1-15/16-30 giugno 2010 - Anno XLV - NN. 81 - 82 – Italia, una e indivisibile

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Analizzando le recenti crona- che politiche che hanno acceso gli animi all’interno dei partiti che compongono la coalizione di governo sembra quasi che la lancetta del tempo sia stata spostata indietro di oltre 15 anni . Pare cioè che si sia ritornati a qualche lustro fa allorquando Fini e Bossi - adesso alleati di governo(?) - rappresentavano uno l’ala patriottica e naziona- lista del centro-destra che vole- va l’Italia unica ed indivisibile dagli attacchi che quotidia- namente l’altro - simbolo del secessionismo padano - porta- va quotidianamente all’unità territoriale del Paese. Tutto è nato dalle durissime - e giuste - critiche che il Presidente della Camera Fini ha espresso nei confronti dell’annuale raduno leghista di Pontida, soprattutto disap- provando apertamente i toni che hanno accompagnato gli interventi politici della mani- festazione dei “Lumbard”. Il cofondatore del Popolo della Libertà, come ai bei tempi andati, durante un convegno organizzato dalla “sua”fondazione - Fare Futuro - ha definito come sortite estemporanee parecchie delle idee su cui si basa il pensiero e l’azione politica della Lega Nord, precisando che oltre a rischiare di minare la coesione nazionale, esse - il concetto di Padania ad esempio - sono solo felici invenzioni propagandi- stico-lessicali che non hanno fondamento storico alcuno. Fini ha poi ammonito tutto il mondo politico e quello dei mass-media a non prendere sotto gamba tali atteggiamen- ti anti nazionali di parecchi esponenti del Carroccio poiché essi subdolamente andrebbero ad incidere sulla cultura popo- lare affievolendo lentamente il comune sentimento verso una Patria unica. Sempre secondo l’ex Presidente di Alleanza Nazionale, solo intraprendendo una forte azione culturale e pedagogica, tesa a riaffermare il significato stesso di Nazione e non deru- bricando a goliardate fini a se stesse le sparate leghiste, si può ottenere il risultato di frenare l’ondata latente di anti-italia- nismo che fa breccia soprattut- to nelle regioni settentrionali. Fini, concludendo il proprio intervento, ha infine dichiara- to che in futuro garantirà una sua più assidua presenza nelle realtà settentrionali: della serie non è mai troppo tardi, anche se pare chiaro che più che una minaccia di riscossa – tardiva, in verità in quanto oramai i buoi rappresentati dai voti dei simpatizzanti della destra clas- sica sono oramai tristemente scappati dalla stalla -sembra essere un estremo tentativo di rimanere sulle prime pagine dei giornali. Durissima la reazione di Bossi il quale ha sinteticamente fatto notare che se ci sono 10 milio- ni di persone pronte a battersi per la Padania evidentemente essa esiste anche se non esiste uno “stato” padano, inoltre ha concluso il “Senatur”, nel caso di una visita del Presidente della Camera al Nord egli cer- tamente non correrà ad acco- glierlo tanto più che Fini i voti dei settentrionali li lascerà tutti alla Lega a causa delle sue dichiarazioni. Stranamente pacate sono state invece le risposte di alcuni esponenti politici di spicco della Lega alle esternazioni finiane, segno questo di un tentativo di spegnere l’incen- dio estivo appena sviluppatosi. Calderoli ha semplicemente ribadito che, come afferma- to dal palco di Pontida da Umberto Bossi, la Lega ha intrapreso definitivamente la strada che porta al federalismo abbandonando quella seces- sionista, tanto che si lavora a marce forzate, di concerto con il Ministro Tremonti, per portare al più presto all’at- tenzione del Parlamento la relazione tecnica riguardante il federalismo e i quattro decreti legislativi relativi all’autono- mia impositiva di Comuni e Province . Il neo-presidente della regione Veneto, Luca Zaia, ha inve- ce basato la propria replica a Fini, intorno al concetto che la Padania intesa come area socio- culturale, economica e politica è da anni una realtà censita a livello nazionale e internazio- nale da molti autorevoli osser- vatori, inoltre, sempre secon- do l’ex ministro delle Politiche Agricole, dire che non esiste una macro area come la Padania vuol dire che non si conosce lo stato dell’arte della situazio- ne italiana, negando l’esistenza di un Paese a due velocità: le regioni settentrionali appunto, ed il Sud. In verità la ragione sembra stare a metà, in quanto è una verità storicamente inoppugna- bile che non è mai esistito uno stato unitario nel settentrio- ne d’Italia, sempre diviso di volta in volta tra piccole realtà comunali, grandi signorie mer- cantili, dominazioni straniere, regni di medio-piccola impor- tanza. D’altra parte è indubbio che da qualche decennio, oltre ad essere aumentato il divario economico tra Nord e Sud, anche e soprattutto grazie alla Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-30 Giugno 2010 - Anno XLV - NN. 81-82 E 0,25 (Quindicinale) In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy — Fondato da Turchi — Manovra 2010, e lo sviluppo? — a pagina 3 — ECONOMIA Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 La Piazza d’Italia Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina COPIA OMAGGIO www.lapiazzaditalia.it di FRANZ TURCHI — a pagina 4 — ESTERI Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia www.lapiazzaditalia.it Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti Intervista su Il Predellino Onorevole Turchi, lei era al convegno di lancio della fondazione Liberamente. Può spiegarci il significato della sua partecipazione? Il significato è semplice: giudico Liberamente non l’iniziativa di una compo- nente, ma una fondazione finalizzata all’elaborazione di un pensiero politico, al di là delle appartenenze o della tentazione di cede- re alle degenerazioni tipi- che di quel correntismo del quale ci ha avvertiti il presidente Berlusconi. Sono invece convinto che Liberamente saprà arti- colare contributi politici preziosi nella stagione di crescita del Popolo della Libertà, dopo il suo primo anno di vita. E poi mi piace sottolineare che la famiglia Turchi da sem- pre ha partecipato al momento fondativo di esperienze importanti: dal Movimento sociale al Secolo d’Italia in poi. Ma c’era bisogno dell’en- nesima fondazione d’area Pdl? Beh, par proprio di sì. Altrimenti il rischio era appiattirsi su chi pensa a fare fondazione per fare polemica. Liberamente non è un contenitore, né uno strumento per farsi conoscere. Almeno come lo intendo io. È piuttosto una fornace di idee che intende recuperare temi cari alla destra italiana che sono ancora di estre- ma attualità, se rivisti alla luce dei tempi che cambia- no: penso ad esempio al buon vecchio “Dio, Patria, Famiglia”. In questo caso Dio è il rispetto delle reli- gioni, anzitutto quella pre- valente nel nostro Paese. La Patria non è più da difendere con gli eserciti, le guerre, ma con la difesa degli interessi nazionali. La struttura della famiglia è andata modificandosi pro- gressivamente nel tempo, ma resta il fondamento della nostra società e dun- que il principale soggetto Disastro BP Liberamente e orgogliosamente di destra Segue a pagina 2 Italia, una e indivisibile

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Liberamente e orgogliosamente di destra - Italia, una e indivisibile - Intercettazioni, e il muro tra gli schieramenti - Italia fuori dalla recessione nel 2011 - Manovra 2010, e lo sviluppo? - Assalto al convoglio “umanitario” - Freedom Flotilla, fatti e riflessioni - Disastro BP - Franz Von Lobstein, tertium non datur? - Montesquieu contro il lusso - Il calcio in Sud Africa - Sud Africa, fino al 1990 Cristo si è fermato al confine - Sud Africa, il Paese che traina un continente - Obama e Kill Bill - Un salone telematico per il vino

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Analizzando le recenti crona-che politiche che hanno acceso gli animi all’interno dei partiti che compongono la coalizione di governo sembra quasi che la lancetta del tempo sia stata spostata indietro di oltre 15 anni .Pare cioè che si sia ritornati a qualche lustro fa allorquando Fini e Bossi - adesso alleati di governo(?) - rappresentavano uno l’ala patriottica e naziona-lista del centro-destra che vole-va l’Italia unica ed indivisibile dagli attacchi che quotidia-namente l’altro - simbolo del secessionismo padano - porta-va quotidianamente all’unità territoriale del Paese.Tutto è nato dalle durissime - e giuste - critiche che il Presidente della Camera Fini ha espresso nei confronti dell’annuale raduno leghista di Pontida, soprattutto disap-provando apertamente i toni che hanno accompagnato gli interventi politici della mani-festazione dei “Lumbard”.Il cofondatore del Popolo della Libertà, come ai bei tempi andati, durante un convegno organizzato dalla “sua”fondazione - Fare Futuro - ha definito come sortite estemporanee parecchie delle idee su cui si basa il pensiero e l’azione politica della Lega Nord, precisando che oltre a rischiare di minare la coesione nazionale, esse - il concetto di Padania ad esempio - sono solo felici invenzioni propagandi-

stico-lessicali che non hanno fondamento storico alcuno. Fini ha poi ammonito tutto il mondo politico e quello dei mass-media a non prendere sotto gamba tali atteggiamen-ti anti nazionali di parecchi esponenti del Carroccio poiché essi subdolamente andrebbero ad incidere sulla cultura popo-lare affievolendo lentamente il comune sentimento verso una Patria unica.Sempre secondo l’ex Presidente di Alleanza Nazionale, solo intraprendendo una forte azione culturale e pedagogica, tesa a riaffermare il significato stesso di Nazione e non deru-bricando a goliardate fini a se stesse le sparate leghiste, si può ottenere il risultato di frenare l’ondata latente di anti-italia-nismo che fa breccia soprattut-to nelle regioni settentrionali. Fini, concludendo il proprio intervento, ha infine dichiara-to che in futuro garantirà una sua più assidua presenza nelle realtà settentrionali: della serie non è mai troppo tardi, anche se pare chiaro che più che una minaccia di riscossa – tardiva, in verità in quanto oramai i buoi rappresentati dai voti dei simpatizzanti della destra clas-sica sono oramai tristemente scappati dalla stalla -sembra essere un estremo tentativo di rimanere sulle prime pagine dei giornali.Durissima la reazione di Bossi il quale ha sinteticamente fatto notare che se ci sono 10 milio-

ni di persone pronte a battersi per la Padania evidentemente essa esiste anche se non esiste uno “stato” padano, inoltre ha concluso il “Senatur”, nel caso di una visita del Presidente della Camera al Nord egli cer-tamente non correrà ad acco-glierlo tanto più che Fini i voti dei settentrionali li lascerà tutti alla Lega a causa delle sue dichiarazioni.Stranamente pacate sono state invece le risposte di alcuni esponenti politici di spicco della Lega alle esternazioni finiane, segno questo di un tentativo di spegnere l’incen-dio estivo appena sviluppatosi.Calderoli ha semplicemente ribadito che, come afferma-to dal palco di Pontida da Umberto Bossi, la Lega ha intrapreso definitivamente la strada che porta al federalismo abbandonando quella seces-sionista, tanto che si lavora a marce forzate, di concerto con il Ministro Tremonti, per portare al più presto all’at-tenzione del Parlamento la relazione tecnica riguardante il federalismo e i quattro decreti legislativi relativi all’autono-mia impositiva di Comuni e Province .Il neo-presidente della regione Veneto, Luca Zaia, ha inve-ce basato la propria replica a Fini, intorno al concetto che la Padania intesa come area socio-culturale, economica e politica è da anni una realtà censita a livello nazionale e internazio-

nale da molti autorevoli osser-vatori, inoltre, sempre secon-do l’ex ministro delle Politiche Agricole, dire che non esiste una macro area come la Padania vuol dire che non si conosce lo stato dell’arte della situazio-ne italiana, negando l’esistenza di un Paese a due velocità: le regioni settentrionali appunto, ed il Sud.In verità la ragione sembra stare a metà, in quanto è una verità storicamente inoppugna-

bile che non è mai esistito uno stato unitario nel settentrio-ne d’Italia, sempre diviso di volta in volta tra piccole realtà comunali, grandi signorie mer-cantili, dominazioni straniere, regni di medio-piccola impor-tanza. D’altra parte è indubbio che da qualche decennio, oltre ad essere aumentato il divario economico tra Nord e Sud, anche e soprattutto grazie alla

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-30 Giugno 2010 - Anno XLV - NN. 81-82 E 0,25 (Quindicinale)

In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romaninaper la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy

— Fondato da Turchi —

Manovra 2010,e lo sviluppo?

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ECONOMIA

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La Piazza d’Italia

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di FRANZ TURCHI

— a pagina 4 —

ESTERI

Ricco, continuamente aggiornato:arriva finalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia

www.lapiazzaditalia.itUna Piazza di confronto aperta aldibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuoveidee e nuovi contenuti

Intervista suIl Predellino

Onorevole Turchi, lei era al convegno di lancio della fondazione Liberamente. Può spiegarci il significato della sua partecipazione?Il significato è semplice: giudico Liberamente non l’iniziativa di una compo-nente, ma una fondazione finalizzata all’elaborazione di un pensiero politico, al di là delle appartenenze o della tentazione di cede-re alle degenerazioni tipi-che di quel correntismo del quale ci ha avvertiti il presidente Berlusconi. Sono invece convinto che Liberamente saprà arti-colare contributi politici preziosi nella stagione di crescita del Popolo della Libertà, dopo il suo primo anno di vita. E poi mi piace sottolineare che la famiglia Turchi da sem-pre ha partecipato al momento fondativo di esperienze importanti: dal Movimento sociale al Secolo d’Italia in poi.

Ma c’era bisogno dell’en-nesima fondazione d’area Pdl?Beh, par proprio di sì. Altrimenti il rischio era appiattirsi su chi pensa a fare fondazione per fare polemica. Liberamente non è un contenitore, né uno strumento per farsi conoscere. Almeno come lo intendo io. È piuttosto una fornace di idee che intende recuperare temi cari alla destra italiana che sono ancora di estre-ma attualità, se rivisti alla luce dei tempi che cambia-no: penso ad esempio al buon vecchio “Dio, Patria, Famiglia”. In questo caso Dio è il rispetto delle reli-gioni, anzitutto quella pre-valente nel nostro Paese. La Patria non è più da difendere con gli eserciti, le guerre, ma con la difesa degli interessi nazionali. La struttura della famiglia è andata modificandosi pro-gressivamente nel tempo, ma resta il fondamento della nostra società e dun-que il principale soggetto

Disastro BP

Liberamente eorgogliosamente

di destra

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Deputati per l’approvazione definitiva.

