese: Fatah e Hamas. Questo po-trebbe portare Israele a cer-care una sponda nella Russia, attualmente forse l'unica po-tenza capace di fermare l'Iran bloccando tutte le forniture militari e strutturali per il pro-getto nucleare.Netanyahu sa che la partita è dura e che Obama ha fretta. Nel suo progetto si dovrebbe arrivare ad una soluzione in

due anni. Troppo poco, visti i fattori in campo. Per Israele la questione principale ora è il pericolo di un Iran nucle-arizzato non lo scontro con i palestinesi, per questo vuole garanzie e sempre per questo, con il rifi uto di fermare gli in-sediamenti, ha di fatto messo gli stessi sul piatto. Una mo-neta di scambio che Obama tenta di non dover pagare. Preferirebbe far cadere il go-verno israeliano nella speranza di avere nel prossimo futuro un interlocutore più morbido. Un errore di ingenuità, proba-bilmente.Un discorso, dunque di fac-ciata che cerca di dare agli Stati Uniti un po’ di ossigeno morale ma in questo mondo serve qualcuno che si prenda le responsabilità anche per gli altri e l’America in passato lo ha fatto salvando milioni e milioni di persone. Fare il po-liziotto in giro per il mondo è duro, catalizza ostilità ed anti-patie e impone di sporcasi le mani, qualche volta.Obama non vuole più farlo ed a noi rimane solo la speran-za che chi salirà alla guida di questo mondo creda in quegli stessi ideali che gli USA anno diff uso per decenni.La libertà richiede sacrifi ci di sangue che qualcuno ha deci-so di dimenticare in nome del sogno di un mondo in pace con se stesso. Un eventuali-tà ancora mai avvenuta nella storia dell’umanità e tutt’oggi lontanissima dal realizzarsi.

Gabriele Polgar

La Piazza D’Italia - Esteri

La "rivoluzione" in Iran è un qualcosa che più commentatori e uomini di potere hanno definito epocale. Lo è per le sue potenzialità, per l'effetto domino che avrebbe sul mondo arabo, lo sarebbe, anche per la pace in Medio Oriente su sponda israe-liana. Una cosa però, più indiretta, potrebbe essere un risultato epocale: il ri-sveglio dell'Europa che al-zandosi potrebbe prendere con forza le parti di colo-ro che stanno tentando da giorni di respirare un alito di libertà nella Repubblica islamica.E' vero che il petrolio e tutti i traffici commerciali che abbiamo, chi più chi meno, con l'Iran sono un motivo per astenerci dal pronunciarci con la giusta energia su quanto sta ac-cadendo, sulla repressio-ne, sugli assassini e sugli arresti di dimostranti ma una cosa va stabilita: noi come Italia, come Europa, come occidente siamo un sistema sicuramente basa-to su un fitto intreccio di

interessi economici reci-proci e questo più di ogni altra cosa ha impedito che scoppiassero in passato, in periodi più ombrosi, ten-sioni tra vicini, ma qual'è l'anima (ammesso che ci sia rimasta) su cui abbiamo basato le nostre vite, l'ide-ologia alla base delle nostre istituzioni?Possibile che in nome di accordi economici si con-tinui a rinnegare quanto di più profondo e "nobile" abbiamo?Noi crediamo nella liber-tà!Ma di chi? Crediamo forse nella nostra e riteniamo gli altri merce sacrificabile. E' per questo che probabil-mente gli uomini al pote-re che ci rappresentano si sono scoperti timidi inter-locutori di una dittatura che fa il suo comodo in ogni situazione e fa di ogni occasione una provocazio-ne vincente.Di fronte al nuovo corso della diplomazia USA, il regime iraniano reprime nel sangue chi chiede di riconteggiare le schede, di

fronte alla riunione del G8 dei ministri degli esteri si permette di non rispon-dere all'invito del mini-stro Frattini. Sempre con il nostro Ministro, tempo addietro, si è premesso di spostare il luogo di un'im-portante riunione in Iran dalla capitale al luogo da cui era partito il lancio di un razzo per intimidire quell'occidente rappresen-tato dal nostro capo della diplomazia.L'Europa deve dimostrare di avere ancora quell'ani-ma, deve pretendere senza aver timore di urtare un potere che è scosso dall'in-terno ma che senza una spinta decisa dall'esterno non potrà tremare né tan-to meno cedere e non farà altro che soffocare i moti di libertà di una parte del suo popolo, quella a noi più vicina, quella con cui costruire un futuro.Non è una semplice ma-nifestazione studentesca quell che sta avvenendo: in questo momento in Iran non è in discussione solo il “piccolo” Ahmadinejad

ma i manifestanti stanno sorprendentemente con-testando in modo molto aspro la stessa Guida Su-prema che si è schierata con il Presidente rieletto.C'è l'occasione di rifondare un'entità che da ostile po-trebbe divenire dialogante, c'è la possibilità di pren-derci quel merito che per tanto tempo si sono presi gli americani (giustamen-te) e dimostrare al resto del

mondo che esistiamo e che finalmente cominciamo a muoverci sulle nostre gam-be e non solo e sempre su quello dello Zio Sam.Obama non agisce per paura di invalidare la sua nuova strategia, chiunque sia il presidente iraniano, ma l'Europa che è stata in silenzio per tutto questo tempo può e deve muovere le sue pedine ed impedire che altro sangue venga ver-

sato inutilmente.Se non dovesse accadere non sarebbe sbagliato, da parte di quegli iraniani che stanno lottando, pro-vare un forte senso di ran-core nei nostri confronti per essere stati prima illusi e poi abbandonati a loro stessi e abbiamo visto ne-gli ultimi dieci anni a cosa può portare la percezione dell'ipocrisia dell'occi-dente.

Obama al Cairo lascia il trono vacanteIl discorso del Presidente USA intende cambiare il mondo. Quanto durerà questo sogno?

In Iran si muore e l'Europa?

