1-15/16-30 settembre 2010 - Anno XLV - NN. 87 - 88 - Andare avanti

8
vero partito del “Presidente”, quello che interessa agli espo- nenti di queste forze politiche radicate soprattutto al mezzo- giorno è soprattutto il potere locale. Sono i finiani, il gruppo più numeroso di fuoriusciti, che reclamano - almeno a paro- le - un cambiamento sostanziale della politica messa in essere dal Governo, ma che in sostanza hanno l’obiettivo di togliere di mezzo politicamente Berlusconi per creare una strada prefe- renziale per la conquista del bacino di voti del centro destra da parte dell’attuale Presidente della Camera. A questo scopo Berlusconi e il PdL devono iniziare a fare chiarezza riguardo la presenza all’interno delle strutture peri- feriche del Partito di rappresen- tanti di FLI che devono rapida- mente essere messi fuori giuoco per non incorrere nel pericolo Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-30 Settembre 2010 - Anno XLV - NN. 87-88 E 0,25 (Quindicinale) In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy — Fondato da Turchi — 11 settembre, memoria da non inquinare — a pagina 7 — attualità Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 La Piazza d’Italia Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina COPIA OMAGGIO www.lapiazzaditalia.it di FRANZ TURCHI — a pagina 5 — Economia Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia www.lapiazzaditalia.it Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti Una nuova stagione politi- ca si sta avviando di fronte a noi, archiviando le pole- miche degli ultimi giorni soprattutto quelle estive. Quello che dobbiamo ana- lizzare è la nuova situazio- ne politica che abbiamo di fronte a noi: il FLI è un nuovo partito di orienta- mento liberale, intenden- do i liberali europei cioè a favore dello stato laico, della famiglia libera, della difesa dell’immigrazione clandestina, cioè le bat- taglie degli ultimi 2 anni di Fini. Non è infatti un partito di destra o di centro-destra, ma si inserisce nello schieramento della gran- de famiglia (soprattutto nord europea) dei partiti liberali e in questo tipo di contesto, ovviamente a me lontano, dobbiamo valutare l’azione politica combinata con il PdL e la Lega che rappresentano il centro-destra. Questo ci serve per capi- re se questa maggioran- za andrà avanti oppure si andrà inesorabilmente alle elezioni, rispetto al pro- gramma politico che il Premier ha esplicitato nel suo discorso alla Camera il 29 settembre; infatti bisogna vedere se questa maggioranza sosterrà il Presidente del Consiglio nel suo discorso di alto livello, rispetto soprattuto a quello che si aspetta- no gli italiani: più soldi, più lavoro, più servizi da parte dell’amministrazione pubblica, oltre al rilancio dello sviluppo per le PMI come per le industrie di grande dimensioni attra- verso le note riforme dello stato, del fisco del welfare, della giustizia che oramai il Paese aspetta da molti, ahimè troppi anni. Vedremo se alla prova dei fatti nel lavoro quotidiano questa nuova forza politica lo farà oppure invece si assumerà la responsabilità dello sfascio politico in un contesto cosi delicato. Ad maiora Salario minimo garantito La nuova stagione Segue a pagina 2 Andare avanti Il Presidente del Consiglio ottiene dalla Camera dei Deputati la fiducia per proseguire la legislatura Dopo settimane di duri botta e risposta tra scissionisti finiani e lealisti del PdL finalmente la Camera dei Deputati si è espressa in merito al prosie- guo del Governo Berlusconi e la risposta a tal riguardo - seppur tra luci ed ombre - è sembrata nettamente favorevole alla coalizione di centro destra: 342 sono stati i deputati che hanno concesso la loro fidu- cia riguardo ai cinque punti programmatici enunciati dal Cavaliere -Federalismo istitu- zionale, riordino del sistema fiscale, miglioramento dell’ap- parato giudiziario, aumento del contrasto alla criminalità organizzata e all’ immigrazione clandestina, maggiori investi- menti da destinare alle infra- strutture meridionali - e 275 coloro i quali hanno negato il proprio appoggio. Nella prima fiducia votata nel 2008, il Governo Berlusconi ottenne 335 voti favorevoli, quindi a tutt’oggi sono 7 i voti in più avuti dal centro destra ma ad onor del vero in questo caso l’aritmetica non descri- ve nel migliore dei modi lo statu quo all’interno di palazzo Chigi. Il punto fondamentale è che purtroppo per il Presidente del Consiglio, il Governo fondato sull’asse Popolo delle Libertà e Lega, non è “autosufficien- te” in termini di voti come lo era all’indomani della vittorio- sa cavalcata nelle politiche del 2008: senza i voti dei 35 finiani e i 5 siciliani di Lombardo la maggioranza assoluta alla Camera, stabilita a quota 316 è al momento una chimera. Insomma pare chiaro che per approvare un qualsiasi provve- dimento al Governo sarà neces- sario di volta in volta contratta- re con questi quaranta deputati che al momento si dichiarano fedeli alle linee programmati- che esposte dal Premier. Arrivati a questo punto il Cavaliere deve decidere, se vuole o meno arrivare alla fine naturale della legislatura o far saltare prima il banco ed andare all’ennesima conta con i suoi rivali politici . Entrambe le strade presentano però zone grigie. Le vie che Berlusconi deve percorrere per proseguire per altri tre anni l’attività del suo Governo sono essenzialmente due ed entrambe rispondono ad una domanda ben precisa: come fare per raggiungere la soglia di 316 voti alla Camera dei Deputati? Una prima risposta può essere quella che tutti i governi, di tutti i colori possibili, da ses- santa anni a questa parte hanno fornito al Paese: cedere ai ricatti più o meno velati di forze poli- tiche minuscole sotto il punto di vista del numero di deputati o ancor peggio intavolare trat- tative personali con Onorevoli singoli che di volta in volta sono in libera uscita da questo o quel partito magari politicamente non troppo omogeneo con la maggioranza parlamentare che si cerca di formare. Questo atteggiamento avrebbe solo un duplice effetto, il primo dare la stura alla formazione di micro pattuglie ingestibili all’interno del quadro parlamentare venu- tosi a creare all’indomani delle elezioni del 2008 , il secondo di assestare una mazzata formida- bile – oltre che alla credibilità di Berlusconi - all’idea dell’in- staurazione e della consolida- mento di un sistema politico veramente bipolare nel nostro Paese. L’altra strada, la più percor- ribile anche secondo un’etica politicamente più accettabile da tutti, è quella di recuperare almeno una parte dei fuoriu- sciti del Popolo delle Libertà - la porzione meno invasata dei Finiani insomma - o quei rap- presentanti dei partiti minori, MPA o Repubblicani, che sono stati eletti poiché correvano sotto il simbolo del PdL e di Berlusconi Presidente. Questo risultato si può ottenere in due maniere: la prima scendendo a patti volta per volta con queste forze politiche oppure inizian- do a stringere d’assedio nelle sedi istituzionali periferiche - Regioni, Provincie e Comuni - i rappresentanti politici di Mpa , FLI e rifugiati nel grup- po misto - al fine di indurli alla “ragione” pur presupponendo di avere qualche perdita tra le proprie forze. Perché, parliamoci chiaro, con l’esclusione di Futuro e Libertà

description

La nuova stagione - Andare avanti - I nemici del bipolarismo - Montagne e topolini - Francesco Cossiga - Il generalissimo Gianfranco - Ritiro USA - Solidarnosc settembre 1980 - Salario minimo garantito - Il PIL in Italia cresce, ma meno che nella UE - Locke e un appropriato concetto di ribelle - Popper, visione di una società aperta - 11 settembre, memoria da non inquinare - L’America sulla via del ritorno - Obama Vs Internet 2 - Vienna, cafè-society

Transcript of 1-15/16-30 settembre 2010 - Anno XLV - NN. 87 - 88 - Andare avanti

Page 1: 1-15/16-30 settembre 2010 - Anno XLV - NN. 87 - 88 - Andare avanti

vero partito del “Presidente”, quello che interessa agli espo-nenti di queste forze politiche radicate soprattutto al mezzo-giorno è soprattutto il potere locale. Sono i finiani, il gruppo più numeroso di fuoriusciti, che reclamano - almeno a paro-le - un cambiamento sostanziale della politica messa in essere dal Governo, ma che in sostanza hanno l’obiettivo di togliere di mezzo politicamente Berlusconi per creare una strada prefe-

renziale per la conquista del bacino di voti del centro destra da parte dell’attuale Presidente della Camera.A questo scopo Berlusconi e il PdL devono iniziare a fare chiarezza riguardo la presenza all’interno delle strutture peri-feriche del Partito di rappresen-tanti di FLI che devono rapida-mente essere messi fuori giuoco per non incorrere nel pericolo

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - dcb-Roma 1-15/16-30 Settembre 2010 - Anno XLV - NN. 87-88 E 0,25 (Quindicinale)

In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romaninaper la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy

— Fondato da Turchi —

11 settembre,memoria da

non inquinare— a pagina 7 —

attualità

Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727

La Piazza d’Italia

Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina

COPIA OMAGGIOw

ww

.lapi

azza

dita

lia.it

di fRANz tuRchI

— a pagina 5 —

Economia

Ricco, continuamente aggiornato:arriva finalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia

www.lapiazzaditalia.itUna Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti

Una nuova stagione politi-ca si sta avviando di fronte a noi, archiviando le pole-miche degli ultimi giorni soprattutto quelle estive.Quello che dobbiamo ana-lizzare è la nuova situazio-ne politica che abbiamo di fronte a noi: il FLI è un nuovo partito di orienta-mento liberale, intenden-do i liberali europei cioè a favore dello stato laico, della famiglia libera, della difesa dell’immigrazione clandestina, cioè le bat-taglie degli ultimi 2 anni di Fini.Non è infatti un partito di destra o di centro-destra, ma si inserisce nello schieramento della gran-de famiglia (soprattutto nord europea) dei partiti liberali e in questo tipo di contesto, ovviamente a me lontano, dobbiamo valutare l’azione politica combinata con il PdL e la Lega che rappresentano il centro-destra.Questo ci serve per capi-re se questa maggioran-za andrà avanti oppure si andrà inesorabilmente alle elezioni, rispetto al pro-gramma politico che il Premier ha esplicitato nel suo discorso alla Camera il 29 settembre; infatti bisogna vedere se questa maggioranza sosterrà il Presidente del Consiglio nel suo discorso di alto livello, rispetto soprattuto a quello che si aspetta-no gli italiani: più soldi, più lavoro, più servizi da parte dell’amministrazione pubblica, oltre al rilancio dello sviluppo per le PMI come per le industrie di grande dimensioni attra-verso le note riforme dello stato, del fisco del welfare, della giustizia che oramai il Paese aspetta da molti, ahimè troppi anni.Vedremo se alla prova dei fatti nel lavoro quotidiano questa nuova forza politica lo farà oppure invece si assumerà la responsabilità dello sfascio politico in un contesto cosi delicato.Ad maiora

Salariominimo garantito

La nuova stagione

Segue a pagina 2

Andare avanti

manchette 35x40 mm 02.indd 2 01/07/10 18:00manchette 35x40 mm 02.indd 1 01/07/10 18:00

Il Presidente del Consiglio ottiene dalla Camera dei Deputati la fiducia per proseguire la legislatura

Dopo settimane di duri botta e risposta tra scissionisti finiani e lealisti del PdL finalmente la Camera dei Deputati si è espressa in merito al prosie-guo del Governo Berlusconi e la risposta a tal riguardo - seppur tra luci ed ombre - è sembrata nettamente favorevole alla coalizione di centro destra: 342 sono stati i deputati che hanno concesso la loro fidu-cia riguardo ai cinque punti programmatici enunciati dal Cavaliere -Federalismo istitu-zionale, riordino del sistema fiscale, miglioramento dell’ap-parato giudiziario, aumento del contrasto alla criminalità organizzata e all’ immigrazione clandestina, maggiori investi-menti da destinare alle infra-strutture meridionali - e 275 coloro i quali hanno negato il proprio appoggio.Nella prima fiducia votata nel 2008, il Governo Berlusconi ottenne 335 voti favorevoli, quindi a tutt’oggi sono 7 i voti in più avuti dal centro destra ma ad onor del vero in questo caso l’aritmetica non descri-ve nel migliore dei modi lo statu quo all’interno di palazzo Chigi.Il punto fondamentale è che purtroppo per il Presidente del Consiglio, il Governo fondato sull’asse Popolo delle Libertà e Lega, non è “autosufficien-te” in termini di voti come lo era all’indomani della vittorio-sa cavalcata nelle politiche del 2008: senza i voti dei 35 finiani

e i 5 siciliani di Lombardo la maggioranza assoluta alla Camera, stabilita a quota 316 è al momento una chimera. Insomma pare chiaro che per approvare un qualsiasi provve-dimento al Governo sarà neces-sario di volta in volta contratta-re con questi quaranta deputati che al momento si dichiarano fedeli alle linee programmati-che esposte dal Premier.Arrivati a questo punto il Cavaliere deve decidere, se vuole o meno arrivare alla fine naturale della legislatura o far saltare prima il banco ed andare all’ennesima conta con i suoi rivali politici .Entrambe le strade presentano però zone grigie.Le vie che Berlusconi deve percorrere per proseguire per altri tre anni l’attività del suo Governo sono essenzialmente due ed entrambe rispondono ad una domanda ben precisa: come fare per raggiungere la soglia di 316 voti alla Camera dei Deputati?Una prima risposta può essere quella che tutti i governi, di tutti i colori possibili, da ses-santa anni a questa parte hanno fornito al Paese: cedere ai ricatti più o meno velati di forze poli-tiche minuscole sotto il punto di vista del numero di deputati o ancor peggio intavolare trat-tative personali con Onorevoli singoli che di volta in volta sono in libera uscita da questo o quel partito magari politicamente non troppo omogeneo con la

maggioranza parlamentare che si cerca di formare. Questo atteggiamento avrebbe solo un duplice effetto, il primo dare la stura alla formazione di micro pattuglie ingestibili all’interno del quadro parlamentare venu-tosi a creare all’indomani delle elezioni del 2008 , il secondo di assestare una mazzata formida-bile – oltre che alla credibilità di Berlusconi - all’idea dell’in-staurazione e della consolida-mento di un sistema politico veramente bipolare nel nostro Paese.L’altra strada, la più percor-ribile anche secondo un’etica politicamente più accettabile da tutti, è quella di recuperare almeno una parte dei fuoriu-sciti del Popolo delle Libertà - la porzione meno invasata dei Finiani insomma - o quei rap-presentanti dei partiti minori, MPA o Repubblicani, che sono stati eletti poiché correvano sotto il simbolo del PdL e di Berlusconi Presidente. Questo risultato si può ottenere in due maniere: la prima scendendo a patti volta per volta con queste forze politiche oppure inizian-do a stringere d’assedio nelle sedi istituzionali periferiche - Regioni, Provincie e Comuni - i rappresentanti politici di Mpa , FLI e rifugiati nel grup-po misto - al fine di indurli alla “ragione” pur presupponendo di avere qualche perdita tra le proprie forze.Perché, parliamoci chiaro, con l’esclusione di Futuro e Libertà

Page 2: 1-15/16-30 settembre 2010 - Anno XLV - NN. 87 - 88 - Andare avanti

Pag. 2 1-15/16-30 settembre 2010

Settimana decisiva quella che è appena iniziata per la sopravvi-venza del Governo Berlusconi, in attesa che il Presidente del Consiglio spieghi alla Camera attraverso un documento che da giorni sta limando quali sono le intenzioni sue e della maggioranza politica che lo sostiene riguardo il prosieguo della legislatura.Attesa che in verità si prospet-tava meno tranquilla di quanto essa si è poi dimostrata, in quanto sia gli ex componenti del PdL - Fini ed i suoi seguaci - che gli avversari politici più importanti del PD, e tantome-no quelli della società “civile” capeggiati da Montezemolo hanno avuto il coraggio di affondare il colpo e mettere in difficoltà il Cavaliere alle prese con problematiche politiche di difficile risoluzione.L’aspettativa maggiore era riposta - inutile tergiversare - intorno al video messaggio che l’attuale Presidente della Camera Gianfranco Fini, ha spedito agli italiani attraverso i siti internet del Secolo, Fare Futuro e Generazione Italia, riguardo l’incresciosa vicen-da della casa monegasca , un tempo di proprietà di Alleanza Nazionale, adesso affittata – o di proprietà questo ancora sfugge - per quattro soldi al cognato del buon Gianfranco.Gli italiani, e soprattut-to il popolo di centrodestra, attendevano direttamente dalla bocca del ex delfino di Almirante la spiegazione defi-nitiva del “mistero” , ma al contrario più che risposte certe e conclusive gli interessati hanno ricevuto le solite parole piene di se e di forse.

