1-15/16-31 Marzo 2009 - Anno XLV - NN. 51-52

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COPIA OMAGGIO La Piazza d’Italia In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Rom-Italy — Fondato da Turchi — www.lapiazzaditalia.it Adesso è ufficiale: l’era di Al- leanza Nazionale e Forza Italia si è chiusa definitivamente. E sempre ufficialmente il Po- polo delle Libertà ha emesso i suoi primi vagiti, anzi le proprie urla, che se verranno trasformate al più presto in atti concreti dal Governo e dalla maggioranza di centro- destra attualmente in carica, potranno finalmente far en- trare il Paese nell’epoca della seconda Repubblica: quella vera non in quella di car- tapesta costruita dalle man- ette di mani pulite e dalle chiacchiere dei politicanti,dei giornali, dei poteri forti dallo sguardo torto sistematica- mente sempre e solo a sinis- tra. Alla Fiera di Roma è an- dato in scena per tre giorni un congresso - imponente, importante, ricco di sug- gestioni - che ha suggellato la leadership di Berlusconi, l’importanza di Fini e la vici- nanza d’idee con la grande famiglia politica del Partito Popolare Europeo. L’importanza dell’evento, e l’interesse da esso suscitato, è stata sottolineata non solo dal rilievo degli interventi che gli iscritti a parlare hanno tenuto ma pure dalla grandezza dei numeri che immediatamente fotografano quella che è stata la kermesse politica appena conclusasi. Seimila i delegati presenti, provenienti da tutte le regioni d’Italia. Oltre quattromila circa gli ospiti e gli invitati, tra cui il presidente del PPE Wilfried Martens. Quasi un migliaio i giornalisti accredi- tati da più di 200 testate di tutto il mondo. Dodicimila i metri quadrati a disposizione della manifestazione, 600 i metri quadrati d’ampiezza del palco da cui hanno par- lato gli intervenuti, 500 i metri quadri del “videowall” dal quale tutte le migliaia di partecipanti hanno potuto meglio osservare l’andamento dei lavori. Tre i milioni di euro il costo totale della manifestazione pagato per due terzi da Forza Italia ed il rimanente dalle casse di Al- leanza Nazionale. Di Berlusconi e Fini ovvia- mente i contributi più im- portanti. Il Presidente del consiglio in carica addirittura ha tenuto due discorsi, uno nel giorno dell’apertura dei lavori e un altro in quello del commiato. Nel primo intervento il Cav- aliere ha inizialmente sot- tolineato l’importanza della nascita del partito unico del centrodestra, definendolo come un grande sogno che si avvera e che potenzialmente potrebbe arrivare a raccogliere più del 50% dei consensi dei cittadini italiani. Proseguen- do egli ha ribadito che il PDL è stata la giusta coronazione di due cammini paralleli - ora fusisi insieme - tenuti nel corso degli anni non solo dai dirigenti e dai politici di Forza Italia e Alleanza Nazi- onale ma soprattutto dai cit- tadini italiani che guardano ai valori e agli ideali del cen- trodestra: l’amore per la vita, per la patria, per i più deboli, per l’impresa privata, la tol- leranza verso il diverso o chi la pensa differentemente e sui valori fondanti della religione Cattolica. Si è ufficializzata e notificata quindi, la creazione di un unico popolo delle lib- ertà che ha avuto come ideali precursori don Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi e la De- mocrazia Cristiana e come primo ideatore del centro destra allargato lo scomparso Pinuccio Tatarella. Il Premier nel discorso che ha dato il via ufficiale ai lavori del primo congresso del PDL ha poi ribadito alla platea quali saranno le azioni e i valori che caratterizzeranno l’operato dl nuovo soggetto politico: il tentativo di dare una svolta liberale - anzi sarà una vera e propria rivoluzione, come è stata definita da Berlusconi I rivoluzionari della libertà Il congresso fondativo del PDL elegge presidente del partito Silvio Berlusconi per acclamazione LA PIAZZA D’ITALIA Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 La Governance mondiale É ora di dare APPROFONDIMENTI — a pagina 4 — — a pagina 6 — ECONOMIA La nuova avventura Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti www.lapiazzaditalia.it Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 - DCB-Roma 1-15/16-31 Marzo 2009 - Anno XLV - NN. 51-52 0,25 (Quindicinale) E’ partita la nuova avventura del PDL, en- tusiasmante e con un mare di passione ed in- teresse. Quel “genio” della comunicazione di Silvio Berlusconi ha raggiunto il risultato storico di unire due partiti (Al- leanza Nazionale e Forza Italia) e lanciarne uno nuovo che resterà nella storia di questo Paese. Certo ad oggi l’osmosi della figura di Berlus- coni con il Partito è unica ed al contempo in continua ascesa, ma bi- sogna pensare nel lungo termine ad una strategia da adottare. Prima di tutto cambiare nel segno del rinnova- mento della classe diri- gente in tutti i campi: i giovani! Seconda cosa, allargare il nuovo partito in tutti i settori, con proposte del PDL insieme al Governo (che può es- sere in questo momento un fenomenale veicolo di lancio dell’iniziativa del partito stesso) che diventino disegni di legge, dalla costituzione all’ambiente, al sociale, alla ricerca in genere come sulla sanità. Sottolineerei infine i val- ori fondamentali Italiani in ogni momento come linea di demarcazione fra il PDL ed il PD; tra noi e quello che rapp- resenta il centro sinistra c’è un divario storico, identitario, culturale, religioso enorme e che si identifica in: Dio, Patria e Famiglia. Abb. sostenitore da 1000 - Abb. annuale 500 - Abb. semestrale 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina Segue a pagina 2 di FRANZ TURCHI

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I rivoluzionari della libertà. Il congresso fondativo del PDL elegge presidente del partito Silvio Berlusconi per acclamazione - Marzo 2009 LA PIAZZA D'ITALIA - www.lapiazzaditalia.it - fondato da Franz Turchi 1-15/16-31 Marzo 2009 - Anno XLV - NN. 51-52 € 0,25 (Quindicinale)

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La Piazza d’Italiain caso di mancato recapito restituire a poste Roma Romanina

per la restituzione al mittente previo addebito - TaXE pERcUE tass. riscoss Rom-italy

— Fondato da Turchi —

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Adesso è ufficiale: l’era di Al-leanza Nazionale e Forza Italia si è chiusa definitivamente. E sempre ufficialmente il Po-polo delle Libertà ha emesso i suoi primi vagiti, anzi le proprie urla, che se verranno trasformate al più presto in atti concreti dal Governo e dalla maggioranza di centro-destra attualmente in carica, potranno finalmente far en-trare il Paese nell’epoca della seconda Repubblica: quella vera non in quella di car-tapesta costruita dalle man-ette di mani pulite e dalle chiacchiere dei politicanti,dei giornali, dei poteri forti dallo sguardo torto sistematica-mente sempre e solo a sinis-tra. Alla Fiera di Roma è an-dato in scena per tre giorni un congresso - imponente, importante, ricco di sug-gestioni - che ha suggellato la leadership di Berlusconi, l’importanza di Fini e la vici-nanza d’idee con la grande famiglia politica del Partito Popolare Europeo.L’importanza dell’evento, e l’interesse da esso suscitato, è stata sottolineata non solo dal

rilievo degli interventi che gli iscritti a parlare hanno tenuto ma pure dalla grandezza dei numeri che immediatamente fotografano quella che è stata la kermesse politica appena conclusasi.Seimila i delegati presenti, provenienti da tutte le regioni d’Italia. Oltre quattromila circa gli ospiti e gli invitati, tra cui il presidente del PPE Wilfried Martens. Quasi un migliaio i giornalisti accredi-tati da più di 200 testate di tutto il mondo. Dodicimila i metri quadrati a disposizione della manifestazione, 600 i metri quadrati d’ampiezza del palco da cui hanno par-lato gli intervenuti, 500 i metri quadri del “videowall” dal quale tutte le migliaia di partecipanti hanno potuto meglio osservare l’andamento dei lavori. Tre i milioni di euro il costo totale della manifestazione pagato per due terzi da Forza Italia ed il rimanente dalle casse di Al-leanza Nazionale. Di Berlusconi e Fini ovvia-mente i contributi più im-portanti.Il Presidente del consiglio in

carica addirittura ha tenuto due discorsi, uno nel giorno dell’apertura dei lavori e un altro in quello del commiato.Nel primo intervento il Cav-aliere ha inizialmente sot-tolineato l’importanza della nascita del partito unico del centrodestra, definendolo come un grande sogno che si avvera e che potenzialmente potrebbe arrivare a raccogliere più del 50% dei consensi dei cittadini italiani. Proseguen-do egli ha ribadito che il PDL è stata la giusta coronazione di due cammini paralleli - ora fusisi insieme - tenuti nel corso degli anni non solo dai dirigenti e dai politici di Forza Italia e Alleanza Nazi-onale ma soprattutto dai cit-tadini italiani che guardano ai valori e agli ideali del cen-trodestra: l’amore per la vita, per la patria, per i più deboli, per l’impresa privata, la tol-leranza verso il diverso o chi la pensa differentemente e sui valori fondanti della religione Cattolica. Si è ufficializzata e notificata quindi, la creazione di un unico popolo delle lib-ertà che ha avuto come ideali precursori don Luigi Sturzo,

Alcide De Gasperi e la De-mocrazia Cristiana e come primo ideatore del centro destra allargato lo scomparso Pinuccio Tatarella.Il Premier nel discorso che ha dato il via ufficiale ai lavori del primo congresso del PDL ha poi ribadito alla platea quali

saranno le azioni e i valori che caratterizzeranno l’operato dl nuovo soggetto politico: il tentativo di dare una svolta liberale - anzi sarà una vera e propria rivoluzione, come è stata definita da Berlusconi

I rivoluzionari della libertàIl congresso fondativo del PDL elegge presidente del partito Silvio Berlusconi per acclamazione

La PIazza d’ItaLIa

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EconomiaLa nuova avventura

Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia

Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti

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Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L27/02/2004 num. 46) art. 1 - DCB-Roma 1-15/16-31 Marzo 2009 - Anno XLV - NN. 51-52 € 0,25 (Quindicinale)

E’ partita la nuova avventura del PDL, en-tusiasmante e con un mare di passione ed in-teresse.Quel “genio” della comunicazione di Silvio Berlusconi ha raggiunto il risultato storico di unire due partiti (Al-leanza Nazionale e Forza Italia) e lanciarne uno nuovo che resterà nella storia di questo Paese.Certo ad oggi l’osmosi della figura di Berlus-coni con il Partito è unica ed al contempo in continua ascesa, ma bi-sogna pensare nel lungo termine ad una strategia da adottare. Prima di tutto cambiare nel segno del rinnova-mento della classe diri-gente in tutti i campi: i giovani!Seconda cosa, allargare il nuovo partito in tutti i settori, con proposte del PDL insieme al Governo (che può es-sere in questo momento un fenomenale veicolo di lancio dell’iniziativa del partito stesso) che diventino disegni di legge, dalla costituzione all’ambiente, al sociale, alla ricerca in genere come sulla sanità.Sottolineerei infine i val-ori fondamentali Italiani in ogni momento come linea di demarcazione fra il PDL ed il PD; tra noi e quello che rapp-resenta il centro sinistra c’è un divario storico, identitario, culturale, religioso enorme e che si identifica in: Dio, Patria e Famiglia.