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La Piazza D’Italia - Politica

Il Governo ad un bivioLe elezioni non sono mai un freddo calcolo percentuale oppure un meccanismo auto-matico di traduzione popolare di aspettative e di analisi pon-derate.Sono più una sorta di autoco-scienza collettiva che prende corpo nel medium della cabina elettorale su impulsi una volta ideologici, oggi pragmatici, dettati cioè dalle necessità che emergono dal menage familia-re oppure dalla mera simpatia che i leader politici riescono a catalizzare.Ogni elezione è chiamata a dire qualcosa, spesso al di là della posta in gioco. Minimi spostamenti elettorali sono capaci di creare cambiamenti epocali, come dimenticare il crollo della Prima repubbli-ca all’indomani delle elezioni dell’aprile del 1991.Allora il pentapartito usciva ri-dimensionato ma pur sempre in grado di governare stabil-mente ed invece il segnale di una DC che non superava la soglia psicologica del 30% fi nì per mandare precisi input agli enzimi necessari a mandare in necrosi l’organismo Prima Re-pubblica.Il dato che esce dalle elezio-ni europee e dal primo turno delle amministrative non sarà con ogni probabilità in grado

di mandare in tilt il sistema politico dell’interminabile fase di transizione Repubblicana altresì denominata Seconda Repubblica, tutto sommato stabilizzatosi intorno a cinque partiti, pur tuttavia rischia di porre la maggioranza parla-mentare, paradossalmente in grado di poter disporre rifor-me a proprio piacimento, in una condizione di stallo su tante voci rimaste disattese nell’agenda di Governo.Federalismo fi scale e decreto sicurezza erano senz’altro ri-forme sentite ma nell’accezio-ne in cui sono state approvate sono risultate più bandiere propagandistiche leghiste che l’inizio di un percorso real-mente riformista che il PDL incarna nel suo DNA agli oc-chi del suo elettorato.Il federalismo fi scale delibera-to introduce infatti semplice-mente nuovi centralismi giac-ché – solo a titolo di evsempio – alle Regioni verrà data facol-tà di introdurre una tassazione unica sulla casa che in pratica farà rientrare dalla fi nestra ciò che a furor di popolo era usci-to dalla porta con l’abolizione dell’ICI sulla prima casa e tut-to ciò una volta ancora per ac-contentare la “fame” di entrate leghista.L’aver impostato il budget di

spesa sui trasferimenti dal co-sto storico al costo standard è certamente una misura saggia ma non ha il contenuto ide-ale di un federalismo se non all’americana per lo meno alla “lombarda” (vedi la proposta Formigoni) che premiava di più i territori senza creare nuo-ve tasse.Soprassedendo sulle ridico-le imposizioni alla delazione anti-clandestini di medici e presidi scolastici, all’elettore del PDL il Governo negli ul-timi mesi ha detto infi ne che l’abolizione delle province può scordarsela perché il fi ero alle-ato Bossi non vuole; la riforma delle pensioni per facilitare la

crescita e aiutare le giovani ge-nerazioni non si può fare sem-pre perché di scarso gradimen-to del fi ero alleato Bossi (con la stravagante convergenza del Ministro dell’Economia ora-mai divenuto alfi ere del penti-tismo liberale).Tutto ciò sopra sommando risulta evidente l’impossibilità di una drastica discesa della pressione fi scale visti e consi-derati – per fortuna – i vincoli di bilancio imposti dalla Unio-ne Europea.E allora che ne è della missione del PDL?All’indomani della innegabi-le battuta d’arresto elettorale nelle europee, che più delle

amministrative, per il loro ca-rattere proporzionale, meglio mettono in risalto l’umore del Paese più di una tornata amministrativa vinta e stra-vinta in assenza di avversari, il Governo e il suo Premier, il PDL stesso sono chiamati a dimostrare di essere sul serio il partito che vuole cambiare il Paese e non semplicemente governare l’esistente secondo una nuova declinazione de-mocristiana che sostituisce alla retorica azionista e cattolica un labile riferimento al liberal-conservatorismo.Il risultato elettorale è stato semplicemente un avverti-mento dell’elettorato al PDL

e al suo leader, un elettorato stanco di chiacchiere, disgu-stato da un discutibile eserci-zio della immagine della Pre-sidenza del Consiglio e da una debolezza troppo manifesta ri-spetto ad un alleato dalle armi spuntate giacché impossibili-tato a far cadere il Governo per il semplice motivo che nel Par-lamento di questa legislatura non è possibile tecnicamente la formazione di qualsiasi go-verno senza il voto del PDL.I prossimi mesi saranno de-terminanti: o verrà rilanciata l’azione di Governo con la proposta di riforme istituzio-nali coerenti, il raff orzamento de bipolarismo se non del bi-partitismo, la razionalizzazio-ne e il taglio radicale della spe-sa pubblica infruttuosa oppure il rischio sistemico, seguente ad un eventuale scenario di un PDL allo sbando nell’im-mediato post-berlusconismo (il Premier volente o nolen-te non sarà ricandidabile alle prossime politiche) sarà serio e la possibilità di vedere il Paese ridotto ad una riedizione grot-tesca delle pastoie tipiche delle ultime fasi della Prima Repub-blica diverrà concreta.Purtroppo la scelta di Silvio Berlusconi di scaricare il refe-rendum del 21 giugno non va nella direzione sperata.