Non sono mancate anche in questa occasione, le proteste delle opposizioni che hanno osteggiato in ogni modo la rati-fica da parte del Senato della legge in questione.

I rappresentanti del Partito Democratico hanno definito il testo come la morte della libertà e al momento delle dichiarazioni di voto il capogruppo al Senato del PD Anna Finocchiaro, non solo ha annunciato la decisione di uscire dall’Aula di tutti i senatori Democratici, ma ha definito la fiducia al provvedi-mento come l’inizio del mas-sacro della Libertà, l’avvio alla limitazione dell’indipendenza dell’ informazione e del conte-nimento dei mezzi a disposizio-ne degli investigatori ad accer-tare i reati al fine di individuare i colpevoli e colpirli.

Addirittura i 14 Senatori dell’Italia dei Valori hanno occupato l’Aula per tutta la notte precedente al voto e hanno poi preso possesso degli “Scranni” dove solitamente si posizionano i Ministri del Governo venendo quindi anche espulsi dal Presidente Schifani.

In precedenza l’ex PM di “Mani Pulite” Di Pietro aveva chiesto a gran voce a Napolitano di non controfirmare la Legge per non rendersi complice di Berlusconi annunciando in caso contrario l’avvio della raccolta delle firme per abrogare la legge attraverso un referendum popolare.

Fuori dal senato il clima era

se vogliamo ancora più incan-descente grazie hai “picchetti” del “Popolo Viola” mobilitato nelle piazze e all’annuncio dello sciopero del sindacato dei gior-nalisti per il prossimo 9 luglio.

Di tenore opposto ovviamente le dichiarazioni dei rappresen-tanti politici della maggioran-za.

Per Berlusconi il testo appro-vato anche se non risolve tutti i problemi riguardo l’uso delle intercettazioni è comunque un primo importante passo fatto nella giusta direzione: gli italia-ni per il Cavaliere hanno diritto alla riservatezza e alla inviola-bilità delle proprie comunica-zioni.

Il Guardasigilli Angelino Alfano nelle sue dichiarazioni ha lascia-to trasparire la propria felici-tà per l’approvazione di una Legge che andava a realizzare un punto del programma elet-torale del centrodestra.

Durissima invece la presa di posizione del capogruppo del Popolo delle Libertà al Senato, Maurizio Gasparri, il quale ha bollato come sprezzante delle Istituzioni e arrogante il comportamento dei colleghi del Partito Democratico che hanno abbandonato l’emiciclo al momento di votare, ribaden-do al contrario l’orgoglio dei rappresentanti del PdL nel dare la fiducia al provvedimento in questione.

Soddisfatta dell’esito del voto pure l’ala “finiana” del Popolo delle Libertà tanto che il soli-tamente iper-critico onorevole

Bocchino si è spinto ad affer-mare che la legge rapprensenta un compromesso accettabile, frutto di un buon lavoro di mediazione e da ritenersi un precedente nel metodo per rag-giungere una maggiore conver-genza tra Fini e Berlusconi.

Ma vediamo in breve cosa pre-vede il disegno di legge appena approvato al Senato che ha sca-tenato la furia delle opposizioni .

In primo luogo si può inter-cettare solo nel caso che si sia di fronte a reati puniti con più di cinque anni di reclusione. Tali intercettazioni ambientali possono durare fino ad un mas-simo di 75 giorni prorogabili in caso di necessità di tre giorni in tre giorni. La pubblicazione degli atti delle indagini in corso possono avvenire solo per rias-sunto ed in caso di loro pubbli-cazione prima della conclusione delle stesse sono previste multe da 300 mila a 450 mila euro agli editori e fino a 30 giorni di carcere e 10 mila euro di multa ai giornalisti autori degli articoli.

La legge prevede inoltre la pos-sibilità della sostituzione per quel Pubblico Ministero che passa alla stampa atti coperti dal segreto istruttorio.

A questo punto fare previsio-ni riguardo il clima politico che precederà il momento della discussione e quello che acca-drà in occasione della succes-siva votazione alla Camera dei Deputati della legge sulle inter-cettazioni appena passata al

Senato è abbastanza facile. Non dubitiamo cioè che gli Italiani ne vedranno e ascolteranno di cotte e di crude anche perché i presupposti ci sono tutti.

Addirittura il vice segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, ha annunciato una batta-glia tremenda alla Camera tanto che per la maggioranza tutto ciò rappresenterà addirittura un “VietNam” , assicurando che il PD farà di tutto per stravolgere il testo approvato dai Senatori.

Addirittura Franceschini - lea-der della minoranza interna del PD - ha avvertito preven-tivamente il Presidente Fini di non soffocare i tempi del dibattito alla Camera poiché i Democratici non accetteran-no nessuna forzatura riguardo alla discussione del Disegno di Legge sulle intercettazioni il quale non potrà essere discusso in Aula prima di Settembre secondo quanto stabilisce il Regolamento della Camera.

Dello stesso tenore le dichiara-zioni di Bersani e della Bindi con il primo che affermava che ci sarà da combattere alla Camera e la seconda asseriva che il centrosinistra non si farà imporre diktat dal Presidente del Consiglio che continua a fare le leggi per sé e per i suoi amici e non per risolvere i pro-blemi del Paese.

Come andrà a finire lo si vedrà tra qualche settimana ma è leci-to aspettarsi un’estate torrida non solo a causa del solleone ma soprattutto per merito dei rappresentanti dei partiti politi-

ci italiani che non mancheran-no di sorprendere tutti attra-verso ulteriori dichiarazioni di fuoco e accese manifestazioni di piazza e a questo scopo “grilli-ni” e “dipietristi” già scaldano i motori al fine di trascinare die-tro di sé anche i più moderati tra i Democratici nostrani.

Mentre però centrodestra e centrosinistra si guardano in cagnesco aspettando una mossa sbagliata del rivale qualcuno inizia a muoversi e a venire allo scoperto, al fine di prendere tutti in contropiede ed appro-fittare dell’ennesima situazio-ne di stallo: Luca Cordero di Montezemolo.

Infatti il Presidente della Ferrari durante un intervento ad un convegno dei giovani industria-li a Santa Margherita Ligure - presente pure Pierferdinando Casini, importante indizio di un prossimo matrimonio poli-tico tra i due - ha affermato che il Paese ha bisogno di una classe dirigente civile, che abbia le capacità di prendere posizione e perciò la si deve smettere di fare solo gli spettatori e bisogna scendere sul ring direttamente. Insomma una chiara promes-sa di una prossima discesa in campo che sicuramente farà felici i “terzo-polisti” italia-ni nascosti in egual misura a destra e a sinistra aspettando che un uomo nuovo si affacci sulla scena politica italiana e che , grazie all’aiuto del vento dell’antipolitica, aiuti a divelle-re il bipolarismo italiano.

Giuliano Leo

Finalmente dopo quasi due anni di patimenti il Disegno di Legge sulle intercettazioni telefoniche incassa la fiducia al Senato con 164 si e 25 no e a breve il provvedimento così votato tornerà alla Camera dei

destinatario di ogni nuova politica sociale.

Liberamente può partire da qui. D’altra parte non aveva senso che le proposte venis-sero avanzate da tutti meno che dalla componente che fa riferimento a Berlusconi, che è maggioranza tra la classe dirigente del Pdl e stragrande maggioranza tra la gente che ci vota e che desidera sen-tire meno polemiche e più soluzioni ai problemi veri, penso ad esempio al rilancio dell’economia, al migliora-mento dei servizi, alla fiscali-tà, alla sicurezza, ecc…

Onorevole, se anche lei ade-risce alla nuova fondazione significa che essa può allar-garsi anche all’esperienza di coloro che provengono da An…Ovvio. Io – e con me moltis-simi altri che hanno condivi-so con me un certo percor-so politico – la penso come Pinuccio Tatarella che anni fa si poneva il problema di anda-re “Oltre il Polo”. Berlusconi ha realizzato ciò in cui mol-tissimi di noi credevano da tempo. Ho visto all’appun-tamento di Moniga socia-listi, liberali, democristiani, persone alla prima esperien-za politica o provenienti da quella della destra italiana. All’interno del Pdl ciascuno deve portare il meglio che può esprimere, alimentando un dibattito interno delimi-tato, però, da un programma condiviso. Occorrono cioè

paletti precisi per il dialogo. In questo modo esso diventa uno straordinario strumento di crescita, anziché degene-rare in un virus che corrode il partito.Guardiamo all’esperienza della Dc. Le correnti ci sono sempre state: finché hanno alimentato il dibattito, ponendosi limiti nel confron-to e l’obiettivo sempre fermo della collaborazione, sono state fattore di crescita dello Scudocrociato, di cui alimen-tavano pluralismo e inter-classismo. Erano, insomma, una risorsa. Appena si sono trasformate in una forma di posizionamento, il partito ha finito col degenerare. Le fondazioni che nascono – soprattutto sul versante del centrodestra – riprendono molto l’esempio americano, ma non possono essere stru-mentalizzate.

Di fronte alla nascita di Liberamente, però la fonda-zione FareFuturo ha pubbli-cato un editoriale nel quale si sostiene che “Continueremo a dire liberamente quello che pensiamo. A fare liberamente futuro. Liberamente conti-nueremo a seguire le nostre coscienze. Continueremo liberamente a ragionare col nostro cervello. E liberamen-te non metteremo le intelli-genze all’ammasso”.Le ripeto, quando anziché fare proposte costruttive si preferisce la strada facile delle dichiarazioni qualunqui-ste, apodittiche, banali, utili alla polemica ma non alla politica, si compie un errore

madornale. E così facendo, non si progetta il futuro, non si realizza il presente. Non si va proprio da nessuna parte. E le dico anche che la politica non può chiudersi nei cena-coli. Quando si fa filosofia politica ci si allontana dai motivi per i quali abbiamo preso i voti come Popolo della Libertà.

In più, rifiutare lo storico patrimonio di valori della destra, che è il sale dell’ulti-mo libro di Giulio Tremonti, è sbagliato. C’è chi ritiene di poter fare la destra chic per compiacere certi pseudo-intellettuali e certa stampa di sinistra, ma sbaglia cla-morosamente. Fare il pieno di prime pagine non aiuta e allontana la gente dalla poli-tica. Senza contare che se non saremo noi a interpre-tare in chiave moderna il portato tradizionale di ideali della destra, favoriremo la nascita o la crescita di posi-zioni estremistiche a destra del Pdl.

C’è questo pericolo?Non è un pericolo, è un fatto. Pensi al Settentrione dove, da quando una parte di esponenti del Pdl prove-nienti da An hanno inizia-to a muovere distinguo su temi sentiti come sicurezza, immigrazione e cittadinanza, il risultato è stato favorire la Lega che cresce cavalcando temi che facevano parte del dna di Alleanza nazionale, ma con un’esasperazione alla quale noi non abbiamo mai ceduto.

Per questo lei è convinto che gli esponenti di An possano offrire un contributo deter-minante a Liberamente e al Pdl?

Certo. In parte è già così, ma Liberamente è una sfida ancor più affascinante perché è una fondazione animata da giovani e rivolta prima di tutto ai giovani. Ora si parla tanto di “partecipazione”, come se fosse una novità, una scoperta di questa stagio-ne della Seconda Repubblica. Ebbene, di “socializzazione” – che è poi la stessa cosa – parlavano dirigenti storici del Movimento sociale italia-no come Arturo Michelini. Dispiace che qualcuno si ver-gogni di ricordarlo. È stata la cultura che ha animato il nostro agire politico per anni e che non può essere rigettata per il gusto frivolo di “Fare Futuro”.

Tatarella, per restare in argo-mento, parlava di legalità ma anche di sicurezza, di tolle-ranza religiosa ma anche della necessità di tutelare i cristiani nel mondo, un tema, quest’ul-timo, di straordinaria attuali-tà, basti pensare all’assassinio di monsignor Pedovese, ma su cui si tace colpevolmente. Quel modo di intendere la politica, quei principi, oggi addirittura rifiutati in nome di una sorta di “progressi-smo” di destra, consentì al gruppo di giovani dirigenti che si stringevano attorno a Pinuccio – me compreso – di portare An tra il 15 e il 18%!

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Italia, una e indivisibile

Lega è andato a crescere il sen-timento d’appartenenza pada-na dei cittadini settentrionali orfani delusi delle ideologie e della partitocrazia del dopo guerra: una sorta di sostituzio-ne trascinata dall’antipolitica post-tangentopoli.Per altri versi le affermazioni del Presidente della Camera si inquadrano bene all’interno della strategia che da qualche tempo ha messo in atto al fine di costringere Berlusconi a più “miti consigli” e nel contempo coagulare intorno alla propria figura gli sconten-ti - per diversi motivi, più o meno validi - dell’azione del Governo e degli orfani della destra tradizionale.L’empasse attuale dell’azione del Governo fermata di volta in volta da scandali giudiziari che hanno riguardato Ministri dell’esecutivo Berlusconi, bat-taglie parlamentari su leggi

che ben poco interessano la vita quotidiana del cittadino, beghe politiche locali, come in Sicilia, la crisi economi-ca solo parzialmente blocca-ta dalla manovra finanziaria del Governo osteggiata dagli amministratori di tutte le Regioni italiane, forniscono il substrato ideale all’incremento delle truppe finiane.In definitiva le critiche di Fini alla Lega se sono un mezzo per cercare di far alzare la tempe-ratura dei rapporti tra PdL e Carroccio in maniera da toglie-re a Berlusconi l’appoggio della stampella leghista non sembra-no poter avere un esito positivo, se invece esse possono essere il tramite per limare le pretese federaliste a volte troppo spin-te del partito di Bossi, allora speriamo che esse colpiscano il bersaglio: per questo basterà attendere qualche settimana e leggere quale sarà la redazione finale della relazione sul fede-ralismo.

E questo perché nel dire che sono in difesa di “Santa Romana Chiesa” e della mia Patria, magari sul piano degli interessi economici, non c’è nulla di male. Anzi.

Non le sembra di essere duro con FareFuturo?Mi hanno insegnato che occorre coerenza in politica. È un insegnamento impor-tante anche per i giovani. E non mi pare affatto che ciò che ha per ideologi Campi e Rossi sia dare un contri-buto politico. E’ meglio parlare o tacere? In alcuni casi questa domanda bisogna

porsela. Una cosa è l’oppor-tunità personale, un’altra la responsabilità istituzionale. Non si possono giocare tre parti in commedia. Si pren-da esempio dal presidente Napolitano, un uomo che ha una storia politica assai diversa dalla nostra – viene dal Pci – ma che ha una profonda cultura di partito e dello Stato. Egli ha fatto un uso responsabile del silenzio o del richiamo, mai forzato e mai incline alle strumentaliz-zazioni, al lavoro per il bene comune. Se si vuole fare l’uo-mo delle istituzioni bisogna farlo fino in fondo.

