Il nuovo terrorismo - 1-15/16-30 Novembre 2010 - Anno XLV - NN. 91-92

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Ré nudo e Berlusconi…bè il giudizio su Berlusconi è quello di un leader vanitoso, dedito a festini selvaggi e portavoce di Putin, poi Putin, già Putin, un macho autoritario. Pensare che la diplomazia sta- tunitense possa essere ridotta ad una capacità di analisi della geopolitica del pianeta di tal fatta potrebbe spiegare pur- troppo tante cose sui rovesci nella politica internazionale di cui gli Stati Uniti d’Ameri- ca si sono resi protagonisti, pensiamo all’appeasement in Sudamerica con il Venezuela di Chavez (un “pazzo” sì, da cui però il Presidente Obama in un incontro panamericano non ha lesinato la cortesia di ricevere in dono la bibbia del marxismo leninista sudamerica- no) o il maldestro tentativo di engagement diplomatico con la Repubblica degli Ayatollah. Con buona pace delle specula- zioni buone per la nostra pove- Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-30 Novembre 2010 - Anno XLV - NN. 91-92 E 0,25 (Quindicinale) In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy — Fondato da Turchi — Fini lo sfascista — a pagina 2 — esteri Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 La Piazza d’Italia Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina COPIA OMAGGIO www.lapiazzaditalia.it di FRANZ TURCHI — a pagina 6 — esteri Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia www.lapiazzaditalia.it Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti Siamo agli ultimi giorni prima del voto del 14 che deciderà le sorti di questo Governo. Per quanto mi riguarda, partendo dal presupposto che casa Turchi non si è mai tirata indietro rispetto ad una campagna elettorale, ritengo il momento delica- to a livello econominco per andarci. Infatti, anche se l’Italia rispetto agli altri paesi ha parametri economici miglio- ri, i fondi sovrani che hanno enormi liquidità, userebbero il momento per speculare sui nostri titoli di stato e questo ci potrebbe mettere in difficoltà anche se solo temporaneamente, nei mer- cati internazionali. La vera concquista di questi anni è stata la stabilità gover- nativa, che sia di Destra o Sinistra, grazie al premio di maggioranza, e la stabilità politica e uno dei cosiddetti fondamentali che gli investi- tori cercano. Per questo mi appello al Leader UDC, di grande storia politica come quella DC, affinché entri in una maggioranza che permetta almeno di passare il momen- to di crisi finanziaria, e valu- taria internazionale, sapendo che i suoi elettori lo premie- rebbero per questo senso di responsabilità e che tutto il paese apprezzerebbe. Mi auguro che i prossimi giorni siano di riflessione ai nostri Leader, e che metta- no da parte i personalismi e pensino all’Italia. Ad Maiora. Dall’Europa all’Eurabia “LA CRISI” Il nuovo terrorismo Wikileaks, quando saltano gli schemi Julian Assange, controverso personaggio, australiano vec- chia conoscenza delle autorità di Canberra che lo avevano incastrato per hackeraggio con- tro l’Università di Melbourne, svedese di adozione, uno dei famigerati “International Subversives”, gruppo di hacker ricercato per mezzo mondo, ovvero un delinquente infor- matico, è riuscito, attraverso al sua creatura wikileaks.org a dare scacco matto alla diploma- zia di quella che una volta era considerata l’unica superpoten- za rimasta nel pianeta. Wikileaks.org avrebbe come sua mission quella di provocare una reale democrazia mediatica nel mondo svelando la veri- tà sulla violazione dei diritti umani nel mondo, di fatto da che ha cominciato ad operare si è mossa univocamente in chia- ve anti-americana raccoglien- do le spiate di reduci militari dalle azioni di peacekeeping provanti nel morale e nella fede civile e concentrandosi quindi sulla pubblicazione di segreti militari americani in Iraq e in Afghanistan, con annessi scan- dali come quando fu pubblica- to il video dello sterminio da parte dei Marine di una troupe di giornalisti iracheni scambiati dalle telecamere militari per fazioni ostili in azione. Attualmente Assange manda dispacci da una località impre- cisata, la magistratura svede- se ha spiccato un mandato di cattura per molestie e stupro (che Assange ha rispedito al mittente), l’Interpol ha istituito un mandato di arresto interna- zionale, anche la UE, in forza del trattato di Schengen, ha diramato una mandato di arre- sto internazionale. Ma cos’ha combinato Assange?Grazie alla complicità di un non precisato funzionario della diplomazia statunitense ora è entrato in possesso delle password per il database infor- matico di tutta la diplomazia statunitense servizi segreti com- presi e quindi – da par suo – ha craccato ovvero è riuscito ad agire sulle protezioni del pro- gramma che reggeva il database della diplomazia statunitense scaricandosi oltre due milioni e mezzo di file con informa- zioni riservate con l’obiettivo di metterle a disposizione del web (http://cablegate.wikile- aks.org/) non prima di una azzeccatissima campagna pro- mozionale mediatica. La cable connection così come è stata denominata è il cul- mine di un lavoro – quello di Julian Assange – allorché gra- zie a wikileaks, di cui Assange si definisce l’editor in chief, con la pubblicazione di questi giorni anticipata da un furbo tam tam mediatico, si ottiene un obiettivo bern preciso: da domani gli ambasciatori ame- ricani di mezzo mondo e i loro funzionari plenipotenziari saranno guardati in cagnesco un po’ da tutti. Insomma ce n’è per tutti i gusti per mandare su tutte le furie non solo gli USA e per sparigliare le carte di un gioco geopolitico che dimostra essere tornato ai tempi del concer- to delle nazioni, ad un tutti contro tutti sotterraneo gio- cato sulle spalle sopratutto di un Europa orfana di processi politici capaci di fare da con- traltare alla crescente influen- za politico-economica dell’est russo, cinese, indiano e del far est delle tigri asiatiche. E già perché il contenuto di questa ultima attesissima tor- nata di file riservati, bisogna dirlo, delude le aspettative sotto il profilo della sostan- za dei segreti smascherati ma mette alla berlina un po’ tutti i leader europei nel momento in cui il debito sovrano della UE è sotto un pericolosissimo attac- co speculativo che dimostra di non mirare più solo a Irlanda, Grecia o Portogallo ma mira direttamente a Spagna ed Italia con l’obiettivo evidente di rie- quilibrare manu militari (finan- ziariamente parlando s’intende) il rapporto euro/dollaro troppo sfavorevole per quest’ultimo con grave danno per il bilancio della FED sull’orlo del baratro del fallimento. La CIA? Forse, gli 007, pro- babile. Nei dispacci diploma- tici americani però, la Merkel è un leader senza creatività, Ahmadinejad è il nuovo Hitler, Chavez un pazzo, Gheddafi uno scostante eccentrico para- noico, Sarkozy un permaloso Segue a pagina 6

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La crisi - Il nuovo terrorismo - Fini lo sfascista - Futuro e Irresponsabilita - Ossigeno finanziario alle imprese - Il grande problema del risparmio privato - L’Italia e la difficoltà di fare impresa - Changing the world economic balance - Turbolenze finanziarie nei Paesi dell’UE - Cina due - G20 zero - La governance europea e le riforme strutturali - Dall’Europa all’Eurabia - Aung San Suu Kyi e’ libera - Elezioni di mid-term - Obama, il Re è nudo - Biblioteca multimediale del Libro antico di cucina - Fair Game

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Ré nudo e Berlusconi…bè il giudizio su Berlusconi è quello di un leader vanitoso, dedito a festini selvaggi e portavoce di Putin, poi Putin, già Putin, un macho autoritario.Pensare che la diplomazia sta-tunitense possa essere ridotta ad una capacità di analisi della geopolitica del pianeta di tal fatta potrebbe spiegare pur-troppo tante cose sui rovesci nella politica internazionale di cui gli Stati Uniti d’Ameri-ca si sono resi protagonisti,

pensiamo all’appeasement in Sudamerica con il Venezuela di Chavez (un “pazzo” sì, da cui però il Presidente Obama in un incontro panamericano non ha lesinato la cortesia di ricevere in dono la bibbia del marxismo leninista sudamerica-no) o il maldestro tentativo di engagement diplomatico con la Repubblica degli Ayatollah.Con buona pace delle specula-zioni buone per la nostra pove-