In attesa del Trattato di Lisbona, che dovrà sancire la nascita di un Europa più forte, il futuro si gioca adesso

Europarlamento, il gioco si fa duroIl Parlamento europeo ha un peso consistente oltreché per la rappresentanza perché è a pieno titolo una camera legi-slativa, accanto al Consiglio.Tre sono i suoi poteri fon-damentali: potere legislativo attraverso la procedura di codecisione il Parlamento esercita i poteri di una camera legislativa.Fondamentale il cosiddetto potere di bilancio: il Parla-mento controlla le cosiddette spese non obbligatorie (circa il 55% del bilancio dell’Unio-ne) e dispone del potere di rigettare il bilancio nel suo insieme;in ultima analisi, potere di controllo attraverso cui il Par-lamento approva la nomina della Commissione europea e ha il diritto di censurare tutto il collegio; inoltre, la Com-missione è tenuta a presentar-gli relazioni sulle sue attività.Chi guiderà un’istituzione così importante?Uffi cialmente in lizza due candidati, uno polacco, l’al-tro italiano.I negoziati proseguono fra i molti leader appartenenti al Ppe parallelamente allo svol-gimento dei lavori uffi ciali. L’Italia spinge per la nomina di Mario Mauro, ribadendo la validità della candidatura, mostrando i muscoli: “Siamo il primo partito nel Ppe – ha dichiarato Berlusconi - abbia-mo con il gruppo dell'Udc portato 12 milioni di voti. Auspichiamo che ci possa es-sere considerazione per questa

candidatura perché Mauro è stimato da tutti”In chiave interna, gli ostaco-li posti dal centrosinistra alla candidatura pidiellina hanno off erto il fi anco a Berlusconi per lanciare una crociata pa-triottica in nome dell’italia-nità.In una dichiarazione, la sini-stra ha detto di non esclude-re la possibilità di votare un altro candidato, mentre “noi” – s’è aff rettato a ricordare Berlusconi – “a suo tempo votammo per Prodi”.Ovviamente il Pd, alle prese con un’infi nita ristruttura-zione interna, si è giustifi cata con l’incapacità di Berlusconi di trovare un candidato vin-cente o di imporre la candi-datura di Mauro.Quali sono le frecce nell’arco dell’Italia a favore di Mauro?Innanzitutto, bisogna ricor-dare che l’Italia non ha la pre-sidenza da trent’anni.Poi, rispetto al candidato polacco, siamo un Paese che ha portato al voto il 67% dei cittadini contro il 24% dei polacchi.Terzo, l’Italia ha il primo par-tito nel Ppe.Queste le armi. Se vogliamo trovare delle negatività que-ste vanno tutte ricercate nel colpevole ritardo con cui il nostro Paese ha indicato il proprio candidato.Il che ha comportato ritardo nelle trattative se non auten-tici sgambetti. Si sono attac-cati al presunto cattolicesimo integralista di Mauro, anche

all’interno del Ppe, dove do-minano i protestanti.Purtroppo per noi, nono-stante le mille parole spese a favore di Mauro, il pesante appoggio francese è andato sul polacco Jerzy Buzek.A questo punto, l’ex primo ministro Jerzy Buzek, avreb-be il 70% dei consensi fra le delegazioni nazionali del Ppe, e sarebbe dunque pressocché certo di ottenere il sostegno unitario del gruppo, a spese proprio di Mario Mauro.A seguito del pronunciamen-to di Sarkozy, si sarebbero

chiaramente espressi a favore di Buzek il presidente rome-no Traian Basescu (anche lui del Ppe), e l’ex premier di Varsavia avrebbe ormai il so-stegno di tutti i grandi Paesi (salvo, naturalmente, l’Italia), dei nordici e dei nuovi Stati membri dell’Europa dell’Est. Un vero smacco per l’Italia, che puntava molto – per pre-stigio dovuto – ad avere un proprio uomo.Mario Mauro, a detta di tut-ti, avversari e sostenitori, vice presidente del Parlamento eu-ropeo nella legislatura che si è

appena conclusa, è comun-que un ottimo candidato.Ma le tre succitate frecce nell’arco di Silvio piuttosto non bastano in Europa. Serve altro. Servono relazioni solide e soprattutto – oltreché qual-cosa da off rire (nessuno ti re-gala il voto) – laddove non vi siano canali privilegiati, ami-cizie “vere”.Ma oltre al prestigio, balla pure parecchia sostanza. So-stanza potenziale, ma sempre attraente. Nel momento in cui l’Europa si rifà il trucco.Quella che si sta giocando è

infatti una più ampia partita per varie importanti cariche istituzionali dell’Unione, so-prattutto se entrerà in vigore il nuovo Trattato di Lisbona che prevede un presidente stabile dell’Ue e un rappre-sentante della politica estera con maggiori poteri rispetto all’attuale. Per ora si preferi-sce attendere. Questa la posi-zione di Francia e Germania, asse portante di ogni Europa possibile e immaginabile, in attesa del referendum irlan-dese.Nella speranza che basti.

Gli italiani non sono stupidi.Le elezioni europee hanno di-mostrato che siamo un popo-lo generalista, disinformato e poco attento a molte delle cose importanti che ci riguar-dano ma su una cosa eviden-temente non transigiamo: la nostra dignità di elettori.La campagne elettorale ha parlato molto poco di poli-tica e troppo di cose che as-sai poco c'entrano con essa. Questo lo sappiamo tutti.Sappiamo anche che questo tipo di campagna mediatica, incentrata sull'immagine del premier Berlusconi, è stata portata avanti da mezzi di comunicazione assai vicini al PD.