Dalla PrimaDalla Prima

Intercettazioni, e il muro tra gli schieramenti

Liberamente e orgogliosamente di destra

La legge che regola le intercettazioni telefoniche e la loro pubblicazione ha superatol’esame del Senato scatenando la reazione furiosa delle opposizioni

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La Piazza d’Italia - Economia

Il nostro Paese potrebbe uscire dalla recessione già a partire dal 2011 ma non è incoraggiante il dato sulla disoccupazione.

Se è vero come vero quanto affermato dal Centro Studi di Confindustria, l’economia ita-liana sarà fuori dalla recessione nel 2011 attestandosi ad un +1,6%. Verrebbe subito da dire cifre ottimistiche Si prevede, dunque, una ripresa più soli-da rispetto alle stime rilasciate a dicembre. Nonostante un impatto restrittivo della mano-vra economica 2011-2012, sti-mata in un -0,4% l’anno, gli economisti di viale dell’Astro-nomia hanno rivisto al rialzo le stime sulla crescita al +1,6% del Pil per il 2011 (dal +1,3%), + 1,2% nel 2010 (da +1,1%). La disoccupazione è invece attesa in aumento, dopo 528 mila posti di lavoro già persi a fine 2009 in due anni di crisi. Per quanto riguarda, invece, il rapporto deficit/Pil, il Centro Studi stima che si attesterà al 5,1% nel 2010, per poi scende-re al 4,1% nel 2011. Il debito, invece, sarà pari al 118,5% del Pil nel 2010 per poi salire al 118,9% nel 2011.

Commentare l’ottimismo del Centro Studi di Confindustria non è molto divertente, perché dai dati suindicati si rileva pale-semente una contraddizione di carattere economico. Se la ripresa ci sarà sicuramente non sarà di lunga durata perché gli indicatori che determinano in

maniera strutturale una ripresa solida e duratura sono rappre-sentati dal livello dei consumi e dagli investimenti.

Il dato sul quale occorre sof-fermarsi a riflettere è quello inquietante della disoccupazio-ne che non si prevede dimi-nuire. La permanenza di una situazione così drammatica,

sicuramente non incide posi-tivamente sui consumi. Tutte quelle persone che hanno perso il posto di lavoro, salvo ecce-zioni, non saranno in grado di garantire quel livello di con-sumo sufficiente a spingere la ripresa verso l’alto. Come non si può intervenire in una situa-

zione del genere. L’allarme è da tempo lanciato, il mercato del lavoro ha bisogno di riforme strutturali, deve necessariamen-te riassorbire la forza lavoro disoccupata per poter far spera-re il sistema economico ad una ripresa seria e stabile. Finchè i policy makers non adottano politiche strutturali che possa-

no realmente far diminuire il tasso di disoccupazione, si pos-sono fare tutte le stime possibili che il sistema nel suo complesso resterà sempre precario. Se non ripartono i consumi attraverso la leva dei redditi il Pil non avrà mai e poi mai quel sollievo necessario per garantire tassi

di crescita stabili e duraturi. Quello che occorre ormai, in questa particolare congiuntu-ra internazionale, è la defini-zione di politiche economiche determinanti, vicino alla realtà dei mercati nazionali, in Italia, non è pensabile più prorogare i tempi per riassorbire i 528 mila posti di lavoro persi; le famiglie

debbono fornire un indispensa-bile contributo alla crescita del Paese, ma per poterlo fare deb-bono poter contare su redditi dignitosi. L’assenza di lavoro genera un meccanismo vizioso di tipo psicologico e mentale che non incentiva per nulla il disoccupato. Poi se a questo

si sommano gli scarsi ammor-tizzatori sociali previsti dalle nostre disposizioni legislative si capisce bene che non ci sono margini per migliorare.

In Italia, bisogna smetterla di fare sempre i conti senza l’oste. Il Centro Studi stima una ripresa nel 2011 non spiegando però quali sono gli indicatori che traineranno questa ripresa. La stima dunque, si definirebbe troppo ottimistica e non sup-portata da macroaggregati ben individuati.

Ripartire senza lavoro, o meglio senza la possibilità di essere riassorbiti nel mercato non è davvero un segnale di crescita per un Paese industrializzato come l’Italia. A questo bisogna aggiungere l’impatto restrittivo della manovra economica che numericamente potrebbe sem-brare più contenuto di quanto invece, in realtà non lo sia. Insomma, un quadro congiun-turale non troppo chiaro va delineandosi per il prossimo biennio, questo però non può più essere perché dietro questa sommarietà si nasconde una politica economica carente, scarsamente incisiva e poco attenta agli aspetti strutturali dei mercati.

La somma di queste disattenzio-ni produce costi che nel corso del tempo vanno a cumularsi e ad ostacolare il processo di cre-scita. Se si vuole garantire una ripresa solida non è sufficiente

far ripartire il Pil dal recupe-ro dell’evasione fiscale, biso-gna intervenire, invece, per far ripartire gli investimenti delle imprese, i consumi delle fami-glie, insomma bisogna mettere in moto quel ciclo di virtuosi-smo strutturale che garantisce in modo certo e reale crescita e sviluppo. La sfida dei Paesi europei, non è uscire dalla crisi ma è trovare soluzioni per usci-re dalla crisi che ha prodotto effetti diversi a seconda delle tipologie e delle caratteristiche delle singole economie nazio-nali. Occorre fare un patto con l’economia del lavoro, non quella finanziaria, perché il nostro Paese è una Repubblica fondata sul lavoro, cercando quindi di modernizzare almeno questo precetto costituzionale si dovrebbe trovare lo stimolo per mettere a punto politiche ambiziose di tipo strutturale e vitalizie.

Non per essere ridondanti o algoritmici ma la domanda finale è: come è possibile pen-sare ad una ripresa del sistema economico se sono stati polve-rizzati 528 mila posti di lavoro in due anni, se i consumi già al palo subiranno ulteriori con-trazioni e se gli investimenti non ripartiranno, beh, salvo artifizi di contabilità nazionale, si ricorda che il Pil è costitui-to soprattutto da consumi ed investimenti che per ora sono i grandi assenti della politica italiana.

Manovra 2010, e lo sviluppo?

Italia fuori dalla recessione nel 2011Ma con quali indicatori?

24 miliardi di euro senza sviluppo, solo tagli alla spesa e contributi alla stabilizzazione fi nanziaria europea

Il testo finale del decreto legge messo a punto dal governo sarebbe composto da 54 artico-li e tre allegati, per un totale di 150 pagine. Il provvedimento è suddiviso in tre diversi “titoli”: il primo relativo alla stabiliz-zazione finanziaria (art. da 1 a 17), il secondo sul contrasto all’evasione fiscale e contribu-tiva (art.17-39), il terzo su svi-luppo e infrastrutture (art.40-54).

Nel giro di quattro mesi saran-no soppresse le mini-province, quelle che hanno meno di 220 mila abitanti, e saranno deli-neate le aree delle nuove circo-scrizioni: l’articolo 5 stabilisce infatti che “sono soppresse le province la cui popolazione residente risulti, sulla base delle rilevazioni Istat al 1 gennaio 2009, inferiore a 220 mila abi-tanti”. Le norme danno facoltà ai comuni, entro 60 giorni, di scegliere la nuova provincia tra quelle non soppresse della propria Regione, e prevedono 120 giorni prima che un decre-to dal presidente del consiglio arrivi “alla nuova determinazio-ne delle circoscrizioni provin-ciali”. Successivamente, entro due mesi saranno trasferiti i beni e le risorse delle province soppresse.

Un’altra norma prevede che i compensi ai collaboratori dei ministri saranno tagliati del 10%. “Le indennità corrispo-ste ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei ministri, si legge sul documen-to, sono ridotte del 10%. La

riduzione si applica sull’intero importo dell’indennità”.

Il tetto del 3,2% sui contratti pubblici è un’altra misura con-tenuta nel provvedimento. I rinnovi contrattuali stabili nel 2008-2009 non potranno supe-rare la soglia del 3,2%.

Si ferma il processo della molti-plicazione dei salari per i doppi incarichi ai dipendenti pubbli-ci. La manovra prevede infatti la disapplicazione delle norme che autorizzano quote di salario legate all’espletamento di inca-richi aggiuntivi.

Per il triennio 2011-2013 il trattamento economico com-plessivo dei dipendenti pubblici non potrà superare l’importo del 2010. Il congelamento dei trattamenti vari vale anche per il trattamento accessorio pre-visto dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbli-che, secondo uno degli articoli portanti del testo definitivo. Lo stesso articolo in considerazione della eccezionalità della situa-zione economica internaziona-le, prevede nello stesso periodo un taglio del 5% per i redditi superiori a 90 mila euro annui, e del 10% sopra i 150 mila euro.

La manovra contempla anche i rincari dei pedaggi autostradali, ma solo per quelle collegate con raccordi gestiti dall’Anas. La maggiorazione sarà di 1-2 euro, a seconda delle classi di pedaggio.

Inoltre la manovra prevede l’in-

nalzamento dell’età pensiona-bile per le donne in qualità di dipendenti pubblici.

Come si evince dalle suindicate misure, non si tratta sicura-mente di una manovra per lo sviluppo e per la crescita del Paese. Gli obiettivi della sta-bilizzazione finanziaria, della razionalizzazione della spesa previdenziale e contributiva e lo

sviluppo infrastrutturale sono legittimi e vanno sicuramente raggiunti, ma gli interventi pre-visti a sostegno di questi obiet-tivi sono francamente troppo poco per un Paese che deve ritornare a crescere rapidamen-te, che deve aumentare il livello di produttività, che deve avere

un mercato del lavoro molto dinamico, flessibile ed in grado di assicurare stabilità e certezza in termini di occupazione e rendimento.

Questa manovra, invece, è tutta concentrata nel perimetro del bilancio pubblico dello Stato, tendente a razionalizzare la spesa, ad aumentare le entrate mediante una più forte azione

di contrasto all’evasione fiscale e contributiva. La soppressione di enti ed organismi pubblici è comunque una buona misu-ra ma rimane incompleta in quanto esistono sul territorio nazionale altri organismi pub-blici e/o misti cioè a capitale pubblico-privato che non ser-

vono a nulla ma rappresentano soltanto costi.

Gli interventi previsti nell’ambi-to delle entrate non fiscali sono quelli a salvaguardia dell’euro, cioè il Ministero dell’Economia e delle Finanze è autorizzato ad assicurare la partecipazio-ne della Repubblica italiana al capitale sociale della società che verrà costituita insieme agli altri

Stati membri dell’area dell’euro, in conformità alle conclusioni del Consiglio dell’UE del 9-10 maggio 2010, al fine di assicu-rare la salvaguardia della stabili-tà finanziaria dell’area dell’euro. A tal fine è autorizzata la spesa massima di 20 milioni di euro per l’anno 2011.

Gli interventi di contrasto all’evasione fiscale e contribu-tiva prevedono una maggio-re partecipazione dei Comuni all’attività di accertamento fiscale e contributivo, consi-stente appunto nella segnalazio-ne all’Agenzia delle Entrate, alla Guardia di Finanzia e all’Inps, di elementi utili ad integrare i dati contenuti nelle dichia-razioni presentate dai contri-buenti per la determinazione di maggiori imponibili fiscali e contributivi. I Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti sono tenuti ad istituire il Consiglio tributario.

Con molta franchezza una manovra così sterile in termini di crescita e di sviluppo non si vedeva da qualche tempo, è vero che la situazione del bilancio pubblico è critica ma è altret-tanto vero che una manovra non può solo prevedere misure in un determinato settore, que-sta manovra non è armoniosa, non è sinergica è invece, statica, rigida, compartimentalizzata e non fornisce alcun contributo alla crescita del Paese.

I veri problemi dell’Italia, in questa manovra sono stati dimenticati in termini di eco-nomia reale, e rimandati al prossimo appuntamento. Il vero problema è che ogni volta che si rimanda la collettività è costretta a finanziare queste manovre sopportando i costi dell’indebitamento e della sta-gnazione.