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - dcb-Roma 1-15/16-30 Novembre 2010 - Anno XLV - NN. 91-92 E 0,25 (Quindicinale)

In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romaninaper la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy

— Fondato da Turchi —

Finilo sfascista

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La Piazza d’Italia

Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina

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Ricco, continuamente aggiornato:arriva finalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia

www.lapiazzaditalia.itUna Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti

Siamo agli ultimi giorni prima del voto del 14 che deciderà le sorti di questo Governo.Per quanto mi riguarda, partendo dal presupposto che casa Turchi non si è mai tirata indietro rispetto ad una campagna elettorale, ritengo il momento delica-to a livello econominco per andarci.Infatti, anche se l’Italia rispetto agli altri paesi ha parametri economici miglio-ri, i fondi sovrani che hanno enormi liquidità, userebbero il momento per speculare sui nostri titoli di stato e questo ci potrebbe mettere in difficoltà anche se solo temporaneamente, nei mer-cati internazionali. La vera concquista di questi anni è stata la stabilità gover-nativa, che sia di Destra o Sinistra, grazie al premio di maggioranza, e la stabilità politica e uno dei cosiddetti fondamentali che gli investi-tori cercano.Per questo mi appello al Leader UDC, di grande storia politica come quella DC, affinché entri in una maggioranza che permetta almeno di passare il momen-to di crisi finanziaria, e valu-taria internazionale, sapendo che i suoi elettori lo premie-rebbero per questo senso di responsabilità e che tutto il paese apprezzerebbe.Mi auguro che i prossimi giorni siano di riflessione ai nostri Leader, e che metta-no da parte i personalismi e pensino all’Italia.

Ad Maiora.

Dall’Europaall’Eurabia

“LA CRISI”

Il nuovo terrorismoWikileaks, quando saltano gli schemi

Julian Assange, controverso personaggio, australiano vec-chia conoscenza delle autorità di Canberra che lo avevano incastrato per hackeraggio con-tro l’Università di Melbourne, svedese di adozione, uno dei famigerati “International Subversives”, gruppo di hacker ricercato per mezzo mondo, ovvero un delinquente infor-matico, è riuscito, attraverso al sua creatura wikileaks.org a dare scacco matto alla diploma-zia di quella che una volta era considerata l’unica superpoten-za rimasta nel pianeta.Wikileaks.org avrebbe come sua mission quella di provocare una reale democrazia mediatica nel mondo svelando la veri-tà sulla violazione dei diritti umani nel mondo, di fatto da che ha cominciato ad operare si è mossa univocamente in chia-ve anti-americana raccoglien-do le spiate di reduci militari dalle azioni di peacekeeping provanti nel morale e nella fede civile e concentrandosi quindi sulla pubblicazione di segreti militari americani in Iraq e in Afghanistan, con annessi scan-dali come quando fu pubblica-to il video dello sterminio da parte dei Marine di una troupe di giornalisti iracheni scambiati dalle telecamere militari per fazioni ostili in azione.Attualmente Assange manda dispacci da una località impre-cisata, la magistratura svede-se ha spiccato un mandato di cattura per molestie e stupro

(che Assange ha rispedito al mittente), l’Interpol ha istituito un mandato di arresto interna-zionale, anche la UE, in forza del trattato di Schengen, ha diramato una mandato di arre-sto internazionale.Ma cos’ha combinato Assange?Grazie alla complicità di un non precisato funzionario della diplomazia statunitense ora è entrato in possesso delle password per il database infor-matico di tutta la diplomazia statunitense servizi segreti com-presi e quindi – da par suo – ha craccato ovvero è riuscito ad agire sulle protezioni del pro-gramma che reggeva il database della diplomazia statunitense scaricandosi oltre due milioni e mezzo di file con informa-zioni riservate con l’obiettivo di metterle a disposizione del web (http://cablegate.wikile-aks.org/) non prima di una azzeccatissima campagna pro-mozionale mediatica.La cable connection così come è stata denominata è il cul-mine di un lavoro – quello di Julian Assange – allorché gra-zie a wikileaks, di cui Assange si definisce l’editor in chief, con la pubblicazione di questi giorni anticipata da un furbo tam tam mediatico, si ottiene un obiettivo bern preciso: da domani gli ambasciatori ame-ricani di mezzo mondo e i loro funzionari plenipotenziari saranno guardati in cagnesco un po’ da tutti.Insomma ce n’è per tutti i

gusti per mandare su tutte le furie non solo gli USA e per sparigliare le carte di un gioco geopolitico che dimostra essere tornato ai tempi del concer-to delle nazioni, ad un tutti contro tutti sotterraneo gio-cato sulle spalle sopratutto di un Europa orfana di processi politici capaci di fare da con-traltare alla crescente influen-za politico-economica dell’est russo, cinese, indiano e del far est delle tigri asiatiche.E già perché il contenuto di questa ultima attesissima tor-nata di file riservati, bisogna dirlo, delude le aspettative sotto il profilo della sostan-za dei segreti smascherati ma mette alla berlina un po’ tutti i leader europei nel momento in cui il debito sovrano della UE è sotto un pericolosissimo attac-co speculativo che dimostra di non mirare più solo a Irlanda, Grecia o Portogallo ma mira direttamente a Spagna ed Italia con l’obiettivo evidente di rie-quilibrare manu militari (finan-ziariamente parlando s’intende) il rapporto euro/dollaro troppo sfavorevole per quest’ultimo con grave danno per il bilancio della FED sull’orlo del baratro del fallimento.La CIA? Forse, gli 007, pro-babile. Nei dispacci diploma-tici americani però, la Merkel è un leader senza creatività, Ahmadinejad è il nuovo Hitler, Chavez un pazzo, Gheddafi uno scostante eccentrico para-noico, Sarkozy un permaloso

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La Piazza d’Italia - Interni

Urso ed i sottosegretari all’Am-biente ed all’Agricoltura Menia e Bonfiglio.Le dimissioni dei quattro – che in realtà occupavano posizioni di rin-calzo all’interno della squadra di Governo - hanno sostanzialmente ratificato ufficialmente ciò che da mesi era noto a tutti: il tentativo del Presidente della Camera di smarcarsi da Berlusconi al fine di sostituire lo stesso al governo del Paese attraverso una diversa ricomposizione dello scacchie-re politico rispetto allo scenario venuto fuori dalle elezioni politi-che del 2008.Per vedere la fine della crisi poli-tica che la maggioranza di gover-no sta attraversando bisognerà però attendere ancora un mese in quanto – grazie all’opera media-trice e risolutiva di Napolitano – i Presidenti delle due Camere, Schifani e Fini, hanno calen-darizzato entro il 10 dicembre l’approvazione del decreto legge di stabilità finanziaria in maniera da lasciare “coperti” da eventuali speculazioni internazionali i conti dello Stato in caso di caduta del Governo Berlusconi.L’accordo raggiunto sotto gli occhi vigili del Presidente della Repubblica prevede poi che il 13 di Dicembre abbia luogo la discussione in contemporanea al Senato di una mozione di soste-gno al Governo presentata dal centro destra e alla Camera di una richiesta di sfiducia avanzata dall’opposizione di centro sinistra ma che riceverà sicuramente – a meno di contro ordini dell’ultima ora - l’appoggio del partito di Fini e dell’UDC.La situazione rimarrà congela-ta ancora per qualche settima-na durante le quali i tre schie-ramenti politici – maggioranza PdL-Lega, centrosinistra e terzo polo “Casifiniano”- cercheranno di puntellare le proprie posizio-