Fini si è rivolto a coloro i quali alimentano “il gioco al massacro” - Berlusconi e i suoi giornali ovviamente - ammo-nendoli a fermarsi per il bene del Paese prima che sia troppo tardi: insomma se è il Premier ad essere attaccato dai mass media per vicende che nulla o poco hanno a che fare con l’at-tività di Governo, nessuno può opporsi perché in tal modo si metterebbe a rischio la libertà di stampa e di informazione, se tocca a lui lo stesso trattamen-to allora si manca di rispetto verso le Istituzioni.Il presidente della Camera ha poi continuato ammettendo di non sapere a chi appartenga l’appartamento e ha assicurato che nel caso venga accertato che esso sia di proprietà del Cognato Giancarlo Tulliani egli sarebbe pronto a dimet-tersi dallo scranno occupato fin d’ora.L’ex Presidente di Alleanza Nazionale , dopo essersi difeso con le armi del vittimismo prima e dei “non so” di faccia-ta poi, si è preso pure il privi-legio, da buon “maestrino con la penna rossa”, di bacchettare ironicamente chi protegge le proprietà sue e della famiglia attraverso l’utilizzo delle socie-tà off shore per pagare meno tasse possibili.Inoltre l’ex co-fondatore e affondatore mancato del Popolo della Libertà ribaden-do la teoria della propria inge-nuità in merito al problema ha dato per certo l’assenza di alcun tipo di reato nella vicen-da. Certo per uno che si dice paladino dell’eticità non è un bel dire che, si, miei parenti acquisiti vivono in immobili

svenduti - non si sa bene anco-ra a chi - dal partito che io dirigevo, ma ciò solo per mia dabbenaggine…Insomma Fini inizia a giocare per l’ennesima volta lo sport di cui è un campione: lo scarica barile.La colpa in breve è di quei fun-zionari del partito - di cui egli si fidava - che hanno svenduto a un quinto del proprio valore un immobile ricevuto in eredi-tà da una simpatizzante poli-tica, se invece c’è dolo nella faccenda, certamente allora la colpa è del cognato che ha defraudato la fiducia in lui malriposta.Sciacquatasi in questo modo la propria coscienza, Fini ha criticato prima i giornali di proprietà della famiglia del Premier, accusandoli di voler utilizzare nei suoi confronti il famigerato “metodo Boffo e poi ha allungato al Presidente del Consiglio un ramoscello della pace auspicando che si raggiunga un accomodamento tra PdL e Fli tale da portare la legislatura alla sua conclusione naturale allontanando lo spet-tro di elezioni anticipate.Il presidente della Camera ha in questo modo inteso non affrontare definitivamente né il problema che lo riguarda in prima persona - la proprie-tà della casa monegasca - né quello che lo attanaglia politi-camente, l’alleanza politica con Berlusconi e Bossi, ributtando così la palla nel campo del Cavaliere in attesa delle sue mosse.Per quanto riguarda invece la situazione interna al Partito Democratico le conclusioni sembrano identiche e paral-

lele a quelle trovate riguardo i rapporti politici tra Fini e Berlusconi: la montagna ha partorito un topolino.Infatti se non meno di una decina di giorni orsono, ben 75 parlamentari “veltroniani” hanno firmato un documen-to di censura verso l’attuale politica della classe dirigente del PD guidata da Bersani, definita all’inizio addirittura senza bussola, a distanza di qualche giorno il gran con-siglio del PD ha votato una risoluzione in cui si ribadisce - quasi all’unanimità, su 206 partecipanti solo 32 si sono astenuti - la fiducia nell’azione politica fin qui intrapresa dal partito ribadendo che l’uni-ca alternativa e soluzione al Berlusconismo in crisi evidente è il PD. Per Veltroni, dopo il tentativo a sorpresa di far smontare dalla sella l’attuale gruppo dirigente del partito, c’è la rapida marcia indietro affidata alla dichiarazione di solidarietà nei confronti di Bersani definito dall’ex sinda-co di Roma il leader del PD da sostenere ad ogni costo per rafforzare l’azione del partito, fino a quando converrà a tutti aggiungiamo noi.Da segnalare infine, l’in-tervento della Fondazione del presidente della Ferrari Montezemolo - Italia Futura - che ha “tastato” il terreno riguardo un futuribile attacco al Presidente del Consiglio , mettendo alla berlina per il momento solo l’alleato leghi-sta.Infatti secondo il “pensatoio” di Montezemolo la colpa di 16 anni di immobilismo politico è una quasi esclusiva del partito

di Bossi. I “lumbard” sarebbero solo capaci di proclami e pro-vocazioni che hanno portato i governi di centrodestra ad anni di “non scelte” causa prima del deterioramento sociale, econo-mico e civile del Paese nel suo complesso. La corale risposta dei rappresentanti politici di PdL e della Lega è stata una sola: caro Montezemolo esci dal limbo dell’eterno candi-dato e provati a cimentarti direttamente in una campagna elettorale per misurare il tuo peso attraverso il numero di consensi che potrai ottenere.Al solito gli avversari politici e gli ex alleati del Cavaliere dopo tanto stormir di foglie non hanno preso alcuna iniziativa concreta, e attendono quieta-mente lo sviluppo degli eventi che essi non possono asso-lutamente tentare di guidare, per loro recondita incapacità politica o per palese inferiorità numerica.Si ripete insomma lo stesso copione degli ultimi anni, quel-lo cioè che vede il Cavaliere unico protagonista della scena politica italiana che di volta in volta si trova ad affronta-re avversari che hanno come unico comun denominatore e collante non una nuova pro-posta programmatica ma solo l’antiberlusconismo più acce-so: in tal maniera però non si registrerà mai un innalzamento del livello del confronto politi-co tra le parti , né cresceranno mai di livello le proposte sia della maggioranza che delle opposizioni.

Se Sparta piange, Atene non ride.Così si potrebbe descrivere l’at-tuale situazione politica che i due principali partiti italiani si trova-no loro malgrado ad affrontare in questo primo scorcio d’autunno.Più che tra di loro - come avviene in tutte le democrazie dell’Euro-pa Occidentale - le due formazio-ni politiche si confrontano con schegge impazzite costituite da franchi tiratori organici alle loro strutture o con quelli che dovreb-bero essere i loro alleati naturali per vicinanza ideologica, politica o strategica.Le cronache di queste settimane invece sono piene, più che di dibattiti tra rappresentanti del Governo e di quelli delle oppo-sizioni parlamentari, di accese discussioni tra politici apparte-nenti o allo stesso partito o al medesimo schieramento.Il PdL oramai si trova ad opporsi oltre che alla fronda interna che vede schierati sui due opposti fronti tutti gli ex Forzisti e gran parte degli Ex Alleanza Nazionale fedeli al Presidente del Consiglio Berlusconi contro la pattuglia dei seguaci di Gianfranco Fini che da qualche settimana hanno dato vita a gruppi parlamentari sepa-rati rispetto a quelli della “casa madre”, anche alla ribellione di alcuni deputati siciliani capeg-giati dal sottosegretario Miccichè intenzionati a creare dal nulla l’ennesimo micro partito regio-nale.In pratica mentre gli esponenti politici nazionali e l’intera orga-nizzazione centrale del Popolo della Libertà erano occupati a rin-tuzzare colpo su colpo le stoccate che provenivano dai “finiani”, anche attraverso il reperimento di forze esterne al PdL che andas-sero a rimpinguare l’emorragia di parlamentari avutasi in seguito alla scissione del FLI, astutamen-te un gruppo di “gattopardi sicu-li” tentava di sferrare un colpo utile oltre che ai propri immedia-ti interessi particolari, anche ad una diversa ricomposizione degli schieramenti sia in ambito più prettamente locale che in quello nazionale.Il “la“ a tale progetto politico è stato quello del quarto rimpasto in due anni della Giunta regionale siciliana da parte del Governatore Lombardo, la cui intenzione è formare, almeno nell’isola, un governo a geometria variabile composto dai centristi siciliani del MPA, finiani, PD e fuo-

riusciti del Popolo della Libertà contrari al duo Alfano - Schifani capeggiati appunto da Miccichè, il quale sembra intenzionato a rilanciare la sfida pure nei con-fronti di Berlusconi annunciando la creazione ex novo di un grup-po parlamentare di fedelissimi.Nel PD invece, il redivivo Veltroni approfittando delle difficoltà che il segretario Bersani sta affrontando nel governo del Partito - sceso secondo autorevoli istituti di ricer-ca ad appena il 24% dei consensi - ha annunciato se non proprio di voler creare una propria corrente politica, quantomeno la presenta-zione di un documento - firmato da 75 parlamentari del PD tra cui Fioroni e Gentiloni - che oltre a chiedere una correzione della linea politica dei Democratici per rendere il PD più grande e più aperto (Sic!) anche alle altre forze politiche che ovviamente hanno come fine unico far dimettere Berlusconi, sancisce la nascita di un’opposizione interna al PD: insomma Veltroni sembra voler ripetere nei Democratici quanto fatto da Fini nel PdL.Popolo della Libertà e PD, devono affrontare, oltre che tutti questi “affanni” creati dal loro interno, la capacità degli alleati ad approfittare delle loro “defaillance” politiche per trarne benefici. La Lega in crescita ver-tiginosa di consensi al nord Italia dopo le sparate meridionaliste, “mondialiste” e anti federaliste di Fini, trova ulteriore slancio nella propria azione nelle debolezze intrinseche del PdL in perenne costruzione.L’Italia dei Valori attraverso l’at-tuazione scientifica di una politi-ca aggressiva contro il Presidente del Consiglio e delle sue politi-

che governative, oltre che l’astuto continuo richiamo nelle piazze di girotondini e del “popolo viola” erode sempre più consensi e spazi di visibilità mediatica al PD in continua crisi d’identità.Ogni giorno nel variegato pano-rama politico italiano nasce un gruppo parlamentare o regionale, un insieme di volenterosi vede la luce, mozioni pro o contro ven-gono firmate, correnti secondarie sorgono da quelle principali e così via, fondazioni spuntano ad ogni sorger del sole.Ma l’odore acre che si respira è quello di un tentativo di scardinare e riportare all’interno di alvei più facilmente controllabili l’ordine “bipolare” scaturito dalla volon-tà dei cittadini italiani attraverso l’esercizio democratico del voto.Forze eterogenee al momento si prefiggono questo scopo, che più che frutto di un disegno ben congeniato ci sembrano solo lo sbocco naturale di una comune “forma mentis” politica che i cit-tadini hanno più volte bocciato e che mira a riportare le lancette dell’orologio all’indietro di oltre quindici anni.Ed ecco allora finiani, veltronia-ni, centristi di rito Casininiano e Rutelliano, confindustriali segua-ci di Montezemolo, meridiona-listi dell’ultima mezzora, che si uniscono o tentano di farlo.Alcuni spinti dalla voglia di esse-re finalmente capo di Governo (Veltroni), altri dalla sopraggiun-ta inimicizia personale verso il Presidente del Consiglio (Fini), taluni dalla speranza di poter finalmente riprendere tra le pro-prie mani le leve del comando economico e finanziario del Paese (Montezemolo e potentati indu-striali e bancari), qualcuno dall’ul-

tima occasione per ritagliarsi un posto al sole nel mondo politico italiano (Casini e co.) o per non perdere le prebende accumulate da una quarantennale dissenna-ta politica regionalistica in salsa meridionalista trasformatasi “gattopardescamente” all’ultimo istante in falso federalismo.Diverse mire e differenti ambizio-ni che vedono in Silvio Berlusconi e nel suo Governo alleato con la Lega di Bossi i soli ostacoli.Il pericolo è che questa feroce lotta senza esclusione di colpi possa portare oltre che al crollo del fragile sistema bipolare italia-no - se va bene - ad un possibile ripristino di un deleterio, soprat-tutto economicamente, ritorno del consociativismo.Se va male, ad un aumento espo-nenziale del peso politico, istitu-zionale e ricattatorio di aree poli-tiche che oggi sembrano essere nel Paese minoritarie come il radicali-smo comunista di Vendola e del populismo di Di Pietro e di tutti quei movimenti che intorno all’ex PM di “Mani Pulite” ruotano e che bloccherebbero definitiva-mente il cammino del Paese verso le riforme di cui esso abbisogna.La medicina immediata a tutto ciò è una sola: che Berlusconi ed il suo Governo reggano la “botta” e mettano in atto in breve tempo le riforme sin qui “cantierate” oppure in caso di palese impos-sibilità al raggiungimento degli obiettivi che PdL e Lega si sono dati, il voto anticipato.L’anticorpo necessario, invece, affinché tali “virus” in seguito non abbiano ad indebolire la politica italiana è che finalmen-te PdL e Partito Democratico sappiano “allevare” tra le proprie classi dirigenti una folta genera-

zione di politici 30-40enni che nei limiti di una diversa visione politica - sia essa conservatrice, liberale o riformista - si stacchi-

no definitivamente dai cascami ideologici e dai consunti riti di una “Prima Repubblica” dura a trapassare definitivamente.