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Pag. 2 1-15/16-31 marzo 2009

La Piazza D’Italia - Italia

I rivoluzionari della libertà

La Piazza d’Italiafondato da TURCHI

Via E. Q. Visconti, 2000193 - Roma

Luigi TurchiDirettore

Franz Turchico-Direttore

Lucio VetrellaDirettore Responsabile

Proprietaria: Soc. EDITRICE EUROPEA s.r.l.

Registrato al tribunale di Roma n.9111 - 12 marzo 1963

Concessionaria esclusiva per la vendita: S.E.E. s.r.l.Via San Carlo da Sezze, 1 - 00178 Roma

www.lapiazzaditalia.itE-mail: [email protected]

Manoscritti e foto anche non pubblicati, e libri anche non recensiti, non si restituiscono. Cod. ISSN 1722-120X

Stampa: DEL GROSSO s.r.l.Via Emilia, 43 - 00187 Roma

FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI MARZO 2009

GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI:L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a S.E.E. s.r.. - Via S. Carlo da Sezze, 1 - 00178 Roma. Le informazioni custodite nell’archivio dell’editore verranno utilizzate al solo scopo di inviare copie del giornale (Legge 675/96 tutela dati perso-nali). La responsabilità delle opinioni espresse negli artioli firmati è degli autori

Il nostro Paese da all'Europa più di quello che riceve e spende meno di quello che potrebbe

Il congresso fondativo del PDL elegge presidente del partito Silvio Berlusconi per acclamazione

Da un'indagine dell'Euri-spes emerge in maniera ine-quivocabile che l'Italia versa all'Europa più di quanto ri-ceve e detiene un livello di spesa inferiore rispetto alle potenzialità. Eurispes, se-gnala questo disequilibrio e sprona a trovare una soluzio-ne al problema soprattutto

ora che la crisi economica e sociale richiede maggiori ca-pacità e risorse.Dal 1995 al 2006 l'Italia ha accumulato nei confronti dell'Europa un saldo negati-vo di 30,3 miliardi di euro, tanto da piazzare il nostro Paese al terzo posto per inci-denza sul totale delle entra-te dopo la Germania (20%) e la Francia (16,9%), ma le risorse accreditate all'Ita-lia dall'Unione sono state inferiori di 3,5 miliardi di euro. Dei finanziamenti ri-cevuti nel biennio 2006-07, le regioni del Mezzogiorno rischiano di perdere circa 9,3 miliardi di euro a causa dell'incapacità di attivare le procedure adeguate in un apparato estremamente bu-rocratizzato come il nostro, dalla scarsa propensione a far rete degli enti locali e dalla mancanza di una diffusa in-formazione presso i cittadini sull'esistenza dei Fondi strut-turali. Si tratta di una cifra che da sola coprirebbe una Finanziaria e che fa dell'Ita-lia il paese meno virtuoso dell'UE in questo settore.L'affannosa ricerca di risorse e le ipotesi più disparate per affrontare la crisi economica, che contraddistinguono il lavoro delle forze politiche degli ultimi mesi, potrebbe-ro dunque trovare maggiore riscontro e più senso, se in-

canalate verso la risoluzione di un così evidente spreco.Una maggiore capacità di spesa dei fondi, che altro non sono che nostri soldi, consentirebbe innegabil-mente a riattivare diversi settori dell'economia, a cre-are occupazione, a sostenere l'imprenditoria e a rianimare il settore della formazione, dell'istruzione e della ricerca penalizzate dalle ultime ma-novre finanziarie.Il confronto tra il contribu-to al Bilancio dell'Unione Europea e i finanziamenti da quest'ultima erogati per i programmi di sviluppo eco-nomico, crescita occupazio-nale, sostegno alle imprese, evidenzia come negli ultimi dodici anni l'Italia sia stata un contribuente netto, con un saldo negativo tra risor-se messe a disposizione e risorse accreditate dall'UE rispettivamente 135,3 e 105 miliardi di euro (-30,3 mld di euro).A fronte di un incremento dei contributi al Bilancio dell'UE di oltre 10,6 mi-liardi di euro tra il biennio 1995-1996 e 2005-2006 gli accrediti dell'UE all'Italia sono aumentati solamen-te di 6,7 miliardi di euro (+51,2%), con il conseguen-te peggioramento del saldo negativo, quasi raddoppiato in dodici anni, (da 4,2 mld

nel 1995-96 a -8,2 mld nel 2005-2006).Quanto sopra riportato è sicuramente una perfetta fotografia della gestione fi-nanziaria che l'Italia ha nei rapporti con l'UE. Le do-mande che vengono da una semplice valutazione dei fatti possono essere molteplici ma il filo conduttore è sempre e solamente uno: perché il ma-nagement Italia spreca così tanto del resto sopportando inutilmente degli oneri col-legati a nessun beneficio?Classica e tipica distrazione all'italiana o incapacità ge-stionale?L'Europa come si vede non è una scatola vuota, ma un coacervo di strumenti finan-ziari che se adeguatamente utilizzati possono risolvere molti problemi agli Stati membri. Del resto i contri-buti nazionali al bilancio comunitario costituiscono un obbligo proprio per con-seguire l'espressa finalità di finanziare programmi di svi-luppo all'interno delle realtà economiche nazionali. L'Ita-lia, invece, è il peggiore uti-lizzatore di questi strumenti, pur contribuendo notevol-mente al bilancio.Questo disequilibrio finan-ziario non può permanere ed in fretta i responsabili do-vrebbero provvedere alla ri-soluzione del problema onde

evitare ulteriori aggravi alla finanza pubblica.Non è tollerabile che l'ap-parato della pubblica ammi-nistrazione del nostro Paese con tutte le sue articolazioni territoriali, continui a pesa-re sull'intera collettività per inefficienza.Ecco, l'inefficienza sta di-ventando una tassa ingiusta che comincia a gravare sui cittadini senza una motiva-zione accettabile. A fronte di questa, i benefici sono prati-camente nulli, e per questo come per ogni altro tipo di inefficienza devono ricercarsi i responsabili in modo che rispondano in prima persona dei danni arrecati alla col-lettività. Qui entra in gioco l'importanza della prossima consultazione europea, non è pensabile riproporre una rappresentanza politica che tolleri la suindicata “distra-zione” o meglio che si per-duri in una acuta miopia di fronte agli sprechi che or-mai hanno invaso la nostra finanza pubblica. In una si-tuazione di crisi economica e sociale, ancor più decisive si rivelano le scelte nella di-rezione di quelle personalità che sappino ottimizzare il processo di finanziamento europeo riequilibrando il sistema dei costi e dei bene-fici.Chi ritiene, oggi, che le con-

sultazioni elettorali possano rappresentare una perdita di tempo motivandole con lo slogan ormai imperante del “tanto son tutti uguali” commette un errore di va-lutazione. I cittadini degli Stati membri devono ren-dersi conto che la complessi-tà della governance è sempre più una realtà e gli italiani di fronte a questa non possono sfuggire, ma devono con un consapevole atto di volontà scegliere il rappresentante che meglio degli altri ha i requisiti tecnico-politici per far valere gli interessi e i di-ritti dello Stato nel consesso europeo.Gli strumenti finanziari esi-stono, sono utilizzabili e l'Italia ha il diritto di usufru-irne, ma se ciò non è adegua-tamente supportato da capa-cità tecniche che consentano l'attivazione delle procedure idonee all'ottenimento dei finanziamenti opportuni, il nostro Paese rischia voluta-mente di aggravare la sua si-tuazione finanziaria. Questo va impedito.Il modello a cui bisognereb-be tendere è quello dell'ec-cellenza in tutti i settori, si auspica che dopo anni di stagnazione il processo di finanziamento dei Fondi strutturali possa riprendere la strada dell'Italia con mag-giori accrediti.

per informazioni e abbonamenti chiamare il numero verde:

Dalla Prima

L'Italia speciale contribuente dell'Unione Europea

L'on. Luigi Turchi, già Parla-mentare della Camera dei De-putati e Commissario Gover-nativo degli Expo Universali ed Internazionali, membro del Comitato Tecnico per il ''Giu-bileo 2000'', nonché fondato-re del Secolo d'Italia e de La Piazza d'Italia, è stato insignito della più alta onorificenza della Santa Sede: Commendatore S. Gregorii Magni, attribuita an-

che ai Capi di Stato, .La cerimonia di conferimento è stata officiata presso il Mona-stero delle Brigidine, alla pre-senza della Superiora Madre Tecla Famiglietti, del Segreta-rio Generale del Governato-rato S.E. Renato Boccardo, e di tutta la famiglia Turchi: la moglie Carla ed i figli Giulia, Franz, ed Ezio.

stesso - moderata, borghese, popolare ed interclassista. Rivoluzione che sempre sec-ondo il Premier non potrà prescindere dal cambiamento della struttura istituzionale e costituzionale dell’Italia.Il presidente della Camera Fini - nell’intervento tenuto il secondo giorno del Congresso del PDL - ha innanzitutto vo-luto ringraziare il Presidente del Consiglio senza la cui “lucida follia” il Popolo delle Libertà non sarebbe neppure nato. Poi ha proseguito de-scrivendo l’importanza della laicità delle istituzioni ital-iane e soprattutto ha riba-dito la necessità di iniziare una stagione costituente che finalmente possa modifi-care la seconda parte della Costituzione dando magari maggiori poteri al Governo e spingendo il sistema ancor più verso il bipolarismo. Per questo motivo - sempre sec-ondo Fini - bisognerà capire e decidere insieme cosa fare in occasione dei referendum sulla legge elettorale del prossimo giugno. L’ex Presi-dente di AN ha poi parlato

dell’importanza di dare nuove regole a capitalismo e finanza visto come è nata l’attuale crisi economica mondiale e del rilievo che dovrà avere il federalismo fiscale che potrà

essere un’occasione per liber-are nuove energie e mandare direttamente al macero il sistema clientelare. Insomma un Fini a tutto campo che ha parlato per circa un’ora non dimenticando neppure la ne-cessità di impegnarsi per otte-nere attraverso la riforma del welfare e un patto generazi-onale una concordia sociale che garantisca la stabilità.Come previsto l’ultimo giorno del congresso è stato dedicato all’elezione per acclamazione del presidente del partito,