ni rimpinguando il numero di coloro che si schiereranno pro o contro il Cavaliere. Tale rinvio alla metà di dicembre della discussione parlamentare riguardante la crisi di Governo sembra al momen-to favorire un po’ la strategia di Berlusconi mirante più che altro a convincere qualche fuoriusci-to dal Popolo della Libertà ora accasatosi nella squadra dei finiani (il ritorno dell’onorevole Angeli eletto nella circoscrizione del sud America potrebbe essere sintoma-tico di ciò) o qualche transfuga del centrosinistra a votare contro la mozione di sfiducia proposta dall’opposizione, più che a trovare un’ultima estrema intesa politica con UDC e FLI magari attraverso la ridistribuzione di qualche inca-rico governativo.Al momento infatti le posizio-ni tra Berlusconi e Fini sembra-no inconciliabili in quanto il Presidente del Consiglio spalleg-giato dall’asse PdL – Lega non indietreggia rispetto alla posizione da sempre assunta, preferenza al rapido ritorno alle urne piuttosto che un Berlusconi Bis o alla par-tecipazione ad un “governicchio” di transizione senza il Cavaliere, mentre l’ex Presidente di AN è ancora arroccato sulla richiesta di dimissioni del Premier senza se e senza ma, accompagnata dalla creazione di un Governo di unità nazionale senza alcuna intenzione di ridare in tempi brevi la parola agli unici che in una democrazia compiuta hanno il diritto di deci-dere le sorti del proprio Paese: gli elettori.Paura di tornare alle urne e di sottoporsi al giudizio degli italiani che attanaglia non solo Fini ma anche i centristi dell’Unione di Centro e le truppe oramai in rotta del Partito Democratico che evi-dentemente, al di là delle parole di circostanza, non sentono di possedere la forza sufficiente per

affrontare Berlusconi in una ten-zone elettorale.Bersani si trova fatalmente stretto in una morsa che gli consente pochi spazi di manovra. A destra il PD è compresso dal sempre più pericoloso Di Pietro il quale già alle scorse elezioni tolse un gran numero di voti al partito guida-to allora da Veltroni incarnando meglio di chiunque l’area politica giustizialista e forcaiola - grillini, popolo viola, girotondini - che irriducibilmente avversa tutto quello che la figura del Cavaliere compie e rappresenta. D’altronde il clima di guerra perenne instau-ratosi sempre più nel Paese per merito della Cgil, stampa amica e della cattiva congiuntura eco-nomica favorisce il rafforzamento di chi va nelle piazze ad urlare rispetto a chi intende perseguire una politica moderata e non di solo scontro con il centro destra ammesso e non concesso che il PD abbia attualmente una pro-pria qualsiasi linea politica.Alla sua sinistra il partito diret-to da Bersani vede sempre con più timore la crescita dell’onda lunga del consenso popolare del Governatore pugliese Vendola, che domenica scorsa ha ottenu-to un’altra clamorosa vittoria nei confronti della nomenclatura PD milanese con la vittoria di Giuliano Pisapia alle primarie per la scelta del candidato che con-tenderà prossimamente a Letizia Moratti la poltrona di sindaco del capoluogo lombardo. Sinistra e Libertà insomma da spauracchio che era, è divenuto un pericolo concreto per i Democratici, rap-presentando meglio del partito di Bersani gli ideali del popolo della sinistra “duro e puro” e calamitan-done conseguentemente il voto.Per tutti questi motivi lo stato maggiore Democratico frena sull’eventualità di elezioni antici-pate e auspica una santa alleanza

contro Berlusconi tra tutti quelli che ci “stanno” in attesa che, come afferma D’Alema, ci sia l’avvento di un “papa straniero” – magari di rosso Ferrari vestito - che tolga le castagne dal fuoco a tutto il centrosinistra e non li obblighi ad una competizione elettorale con un candidato “interno” poiché l’emorragia di voti sarebbe in que-sto caso assicurata.I centristi di Casini oltre che esse-re alle prese con tante crisi di Partito a livello locale, vedi Sicilia e Piemonte su tutti, sono con-sapevoli di avere l’occasione di entrare nelle stanze dei bottoni senza passare per gli elettori, cosa impossibile con l’attuale sistema elettorale e perdurando la tattica di Casini di correre da soli, e di poter piegare la legge eletto-rale divellendo il debole sistema bipolare italiano, cosa questa che sommamente interessa la truppa degli ex DC in quanto permet-terebbe loro di nuovo la pratica consuetudinaria dell’unica politica che essi perseguono e conoscono: quella dei due forni. Per ottenere ciò non disdegnano l’alleanza con ex camerati, radicali e post-comu-nisti nonostante che questi ultimi siano stati i principali distruttori della decennale esperienza politica della DC e in seguito i più abili e lesti a sostituire i rappresentanti della “balena bianca” nei gangli vitali del Paese. Né tantomeno temono le figuracce chiedendo - anzi ordinando - al Presidente del Consiglio democraticamente eletto da milioni di connazionali di togliersi di mezzo e dimettersi dalla propria carica senza perdere tempo evitando di farsi sfiduciare apertamente in Parlamento alla faccia del loro sbandierato amore per le Istituzioni e per la pras-si costituzionale che deve essere seguita solo quando conviene loro. Inoltre, in caso di elezioni, i casi-niani dovrebbero creare un’unica

formazione politica insieme ai rap-presentanti del FLI e dell’API di Rutelli ed inevitabilmente i posti in palio verrebbero drasticamente a diminuire rimanendo invariata la legge elettorale attuale.Nonostante i bellicosi proclami di Bocchino, Granata e Briguglio - caporali di giornata di Fini essen-do gli ex colonnelli di AN rima-sti tutti nel PdL - anche Futuro e Libertà rifugge l’esercizio delle elezioni anticipate perché oltre alle motivazioni sopra esposte che accomunano il destino dell’UDC a quello del FLI vanno ad aggiun-gersi pure quelle di carattere per così dire organizzativo in quan-to il partito del Presidente della Camera esiste solo sulla carta e nel Parlamento non posseden-do al momento sedi nel Paese oltre ovviamente al Palazzo di Montecitorio, utilizzato abusiva-mente da Fini come sezione di Futuro e Libertà con la speranza che, visti i precedenti monegaschi, anche esso non passi nelle dispo-nibilità di qualche suo parente acquisito.Per intanto, nell’attesa che si arrivi alla fatidica data del 14 dicembre, le solite bocche di fuoco della sini-stra si esercitano a colpire i bersagli umani costituiti dagli esponen-ti più in vista della maggioranza attraverso il gossip inerente il caso Ruby, il duo pseudo intellettuale Fazio - Saviano mediante le accuse paramafiose alla Lega, la Cgil che organizza scioperi in tutti i settori della società italiana, i no-global che difendono l’illegalità diffusa dei clandestini e per finire con Fini che novello giudice emette i propri verdetti antigovernativi dalla rete per poi fare un passo indietro appellandosi alla respon-sabilità.Le “comiche” sono appena cominciate.