Avanzino Capponi

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La Piazza d’Italia - Esteri

La regione mediorientale ha continuamente dovuto vivere momenti drammatici, quello di oggi conta 19 morti (a quanto pare), un computo tragico che da quanto si apprende poteva essere evitato.L’esercito israeliano ha aperto il fuoco su una nave, durante il tentativo di presa di controllo dell’imbarcazione, che faceva parte di una flottiglia con fini umanitari che ha cercato di forzare il blocco a Gaza, la Freedom Flotilla.Una situazione drammatica che rischia di innescare una nuova spirale di violenza che potrebbe non essere solo quella di movi-menti politici paramilitari ma che potrebbe portare ad un vio-lento confronto le forze militari tradizionali nella regione.L’antefatto: da giorni la flotti-glia era pronta a salpare dalla Turchia (non è un caso che proprio questo Paese abbia pro-mosso un’iniziativa provocato-ria come questa vista la svolta filo iraniana degli ultimi mesi) per dirigersi prima a Cipro e poi verso il porto di Gaza.Da giorni Israele ha cercato di dissuadere l’azione afferman-do che non avrebbe permesso, questa volta, l’operazione e che avrebbe concesso al carico uma-nitario di andare a Gaza solo dopo essere stato dirottato in un porto israeliano e dopo le dovute ispezioni necessarie a garantire allo Stato ebraico la sua sicurezza.La flottiglia ed i movimenti che

la sostenevano hanno ignora-to quanto proposto da Israele e hanno proseguito nei loro intenti.All’alba del 31 maggio la mari-na israeliana ha condotto l’azio-ne che aveva previsto: l’abbor-daggio, la presa di controllo dei natanti e l’attracco in un porto israeliano.Secondo l’ammiraglio Eliezer Marom, tutto si è svolto senza particolari problemi su tutte le navi tranne che sulla Mavi Marmara su cui c’erano 700 attivisti e su cui sono state ucci-se 19 persone. I feriti sono 40 di cui 10 sono soldati israeliani.Scontata e giusta la reazione a caldo del mondo che condanna l’azione israeliana con un così grave epilogo ma quando la passione potrà lasciare spazio anche alla ragione sarebbe giu-sto domandarsi cosa avrebbe dovuto aspettarsi un convoglio che aveva il dichiarato intento di rompere l’embargo di Israele su Gaza, sfidando lo Stato ebrai-co, domandarsi cosa avrebbe fatto qualsiasi altro Stato al posto di Israele se non quello di prendere il controllo delle imbarcazioni per condurle in luogo sicuro, domandarsi per-ché proprio ora che i colloqui indiretti stavano riprendendo è stata decisa una missione “per la pace” che poteva solo far aumentare la tensione.E’ senza dubbio gravissimo il numero dei morti ma dovrà essere un’inchiesta realmente indipendente a verificare quan-

to veramente accaduto perché se è vero che i soldati israeliani hanno aperto il fuoco soltanto su una delle imbarcazioni, se è vero che l’uso della forza è stato sproporzionato bisogne-rà anche verificare se c’erano elementi di disturbo tra i 700 attivisti imbarcati sulla Mavi Marmara che potrebbero aver innescato la reazione dei sol-dati. Secondo quanto riportato da fonti militari israeliane, ad accogliere i soldati c’era un numero di attivisti armati di spranghe e coltelli, qualcuno di questi sembra sia riuscito a disarmare un militare sparan-do colpi con l’arma sottrat-ta. Tutto da verificare perché quanto accaduto è veramente troppo grave.Un’altra riflessione va fatta sul fronte israeliano perché spesso è accaduto che quando la pres-sione per una svolta nella situa-zione palestinese si è fatta mag-giore, quando i colloqui diretti o indiretti si sono intensificati, quando qualcosa di sotterraneo sembra affiorare in superficie, come l’improvviso invito di Obama a Netanyhau per un incontro ai margini della visita in Canada del premier israelia-no, succede qualcosa che porta la situazione indietro di anni. Il primo Ministro Israeliano è infatti tornato in patria senza vedere il Presidente USA per fare fronte ad una situazione che potrebbe essere stata con-dotta in maniera troppo zelante da parte di qualcuno, alle spalle

anche del Ministro della difesa Barak, notoriamente più mode-rato e almeno pubblicamen-te più attento a certi equilibri rispetto al suo Primo Ministro.Una considerazione simile va fatta in merito anche al nuovo asse Iran - Siria - Turchia che avrebbe tutto l’interesse ad innescare tensioni nell’area, vista l’imminenza di ulterio-ri sanzioni contro il program-ma nucleare iraniano da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.La Turchia dal canto suo, perorando la sua nuova causa filo-iraniana e interrompendo una storia lunga 60anni, ha richiamato il proprio ambascia-tore interrompendo le relazioni diplomatiche con Israele facen-do con questa azione il suo passo definitivo tra quegli Stati che combattono Israele.A differenza di quanto avve-nuto durante la l’operazione “piombo fuso”, che era perce-pite come una questione tra israeliani e palestinesi di Gaza, quanto avvenuto coinvolge cit-tadini di diversi Paesi non diret-tamente coninvolti nel conflitto e questo, di certo, non aiuterà israele a trovare collaborazione nel resto del mondo.Riflessioni che non alleggerisco-no le responsabilità per la morte di 19 civili ma che vorrebbero contribuire ad allargare il qua-dro per dare una fisionomia più completa a quanto accaduto.

Gabriele Polgar

Attualmente, oltre alle ripetute dichiarazioni allarmate e allar-manti, falliti i maldestri tentativi iniziali di minimizzare l’ ”immi-nimizzabile” disastro ambientale di proporzioni bibliche che ha investito il Golfo del Messico, la multinazionale BP, in qualità di assoluta responsabile dell’ accadu-to, è stata esclusa dai Dow Jones Sustainability Indexes (DJSI).Bp era stata inserita nel Djsi come una societa’ leader. Infatti, nella scheda del novembre 2003, dedicata alla multinazionale bri-tannica, si evince che “BP sta guidando i suoi concorrenti verso la sostenibilita’ aziendale ed è impegnata ad adattare l’indu-stria petrolifera e del gas agli aspetti sociali e ambientali del fare impresa. In particolare, la compagnia considera lo sviluppo sostenibile come un’opportunita’

di business profittevole e ha inte-grato le considerazioni ambien-tali e sociali nella sua strategia di crescita”.Una vera beffa, per gli ambien-talisti e per gli stessi vertici BP, precipitati in una seria impasse d’immagine. La multinazionale continua invece a essere compre-sa negli indici azionari per l’in-vestimento socialmente respon-sabile Ftse4Good, promossi nel 2001 dal Financial Times e dal London Stock Exchange, per la cui revisione ordinaria si dovra’ aspettare fino a settembre.Nonostante tutto, nonostante il disastro abbia avuto luogo prati-camente nel loro “cortile di casa” la catastrofe poco appassiona gli americani.Solo 32 milioni hanno infat-ti ascoltato il discorso televisivo di Obama sul disastro ecologi-co nel Golfo del Messico, il 33 per cento in meno rispetto a quelli che ascoltarono il discor-so dell’Unione, pochi rispetto al Superbowl, che ha fatto 106 milioni di spettatori. Alla fine, BP ha acconsentito a versare 20 miliardi di dollari in un fondo che, secondo Obama, potrebbe rivelarsi anche più costoso. BP paghera fino all’ultimo centesi-mo, questa la promessa, e deve turare al più presto la falla. Del resto, storicamente, la sensibilità degli Usa in fatto di sostenibilità ambientale è a dir poco “raso-terra”.Al contrario, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è sceso in campo per la sua nuova battaglia: l’energia pulita. Gli Stati Uniti, nazione guida dell’Occi-dente non possono permettersi di restare indietro in questo campo, fondamentale per il mondo e il futuro dell’uomo nel mondo. In verità, l’ambientalismo è un punto importante del program-ma di Obama che lo ha condotto alla vittoria delle elezioni. Il disa-stro della Deepwater, avvenuto proprio a due passi dalle coste americane non ha fatto altro che riportare alla ribalta un tema, passato in second’ordine rispet-to a necessità più impellenti. In tono caustico (sull’accaduto) e solenne (sul da farsi) Obama ha

definito “un’epidemia” il flusso di petrolio che continua zampil-lare dal fondale marino. Il pre-sidente Usa ha auspicato inoltre una rivoluzione legislativa capace di indirizzare il paese verso lo sfruttamento di nuove fonti di energia per un nuovo stile di consumo.Una transizione costosa e diffici-le, che al momento non si vede come si possa realizzare. Troppe le forze in gioco e gli interes-si contrari, troppe le uova nel paniere che andrebbe a frantu-mare una simile rivoluzione.Il monito finale, toccante e con-divisibile: “Non possiamo conse-gnare questo fardello ai giovani”.Il peso dei danni ambientali ingenti con ovvie conseguenze su ecosistema e salute ma non solo.Si tratta dell’esaurimento – dietro l’angolo delle forme di energia

tradizionali, che potrebbe in un futuro non lontano moltiplicare le tensioni sociali (prezzi fuori controllo) e internazionali (guer-re).Al momento le stime del gey-ser di greggio che fuoriesce dai fondali del Golfo del Messico sono molto più alte di quanto annunciato la scorsa settimana: si tratterebbe di ben 60mila barili di greggio al giorno. Un’ enor-mità, con la promessa che la sua amministrazione farà pagare alla British Petroleum – con cui ieri il presidente ha avuto un’impor-tante riunione – “tutti i danni che ha provocato” e la conferma che imporrà alla società petrolifera di costituire un fondo di garanzia di 20 miliardi di dollari su un conto bloccato per i risarcimenti alle vittime del disastro ambien-tale. Infine, è stato nominato un responsabile della ricostruzione nel Golfo, l’ex governatore del Mississippi Ray Mabus che si occuperà di supervisionare il Golf Coast Restoration Plan (finanzia-to appunto dalla Bp).Il richiamo di Obama poi all’11 settembre e l’invito rivolto agli americani di “andare al mare sulle spiagge non colpite” richia-ma inesorabilmente l’appello di Bush che, dopo gli attacchi, aveva chiesto ai connazionali di “continuare a vivere le propria vita senza cedere al terrore”. Un equazione a mio avviso un po’ forzata, spia forze della fase deli-cata che sta attraversando la sua amministrazione (il 52% degli intervistati boccia senza pietà il suo operato).Intanto mentre si predismpon-gono piani, si tentano soluzio-ni per limitare i danni causati dalla marea nera che seguita ad imbrattare il Golfo del Messico, a Grand Isle, isoletta a pocchi passi dal luogo del misfatto, gli emis-sari della BP fanno di tutto per limitare l’accesso alle informazio-ni. Essi impediscono ai giornalisti di entrare in contatto coi respon-sabili per la pulizia delle spiagge, controllando di fatto l’intera filie-ra informativa.I conti non tornano, al di là di mille parole.

Per prima cosa il bilancio dram-matico di 19 morti è stato ridi-mensionato a 9, sempre di vite umane si tratta ma l’entità è decisamente inferiore.Per seconda cosa gli israeliani, che proprio stupidi non sono, hanno pubblicato video in cui si sono visti i reali intenti dei “pacifisti” che hanno assalito i soldati con spranghe, coltelli e altri oggetti contundenti prima ancora che qualsiasi tipo di minaccia gli si ponesse davanti. Solo su un’imbarcazione su sei ci sono stati scontri e questo la dice lunga sulle intenzioni israeliane e su quelle di quei “pacifisti”.Va anche considerato un imba-razzante silenzio da parte di molti dei leaders che hanno condannato Israele non per l’intervento ma per l’esito. Gli stessi leaders che hanno inserito Hamas nella lista delle organiz-zazioni terroristiche e che ora spostano la loro attenzione sulla condizione umanitaria di Gaza per non dover ritornare sui loro affrettati giudizi sull’assalto.E’ indubbio che lo Stato ebraico avrebbe potuto gestire la situa-zione diversamente ma, cercan-do di semplificare e togliendo qualsiasi tipo di colore alla fac-cenda, di fronte ad uno Stato che è in guerra con un’altra entità (c’è una tregua in atto non un trattato di pace) e che decide di bloccare approvvigio-namenti non controllati per evi-tare un copioso traffico di armi verso il nemico, come dovrebbe reagire questo Stato in caso in cui qualcuno tentasse di rompe-re questo blocco? La risposta è molto semplice: con i soldati. E cosa succede in tutto il mondo quando un soldato viene assalito e minacciato? Il soldato spara.Israele è uno Stato democratico, in perenne stato di allerta, che ha le sue regole come i suoi simili in occidente. Ha istitui-to una commissione di inchie-

sta indipendente di altissimo profilo ed ha inserito in essa anche due osservatori esterni per dimostrare che tiene in con-siderazione le preoccupazioni dei suoi alleati e che poco ha da temere dall’esito che uscirà dalle indagini. In ogni caso, come è già successo, se qualcuno ha sbagliato pagherà.Una piccola riflessione su Hamas: invece di gridare come consueto e concentrare la rea-zione nell’area da lei governata,

ha intelligentemente pensato di istigare i mussulmani e non di tutto il mondo a colpire le ambasciate israeliane, un modo per ricattare gli altri Paesi e tentare di far arrivare i disordini e i problemi in casa altrui. E mentre urla al mondo la crisi umanitaria a Gaza, blocca e fa marcire gli aiuti della flotilla perché controllati dagli israelia-ni. C’è qualcosa di distorto in tutto questo.Troppo spesso ci si dimenti-ca di cosa si sta parlando, del fatto che Hamas (con le armi dell’amico Iran) vuole cancella-re Israele e che il lancio di razzi, prima dell’operazione piombo fuso, non era stato provocato da Israele ma dalla necessità di Hamas di alzare la tensione dell’area fino alla guerra. Ci si dimentica che Sharon, nel 2005, decise di lasciare Gaza e che Hamas, dopo sanguino-

si scontri fratricidi, ha cacciato Fatah e ha preso possesso della striscia di terra tra Israele ed Egitto.Già, l’Egitto. Cosa fa l’Egitto per la popolazione di Gaza? La blocca, solo ogni tanto, quando la pressione mediatica aumenta su Israele, apre i valichi e fa passare qualche aiuto e consente il passaggio controllato verso il proprio territorio per far vedere la propria magnanimità. Anche l’Egitto blocca i convogli di

aiuti per controllare che non ci siano armi, anche l’Egitto spara contro chi viola i confini e, cosa assai importante, anche l’Egitto ha costruito un muro.E i pacifisti del mondo cosa dicono di queste analogie con lo Stato ebraico? Nulla e il motivo è molto semplice: il pacifismo è stato conquistato dalla corrente antisemita che sfrutta qualsiasi argomento, vero o falso che sia, per condurre una politica non anti-israeliana ma antise-mita. Un sentimento che si è fatto strada neanche troppo len-tamente. Era lì dormiente in attesa che i tempi fossero maturi per riuscire allo scoperto con un leggero velo di trucco in modo da non far gridare allo scandalo un’opinione pubblica distratta e soprattutto formata da organi di informazione che troppo spes-so non cercano la verità (vedi il caso Reuters delle immagini

ritoccate) e da organizzazioni comandate da personaggi che con la democrazia hanno poco a che fare come l’ONU e le sue estensioni (vedi il Consiglio per i diritti umani) che non fanno altro che dedicare risorse ad un problema grave come quello mediorientale, ma che trascura-no immani tragedie in altre aree del mondo che necessiterebbero di ben altro rispetto a quello gli viene concesso.Che senso avrebbe altrimenti andare ad insultare al ghetto di Roma, chiamandoli assassini, cittadini italiani ebrei invece di protestare con la rappresentanza diplomatica di uno Stato sovra-no per l’intervento sulla flotta?Alcune delle dichiarazioni degli italiani, presenti sulle navi bloc-cate, che sono stati arrestati e poi rilasciati dalle autorità israe-liane non lasciano dubbi in pro-posito. Gente che si è lamentata per essere stata trattata in modo brutale perché non ha potuto chiamare casa durante l’arre-sto, cosa che accade in tutto il mondo civile o ci si aspettava che Israele li avrebbe fatti sog-giornare in un villaggio vacanze? Gente che ha detto di essere stata picchiata selvaggiamente ma che non ha un segno e che riesce a saltare ed abbracciare con passione i propri cari senza che una smorfia di dolore fisico si veda sul volto, gente che ha affermato che i cadaveri di molti “pacifisti” sono stati get-tati in mare, cosa che neanche la Turchia si è azzardata a dire.Tutto per veicolare l’opinione pubblica contro uno Stato che deve essere rappresentato come brutale e assassino per biechi fini che nulla hanno a che fare con la morale della pace.La storia contemporanea ci ha abituato a vedere i tanti volti della verità, questa volta questi volti si assomiglieranno molto.