di ingenerare turbolenze anche all’interno della base del PDL oltre che nei vertici. Capiamo che per il momento tale mossa non era strategicamente utile ma in tal modo si vedrà chia-ramente come Futuro e Libertà sia molto poco radicato sul territorio, non solo perché è una formazione politica neo-nata ma soprattutto perché - tolti due o tre casi come Fini o Menia - è composta quasi esclusivamente da generali e pochissimi soldati.Ovviamente un aiuto prezio-so, al rientro di parecchi dei finiani fuoriusciti potrà darlo il comportamento titubante del Presidente della Camera e quel-lo da veri e propri facinorosi dei suoi più stretti collaboratori, Bocchino e Granata in primis.La posizione di Fini non è al momento delle più comode poiché se tardasse a dimettersi dalla terza carica istituzionale del Paese come chiesto a gran voce dalla sua Fondazione di riferimento, Fare Futuro, per avere le mani politicamente libere, rimane nell’obiettivo di coloro i quali da mesi lo stanno massacrando riguardo il brutto affare, almeno moralmente ed eticamente parlando, della casa monegasca abitata dal cognato. Contemporaneamente se rima-ne seduto sullo scranno più alto

di Palazzo Chigi dovrà lasciare ai suoi cavalier serventi le redi-ni per la creazione del nuovo partito, con i risultati che ben si possono immaginare.Inutile dirlo ma la recondita spe-ranza del Presidente del Consiglio è che Fini a questo punto ten-tenni ulteriormente, rimanendo imprigionato in un partito senza corpo ma a più teste.D’altronde il comportamento tenuto sin qui da Bocchino, Briguglio e Granata oltre che essere deleterio per ricreare le occasioni utili ad un ricongiun-gimento politico tra finiani e PdL sta esacerbando gli animi di molti di coloro i quali hanno seguito Fini in quest’avventura solo per l’amicizia personale che li lega all’ex Presidente di AN e che ora sembrano essere scon-tenti delle posizioni oltranziste fatte assumere a tutto il gruppo dai tre e che potrebbero ripor-tare in parecchi a rivedere le proprie posizioni nei confronti del PdL.L’altra possibilità che si para di fronte a Berlusconi– quella che più “ingolosisce” il cavaliere dato il suo carattere- è manda-re tutto a carte e quarantotto andando alle elezioni anticipate ma in questo caso le incognite sono due, il Presidente della Repubblica che potrebbe ritar-dare questo passaggio politico e il Popolo delle Libertà ancora poco organizzato territorial-mente per sostenere un’altra dura tornata elettorale.

La Piazza d’Italia - Interni

Per informazioni e abbonamenti chiamare il numero verde:

La Piazza d’Italiafondato da TURCHI

Via E. Q. Visconti, 2000193 - Roma

Luigi TurchiDirettore

Franz TurchiCo-Direttore

Lucio VetrellaDirettore Responsabile

Proprietaria: Soc. EDITRICE EUROPEA s.r.l.

Registrato al Tribunale di Roma n.9111 - 12 marzo 1963

Concessionaria esclusiva per la vendita: S.E.E. s.r.l.Via S. Carlo da Sezze, 1 - 00178 Roma

www.lapiazzaditalia.itE-mail: [email protected]

Manoscritti e foto anche non pubblicati, e libri anche non recensiti, non si restituiscono. Cod. ISSN 1722-120X

Stampa: DEL GROSSO s.r.l.Via Tiburtina, 912 - 00156 Roma

FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI SETTEMBRE 2010GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a S.E.E. s.r.l. - Via S. Carlo da Sezze, 1 - 00178 Roma. Le informazioni custodite nell’archivio dell’Editore verranno utilizzate al solo scopo di inviare copie del giornale (Legge 675/96 tutela dati personali). La responsabilità delle opinioni espresse negli articoli firmati è degli autori.

800574727

Dalla Prima

Montagne e topolini

I nemici del bipolarismoPdL e PD alle prese con guastatori interni che mirano a destabilizzare il quadro politico attuale Andare avanti

La polemica politica sembra placarsi in attesa del discorso di Berlusconi alla camera

Page 3: 1-15/16-30 settembre 2010 - Anno XLV - NN. 87 - 88 - Andare avanti

1-15/16-30 settembre 2010 Pag. 3

Finisce l’estate e a Mirabello, a meno di improbabili marce indietro, termina anche la disastrosa - non certo per la destra italiana - avventura di Gianfranco Fini all’interno del Popolo delle Libertà.Definitiva spaccatura doveva essere con Berlusconi e, quasi, lo è stata, dato che il Presidente della Camera da politico con-sumato si è lasciato al momen-to una via di fuga, che a meno di decisioni drastiche di Berlusconi, gli lascia ancora la possibilità di sedersi sullo scran-no più alto di Montecitorio, il posto per il quale si è sbarazza-to di un partito intero e della sua classe dirigente e oltre che - cosa ancora più grave - di una decennale storia politica che affondava le radici nel secondo dopo guerra.L’avvenuta scissione dal PdL, ma a quanto pare non dalla maggioranza governativa e dalle relative poltrone e strapuntini che ella garantisce, è stata san-cita durante il discorso tenuto dall’ex presidente di Alleanza Nazionale alla festa di Futuro e Libertà a Mirabello, piccolo centro del Ferrarese.Per una domenica Mirabello è stato sotto i riflettori di gior-nali e televisioni, una sorta di momentaneo ombelico politico italiano, e l’attesa non ha tradi-to le aspettative. Insomma chi voleva la rottura definitiva tra Fini e Berlusconi è stato final-mente servito, a destra come a

sinistra passando per il centro.L’atteso intervento di domenica più che a definire le linee poli-tiche lungo le quali tenteranno di destreggiarsi i manutengoli del Presidente “super-partes” - quoziente familiare, immigra-zione, economia, federalismo, etica politica e rilancio sociale - è stato utile per far com-prendere meglio, a chi non lo conosceva, il carattere dell’uo-mo Fini: quello che si cela dietro la facciata di personaggio freddo e calcolatore. L’uomo livoroso verso coloro i quali gli si oppongono, con grande carisma tuttavia, pieno di se e capace di gettare al vento la grande occasione della destra di cambiare il Paese attraverso gli ideali che per decenni l’han-no contraddistinta e relegata ai margini della politica italiana.Come un fiume carsico, per tutto il mese di agosto si erano infatti perse le tracce del Presidente della Camera, improvvisamente Fini è fra-gorosamente riapparso sulla scena politica italiana cercando di travolgere tutto e tutti, ma si sa che le piogge estive che gonfiano i ruscelli dopo mesi di secca e siccità trascinano con la corrente impetuosa soprattutto fango.E fango è stato per tutti.Ad iniziare da Berlusconi e dal direttivo del PDL incrimina-ti addirittura di stalinismo da Fini a causa della cacciata sua e dei procedimenti verso suoi

scherani senza contradditto-rio e con motivazioni ridicole sempre secondo Gianfranco. Accusa questa che fa venire in mente la folta schiera di epurati o ostracizzati, dal Movimento Sociale prima e da Alleanza Nazionale poi, voluti negli anni addietro dall’attuale Presidente della Camera, non sempre con motivazioni giuste e valide ma più spesso perché in rotta di collisione col suo pensiero e la sua ambizione.Critiche ci sono state pure per l’accoglienza - definita una poco decorosa genuflessio-ne - riservata da Berlusconi a Gheddafi dimentico dell’occa-sione occorsa a lui quando una ventina d’anni fa da segretario del Msi corse a Belgrado per stringere la mano al boia dei Balcani Milosevic.Critiche poi, ci sono a Ghedini definito “dottor stranamore” sempre in cerca della legge “ad personam” che possa salvare il Cavaliere dalle fauci della Magistratura che va sempre rispettata da chi si considera uomo delle Istituzioni.Taglienti battute di spirito riservate ancora a Berlusconi, avvisato che il Parlamento non è la dependance del Governo e che gli onorevoli che lo hanno seguito nella creazione del FLI sono uomini che voglio-no fare politica liberamente e non vanno considerati come i clienti della Standa che se non cambiano il “super mercato”

ricevono il premio fedeltà.Fini ha poi rivolto al Primo Ministro l’accusa di non aver capito che in una democrazia liberale le critiche al Capo del Governo non possono essere considerate lesa maestà perché esistono cittadini e non sud-diti poiché governare non può significare comandare, tanto che anche i telegiornali - sem-pre secondo l’ex Presidente di Alleanza Nazionale - sembrano fotocopie dei fogli d’ordine del PDL.Stilettate pure per il binomio indissolubile Bossi - Tremonti a cui, insieme con Calderoli, non può essere lasciata l’esclu-siva di rifondare lo Stato su basi federaliste perché il timore del Presidente della Camera è che il Nord si comporti da “asso-pigliatutto” rispetto alle regioni meridionali meno svi-luppate economicamente.Parole durissime anche nei con-fronti del Popolo della Libertà di cui oramai Fini ne ha con-statato la prematura morte politica. Il PdL come egli lo ha conosciuto è defunto lo scorso 29 Luglio - il giorno in cui il direttivo del Partito mise praticamente alla porta Fini e i suoi, oramai egli è solo una Forza Italia allargata ai “colon-nelli” ex Alleanza Nazionale che hanno proditoriamente abbandonato il loro Generale - lui ovviamente - e cambia-to bandiera per mero interesse personale. Adesso ormai chi

incarna il vero spirito fondan-te del PdL è nientemeno che Futuro e Libertà.Parole queste che hanno provo-cato la reazione a “palle incate-nate” degli ex colonnelli di AN che hanno commentato a stret-to giro di posta le parole di Fini o con sarcasmo come Gasparri che ha definito in ogni caso i colonnelli migliori dei cognati in riferimento al caso dell’ap-partamento monegasco donato anni fa ad Alleanza Nazionale e finito chissà come nelle dispo-nibilità di Giancarlo Tulliani appunto cognato del Presidente della Camera, chi con la fred-dezza che gli è usuale come Alemanno, il quale oltre che a definire le parole di Fini piene di risentimento, ha chiesto chiarimenti definitivi riguardo l’appartenenza politica di Fini e dei suoi.Il “triumviro“ La Russa inve-ce si è detto rattristato per il comizio di Fini ma ha fatto notare che come non morì il Movimento Sociale quando Fini fece in modo di mandare via Rauti, o non morì allean-za Nazionale quando l’attua-le Presidente di Montecitorio cacciò in malo modo Storace così non scomparirà il Popolo della Libertà orfano di Fini e compagnia cantante la quale deve decidere se uscire o meno dal Partito e se appoggiare in Parlamento il programma dei cinque punti che il Governo sottoporrà all’esame delle

Camere.In ogni caso Fini sembra essere caduto nello stesso errore di cui accusa Berlusconi, quello di considerarsi l’insostituibile “padre- padrone” di una intera area politica, quella di centro destra.Per la serie “Dopo di me il diluvio”.Stiamo parlando dello stes-so Fini che quella fusione a freddo frutto del discorso del predellino subì e digerì con l’amaro in bocca negandone fino all’ultimo la possibilità, conscio che senza Berlusconi non avrebbe potuto fare altro che il Segretario di un partito con un numero risicato di suf-fragi e parlamentari, non aven-do nessuna remora a sciogliere poi, dall’oggi al domani AN , quello si, che aveva contribuito a creare nell’animo e non solo formalmente.L’unica cosa positiva della fac-cenda è che a distanza di anni anche gli ultimi colonnelli - non gli ultimissimi, di quelli pare ne spuntino sempre fuori di nuovi - si siano accorti final-mente che Fini ha usato partito ed ideali per il raggiungimento dei propri - legittimi beninte-so - obiettivi. Dall’Elefantino, alla Presidenza della Camera, sempre egli ha buttato giù dalla torre berlusconiana o anti ber-lusconiana ideali, colonnelli, soldati e così via. E adesso sotto a chi tocca.

La Piazza d’Italia - Interni

Il generalissimo GianfrancoFini a Mirabello suona l’addio al PdL puntando il dito contro Berlusconi e gli ex compagni di Alleanza Nazionale

Il 17 agosto con la morte del Presidente Emerito Francesco Cossiga se ne è andata, senza dubbio, una parte di storia ita-liana, non solo perché è stato punto di riferimento per la politica dal secondo dopo guer-ra fino alla fine della prima Repubblica, ma perché tanti segreti se li è portati via.Ci possiamo domandare cosa resti ad un qualsiasi trentenne o quarantenne della sua attività per la patria, tanto da lui sem-pre elogiata e difesa, quali sen-sazioni ha lasciato ad una per-sona che non ha avuto modo di seguirlo per tutta la sua carriera onorata; tra le tante risposte possibili, una è comunque legit-tima: ha lasciato la visione di una dinamica politica a volte poco chiara, motivata da circo-stanze non del tutto comprensi-bili o non conoscibili al comu-ne cittadino (anche se volte al più alto senso patriottico), ha lasciato in un certo qual modo l’idea di un uomo dei misteri, esperto nella politica dei pesi e contrappesi, dei giochi di palaz-zo anche extra-territoriali, delle azioni strumentali il cui fine spesso sembra aver giustificato il mezzo.Lode a Cossiga per la sua lun-gimiranza, per aver avvistato prima di tutti la fine della prima Repubblica e per essere uscito indenne dall’esplosiva tangen-topoli; il Papa l’ha salutato con onore e rispetto, ricordandolo come autorevole protagonista della vita nazionale italiana, uomo di fede, illustre cattolico di Stato, grande appassionato di tecnologia, insigne studioso del diritto e della spiritualità cristiana che nelle pubbliche responsabilità ricoperte seppe adoperarsi con generoso impe-gno per la promozione del bene comune.Nel suo testamento politico lascia impresso nella nostra sto-ria i suoi alti principi demo-cratici e di fedeltà al Paese e alla Repubblica, bussole che

lo hanno sempre guidato nella vita istituzionale.Un uomo che ha incarnato la politica italiana, pura nell’at-taccamento alla bandiera e ai principi della civiltà occiden-tale, ma fatta anche purtroppo di segreti di Stato, di stragi, di