Giuliano Leo

Come annunciato più volte il ministro ed i sotto-segretari appartenenti a Futuro e Libertà si sono dimessi dalle rispettive cari-che governative e lo stesso partito ha ritirato la “fiducia politica” al Governo Berlusconi appena dopo il ritornato del Primo Ministro dal summit dei G 20 tenutosi in Corea del Sud. I fuggiaschi sono rispettivamente il ministro alle Politiche Comunitarie Ronchi, il viceministro al Commercio Estero

Finalmente è stata fatta chiarezza.In modo definitivo e senza possibilità di tornare indietro sui propri passi o avere l’opportunità d’inscenare la solita pantomima delle dichiarazioni che contengono tutto ed il contrario di tutto, Gianfranco Fini ha rotta-mato senza se e senza ma l’alleanza quindicennale col Cavaliere e la sua credibilità politica di fronte gli occhi degli elettori di destra.Di fatto ha in questa maniera supe-rato l’empasse politico che si era venuto a creare all’interno della maggioranza di centro-destra uscita nettamente vincitrice delle elezioni politiche del 2008 all’indomani dello strappo consumatosi tra Berlusconi ed il Presidente della Camera alla direzione nazionale del PdL dello scorso aprile prima e della kermesse di Mirabello degli inizi di settembre poi.Novello Alessandro Magno, l’ex pre-sidente di Alleanza Nazionale ha spezzato con un colpo solo il “nodo di Gordio” che lo teneva ancora lega-to al Cavaliere e si è incamminato ad ampi passi verso un futuro politico per lui ancora imperscrutabile e per gli italiani denso di fosche nubi, col rischio di rimanere, se non farà fede alle minacce espresse nei confronti di Berlusconi, nella posizione di colui il quale millanta una forza nella realtà minimamente posseduta.Insomma il suo intervento di Bastia Umbra in occasione dei primi stati generali di Futuro e Libertà ha segna-to una netta chiusura col passato politico più recente e delineato la strada che la nuova formazione poli-tica dovrà percorrere per superare di slancio il Popolo delle Libertà sia nel numero di consensi sia che nelle proposte politiche.Fini ha definito l’esperienza del PdL una pagina oramai chiusa e solo un nuovo patto di legislatura che metta al centro una nuova agenda politica che discuta pure del cam-

biamento della legge elettorale, una verifica della natura della coalizio-ne e l’apertura di una crisi con le conseguenti dimissioni di Berlusconi potrà impedire ai rappresentanti del FLI di abbandonare la compagine Governativa.In effetti però il Presidente della Camera avrebbe pure potuto spie-gare alla platea accorsa ad ascoltarlo perché ha sciolto Alleanza Nazionale senza alcuna consulatazione congres-suale se non nel marzo 2009 (una anno dopo la sua decisione unila-terale) e perché una volta eletto coi voti determinanti anche della Lega abbia scelto senza tentennamenti di sedere sullo scranno più alto di Montecitorio e di lasciare Governo e partito senza la sua “preziosa” guida se il suo primo interesse era portare avanti gli ideali della destra politica nel Paese.Il perché poi Berlusconi si debba dimettere di propria “sponte” senza subire un voto di sfiducia ed egli invece non senta il dovere morale di lasciare la Presidenza della Camera nonostante sia stato più volte sfidu-ciato politicamente dalla coalizione che lo ha issato a quello scranno non è stato minimamente spiegato e non è dato ai più sapere.Il Popolo della Libertà - per Fini - non è stato in grado di incarnare desideri e progetti della gente e la rivoluzione liberale tanto declamata non è stata attuata se non in minima parte, inoltre il primo partito in Italia per numero di consensi sarebbe, sempre secondo Fini, politicamente succube della Lega.Per questo motivo ha sentito il biso-gno di creare ex novo una formazio-ne politica e colonnelli - anzi capo-rali di giornata - che lo aiuteranno nell’impresa di portare avanti i veri valori della “sua” destra: la speranza di Fini e dei suoi manutengoli è che l’esperimento di partitocrazia gene-tica appena promosso non faccia la

fine dell’Elefantino di una decina di anni fa che nacque morto e sepolto.Il Governo camperebbe alla giornata e - a parere dell’ex Presidente di AN - non avrebbe il polso della situazione del Paese, delle ansie e dei timori degli italiani, tanto che tampona le emergenze senza avere una rotta ben definita galleggiando senza affrontare le vere priorità dell’Italia: più che il Governo del fare questo guidato dal Cavaliere è il Governo del “fare finta” di fare, ha detto.La soluzione individuata dal fon-datore di Futuro e Libertà nonché affondatore del PdL è quella di supe-rare la fase politica delle contrapposi-zioni tra schieramenti - ovviamente riducendo alla ragione Berlusconi sbarazzandosene - cercando di trova-re momenti di condivisione utili alla risoluzione delle problematiche poste sul tavolo: per la serie avanti con l’in-ciucio stile “prima Repubblica”.Neppure Tremonti e la Lega sono usciti indenni dalle critiche di Fini che ha contestato al Ministro delle Finanze la politica dei tagli indiscri-minati che hanno contenuto la spesa pubblica e al partito di Bossi un arretratezza culturale sulla questione dei diritti civili unica nel panora-ma politico europeo. Ovviamente dimentico di quando era lui-appena qualche anno fa- a giudicare incom-patibili con l’insegnamento i docenti dichiaratamente omosessuali.Ovviamente tali affermazioni hanno ricevuto il plauso entusiasta non solo come è ovvio degli ex PdL ma anche da parte dell’opposizione di centro sinistra - dipietristi compresi - che vedono nel passo fatto da Fini la rottura definitiva dell’alleanza con Berlusconi.Per Bersani appare chiaro che il Cavaliere deve dimettersi in quanto la crisi politica del centro destra appa-re conclamata e Fini più che cercare ricomposizioni forzate tra ex alleati deve provare a creare nuove intese

all’esterno aprendo una nuova fase politica. Di Pietro appare scettico nei confronti dell’atteggiamento di Fini che oggi critica quegli atti del Governo che non più di qualche mese fa il Presidente della Camera aveva appoggiati e al fine di essere coerente con quanto detto a Bastia Umbra l’ex PM di “Mani Pulite” sprona Fini o il Partito Democratico a presentare una mozione di sfidu-cia a Berlusconi o a votarne una dell’IdV.Dal PdL invece oltre che a bollare come ingenerose nei confronti del Governo le parole di Fini si invita lo stesso a sfiduciare in Parlamento Berlusconi in modo da prendersi definitivamente la responsabilità della rottura: in realtà i maggiori esponenti del Popolo della Libertà e della Lega sono in attesa di riunirsi col Cavaliere ed i suoi più stretti con-siglieri per concordare il da farsi.Ma a parte le reazioni a caldo, quali conclusioni si possono trarre dalla due giorni umbra?Alcune sono di ordine più stretta-mente strategico altre più legate ad una visione politica.Fini ha una paura matta di due cose: delle elezioni anticipate e che Casini trovi un accordo separato con Berlusconi e Bossi che lo tagli defini-tivamente fuori e in alternativa che il leader dell’UDC prenda il comando delle operazioni per la creazione del terzo polo centrista.Egli cerca in tutti i modi di evitare il ricorso alle urne perché è consapevo-le dell’impreparazione organizzativa e strutturale dell’FLI che non potreb-be attualmente affrontare una dura campagna elettorale ed ha quindi bisogno di tempo.Tenta perciò di cristallizzare la situa-zione porgendo un’occasione d’oro al debole centro sinistra anch’esso alle prese con enormi problemi di dina-miche interne e a corto di credibilità nel Paese e poco propenso a sostene-

re elezioni anticipate. Fini quando parla di trovare soluzioni condivise a prescindere dallo schieramento poli-tico di appartenenza, non si riferisce solo alla situazione finanziaria e socia-le del Paese, ma soprattutto a quella politica in cui si troverebbe l’Italia in caso di caduta del Cavaliere: nel suo discorso ha minacciato sfiducie, ha annunciato l’uscita dal Governo, ha richiesto le dimissioni di Berlusconi, paventato scenari politici da qui al 2015 ma evitato accuratamente di parlare di elezioni anticipate viste da lui e dal centro sinistra come fumo negli occhi.Egli ha altresì disinnescato, almeno per il momento, la mina Casini riportandosi al centro delle manovre politiche prendendo sulle sua spalle la diretta responsabilità di sfiduciare il Governo divenendo quindi l’ago della bilancia della situazione politica italiana impedendo in tal modo ogni accordo possibile tra centro destra e UDC.Per raggiungere questi due obietti-vi strategici però l’ex presidente di Alleanza Nazionale ha dovuto fare strame della sua presunta terzietà di giudizio dovuta alla carica di presi-dente della Camera che egli tuttora ricopre e che mai nessuno prima di lui ha utilizzato per scendere diret-tamente in campo ed influenzare la vita politica italiana. Insomma se il Governo Berlusconi per Fini non è quello del “Fare” ma del “fare finta” anche egli a maggior ragione non può più “fare finta” di essere super partes. Ha scelto consapevolmente per calcolo - più o meno compren-sibile - di agire politicamente richie-dendo le dimissioni di un Presidente del Consiglio legittimamente e democraticamente eletto dagli ita-liani usando la posizione istituzionale che ricopre. E’ questo secondo noi il vero “vulnus”per la democrazia che si è venuto a creare e che nessun sepol-cro imbiancato del centrosinistra, del