Gabriele Polgar

Israele blocca la Freedom Flotilla e su una delle navi muoiono 19 persone, forse

Nel day after la “polemica” ha preso una piega politica e mediatica diversa

Assalto al convoglio “umanitario”

Freedom Flotilla, fatti e riflessioni

Il petrolio continua a fuoriuscireimbrattando il Golfo del Messico

Disastro BP

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La Piazza d’Italia - Cultura

Il 7 Giugno Calderoli ha annun-ciato: visti i tanti sacrifici chiesti alle varie categorie sociali dalla manovra aggiuntiva 2011-2012 è giusto che chi guadagna di più dia il buon esempio.Ineccepibile.Due categorie in particolare sono nel suo mirino: i calciatori e gli stipendi d’oro in RAI; i numeri riferiscono che il monte degli stipendi della serie A calcolato all’inizio della stagione 2009-2010 ha superato gli 800 milio-ni di euro; nel caso di vittoria al mondiale ciascun giocatore della Nazionale percepirà un premio di 240 mila euro netti; se l’Italia si classificherà al secondo posto ogni azzurro del Sud Africa pren-derà 130 mila euro e il terzo posto invece, riserva a confronto spiccioli per i nostri sportivi, ossia 30 mila euro.Con questi presupposti, sull’intervento del ministro, Cannavaro, autoelettosi censore della politica, arringa dall’alto del suo mondo dorato che l’Italia è un paese ridicolo.I numeri degli stipendi RAI, volano da 1.075.00 euro lordi all’anno per Fabio Fazio, ai 715.000 euro lordi all’anno per Michele Santoro, per passare ai 900.000 euro lordi annui della Ventura, agli inediti di Bruno Vespa.Questi i guadagni più chiac-chierati della settimana e in fin dei conti, non si tratta che di un’amara rappresentazione della punta di un iceberg che cela una disuguaglianza economica e sociale più che profonda.L’Italia inoltre, come ha dichia-rato la Marcegaglia, ha ormai un’evasione fiscale insostenibile e bisogna realizzare il massimo per ridurla, non solo perché la Grecia ha fatto da maestra ulti-

mamente sugli esiti di una piaga del genere, ma anche perché è intollerabile nel nostro paese, la mentalità che continua a dif-fondere dubbi sulla certezza che il pagamento delle tasse sia un mezzo fondamentale affinché la società possa offrire in cambio dei servizi ai cittadini.Nel piano della manovra si pote-va anche cercare più accurata-mente il modo per fare più gene-rosi tagli agli stipendi dei politici e di sicuro questa è una riflessio-ne opportuna e più appropriata

delle opposizioni lamentate nei confronti di Calderoli: c’è chi l’ha accusato di demagogia, chi di inadeguatezza perché essendo il mondo del calcio un comparto privato, su di esso non si può intervenire e c’è chi ha ribadito il lato più professionale del gua-dagno, ossia, in ogni lavoro se fai bene c’è un riconoscimento economico anche maggiore.Il calcio sarà anche un mondo a sé, ma questo non giustifica l’oro di cui è circondato e il meri-

to professionale, giornalistico e politico che sia, dovrà giusta-mente anche avere una maggiore soddisfazione economica, ma la riflessione lanciata dal ministro è pertinente: ha posto sotto i riflet-tori il dubbio sulla reale necessità di tutta questa abbondanza di fronte a chi lavora ma non gode neanche di un contratto che gli possa garantire un futuro decen-te, di fronte a chi usufruisce della sola cassa integrazione per vivere, di fronte a chi perde la pro-pria professione perché l’azienda

dove è impiegato ha deciso di fallire qui in Italia per rinascere all’estero dove la manodopera costa di meno e di fronte a chi vive di rendita ma non paga tasse opportune.Se è demagogia palesare que-sta realtà di fatto allora bisogna anche cominciare ad ammirare quella retorica che viene accu-sata di poca scaltrezza politica, in quanto non mirante a pro-muovere interventi a “spizzico” (come direbbe Popper), ma che

utilizza degli argomenti solo per puro convincimento dell’altro.C’è un problema grave, generale e per niente fittizio, la differenza di condizioni di vita si amplia sempre di più; da qui, una volta inquadrata questa urgenza, si dovrebbe intervenire con atti volti a ridurre la disparità, così che un po’ di sobrietà tocchi anche chi è costretto a scende-re dal proprio Yacht per degli accertamenti finanziari, sospet-tato di evasione fiscale e riciclag-gio, se non altro per risparmiare in questo modo ai comuni mor-tali il dover ascoltare esternazioni non sopportabili.La discussione sull’opulenza non sfuggì neanche a Montesquieu ( La Brède 18 gennaio 1689 – Parigi 10 febbraio 1755), filo-sofo, storico e pensatore politico francese, considerato il fondatore della teoria della separazione dei poteri statali.Nella sua opera più importante, “L’Esprit des Lois” (1748), pre-cisamente nel 7 libro, parla del lusso e dei suoi effetti.Ma precedentemente, nel 5 Libro, capitolo quarto, si soffer-ma ad illustrare la modalità attra-verso la quale s’ispira l’amore per l’uguaglianza e per la frugalità.Innanzitutto è una massima veri-tiera e da tenere sempre a mente, dice Montesquieu, quella che afferma che in una Repubblica per apprezzare le due virtù sopra citate è necessario che la legisla-zione ve le abbia stabilite. Solo nelle monarchie e negli stati dispotici nessuno aspira all’ugua-glianza perché ognuno tende alla superiorità.Senza un ordinamento politico che mantiene la frugalità, la disu-guaglianza rientrerà dal lato che le leggi non avevano impedito e la Repubblica sarà persa.

Al fine di rispettare tale equi-librio, il filosofo, in linea con i suoi tempi ma non del tutto estraneo ai nostri, propone di stabilire un censo che riduca o fissi le differenze fino ad un certo punto; “dopo di che sta alle leggi particolari pareggiare, per così dire, le disuguaglianze, con i pesi che esse impongono ai ricchi e il sollievo che accordano ai poveri” (pag.194).Montesquieu, perseguendo il suo ideale di parità di condizioni, da una lezione di moderazione e afferma che non basta che le porzioni di terra siano uguali, ma è necessario che siano piccole; le leggi devono quindi dividere le fortune mano a mano che il commercio le accresce, metten-do così ogni cittadino povero in una posizione abbastanza agiata per poter lavorare come gli altri e ogni ricco in una situazione tanto modesta da aver bisogno della propria professione per conservare ed acquistare.Dove le fortune degli uomini sono tanto disuguali non vi è molta virtù, per questo il filosofo insiste sul ruolo fondamentale delle leggi poichè in un contesto del genere, spetterà a loro il com-pito di infondere il più possibile uno spirito di moderazione, al fine di ristabilire quell’uguaglian-za che l’atto di costituzione di uno stato elimina per necessità.Altrimenti, due potrebbero diventare le fonti di disordine sociale: un’estrema disuguaglian-za tra i governanti e i governati e una stessa condizione di dislivel-lo tra i diversi membri del corpo politico. Questi due squilibri determinano odi e gelosie che appunto, l’ordinamento deve o arrestare o prevenire.“Questa disuguaglianza si troverà altresì se la condizione dei cittadi-

ni è diversa rispetto alle imposte il che avviene in quattro maniere: quando i nobili si arrogano il pri-vilegio di non pagarne; quando fanno delle frodi per esentarse-ne; quando le reclamano per sé sotto pretesto di retribuzione o di stipendi per le cariche che eser-citano; infine quando rendono tributario il popolo e si dividono le imposte che esigono su di esso” (pag. 200).L’avarizia diventa così un capric-cio e le entrate pubbliche si ridu-cono a nulla; gli stati rei di questo atteggiamento cadono inevitabil-mente in situazioni di debolezza, circostanza che stupisce non solo i cittadini ma anche i paesi vicini (vedi caso Grecia).Imperativo categorico per Montesquieu diventa dunque il seguente: le leggi devono morti-ficare in tutti i tempi l’orgoglio del dominio.Infatti, ed ecco il 7 libro, il lusso si sviluppa sempre in proporzio-ne alla disparità delle fortune e perchè le ricchezze siano ripartite nel modo più equo possibile, bisogna che le leggi giudichino a ciascuno il necessario; meno lusso c’è in una repubblica, affer-ma Montesquieu, più questa si avvicina alla perfezione.A misura che il lusso si stabilisce in una repubblica, l’attenzione personale si volge verso l’inte-resse particolare e un animo così corrotto, diventa presto nemi-co delle leggi che finiscono per essere considerate uno scomodo impaccio.Questo spirito è contrario alla moderazione e deve essere per-ciò bandito, perché tutte le Repubbliche capitolano prima o poi di fronte all’insaziabile ricer-ca di un’opulenza sfrenata.

Ilaria Parpaglioni

“Tertium non datur”? Una domanda che pone l’eventualità di una terza via, di una terza alternativa e in questa narrativa che oggi vogliamo raccontare, va sotto i riflettori la possibilità di una satira misurata, ironica e morbida allo stesso tempo, che con benevolenza strizza l’occhio ai costumi italiani, soprattut-to meridionali, consapevole di rappresentare scenari borghesi superati e una saggezza storica colorita. Un modo di vedere le cose che non è né troppo urlato né troppo modesto, ma reale in modo discreto e comico proprio per la realtà con cui è rappre-sentato il fatto quotidiano, per niente scontato quest’ultimo, poiché osservato con sottigliezza e ironia.Franz Von Lobstein, Dottore in Lettere Moderne con indirizzo storico, membro del Sovrano Militare Ordine di Malta dal 28 novembre 1962, per 29 anni Cancelliere del Gran Priorato di Roma e dal 1994 al 2006 Gran Priore di Roma, si dedica alla stesura del testo “Tertium non datur?”, rivolgendo il suo omaggio e pensiero agli scrittori meridionali, al fine di alimentare quell’attenzione per una lettera-tura e più in generale per una società, che è stata l’humus di tanta civiltà nel mondo.Il testo regala riflessioni non scontate e risate spensierate attra-verso una visione disincantata e autentica della realtà, scopren-done le forzature nobiliari, l’in-genuità popolare e mostrando l’amore per una semantica che si prodiga anche ad uno studio delle parole più in uso nel lin-guaggio quotidiano o più obso-lete, espressioni quest’ultime, di una buona società che fu, intrisa di apparenze ed etichette.

Alle prime pagine, l’autore ci racconta dell’esistenza di un vero e proprio trattato di gelateria, quello del Grifoni, risalente al 1928; ma più curiosa è l’in-dagine sull’origine e l’uso del gelato che tradizione assegna notoriamente alla Toscana del XVI secolo e che la storia ha visto evolversi in quattro classi: gelati veri e propri, granite, gra-molate e sorbetti, E qui non può non inserirsi quella nota voce popolare che definisce le granite senza liquido servite in bicchieri, in piccoli frammenti ghiacciati, come le mitiche grattachecche.Il libro dedica un pensiero all’usanza elegante del baciama-no, segno di rispetto, affetto e riverenza e che nelle reale Corte Borbonica napoletana, la con-suetudine prese il nome di Reali Baciamani; simpatica riflessione sul fatto che il gesto rappresen-tasse ammissione o meno alla nobiltà.Il capitolo della “semantica che passione” dedica i suoi studi alle espressioni e a parole tipo, “a uffa”, bacchettone, bailam-me, balocco, bigotto, bisboccia, bislacco, “a bizzeffe”, ghirigoro, guazzabuglio, inciucio, putife-rio, scarabocchio, il gioco tres-sette e zotico.Le pagine sulla bruttezza, ci illu-minano di una verissima perla di saggezza: “unico vantaggio della bruttezza sulla bellezza: la bruttezza dura…”.Nella pagina 71 è impressa una sola frase di un Anonimo Ebraico, ma di un’intensità sconvolgente, il titolo è Dio Ride: L’uomo pensa, Dio ride.Poco più avanti si prende in esame il senso della “Fesseria” o Fessaggine” e sono due le tesi a riguardo che vengono con-siderate, quella di Stalin e una

di Totò; il primo ci ricorda che un fesso pensoso è peggiore di 10 nemici e un fesso leccapiedi è peggiore di 100 nemici; la seconda invece, riporta un’uscita del Principe Partenopeo della risata italiana, dove in un film si rivolse ad un tizio dicendogli: “