rapimenti.Ministro dell’interno nei gover-ni Moro V, Andreotti III e IV dal 1976 al caldissimo 1978, dimessosi poi dopo l’uccisione di Moro. Dal 1979 al 1980 è Presidente del Consiglio e dal 1983 al 1985 è Presidente del Senato della Repubblica e infi-ne Presidente della Repubblica, successore di Sandro Pertini.Durante i primi anni che è al Viminale, gli scontri tra stu-denti e forze dell’ordine sono

durissimi e l’11 Marzo del 1977 nella zona universitaria di Bologna, viene ucciso un militante di lotta continua, Pierfrancesco Lorusso.Alle successive proteste Cossiga risponde mandando dei blin-dati (M113); una donna, sul

ponte Garibaldi, venne colpita a morte, Giorgiana Masi.Il 1978 è l’anno troppo caldo per Cossiga; dopo la riforma dei servizi segreti con la creazione dei reparti speciali della polizia NOCS e dei Carabinieri GIS, nel Marzo si abbatte sull’Italia il rapimento di Aldo Moro.Per fronteggiare la situazione crea due comitati di crisi, uno ufficiale e uno più ristretto; la storia incredibile è che in segui-to, la stragrande maggioranza

dei componenti di entrambi i comitati sarebbero risultati iscritti alla P2. Lo stesso Licio Gelli, sotto falso nome, l’in-gegner Lucani per l’occasione, faceva parte dell’ambiguo folto gruppo. Inoltre Cossiga richiede ed ottiene anche l’intervento di uno specialista americano (carat-terizzazione che forse dovrebbe andare virgolettata?), il professor Steve Pieczenik che partecipò ad una parte dei lavori.Come si sa, sebbene la popo-lazione fosse d’accordo ad una trattativa con i sequestratori per il rilascio Moro, nulla mai si mosse.Cossiga si dimette dopo il ritrovamento del cadave-re del Segretario DC in via Michelangelo Caetani.Ma appena un anno dopo la tragedia, è nominato presidente del Consiglio e rimane in carica fino all’Ottobre del 1980.Nel 1985 diventa l’ottavo presidente della Repubblica Italiana.I primi 5 anni di mandato si dimostrano molto regola-ri e attenti alle forme della Costituzione. La caduta del muro di Berlino segna la secon-da fase del mandato; il suo comportamento diventa fun-zionale ad una constatazione decisamente reale, a dirla tutta: secondo lui, la fine della guerra fredda e della contrapposizione dei due blocchi stava per deter-minare un profondo mutamen-to del sistema politico italiano, che nasceva da quella stessa divisione e ne era espressione.I partiti che secondo lui avreb-bero subito le peggiori conse-guenze da questo sisma sareb-bero stati il PCI e la DC, ma sosteneva anche con forte con-vinzione che i politici prima di tutto e i partiti poi, si rifiutava-no di riconoscerlo.Inizia a questo punto da parte del Presidente una fase di contrapposizione dura e spes-so molto mediatica al sistema politico italiano. Da qui l’ap-

pellativo di picconatore.I fatti tragici non si placano e nel 1990 viene assassinato dalla mafia il “giudice ragazzi-no” come Cossiga lo appellò, Rosario Livatino.Il 28 Aprile del 1992, un mese prima della strage di Capaci, si dimette dalla Presidenza e poco dopo gli succede Oscar Luigi Scalfaro.Non bisogna tralasciare la trat-tazione dei rapporti presunti di Cossiga con la Gladio.Gladio, nome italiano dell’orga-nizzazione clandestina promos-sa dalla Nato durante la guerra fredda i cui tratti si classificano esattamente nel suo appellativo originale: Stay Behind Spyro (stare dietro, stare di qua delle linee).Il termine Gladio indicava dun-que lo stay behind italiano.Il suo compito era porre in essere una rete di resistenza europea nel caso in cui i Paesi appartenenti a questo blocco fossero invasi dai sovietici o nel caso in cui i comunisti, in uno qualsiasi di questi stati, avessero preso il potere.Ogni stato europeo aveva una cellula di Stay-Behind e la CIA in parte ne finanziava ciascuna.Qualora ci fosse stata un’inva-sione, la tattica sarebbe stata quella di contrapporre azioni di guerriglia e sabotaggi da parte di queste cellule clandestine, in attesa ovviamente dell’arrivo in aiuto degli USA.Vennero prese in considerazio-ne anche altre forme di resi-stenza non convenzionale, come le cosiddette operazioni “false flag”, ossia attentati e simili ope-razioni rivendicate sotto falsa bandiera per fomentare divisioni politiche o anche attacchi ter-roristici; insomma, una vera e propria strategia della tensione.L’esistenza di queste forze pronte ad intervenire rimase un segreto fino al 1990, fino alla fine della guerra fredda.In Italia dell’esistenza di Gladio erano informati i vertici politici

del Paese, il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Ministro della difesa e i vertici militari.Francesco Cossiga venne infor-mato della struttura clandestina quando entrò per la prima volta nel governo come sottosegreta-rio alla difesa, nel 1966.L’autorizzazione a rendere pubblica la Gladio viene da Andreotti, allora presidente del Consiglio, il 24 Ottobre del 1990; in seguito il governo ne ordina lo scioglimento il 27 luglio dello stesso anno.Cossiga stesso nel 1991 si defi-nisce l’unico referente dello stay behind italiano; il 6 dicembre del 1991 viene presentata in Parlamento dall’allora minoran-za la richiesta di messa in stato di accusa per Francesco Cossiga. Il comitato parlamentare ritiene tutte le accuse infondate e la procura di Roma richiede l’ar-chiviazione a favore di Cossiga il 3 Febbraio 1992 e l’8 Luglio 1994 la richiesta viene accolta dal Tribunale dei Ministri.In ultimo, almeno per quan-to ci è dato sapere, il 23 Ottobre 2008, in un’intervista al Quotidiano Nazionale, pro-pone al Ministro dell’Interno Maroni la sua soluzione per pla-care il dissenso universitario nei confronti della legge 133/2008: non chiamare in causa la poli-zia ma screditare il movimento studentesco infiltrando agen-ti provocatori e solo dopo i prevedibili disordini, le forze dell’ordine dovrebbero interve-nire senza porsi problemi.Negli ultimi anni sono state diverse le esternazioni del Presidente Emerito che hanno lasciato molti dubbi su quanto fino a quel momento dato per vero sui fatti più tragici della storia della Repubblica. Verità o provocazione?Questo anche è stato Cossiga, un uomo politico che ha gestito il potere anche “stay behind”.

Ilaria Parpaglioni

Gestione del potere, un affare mai scontato

Francesco Cossiga

Page 4: 1-15/16-30 settembre 2010 - Anno XLV - NN. 87 - 88 - Andare avanti

Pag. 4 1-15/16-30 settembre 2010

La Piazza d’Italia - Esteri

Dopo che con clamori e fan-fare G.W.Bush aveva dato vita alla campagna irachena, con più sobrietà, ma con altrettan-to entusiasmo Obama chiu-de ufficialmente le ostilità annunciando l’agognato ritiro delle truppe americane che hanno lasciato sul campo ben 4 mila soldati.Dopo sette anni e mezzo, dunque la guerra può dirsi finalmente conclusa.Per la verità, parlando di ritiro s’intende il ritorno di truppe combattenti, visto che ben 50 mila militari Usa rimarranno nel Paese per oltre un anno, svolgendo però mansioni di addestramento delle truppe irachene.E si chiude il cerchio. Una sto-ria sanguinosa che ha portato alla decapitazione della tiran-nia di Saddam e che ha pro-dotto ferite anche in Europa, spaccandola di fatto attraverso il cosiddetto “fronte del no”, capeggiato dalla Francia.La parola fine dunque è Obama a metterla, nonostante addirittura sette anni fa, Bush avesse dichiarato alquanto prematuramente la chiusura dei combattimenti, nel celebre discorso a bordo della portae-rei Lincoln.La faccenda sarebbe stata invece ancora lunga e avreb-be addotto ulteriori lutti agli americani e agli iracheni. Raggiunto l’acme della ten-sione si è dovuto attendere il generale Petraeus perché si potesse parlare di stabilizza-zione progressiva.Nelle ultime ore, però i desta-bilizzatori sono sembrati rin-galluzziti dal ritiro Usa e sono fioccati nuovi catastrofici attentati a destra e a manca per tutto l’Iraq.Nel tritacarne, una volta di più, i civili, che dall’inizio della guerra hanno visto mori-re ammazzati oltre 50 mila connazionali.Ovvio, che il passo indietro di Obama ampiamente annun-ciato ha due ragioni. La prima, appartiene al medesimo con-testo. Il presidente americano, di concerto con il suo staff, ha deciso di rafforzare l’impegno americano in Afghanistan, l’altra guerra degli Stati Uniti in questi anni, dove i militari Usa e Nato sono attualmente centocinquantamila circa e la situazione è ben più critica.L’esercito talebano, tra una sortita e l’altra, complice la conoscenza invidiabile di un territorio ostile come pochi, vantando un addestramento

invidiabile nelle tecniche di guerriglia, controllano di fatto gran parte dell’Afghanistan e minacciano i loro vicini dal ventre molle (Pakistan in pri-mis), destabilizzandone a più riprese i confini. Ecco perché, grazie anche al multilaterali-smo sbandierato da Obama, è ora il momento di spostare la propria attenzione su quest’al-tro scacchiere su cui si gioca una partita importantissima.Pena la vanificazione del lavo-ro sinora fatto di coloro che per esso sono caduti.Un secondo aspetto per nulla da sottovalutare è di natura economica. Il conflitto irache-no, ha prosciugato parecchio delle casse statunitensi (oltre mille miliardi di dollari) e perciò occorre ora modificare l’agenda degli interventi desti-nando nuovi fondi a cause più impellenti: ripresa economica e Afghanistan. Come detto, il cerchio si chiude per la parte americana, ma non per tutti.Oltre ai succitati attentati seguiti all’annuncio di Obama va considerato che l’Iraq è in stato di massima allerta per via dei disordini scaturiti dalle elezioni di marzo quando non è uscito un chiaro vincitore. Il Paese è ancora nell’incertezza politica e a questo punto il ritiro americano è accompa-gnato da un enorme punto interrogativo: cui prodest?Senz’altro gli americani hanno da tempo abbandonato gli ambiziosi progetti di “espor-tazione della democrazia” e oramai parlano esclusivamen-te di stabilità. Ma perseguire la via della stabilità proprio quando “si esce” significa scel-leratezza allo stato puro anche con un forte impegno da parte dei propri alleati regionali - Turchia e Arabia Saudita su tutti.Il conflitto politico compli-ca ulteriormente le cose: sia l’ex primo ministro al Maliki, che il vincitore dello scorso voto, Allawi (con appena 2 in meno), vogliono la poltrona di primo ministro.Tale situazione spacca, acui-sce gli scontri, destabilizza il Paese. Sullo sfondo, entrambi i leader sono immersi in una ricerca disperata di alleati per prevalere l’uno sull’altro.Il risultato è inevitabile: un’as-soluta debolezza, condita da attentati un po’ ovunque.Spostando come detto il pro-prio “scudo” sull’Afghanistan è necessaria solo una cosa: vincere. Vincere una guerra che l’America sta perdendo.

Anche nel panorama afghano, la parola democrazia è stata cancellata dall’agenda.Per addivenire alla pacificazio-ne - non alla pace beninteso - potrebbe trovare asilo, tra gli strateghi americani, una sorta di soluzione federalista. Una divisione, che possa soddisfa-re le istanze un po’ di tutti i soggetti, per superare l’em-passe e tentare di chiudere anche questo secondo cerchio e consentire di far tornare a respirare gli Stati Uniti e i propri alleati.In questo caso, si avrebbe un governo centrale capace di servire al meglio gli interessi

politico-economici occiden-tali, bilanciata da forti auto-nomie per l’area talebana. Si tratterebbe di una via media-na, vista allo stato attuale l’impossibilità di stroncarne la minaccia.Potrebbe funzionare, bagnan-do il tutto con una pioggia di denaro da versare in misura equa ovviamente a entrambi gli attori, che a quel punto dovrebbero accettare il ruolo Usa senza troppi capricci.Certo è che senza l’appoggio di altri “attori d’area” - Arabia e Pakistan, ma anche Russia, Cina e Iran - gli americani non avrebbero molte possibi-

lità di raggiungere l’accordo coi Talebani.L’Iran, in particolare, pub-blicamente nemico giurato statunitense ha lanciato a Washington più di un amo. Ha assunto una posizione filo-Karzai, sia a parole - proferite nelle segrete stanze diploma-tiche - che a fatti, con i soldi che regolarmente passano dalle casse di Teheran a quelle di Kabul. La discreta ma intensa cooperazione tra intelligence iraniana e truppe americane testimoniano ulteriori abboc-camenti da parte di Teheran, ben consapevole che in tutta la regione - se si desidera

la pace - è necessario il suo consenso. A costo di aprire un altro fronte o di continuare ad affondare laddove si è in passato incautamente messo piede.Perciò, ora che gli Usa sembra-no giunti davanti al portone con sopra la scritta “prendere o lasciare”, proprio ora i com-petitors storici di Washington sembrano impugnare il col-tello dalla parte del manico, certi che qualsiasi possa essere la loro richiesta, questa verrà accolta.E la sensazione è che proprio in questo momento si stia per aprire un altro cerchio.