CSM, della Consulta o del popolo viola sempre pronto a scendere nelle piazze ha ipocritamente voluto - o fatto finta - di vedere.Fini oggi - oltre che trovarsi nella scomoda posizione di colui il quale non può più ritornare sui propri passi senza fare la figura del ven-ditore di aria fritta - come e forse più di Scalfaro nel ’98, non solo sta benedicendo un ribaltone di un risultato elettorale ma ne sta per giunta promuovendone uno dopo che proprio grazie a quella vittoria alle urne del centro destra di cui era parte integrante e fondante egli è potuto ascendere al seggio più alto della Camera .Le conclusioni di ordine politico sono incentrate soprattutto intorno al tipo di partito che Fini si ripromet-te di formare.Un partito di destra alquanto strabi-co che guarderà più a temi cari alla sinistra come i diritti agli immigrati, le famiglie di genere diverso, all’esa-sperante e continua riconciliazione dei conflitti politici del Paese che porterà all’indecisionismo cronico, all’accantonamento del bipolarismo e del presidenzialismo, all’eterna e strenua difesa dei diritti acquisiti dalla casta burocratica del Paese inci-stata in ogni segmento della società : scuola, pubbliche amministrazioni, università, sistema giudiziario.Un soggetto politico che sarà liberista per quanto riguarda i temi etici e sociali ma fermamente ancorato al passato in economia e nella gestione della macchina istituzionale e statale.Una destra indecisa che dovrà con-vivere con più di un Dio, con una famiglia normale ed una allargata e vivere in una Patria i cui confini fini-ranno per essere portoni spalancati a chiunque voglia entrare.

Giuliano Leo

I finiani hanno lasciato il Governo

Futuro e Irresponsabilità

Chiede le dimissioni di Berlusconi ma non ha il coraggio di sfiduciarlo in aula

Fini lo sfascista

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La Piazza d’Italia - Economia

Finalmente una buona notizia. Dal bollettino mensile dell’Abi si rileva la crescita del credito alle imprese e un’accelerazione della raccolta finanziaria.Primi segnali positivi, quindi, per l’andamento del credito concesso dalle banche italiane. In partico-lare quello relativo alle imprese, e resta sostenuto anche l’andamento dei finanziamenti alle famiglie.A settembre la dinamica dei finan-ziamenti alle imprese non finanzia-rie, dopo circa un anno, è tornata positiva segnando un incremento tendenziale del +0,3%, dopo aver toccato il punto di minimo di -3,1% a fine 2009. Migliore appa-re il risultato per le imprese di più piccole dimensioni, +0,5% il tasso di crescita annuo dei finanziamen-ti alle piccole imprese, +1,7% con riguardo alle famiglie produttrici. Più marcata è stata la crescita dei finanziamenti per l’acquisto di immobili, risultata a settembre di circa il +8,5%.La dinamica dei prestiti, in par-ticolare, ha manifestato un’ul-teriore lieve accelerazione: sulla base di prime stime i prestiti a residenti in Italia al settore privato hanno segnato un tasso di crescita tendenziale pari a +5,4%, si è praticamente tornati sui livelli di crescita di ottobre 2008. Le prime stime mostrano anche una lieve

accelerazione della dinamica della raccolta del totale delle banche italiane: il tasso di crescita tenden-ziale è risultato pari al +4,9%. Nel

corso dell’ultimo anno lo stock della raccolta è aumentato di quasi 95 miliardi di euro.In marginale rialzo, , ma sempre su livelli particolarmente conte-nuti, i tassi praticati sulle nuove operazioni alle imprese e alle fami-glie: ad ottobre il tasso sui prestiti in euro alle famiglie per l’acquisto di abitazioni è risultato pari al

2,74%.Dai dati del bollettino mensile dell’Abi risulta in tutta evidenza come la dinamica dei finanzia-

menti sia ritornata a crescere in una fase economica particolar-mente critica. Questa contrappo-sizione andamentale è ovviamente coerente nella sua logica perché proprio a causa della crisi eco-nomica, il fabbisogno finanzia-rio delle famiglie e delle imprese tende ad aumentare. Quindi, dal lato delle categorie produttive del

Paese, questi dati vanno interpre-tati come un segnale fisiologico e sintomatico di una crisi economi-ca ancora in atto, dal lato, invece, delle banche, come un segnale di credibilità e di affidabilità del sistema creditizio e finanziario italiano. Chiaramente le banche tendono alla massimizzazione dei prestiti e della raccolta in modo da drenare circolazione monetaria. Le famiglie e le imprese, avendo sempre più bisogno di finanziar-si, non possono che ricorrere al credito bancario, ovviamente per finalità diverse.La dinamica finanziaria, in un’impresa, è molto importante sia da monitorare che da gestire. Il monitoraggio presuppone la capacità dell’imprenditore e/o del direttore finanziario di controllare il livello dell’esposizione aziendale nei confronti dell’istituto di cre-dito, mentre la gestione consiste nel calcolare il livello oltre il quale l’azienda non può più esporsi in quanto risulterebbe inadempien-te. Un management responsabile, si servirà dello strumento finan-ziario per sostenere in modo ade-guato e strategico le sue politiche aziendali, che presupponendo il raggiungimento di obiettivi di cre-scita e sviluppo, non provocherà un indebitamento troppo one-roso. Contemperando l’esigenza

finanziaria con quella economica l’imprenditore raggiungerà il suo obiettivo finale cioè quello della massimizzazione del profitto in regime di contenimento dei costi economici e finanziari.Le famiglie, nei rapporti con le banche, dovranno assumere com-portamenti responsabili al pari delle imprese. Ovviamente una famiglia non tenderà alla mas-simizzazione dei profitti ma alla soddisfazione delle proprie esigen-ze di spesa. Se ad ogni spesa cor-risponderà la relativa copertura (a mezzo banca che a sua volta sarà adeguatamente e puntualmente rimborsata) l’operazione finanzia-ria della famiglia si rivelerà sana.L’Abi non ci dice qual è l’in-dice di ottemperanza da parte delle famiglie e delle imprese, rilevando solo il tasso di crescita tendenziale del credito alle sud-dette categorie. L’accelerazione dei prestiti si è già detto che riflette l’andamento economico del nostro Paese in questa parti-colare congiuntura, per quanto concerne, invece, l’accelerazio-ne della raccolta di risparmi, occorre sottolineare una lieve inversione di tendenza rispet-to ai mesi precedenti. Il rispar-mio, qualche mese fa sembrava sull’orlo del prosciugamento, a settembre, invece, c’è stata

una accelerazione dello stesso, e questa potrebbe interpretarsi nei seguenti due modi: il primo indica come tale crescita possa essere determinata dal timore delle famiglie di dover affrontare un futuro sempre più incerto, quindi quella parte di spesa non spesa viene sistematicamente accantonata, il secondo indica come tale crescita possa essere il segnale di una maggior fiducia nei confronti degli istituti di credito italiani, ritenuti appunto affidabili e stabili.In entrambi i casi, comunque, non si può rilevare un indice di buona salute del sistema eco-nomico, perché inevitabilmente, l’interpretazione che si deve for-nire sulla crescita dei risparmi non può che essere correlata alla dinamica dell’economica nazio-nale. Se non si effettua questa correlazione si rischia di cadere in errore, un errore che potreb-be portare a valutare in modo fuorviante il comportamento delle famiglie e delle imprese nell’attuale ciclo economico. Valutare erroneamente tali com-portamenti potrebbe tradursi in un supporto distorsivo per la finanza privata, determinando politiche finanziarie lontane dalle reali esigenze delle famiglie e delle imprese.