Berlusconi, all’approvazione dello statuto della nuova for-mazione politica, alla elezione del “triumvirato” Bondi, La Russa, Verdini che coordiner-anno la vita del PDL e al dis-

corso di chiusura del Primo Ministro.E ancora una volta il suo in-tervento è stato incentrato sull’esigenza di effettuare una riforma istituzionale che garantisca maggiore gov-ernabilità - aiutati magari dall’opposizione almeno una volta costruttiva - che rivital-izzi, modernizzi e arricchisca la Costituzione dando final-mente veri poteri decisionali al Premier, modificando anche i regolamenti parlamentari che frenano l’iter d’approvazione

delle leggi.Berlusconi ha poi parlato del-la necessità di modificare il sistema universitario italiano tagliando i molti corsi di lau-rea inutili e le superflue mi-nuscole sedi distaccate, rib-adendo che mai più la scuola italiana sarà utilizzata come ammortizzatore sociale per parcheggiare la diffusa disoc-cupazione intellettuale. Dis-occupazione che sarà frenata attraverso un piano di con-cessione di “prestiti d’onore” per i giovani che proporranno nuovi progetti imprenditoria-li. Infine il Cavaliere ha con-cluso il proprio intervento rendendo note come al solito le cifre dei sondaggi, che ve-dono costantemente il PDL al di sopra del 44% dei con-sensi dei cittadini e lanciando il guanto di sfida a Frances-chini, affinché anche il segre-tario del Partito Democratico si candidi alle elezioni Europ-ee di giugno come capolista del proprio schieramento.Insomma le premesse sono buone e anche l’ottimismo riguardo la riuscita di questa nuova sfida politica è alto tra le truppe e gli “aficionados”

del centro destra. Come an-diamo ripetendo da tempo sarà necessario ancorare la struttura partitica saldamente al territorio senza lasciarsi fuorviare da derive corren-tistiche. Ma soprattutto sarà indispensabile bandire dalla vita del partito ai doppi in-carichi in tutti gli ambiti, pri-marie farsa e dare più spazio ad ogni livello ai giovani che abbiano saputo, pur non es-

sendo legati a cordate, poten-tati, amici degli amici, met-tersi in evidenza attraverso le proprie qualità. Il Popolo delle Libertà dovrà essere la casa del pensiero liberale ma soprattutto dovrà essere la fucina, il luogo delle discus-sioni politiche e culturali non più subalterne al pensiero unico di una sinistra oramai alla deriva.

Giuliano Leo

L'On. Luigi Turchi nominato Commendatore

S. Gregorii Magni

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La Piazza D’Italia - Economia

“Le banche non hanno otte-nuto soldi dallo Stato per la loro bella faccia ma perché diano sostegno alle imprese con hanno sempre fatto”. Lo ha detto Umberto Bossi. Lo sforzo che il governo, le parti sociali e le banche si appresta-no a compiere per assicurare una sufficiente erogazione di credito all'economia, è sinte-tizzato in sei punti. Ad elenca-re le priorità nel breve termine è il documento di sintesi dei lavori della seconda giornata del “liquidity day”.I sei punti illustrati sono i seguenti: chiudere l'iter della normativa relativa al Fondo di Garanzia per le pmi; avviare gli Osservatori presso le Pre-fetture; avanzare in merito alla certificazione dei crediti verso la pubblica amministrazione; predisporre l'operatività della Cassa Depositi e Prestiti una volta che sia perfezionato l'iter parlamentare normativo; pre-disporre l'operatività di Sace in merito alle garanzie nei confronti dei crediti verso la pubblica amministrazione; av-viare l'Osservatorio nazionale.“Chiedere alle banche di copri-re il 100% del fabbisogno del-le imprese non è ragionevole”. Lo ha detto Renato Pagliaro, direttore generale di Medio-banca alla presentazione dello studio sulle medie imprese in-dustriali svoltosi ieri a Roma. Pagliaro ha sottolineato che ci sono due categorie di imprese:

la prima che paga dipendenti e fornitori e alla quale la ban-ca si adatta a non incassare gli interessi per agevolare il rien-tro. Poi ci sono quelle aziende che non riescono a pagare i fornitori e hanno un bisogno strutturale di credito in atte-sa di tempi migliori. Pagliaro evidenzia chiaramente una questione molto importante e tipologica: le aziende che hanno una solvibilità molto alta sicuramente trarranno vantaggi in termini di flessi-bilità bancaria, mentre quelle che non hanno una solvibilità elevata potranno incontrare qualche problema nell'otteni-mento del credito in quando la struttura dell'esigenza fi-nanziaria presuppone tempi ed entità differenti.“Nel momento in cui le ban-che otterranno i Tremonti bond e il Fondo di garanzia per le pmi, a quel punto le nostre richieste saranno an-cora più forti. Le banche non avranno più alibi per non ero-gare il credito alle imprese e le restrizioni del credito alle imprese dovranno cessare”.Lo ha detto Emma Marcegaglia, presiden-te di Confindustria, interve-nendo ad una tavola rotonda al Festival Manifattura di Pisa. “Altrimenti l'asfissia finanzia-ria sarà chiara e molte imprese, anche buone non riusciranno a stare sul mercato”.In merito alla questione degli

Osservatori sul credito pres-so le Prefetture Tremonti ha aggiunto che vigileranno tra l'altro, anche sui tassi praticati dalle banche sui prestiti.“Si è fatta tanta polemica inu-tile, esagerata sugli osservatori, ha esordito Tremonti, gli os-servatori sono organismi terri-toriali per verificare l'erogazio-ne al credito che si basa su pre-supposti di durata, garanzia e di tasso di interesse. Guardare solo ai tassi di interesse è un modo limitato, inoltre, con gli osservatori presso le Prefettu-re è stata compiuta una scelta lungimirante”.Il Ministro dell'economia di-fende dunque la scelta del go-verno che istituisce una sede territoriale per gestire fatti di crisi. L'opzione degli osserva-tori è importante perché “dove si utilizza denaro pubblico ci deve essere trasparenza”. D'accordo con il Ministro è il numero uno degli industriali Marcegaglia, che ha puntua-lizzato: “non stiamo parlando di controllo sul credito ma di osservatori contro la crisi”. Anche il Presidente dell'abi Corrado Faissola ha evidenzia-to che le banche sono pronte a fare la loro parte. “Collabo-reremo perchè diano i risultati auspicati”. Le summenzionate dichiara-zioni in merito agli interventi adottati dal Governo eviden-ziano in tutta chiarezza come gli stessi siano stati apprezzati

dalle categorie interessate, e tutti i loro maggiori rappre-sentanti hanno fatto appello al senso della responsabilità e della trasparenza gestionale. Il monitoraggio garantito dallo Stato tramite gli Osservatori è finalmente una buona notizia perché quando si approvano dei precetti normativi se non gli si dà seguito o si corre il rischio che i risultati attesi si traducano in disattesi oppure che qualche soggetto nella fi-liera di interesse tenda a spe-culare provocando comunque danni al sistema.Intanto Tremonti ha anche annunciato che è stato firmato il protocollo d'intesa Tesoro-Abi, sui Tremonti bond. Le banche pertanto avranno a disposizione 10-12 miliardi di euro. Mentre il canale di cre-dito che si apre attraverso Cdp e Sace, in favore delle imprese, è di 20-30 miliardi di euro. “Le banche italiane, ha spie-gato Faissola, non potranno esimersi dal fare credito alle imprese”, utilizzando la “scu-sante che il patrimonio non è sufficiente”. Il 9 aprile entrerà in vigore il decreto legge che allarga in maniera sostanziosa, anche all'artigianato, il fondo per le pmi.“Nessuna richiesta delle im-prese al fondo di garanzia per l'accesso al credito resterà inevasa, ha assicurato Marce-gaglia, abbiamo avuto l'assi-curazione che il fondo di ga-

ranzia sarà rifinanziato fino a 1,6 miliardi di euro, per Con-findustria è un assicurazione importante”.Come sostiene Bossi ora il compito del Governo è mo-nitorare attentamente l'ope-rato delle banche, ma questa volta a differenza di altre i presupposti sono del tutto incoraggianti perché già ante decreto si avverte questa re-sponsabilità e la si pone come elemento precostitutivo di un risultato atteso molto impor-tante, cioè quello che vede le banche garantire il credito alle pmi, e di conseguenza quello che le pmi riusciranno a fare dopo aver ottenuto il prestito. I passaggi sono due, non è suf-ficiente erogare credito ma è altrettanto rilevante utilizzarlo bene per sanare i conti o per far ripartire gli investimenti

in settori strategici per l'eco-nomia aziendale e per quella nazionale.La riattivazione dei canali di credito è stata una manovra indispensabile soprattutto nell'attuale fase di congiun-tura negativa, dove le imprese non riescono a tirare avanti e con molta difficoltà riescono a stare sul mercato in modo competitivo. Non c'è dubbio che questi interventi costitu-iscono ossigeno per gli inve-stimenti e per i risanamenti aziendali. L'auspicio è che al più presto le realtà produttive del paese possano esplicare le loro potenzialità al meglio ga-rantendosi maggiori profitti e assicurando una ripresa eco-nomica che diventa sempre più necessaria.

Avanzino Capponi

Senza alibi e senza scusanti l'erogazione di credito alle pmi da parte delle banche

Il Caucaso un’area tornata improvvisamente alla ribalta. Perché? In virtù di quali strategie?