Ebbene, alla luce di quanto fatto, con attacchi durissi-mi anche da media stranie-ri, anche a scapito del buon nome del nostro Paese (un po' di amor patrio, diamine), i risultati delle consultazioni europee, in attesa poi delle amministrative, hanno vi-sto crescere la Lega, l'IDV, l'UDC ma non chi tutto que-sto rumore aveva generato: il PD che mestamente perde quote di elettorato, eviden-temente stanco di giochini e leader deboli che cercano di fare i moralizzatori da un pulpito che non gli spetta.Questa è una dura reazione del popolo elettorale, un mo-nito per coloro che pensava-

no di poter soprassedere non tanto sulle questioni europee, che a volte curano aspetti del-la vita non percepibile diretta-mente dai cittadini e che per questo non se ne interessano, ma sulla serietà del mandato per cui si sono proposti agli elettori.Speriamo che fi nalmente que-sti politici prendano sul serio coloro che devono rappresen-tare senza trattarli come sud-diti senza aspettative.Nel frattempo nulla è cam-biato politicamente: il PDL ha perso un paio di punti ma è saldo, anche se la Lega sale non supera in nessun collegio il partito principale di gover-no, in Europa ha vinto la de-

stra, e tra poco ci sarà la vera prova di maturità per tutti: il referendum dove si potrà dare una defi nitiva direzione al destino di questo Paese. In caso di raggiungimento del quorum e vittoria dei si, chi vincerà potrà fi nalmente go-vernare da solo prendendosi le sue responsabilità e pagan-done le conseguenze senza alibi.Potrebbe iniziare il vero pe-riodo delle riforme libera-li. Ma questo per ora è solo un'ipotesi che si scontra con logiche di partito e di coali-zione che spesso hanno fer-mato il cambiamento, quello reale, quello di cui abbiamo bisogno.

Europee 2009: la lezione delle urne

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La Piazza D’Italia - Approfondimenti

Le principali misure economiche e gli impegni mantenuti dal Governo Berlusconi

Nonostante la ricorrenza a “cifra tonda” e l’importanza dell’evento regna un silenzio assordante

Risultati economici del Governo

Solidarność: dopo 20 anni in una Polonia europea

Quando parte una legislatura non è mai semplice fare un bilancio, ma quando questa è in una fase più avanzata è opportuno, invece, comin-ciare a verifi care quali sono stati gli impegni mantenuti e quali quelli disattesi.In una legislatura nella qua-le la popolarità del premier sembra non arrestarsi mai, si sono verifi cati due rilevan-ti esternalità: il terremoto dell'Abruzzo e il caso Alita-lia.Di fronte a questi due feno-meni, di portata diversa ma dalle conseguenze sociali ed economiche molto rilevanti, hanno imposto alla maggio-ranza di Governo una cambio di rotta, proprio sul versante del recupero della compagnia di bandiera e su quello del-la ricostruzione di una città rasa al suolo dall'evento cala-mitoso.Il 13 gennaio 2009, CAI, la nuova compagnia di bandiera ha uffi cialmente aperto i bat-tenti, completando un lungo e faticoso percorso di molti mesi, nei quali “la cordata italiana”, ha saputo superare molti ostacoli e raggiunge-re l'obiettivo di mantenere

all'Italia una compagnia di bandiera.La CAI, Compagnia Aerea Italiana, unisce Alitalia e AirOne per meglio compe-tere sul mercato interno e internazionale. Partner in-ternazionale di CAI, con una partecipazione al 25% è AirFrance e con patti chiari. Dopo il quinto anno un in-vestitore iniziale potrà ven-dere a chi vuole, una volta rispettato il diritto di prela-zione. Dunque. Il Governo con il “Piano Fenice” ha av-viato il salvataggio e la priva-tizzazione della compagnia di bandiera, grazie all'impegno di una grande banca italiana e di sedici motivati impren-ditori italiani.Dopo sedici anni scompare l'imposta comunale sugli im-mobili, l'ICI, relativamente alla prima casa e alle sue per-tinenze. Questa tassa locale, nata nel 1992 come imposta straordinaria, è divenuta suc-cessivamente un tributo per-manente sulle abitazioni.Il Governo Berlusconi, nella prima riunione del consiglio dei ministri, ha deciso che da giugno 2008 non deve essere pagata l'imposta comunale

sulla prima casa, ossia l'im-mobile adibito ad abitazione principale; l'esclusione non riguarda invece quegli immo-bili di lusso adibiti ad abita-zione principali ma compresi nella categoria catastale A1, A8 e A9. Il costo dell'ope-razione è di 2,5 miliardi di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009, 2010; a decorre-re dal 2011 si provvederà con la legge fi nanziaria.Per sostenere il reddito dei lavoratori dipendenti, dal primo luglio 2008 è partita la detassazione degli straordi-nari e dei premi di produtti-vità, il fi ne è quello di rende-re meno leggera la busta paga di operai e impiegati, per restituire potere d'acquisto a milioni di lavoratori dipen-denti.Con la nuova normativa, gli straordinari e i premi per i di-pendenti privati con un red-dito fi no a 20 mila euro lordi l'anno, fi no a un ammontare di 3.000 euro per semestre, saranno sottoposti non più all'Irpef e alle sue addizionali, ma è un'imposta secca del 10 per cento. Il primo vantaggio per il lavoratore è è costituito dalla diff erenza fra l'aliquota

Irpef, che va dal 23% in su, e questo nuovo prelievo del 10%. Il secondo vantaggio è costituito dal minor prelievo fi scale legato appunto alle ad-dizionali: poiché le detrazioni per i familiari a carico dimi-nuiscono a mano a mano che il reddito complessivo sale, sganciare l'ammontare di premi e straordinari, renderà più consistenti le detrazioni stesse. Il lavoratore può go-dere di questo più favorevo-le regime fi scale senza dover fare i conti con la burocrazia; spetta, invece, al datore di lavoro a verifi care quali pre-stazioni, vadano sottoposti all'imposta secca del 10% e a verifi care quando ogni lavo-ratore raggiunge il tetto di € 3.000 semestrali.Un problema molti fastidio-so sia a livello ambientale che di immagine del Paese il Governo lo ha ereditato dal-la precedente maggioranza Prodi, cioè quello relativo ai rifi uti. Il 21 maggio 2008, nella prima riunione operati-va del Consiglio dei ministri (tenutasi a Napoli come da impegno preso in campagna elettorale), con un decreto legge il governo ha stabilito