Ossigeno finanziario alle impreseTorna a crescere il credito alle imprese. Accelerano prestiti e raccolta

Il vero problema italiano sta quasi tutto nella impossibilità di accantonare nel tempo quote di reddito, in altri termini tutto ciò che non viene consumato e quindi risparmiato. La condi-zione economica attuale delle famiglie italiane non è per nulla incoraggiante, anzi comincia a prender corpo un atteggiamen-to pessimistico delle stesse che non fa bene nè alle relazioni intrafamiliari né all’economia nazionale.Ma meglio analizzare la questio-ne per gradi. Anzitutto dai dati dell’indagine Acri-Ipsos 2010 si rileva la discesa della quota dei fiduciosi al 45%, una bassa propensione al rischio e più la metà del campione ritiene che la propria situazione non cambierà. L’attendismo prudente e preoc-cupato delle famiglie pare legato a disillusione e scarsa visibilità sul futuro. Il Paese viene percepi-to come poco reattivo alla crisi, ma anche sulla ripresa globa-le gli italiani fanno affidamento meni che in passato. La sfiducia nelle prospettive economiche del Paese ci accomuna, peraltro, con altri grandi paesi come gli Usa, la Francia, il Regno Unito, la Spagna; solo in Germani si regi-stra un trend positivo a partire dalla primavera 2009.Questa situazione sembra intac-care, seppur marginalmente, anche lo storico sentimento europeista degli italiani. Se in generale permane la fiducia nell’Unione Europea (il 67% ha fiducia), emerge una certa freddezza e minor convinzione: pochi dichiarano di avere più fiducia (il 7%) a fronte di un cospicuo numero che dichiara di averne meno (il 28%).Dal sondaggio risulta che il numero di chi riesce a rispar-miare si mantiene costante rispetto agli ultimi anni atte-standosi al 36%; sono il 37% quelli che consumano tutto ciò che guadagnano e ben una famiglia su quattro deve ricor-rere a debiti o al decumulo di risparmio pregresso. Se nel Nord Est si registra il numero maggiore di famiglie in grado di accumulare risparmio (ci rie-sce il 45%), il Sud si trova più in difficoltà (solo il 30% riesce a risparmiare).L’impatto della situazione per quando riguarda l’investimento è tale che sempre più fami-glie (68% rispetto al 62% del

2009) preferiscono la liquidità, mentre il mattone si conferma ancora l’investimento percepito come “ideale”, specie tra coloro che effettivamente sono riusciti ad accumulare risparmio nel corso del 2010. Infatti la loro preferenza per il mattone sale dal 52% al 58%.I consumi tornano a frenare, specie per le famiglie in crisi o che stanno sperimentando difficoltà: ed anche coloro che appaiono in una situazione tranquilla mostrano un atteg-giamento prudente, orientato alla ridefinizione delle proprie spese, spostando ancor più l’attenzione dal fuori casa alla casa. Solo chi si ritiene in una situazione di miglioramento ha rafforzato i propri consumi, verso ogni tipologia di spesa, in particolare se legata al fuori casa e al benessere. Peraltro in miglioramento sono solo il 6% (una famiglia su 17, mentre nel 2006 era una famiglia su 9).Comunque il dato da rilevare è che, nonostante gli italiano fossero un popolo di risparmia-tori e avessero molta voglia di risparmiare, so trovano costretti ad indebitarsi per soddisfare i bisogni essenziali della fami-glia e questo rispecchia l’attua-le condizione economica del nostro Paese.Quando si sosteneva e si sostiene da più parti che il vero problema del sistema economico italiano è quello che riguarda l’economia reale nella sua essenza e sostanza, si affermava e si afferma una cosa sacrosanta. Se è vero come è vero quando appena detto l’impatto che hanno i consumi sull’econo-mia non può che essere negativo, i risparmi dal canto loro non contribuiscono per nulla a risol-levare le prospettive delle famiglie sempre più pessimiste sul futuro, vivendo una condizione sociale e lavorativa a dir poco disin-centivante. Cosa fare? In primo luogo si dovrebbero far ripartire i consumi sostenendo l’occupazio-ne con tutte le risorse che ha un Governo, in questa particolare congiuntura l’unico aggregato che può far ripartire l’economia sono i consumi delle famiglie passando per l’aumento della occupazione. Se non si intervie-ne su questo indicatore anche il resto del mondo impatterà in maniere negativa sul nostro siste-ma aggravando ulteriormente la situazione congiunturale.

Il vero motore di una economia sono le famiglie, la loro fiducia nel futuro, la loro propensione e capacità al rischio ed al rispar-mio. Si può può pensare di risparmiare quella quota di red-dito non consumata se il reddito

sempre più numerose famiglie non lo hanno più? È plausibi-le e ragionevole comprendere l’atteggiamento scoraggiato delle famiglie anche se questa per loro non è la migliore chiave d’ac-cesso per uscire dalla crisi. Un

po’ le famiglie con un maggioro ottimismo e molto il Governo dovrebbero fare per far ripartire il mercato del lavoro ed il siste-ma economico nazionale.Quando i risparmi decrescono e non solo, quando le famiglie

per sopravvivere debbono inde-bitarsi il collasso sociale ed eco-nomico del nucleo familiare non è molto lontano dal verificarsi. Questo non deve assolutamente accadere, bisogna intervenire in fretta e con incisività.

Il grande problema del risparmio privatoUna famiglia su quattro si indebita per vivere

L’Italia e la difficoltà di fare impresaPer la Banca Mondiale siamo 80esimi, penultimi in Europa dietro all’Albania. Peggio solo la Grecia

Non si tratta di saper gestire i rapporti con i clienti ed i fornitori, di saper gestire finanziariamente una impresa, di saper monitorare la rotazione delle scorte, si trat-ta, invece, di un problema più grave che sta alla radice del tessu-to imprenditoriale italiano, quel-lo cioè di fare impresa. Questa impossibilità purtroppo è una vera realtà testimoniata dalla classifica internazionale redatta dalla Banca Europea, come di seguito meglio illustrato.Che la crisi economica abbia messo in ginocchio le aziende italiane non è una grande novità. Tuttavia, la realtà è ancora peggiore e, nella classifica UE, stilata dalla Banca europea nell’ambito del rapporto Doing Business, tra i Paesi in dif-ficoltà nel fare impresa l’Italia si piazza penultima. Il nostro paese riesce a superare solo la Grecia e si colloca addirittura all’80esimo posto per difficoltà di sviluppo imprenditoriale.I motivi che spingono l’Italia così in basso, il trittico che guida la clas-sifica è composto da Singapore,Hong Kong e Nuova Zelanda, sono i seguenti: sul nostro territo-rio, nonostante la forza delle espor-tazioni e dell’economia manifat-turiera, l’iter per aprire e gestire un’impresa sono troppo lenti e costosi secondo la Banca Europea, e soprattutto sono valutate nega-tivamente le procedure per l’otte-nimento delle licenze edilizie, gli aspetti di accesso al credito e di flessibilità del mercato del lavoro. Altri aspetti che penalizzano l’Italia, sui quali concordano moltissimi imprenditori, riguardano le impo-ste e la loro incidenza sul reddito, considerata troppo esasperata, e la scarsa efficienza delle norme, con particolare riguardo alle procedure di cessazione dell’attività.Per fare impresa occorre costitui-re un’azienda, cioè l’imprenditore deve organizzare un complesso di beni materiali e immateriali per l’esercizio dell’impresa. In altri ter-