Ritiro USAGli scenari

La Polonia nel Settembre del 1980 visse una fiammata di furore libertario che durò fino alla caduta del muro di Berlino; il regime comuni-sta, opprimente manto steso sull’est europeo, decise di non schiacciare come avrebbe potuto, la spinta innovatrice che cominciava a far pressio-ne per venire allo scoperto.A 30 anni dalla nascita di Solidarnosc, ci si chiede cosa il movimento lasci e di sicu-ro col senno di poi, si ha uno schema più ampio di come le cose andarono e di come la nascita del Sindacato probabilmente rientri in un piano di cambiamenti ampio in cui i destini delle nazioni non vengono decisi solo a suon di referendum, elezioni e manifestazioni, ma forse anche con accordi momen-taneamente segreti, gestiti a tavolino.Il Niezalezny Samorzadny Zwiazek Zawodowy, Sindacato Autonomo dei Lavoratori, “Solidarnosc”, viene fondato nel Settembre del 1980 in seguito agli scio-peri nei cantieri navali di Danzica.Durante gli anni Ottanta, il sindacato agisce di nascosto, ma presto si impone come movimento di massa e luogo centrale di convergenza di tutte le forze anticomuniste, compresa la preponderante componente cattolica del paese.La fondazione di Solidarnosc non è stata un elemen-to necessario per la sola Polonia, ma anche per tutti i paesi che entravano nella sfera di influenza del blocco sovietico.Il suo successo dipese da diversi fattori: il sostegno di un gruppo di intellettua-li dissidenti, la scelta non violenta del movimento, la capacità di far leva sul sen-tito sentimento cattolico del popolo polacco e una con-giuntura internazionale che probabilmente ormai sentiva la guerra fredda volgere verso il suo ultimo capitolo.Alla fine del 1981 il sindaca-to contava più di 9 milioni di iscritti e la sua azione mira-

va alla destabilizzazione del sistema e allo smantellamen-to del monopolio del partito unico di governo.Nel 1989 il movimento, di forte influenza cattolica, viene riconosciuto legalmen-te e partecipa alle elezioni politiche ottenendo una vit-toria indiscutibile.Lech Walesa è il leader di Solidarnosc fin dall’inizio e attraverso il movimento operaio cattolico, dopo una lunga stagione di confronto col regime, riesce a portare alla vittoria il rinnovamento dello stato Polacco.Negli anni ’70 Walesa lavora nei cantieri navali di Gdansk come tecnico elettrico; pro-prio nel 1970 prende parte ad uno sciopero illegale; l’esi-to è drammatico: più di 80 lavoratori uccisi dalla poli-zia, Walesa viene arrestato, accusato di comportamento antisocialista e condannato ad un anno di carcere.Nel ’76 raccoglie le firme per costruire nel cantiere un monumento ai suoi compagni uccisi durante lo sciopero; questa azione gli fa perdere il lavoro e solo grazie all’aiu-to economico degli amici, riesce ad andare avanti. Nel 1978, insieme ad Andrzej Gwiazda e Aleksander Hall costituisce un’organizzazione segreta, i Sindacati Liberi di Pomerania.Nel corso del ’79 viene arre-stato più volte e nell’80 con l’inizio degli scioperi nei can-tieri navali, si pone come leader del movimento.Seguono manifestazioni dello stesso genere in tutto il paese e Walesa propone di organiz-zare un Comitato di sciopero interaziendale per coordinare l’attività dello sciopero gene-rale nazionale; nel Settembre del 1980 il governo comu-nista firma un accordo che prevede e riconosce la forma-zione e la nascita di sindacati liberi e indipendenti.Nasce Solidarnosc e Walesa viene scelto come presidente, posizione che manterrà fino al 1981.Nel 1983, dopo un perio-do di internamento durato 11 mesi vicino alla fron-

tiera sovietica, in seguito allo stato di legge marzia-le deciso dal segretario del partito Comunista Wojciech Jaruzelski, chiede di poter ritornare ai cantieri navali come semplice operaio. Nel frattempo, gli viene assegna-to il Premio Nobel per la Pace, che non potrà ritirare personalmente temendo che non gli fosse più concesso il rientro in patria.Nel 1988 organizza uno scio-pero con un unico scopo: la legalizzazione di Solidarnosc, i cui quartieri generali intan-to si erano temporaneamente spostati a Bruxelles; lo scio-pero è duro e si prolunga per 80 giorni. Il governo accetta infine di aprire delle discussioni.Walesa rappresenterà il lea-der della parte non gover-nativa.Questi incontri prendono il nome “Trattative della Tavola Rotonda”, il luogo è Varsavia e lo scopo è calmare i tumulti popolari.L’iniziativa delle discussioni viene concepita durante un randez-vous segreto (perché segreto?) dove partecipano tra gli altri, Walesa e il mini-stro degli Interni Czeslaw Kiszczak; in questa occasione entrambe le parti si accorda-no sulla messa in atto degli incontri ufficiali che prende-ranno poi appunto il nome di Trattativa della Tavola Rotonda, al fine di pianifica-re le azioni da intraprendere per l’immediato futuro del paese.Lo scopo dei comunisti è quello di assorbire i leaders dell’opposizione nei quadri dirigenziali del governo, di modo da non cambiare in fin dei conti nulla della struttura statale; nella realtà però le cose vanno ben oltre e gli accordi si mostrano l’inizio della fine del regime.Gli argomenti trattati e discussi ufficialmente sono la riforma politica, il plura-lismo sindacale e partitico, obiettivi economici e sociali; in questo contesto le questio-ni più spinose sono: rialzo e controllo dei prezzi al consu-mo, nuove elezioni politiche pluraliste, limitazione delle competenze del Presidente della Repubblica, limitazione delle competenze del futuro Sejm e Senato, l’accesso ai mass media da parte delle forze di opposizione.Gli accordi, iniziati il 6 Febbraio del 1989, termi-nano il 5 Aprile dello stesso anno. Le conseguenze più dirette sono: il trasferimento del potere politico verso una legislatura bicamerale, il rico-noscimento di Solidarnosc come organizzazione politi-ca legale, l’istituzione di un Senato.

Le nuove elezioni vengono fissate per il 4 Giugno del 1989, ma sorprendentemente l’affluenza non è massiccia, il 62,7 % degli aventi diritto al voto partecipò al primo turno e solo il 25 % al secondo.Solidarnosc vince; tutti i seggi del ricreato Senato della Polonia vengono asse-gnati democraticamente (Solidarnosc si aggiudica il 99 % dei seggi al Senato) e lo stesso trattamento viene riservato al Sejm, dove il 35% dei seggi viene scelto liberamente; il restante 65 % viene riservato al partito Comunista.Jaruzeleski, la cui candida-tura è l’unica consentita dal Partito Comunista per il ballottaggio alla Presidenza, vince per un solo voto all’As-semblea Nazionale.Queste elezioni prendono anche il nome di Sejm del Contratto in quanto sono state il risultato di un accor-do tra il partito comunista e Solidarnosc per formare di fatto una nuova legisla-tura, il cui piano prevedeva che il reale potere politico venisse trasferito al nuovo Parlamento bicamerale e al presidente della Polonia, che sarebbe stato il capo del potere esecutivo.Solidarnosc diventa un par-tito legittimo e legalmente riconosciuto; in seguito, la transizione pacifica verso la democrazia, viene conferma-ta con le elezioni del 1991.Il paese resta ancora formal-mente comunista, ma inizia a orientare la sua economia verso il libero mercato; nel 1990 Walesa vince le elezioni presidenziali e resta alla guida del paese fino al 1995. Con la sua presidenza il paese cam-bia volto, ma crescono dei contrasti ai vertici del partito e comunque subisce molte critiche al suo operato, per-dendo gran parte dell’appog-gio iniziale. Nel ’95 infatti perde le elezioni e annuncia il suo ritiro dalla politica, pur mantenendosi attivo cercando di creare un partito suo.Malgrado la guerra fredda sia terminata da più di 20 anni, il mondo appare ancora divi-so e deve ancora cambiare molto, dice Walesa interpel-lato per i festeggiamenti (ai quali non ha partecipato) per l’anniversario della fondazio-ne di Solidarnosc.Di fatto i movimenti cambia-no, si accendono e si spengo-no in base alle circostanze e alle congiunture internazio-nali, l’importante però è che i nuovi assetti siano condivisi dal popolo e che quest’ulti-mo non sia solo un mezzo per attuare determinati desti-ni decisi a tavolino.

I.P.

Da Varsavia al muro di Berlino, un mondo che cambia

Solidarnosc settembre 1980

Page 5: 1-15/16-30 settembre 2010 - Anno XLV - NN. 87 - 88 - Andare avanti

1-15/16-30 settembre 2010 Pag. 5

La Piazza d’Italia - Economia

Il Segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha lanciato la propo-sta di introdurre “un salario minimo garantito per legge a tutela di chi non ha un con-tratto nazionale di lavoro”. Bersani parlava da Taranto, dove ha concluso la festa tematica del Pd dedicata al lavoro ribadendo “che non si può continuare a governare con le chiacchiere perché la tensione nel Paese è molto alta. Noi per crescere abbia-mo bisogno di creare nuovo lavoro. Ma non mi aspetto niente da Berlusconi, parole ne avrà tante ma fatti non ne abbiamo visti e tanto meno potremo vederli più in là”.Bersani sostiene che un’ora di lavoro stabile non può costare meno di un’ora di lavoro precario. Parlare di

lavoro vuol dire parlare anche di regole e di nuovo patto sociale. Il Segretario ha affer-mato che “non possiamo farci raccontare la seguente favola: che prima ci vuole la crescita e poi arriverà il lavo-ro. Bisogna che ribaltiamo il ragionamento, se vogliamo un po’ di crescita noi dob-biamo dare un po’ di lavoro, altrimenti vivremo sempre in sofferenza”.Per sgomberare il campo da confusioni concettuali occor-re distinguere il salario mini-mo dal reddito di cittadinan-za, dove il primo non impli-ca l’elemento caratterizzante dell’assistenzialismo insito, invece, nel secondo concetto. Il salario minimo garantito nascerebbe dall’esigenza di un compenso per la dispo-

nibilità, in cui la forza-lavoro è costretta ad esistere, e che è una condizione dell’accu-mulazione e di ogni forma di lavoro applicato.Il salario è il compenso rice-vuto da un lavoratore dipen-dente per le proprie presta-zioni professionali. In macro-economia, si definisce salario reale o potere di acquisto il rapporto tra il fattore lavoro (su base oraria, di euro/mese etc.) e un indice dei prez-zi, deflatore, che depura una grandezza economica dagli effetti dell’inflazione. Quindi secondo gli economisti classi-ci, il salario è la retribuzione del fattore della produzione lavoro e la sua entità dipen-de dal costo-opportunità per il lavoratore della rinuncia ad altre occupazioni (inclu-so l’ozio) durante il periodo impiegato per svolgere la pro-pria mansione.Il punto di vista marxista, invece, è in contrasto con la precedente visione di orien-tamento classico, dove il sala-rio è definito il prezzo della forza lavoro. Il lavoro, infatti, secondo Marx è il consumo della forza lavoro, mentre è la forza lavoro a costituire una merce e in quanto tale scambiata sul mercato secon-do il suo valore di scambio. Come tutte le merci, dunque, la forza lavoro viene venduta approssimativamente ad un valore equivalente al lavoro socialmente necessario per la sua produzione.Tenendo conto dei suindica-ti orientamenti, garantire un salario minimo significhereb-be retribuire il lavoratore che nel momento in cui riceve l’erogazione salariale è disoc-cupato, cioè non ha un con-tratto nazionale di lavoro. Il disoccupato che riceverebbe il salario minimo è un disoccu-pato involontario, cioè colui che non per sua causa si trova senza contratto nazionale di lavoro ed è costretto pertan-to a subire passivamente la condizione di disoccupato. Bersani sostiene di introdurre per legge tale erogazione.A questo punto la domanda è: serve o no questa misura? Quali sono i benefici per il lavoratore e si risolve davvero il problema della disoccupa-zione?Anzitutto va detto che la misura del salario minimo garantito esiste già in molti altri Paesi europei, in quanto costretti a dover affrontare il problema dell’inclusione sociale e quindi dell’occu-pazione nei rispettivi paesi, hanno adottato provvedimen-ti di welfare volti appunto a migliorare la situazione eco-nomica e sociale di molte per-sone disoccupate e/o povere. Il salario minimo garantito è una misura riconosciuta nella forma di sussidio, agli aventi diritto alla stregua di un dirit-to soggettivo. A beneficiarne sono coloro che non hanno un lavoro o hanno reddito basso. In Gran Bretagna, ad esempio, chi non ha un lavoro e non ha risparmi per più di 12 mila euro ha diritto a per-cepire dal diciottesimo anno all’income-based jobseeker’s allowance. Italia e Ungheria

sono gli unici Stati membri a non applicare questo tipo di tutela sociale. E’ opportuna e doverosa la considerazione sul fatto che lo strumento del salario minimo in italia porterebbe sicuramente ad un assistenzialismo che come ha testimoniato la nostra storia non ha fatto altro che aumen-tare i problemi nella fatti-specie rischierebbe di porta-re un’ondata di disoccupati volontari.Per tale ragione bisogna pun-tare sul lavoro generato dalle imprese italiane, le uniche che se, poste in condizioni di competere e di assumere possono fornire un decisivo impulso al sistema economi-co nazionale ed al mercato del lavoro italiano. In termi-ni molto pratici bisogna far ripartire il sistema impren-ditoriale il quale mediante la crescita della sua produttività e competitività avrà sicura-mente bisogno di nuova forza lavoro. Quindi prima la ripre-sa che agirà da effetto trainan-te per il mercato del lavoro.Disparità di reddito e povertà in aumento sono fenomeni che spiccano nella maggior parte dei Paesi. Tale condi-zione economica deriva prin-cipalmente dalla perdita del lavoro di migliaia di persone, conseguente a licenziamenti ed alle difficoltà delle imprese di stare sul mercato sia in termini di risorse che di com-petitività. I redditi, in una prima definizione elementare sono il risultato della somma delle retribuzioni dei lavora-tori, e se queste non ci sono è ovvia la conseguenza di una notevole contrazione dei red-diti e se durano a lungo si può arrivare anche all’azze-ramento delle risorse per le famiglie fino a raggiungere la condizione disgraziata della povertà.Per le suindicate considera-zioni la proposta di Bersani non è del tutto peregrina, vista la crescita esponenzia-le della disoccupazione gio-vanile, e la scomparsa del ceto medio, occorre davvero pensare di introdurre quanto meno in via sperimentale la misura di tutela sociale del salario minimo garantito se non altro per ammortizza-re le difficoltà strutturali di un mercato del lavoro che comunque va riformato cer-cando di avvicinare maggior-mente il profitto al salario, come? per esempio abbassan-do la pressione fiscale sulle imprese, in modo da facili-tarle nell’assunzione di nuova forza-lavoro.Tutti, maggioranza e opposi-zione debbono sedersi attor-no ad un tavolo per decidere sull’opportunità di introdurre questa misura, la quale deve necessariamente armonizzarsi con una riforma organica del mercato del lavoro.Se tutti faranno la loro parte in modo costruttivo tenen-do ben presente l’emergen-za economica e sociale che sta vivendo l’Italia in questi mesi, può darsi che qualche passo in avanti a tutela della gente comune potrà esser fatto.