una serie di interventi che in soli 58 giorni hanno messo fi ne all'emergenza rifi uti in Campania. Il risultato è sta-to raggiunto con un grande lavoro coordinato e mirato, che ha visti impegnati in prima linea il Presidente del Consiglio (per otto volte a Napoli in meno di tre mesi), il sottosegretario Bertolaso e il generale Giannini, coman-dante dei militari impegnati per rendere più visibile ed effi cace il ritorno dello Sta-to. Erano ben 551 i Comuni della Campania interessati dall'emergenza. Questi cen-tri producono circa 7.200 tonnellate di rifi uti al gior-no; uscire dall'emergenza ha comportato raccogliere e av-viare a smaltimento la produ-zione quotidiana di immon-dizia insieme con le migliaia di tonnellate accumulatesi nei mesi precedenti.Di rilievo anche i provve-dimenti anticrisi varati dal Governo a sostegno delle fa-miglie, in un contesto di re-cessione economica. Misure a sostegno del reddito come i bonus straordinari per le fa-miglie, per i pensionati, per i lavoratori dipendenti e per i

disoccupati.Non è sicuramente facile sintetizzare la politica econo-mica del Governo in queste poche righe ma quello che occorre sottolineare è l'atti-vità mirata e profi cua che la maggioranza parlamentare ha messo in atto risolvendo una serie di problemi che potevano appesantire la que-stione sociale ed economica del Paese.Si auspicano tempi migliori per il Governo, perchè am-ministrare un Paese in una diffi cile congiuntura inter-nazionale non è mai sempli-ce e gli eff etti delle politiche subiscono inevitabilmente proroghe indesiderate. Ag-giungasi calamità naturali che fl agellano città intere, è del tutto evidente che il cambio di rotta delle politi-che impone mutamenti nella contabilità nazionale e nei fl ussi fi nanziari. Ad oggi ,co-munque, nonostante quanto è accaduto l'indice di soddi-sfazione sociale è alto perchè il Governo ponendo al cen-tro della politica l'individuo insieme alla famiglia non sta lasciando indietro nessuno. Avanzino Capponi

Il 4 giugno, giorno partico-lare, non uno dei tanti. E se l’anno è il 2009, la cifra è an-cor più tonda e la data ancor più emblematica. Si tratta del ventesimo anniversario del-le prime elezioni libere della Polonia, che nel giugno 1989 hanno portato alla fi ne del co-munismo. Il tutto attraverso le manifestazioni operaie in Polonia negli anni 80 che ave-vano portato alla formazione di Solidarność. Il 13 dicembre 1981 il leader comunista Jaru-zelski temendo un intervento sovietico, decise di abbattere Solidarność, dichiarando la legge marziale e imprigionan-do temporaneamente la mag-gior parte dei suoi capi: gli scioperi nazionali del 1988 ob-bligarono il governo ad aprire un dialogo con Solidarnosc. La vittoria di Solidarność alle elezioni smentì tutte le previ-sioni: i suoi candidati conqui-starono tutti i seggi possibili nel Sejm, e 99 seggi su 100 al Senato. Molti importanti candidati comunisti non ot-tennero nemmeno il numero minimo di voti per accedere ai seggi a loro riservati: un nuo-vo governo, non comunista, il primo nell'Europa orientale, si insediò nel settembre 1989. Tali elezioni furono precedute dalle trattative della Tavola Ro-tonda tra governo comunista e opposizione, si conclusero con l’accordo sulla rilegalizzazione del sindacato “Solidarnosc”. Non ci furono manifestazio-ni di piazza come quelle che invece avvennero in seguito a Berlino, Praga e Bucarest. Ce

ne è da commemorare, come si può notare. E allora uno si aspetterebbe fanfare, mani-festazioni, discorsi. Folle di giovani e anziani gli uni devo-ti agli altri a commemorare il ruolo svolto dai secondi, nella speranza che i primi ne saran-no degni. E invece?Nessuna bandiera a sventolare su autobus e tram, su edifi ci privati e pubblici. E allora, ho pensato, che me lo sono sognato che si tratta di una data importante? Impossibi-le, quanto ho testé raccontato l’avevo letto sui libri di scuola e in parte vissuto – sia pur da spettatore.Fatto ancor più insolito, che somma allo strano l’inspiega-bile è che il 4 giugno non sia stato decretato festa nazionale. Si lavora tranquillamente, sen-za troppo rifl ettere su ciò che è stato e la sua importanza.Ma perché l’oblio per un even-to così importante?Eppure, se si continua a cele-brare Walesa come pater pa-triae, a reputare Solidarność il primo mattone della demo-crazia e della libertà polacche, non si può omettere di ricor-dare degnamente gli esiti cui essi portarono.Qualche concerto qua e la, qualche commemorazione di palazzo non possono assoluta-mente bastare.Altrimenti anche le premesse perdono ogni valore.Ai piani alti si vuole invece ri-cordare che proprio in Polonia il comunismo ha mostrato le prime crepe, Alle celebrazioni hanno partecipato le Autorità

diplomatiche, tra cui anche l’Ambasciata polacca di Roma. Questo atestimonianza del fatto che da popolare, l’evento si sia ine-vitabilmente trasformato in elitario, lontano dalle masse. Lontano soprattutto dai gio-vani, ovvero coloro i quali do-vrebbero maggiormente glori-fi carne il ruolo.Per colpa di chi, ciò non è av-venuto?Della dirigenza comunista, che cedendo le redini non vo-leva tuttavia perdere su tutta la linea confi dando in un futuro soccorso della storia, che ne riabilitasse il ruolo?Nel pressapochismo dei vinci-tori, che ha torto non avreb-bero conferito la giusta im-portanza ai riti, ignorando che in democrazia la forma è più che mai sostanza?Il risultato è che le nuove ge-nerazioni sanno ciò che han-no senza sapere perché e i seg-gi che 20 anni fa erano presi d’assalto per il cambiamento vengono oggi mestamente disertati per le elezioni nazio-nali e letteralmente ignorati per quelle europee ormai alle porte.La coscienza civica va di pari passo a quella nazionale: va sempre costruita.L’esito delle europee 2009 dà conferma di quanto detto sinora. Il partito largamen-te vincitore è stato quello dell’astensione, avendo votato solamente il 27,4 per cento degli aventi diritto. Oltre allo scarso conto che tengono della politica in genere, la stragran-