E' ora di dare

Di recente il sottosegretario agli Affari Esteri Mantica si è recato in missione nelle re-pubbliche caucasiche (Azer-baijan, Georgia e Armenia), mai come di questi tempi alla ribalta per varie ragioni, in primis di natura economico-energetica.Sono stati trattati ampi temi legati all’energia, alle infra-strutture, agli investimenti entro la cornice dei rapporti bilaterali.A Baku, Mantica ha discus-so di energia col ministro dell’Energia, Natig Aliyev, il Vice Ministro dello sviluppo economico, Mikail Jabbarov ed il Presidente azero, Ilham Aliyev. Si è parlato del al ga-sdotto Itgti (Interconnec-tion Turkey-Greece-Italy), la cui realizzazione è gestita da Edison. Il progetto dovreb-be permettere l’importazione in Italia, attraverso Turchia e Grecia, di gas proveniente ol-tre che dall’Azerbaijan, dalla regione del Caspio, aggirando la Russia. Resta ancora da co-struire l’ultimo collegamento, Grecia-Turchia e qui occorre diplomazia. Mantica ha te-nuto a precisare che suddetto “partenariato orientale non rappresenta una politica anti-russa” e “non va interpretato

come un’automatica adesione all’Ue”. Per quanto riguarda lo scena-rio geopolitico della regione, per far chiarezza occorre ritor-nare al Kosovo, anticipando prima quali sono gli attori in questione: Usa, Russia ed Eu-ropa. E le pedine: il succitato Kosovo, Georgia, Azerbaijan e Armenia. Già Putin e Medve-dev avevano annunciato che l’autonomia avrebbe compor-tato pericolose turbolenze e così effettivamente è stato.Approfittando del precedente - il Kosovo come Stato non è mai esistito ed è nato in questi ultimi anni dalla secessione di un gruppo etnico - la Russia si è fatta in quattro per favo-rire un’operazione analoga in Caucaso.Nella stessa regione tutto que-sto è già successo. Nei primi anni Novanta una violentissi-ma guerra portò alla secessione dall’Azerbaigian del Nagorno Karabakh, regione abitata in grandissima maggioranza da armeni. Il Nagorno Karabakh si è dichiarato indipendente e ha chiesto un riconoscimento internazionale che, a differen-za di quanto è stato fatto per il Kosovo, gli è stato negato. “E perché mai?” – hanno det-to col formidabile appoggio

russo questi figli di un dio mi-nore. La tensione tra Russia e Georgia, latente per anni, è poi esplosa, con Mosca a sobillare le aspirazioni dell’Abkhazia del Nord e quelle dell’Ossezia del Sud.Questa disparità di trattamen-to è stata come detto cavalcata dalla Russia, che sta tramu-tando a proprio vantaggio lo smacco ricevuto, con l’Euro-pa come capita da tempo a far da spettatore impotente. L’effettiva ragione per cui “agli uni si e agli altri no”, risiede

nell’interesse economico e strategico degli Usa, che pun-tano a garantirsi un regolare rifornimento di gas e petrolio. Le mappe infatti dicono che il Kosovo è piazzato in una posizione strategica per con-trollare lo sbocco sul Mediter-raneo dei gasdotti e degli ole-odotti che arrivano dall’Asia Centrale. Sempre in Kosovo gli Usa hanno il presidio di Camp Bondsteel. Il sostegno Usa alla Georgia rappresenta il seguito della strategia. È in territorio georgiano infatti che

passa il BTC (Baku-Tbilisi-Ceyhan), l’oleodotto inaugu-rato nel 2006 da Condoleezza Rice (lungo 1.744 chilometri e costato 4 miliardi, a regime dovrebbe portare 50 miliioni di tonnellate di greggio l’anno dal Mar Caspio al Mediterra-neo). Per questo motivo, agli Usa fa gioco conservare la stabili-tà della regione, tenendola al riparo dalla nascita di nuovi staterelli che finirebbero ine-vitabilmente sotto il giogo di Mosca (Vedi Abkhazia e Os-

sezia).Ma nel gioco c’entra pure l’Europa. Da vittima. Con l’euro che aspira a sostituirsi al dollaro come moneta di rife-rimento, la faccenda kosovara è stata utile anche per creare un grattacapo in più all’Ue, trovatasi dal giorno alla notte con la patata bollente serba tra le mani. E tra le serpi in seno all’Europa, c’erano i gemelli Kaczynski, più americani de-gli americani che sostenevano l’indipendenza del Kosovo proprio in chiave a stelle e stri-sce. Come in chiave filoame-ricana va letta la loro memo-rabile dichiarazione, quando dissero di non voler controfir-mare il trattato di Lisbona.È l’ennesima situazione in cui l’Europa – potenzialmen-te capofila – si ritrova tra due fuochi per via della propria debolezza politica e le proprie divisioni interne.Favorite a turno da Russia e Stati Uniti, che giustamen-te attuano legittimamente la vecchia tecnica del divide et impera.Ma è in arrivo un altro gigan-te, che aprirà presto un nuovo fronte dell’energia: l’Africa.Il gigante in arrivo si chiama Cina.

Francesco Di Rosa

Il gioco attorno al Caucaso

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Smart power lo chiamano ov-vero una politica estera pru-dente e furba che eviti i rischi di una sovraesposizione dello Zio Sam sulle varie aree di cri-si del pianeta. Un concetto sul quale si sono affaticati recen-temente tra i più importanti think tank americani bipar-tisan, dal Council on foreign relations sino all’iniziativa del Center for strategic and In-ternational studies che sin dal 2006 si è focalizzato sull’argo-mento arrivato recentemente alla stesura di un documento sottoscritto da senatori di en-trambi gli schieramenti po-litici, concordi sul fatto che l’immagine dell’America e la sua influenza siano in declino e che per mantenere il ruolo di leadership diplomatica ne-gli affari globali, gli Stati Uni-ti debbano tornare ad ispirare ottimismo e speranza dopo essere stati accomunati per troppo tempo a sentimenti di paura ed odio. Gli Stati Uniti devono torna-re ad investire sul benessere globale di popoli e governi. Affiancare al potere milita-re quello economico, inve-stimenti maggiori possono essere lo strumento su quale costruire “ponti” verso cultu-re e società distanti. Secondo la Commissione del Center of strategic and International studies gli Stati Uniti dovreb-bero concentrarsi su cinque

aree critiche: rinvigorire alle-anze, trasmutandole in part-nerariati, rinvigorire istituzio-ni che dovrebbero essere utili a servire interessi nazionali; concentrarsi sullo sviluppo globale, elevandosi ad attore principe nello sviluppo glo-bale, allineando così i propri interessi a quelli delle popola-zioni di aree del mondo oggi ostili; diplomazia, uno sforzo diplomatico di lungo termi-ne alla ricerca di un rapporto tra popoli dove venga privi-legiata la ricerca di empatia con le giovani generazioni; integrazione economica, gli Stati Uniti dovrebbero pre-occuparsi di fare in modo che il dividendo offerto dalla cre-scita dei commerci mondiali non lasci nessuno indietro e non provochi aree geopoliti-che di esclusione; tecnologia ed innovazione, la sicurezza energetica ed il cambiamento climatico richiedono l’eserci-zio da parte degli States del-la loro leadership globale per aiutare a stabilire un consenso e favorire sopra di questo lo sviluppo di nuove tecnologie e processi produttivi.Il fatto è che implementare una tale politica di Smart po-wer richiederà una riorganiz-zazione strategica radicale, a partire dalle forme di organiz-zazione degli uffici governati-vi, dal coordinamento, dalla budgettizzazione.

L’Amminstrazione Obama dovrebbe considerare una se-rie di soluzioni creative per massimizzare l’abilità della Casa Bianca di organizzarsi per il successo, ma al momen-to l’unica visione di Smart Power che il Governo ha ma-nifestato di riuscire a produrre è stata la diretta TV per il ca-podanno iraniano di un Presi-dente dal bel volto sorridente che ammicca sornione al regi-me degli Ayatollah in nome del superamento di trent’anni di conflitti e che fa anticipa-re la sua mossa mandando in avanscoperta a Teheran una missione di Hollywood: un po’ poco per una strategia complessiva che punta a capi-re meglio un mondo volente o nolente divenuto multipo-lare.Anche perché gli States non sono ancora definitivamente all’angolo. Una recente pubblicazione di Ted Carpenter (“Smart Power. Toward a prudent foreign po-licy for America”, 2009, pagg. 264, Cato), autorevole voce in materia di difese a relazioni internazionali del Cato Insti-tute, con i suoi saggi, che co-stituiscono il corpo del libro, offre una visione razionale e non ideologica per il futuro delle relazioni diplomatiche U.S.A. .Il libro di Carpenter contiene una critica feroce degli anni

del bushismo, interpretando al meglio quelle perplessità del mondo libertarian repubbli-cano verso la deriva “imperia-lista” ispirata dal neoconser-vatorismo dei vari Rumsfeld e Cheney, cui le amministrazio-ni di G.W. Bush hanno paga-to un prezzo eccessivo.Bush o non Bush, Carpenter è dalla parte dell’ex Presiden-te U.S.A. nella sua invasione dell’Afghanistan e sostiene la necessità di allargare l’inter-vento militare contro al Qa-eda anche al Pakistan, il suo Smart Power si sostanzia in una suddivisione degli inte-ressi americani in “vitali”, “se-condari” e “periferici”. Interessi vitali sono quelli ine-renti la sopravvivenza fisica, l’indipendenza politica o la libertà domestica, essi sono meritevoli dell’utilizzo di li-velli di forza militare consoni alla stessa Dottrina Bush. I “secondari, sono quelli relati-vi agli assetti geostrategici che sono pertinenti ma non indi-spensabili alla difesa di quei valori imprescindibili per cui si sarebbe pronti a tutto: essi sono meritevoli di tutti gli sforzi tranne l’utilizzo della forza; infine gli interessi “pe-riferici”, essi sono costituiti da quegli assetti geostrategici che non costituirebbero una minaccia diretta ai valori di riferimento e per cui l’unico sforzo possibile è quello di-

plomatico.Inutile dire che per Carpenter l’Iraq rappresentava un inte-resse americano “periferico”, Saddam Hussein non rappre-sentava una reale minaccia per gli interessi americani, infatti anche avesse potuto realmen-te disporre di armi di distru-zione di massa in alcun modo avrebbe potuto nuocere agli U.S.A. .A ben guardare nel dibattito in corso intorno allo Smart Power il vero assente è il con-cetto di deterrenza, per Car-penter l’America dovrebbe rinunciarvi poiché prendendo ad esempio il fanatismo di Ahmadinejad, sarebbe reali-sticamente difficile condurre alla ragione un millenarista votato al suicidio: mostrando i muscoli dello U.S. Army si otterrebbe solamente l’esal-tazione della sua tendenza al martirio. Al di là di questa discutibile visione, nell’utilizzo della di-zione di Smart Power è poi difficile non rilevare una certa schizofrenia di fondo per cui in Iraq sarebbe stato sbagliato tutto ed invece sarebbe cor-retto considerare un “Surge” sullo scenario afghano-paki-stano dagli sfuggenti confini ed obiettivi; una scelta che ol-tre ad esporre ad un conflitto realmente vietnamita rischie-rebbe di rovesciare l’unico successo politico raggiunto

nella Guerra al Terrorismo, l’allenza U.S.A.-Pakistan, un alleanza che ha avuto in questi anni anche una valenza positi-va nell’appeasment di Islama-bad con l’India, non è un caso infatti la recrudescenza della violenza qaedista su quel tea-tro, tutta tesa ad rinfocolare il conflitto nel Kashmir.Tanto “smart” questa visione della politica estera americana non sembra poi essere, consi-derato che alla fine Obama è stato posto nella condizione di dover smentire un interes-samento militare diretto ame-ricano in Pakistan in diretta sulla CBS (“Gli Stati Uniti non hanno intenzione di in-viare truppe in Pakistan, nelle zone di confine con l'Afgha-nistan”, "Dobbiamo lavorare con loro e attraverso di loro per gestire al Qaeda"- Agr) proprio in ragione della pre-occupazione dell’alleato paki-stano sul rispetto statunitense della sua sovranità nazionale, un terreno politico su cui il Governo di Islamabad si gioca la credibilità e la stessa esistenza sempre a rischio per via di un’opinione pubblica apertamente anti-occidenta-le; l’era della Dottrina Bush, l’unilateralismo sarà anche alle spalle ma sino ad ora la politica estera americana più che furba sembra essere di-ventata maldestra.