Tutti abbiamo diritto ad essere Fessi, ma Voi passate il permes-so”. Osservazioni queste che si possono affermare appunto “a uffa” nella costante quotidia-nità.A pagina 77 vengono raccontate amare o più generiche riflessioni sulla vita: “il dentista è l’unico che mangia con i denti degli

altri”: come dargli torto; o la più modesta considerazioni di Montaigne: “la vita è un movi-mento ineguale, irregolare, mul-tiforme”. O la più cinica espres-sione di William Shakespeare: “La vita è una storia grottesca raccontata da un ubriaco, che

non significa nulla”.Queste tre, insieme alle altre, sono perfettamente pertinenti alla realtà dei fatti.La risata scaturisce sincera e assolutamente divertita quando nel libro ci imbattiamo nelle scritte Napoletane. Per citarne solo qualcuna: un mobiliere scri-ve “si vendono letti a castello

per bambini di legno”, a seguire, una macelleria che riporta il car-tello con scritto “ carne bovina, ovina, caprina, suina, pollina, coniglina” e ancora, un fioraio che scrive, “se mi cercate sono al cimitero…vivo”; una polleria che riporta l’insegna “si ammaz-zano galline in faccia. E cioè, (spiegazione necessaria a questo punto della frase!) a richiesta, alla presenza dell’acquirente” e un negozio di abbigliamento infantile non è da meno ai casi precedenti e scrive ”Si vendo-no impermeabili per bambini di gomma” e la specificazione continua ad andare sempre al posto sbagliato. E via dicendo, tra nuovi arrivi di mutande che se si provano non si toglieranno più (per fare “ovviamente” capi-re la qualità buona del prodotto) o negozi dove si riparano bici-clette, anche rotte.Insomma, uno spaccato di vita quotidiana napoletana che non può che essere apprezzato per quanto disincantato, sereno e veritiero.I casi umani nel libro continua-no con la storia di un Principe Romano che dopo la morte della moglie decide di prendere i voti; al rientro dalla stazione Termini, accompagnato da una delle sue giovani figlie, Suora, salgono su una carrozzella noleggiata lì per lì e il vetturino con aria sfac-ciatamente inquisitoria osserva i due soggetti. Il Monsignore seccato dello sguardo insistente, gli dice irritato: “Ma che te guar-di? E’ mi fija”. L’altro dunque, ancora più perplesso risponde: ”Mejo me sento”!Rappresentazione questa, di un riflesso romano indiscutibile.E’ splendido leggere in francese la pagina dedicata alla Jeunesse, colma di un languore e di una

dolcezza incredibili e mai giovi-nezza è stata rappresentata più vera.Le pagine dedicate al silenzio, sono una voce cruda e riflessiva sulla sua essenza e sulla sua per-tinenza.La vecchiaia, finale di una gran-de sinfonia (Giovanni Paolo II), viene cullata nella pagina da più pensieri ad essa dedicati.Oggi come non mai, non poteva mancare un capitolo del libro sull’ignoranza: “la non cono-scenza, la sciattezza, la superfi-cialità sono sempre più diffuse oggi”.E in ultimo terminiamo il viva-ce panorama sul libro, con una pagina iniziale, scaletta adeguata per chiudere in ricordo dell’Ita-lia intera; la vicenda riguarda Cavour e si vuole che egli mentre era intento ad esaminare tutte le sue carte politiche, un giorno distrattamente immerse il suo sigaro nel calamaio e poi lo aspirò incurante. Visto che rimase for-temente compiaciuto dal sapo-re e dall’odore di straordinaria fragranza, a pieno titolo quello divenne il sigaro “storico”, che analizzato chimicamente su ordi-ne dello stesso statista, si scoprì che l’eccellenza del gusto era stata data dalle particelle di solfato di ferro di cui il tabacco si era per caso imbevuto.Nascevano così i noti sigari di Cavour, per lunghi anni vanto dei Regi italiani.Questo piacevolissimo testo del Balì fra Franz von Lobestein nasce dal desiderio di riscoprire il passato attraverso pubblica-zioni ormai introvabili, per riap-propriarci delle nostre radici che esprimono anche ironicamente, una ricchezza inconfondibile.

I.P.

La frugalità che genera virtù

Montesquieu contro il lusso

Franz Von Lobstein, tertium non datur?

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La Piazza d’Italia - Attualità

E’ difficile comprendere il valore simbolico dei Mondiali in Sud Africa se non si è a conoscenza del significato che il calcio ha assunto nella storia di questo paese, delle battaglie di cui è stato veicolo e delle lotte che ha incarnato.Dunque lo sport, può non esse-re soltanto un giro d’affari, ma in contesti e paesi difficili, può rappresentare un mezzo attraverso il quale far sentire la propria ribellione, la pro-pria appartenenza ad una clas-se politica o addirittura, può significare scontro razziale.Il calcio e il rugby nel paese africano in questione, sono stati lo specchio di tre elemen-ti di distinzione: ceto sociale di provenienza, differenze di colore di pelle e merito spor-tivo.Ci si può chiedere il moti-vo di tutto questo, il perché due “giochi” siano arrivati a racchiudere dei significati così profondi e laceranti; proba-bilmente la risposta sta nel fatto che là dove uno stato non garantisce rappresentan-za popolare equa e non per-mette partecipazione politica, dove per legge si ammette la disuguaglianza e si mira alla soppressione dell’opposizio-ne, dove i diritti dell’uomo vengono calpestati, la volontà di giustizia trova comunque e prima o poi la sua strada per farsi notare e certo è però, che il percorso viene facilitato se la congiuntura internazionale decide di prendere coscienza dell’evidenza di un sistema che non funziona.La prigione di Robben Island, Sud Africa, ha fatto storia rin-chiudendo centinaia di mili-tanti politici antirazzisti; ma intorno ai primi anni del 1960 le mura del carcere subirono uno scossone.

Per passare il tempo i detenu-ti cominciano a giocare con un pallone ricavato da stracci; attività tollerata dalle guardie finché resta relegata all’interno delle piccolissime celle.Ma i prigionieri cominciano a rivendicare questa attività come un loro diritto durante l’ora d’aria, cercando di ottene-re di poter giocare nei campetti esterni alle celle.Per oltre tre anni non si pie-gano e sopportano durissime punizioni pur di vedere accet-tata la loro richiesta.Alla fine ce la fanno e riescono a dar vita alla “Matyeni Football Association” dove Matyeni sta per pietre, in memoria della cava a loro riservata per i lavori forzati).Ma solamente nel 1969, grazie alle ispezioni della croce rossa internazionale, i carcerieri deci-dono di assecondare la richiesta dei prigionieri e viene loro per-messo di organizzare un cam-pionato. L’associazione cam-bia nome e diventa “Makana Football Association ( Makana è il nome di un condottiero xhosa, rinchiuso e morto un secolo e mezzo prima proprio a Robben Island).Al torneo partecipano dieci squadre e chi non può giocare, arbitra.Qui tutti i movimenti appar-tenenti alla galassia dell’anti-apartheid incarnati nei gioca-tori militanti della prigione, trovano finalmente unione e si saldano, ottenendo il supe-ramento di quella frammenta-zione reale che “fuori” era stata un limite nella lotta contro il regime segregazionista.Questo è un duro esempio di come il football sia stato un forte simbolo di rivendicazio-ne.Scorrendo indietro nel tempo, si vede come il calcio era ben

lontano dal rappresentare il diletto di un intero popolo; nel 1892 viene fondata la più antica Federcalcio dell’Afri-ca, la South African Football Association (SAFA) e viene affiliata alla federazione inglese. Con ciò entra a far parte di un circuito internazionale elitario per soli bianchi.In occasione del cambiamento dello status del paese, da colo-nia inglese a “dominion”, nel 1910 si rafforza il carattere di interdizione razziale del siste-ma. Nel giro di venti anni lo stato adotta delle norme che rendono effettiva la segrega-zione in tutti gli ambiti della società e della vita, compre-so ovviamente il mondo dello sport.Ai non bianchi non viene vie-tato il gioco del calcio, ma li si relega in campionati separati. Infatti il cosiddetto Football africano cresce e viene pratica-to soprattutto nei ghetti delle grandi città. A questi ultimi ovviamente però, non viene permesso dalla legislazione di indossare la maglia della nazio-nale.Dopo la 2 guerra mondiale, le elezioni del 1948 inaspriscono il clima, incrementando sem-pre di più la discriminazione e il Partito nazionale adotta una politica di apartheid, cioè di sviluppo separato dei grup-pi razziali, distinti in bianchi, neri, meticci, indiani.Anche questa volta lo sport non viene esentato dalla minaccia, cosa che però in ambito inter-nazionale comincia a creare dei problemi.Nel 1952 la FIFA ammette l’affiliazione della SAFA che si distacca così dalla federcalcio inglese, ma nel 1956 costringe il Sud Africa ad eliminare il connotato razziale, cambiando il nome in Football Association

of Southern Africa (FASA).Il processo di decolonizzazio-ne è in moto in tutta l’Afri-ca e viene fondata la CAF, la Confédération Africane de Football, in pratica la versione africana dell’Uefa che si pone lo scopo di fare del calcio uno sport continentale e che presto prenderà il nome di Coppa d’Africa.Prima che il torneo venga organizzato, la CAF chiede al Sudafrica di mettere in campo una Nazionale multirazziale; ma la FASA non ha in real-tà nessuna intenzione di con-formarsi all’esigenza ritenuta necessaria e di rinunciare alla politica di segregazione secon-do la quale può scendere in campo o una sola squadra di neri o di bianchi.Questo atteggiamento nega-tivo determina l’esclusione del Sud Africa dal torneo e dalla Confederazione. Questa è passata alla storia come una decisione incredibile, perché da sempre la politica di sepa-razione razziale aveva avuto la meglio su tutte le manifestazio-ni internazionali, comprese le olimpiadi.L’importantissima decisione della CAF subisce anche l’in-fluenza di tutti quegli atleti neri che non volevano più accettare l’apartheid in generale e nello specifico, nello sport.Ma il razzismo non si arresta e il disegno del Partito nazionale diventa quello di indirizzare i bianchi al rugby e al cricket e i neri alla boxe e al calcio; con la vittoria degli afrikaner alle elezioni del 1958 l’apartheid si acuisce e viene estesa per influenza a ogni gruppo sporti-vo che a qualunque titolo giun-ge in Sud Africa per partecipare a degli incontri: tutti devono attenersi alle regole, tutti devo-no presentare o squadre di soli

bianchi o di soli neri.Accade così che la squadra bra-siliana del Santos, invitata ad esibirsi, rinuncia all’incontro per ovvie ragioni; in questa circostanza il grande Pelè non avrebbe potuto giocare.Di fronte a questo atto rivol-toso del Brasile che diventa ormai punto di riferimento per uno sport multirazziale, cresce l’insofferenza per la politica di segregazione sud africana, ma la FIFA dopo la ratifica del 1962 che aveva deciso la sospensione del paese dalle competizioni calcistiche, lo riammette sulla fiducia delle dichiarazioni del governo.Due anni dopo, il movimen-to antirazzista ottiene una vittoria importantissima, il CIO, il Comitato Olimpico Internazionale decide di escludere il Sud Africa dalle Olimpiadi di Tokyo del 1964.La FIFA invece continua ad essere inspiegabilmente mor-bida, uscendone poi frustrata ogni qual volta che puntual-mente la lista dei giocatori era basata su una rigida separazio-ne razziale.A seguire, due fatti scatena-no l’indignazione internazio-nale: nel 1976 la Nazionale Neozelandese di Rugby in cam-bio della rottura dell’embargo antirazzista, ottiene la possibi-lità di schierare nella tournée in Sud Africa, i suoi giocatori maori, facendoli passare come cittadini bianchi onorari.Il secondo episodio è l’eccidio perpetrato da parte del gover-no di Pretoria dopo la rivol-ta di Soweto. Il CIO però si dimostra incredibilmente titu-bante ad escludere dai Giochi Olimpici del 1976 la Nuova Zelanda e allora gli atleti di 33 paesi africani boicottano le Olimpiadi di Montreal.Il messaggio di opposizione è

fortissimo, ottiene grazie alla portata dell’evento, una visibi-lità enorme e la consapevolezza di ribellione è ormai decisa-mente estesa.Finalmente infatti, anche la FIFA decide di espellere la FASA, la quale risponde met-tendo fine al campionato dei bianchi, lasciando così in gioco solo quello organizzato dai non bianchi.Nel 1977 anche i paesi del Commonwealth firmano un accordo a Gleneagles dove si mettono d’accordo a non avere più rapporti sportivi col Sud Africa.Lo sport diventa così a tutti gli effetti un mezzo per lottare contro l’apartheid e contro il razzismo attraverso forme di protesta positive e anche volte al boicottaggio internazionale.Le squadre di calcio non bian-che prendono sempre più piede e si affermano anche a livel-lo qualitativo e infine, anche dal mondo del tennis arriva la chiusura: grazie all’estenuante impegno del campione afroa-mericano Athur Ashe, il Sud Africa viene escluso anche dalla famosissima Coppa Davis.Il 1990 vede la fine dell’apar-theid e con essa la riammis-sione alla FIFA e al CIO; la separazione razziale nello sport e non solo, seppur a fatica comincia ad attenuarsi, ma il percorso per superare secoli di ingiustizia è lungo.Questa è la storia del calcio africano, una storia nobile per-ché intrisa di profondi signi-ficati, incarnazione di scontri in nome dei diritti umani e della giustizia, di lotta per una vita dignitosa e simbo-lo di un popolo africano alla Riconquista della propria indi-pendenza e libertà.

I.P.

L’Africa, una terra dove poten-ze straniere hanno lottato per il dominio, dove hanno fatto guerre e si sono ostacolate dando per scontata la missio-ne salvifica dei bianchi e il loro legittimo imperio sui neri, considerati animali da amma-estrare.Infatti, se dici apartheid non intendi solo la segregazione imposta dagli inglesi ai non bianchi in Sud Africa, ma fai riferimento anche al razzismo degli afrikaner.Un’inferiorità per legge, una disuguaglianza naturale e come si vedrà, anche una giustifica-zione teologica.Il termine Afrikaner si riferisce ai membri della popolazione dell’Africa meridionale ( Sud Africa e Namibia in particolare) di pelle bianca, estrazione calvi-nista ugonotta olandese, tedesca o belga e che parlano l’afrika-ans, un derivato principalmente dell’olandese del XVIII sec.Prima, i bianchi di queste varie comunità erano conosciuti come Boeri; dunque, i “non colorati” del Sud Africa erano distinti tra coloro che parlavano o inglese o afrikaans.In terra non loro, i Boeri sta-bilirono stati indipendenti su base repubblicana e ben presto com’è facile immaginare, anda-rono a scontrarsi col desiderio di dominio inglese. La storia, com’è noto, ci racconta di ben due Guerre Boere nel 1880-1881 e nel 1899-1902 che deci-

sero l’inclusione delle aree boere nelle colonie britanniche.In tutto ciò, la popolazione nera fu sempre esclusa dalla partecipazione agli affari della nazione, di fronte alla quale ormai da tempo, non erano che schiavi.Il Sud Africa diventa testimone incredulo di un inasprimen-to del conflitto politico tra i due gruppi bianchi; durante la seconda guerra mondiale gli afrikaner mostrarono forte insofferenza per gli inglesi scesi al fianco degli alleati, perché al contrario loro, erano simpatiz-zanti per il nazionalsocialismo hitleriano.Dopo il conflitto esplose tutta l’intolleranza boera attraverso il National Party i cui governi istituirono il regime segregazio-nista, ossia l’apartheid.Anche qui lo sport ha la sua identità e il rugby parla afri-kaans.I boeri arrivarono a creare una complessa rete di istituzioni economiche e culturali in con-trapposizione con quelle inglesi predominanti. Simbolo di que-sta strategia sono appunto quel-le banche tipo la Barclays Bank che raccoglievano e impiega-vano denaro nel solo interesse degli afrikaner.In tutto ciò il rugby diven-ne il campo su cui formare i futuri leaders; esso esprimeva un dualismo perfetto, era com-battivo, richiedeva resistenza fisica, forza, coraggio, ma al