de maggioranza dei polacchi percepisce l’Europa come un ente astratto e distante, inca-pace di condizionare le loro vite. Il distacco dalla politica è talmente elevato che investe qualsiasi classe di cittadini: è trasversale. Tanto da chieder-si: se gli astenuti si mobilitas-sero l’esito elettorale sarebbe identico? Personalmente non credo. I distaccati sono tali, in quanto i loro politici di rife-rimento sono impresentabili. Piattaforma Civica, unico par-tito presentabile, partito pro europee di centro destra del primo ministro Donald Tusk, ha così vita facile nel vincere le

elezioni con il 44,39 per cento in Polonia. Dei 50 seggi a di-sposizione al PO ne sono an-dati 25. Al secondo posto si è piazzato la punta di diamante degli “impresentabili”, il PiS, il partito di conservatori euro-scettici dei gemelli Kaczynski, con il 27,41 per cento dei voti, pari a 15 seggi. A seguire gli atri, tra cui il partito conta-dino col 7% circa.Analizzando il voto, la geogra-fi a dell’astensionismo risulta assai chiara.Nelle grandi città si sono avute le vette di partecipazione al voto. Basti pensare che a Varsavia si è toccato il 40%: un successone

da queste parti.Le campagne invece, segnano percentuali imbarazzanti. In certe zone della Polonia è perce-pita come distante persino Var-savia, fi guriamoci Bruxelles.Un altro dato su cui rifl ettere è la povertà. Difatti non sempre campagna è sinonimo di po-vertà. Essa alberga anche nelle città. E in quelle città dove è più massiccia la presenza di disoccupati il distacco dalla politica è risultato maggiore, con punte di astensionismo fi no al 80%Un dato su cui rifl ettere, a sal-vaguardia della democrazia.

Francesco Di Rosa

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L’India è potenzialmente tra le più grandi economie del mondo e la quarta in termini di potere d’acquisto.Diverse e importanti riforme economiche hanno trasforma-to il paese nella seconda eco-nomia a più rapida crescita; però c’è da dire che il paese soff re ancora di alti livelli di povertà, analfabetismo e mal-nutrizione.La stragrande maggioranza della popolazione è induista, poi vengono i mussulmani e, i sikh costituiscono la maggio-ranza in Punjab.Il capo del governo è il Primo Ministro, esercita l’esecutivo, è nominato dal governo e, per convenzione viene scelto dal partito o dall’alleanza politica che detiene la maggioranza dei seggi nella camera bassa del Parlamento.Il Parlamento è appunto bi-camerale, costituito in una camera alta, il Rajya Sabha ( Consiglio degli Stati) e in una camera bassa chiamata Lok Saba (Casa del Popolo). I membri di quest’ultima sono eletti direttamente dal voto popolare.La politica indiana è domina-ta da trent’anni circa, da due partiti principali: il Congres-so Nazionale Indiano (INC), social democratico e fondato nel 1885; il Partito del Po-polo Indiano (BJP), nazional conservatore (hindu), fondato recentemente nel 1980.Alle recenti elezioni del Mag-gio 2009, l’INC, sotto la gui-da di Sonia Gandhi, si è di nuovo riconfermato alla guida del paese.E appunto, una delle più evi-denti peculiarità della vita de-mocratica indiana è che, alla guida del paese si aff erma da anni una vera e propria dina-stia: i Nehru-Gandhi.Questo può essere positivo perché c’è garanzia di espe-rienza consolidata in uno spi-rito progressista, ma dall’altra parte però, la mancanza di un’alternativa e di nuove facce

democratiche fanno pensare forse, ad un ancora acerbo esercizio di pluralità e prepa-razione tra le fi la del Congres-so Nazionale Indiano (INC).I Nehru-Gandhi, come ormai è risaputo, non hanno alcu-na parentela con il Mahatma Gandhi, il leader pacifi sta che portò il paese all’indipenden-za; il fatto di chiamarsi Gan-dhi dipende solo da un sem-plice caso di omonimia.La storia di questa dinastia di primi ministri, è stata carat-terizzata da potere e tragedie e tutto inizia con Jawaharlal Nehru (14/11/1889- 27/05/ 1964).Dopo la morte del Mahatma nel 1947, Nehru diventa il primo presidente dell’India indipendente.Portò avanti una politica eco-nomica basata su un mix di investimenti pubblici e pri-vati, applicò una razionale ridistribuzione delle terre con l’intento di migliorare le con-dizioni di vita delle zone più rurali, sostenne la nascita delle prime industrie manifatturie-re, cercò di favorire l’istruzio-ne, infatti sotto il suo gover-no nacquero diversi istituti di prestigio sia per le scienze mediche e sia per l’economia e le tecnologie. Cercò di intro-durre importanti modifi che nella tradizionale legge indù che divideva la società in ca-ste e negava diritti alle donne. Rifi utò sul piano militare la sperimentazione della bomba atomica.Nel 1959 alla guida del Con-gresso viene eletta sua fi glia, Indira Nehru, nonostante le forti opposizioni del padre, contrario ad ogni forma di nepotismo.In seguito alla morte del pa-dre, colpito da un attacco di cuore il 27 Maggio del 1964, Indira venne nominata mini-stro dell’informazione.Dopo solo due anni, il suc-cessore di Jawaharlal Nehru muore e lei viene scelta come primo ministro dell’India nel