Avanzino Capponi

Dai dati Eurostat emerge un piccolo segnale di risveglio del nostro Paese, in particolare relativo all’andamento del pro-dotto interno lordo, che nel secondo trimestre del 2010 ha registrato un lieve incremento dello 0,4%. Purtroppo oltre ad essere di lieve entità questa tendenza positiva seppur con-fermata dagli addetti ai lavori non trova altri d’accordo sulla sua permanenza, infatti sono molti economisti a ritenere che il trend positivo potrebbe essere di natura transitoria. Più ottimisti in Eurostat che concentrano la loro previsio-ne tendenziale nell’eurozona e nell’Ue-27.“Non c’è il rischio di una doppia recessione” ha affer-mato Amadeu Altafaj, por-tavoce del commissario agli affari economici e monetari Olli Rehn, avvertendo però che la “ripresa dipende anche da fattori esterni, perché l’UE non è isolata”, e occorre tene-re conto anche di Usa, Cina e più in generale dei paesi asiatici.“Nessun rilassamento delle politiche fiscali e di bilancio”, quindi, ha ammonito il por-tavoce. Per quanto riguarda l’Italia l’andamento del Pil nell’ultimo anno “mostra una tendenza positiva”, ma ha sottolineato il portavoce, “con una crescita inferiore alla media”. Le previsioni conti-nueranno ad essere positive ma solo se ci sarà una crescita costante di export e consumi privati, ha concluso Altafaj.Nel dettaglio dei dati Eurostat emerge poi che i consumi delle famiglie sono aumen-tati dello 0,5% sia nell’eu-rozona che nell’Ue-27. Gli investimenti sono cresciu-ti dell’1,8% nell’eurozona e dell’1,7% nell’Ue-27. Le esportazioni sono aumentate del 4,4% nell’area dell’euro e del 4,0% nell’Ue-27. Le

importazioni sono aumentate del 4,4% nell’eurozona e del 4,0% nell’Ue-27.Non si tratta comunque di dati eclatanti, ma riflettono sicuramente l’incidenza della ripresa tedesca che da qual-che mese ha ricominciato ad essere locomotiva europea come ai vecchi tempi. Gli altri Stati membri non stanno, invece, avendo il passo della Germania, anzi non registra-no significative variazioni in aumento del loro prodotto interno lordo.Per quanto concerne l’Italia, abituati da qualche anno a leggere dati sul Pil negativi, siamo giunti ad un segnale positivo sopra lo zero del Pil, ma pur sempre intangibile ed impercettibile. L’economia reale continua a soffrire con l’elevato numero di disoccu-pati che non riescono ad esse-re riassorbiti nel mercato del lavoro rimanendo così a tito-lo quasi definitivo licenziati e fuori dalla forza lavoro. A fronte di questo disagio, l’at-tuale Governo si limita a reci-tare la parte che meglio sa fare quella del teatrino della poli-tica, senza affrontare sul serio le problematiche del Paese. Da qualche mese i contrasti politici tra Fini e Berlusconi hanno spostato il dibattito sui temi della dialettica politica e partitica e per ora le misu-re programmatiche appaio-no assenti dall’agenda della Presidenza del Consiglio.La politica così esplicata non serve a nessuno, né all’eco-nomia né alle istituzioni, ma se in tempi ragionevolmente più tranquilli le riforme non sono state fatte, figuriamoci cosa potremmo attenderci da quando il teatrino della poli-tica ha iniziato il suo show. Questo non è un momento trascurabile, va energicamente arginato, va in fretta riportato ai temi importanti che riguar-

dano il Paese.L’economia italiana ancora non ha dato segnali di ripre-sa rilevanti ed incoraggianti, i consumi privati rimangono ancora fermi anzi peggiorano a seguito degli ulteriori licen-ziamenti determinando una forte contrazione dei reddi-ti da lavoro dipendente. Gli investimenti privati non sono previsti in alcun piano finan-ziario delle piccole e medie imprese a causa della impos-sibilità di ottemperare al rela-tivo rimborso, tutto questo a fronte di un aumentato fabbi-sogno finanziario delle impre-se stesse alcune delle quali costrette ad esporsi e quin-di a dover fronteggiare un maggior rischio di insolvenza. Le banche che non erogano crediti facilmente ai piccoli preferendo sempre una clien-tela più sicura con un elevato grado di solvibilità e quindi alcuni pochi grandi produt-tori di ricchezza. Più volte in questo scenario economico sono state azzardate delle pre-visioni, occorre a tal proposito fare una osservazione: oltre

alla fisiologica difficoltà insita in ogni previsione tendenziale di natura economica, oggi va considerato anche un altro fattore che incide sulla bontà o meno delle previsioni, cioè il fattore dell’aleatorietà, tutto è come se fosse affidato a qualche accidente che dovreb-be verificarsi da qualche parte

del mondo e produrre effetti devastanti come quelli gene-rati dallo shock finanziario statunitense. Ma non è così. Oggi più di prima occorre riformare i sistemi che gover-nano l’economia reale perché si ha bisogno di eliminare quelle difficoltà strutturali che impediscono al mercato di raggiungere posizioni di buona allocazione delle risor-se. I Governi sono chiamati ad intervenire con rapidità, ma guarda caso ogni volta che le situazioni economiche raggiungono il loro grado di esasperazione, i politici cam-biano rotta e cominciano ad entrare nella scena del teatri-no della politica. Come dire “distogliamo l’attenzione dei cittadini dai problemi reali per dirottarla su quella dei partiti e dei rapporti istituzio-nali”, detta così sembrerebbe pura utopia strategica eppure è quello che sta accadendo in Italia negli ultimi mesi. Inutile cercare alibi o procla-mare auspici, di fronte ad un teatrino così ben architettato non possiamo che rimanere

spettatori che di questi tempi qualcuno definirebbe “non paganti”, ma questo privile-gio non lusinga la dignità di un cittadino italiano anzi lo disonora perché consapevo-le di una seria accentuazione dell’andamento economico reale che si sta profilando senza indugio.

Un sensibile incremento del PIL italianonel secondo trimestre 2010 fa ben sperare ma...

E’ una misura opportuna oppure no?

Salario minimo garantito

Il PIL in Italia cresce,ma meno che nella UE

Page 6: 1-15/16-30 settembre 2010 - Anno XLV - NN. 87 - 88 - Andare avanti

Pag. 6 1-15/16-30 settembre 2010

La Piazza d’Italia - Cultura

La crisi greca e il panico dei mercati europei non hanno certo fatto distogliere l’attenzio-ne dai mali del nostro paese.Dopo gli ultimi fatti sospet-ti ci si interroga se l’Italia si trovi di fronte ad una nuova tangentopoli; c’è chi sostiene che così non è poiché i casi sono isolati; c’è chi afferma che prima la corruzione era di genere diverso e per assurdo in un certo senso “migliore” per-ché almeno si sottraeva per una causa comune, per il partito e non per profitto esclusivamente personale.Forse che si intenda questo quando si dichiara che il bipo-larismo ha fallito? Ad ognuno le proprie deduzioni, sia sul genere di sistema politico da adottare che sulle tipologie di corruzione, ma di fronte a fatti che di sicuro sono ancora da appurare, seppur non traendo alcuna conclusione, non è facile non annusare un senso di fasti-diosa amarezza.La questione reale oggi è lo scenario italiano che si dispie-ga agli occhi di ogni cittadino globale e quanto esso si con-traddice con l’immagine che invece ognuno vorrebbe che emergesse del proprio paese. “I have a dream”, qualcuno per provocazione potrebbe dire, che un giorno l’Italia non appa-risse come la terra senza regole e del clientelismo, ma un territo-rio solido, coerente e corretto, perché deve essere interessante essere orgogliosi della propria nazionalità anche per questi caratteri.

Per Jurgen Habermas, grande filosofo contemporaneo, nato a Dusseldorf nel 1929, esisto-no diversi tipi di agire attra-verso i quali rapportarsi alla realtà, uno di questi è l’agire teleologico, cioè finalizzato ad uno scopo, infatti lo chiama anche strategico. In questo caso viene presupposta una relazio-ne tra un “attore” e un insie-me di fatti che esistono o che possono essere prodotti da un intervento orientato. Questo modello comportamentale può sviluppare delle intenzioni con l’obiettivo di generare eventi auspicati.Quindi il nocciolo di questa attitudine si ramifica in due direzioni, da una parte l’in-dividuo vede se riesce a conformare le proprie per-cezioni e opinioni a ciò che succede nel mondo e dall’altra, si pone il fine di riuscire a conforma-re quel che succede nel mondo ai propri desideri e propositi. Così l’agire strategico si caratterizza nel realizzare i propri scopi mediante l’orientamento e l’influenza sulle decisioni di altri attori. Anche questi ultimi ovviamente, devono essere pro-iettati verso il proprio esclusivo affermarsi e si comportano in modo cooperativo solo nella misura in cui ciò corrisponde al loro egocentrico calcolo di utilità.Come la crisi greca può avere in parte acceso l’attenzione su alcuni aspetti della situazione economica italiana, così forse,

questo concetto habermasiano può far scattare una modesta somiglianza con un apparente atteggiamento molto italiano nella trattazione degli affari pubblici, ma anche privati, che comunque alla fine, vengono ad avere, per l’intreccio di tante sorti, un epilogo inevitabilmen-te pubblico.John Locke, filosofo liberale inglese (Wrington, 29 ago-sto 1632 – Oates, 28 ottobre 1 7 0 4 )

s c r i s -se nel 1690 il “Trattato sul governo” e nell’ultimo capitolo afferma: ”La ribellione consiste nell’opporsi non a persone, ma ad un’autorità fondata soltanto

nelle istituzioni e nelle leggi del governo; dunque ribelli sono veramente e propriamente coloro –chiunque essi siano- che con la forza violano quelle Costituzioni e quelle leggi e con la forza ne giustificano la violazione”.Gli uomini, prosegue Locke, entrando in una società attra-verso la formazione di una stato civile, hanno introdotto le leggi

al fine di salva-guardare la

p r o -

prie-tà, la

pace e l’unità; pertanto chi raggira il

patto, il contratto, si pone al di fuori della comunità, si oppone alle regole, compiendo appunto l’atto del “rebellare”. Diventa di

fatto un ribelle.“Ciò fanno più facilmente colo-ro che detengono il potere , col pretesto dell’autorità che possiedono, per la tentazione di usare la forza che hanno fra mano, per l’adulazione di colo-ro che li attorniano; e, dunque, il miglior modo di prevenire il male è di mostrare i pericoli e l’iniquità di esso a coloro che più sono soggetti alla tentazio-ne di commetterlo” (pag.161).Il messaggio di Locke è chiaro, quando i legislatori agiscono in modo contrario o avverso al mandato per cui sono stati delegati si rendono colpevoli di ribellione, perché il male va imputato a chi usurpa il diritto

altrui.Infatti, prosegue dicendo che è la storia infine che decide se il male ha avuto più spesso origine dalle turbolenze del popolo o piuttosto dall’insolenza delle autorità e dai loro tentativi di esercitare un potere arbitrario; ed è notevolmente sgradevo-

le che coloro che hanno per legge i maggiori privi-

legi e vantaggi mostrino pro-prio per questo, la tendenza di infrangere quegli ordinamenti che li pongono in una condi-zione di superiorità rispetto ai loro simili. Perciò in questo caso, la loro colpa sarà ancora più grave, anche solo per l’in-gratitudine con cui ripagano il di più che è stato loro concesso per istituzione.Uno stato senza leggi dice Locke “è un enigma politi-

co, indecifrabile per la mente dell’uomo e incompatibile con l’umana società” (pag 156); un governo si dissolve, quando le leggi incontrano ostacoli alla loro esecuzione, perché è come se non ve ne fossero. E se esse non sono più rese operanti, equivale a ridurre tutto ad uno stato di anarchia, intendendo questo ultimo termine nel suo senso più primitivo.Le leggi sono vincoli per la società non creazioni fini a se stesse; hanno la funzione di tenere ogni parte del corpo poli-tico al proprio posto. Se tutto questo viene meno il popolo diventa una confusa moltitudi-ne senza ordine e senza legami e il governo viene ad estinguersi nel suo scopo principale.Habrmas, in “Teoria della morale” (1994) nella terza parte del testo, pone una problema-tica piuttosto importante: se il giusto ha una priorità sul bene.Molto semplicemente si può considerare che se la ricerca e la realizzazione del giusto vengo-no compiute con un’attenzione all’interesse comune che è in fondo il bene supremo di ogni società, allora entrambi verran-no a coincidere e in questo senso la mancanza di una prio-rità sarà positiva. Ma se il giusto viene considerato da un punto di vista esclusivamente perso-nalistico per cui “è opportuno ciò che è meglio per me”, allora non c’è più nessuna riflessione da fare perché il bene in questo caso, non avrà alcuna priorità nel senso che sarà negato.

I.P.

Se il giusto ha la priorità sul bene

Locke e un appropriato concetto di ribelle

Lo scontro Berlusconi - Fini ancora non ha esaurito l’on-da d’urto sulla coalizione di governo e sul sistema politico italiano.Per logiche di partito o per con-tenuti politici si può contestare o meno quanto sia accaduto e si può disquisire se il fatto in se stesso non abbia arrecato danni di immagine; del resto, come asserisce Popper “…pro-prio perché sono un libera-le, credo che poche cose siano più importanti del sottoporre le varie teorie del liberalismo ad un esame critico approfon-dito”.E con questa visione estrema-mente equilibrata, è facile tro-varsi d’accordo.Incredibile è stato invece, dover ascoltare le inopportune critiche della sinistra a quanto è accadu-to; da parte loro parlare di scon-tro imbarazzante, di frattura irreparabile o di scenario anor-male ha chiarito a chi ancora non se n’era sufficientemente accorto, la misera quantità e qualità di argomenti politici su cui ormai sono soliti esprimersi, ingrigiti da un’inesistente defi-nizione ideale e programmatica, assenti nel dialogo coi territori e naufraghi di un’identità perdu-ta e non rinnovata.Lo scontro/incontro Fini-Berlusconi, tra l’altro presenta-to così alla luce del sole, rientra nei parametri di una dialettica democratico/liberale; e si ricor-

di che la dialettica stessa risulta vana quando è portatrice di vaghezza, quando viene mistifi-cata. Ma è un buono strumento politico quando pone sotto i riflettori contraddizioni dalle quali però, ne esce progres-so. Ciò ovviamente implica un necessario atteggiamento critico dei dialoganti.Quindi, le considerazioni fuori luogo della sinistra sulla cesura della scorsa settimana, indicano anche poca scaltrezza e capa-cità intuitiva nella concezione dell’essenza della politica stessa.Attraverso Karl Popper (Vienna 1902- Londra 1994), uno dei più grandi filosofi contempo-ranei, analizziamo il senso della democrazia e del liberalismo; ciò aiuterà a comprendere come il contrasto tra i fondatori del PDL rientra in una reale dina-mica civile.Nella sua raccolta di pensieri liberali intitolata “La libertà è più importante dell’uguaglian-za”, Popper descrive come la democrazia non abbia assolu-tamente un senso vago come in genere si afferma, indican-dola come potere del popolo ad esempio; ma essa ha un profilo ben più pratico, ossia è l’unica forma di governo che permette un controllo pubblico dei governati sui governanti, permette il loro licenziamento e la possibilità di riformare senza ricorrere alla violenza.Suo scopo fondamentale e