tempo stesso era uno sport per gentiluomini perché nato in Inghilterra e riassumeva in sé gli ideali della classe medio-alta britannica ( caso strano, visto che i boeri si opponevano in tutto all’egemonia inglese).Insomma era un ottimo stru-mento per temprare i caratteri dei futuri dirigenti di un paese che non gli apparteneva e di cui loro non avrebbero dovuto avere, per giustizia storica, voce in capitolo.Tuttavia il rugby era visto, per queste sue particolari attitudini, come un investimento ideologi-co di una élite civilizzatrice, di un popolo pioniere che com-batteva la barbarie.L’orgoglio etnico nazionale (ideale totalmente trasformato rispetto alle sue origini inglesi) veniva veicolato attraverso que-sto sport, pronto a far trionfare la propria identità superiore.Sul fronte religioso, mentre in Europa il nazismo, con atteggia-mento esclusivo, si appropriava del suo ambiguo rapporto con Dio riportando sulle uniformi il motto “Dio è con noi”, in Sud Africa l’apartheid trovava il suo rifugio teologico.Già nel passato la storia ci testi-monia che i primi olandesi che arrivarono a Capo verso la fine del 1600 cercarono fin da subi-to di affermare il loro desiderio di vivere finalmente da uomini liberi la propria fede calvini-sta, fino al punto di arrivare a credersi gli eletti nei confron-

ti di qualsiasi altra espressione religiosa.Decisamente e con qualsiasi pretesto o interesse, lo spirito europeo portava con sé il gene della persecuzione e delle lotte fratricide.L’obiettivo era quello di garan-tire un fondamento religioso ad uno stato nato su basi repubbli-cane, recuperando il senso della missione cristiana in Africa. Nasce così la “Civil religion afrikaner” che coglie l’epopea boera come l’operare favorevole a Dio che compie la sua mis-sione civilizzatrice attraverso la regolare istituzione del segrega-zionismo.Così anche in Sud Africa, Dio era con l’apartheid, istituita nel nome della Bibbia e vista come piano salvifico affidato ai coloni boeri.Per dimostrare la follia deli-rante di queste convinzioni, ricordiamo a testimonian-za di ciò un unico episodio: la componente teologica Gereformeered Kerk (GK), nata da una terza scissione della chiesa madre la Nederduitse Gereformeerdekerk (Ngk), è stata la più piccola, la più intransigente e la più convin-tamene segregazionista, ma anche la prima che negli anni ‘70 ha denunciato l’apartheid, ammettendo il proprio errore religioso.Per fortuna, il delirio di onni-potenza non confuse né la chie-sa metodista che ha sempre

respinto lo “sviluppo” separato forzato, né la chiesa anglicana che si espresse sempre attraver-so uomini di fede apertamen-te anti-razzisti e coinvolti nel boicottaggio della politica sud africana attraverso una fitta rete di relazioni internazionali.Però bisogna aspettare il 1982 perché l’Alleanza riformata mondiale (Arm), cioè la rete delle chiese calviniste di tutto il mondo, dichiari il sistema della segregazione razziale un’eresia teologica.L’apartheid però non ebbe sem-pre la stessa intensità.Per certi aspetti, i governi degli anni ’50 non furono nella pra-tica un’eccezione razzista in Africa, infatti la supremazia bianca e l’esclusione degli afri-cani dall’attività politica erano la norma. E’ intorno agli anni ’60 che la situazione arriva ad estremizzarsi, in quanto nel paese si assiste non solo ad un rafforzamento della segregazio-ne ma ad un vero e proprio mutamento di direzione dello stato.Il mondo assiste ai trasferimenti forzati in massa dei neri che risiedevano in zone o terre “sba-gliate”; il fenomeno prende il nome di “homelands”o “ban-tustan”, cioè re-tribalizzazione mirata.Una vera e propria opera di ingegneria sociale, per mezzo della quale lo stato aumenta vertiginosamente la sua influen-za, il suo controllo poliziesco e

addirittura si aprono lotte inte-stine all’interno degli apparati di sicurezza per il dominio sul potere sudafricano.Alla dottrina della segregazione si affianca la nozione inconce-pibile di sviluppo separato che parte dal convincimento che gli africani e gli altri non bianchi debbano risiedere e godere dei loro diritti di cittadinanza nei territori stabiliti, ovviamente dai bianchi, su base etnica.Il picco più alto di intolleran-za viene raggiunto negli anni ’70, quando i diritti politici degli africani vengono trasferiti all’interno esclusivamente dei bantustan e ognuno di loro è costretto ad assumere la cittadi-nanza specifica dell’homeland di appartenenza.Addirittura 4 di questi vengono dichiarati indipendenti, cosa ovviamente non riconosciuta a livello internazionale.Questa dottrina dello sviluppo separato prevedeva che ogni sud africano appartenesse ad una tribù e che ciascuna di esse posse-desse un territorio autogestito. Le disposizioni su base etnica ave-vano certamente anche il fine di negare ai non bianchi la cittadi-nanza sud africana, relegandoli in specie di riserve, ma non protette e intanto al di fuori, il National Party si assicurava le redini del potere e consolidava il suo domi-nio incontrastato e razzista.Negli anni ’60 lo stato era arri-vato a gestire i flussi di re-triba-lizzazione senza alcun problema

Uno sport che si è reso nobile perché strumento di lotta per l’uguaglianza

Anc, metodisti e anglicani in lotta per spezzare il delirio dello sviluppo separato

Il calcio in Sud Africa

Sud Africa, fino al 1990 Cristo si è fermato al confine

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Un cavo sottomarino che parte dal Sud Africa e risale la costa orientale, si infila nel Mar Rosso, passa Suez, tocca Alessandria d’Egitto, attraversa il Mediterraneo e si allaccia alla rete Interoute dal nodo di Marsiglia e di qui, corre fino a Londra; questa è la rete di pas-saggio di fibra ottica, Seacom, progettato per i Mondiali di calcio ed entrato in attività un anno fa.Grazie all’evento sportivo, la potente “via di comunicazione” entrerà in una fase nuova: inter-net volerà.I Mondiali hanno fatto cresce-re la voglia di connessione e gli investimenti sono cresciuti con una prospettiva di ritorno ben oltre l’aspettativa. La fibra è necessaria per aumentare la capacità di traffico delle reti mobili e più internet c’è, più connessione al mondo è pos-sibile.Questo è uno degli impulsi che la competizione ha suscitato affinché il Sud Africa si presen-tasse all’altezza della situazione agli occhi di tutti.C’è una voglia di grandezza e di progresso che caratterizza il paese, una volontà di porsi come leader democratico del continente, un bisogno di riscattarsi dalla depressione eco-nomica forzata dei neri duran-te gli anni bui dello sviluppo separato e quindi, la necessità di valorizzare il primato di sta-bilità politica delle istituzioni post apartheid.Ma la crescita si alterna a com-pressioni e passi falsi e l’ascesa deve pur fare i conti con situa-zioni interne problematiche e contrastanti.Lo sviluppo e lo slancio di certo continuano, ma le circostanze da analizzare non sono poche.La Black Economic Empowerment (BEE) è una politica che vuole assicurarsi che tutti gli strati delle istituzio-ni pubbliche e private riflettano sinceramente la costituzione etnica del popolo sud africano.E’ nella sostanza una mesco-lanza multietnica impressa per regola nelle attività produttive, di modo che anche i “colorati” possano finalmente partecipare ed avere voce in capitolo negli affari del paese; di fatto però purtroppo la BEE fa prendere atto di un aspetto fondamen-tale: che a 15 anni dalla fine dell’apartheid il potere econo-mico è ancora principalmente nelle mani dei bianchi.Il settore privato soprattutto rispecchia questa anomalia, che riserva ruoli preminenti quasi esclusivamente agli uomini bianchi; il problema è che c’è una posizione di partenza del

tutto elitaria: il capitale neces-sario per aprire una qualsiasi attività è nelle mani di chi ha accumulato negli anni passati, quindi nelle mani dei bianchi. Inoltre, la disoccupazione supe-ra il 25%, per cui è difficile raccogliere ragionevoli somme necessarie per avviare un pro-prio progetto, per coloro che in passato hanno avuto accesso negato alla vita economica del paese fino agli anni ’90.Alcune imprese addirittura, assumono persone nere che ser-vono da facciata, come addetti stampa oppure esperti di pub-bliche relazioni, solo per far vedere il loro impegno coerente alle linee della BEE, ma in realtà il potere decisionale ed economico resta nelle mani dei

bianchi.Snocciolando l’economia sud africana si realizza che si è for-mata un’élite nera perfettamen-te integrata col precedente siste-ma di segregazione, ancora eco-nomicamente in piedi anche se politicamente decaduto; difatti a beneficiare della politica della BEE sono stati quei gruppi bianchi e neri molto vicini all’ ANC, che in cambio dell’assun-zione di pochi dirigenti neri, hanno ottenuto più contratti, in particolare con il governo e la maggioranza della popo-lazione non ha ricevuto alcun profitto perché nella realtà non

sono stati fatti abbastanza inve-stimenti per creare nuovo lavo-ro e nuova occupazione.Un altro ostacolo a cui dover porre rimedio è il basso livello di istruzione tra la popolazione nera. Quindi, l’esito dell’impe-gno del governo volto a creare un mondo del lavoro che rispec-chia la sostanza multietnica del paese dipenderà fortemente dal Ministero dell’Istruzione e dalla sua volontà di far crescere cul-turalmente e professionalmente coloro che per discriminazio-ne non hanno potuto accedere ad una formazione normale e completa.Più il sistema scolastico si fa inclusivo, più un paese supera i problemi di disuguaglianza; in Sud Africa ancora non si

è arrivati ad una visione del genere perché le scuole priva-te frequentate dai bianchi e dalle minoranze nere più agiate funzionano molto bene, men-tre le scuole pubbliche, dove viene cresciuta la maggioranza dei sud africani, sono del tutto inadeguate.Di sicuro il sistema della BEE ha un attenzione positiva al problema dell’integrazione economica del paese, ma non è sufficiente l’impegno che la classe politica sta ponendo per far fronte ad un divario che ancora non si colma e questo probabilmente perché troppo

occupata a produrre ricchezza per se stessa.I progressi verso una più equa distribuzione di potere d’ac-quisto sono abbastanza scarsi se si considera che il 10% della popolazione detiene il 51% del reddito complessivo.Nei negoziati economici per la definizione delle politiche emer-se una linea che poteva costi-tuire una sintesi di lavoro e un accordo tra le parti attraverso tre obiettivi: preservare la stabi-lità macroeconomica, integrare il Sud Africa nel circuito del commercio internazionale e pro-muovere una riforma del capitale per de-razzializzare la proprietà e la gestione del settore privato e pubblico. Ovviamente l’ANC dichiarò sempre, per evitare la

fuga di capitali bianchi, di voler preservare la stabilità, tuttavia queste azioni non blindarono una crescita decisa e si scelse così di dare maggiore impulso alla macroeconomia, globalizzando il Sud Africa pur con tutti i rischi che ne potevano derivare.Comunque dopo il ’94, di fronte ad una difficile posi-zione fiscale lasciata dai bian-chi, causata dal loro intento di comprarsi l’appoggio della popolazione nera per assicurarsi il proprio incessante benessere a fronte di un sistema ormai in caduta libera, il nuovo governo adottò una rigida disciplina di

bilancio, facendo registrare una forte diminuzione del deficit che infine negli anni 2006-2008 segnò addirittura un sur-plus.Per quanto concerne la lotta alla povertà e alla disuguaglianza, sono stati portati avanti diversi programmi, ma i progetti volti alla creazione di nuove fonti di reddito non hanno riscosso suc-cesso. Sicuramente il modernis-simo sistema di raccolta fisca-le e gli investimenti pubblici hanno apportato importanti passi avanti, ma evidentemente ancora non è abbastanza visto che il disagio sociale non ha subito una significativa dimi-nuzione.Il fatto è che è nata una nuova borghesia di neri abbastanza

ricca, ma i poveri di prima sono diventati sempre più poveri e sono rimasti esclusi dal nuovo processo produttivo e lavora-tivo. In sintesi, le differenze sociali si sono allargate e i con-flitti non sono più razziali ma si manifestano tra chi ha le tasche piene di soldi e tra chi ce le ha vuote, al di là certamente del colore della pelle.Inoltre dal Mozambico e dallo Zimbabwe, paesi confinanti e periodicamente in crisi, sono arrivati in Sud Africa moltis-simi sfollati che sono andati ad alimentare un mercato di violenza e lavoro a poco prezzo

che hanno innescato una intol-leranza nei confronti dei nuovi disperati, creando una vera e propria guerra tra poveri.Attorno a Johannesburg sono sorti molti e nuovi “slum” dove imperano droga, sfruttamento della prostituzione, crminali-tà e compravendita di armi. Nella città interi quartieri sono nelle mani delle organizzazioni violente formate da bande di africani immigrati e lo “stato neanche ci entra” perché altri-menti scoppiano vere e proprie rivolte pericolosissime e dure; semplicemente le sedi degli uffici importanti, delle banche, degli istituti finanziari e dei palazzi delle istituzioni vengono spostati altrove.Dentro e intorno alla grande capitale commerciale ci sono la peggior specie di “favelas” che si possa immaginare, dove vivono fino a due milioni di sfollati; Alexandra ad esempio, sembra dall’alto un’immensa distesa di lamiere, rifugio di migliaia di immigrati sfuggiti dai paesi confinanti in crisi e non solo.Purtroppo, con queste condizio-ni, la violenza sessuale registra dei picchi incredibilmente tristi.Di fatto però non si può negare che il Sud Africa resti il paese più sviluppato e con le più stabili istituzioni dell’Africa; c’è un’indubbia e piena applicazio-ne della democrazia, la stampa è libera, le associazioni, politi-che e sindacali che siano, sono indipendenti comprese quelle di stampo razzista nostalgi-che dell’apartheid; è un paese ricchissimo di materie prime dotato di un’altissima tecnolo-gia estrattiva e di infrastrutture ottime per gli scambi commer-ciali. In più la bellezza e la varietà del paesaggio consacra-no un turismo che punta ormai in alto da diversi anni.Inoltre grande è stato l’esem-pio che comunque la leadership del paese è riuscita a dare agli altri stati africani, superando la segregazione e lo sviluppo sepa-rato senza spargimento di san-gue per il bene comune e più alto del benessere della nazione, lanciandosi verso un discreto ruolo internazionale (visto che è membro del G 20).Questo è il Sud Africa auspica-to da Mandela, un paese non ripiegato su se stesso e che pro-pone al mondo il suo modello, che ha saputo riutilizzare le risorse dell’epoca precedente e che con l’ottimismo suscitato dalle sue vittorie politiche e morali, affronta consapevole e a testa alta le sue difficilissime contraddizioni interne.Il tempo saprà leggere i risultati.