1966.Si sposa con Feroze Gandhi, omonimo del Mahatma e da qui ha inizio la dinastia politi-ca dei Nehru-Gandhi.Indira divenne molto popo-lare soprattutto grazie alle sconfi tte politiche e militari infl itte al Pakistan.Nei primi anni ’70 però, in seguito alle elezioni del 1972 stravinte dall’INC, venne ac-cusata dal Partito Socialista di aver violato le leggi elettorali e la magistratura aprì un’inchie-sta su di lei e sul fi glio Sanjay.Dal punto di vista economico, portò a termine le riforme di stampo socialista avviate dal padre, in politica estera non si mantenne neutrale come il padre, ma si avvicinò all’Urss e dotò il suo paese della bom-ba atomica.Nel 1975 l’Alta Corte di Al-lahabad condannò Indira a lasciare il proprio seggio in Parlamento e ad abbandonare la politica per sei anni. Lei ri-spose dichiarando lo stato di emergenza e facendo impri-gionare tutti i suoi oppositori politici, assunse diversi poteri speciali e limitò diverse libertà personali ai cittadini.Nel 1977, dopo questo brutto scivolone autoritario, Indira Nehru Gandhi e il suo partito persero le elezioni.Dal ’77 al ’78 fu imprigiona-ta, ma non si fermò, perché riuscì ad ottenere di nuovo il suo seggio in Parlamento nel 1980 e durante le elezioni per il rinnovo della camera bassa, lei e il suo partito ottennero una schiacciante vittoria.In seguito tutte le accuse ven-nero ritirate.Gli anni ’80 furono però dif-fi cili per lei: Sanjay, suo fi glio minore e braccio destro, morì in un incidente aereo il 23 Giugno dell’80; inoltre, Indi-ra dovette aff rontare pesanti rivendicazioni di minoranze etniche. Particolarmente forti erano quelle dei Sikh che mi-nacciavano di dichiarare guer-ra al governo di Nuova Delhi

per ottenere l’indipendenza del Punjab.L’apice dello scontro avvenne nel Giugno dell’84, quando l’esercito attaccò il Tempio dell’Oro a Amritsar, luogo sa-cro per i Sikh, dove sembrava che gli estremisti stessero am-massando degli armamenti. L’attacco causò la morte di 450 persone, tra le quali an-che donne e bambini.Cinque mesi dopo, si compre-se che il nome Gandhi non era l’unica cosa che accomu-nava il Mahatma e la famiglia di Indira: venne uccisa da due delle sue guardie del corpo, entrambe di etnia sikh.In seguito al suo assassinio, Rajiv Gandhi, fi glio maggiore di Indira Nehru e Feroze Gan-dhi e fratello di Sanjay, viene eletto primo ministro.Durante i suoi studi in Inghil-terra conobbe l’italiana Sonia Maino, che sposò nel 1968.Incarnò l’immagine del po-litico incorruttibile, ottenne grandi vittorie politiche e portò avanti una effi ciente ri-forma del partito.In campo economico si al-lontanò dal modello socialista cercando di velocizzare la mo-dernizzazione per mezzo di politiche liberali.Favorì una linea di concilia-zione nazionale, arginando le rivendicazioni etniche, ma già alla fi ne del 1986 seguire questa linea risultava essere piuttosto problematico, quin-di cambiò rotta in favore di un’azione più accentratrice e personalistica.Gli scandali inoltre, colpirono anche lui, perché alcuni suoi collaboratori vennero accusati di aver incassato tangenti per l’accordo stipulato con una ditta svedese per delle fornitu-re militari. Risultato: nel 1989 il Partito del Congresso venne pesantemente sconfi tto.Nel 1991, il 21 Maggio, la di-nastia Gandhi viene di nuovo falciata dalla violenza: Rajiv pochi giorni prima delle nuo-ve elezioni politiche, viene as-

sassinato.I colpevoli non furono accer-tati, secondo alcune ipotesi pare che siano stati appar-tenenti ai Sikh o alle Tigri Tamil; il fatto è che le diff e-renze etniche hanno portato di nuovo morte in un’India che tentava di superare que-sti confl itti interni, nemici di ogni modernizzazione.Dopo quest’ultimo attentato, i Gandhi si allontanano ragio-nevolmente dalla politica, ma il partito perde colpi senza di loro e continua ad essere coin-volto in scandali di corruzio-ne; l’INC, cade in una crisi profonda, a dimostrazione di quanto sia eff ettivamente poco aff ermata e matura la tradizione progressista in In-dia.Così, nel 1998 la moglie di Rajiv, l’italiana Sonia Maino, diviene il nuovo leader del partito.La sua candidatura portò di nuovo alla vittoria il partito nel 2004. Nonostante però il ruolo di Primo Ministro spet-tasse a lei, decide di nominare capo del governo Manmohan Singh; lei,dagli oppositori non era considerata abbastan-za indiana.Cmq, negli anni ’80 venne anche lei coinvolta, assieme al marito, nello scandalo del-le forniture militari indiane commissionate all’azienda svedese Bofors, grazie ad una serie di cospicue somme di denaro fatte arrivare da un certo manager italiano della Snam Progetti, Ottavio Quat-trocchi.Le accuse decaddero e la fami-glia ne uscì pulita.Di certo la sua guida ha risol-levato le sorti del partito ed è riuscita a conquistarsi il largo consenso delle classi più pove-re e dell’elettorato rurale.Infatti è del Maggio 2009 la schiacciante vittoria nelle ulti-me politiche indiane, del Par-tito del Congresso guidato da lei e, come tradizione vuole, da suo fi glio Rahul.