primo interesse è di mette-re sotto osservazione l’azione politica. Questo è il suo trat-to essenziale; inoltre è l’uni-ca struttura istituzionale che matura un costante uso della ragione negli affari pubblici.Innanzitutto, le democrazie sono istituzioni che devono quindi, attrezzarsi contro le dit-tature.Ma il miglioramento di que-

ste forme di governo dipende direttamente dalle persone: la vigilanza deve essere sempre alta.Molto acuto ed attuale è Popper quando dice che essa offre un campo di battaglia per qualsiasi riforma ragionevole, ma se la sua tutela non diventa preoc-cupazione principale in ogni

scontro, le tendenze antidemo-cratiche latenti che sono sempre presenti, possono provocare il crollo della democrazia.“I democratici che non vedo-no la differenza tra una critica amichevole e una critica osti-le, sono anch’essi imbevuti di spirito totalitario. Il totalitari-smo, naturalmente, non può considerare come amichevole alcuna critica, perché ogni cri-

tica dell’autorità finisce neces-sariamente con il contestare il principio dell’autorità stessa” (pag. 45).E’ liberale, afferma il nostro filosofo, un uomo che, non solamente simpatizza per un qualche partito, ma che dà pri-maria importanza alla libertà individuale ed è consapevole

dei pericoli inerenti a tutte le forme di potere e di autorità.Ma senza lo stimolo di contrasti politici, la disponibilità dei cit-tadini a battersi per la propria indipendenza scompare presto; purtroppo questa inattività o disinteresse critico è sotto gli occhi di tutti, ogni giorno nella nostra società.Il liberalismo per essenza, crede nella ricerca di standard sempre migliori, per cui ogni inter-vento volto ad alzare i parame-tri legislativi non può essere, solo per difendere una mera apparenza politica, considerato imbarazzante.Il valore di una discussione è dato dalla varietà delle opinioni concorrenti, non dall’appiatti-mento dialettico; infatti il libe-rale, come insegna Popper, non sogna un consenso perfetto dei pensieri, ma spera nella loro reciproca stimolazione e dun-que, nel conseguente sviluppo di idee.E’ questa libertà politica che permette ad ogni uomo di esse-re del tutto responsabile di se stesso ed è l’unica forma di convivenza degna di un essere razionale. La discussione critica risulta essere così il fondamento del libero pensiero, ma senza libertà politica questa verrebbe a mancare.La conseguenza necessaria che si trae da questo percorso sta nell’assunto che quest’ultima diventa condizione preliminare

del libero uso della ragione di ogni individuo.In riferimento all’intervento legislativo per migliorare la società ed affrontare i problemi che contestualmente le sono propri, il filosofo introduce la figura del meccanico sociale gradualistico: questi in quanto governante, ha di sicuro una sua visione globale di come vor-rebbe che fosse il paese in cui vive, ma cerca di raggiungere i propri obbiettivi per mezzo di piccole correzioni che possono essere continuamente miglio-rate e confronta i risultati pre-visti con quelli effettivamente attuati. “L’ingegneria graduali-sta cercherà quindi di adottare il metodo idoneo a individuare (e a combattere contro) i più gravi e più urgenti mali della società, invece di cercare (e di battersi per) il suo più grande bene ultimo” (pag.76).Una società chiusa, ricorda Popper, è caratterizzata dalla fede nei Tabù magici, mentre la società aperta è quella dove gli uomini hanno imparato ad assumere un atteggiamento cri-tico nei confronti dei Tabù e sanno ormai basare le loro deci-sioni sull’autorità della propria intelligenza, dopo un’accurata discussione.Dunque, il nostro fine ultimo non può essere altro, che la realizzazione e il mantenimento di una società aperta.

Ilaria Parpaglioni

Posizioni liberali

Popper, visione di una società aperta

Page 7: 1-15/16-30 settembre 2010 - Anno XLV - NN. 87 - 88 - Andare avanti

1-15/16-30 settembre 2010 Pag. 7

La Piazza d’Italia - Attualità

La censura non è concepibile né sui mass media né in TV; ciò che semplicemente si può sostenere è che ci sono delle notizie che non meritano di essere chiamate così e che quin-di non dovrebbero neanche essere commentate o almeno non dovrebbero essere esposte in maniera consecutiva di fron-te ad un pubblico di miliardi di persone.Ci vuole indubbiamente ragio-nevolezza nella scelta degli argomenti da trattare e su come farlo perché può benissimo accadere che qualcuno si svegli una mattina e pensi di annun-ciare al mondo la sua teoria incontestabile, la sua posizione magari folle su un qualsiasi argomento; la libertà di espres-sione è anche questo, ma la divulgazione di tali posizioni e teorie dipende esclusivamente dalla stampa e dai telegiornali.Non va bene se scatta quel meccanismo per il quale si è portati a credere che una persona può annunciare una qualsiasi assurdità e conqui-starsi notorietà in ogni Paese; il mondo dell’informazione a quel punto perderà di credibi-lità se ogni caso o ogni esterna-zione particolare viene riportata in maniera anche ingigantita, dato l’eventuale debole spesso-re della “news”.Il caso del reverendo Terry Jones può inserirsi in questa chiave di lettura.L’11 Settembre 2010 il mondo ha ricordato le vittime cadute nel 2001 a causa degli atten-

tati alle Torri Gemelle e al Pentagono; quattro aerei furo-no coinvolti nella strage, in migliaia persero la vita in quelle prime ore di una giornata in cui il male ha deciso di scate-narsi e ancora troppi dubbi si celano sulla falla che la CIA non ha saputo probabilmen-te vedere; 11 Settembre 2001,

una giornata nera che più nera, agghiacciante e dolorosa non si può immaginare, che ha avuto conseguenze sull’assetto mondiale, che ha scatenato due guerre al terrorismo e che però ancora non ha visto il principa-

le indiziato e quindi ricercato da tutti i servizi del mondo, Bin Laden, catturato e privato dunque della possibilità di col-pire ancora.Se la guerra fredda, nella teo-rica divisione ideologica tra est e ovest, è terminata, si è aperto il varco su una divisione reli-giosa preconcetta perché nella

realtà dei fatti, il bene e il male non sono mai esclusivamente solo da una parte (qualunque essa sia) e nei giochi di potere spesso l’uno si è servito dell’al-tro in passato, spesso l’uno ha addestrato l’altro alla guerra,

spesso l’uno ha venduto armi all’altro e spesso si è combat-tuto contro un nemico che in una determinata circostanza, in un determinato periodo, era considerato comune.Ma Obama dice bene, “l’Ame-rica non sarà mai in guerra contro l’Islam. Ad attaccare gli Stati Uniti fu Al Qaeda. Non

soccombiamo alla paura, non dissiperemo l’ottimismo che ci ha sempre definito come popolo”.Eppure di fronte a tanti dubbi, a tante domande che ci si può porre, a tante conclusioni che

si possono trarre e in rispetto alle tremila persone che hanno perso la vita quel maledetto 11 Settembre del 2001, i nostri giorni che hanno preceduto la triste commemorazione sono stati assediati dalla notizia di un folle che voleva bruciare il Corano.Se questa è la stampa di oggi, meglio pensare maliziosamen-te e supporre che volutamente l’attenzione pubblica è stata spostata su un personaggio del genere, magari per non far riflettere su altre argomentazio-ni che al 100% sarebbero state più interessanti da leggere o da ascoltare.Di sicuro se il tanto chiac-chierato reverendo Jones avesse fatto quello che un giorno si e un giorno no diceva di voler fare, qualche animo si sarebbe scaldato o ne avrebbe appro-fittato per creare trambusto; infatti nessuno dice che la Casa Bianca o i giornali dovevano ignorare i malumori del tanto temuto Jones, ma di sicuro, non si può lasciare così tanto spazio mediatico ad un qual-siasi personaggio che appunto una mattina si sveglia e decide di voler fare un gesto tanto eclatante quanto ridimensio-nabile alla pochezza di che lo vuole fare..Non è possibile che pratica-mente tutti i giornali abbiano spulciato la vita del “religioso” dando conto di chi fosse la sua sposa, quanti figli avesse,

dove fosse nato e da quanti anni vivesse in America; non è legittimo che sia stata fatta la cronaca quotidiana di ciò che un giorno affermava e che il seguente negava; non è possi-bile che l’attenzione di un pub-blico sia stata dirottata quasi a senso unico su un uomo che ha dimostrato tutta la sua instabi-lità grottesca.Ma oltre la tv, qualcuno si è mai soffermato più di un minuto ad interessarsi al reverendo Jones? Qualcuno l’ha mai preso sul serio? E’ lecito chiederselo, per-ché dai mass media sembrava che tutti fossero catturati dal suo operato e che nessuno di noi avesse la capacità di giudi-care il personaggio per quello che davvero fosse.Tra costernazione e dubbi per come è stata trattata quest’an-no la triste commemorazio-ne, la vicenda ha dato diversi momenti di riflessione, non di certo sulla fiammata subi-to spenta, passata l’occasione giusta di notorietà di Terry Jones, ma su quel nefasto 11 Settembre 2001, sulle sue vitti-me che ricordiamo con sentito dolore e su un’attività media-tica che troppo spesso perde il lume della ragione, che sot-tovaluta il suo pubblico e che non si rende conto a volte di quanto è semplice trasformare il mondo dell’informazione in banalità.

I.P.

Diffuso e generale squilibrio mediatico

11 settembre, memoria da non inquinare

“This November we are taking America back”, è il titolo del video che spopola tra i blogger statunitensi dei Tea Party in mobilitazione per le elezioni di mid-term, il movimento di opinione pubblica libertarian grida ai quattro venti il tradi-mento della Costituzione per-petrato dall’Amministrazione Obama (http://www.youtube.c o m / w a t c h ? v = 6 w e D M H -S C O E & f e a t u r e = p l a y e r _embedded) e si è dimostrato capace di destabilizzare la buro-crazia dominante del Partito Repubblicano riuscendo a far eleggere candidati ad esso sim-patizzanti in più di un seggio chiave nella chiamata alle urne del prossimo novembre che si vorrebbe occasione per togliere all’inquilino di Pennsylvania Avenue la maggioranza parla-mentare necessaria per la rea-lizzazione del suo “Change”.Quando mesi fa cominciò a montare la protesta del movi-mento dei Tea Party attorno al suo messaggio di illegittimità costituzionale ad alzare indi-scriminatamente le tasse ed a far correre deficit e debito da parte di Washington e ad un rinnovato orgoglio nazionale per i meriti storici degli Stati Uniti d’America, essa fu presa dal salotto buono newyorke-se per folklore proveniente dall’America profonda.Oggi che il dato medio dei son-daggi conferma il rischio per il partito dell’asinello di ritro-varsi come una ridotta arroc-cata sugli stati del nord est, nell’establishment di Barack Obama e di quel mondo del politically correct che gli gra-vita attorno si è passati dallo scandalo e gli “al lupo al lupo” al più prosaico fuggi fuggi.Rahm Emanuel è solo l’ultimo

degli uomini del Presidente che voleva cambiare gli U.S.A. a lasciare in fretta e furia la Casa Bianca.Il fatto è che gli Americani con il passare degli anni di ammi-nistrazione obamiana hanno capito che il “Change” che gli si era stato venduto si tradu-ceva in un aumento sconside-

rato del deficit a fronte di una riforma sanitaria che limitava la loro libertà di scegliere per proprio conto l’assicurazione sanitaria, gli stimulus econo-mici e i bailouts un salvagente per aziende dei soliti amici, decotte ed incapaci di traina-re una ripresa dell’economia reale, unica strada per riassor-

bire i 15 milioni di disoccupati (un primato nella storia recen-te degli USA).La politica estera della mano tesa? Una unilaterale ammis-sione di responsabilità inter-nazionali che umilia i Generali sul campo nei vari teatri di Guerra in cui il Paese a stelle e strisce è ogni giorno impe-

gnato anche per la salvaguardia di equilibri diplomatici che riguardano il mondo intero e non solo lo Zio Sam.Dulcis in fundo la vicen-da della moschea nel nuovo World Trade Center, accanto al mausoleo in memoria delle vittime del 11 settembre, even-to mediatico capace di muo-

vere un moto di indignazione bipartisan nell’opinione pub-blica americana che ha vissuto come uno sfregio al proprio dolore e al proprio orgoglio i silenzi, i distinguo, le ambi-guità di un Obama che ha dimostrato di non volersi met-tere di traverso al discutibile progetto.

Risultato: oramai il Job Approval medio del Presidente viaggia al 45% con punte negative che lo danno tra il 35 e il 40 dacché partì con un 65%, solo il 22,4% degli americani approva l’operato del Congresso democratico, quello delle riforme progres-siste, le indicazioni di voto

fornite dai sondaggi danno il GOP avanti di quattro punti e per il 61% degli americani il proprio paese sta andando nella direzione sbagliata (RCP Poll Averages – http://www.realclearpolitics.com).Obama nel pieno del vorti-ce che sembra risucchiarlo sta provando a chiamare a rac-

colta la classe media con il suo messaggio di distensione fiscale: arrivati a scadenza i tagli e i provvedimenti di van-taggio varati dai mandati Bush in favore delle Corporations, la Casa Bianca ha dichiara-to infatti che essi non saran-no rinnovati ma che gli stessi fondi verranno utilizzati per

alleggerire il peso fiscale sui redditi medio bassi.Il messaggio non sembra però bucare, l’unica chance che viene ancora assegnata al Presidente dagli osservatori specializzati risiede per lo più nella man-canza di una leadership chiara all’interno dell’opposizione.Nonostante ciò al GOP ven-gono assegnati come minimo dagli 8 ai 9 seggi in più nel nuovo Senato, un esito che ove si confermasse tale farebbe salire i repubblicani sui 49, 50 seggi rendendosi così impossi-bili, anche con un Senato anco-ra targato democrats, quelle maggioranze qualificate neces-sarie per le riforme radicali propugnate dal Presidente.Alla Camera le prospettive per il Grand Old Party sono anco-ra migliori: ben 47 seggi in più alla Camera con annessa maggioranza, un quadro che se confermato renderebbe Barack Obama un’anatra zoppa alla stregua della seconda parte dell’ultimo mandato Bush.Vi è poi la partita dei gover-natorati con una previsione di un +8 che cambierebbe il colore della mappa degli Stati federati in un 32 a 18 a favore del GOP.Potrebbe l’America repubbli-cana auspicare di più? Il rischio per i sostenitori dell’elefanti-no è esattamente quello della aspettativa smodata.Una cosa è certa, al di là dei partiti ciò che i Tea Party hanno avuto il merito di met-tere in moto è l’arresto di quella macchina del consenso fondatasi sul pentitismo capi-talista che l’attuale Presidente ha cavalcato così bene.Risultato elettorale a parte, l’America sembra finalmente sulla via del ritorno.