mini, si ritiene corretto ricondurre nel novero degli elementi costi-tutivi di un complesso aziendale tutti gli elementi patrimoniali e tutti i rapporti obbligatori atti-vi (crediti e posizioni contrattuali attive). Esulano da questa nozione i soli elementi del passivo aziendale (debiti e altri rapporti obbligato-ri passivi), i quali costituiscono un elemento relativo all’azienda (come fonte di finanziamento o come impegno assunto dall’im-presa ai fini della creazione o della gestione del complesso aziendale). In sostanza l’azienda è il capitale, lo strumento cui l’imprenditore si serve per esercitare la sua attività professionale, l’impresa è l’eser-cizio professionale di un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi.Dunque, la difficoltà di esercita-re l’attività economica su espo-sta in Italia è sempre maggiore. Ovviamente gli interventi del Governo dovrebbero essere mirati ad alleggerire la pressione fiscale, a prevedere forme di agevolazione fiscale per i nuovi assunti. Anche le banche dovrebbero contribuire a snellire le procedure di erogazione al credito soprattutto nei confron-ti delle piccole e medie impre-se. Oggi, c’è ancora una notevole difficoltà di accesso al credito da parte di queste imprese che non riescono a soddisfare i loro fabbi-sogni finanziari per poter lubrifi-care l’attività corrente. In tempi come questi, di crisi economica, il rischio di chiusura delle imprese è crescente. Spesso i rappresentanti delle varie istituzioni si limitano ad affermazioni formali del tipo: le imprese dovrebbero rischiare di più, gli imprenditori dovrebbe-ro avere maggior ottimismo, le imprese dovrebbero ritornare ad investire sul mercato, le impre-se italiane dovrebbero investire di più per diventare maggiormente competitive. Tutte queste dichia-razioni sono certamente un buon

contributo teorico alla causa degli imprenditori, ma se non sono accompagnate da interven-ti concreti come quelli prospet-tati finiscono per rimanere sulla carta. Quello che i policy makers dovrebbero fare invece, oltre che a dirlo, è che le imprese per raggiun-gere livelli di competitività impor-tanti, per ritornare ad investire, per assumere, hanno bisogno di una serie di interventi mirati che creino le condizioni per poter far tutto quanto suddetto, allora le loro dichiarazioni dalla carta pas-seranno sul campo e diventeranno operative. È vero che in tempi di crisi economica e di squilibrio del bilancio pubblico, non è faci-le aumentare la spesa pubblica o ridurre le entrate tributarie, ma è anche vero che le imprese con il regime fiscale vigente, non riesco-no da sole, pur con tutto l’ottimi-smo e la buona volontà possibile degli imprenditori ad alleggerire la pressione e a dare ossigeno alla redditività aziendale. La contribu-zione previdenziale e le tasse sul reddito sia delle persone giuridiche che delle persone fisiche hanno un’incidenza troppo elevata, più della metà del fatturato di una impresa, che erode disponibilità correnti e toglie quindi, liquidi-tà dai conti correnti aziendali, i quali non possono fornire un utile contributo alla copertura dei relativi costi fissi. Quello che il Governo dovrebbe considerare è che le imprese italiane hanno una compagine sociale con vincoli di parentela c.d. familiare, per cui non possono contare su partner-ship o su finanziatori o su un azio-nariato e quindi nel tempo con enormi sacrifici tengono in vita l’azienda con un saldo finanziario negativo, cioè lavorando in fido e spesso sconfinando. Questa è una realtà ed è una notevole dimostra-zione di volontà e di tenacia dello spirito imprenditoriale italiano, purtroppo manca il sostegno a tutto ciò, non di natura morale,

che è già presente in ogni impren-ditore ma proprio strettamente funzionale alle esigenze finanziarie ed economiche dell’azienda, che dovrebbe concretizzarsi in agevo-lazioni, in diminuzioni della pres-sione fiscale.Insomma, la congiuntura econo-mica di un Paese può contribuire in maniera positiva a rimpolpare le casse dell’azienda perché determi-na un aumento della domanda dei beni e dei servizi e quindi i fattu-rati delle imprese riescono a trarre buoni profitti dal mercato, ma non è sufficiente a garantire alle stesse la sopravvivenza nel medio-lungo periodo quando, cioè, la congiun-tura cambia, quando i consumi delle famiglie si contraggono e quando la domanda diminuisce.Il mercato, da solo, non è l’unico fattore che può fornire un con-tributo positivo alla profittabilità aziendale, ma è l’insieme dei fattori che alimentando l’impresa, che gli forniscono giorno dopo giorno elementi positivi ed incoraggianti soprattutto agli imprenditori che debbono fare impresa e debbo-no saper restare sul mercato. Se dell’azienda il Governo consideras-se il fatto che il suo reddito è spesso e per la maggior parte delle impre-se italiane fonte di autofinanzia-mento, gli interventi sicuramente sarebbero più rapidi e seguirebbe-ro la direzione dell’alleggerimento della pressione fiscale. Se, invece, il reddito delle imprese si considera come un enorme contenitore nel quale più si inzuppa (in termini di prelievo fiscale ,cioè di tassa-zione) e più le entrate tributarie dello Stato aumentano, allora non esisteranno congiunture econo-miche che potranno contribuire alla sopravvivenza delle imprese e degli imprenditori, e con il tempo questa politica porterà le nostre imprese all’ultimo posto della clas-sifica internazionale del rapporto Doing Business.

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La Piazza d’Italia - Economia

Il monito del Capo dello Stato sulla situazione nazionale ed internazionale non è molto incoraggiante, anzi molto rea-listica. Giorgio Napolitano è molto preoccupato delle tur-bolenze finanziarie nei Paesi dell’UE. Ovviamente non solo lui, ma tutto il nostro Paese, responsabilmente deve preoccuparsi della situazione contingente. Anche se le forze politiche hanno dimostrato di avere una relativa respon-sabilità dando la precedenza all’approvazione delle leggi di stabilità e di bilancio, non può e non deve rimanere un atto isolato, come sottolinea il Capo dello Stato, “occor-reranno altri segni di senso di responsabilità da parte di tutte le forse politiche nel prossimo avvenire, perché l’economia vive ancora una situazione per tanti aspetti complessa, sul piano mon-diale, europeo e nazionale”. Napolitano ritiene, tuttavia, confortante constatare che “una delle grandi risorse su cui possiamo contare per il futuro dell’Italia si chiama imprenditoria: dinamismo imprenditoriale, iniziativa imprenditoriale, eccellenza e talenti imprenditoriali costi-tuiscono grande motivo di

fiducia per noi; così come motivo di fiducia è rappre-sentato anche dalla risorsa delle giovani generazioni”.Il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha afferma-to che l’Italia non collassa, rispondendo alle preoccupa-zioni del Capo dello Stato. Della crisi attuale dell’euro “l’Italia non è il problema, ma parte della soluzione”rivendica Tremonti, ricordando che il nostro Paese “ha una strut-tura molto solida, ha una posizione solida” e che in questi giorni di grande volati-lità sui mercati “non abbiamo mai visto anomalie negative”. “L’unico fattore di criticità è il debito pubblico, tutto il resto è a posto”.È evidente come le due suc-citate visioni della situazio-ne economica attuale siano molto diverse. In prima bat-tuta si potrebbe pensare ad una differenziazione lega-ta al ruolo che i due rico-prono. Napolitano, essendo Presidente della Repubblica non può essere molto ottimi-sta ed ha il dovere di richia-mare tutte le forze politiche ed il Governo ad un senso di responsabilità serio e concreto. Tremonti, essendo Ministro dell’Economia e quindi diret-

tamente coinvolto nella bontà o meno dell’indirizzo econo-mico e quindi dell’azione del Governo, deve assumere un atteggiamento più otti-mistico e dare coraggio alla

collettività nazionale. Non è del tutto realistico, però, affermare che l’unica criticità del nostro Paese è il debi-to pubblico, perché abbiamo una serie di criticità che pur-troppo hanno provocato una vera crisi dell’economia reale, come per esempio la crescita dei disoccupati, la contrazio-ne dei redditi e dei consu-mi delle famiglie, l’enorme tasso di disoccupazione delle generazioni più giovani. E’ necessaria uguale sensibilità verso i conti pubblici per far bella figura a Bruxelles, e quel

lato dell’economia reale che è in grande sofferenza perché l’Italia è investita da una crisi tangibile, visibile che tocca la dignità economica e sociale dei lavoratori, delle imprese.