L’UPA (United Progressive Alliance), l’alleanza guidata dal Congresso, ha preso 246 seggi e così le forze progressi-ste dovrebbero avere suffi cien-te maggioranza per governare il paese.Decisivo nella vittoria è stato Rahul e il premier Manmo-han Singh auspica infatti, che faccia presto parte del nuovo governo.Dal 2004 le politiche libera-li della coalizione progressi-sta hanno dato i loro buoni frutti; il piano di garanzie per l’occupazione nelle campagne, promosso da Sonia Maino Gandhi ha migliorato le con-dizioni economiche delle aree rurali; dal punto di vista eco-nomico, il governo indiano ha saputo far fronte alla crisi non facendo eccessivo ricorso alla fi nanza estera, portando avanti una globalizzazione misurata e una democrazia dinastica.Altro personaggio fondamen-tale della vittoria, che assicura ai Gandhi un secondo quin-quennio di potere è Pryanka, sorella di Rahul, la quale ha fatto la campagna elettorale per la madre e il fratello. Si-mile alla nonna Indira, molti l’hanno designata come “ere-de” della madre, ma lei, ha rifi utato per ora.E così si avvia la “nuova” sta-gione progressista per L’India, con la speranza che i confl it-ti etnici e le questioni di ca-sta vengano defi nitivamente sconfi tti in nome di una velo-ce e aperta modernizzazione. Inoltre, sebbene sia davvero interessante vedere delle don-ne alla guida di un paese che spesso negava loro diritti fon-damentali, l’auspicio è quello di vedere nei prossimi anni sotto la luce dei rifl ettori altri protagonisti nella vita politica del Congresso, al fi ne di avere così la certezza di una dinami-cità di partito e acquisizione consapevole dei mezzi demo-cratici.

Ilaria Parpaglioni

La Piazza D’Italia - Approfondimenti

Che spettacolo!

Gheddafi : lezioni di democrazia

L'india alla dinastia Gandhi

Inesorabile e vendicativo si è mostrato nelle coscienze di alcuni italiani (non po-chi) un senso di imbarazzo e disagio nel vedere le nostre istituzioni accogliere il Co-lonnello Gheddafi con tanto entusiasmo.La Real Politic ha avuto la massima espressione in que-sti giorni. L'Italia e l'Europa hanno bisogno della Libia e per questo noi, rappresen-tanti di un occidente demo-cratico, abbiamo rinunciato ai nostri principi dando lo spazio in ambienti di grande tradizione democratica ad un leader che in casa sua non ri-spetta i più elementari diritti umani.Accogliere un capo di Stato di un Paese è giusto ma per farlo parlare in Senato (aula negata al Dalai Lama) o in luogo sostitutivo (cambiato

all'ultimo momento) bisogna che il soggetto in questione condivida e attui i valori fon-damentali della nostra Re-pubblica. E' vero che questa è pura retorica ma a quanto di noi stessi dobbiamo ri-nunciare per evitare (forse) l'immigrazione di massa e (sempre forse) garantirci ap-provvigionamenti energetici?L'Italia ha concesso molto, si è impegnata politicamente e fi nanziariamente per chiu-dere un capitolo critico del-la sua storia e per rinnovare i rapporti con l'ex colonia. Concordato il risarcimento e aperto un nuovo capitolo è stato opportuno parlare di pace e sbattere in faccia fatti dolorosi del passato che l'ac-cordo ha già defi nito come errori? Ha fatto bene il Pre-sidente della Repubblica Na-politano ad apparire insieme

al Colonnello che aveva ap-piccicata sull'uniforme la foto dell'eroe libico anti-italiano? E' questo il modo di sancire il nuovo corso tra i due paesi? Evidentemente si.Il paradosso si è manifestato però in altre sedi. Prima di tutto all'Università La Sa-pienza il Colonnello ha tenu-to una Lectio Magistralis che qualche tempo fa è stata ne-gata a Papa Benedetto XVI. Off ensivo e assurdo il con-fronto tra le due fi gure.Il secondo è stato il divieto della diretta televisiva negli eventi tenutisi al Comune di Roma per tutte le emittenti al di fuori di due libiche, ov-viamente.Tutto per accontentare un dittatore che sente di incar-nare il suo popolo negando-gli quindi la necessità di una volontà espressa, che denigra

il nostro sistema democrati-co, che predica la sparizione dei partiti dal sistema italia-no per un governo dei citta-dini.Senza dimenticare che la maturazione della Libia è stata cosa assai repentina ed improvvisa: solo negli ulti-mi anni Gheddafi, abilmen-te, ha invertito la sua rotta passando da sostenitore e finanziatore di organizza-zioni vicine al terrorismo internazionale a interlocu-tore, mediatore e benefatto-re dell'occidente nella lotta al terrorismo stesso.Nei suoi discorsi ha con-dannato gli atti terroristici indulgendo poi sullo stesso argomento e chiedendo di capirne le ragioni. Ha poi paragonato gli Stati Uniti a Bin Laden per il bombarda-mento di Tripoli nel 1986,

da cui poi partirono 2 mis-sili in direzione del territorio italiano.Gli USA per il leader libico sono dei colonizzatori che volgiono dominare il mondo. Dimentica il Colonnello che grazie agli intenti "colonia-listi" americani, da lui tanto decantati, l'Europa è stata liberata dal nazi-fascismo, quindi la Libia è stata libe-rata anche grazie a loro dagli oppressori italiani.Un soggetto che è stato sdo-ganato dopo aver accettato di consegnare due sospettati e di risarcire le famiglie del-le vittime del volo Pan-Am 103, abbattuto a Lockerbie da terroristi ricondotti al lea-der libico (uno degli accusati, Abdel Basset Ali al-Megrahi, era un uffi ciale dell'intelli-gence libica), è stato lasciato esprimere liberamente con-

cetti in distonia con i nostri valori, gli è stato donato un palco internazionale che for-se è stato sottovalutato dalle nostre autorità che probabil-mente si sono fi dati del buon senso di Gheddafi , aspetto della sua personalità per altro mai dimostrato.Un contentino è poi quello di annullare la manifestazio-ne da parte del Presidente Fini alla sala della Lupa per un ritardo ingiustifi cato del Colonnello, probabilmente avvertito dei contenuti del discorso preparato dal Presi-dente della Camera.Il leader libico è stato trattato meglio di personalità molto meno discutibili di lui e per questo i politici italiani ne dovrebbero rispondere.Ha fatto bene Gheddafi . Po-veri noi.

Gabriele Polgar