I.P.

od ostacolo.Nel frattempo, l’African National Congress teneva duro.Fondato l’8 gennaio 1912, s’im-pegna fin da subito nell’estenuante difesa dei diritti e delle libertà della maggioranza nera. Nel 1944 ad opera di Nelson Mandela, Walter Sisulu e Oliver Tambo nasce la Lega giovanile dell’ANC che garan-tisce un ricambio generazionale all’interno del partito e un grande impegno nella non violenza.Nel ’47 infatti inizia una stret-ta collaborazione con la Natal Indian Congress, fondata da Mahatma Gandhi e Umar Hajee Ahmed Jhaveri in Natal: si viene a creare così la base di opposizio-ne al governo dei bianchi.Quando gli anni ’50 segnano il ritorno al potere del Partito Nazionale filo afrikaner e di con-

seguenza l’inasprirsi dell’apar-theid con l’utilizzo sistematico dello sviluppo separato, ai neri viene di fatto proibito di esercita-re il diritto al voto e vengono loro negati i diritti civili e politici.L’ANC non desiste e nel 1952 da vita a scioperi e boicottaggi; a causa di questo nel ’56 oltre 156 esponenti di partito venne-ro arrestati ed incarcerati.Negli anni ’60 inizia la battaglia contro la Pass Law, cioè una legge che di fatto obbligava i neri a portare una tessera iden-tificativa ogni qual volta era loro intento entrare nelle zone dei bianchi; le manifestazioni contro questo vero e proprio passaporto esclusivo per neri lasciano 69 morti per le strade e in conseguenza degli scontri il potere bianco arriva a bandire

tutte le organizzazioni per i diritti civili e l’ANC è costretto alla clandestinità.A questo punto c’è una svolta all’interno del partito stesso: i leaders decidono di abbando-nare l’impegno non violento e mettono in piedi organizzazioni paramilitari ( Umkhonto we Sizwe) con lo scopo di destabi-lizzare il sistema di potere razzi-sta. Il leader, Nelson Mandela, viene arrestato nel 1962 con l’accusa di terrorismo e condan-nato al carcere a vita.Oliver Tambo prende le redini e guida il partito negli anni ’70 e ’80; crescono le azioni di sabotaggio e si installano basi in Mozambico, Botswana e Swaziland. Costantemente le sedi militari dell’ANC vengono sottoposte ad attacchi da parte

dell’esercito sud africano.I successi dell’ANC ottenuti nei durissimi anni dell’apartheid sono indiscussi ed importanti; i problemi più difficili che il par-tito ha dovuto affrontare sono stati: una profonda disugua-glianza sociale stabilita per legge nel paese e quindi la necessità del suo sradicamento, un’assurda divisione etnica e quindi la con-seguente necessità di troncare sul nascere i possibili conflitti e orientare leaders potenzialmente antidemocratici.Inoltre ha saputo creare un largo consenso tra comunisti, sindacalisti, tradizionalisti delle aree rurali, leaders religiosi ed imprenditori neri.Garantire la stabilità è stato uno degli oneri più gravosi per l’ANC, in quanto era forte la ten-

denza alla violenza politica post apartheid e per ragioni già illu-strate era pericolosissima la spinta verso conflitti etnici; ha sempre assunto mezzi democratici per raggiungere i propri obiettivi ed è riuscito a preservare la partecipa-zione pubblica alle elezioni.Dunque sintetizzando, L’African National Congress, ha fatto da filtro per qualsiasi tipo di rivendicazione e ha neutralizzato i conflitti ideologici che pote-vano creare frammentazione; la sua guida salda e continuativa al potere gli ha permesso di propor-re programmi necessari di sta-bilità economica, seppur impo-polari in quanto gravosi più che altro per i poveri. Ha creato un nuovo governo e una nuova poli-tica partendo dall’assurdo sistema dell’apartheid e infine, l’ANC

ha svolto un ruolo ammirevole e fondamentale nello scongiura-re il conflitto razziale, del resto abbastanza concepibile dopo tre secoli di dominazione coloniale, sfruttamento non equo del ter-ritorio, di schiavitù e di razzismo imposti, promossi e difesi dallo stato imperialista bianco, attuati per mezzo del trasferimento for-zato nei bantustan, attraverso il divieto di migliorare la propria posizione sociale (i neri avevano l’obbligo di compiere solo lavori di bassa manovalanza) e attraver-so la negazione di poter detenere una qualsiasi proprietà.L’ANC ha affrontato sfide fon-damentali e ha cercato di riap-propriarsi di una terra sottratta per secoli alla giustizia.

I.P.

Quel che luccica non è oro ma ha il triste nome di “slum”

Sud Africa, il Paese che traina un continente

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Sono forse finiti i tempi in cui le persone escono da casa per recarsi alle fiere? Con la tecnologia attuale sem-bra possibile godere, tra le proprie mura domestiche, di una passeggiata virtuale nel mondo degli eventi. Non si prospettano più sposta-menti fisici per partecipare alle manifestazioni di carat-tere ludico, ma attraverso un click oggi sembra possibile prendere parte agli eventi più disparati. A tal proposito arriva dalla Francia un’idea singolare: il Salone interna-zionale virtuale 3D del vino e dei distillati WineFair, realizzato da Innovin, una giovane azienda d’oltralpe. Si tratta di una piattaforma interattiva multilingue (in inglese, spagnolo, francese, tedesco e presto anche in giapponese e cinese) e tridi-mensionale.Il Salone telematico inter-nazionale è stato concepi-to sul modello delle fiere tradizionali del vino a cui siamo abituati a partecipare ed immaginare, ma dotato in più di tecnologia con la peculiarità di essere intera-mente telematico.Il curioso appuntamento si terrà nella penultima setti-mana di giugno. Vi si potrà partecipare (sia in qualità di espositore che di visitato-

re) digitando il link www.WineFair.com.In tempi di difficoltà econo-mica del mercato internazio-nale gli operatori della filie-ra vitivinicola avranno così un’opportunità nuova per gli scambi, abbattendo costi onerosi e spostamenti fisici. Tutto ciò potrebbe essere letto come un modo diver-so per rafforzare i contatti commerciali anche a livel-lo internazionale. Naturale, Tradizionale o Design sono questi i tipi di stand dispo-nibili per gli espositori. Ogni spazio è dotato di un “virtual office” con tanto di calendario per pianificare gli appuntamenti professionali e i contatti presi durante l’esposizione, di bigliet-ti da visita dell’espositore, di video, di brochure e di schede tecniche dei vini e dell’azienda vinicola in cui vengono prodotti. A secon-da della combinazione pre-scelta, l’azienda proporrà la vendita lotti di 10 o 30 bottiglie.Il Salone WineFair, che fa ricorso alle più innovative tecnologie 3D, privilegia gli scambi in tempo reale e permette alle aziende di pianificare i loro tempi di lavoro grazie alla funzione ‘calendario’.Ma veniamo ai visitatori, i

quali potranno accedere gra-tuitamente agli stand virtuali inserendo una parola-chiave

nel motore di ricerca o sele-zionare il vitigno, il paese o la regione e/o il tipo di vino da uno dei tre menù a tendina. Il profilo degli espositori selezionati potrà essere consultato facendo semplicemente scorrere sul nome il cursore del mouse. Collegandosi al sito del Salone si potrà anche assiste-

re a diverse conferenze orga-nizzate da e per i professio-nisti del vino. Gli argomenti

trattati saranno vari e inte-ressanti. I visitatori potran-no contattare gli espositori farlo sia immediatamente che fissando un appunta-mento grazie all’agenda on line comunicare tramite chat ed acquistare vini ed altri prodotti a prezzi speciali per tutta la durata della fiera. Presso ogni stand saranno

presentati video e descrizio-ni dei vini e delle tenute. A seconda degli strumenti

preferiti sono disponibili tre diverse modalità di comu-nicazione: videoconferenza, audioconferenza o instant messagging.Innovin è specializzata nello sviluppo di strumenti di comunicazione innovativi per gli operatori del vino è stata creata ed è diretta da Denis Lengaigne, diploma-

to all’Università del Vino di Suze la Rousse, gesto-re di diverse cantine nel Nord della Francia e da Jean Michel Kusaj, Sommelier, anch’esso diplomato alla stessa Università del Vino e consulente nazionale di ope-ratori professionali e appas-sionati.Il web event è aperto dal 21 al 25 giugno 2010 a tutti gli addetti ai lavori nel campo del vino e degli alcolici, e durante il week-end del 26 e 27 giugno al grande pubbli-co. L’appuntamento telema-tico avrà cadenza annuale.Chissà come risponderanno i visitatori e gli espositori a questo salone virtuale, se al di là della pura curiosità nascerà poi una soddisfazio-ne che li spingerà a ricercare una medesima esperienza.Staremo a vedere, anche se gli ingredienti giusti sembra-no esserci per richiamare la partecipazione degli operato-ri, visitatori,media, esperti del settore…; tanti gli ingredien-ti dicevamo tranne uno: la possibilità reale di degustare, questo rimane un elemento non trascurabile quando si tratta di vino, una peculiarità tutta umana che la tecnologia a distanza fortunatamente non potrà sostituire, al meno per il momento.

Alice Lupi

Ci sono, a volte, delle dina-miche incredibili che inver-tono i poli delle libertà come noi gente comune le inten-diamo.Quante parole sono state spese per sostenere la libertà in Cina quando il regime aveva deciso di bloccare e veicolare le ricerche su inter-net che potevano minacciar-lo? ancora di più quando Google aveva denunciato una enorme violazione di chiara origine cinese dei suoi sistemi per carpire informa-zioni di clienti importanti e non.Mai come in quel periodo il solco nella tutela della libertà, in quelle che sono le nuove forme, fu così pro-fondo. Gli Stati Uniti anco-ra una volta si sono fatti carico della bandiera della libertà mondiale per soste-nere la sacralità di internet e dell’unico vero mezzo demo-cratizzatore che il mondo moderno conosce.Ad ogni livello, l’ammini-strazione Obama si è pro-digata nell’accusare Pechino dell’ennesima violazione liberticida ma, dopo qualche mese, accade quello che nes-suno si sarebbe immaginato: un senatore indipendente ma vicino ademocratici ma anche vicino ai repubblicani per la politica estera, Joe Lieberman, ha proposto di dare al Presidente il potere di spegnere internet per motivi che minaccino la sicurezza nazionale.Internet Kill Swift o Kill Bill, questi i nomi che sono stati dati a questa nuova voglia che viene dagli USA, il baluardo delle libertà indi-viduali.Sulla rete viaggiano, oltre alle informazioni, anche le

connessioni dei sistemi di controllo di oramai tutto quello che regola le nostre vite: dall’energia, all’acqua, al traffico ecc. ed è qui che le minacce possono mani-festarsi.

Due brevi considerazioni. La prima relativa alla tota-le mancanza di definizione sia delle minacce che di ciò che dovrà essere interrotto, in caso queste si manifesti-no, nel testo della proposta, delegando al Presidente un potere assoluto per tutte le comunicazioni del mondo moderno.

Allevatori di piccioni fare-te una fortuna! Con questo spauracchio il sistema comu-nicativo mondiale potrebbe tornare indietro di qualche secolo, perché se negli USA si spegne internet il mondo

avrebbe un periodo di buio derivante dalla dipendenza che molti servizi hanno sul territorio americano. Senza contare che la legge permet-terebbe anche di “killare” (termine contemporaneo per dire terminare, in modo non proprio indolore) anche ser-vizi residenti oltre il confine di pertinenza dell’ammini-

strazione USA.La seconda considerazio-ne nasce da un semplice ragionamento: se non rie-sci a dare la libertà a tutti, allora non puoi garantirla neanche ai tuoi. Questo è

probabilmente il pensiero di Lieberman che veden-do fallire la dottrina Bush della dura esportazione della democrazia e quella Obama della mano tesa, propone un potere onnisciente per il Capo supremo degli USA, in modo da togliere canali di propagazione per le minacce al sistema americano.

Si sa, la democrazia è un sistema più debole e delicato di qualsiasi dittatura e per questo le minacce, che da qualsivoglia nemico arriva-no, possono solo indebo-lirla, per questo il flusso di

dati che detta la nostra vita lavorativa e non, per il sena-tore Lieberman, deve essere ridotta fino anche alla totale paralisi.Sicuramente quando un circuito viene sovralimenta-to da qualcuno che vuole distruggerlo, chi lo vuole tutelare spegne tutto ma il rischio che un semplice pre-

testo possa essere causa di un blocco totale non deve essere corso, la strada da percorrere deve essere un’altra.Questo è un metodo libertici-da che esprime quanto fragile sia la nostra illusione di esse-re liberi, anche se coscienti della presenza di un Grande Fratello che conosce le nostre abitudini, i nostri gusti ma che ancora non ci ha tolto la possibilità di scegliere e soprattutto di usare un mezzo che è stato la chiave di volta per la conoscenza in que-sta fase storica. Ovviamente non quella accademica, ben radicata nei libri (anche se il mondo accademico è dipen-dente totalmente dalla rete nelle sue interconnessioni) ma di quella quotidiana che si manifesta nei fatti di cro-naca politica, economica ecc.E che dire ancora se non che gli attacchi potrebbero venire poi dai giornali o dalla televisione o da qualsiasi altra sorgente di notizie e che questo potere più di ogni altro è una cosa troppo grande per poter essere gestito formalmente da pochi elementi. Certo, ora ci sono altri metodi per tenere a bada i sistemi informativi mondiali ma, come spesso accade, basta una piccola falla per poter comunicare con l’esterno, gli studenti iraniani ce ne hanno dato un esempio. Per questo il potere punta all’interruttore generale. Fino a quando però l’immaginazione di un vec-chio senatore, poco avvezzo al web (evidentemente), potrà stare al passo con il potere della tecnologia?Come sempre, quando in gioco c’è una posta così importante la puntata è o tutto o niente. Speriamo di vincere.

Gabriele Polgar

Un salone telematico per il vino

Obama e Kill BillQuando la Cina fa scuola e gli USA inseguono