Giampiero Ricci

La Piazza D’Italia - Esteri

In Israele Benyamin Ne-tanyahu sta facendo piccoli passi verso la definizione del nuovo governo.Dopo giorni di più o meno silenti colloqui per formare un governo di unità nazio-nale, visto l'esiguo numero di seggi che i singoli partiti in lizza hanno ottenuto dalle consultazioni, dopo il secon-do “no” da parte dell'attuale ministro degli esteri e leader di Kadima, Livni, il leader del Likud ha raggiunto l'ac-cordo con Israel Beitenu, il partito di estrema destra che più propriamente dovrebbe essere definito populista.Al partito rivelazione delle ultime elezioni israeliane an-dranno 5 ministeri: quello della sicurezza interna, delle infrastrutture, del turismo, dell'integrazione e al suo controverso leader, Avigdor Lieberman, il ministero de-gli esteri.Ne esce un messaggio molto chiaro sulla linea che il futu-ro governo, semmai riuscirà a nascere, terrà nella questio-ne eterna del conflitto con i palestinesi. Dare infatti al partito di Lieberman il mi-nistero degli esteri significa non mettere in discussio-ne quanto finora fatto con

la controparte ma farlo ri-guardo ai risultati sin qui raggiunti con un metodo evidentemente non soddisfa-cente per la compagine che si appresta a intraprendere una strada decisamente diversa.Suona anche strano che a Israel Beitenu sia stato dato il ministero per l'integra-zione viste le note posizioni del suo leader in merito agli arabi israeliani a cui vorreb-be chiedere un giuramento di fedeltà che non sarebbe necessario per gli altri citta-dini.Non sono comunque suffi-cienti i seggi dei due partiti accordatisi. Ne hanno 42 sui 61 necessari per avere la maggioranza alla Knesset, Netanyahu dovrà quindi trovare un accordo anche con altri movimenti e sem-bra scontato che li vada a cercare anche tra quelli re-ligiosi ancora più a destra, dando ulteriore pensiero agli osservatori che vedeva-no nella grande coalizione la speranza di nuovi passi verso la stabilizzazione della regio-ne. Da sottolineare che Israel Beitenu è un partito ferma-mente laico che difficilmen-te potrà andare d'accordo o approvare le scelte proposte

da un partito religioso come lo Shas.Dopo questo accordo non molto sorprendente, il pre-mier incaricato dal Presiden-te Peres, ha affrontato la que-stione con il leader dei labu-risti Barak il quale, dopo un acceso dibattito interno al suo partito, ancora traumatizzato dalla sonora sconfitta eletto-rale (13 seggi), ha accettato di entrare a far parte di que-sto strano ed ancora molto ipotetico governo dando una piccola spinta centrista alla compagine. Ha sottolineato Barak che all'opposizione sarebbero stati schiacciati da Kadima mentre al Governo potranno contribuire in ma-niera più incisiva alla politica israeliana.Nell'impegno, oltre alla con-ferma del leader al ministero della difesa, c'è un chiaro riferimento a riconoscere gli accordi precedentemente presi anche se Netanyahu non fa mai riferimenti diretti al Presidente dell'ANP e so-prattutto ad Hamas se non per dire che non starà con le mani in mano di fronte al degradarsi della situazione ai confini meridionali.Sembra in ogni caso defini-tivamente tramontata, nel

caso vi fosse ancora un pic-colissima speranza dovuta alla mossa dei laburisti, la possibilità di un governo di larghe intese ancora più spostato verso il centro che possa comprendere Kadima. La questione dei due Stati e soprattutto il metodo, che dovrebbe portare ad una re-ale conclusione del conflitto, sono stati la discriminante che ha fatto dare una secca svolta a destra nella politica israeliana, almeno per il mo-mento, visto che comunque gli Stati Uniti vogliono che la regione sia armonizzata da un processo deciso e in tem-pi relativamente stretti.Sarà interes-sante vedere le reazioni del Segretario di Stato Clinton alla prospettiva di un Governo “ impegnato” a rivedere il percorso che sembrava de-finitivamente segnato e che ora sembra de-cisamente più incerto.I giochi non sono comun-

que ancora fatti: la conflit-tualità delle forze raccolte intorno al tavolo di governo è un elemento di grande in-stabilità che potrebbe porta-re ad elezioni anticipate nel giro di poco tempo oppure ad un nuovo incarico, maga-ri sempre a Netanyahu, per coinvolgere questa volta Ka-dima che, dopo il fallimento del primo tentativo del leader del Likud, potrebbe accetta-re di entrare e dare un senso alle consultazioni elettorali che si sono svolte program-mando una staffetta, per il ruolo di Primo Ministro, tra Bibi e Tzipi Livni.Certo è che, agli occhi

dell'elettorato israeliano e no solo, la mancata risposta da parte dell'occidente alla crescente minaccia iraniana, più volte denunciata da Isra-ele, e la mancanza di con-trollo di Fatah della situazio-ne nei territori, visti anche gli ultimi agguati e lanci di razzi, ha portato gli israeliani a fare una scelta conservativa perché troppe speranze sono state deluse negli ultimi anni, troppi nemici sono cresciuti e Israele, non dimentichia-molo, vuole sopravvivere ed è disposto a combattere, a Gaza è stato dimostrato. A buon intenditor...

Gabriele Polgar

Primi passi verso la formazione del nuovo governo. Durerà?

Smart PowerLa ricerca di un onorevole disimpegno?

Accordo Netanyahu - Lieberman - Barak

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Non si tratta di previsioni pessimistiche, o di congettu-re erronee, lo scenario che ha prefigurato il direttore generale del Fmi, Dominique Strauss-Kahn, a margine del vertice sull'impatto della crisi econo-mica nel continente africano, in Tanzania, relativo all'anda-mento dell'economia mon-diale nel 2009 è tutt'altro che incoraggiante, il segno negati-vo della contrazione ha natura invasiva.Ovviamente occorre subito rilevare che in riferimento a quanto detto dal direttore ge-nerale, l'impatto negativo sarà accentuato più nelle economie deboli, che non hanno una struttura finanziaria solida, e soprattutto laddove il sistema economico non riesce a man-tenere un certo equilibrio nel mercato del lavoro.Per il 2009 il termine ripresa probabilmente verrà accanto-nato ad un fondo rischi, cioè al rischio di dover sentir par-lare con maggior frequenza di contrazione e di recessione. Si sapeva che a seguito di shok finanziari i sistemi economici che non hanno un assetto stabi-le e forte non possono pensare di poter riprendere a crescere, e si sapeva anche che lo shock sarebbe arrivato, forse questo è il punto cruciale di tutta la situazione. Ora però è troppo

tardi stabilire cosa sarebbe ac-caduto se le istituzioni avessero impedito tutto questo.Dopo l'allarme lanciato dal di-rettore generale del Fmi, è ar-rivato anche quello dell'Epsco (Consiglio di Occupazione, Politica Sociale, Salute e Con-sumatori), che ha stimato en-tro il 2010 una perdita di 6 mi-lioni di posti di lavoro. Il calo del Pil globale è un fatto che non accadeva da dieci anni, questo ovviamente genera un andamento negativo della si-tuazione economia mondiale che non consente ai più pes-simisti di pensare positivo e di rimettere in moto i consumi o gli investimenti.Lo Stato dal canto suo può intervenire sulla spesa pub-blica, ma come è noto questa costituisce in termini di bi-lancio pubblico una uscita di danaro, la quale deve trovare adeguata copertura. Nel mec-canismo della spesa pubbli-ca si può lubrificare soltanto quando uno Stato ha i conti in ordine o un indebitamento scarsamente elevato, e non è il caso dell'Italia, altrimenti si entra in un vortice di scoperto finanziario che impedisce di ri-manere all'interno dei parame-tri europei. Il problema non è tanto rispettare questi parame-tri quanto quello di non dover ulteriormente appesantire la si-

tuazione finanziaria del nostro Paese, se così fosse saremmo tutti costretti a sopportare pro capite l'ulteriore onere. Come si può agevolmente dedurre la soluzione per i policy makers non è dietro l'angolo.Non è infatti corretto parla-re di un risolutivo intervento pubblico, quello che occorre rilevare è, invece, il fatto che si debba monitorare attentamen-te il decorso di questa crisi, cercando di far gradualmente ripartire i consumi delle fami-glie e l'occupazione. Lo Stato dal canto suo deve comunque accelerare il processo delle ope-re pubbliche che non significa spendere indiscriminatamente ma spendere per lo sviluppo infrastrutturale e per la moder-nizzazione del Paese, soltanto dai benefici di questa proget-tualità si possono limitare i danni della crisi.Non è contraddittorio affer-mare che si può razionalizzare la spesa pubblica e nel con-tempo si devono effettuare in-vestimenti in opere pubbliche per far ripartire l'economia perché i costi e i benefici si compensano nel tempo sen-za richiedere sforzi aggiuntivi alla collettività.Il Fondo, ha affermato, pre-vede una crescita mondiale al di sotto dello zero, la peggio-re performance che si ricordi.