L’America sulla via del ritornoTempi difficili per i democratici USA

Page 8: 1-15/16-30 settembre 2010 - Anno XLV - NN. 87 - 88 - Andare avanti

Pag. 8 1-15/16-30 settembre 2010

La Piazza d’Italia - Attualità

La bella capitale austriaca, ricca di fascino ed eleganza, che ricorda le splendide musiche di Strauss o di Mozart, durante la stagione invernale assume un fascino particolarmente magi-co. Nei mesi più freddi dell’an-no le basse temperature atta-nagliano la città costringendo le persone a riscaldarsi in uno numerosi caffè viennesi.L’abitudine di rintanarsi nei locali, seduti a tavolino anche a leggere per ore i giornali ha origine lontane. Tutto sem-bra prendere le mosse dalla sconfitta che i turchi subirono nel 1683. La loro disfatta, alle porte di Vienna, li costrinse ad una veloce ritirata tanto da dimenticare, sul campo di battaglia, molteplici sacchi contenenti dei grani scuri: il caffè. A questo evento stori-co bisogna accomunare anche un altro avvenimento: Franz Georg Kolschitzky fu colui che per primo aprì un locale, alle spalle del duomo di S. Stefano, e lo trasformò poi, nel 1685, in quella che fu la prima Kaffeehaus (“bottega del caffè”) della capitale austriaca.“Pronunciandola con l’accento sulla prima sillaba, la paro-la “Kaffee” denota a Vienna e in Austria una bevanda. Pronunciandole con l’accento sulla seconda sillaba, le parole “Café” e “Kaffeehaus” signi-ficano tutto uno stile di vita” scrisse Hans Weigel nel 1978.Quando ci si siede al tavolo di un locale viennese si ha l’im-barazzo della scelta nel dover ordinare un caffè. Infatti, un semplice menù riporta diverse tipologie come il Melange (caffè con spuma di latte), il Kleiner Brauner (caffè ristretto con latte), il Großer Brauner (caffè lungo con latte), il Verlängester (caffè lungo tipo americano), l’Einspänner (caffè moca con panna servito in vetro), mentre il Fiaker (caffè moca corretto con cognac e servito in vetro) ed in fine il noto Espresso (che

corrisponde ad un caffè nero, appunto, tipo espresso).L’usanza del caffè, come momento di relax, era già conosciuta in altre città euro-

pee; ma è qui, a Vienna, che ha assunto particolare influenza nella vita pubblica degli abi-tanti divenendo parte del life style dei viennesi. Il romanziere austriaco dello scorso secolo Hans Weigel scrisse: “a Vienna ci sono circa 650 caffè, senza contare i numerosi caffè-bar, caffè-ristorante e caffè-pizzeria. Fra questi, 100 circa sono caffè classici dove s’incontrano anco-ra i camerieri vestiti in bianco e nero e dove l’arredamento è rimasto semplice come ‘ai bei vecchi tempi’: pavimento in legno, tavolini in marmo, sedie semplici e divani in felpa”.La città è attraversata dal

Danubio e il centro storico è racchiuso entro il Ringstrasse che è stato costruito sul traccia-to delle mura cittadine offren-do una buona prospettiva della

Vienna imperiale. E qui, nel centro storico della capitale austriaca, si incontrano dozzi-ne di caffè tradizionali, dove si assapora la cultura del caffè viennese nella sua forma più autentica. Anche nei quartieri più periferici si trovano caffet-terie tipiche viennesi, tra queste anche il “caffè dei sobborghi” noto per essere straordinaria-mente accogliente.Il censimento dei locali della capitale austriaca è ovviamente cambiato nel tempo tra nuove aperture e licenze rese; ad oggi sono stati stimati circa 150 locali classici, descritti dal romanziere Hans Weigel, che

esercitano ancora. Come ad esempio il ‘Griensteidl’, dove la maggior parte dei pensatori del modernismo viennese erano soliti ritrovarsi. Nel centro sto-

rico di Vienna si incontrano dozzine di caffè tradizionali, dove si trova la cultura del caffè viennese nella sua forma più autentica.Oggi nelle caffetterie del centro città si respira più che altro un atmosfera legata al mondo del business, frequentato per lo più da impiegati di banche e uomi-ni d’affari della zona mentre durante i week end questi ele-ganti locali vengono goduti da turisti che, incantati dalla città, trovano un accogliente punto di ristoro e di riposo.Il ‘Cafè Hawelka’ fu il secondo salotto di Hans Weigel, per il fatto che i proprietari erano

soliti rimanere aperti oltre la mezzanotte. Hans non fu il solo a frequentare la caffetteria Hawelka; la sua abitudine, di recarsi nel locale del primo distretto viennese, fu seguita da numerosi scrittori ed intellet-tuali tanto da elevare il locale a “caffè degli artisti”.Hawelka non è stato l’unico della capitale austriaca ad esse-re frequentato da letterati, ad esempio anche il piccolo loca-le della ‘Dorotheergasse’ era amato dallo scrittore austria-co Heimito Von Doderer. Il grado di ispirazione che sug-geriva questo luogo era tale che portò il poeta Hans Carl Artmann a definirlo come un luogo senza il quale “molte cose non sarebbero state né fatte, né dette, né pensate”. Anche qui il pubblico è cambiato, non più artisti consumatori ma turisti e studenti.Dal 1794, sito di fronte al museo permanente di arte moderna ‘Albertina’, c’è il Café Mozart, (nome assegnato in omaggio al grande musicista il quale non ebbe mai il pia-cere di gustare qui un buon caffè in quanto morì qualche anno prima della sua inaugu-razione). Durante l’epoca del Biedermeier (movimento arti-stico e ornamentale della prima metà dell’Ottocento) divenne uno dei punti di ritrovo degli artisti dell’epoca. Grazie al suo ambiente accogliente e tradi-zionale e alla posizione cen-trale continua ancora oggi ad essere un punto di incontro di molti creativi. Qui si può assaggiare oltre al Mozart-Café (caffè forte con panna, man-dorle spezzettate e liquore al cioccolato), anche la torta di Mozart (Mozarttorte) realizza-ta con un biscotto scuro con crema ai pistacchi e mousse di cioccolato.Come già accennato, molti dei caffè viennesi sono mutati, alcuni hanno seguito i ritmi moderni ricorrendo arredi

trendy tipici dei bar-espresso ma anche dei locali postmo-derni. Altri, fedeli al passato, hanno continuato a sposare lo stile antico come ad esempio lo ‘Schwarzenberg’, sito lungo il Karntner Ring, o anche il ‘Landtman’. Quest’ultimo è uno dei pochi rimasti dei gran-di caffè di una volta che si affacciano sul Ring: esiste da 125 anni ed è stato dichiara-to monumento nazionale. Tra i clienti più assidui c’è stato negli anni 30 del Novecento lo scrittore Joseph Roth, ma anche Sigmund Freud, Max Reinhardt, Marlene Dietrich, Romy Schneider e Burt Lancaster. Oggi è frequentato da attori, politici e professori universitari.Stefan Zweig, nel suo libro “mondo di ieri”, riporta la sua opinione dei caffè: “sono una specie di club democratico a cui chiunque può accede-re, pagando il costo di una semplice tazzina di caffè, in cui ciascun ospite in cambio di questo piccolo obolo può rimare seduto per ore e ore discutendo., scrivendo, giocan-do a carte, ricevendo la sua posta e soprattutto, leggendo un numero illimitato di gior-nali e di riviste”.Inseparabili dal Wiener Kaffeehaus sono anche gli innumerevoli dolci che sono quasi sempre fatti in casa e preparati con ingredienti fre-schi. Lo strudel di mele, lo strudel di ricotta o il Guglhupf accompagnano perfettamente una gustosa tazza di caffè. A Vienna non si può rinunciare ad assaggiare una fetta di torta Sacher magari seduti a uno dei tavolini dell’omonimo Café o magari del bar-pasticceria Demel che si trova a quattro passi dall’Hofburg, il palazzo imperiale, che fu la residenza ufficiale degli Asburgo e che ancora oggi affascina milioni di turisti…caffetterie a parte.

Alice Lupi

Quando due anni fa Obama vinse, a mani basse, le elezio-ni in USA un certo mondo ha tirato un sospiro di sol-lievo vedendo l’incubo della Presidenza Bush allontanarsi per sempre dal proprio mondo pieno di ipocrisie e illusioni.Una delle azioni della Presidenza repubblicana che più fece discu-tere, oltre le guerre, fu il Patriot Act, una legge che permette un controllo invasivo e serrato sulla popolazione civile ameri-cana andando contro quelli che sono i principi fondamentali su cui gli Stati Uniti hanno fonda-to la loro immagine ed egemo-nia ideologica ma la situazione e la paura post 11 settembre ha permesso di far digerire al popolo americano un boccone molto amaro.il Patriot Act è una delle leggi più discusse dell’Amministra-zione Bush che da agli organi investigativi la possibilità di intercettare comunicazioni con maggiore facilità diminuendo considerevolmente il diritto alla privacy dei cittadini americani.Obama si è sempre posto in maniera antitetica a quanto fatto dal suo predecessore ma gli osservatori denunciarono subito che per molte cose Bush o Obama, un repubblicano o un democratico poca differenza avrebbero fatto su argomenti relativi alla sicurezza nazionale.E così è stato puntualmen-te perché al di là delle ope-razioni di facciata, del ritiro

dall’Iraq, Obama ha, tra le altre cose, incrementato la presen-za americana in Afghanistan per un intervento decisamente più incisivo, sta maneggian-do la proposta del Senatore Joe Lieberman per un pesante intervento su internet: il fami-gerato Kill Swift o Kill Bill con cui il Presidente potrebbe spegnere connessioni e siti in caso di una indefinita minaccia alla sicurezza e, negli ultimi giorni, novità delle novità, sta pensando di imporre la possi-bilità di intercettare le comuni-cazioni criptate che avvengono tramite i social network e stru-menti come il VOIP, Skype e Blackberry da parte degli organi investigativi. Da notare che esempi di democrazia come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi e altri hanno, poco tempo fa minacciato di “bannare” (oscurare) il servizio Blackberry perché non tanto le email ma il messenger metterebbe a rischio la sicurezza nazionale, non avendo i governi centrali la possibilità di accedere ai server, situati in Canada e USA, su cui passano queste comunicazioni. La cosa che lascia da pensare è che anche la Germania sembra si sia associata alla squadra dei detrattori.Giganti come Google, Facebook, Skype, Balckberry, Yahoo e molti altri sarebbe-ro costretti a riprogrammare i loro servizi e le applicazio-ni ad essi collegate per poter

operare sul suolo americano e pensare che quando il servizio Blackberry di RIM era sotto accusa il Segretario di Stato Hillary Clinton si era pro-nunciata a favore dell’azienda canadese. Si sa: pochi mesi in ambito tecnologico sono ere geologiche. Sarà per questo che ha cambiato idea?Tutto in nome della sicurezza, in molti diranno, ma il proble-ma è piuttosto spinoso.E’ vero che organizzazioni cri-minali usano gli strumenti che la rete mette a disposizione per le proprie attività ma è anche vero che, ad esempio, in Italia, come nel resto del mondo civi-le, se la magistratura fa richiesta per ipotesi a Skype per avere la decriptazione di comunicazioni di determinate utenze l’azien-da è tenuta a darle. Quello a cui mira la legge è qualcosa di diverso e cioè predisporre le tecnologie per un controllo diretto da parte dell’autorità qualora si rendesse necessario, sempre dopo un mandato di un giudice, si sono affrettati a specificare in USA.Due argomenti diversi andreb-bero a questo punto esaminati nel dettaglio ma qui ci limite-remo a valutarli come spunto di riflessione. Il primo è la defi-nizione delle circostanze che renderebbero necessari questi controlli: non basta definire minaccia un’eventualità ma è doveroso circostanziare nel det-taglio cosa fa diventare una

normale comunicazione una minaccia meritevole di atten-zioni particolari da parte delle autorità.Il secondo aspetto esula dal contesto giuridico e si riferisce

a quello prettamente informa-tico: quando un software viene predisposto per permettere a qualcuno di introdurvisi senza alcuna autorizzazione da parte del fruitore si apre di fatto una falla nella sua sicurezza che comporta una minaccia per l’utente e il suo sistema non essendoci alcuna certezza che chi intercetta sia autoriz-zato o, generalizzando, uno dei “buoni” oppure un abile hacker in cerca di dati da usare nella rete a scapito di un ignaro cittadino.Non bisogna cadere nell’erro-re di limitare l’uso dei social

network e dei suddetti servizi internet al tempo libero bensì ad applicazioni professiona-li e industriali. Un avvocato potrebbe usare una linea VOIP (Voice Over IP come Skype)

per comunicare in maniera riservata con il proprio cliente, un’azienda potrebbe usare il canale privato di una chat room per le comunicazioni interne di divisioni fisicamente lontane fra loro inserendo argomen-ti molto riservati dei propri progetti. Questi due esempi potrebbero rendere l’idea di cosa potrebbe esserci in ballo in caso una legge come quella proposta venisse approvata.Per quanto siano le macchine a mettere in contatto sono gli uomini che le usano e gli uomi-ni, si sa, non sempre pensano al bene comune.

Per questo un potere del gene-re metterebbe in discussione il sacrosanto diritto a comunicare in maniera privata in questo mondo. Email, messaggi, reti cellulari e linee telefoniche tra-dizionali sono già totalmente intercettabili anche con dispo-sitivi estremamente economici e dell’uso che ne viene fatto ne abbiamo esempi giornalieri.Le organizzazioni criminali non hanno problemi di mezzi e potrebbero trovare altre strade più costose delle attuali ma comunque sicure per le proprie attività. A rimetterci saranno coloro che conducono una vita “normale” e che vedranno vio-lato il sacrosanto diritto ad una vita privata, almeno in parte.Nella proposta di legge dell’Am-ministrazione Obama c’è anche un’altra novità e cioè il control-lo delle transazioni con l’estero sopra i 1.000 dollari e non più i 10.000. In questo modo si moltiplicherebbero di oltre dieci volte le potenziali opera-zioni sospette.Siamo sicuri che il sistema investigativo possa prevenire un crimine con moli di dati così importanti da esaminare? Oppure i risultati di questi con-trolli servirebbero solo per la fase successiva all’attuazione di un’azione criminale da parte di qualcuno? Se così fosse l’attuale normativa già permette inda-gini approfondite in tutte le direzioni.

Gabriele Polgar

Vienna, cafè-society

Obama Vs Internet 2Un’altra proposta di legge che minaccia la libertà di comunicare online