E nei paesi in via di sviluppo le conseguenze saranno anco-ra più gravi che in Occidente. Strauss-Kahn ha quindi au-spicato un impegno della co-munità internazionale a non dimenticare l'Africa eviden-ziando come le ripercussioni della crisi economica sul con-tinente africano rischiano di essere particolarmente forti.Se si vogliono fare alcune rifles-sioni sugli effetti delle previsio-ni dei principali rappresentanti delle istituzioni economiche internazionali sicuramente non sono positivi, le ripercussioni inevitabilmente divengono vin-colanti per gli Stati almeno dal punto di vista concettuale. Dal punto di vista pratico, invece, occorre prendere atto del grado di attendibilità della previsione e ogni Stato deve comunque impegnarsi a trovare soluzioni adeguate e meno dannose per le rispettive economie.Per esempio in Italia, la propo-sta dell'Ufficio Studi di Con-fcommercio è quella di ridurre la pressione tributaria sui red-diti più bassi e alzarla sui red-diti più alti.Qui ci troviamo di fronte sem-pre alla questione della redi-stribuzione della ricchezza. I ricchi pagano di più rispetto ai poveri, si toglie una quota red-dito ai ricchi per distribuirla ai poveri, questo è sostanzialmen-

te il meccanismo che si gene-rerebbe se la proposta venisse recepita.Ma questa potrebbe rappresen-tare una piccola soluzione del problema, perché il vero dram-ma è l'incremento della disoc-cupazione e la difficoltà che hanno le imprese di far profitti visto che la domanda interna è fortemente contratta. Solo attraverso una politica dei red-diti forte e incisiva, si possono far ripartire i consumi, è ovvio che insieme a questa bisogna alleggerire la pressione fiscale sia per le imprese che per le fa-miglie. Inoltre le banche devo-no erogare prestiti senza troppi vincoli soprattutto ai soggetti che debbono accendere un mutuo per diventare proprie-tari di una prima abitazione. E' l'effetto combinato di queste misure, salvo ulteriori precipi-tazioni della crisi, che si pos-sono creare le condizioni per invertire la tendenza negativa del Pil, si ricordi che esso è il paniere che contiene consumi, investimenti, spesa pubblica, cioè tutti quegli elementi che ora si trovano in crisi cioè han-no il segno meno.Il Governo Berlusconi ha chie-sto espressamente agli istituti di credito di concedere prestiti agevolati e di non restringere i rubinetti proprio per evitare problemi finanziari e maggiori

difficoltà alle famiglie.E' vero che gli italiani sono un gran popolo di risparmiatori, è anche vero però, che non sempre si possono fronteggiare le spese, soprattutto di beni di prima necessità attingendo dai risparmi perchè questi hanno la funzione di finanziare un fu-turo sempre più incerto e pie-no di insidie e del resto prima o poi finiscono.Insomma, l'attuale congiun-tura non promette nulla di buono ma l'Italia, i cittadini italiani non corrono i rischi che, invece, stanno correndo gli altri paesi, ma questo non è sufficiente ad eliminare ansie e timori, pur convivendo con l'incertezza la collettività deve evitare il panico della crisi, deve cercare di rimboccarsi le maniche per produrre mag-gior reddito e se questo non è possibile qualcuno deve fare in fretta affinché ciò si renda possibile senza indugio. Dalla spinta autonoma dei lavoratori italiani, da una buona dose di ottimismo, dalle misure che l'attuale Governo sta adot-tando e da un minor impatto della crisi sul sistema Italia, il nostro paese dovrebbe farcela, è chiaro che per strada si per-dono risorse ed energie prezio-se che per recuperarle occorre maggiore efficienza sia istitu-zionale che sociale.

La Piazza D’Italia - Approfondimenti

Dalla Prima

Il futuro geopolitico dell’Italia

La Governance mondiale

Allarme FMI: crescita mondiale negativa

Si è svolta lunedì 9 marzo presso la sede della fondazione FareFuturo il convegno tavola rotonda per la presentazione dell’ultimo numero di Charta Minuta, il bimestrale di ap-profondimento politico cul-turale dell’Osservatorio Parla-mentare confluito nel centro studi.L’argomento all’ordine del giorno è stato l’esame delle varie possibilità di quale Go-vernance mondiale possa esse-re ritenuta la più consigliabile in un momento in cui tutti gli assetti internazionali stanno cambiando profondamente e rapidamente per effetto della crisi internazionale.Ad intervenire sono stati chia-mati il Ministro degli Esteri Franco Frattini, l’ex Presidente del Consiglio Giuliano Ama-to, moderati dal giornalista del TG5 Giuseppe De Filippi, con l’introduzione al dibattito del Direttore di Charta Minu-ta, On. Adolfo Urso.A seguito del primo incon-tro a livello di Capi di Stato e di Governo del Novembre 2008 a Washington di quello che è stato poi ribattezzato il G20 si è sviluppato un largo dibattito in tutti i principali Paesi su quali nuovi principi contabili internazionali, quali regole finanziarie condivise, quale quadro macroeconomi-co debba essere tutelato e in virtù di quali istituzioni inter-nazionali.Le diverse istanze portate da quelli che una volta erano

considerati Paesi Emergenti come la oggi quarta potenza industriale del globo ovvero la Cina, ma anche dall’India, il Messico, il Brasile, il mondo arabo e i paesi africani hanno generato infatti una situazio-ne di stallo non più accetta-bile in una tale congiuntura economica, pena il collasso dell’intero sistema economico mondiale.Le prime avvisaglie vi sono già: il risorgere del protezio-nismo, l’arresto dei processi di globalizzazione sia a livello istituzionale - vedi il manca-to successo nel Doha Round dell’organizzazione per il com-mercio internazionale - sia più semplicemente a livello di di-simpegno industriale – vedi le Corporations USA, come la General Motors sull’orlo del fallimento, che medita-no dismissione o forse anche chiusura di interi comparti industriali oltreoceano (leggi Opel).Per il Ministro Frattini il grave errore che si rischia di correre nelle Cancellerie di qualche Paese alleato è quello di pen-sare che i Paesi Emergenti possano continuare ad essere considerati dei meri pagatori dei titoli pubblici o delle azio-ni americane, dei portatori di ossigeno senza alcun diritto. Tale situazione è divenuta per loro intollerabile e per l’oc-cidente non conveniente. Il riconoscimento di una mag-giore influenza dovrebbe in-fatti avvenire di pari passo con

una maggiore responsabilità di questi nuovi attori interna-zionali.L’Italia da canto suo essendo il Paese più meridionale tra quelli maggiormente svilup-pati può trovarsi ad avere una funzione culturale e geopoliti-ca centrale nella cooptazione alla responsabilità del mon-do arabo e dei paesi africani emergenti, partendo dal pre-supposto che essi debbono essere trattati alla stregua di partners. Sotto questo profilo la diplomazia italiana si trova avvantaggiata se solo si tiene a mente la proposta di rifor-ma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che recentemente è stata rinvigorita dalla convoca-zione a Roma delle diploma-zie di 70 Paesi, le quali han-no più o meno ufficialmente comunicato la loro adesione al progetto di riforma di Roma che prevede un maggior coin-volgimento e una maggiore responsabilità nel Consiglio di Sicurezza del membri non permanenti e l’assegnazione di seggi permanenti ad isti-tuzioni macroregionali come l’Unione Europea.E qui le tristi note dolenti, l’annosa questione europea, con i francesi e gli inglesi a puntare i piedi nel non voler rinunciare al loro seggio per-manente – dai quali nessuno vuole peraltro rimuoverli – ma che prima o poi con l’assegna-zione di un seggio in Consiglio di Sicurezza all’UE potrebbero trovarsi a constatare di essere

finiti oltre la soglia del ridico-lo: l’Alto Commissario per gli affari internazionali, figura che nascerà in conseguenza della tanto agognata adozione del Trattato di Lisbona su cui Pa-esi come la Francia di Sarkozy hanno così tanto scommesso per il rilancio delle istituzio-ni europee, se così non fosse, dove dovrebbe sedere?Ridicole appaiono, alla luce degli eventi, anche le bizze tedesche o giapponesi per en-trare nel club dei membri per-manenti, giacché insieme ad essi, dovendosi cooptare nel Consiglio di Sicurezza Paesi come l’India o il Brasile, non si tratterebbe solo di urtare la suscettibilità italiana ma an-che quella di paesi come l’ato-mico Pakistan ovvero intere aree come la instabile America Latina.Angela Merkel ha cominciato in Germania un percorso di riflessione in tal senso, ma la nota del Ministro Frattini, il quale con rammarico eviden-ziava come il recente incontro del G4 europeo di Berlino, che doveva essere preparatorio ad una posizione comune del-le maggiori economie europee in vista delle conclusioni lon-dinesi del prossimo aprile al processo avviato a Washing-ton nel novembre dello scorso anno, abbia riportato, come di consueto, un nulla di fatto.Dal canto suo Giuliano Ama-to, in veste di illustre riferi-mento dell’opposizione del Partito Democratico, condi-

videndo l’analisi e la posizio-ne del capo della diplomazia italiana, rivendicava la neces-sità per i Paesi occidentali di cooptare alla responsabilità le economie emergenti ma in un quadro di adesione alla “Rule Of Law” internaziona-le, peraltro ribadendo come ciò che dovrebbe essere a tutti i costi evitato è il cementarsi di un asse pacifico-asiatico che unendo gli USA al Giappone, al Sud Est Asiatico e infine alla “Cindia”, finisca per tagliare fuori l’Europa.Su questo gioca l’ambiguità o se vogliamo la politica dei due forni della nuova amministra-zione americana. Come nella tradizione democratico-clin-toniana, il nuovo Segretario di Stato non ha infatti tardato a mandare segnali inequivoca-bili: il primo viaggio è stato in Giappone e a seguire in orien-te, come dire gli amici europei

vengono dopo; dovesse essere confermata questa tendenza nella presidenza Obama ci sarebbe da aspettarsi che gli USA ripropongano il tentati-vo di riforma del Consiglio di Sicurezza sconfitto anche gra-zie alla diplomazia italiana che prevedeva appunto l’aumento dei membri permanenti in-serendo un Paese ritenuto “il più rappresentativo” per cia-scuna macroarea geopolitica.Il dibattito attualissimo e in-teressante oltre che contribu-ire ad aumentare il prestigio della Fondazione FareFuturo, ha avuto il pregio di dimostra-re l’attivismo e le prospettive della diplomazia italiana in un approccio realmente bipar-tisan che in materia di linee strategiche della politica estera nazionale sarebbe opportuno continuasse a rimanere tale come purtroppo in passato non è sempre avvenuto.

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La Piazza D’Italia - Approfondimenti

La rottura della tregua in Irlanda del Nord

Bloody days“Ira” nel vocabolario italiano sta per sdegno, collera, odio, nel vocabolario irlandese IRA sta per Irish Republican Army e non credo, col senno di poi, che ci sia poi così tanta diffe-renza di contenuto e intento.Nel recente passato anche la parte protestante dell’Ulster ha avuto la sua ira, ma oggi siamo qui a ricordare i due ultimi attentati del 7 e 10 marzo 2009, rivendicati da Continuity Ira e Real Ira.A volte le parole non servono a molto, per cui ricordiamo solo qualche data:• 30 gennaio 1972 Blo-ody Sunday: durante una marcia per i diritti civili a Derry, Ulster, i paracadutisti dell’esercito britannico spa-rarono sulla folla uccidendo 14 manifestanti e ferendone molti altri. Nel 2009 nessuno è stato riconosciuto colpevo-le, sebbene molti giornalisti presenti alla manifestazione, dichiararono all’unanimità che la folla era disarmata.• 17 febbraio 1978: unabomba incendiaria dell’IRA uccide 12 persone all’Hotel La Mon a sud di Belfast.• 20luglio1982:duebom-be dell’IRA a Londra nei pressi di Hyde Park e Regent’s Park uccidono 8 soldati.• 6marzo1988:3membridell’IRA vengono uccisi dai SAS a Gibilterra dove si pia-nificava un attentato contro il locale reggimento inglese. Dieci giorni più tardi, duran-te i funerali nel cimitero di Milltown a Belfast, Micha-el Stone militante dell’UFF (organizzazione protestante famosa per le sue spedizioni anti-cattoliche) attacca i par-tecipanti a colpi di pistola e granate e ne uccide tre in quel-lo che è ricordato il massacro di Milltown. Tre giorni dopo, durante il funerale di uno di loro, membro dell’IRA, due soldati inglesi in borghese si trovano inspiegabilmente con l’auto in mezzo al corteo fu-nebre. La folla temendo un attacco come il precedente, assalta la macchina e li im-mobilizza. Alcuni dell’IRA li interrogano, li picchiano e li uccidono.• 15 agosto 1998: la RealIRA fa esplodere un’auto-bomba a Omagh, nel Tyron, uccidendo 29 persone Il conflitto Nordirlandese, “The Troubles”, dagli anni ’60 agli anni ’90 ha causato più di 3500 morti e a questi bisogna ora aggiungerci le vittime degli ultimi attentati negli ultimi giorni: • 7 marzo 2009: la RealIRA, nel quartier general a Masserene, nella contea di Antrim a nord ovest di Bel-fast, uccide due soldati ingle-si e rimangono ferite altre 4 persone, due militari e due civili.• 10marzo2009:unagen-te di polizia in Ulster viene ucciso mentre pattugliava a Craigavon nella contea di Armagh; l’attentato è stato ri-vendicato da un altro gruppo

paramilitare cattolico, Conti-nuity IRA.L’isola d’Irlanda è divisa sto-ricamente in 4 province: alla Repubblica d’Irlanda ne ap-partengono 3 di queste: Lein-ster, Munster, Connacht; la 4 provincia, l’Ulster, appartiene all’Irlanda del Nord e fa par-te del Regno Unito. L’Irlan-da del Nord è l’unico stato con cui l’EIRE o Repubblica d’Irlanda confina. La capitale dell’Irlanda del Nord è Bel-fast. Quindi dal 1922, dopo il Government of Ireland Act del 1920, La Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord formano il Regno Unito di Gran Breta-gna e Irlanda del Nord.Fin dagli inizi del XX secolo l’Irlanda del Nord divenne “un luogo freddo per i cat-tolici”, i distretti elettorali vennero modellati in modo che il controllo dei consigli cittadini venisse assicurato ai protestanti. A questo fine vennero anche stretti degli accordi che davano alle im-prese agevolazioni in cambio di voti. Sotto una serie di primi ministri, venne attuata una vera e propria politica di discriminazione nei confronti della minoranza nazionalista/cattolica.Negli anni ’60, il primo mini-stro unionista moderato Ter-ne O’Neill cercò di riformare il sistema ma incontrò la dura opposizione dei leader prote-stanti come il reverendo Ian Paisley. La crescente pressione per le riforme da parte dei na-zionalisti e la totale chiusura degli estremisti unionisti, portò inevitabilmente alla na-scita di un movimento per i diritti civili per i cattolici re-pubblicani. Nel 1972 l’eccidio passato alla storia come Bloody Sun-day, infiammò la situazione e rivoltò i nazionalisti contro l’esercito britannico. La Provisional Ira (formata da fuoriusciti dell’Official Ira) aumentò vertiginosamente i suoi militanti e insieme e contro ai gruppi armati dei Protestanti, portarono l’Irlan-da del Nord sull’orlo di una guerra civile.Gli estremisti di entrambi gli schieramenti si sono mac-chiati lungo tutti gli anni ’70 e ‘80 di brutali omicidi e at-tentati le cui vittime sono sta-te per lo più civili innocenti.L’IRA, è quella organizzazio-ne nata dalla scissione dell’ l’Irish Republican Army che aveva combattuto la guer-ra d’indipendenza, prima di dividersi dopo la ratifica del trattato Anglo-Irlandese. I fa-vorevoli all’accordo andarono a formare i ranghi del nuovo esercito nazionale dello Stato Libero d’Irlanda e i contrari, che combatterono nella guer-ra civile, continuarono la loro lotta contro la presenza bri-tannica in Irlanda.Questa organizzazione rimase unita fino al 1969, quando ci fu la scissione tra Provisional Ira e Oficial Ira.

La scissione avvenne in se-guito al malcontento causato dalla debole reazione e capa-cità di protezione messa in campo dall’organizzazione di fronte agli abusi dei pro-testanti in Irlanda del Nord sui cattolici. Così, alcuni membri dell’Ira, dell’Official Ira, decisero di fondare un nuovo gruppo, la Provisional Ira. Questa ultima era in net-ta opposizione con la prima, la quale dopo aver dichiarato un cessate il fuoco nel 1972, rimarrà ai margini della lotta, a tratti attraversata anche da sanguinose faide interne.Da parte Protestante c’erano la PIRA e l’OIRA; a que-ste si contrapponevano altre due formazioni paramilitari, l’UVF (Ulster Volunteer For-ce) e l’UDA (Ulster Defence Association) che dal 19733 in poi decise di firmare le pro-prie azioni terroristiche col nome di UFF ( Ulster Free-dom Fighters).Il 9 agosto 1971 aseguito di una situazione che sembrava ormai fuori controllo, il go-verno nord Irlandese intro-dusse l’internamento senza processo; il provvedimento non creò alcun problema all’IRA, anzi, causò l’ingros-sare delle fila dei suoi mili-tanti.Dopo i fatti del gennaio del 1972, il governo britannico decide di sospendere la diri-genza politica nord irlandese e prende direttamente le redi-ni della situazione.Questo è l’anno che vede il maggior numero di vittime da entrambe le parti: quasi tutti i giorni l’IRA e l’esercito britannico ingaggiavano dei sanguinosi scontri per le stra-de di Belfast e Derry.Belfast di sera si trasformava in una città fantasma, ad ogni momento c’era il rischio di essere uccisi perché presenti nel posto sbagliato al momen-to sbagliato. L’UVF e l’ UFF colpivano i cattolici con con decisa violenza allo scopo di terrorizzare la comunità, ma l’unico risultato che ottene-vano era quello di aumentare gli affiliati all’IRA.Questa si organizzò intanto in “cellule” per controbattere gli effetti disastrosi che sareb-bero scaturiti dalla confessio-ne di uno qualsiasi dei suoi membri. Da parte inglese si decisero due linee: la “crimi-nalizzazione” ossia i detenuti non erano più prigionieri po-litici ma criminali comuni e quindi non avevano diritto a differenze di trattamento e l’”ulsterizzazione”, ossia per contrastare i paramilitari si usava sempre più la RUC, composta in prevalenza da protestanti nordirlandesi e sempre meno l’esercito rego-lare.Per tutti gli anni ’80 la guer-ra civile prosegue violenta e incontrastata, anzi gli anni che vanno dal 1988 al 1993 furono tra i più violenti per-ché all’offensiva dell’IRA ri-spondeva l’aumentata ferocia

e capacità operativa dei pa-ramilitari lealisti. Nel 1992 e nel 1993 l’IRA fa esplodere due bombe gigantesche nel-la city di Londra causando danni per quasi 2 miliardi di sterline.Nel frattempo procedevano accordi segreti tra il gover-no britannico e Repubblica-ni e si arriva così alla tregua del 31 Agosto 1994 quando l’IRA annuncia la completa cessazione delle operazioni militari; ciò venne imitato 45 giorni dopo dai paramilitari protestanti.Ma il braccio po-litico dell’IRA, lo Sinn Féin continuava ad essere ostaco-lata nella sua partecipazione al processo di pace così, ine-vitabilmente, il 9 febbraio 1996 l’IRA decide di rompe-re la tregua facendo esplodere un camion –bomba a Carnai Wharf nella zona dei docks di Londra. Nel 1997 alle politiche bri-tanniche vince Blair e l’IRA decide di ripristinare la tre-gua.Per questo l’organizzazione si trova di fronte ad una nuova scissione: sotto la guida di Micky McKevitt, alcuni dis-sidenti danno vita alla Real Ira che ha rivendicato in questi giorni l’attentato del 7 marzo.Il 10 aprile del 1998 Blair e

il premier Irlandese Bertie Ahern presenziano ai collo-qui di pace tra i diversi par-titi politici nord irlandesi, che sfociano nell’Accordo del Venerdì Santo: l’accordo pre-vede che il governo dell’Irlan-da del Nord sia composto da rappresentanti sia dei partiti protestanti che dei partiti cat-tolici in maniera proporzio-nale al risultato delle elezioni. Inoltre, in esso si prevede an-che il rilascio dei detenuti ap-partenenti alle organizzazioni paramilitari che rispetteranno il cessate il fuoco.La Real IRA risponde alla pace il 15 Agosto 1998, fa-cendo esplodere un’autobom-ba nella cittadina di Omagh nel Tyron, uccidendo 29 per-sone.Nel 2007 le nuove elezioni vedono trionfare il DUP ( Democratc Unionist Party), il partito protestante guida-to dal reverendo Paisley e lo Sinn Féin diventa la seconda forza politica dell’Irlanda del Nord.Questo risultato fa si che il nuovo governo venga presie-duto dal reverendo e dal suo vice, Martin McGuinness, in passato Capo di Stato Mag-giore dell’IRA.Dopo gli ultimi attentati del 7 e del 10 marzo, rivendica-ti rispettivamente dalla Real

IRA e dalla Continuity IRA (formazione nata nel 1986 in dissenso con la linea della formazione terroristica nor-dirlandese), si può dedurre che per alcuni il processo di pace non è mai iniziato, ma sarebbe opportuno che que-sti terroristi comprendessero quanto ormai sia anacronista la loro violenza. I loro attac-chi risultano solo dramma-tici, disperati e inutili atti, anche perché nessuno più in Irlanda del Nord vuole la guerra civile,nessuno più fi-nalmente ci crede. L’Europa inoltre adesso c’è e la politica esterna dell’Unione ha come punto nodale, la lotta tran-sfrontaliera al terrorismo e accoglie con favore la nomina di un coordinatore UE alle dirette dipendenze dell’Alto Rappresentante dell’Unione, preposto al potenziamento della cooperazione in materia di sicurezza e di lotta contro il terrorismo fra le istituzioni europee e gli Stati membri. Hans-Gert Pottering, pre-sidente del Parlamento Eu-ropeo, pochi giorni fa, in apertura dei lavori dell’as-semblea riunita a Strasburgo, ha dichiarato: “il terrorismo è violenza senza scusanti..”. A questa verità ci uniamo senza riserve.

Ilaria Parpaglioni

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Vista la grande concorrenza straniera che si abbatte sui mercati economici, viene da sé che neanche il nostro set-tore enogastronomico possa essere risparmiato; ma questa sembra essere cosa ben nota. Basti pensare alla ricetta del risotto alla milanese e alle varie consuetudini che sono praticate dagli chef di tutto il mondo che, con l'aggiunta di ingredienti diversi, stravolgo-no l'impostazione originaria. E’ proprio da qui che prendo-no le mosse le giornate inter-nazionali dedicate ogni anno ad una ricetta italiana nota nel mondo, grazie alla volontà dei Gruppo Virtuale Cuochi Ita-liani che cerca di tutelare il pa-trimonio culinario italiano. Se da un lato la globalizzazione ha cercato, e cerca, di afferrare ogni settore del vivere quoti-diano (non solo economico ma anche sociale) dall'altro c'è un grande desiderio di mante-nere il proprio spazio unico, quasi sacro (ovvero separato dalla quotidianità). I singoli territori, anche quelli a rischio di spopolamento, cercano con ogni forza di far leva sulle proprie peculiarità aldilà che siano, o no, disciplinate da denominazioni d’origine. Par-ticolarità che consacrano una comunità, sulla quale essa stes-sa tenta di innescare un’eco-nomia vuoi turistica, vuoi artigianale...che permetta l'af-fermazione del prodotto e non la sua cancellazione nell’oblio della memoria sociale. D'al-tro canto, le aziende hanno a disposizione alcune armi che consentono loro di poter bat-tere la concorrenza: la qualità dei prodotti e le denomina-zioni d'origine degli stessi, per una nazione come quella

italiana composta da una va-rietà enogastronomica unica al mondo sono carte vincen-ti. Attualmente la distinzione tra denominazioni d'origine legate al cibo (Dop, Igp ) e quelle legate al vino (Docg, Doc e Igp) è cosa, anch'essa, ben conosciuta, ma qualcosa sta cambiando in virtù del Re-golamento n. 479/2008 che l'Unione Europea ha stabilito entrerà in vigore il primo gior-no del mese di agosto 2009. “Di fronte all’allarmante si-lenzio da parte di Istituzioni nazionali, Regioni, Associa-zioni di categoria e Consorzi, ancora una volta sono le Città del Vino a chiedere l’apertura di un dibattito per salvare la nostra storica geografia eno-logica” queste parole sono del Presidente delle Città del Vino Valentino Valentini, che sono state diffuse in una nota lo scorso agosto. L’attenzione, prima della fine dell’estate, si era focalizzata sul Regolamen-to che Bruxelles si appresta a varare, e precisamente sull’Art. 54 par. 1, lett. a) il quale stabi-lisce che le menzioni tradizio-nali potranno essere utilizzare per indicare che il prodotto reca una DOP o IGP, in loro sostituzione. Il Ministero del-le Politiche Agricole con una nota divulgata nei primi gior-ni di settembre 2008 ha chia-rito: ”Pertanto tali Menzioni Tradizionali corrispondono alle Menzioni specifiche tra-dizionali nazionali di cui alla preesistente normativa comu-nitaria (allegato III del Reg. n. 753/2002) che, si ripete, per l'Italia sono: Docg, Doc, Vino dolce naturale, Igt, Vin de Pays, Landwein. Tale imposta-zione della nuova Ocm Vino per la salvaguardia dell'uso

delle menzioni specifiche tra-dizionali nazionali risponde alle esigenze espresse dall'Italia e dagli altri Paesi comunitari (Francia, Spagna, Portogal-lo ecc.) a spiccata vocazione per i vini a denominazione di origine”.Va fatta una precisa-zione: i “marchi” riconosciuti ed iscritti nel registro europeo delle denominazioni protette saranno mantenuti. Quindi, le menzioni specifiche tradizio-nali Docg, Doc e Igt potranno essere utilizzate anche dopo il 1°agosto 2009, quando en-trerà in vigore la normativa 479/2008L'Unione Europea però stabilisce che tutti i di-sciplinari preesistenti debbano essere depositati entro la fine dell’anno 2011 e fissa la data del 31 dicembre 2014 come termine ultimo per eventuali cancellazioni di denominazio-ni fuori dalle regole. Sembre-rebbe tutto a posto. In realtà Città del Vino ha replicato: “Prendiamo atto - dichiara Valentini - delle parole del Ministro Zaia che rassicurano sulla possibilità di utilizzare in futuro il sistema in vigore delle Docg, Doc e Igt, intese come menzioni tradizionali (art 54 Reg CEE 479/2008 e Reg CE 753/2002) e quindi ricomprese nell’automatismo previsto all’art. 51 per le de-nominazioni “preesistenti” al 29/4/2008, data di entrata in vigore della nuova OCM, che saranno si iscritte nel Re-gistro delle denominazioni, ma comunque sottoposte a verifica e potranno essere can-cellate se non corrispondenti alla normativa. Ma potranno convivere Docg, Doc e Igt con le Dop e Igp che verranno approvate dopo il 29/4/2008? Ovvero l’Italia continuerà ad

autorizzare Doc e Docg e Igt? Se anche i vini da tavola con indicazione di vitigno e anna-ta dovranno essere “certificati” (art.60 comma 2, a), quale sarà la piramide della qualità per i vini europei e dell’Italia? Si potranno poi fare scelte vendemmiali, saranno cioè so-vrapponibili le denominazioni e le indicazioni geografiche? Che fine faranno le sottozone? Le Regioni cosa ne pensano?” In questi giorni la Città del Vino ha inviato un’ulterio-re nota agli organi di stam-pa: “Il 1° agosto si avvicina e ancora non è chiaro ciò che accadrà realmente al sistema delle denominazioni dei vini italiani. Occorre almeno un altro anno per poter valutare al meglio e senza fretta tutte le problematiche che riguar-dano le vecchie e le nuove de-nominazioni dei nostri vini, compresa la fondamentale questione delle Igp, molto si-

mili per disciplinari e control-li alle Dop”così il Presidente delle Città del Vino Valentino Valentini, l’associazione dei comuni a più alta vocazione vitivinicola d’Italia.“E’ una ri-forma che non abbiamo con-diviso, ma ereditato. Il nostro lavoro a Bruxelles ha tuttavia consentito di porre rimedio ad alcune delle maggiori cri-ticità della nuova Ocm vino, intervenendo nella predispo-sizione del regolamento di at-tuazione”. Lo ha affermato il Ministro delle Politiche Agri-cole Alimentari e Forestali Luca Zaia, annunciando che i Paesi dell’Unione Europea hanno espresso parere favore-vole al quadro di norme sulla produzione e il commercio del vino, varando il testo del Regolamento con le disposi-zioni sull’etichettatura e sulla protezione di DOP, IGP e Menzioni tradizionali. Il testo del regolamento dovrà essere

ora notificato al WTO per le eventuali osservazioni che gli altri Membri dell’Organizza-zione mondiale potrebbero esprimere entro il termine di 3 mesi dalla notifica. A con-clusione della procedura al WTO, il testo verrà nuova-mente sottoposto al Comitato di gestione in vista dell’ado-zione e della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Euro-pea. Le nuove norme saranno applicabili ai prodotti della vendemmia 2009/2010. In ogni caso sembra strano che una rivoluzione (oramai im-minente) così forte, non abbia ancora suscitato una giusta at-tenzione. Forse le istituzioni e i produttori approvano la nuo-va classificazione? Oppure si ripone un'ampia fiducia nelle prossime elezioni europee che possano metter mano a que-sta faccenda? L'importante è saperlo.

Alice Lupi

La Piazza D’Italia - Attualità

Energia: vecchi fantasmi e nuovi sogni

Docg, Doc e Igt bye bye

A circa venti anni dallo “scan-dalo” della fusione fredda in un mondo dal clima alterato in cui l’eco-sistema sta arri-vando al collasso riemerge qualcosa che per pudore e prudenza bisognerebbe defi-

nire poco più di un’idea.Quando nel 1989, due scien-ziati dell’università dello Utah, gridarono al mondo di aver trovato il modo di gene-rare a costi bassissimi energia totalmente pulita, tutto il

mondo ripose le sue speran-ze post Chernobyl su quelle che si rivelarono poco più che vuote dichiarazioni, rimanen-do poi con niente in mano.Quello che seguì fu una lotta tra le comunità scientifiche

divise tra coloro che erano assolu-tamente convinti dell’inconsistenza della scoperta ed alcuni possibilisti. Tra questi ci fu-rono anche alcuni italiani che, gui-dati dal professor Scaramuzzi, sono riusciti a ripro-durre il fenome-no rivoluzionario senza però poter definirne l’origine: processo chimico o nucleare?Dopo di ciò la fusione fredda di-ventò quasi sim-bolo di un sogno di quell’umanità che si ostinava a

bruciare tutto invece di cam-biare radicalmente le abitudi-ni per raggiungere un livello di consumi sostenibili nella quantità e nella sua genera-zione.Dopo tanti anni, dalla Cali-fornia giunge una notizia che dona di nuovo la vita a quel sogno, non più di un’umanità sprecona ma di un mondo che non ha più tanto tempo per salvarsi. Pamela Mosier-Boss, con altri scienziati, ha otte-nuto la prova che la fusione fredda esiste ed è un processo nucleare. Per questo il nome verrà cambiato e riassunto in un acronimo LENR (Low Energy Nuclear Reactions).Certo, come per tutte le nuove tecnologie, la strada è lunga ed incerta, i costi sono enormi, si parla di decine di miliardi di dollari, i problemi realizzativi quasi proibitivi ma la prospettiva che si pos-sa generare un piccolo sole ovunque ce ne sia bisogno per dare vita e sviluppo senza discriminazione è una tenta-

zione forte ad essere ottimisti soprattutto perché arriva in un momento estremamen-te importante: il mondo in cui viviamo ha trovato il suo equilibrio, o quantomeno lo ha cercato, nella sicurezza energetica (in futuro nella sicurezza delle risorse idriche ma questo è un altro discor-so). Al momento tutti sanno che la lotta, tra coloro che cercano una valida alternativa all’energia di origine fossile, è incentrata tra la risorsa nu-cleare tradizionale (calda) e le energie rinnovabili come quella solare ed eolica.E’ evidente la differenza tra le due possibilità, meno eviden-te è come pragmaticamente ciascuna di queste fonti di energia possa incidere sulle reali necessità di un mondo sempre più assetato di elet-tricità.Per il momento la partita è aperta, sicuramente quella nucleare è la strada più co-moda da un punto di vista teorico ma ci sono esempi

come quello tedesco che di-mostrano quanto la fonte rin-novabile possa contribuire al fabbisogno generale.E’, questo, un momento stra-no perché gli USA, con lo slancio della nuova presidenza Obama, stanno cercando una strada decisamente più ecolo-gica, molti altri paesi, tra cui l’Italia, stanno pianificando le strategie energetiche future e le novità derivanti dalla nuo-va fusione fredda (LENR) e da altre nuove tecnologie po-trebbero essere la nuova stella polare da seguire dopo tanti anni di smarrimento.Il momento in cui tecnologie tanto diverse e rivoluzionarie potranno essere utilizzate è ancora molto lontano ma sapere che le nuove genera-zioni potranno disporre fa-cilmente di energia in tutte le aree del globo può farci guardare al futuro con quella speranza che in molti aveva-mo lasciato a libri e fumetti di fantascienza.

Gabriele Polgar