In merito alla solidità finan-ziaria dell’Italia, il Ministro afferma che “l’Italia tiene per-ché ha le famiglie, il rispar-mio, le banche, la manifattu-ra, il lavoro e non i servizi.” È vero che l’Italia ha le fami-glie, anche la Germania, la Francia, l’Inghilterra hanno le famiglie, ma bisogna chia-rire bene questa affermazio-ne: le famiglie italiane hanno sempre risparmiato, i conti correnti e/o i depositi bancari hanno costituito sempre una certezza per il sistema credi-tizio italiano, ma oggi c’è un

problema che sta mettendo in pericolo questa sicurez-za: se le famiglie continuano a rimanere senza lavoro, e debbono continuare ad attin-gere ai propri risparmi sia per tirare a campare che per mantenere i figli fino a tarda età, per farli studiare o per attendere che riescano a tro-vare una qualche occupazio-ne, come potranno attingere ai propri risparmi all’infinito? I risparmi delle famiglie ita-liane è vero che forniscono solidità al sistema bancario ma è anche vero che non sono fonti inesauribili di danaro. Se non si pone rimedio a questo problema, non solo, tra qualche anno il Ministro dovrà ricredersi sulla solidità del sistema bancario italiano ma dovrà prendere atto di una situazione finanziaria ed economica drammatica che porterà al collasso le speran-ze delle famiglie di guardare ad un futuro migliore. Ha ragione il ministro, invece, quando afferma che l’azio-ne di Governo deve seguire una politica di responsabili-tà, che auspica avviarsi con la legge stabilità 2011-2013. L’auspicio del ministro non è molto credibile in quan-to il ddl stabilità non con-

templa misure sostanziali a favore degli attori principali che avrebbero il compiti di mettere in moto l’economica del Paese, le imprese ed i lavoratori.Infine, il Ministro ha detto che i colleghi a Bruxelles non hanno mostrato alcuna preoc-cupazione per quanto sta suc-cedendo in Italia. “Nessuno mi ha fatto domande sulla crisi politica in Italia” e “il fatto che nessuno mi abbia fatto domande è di per sé una risposta”. Il non interesse di Bruxelles per la crisi politica italiana deve esser letto come un fatto che non interessa davvero ma non perché la nostra crisi politica non sia grave e non produca danni al sistema economico nazio-nale fornendo instabilità, ma proprio perché si interessano di economia, di conti pubbli-ci, di crescita e di sviluppo. Questo fa parte della comu-nicazione strategica istituzio-nale, la realtà dei fatti, quella percepita, che sono davanti agli occhi di tutta la colletti-vità nazionale e nei confronti dei quali è difficile rimanere ottimisti. L’Italia non col-lasserà ma è difficile che si riprenda a breve.

Avanzino Capponi

Turbolenze finanziarie nei Paesi dell’UESituazione complessa nel Paese e anche fuori: l’Italia non collasserà

Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, la quota dell’area dell’euro nel Pil mondiale, pari nel 2000 al 18%, a parità di potere d’acquisto, scenderà al 13% nel 2015. Nello stesso periodo la quota dei Paesi emergenti asiatici raddoppierà, dal 15% al 29%: non tanto a causa della crescita della popolazio-ne, quanto per l’aumento del Pil per abitante, che passerà nel 2015 al 20% di quello dell’area dell’euro, dall’8% del 2000. È sufficiente questo dato per descrivere il muta-mento radicale negli equilibri economici mondiali. La nostra economia ne risente più delle altre. Essa manifesta da anni una incapacità a crescere a tassi sostenuti: l’ultima reces-sione ha fatto diminuire il Pil italiano di quasi 7 punti.Abbiamo subito una eviden-te perdita di competitività rispetto ai nostri principali partner europei. Tra il 1998 e il 2008, nei primi dieci anni dell’Unione monetaria, il costo del lavoro per unità di prodotto nel settore privato è aumentato del 24% in Italia, del 15% in Francia; è addirit-tura diminuito in Germania.Questi divari riflettono soprattutto i diversi anda-menti della produttività del lavoro: in quel decennio, secondo i dati disponibili, la produttività è aumentata del 22% in Germania, del 18% in Francia, solo del 3% in Italia.La cause del deludente anda-mento della produttività in Italia sono molteplici. Alcuni fatti che vi hanno concor-so sono simili a quelli che distinguevano il modello di

sviluppo tardivo dell’Italia: marcati e persistenti dualismi nella dimensione delle impre-se, nel mercato del lavoro. Ne derivava una segmentazio-ne della struttura produttiva tra imprese moderne e pre-moderne, con ampie diffe-renze di produttività, che si riflettevano nelle retribuzioni.Nel mercato del lavoro il dua-lismo si è accentuato. Rimane diffusa l’occupazione irrego-lare, stimata dall’Istat in circa il 12% del totale delle unità di lavoro. Le riforme attuate, diffondendo l’uso di contratti a termine, hanno incoraggiato l’impiego del lavoro, portan-do ad aumentare l’occupa-zione negli anni precedenti la crisi, più che nei maggiori Paesi dell’area dell’euro; ma senza la prospettiva di una pur graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari, si indebolisce l’accumulazione di capitale umano specifico, con effetti alla lunga negativi su produttività e profittabi-lità.Nei Paesi ricchi bisogna smet-terla di privilegiare il tradi-zionale tema della quantità di merce prodotta e dedicare maggiore attenzione ad altri temi, che non possono essere più considerati secondari dal punto di vista del benessere collettivo. Il reddito nazionale ed il benessere collettivo non sono la stessa cosa.Il tema è di stretta attualità: se ne sono recentemente occupa-te la Commissione Europea, in una Comunicazione al Consiglio ed al Parlamento europeo. Viene prefigurata un’evoluzione dei sistemi stati-stici e un’estensione della con-

tabilità nazionale che tengano conto degli aspetti distributi-vi, della ricchezza, della qua-lità della vita e dell’ambiente. Gli istituti nazionali di stati-

stica, organismi internazionali come l’OCSE, hanno avviato dei programmi di lavoro che avranno implicazioni impor-tanti per l’analisi e per la poli-tica economica.Nel valutare il livello di benes-sere la Commissione Stiglitz propone di tenere conto della “ricchezza”, cioè del rispar-mio accumulato nel tempo dalle famiglie, oltre che dai flussi di reddito e di consu-mo. Il risparmio accumulato è essenziale nell’attutire gli effetti delle incertezze della vita, nel far sentire le persone meno vulnerabili. Il capitale materiale e immateriale di cui i giovani dispongono all’ini-

zio della vita adulta, grazie ai trasferimenti che ricevono dalla famiglia, condiziona le loro scelte e i loro destini. Per questo, è necessario analizza-

re l’evoluzione della ricchezza con la stessa attenzione che si dedica a quella del reddito.Secondo i dati OCSE, nel 2007, prima della recessione globale, l’Italia presentava il Pil pro capite più basso tra i Paesi del G7, pari al 69% di quello degli Stati Uniti, ma la ricchezza pro capite delle famiglie italiane era l’88% di quella delle famiglie statunitensi, un valore supe-riore a quello osservato in Francia, Germania, Giappone e Canada.Da un lato, siamo sollecitati dalla Commissione europea ad adottare una visione ampia di benessere, non limitata alla

produzione di beni e servizi, ma estesa alla qualità della vita. Dall’altro, in un’ottica di politica economica, non possiamo trascurare l’impor-

tanza centrale delle condizioni oggettive, materiali di vita: la disponibilità di beni, l’accesso ai servizi. Gli aspetti qualitati-vi del benessere devono entra-re nell’orizzonte di analisi e di azione di chi abbia responsa-bilità di politica economica e sociale, indurre ad affinare le strategie di promozione dello sviluppo, per meglio adattarlo all’evoluzione delle tecnolo-gie, dei mercati globali, del costume. Dare suggerimenti concreti per il miglior fun-zionamento dei meccanismi sociali, è il compito prin-cipale dell’economia politica soprattutto nell’ottica di un cambiamento radicale degli

equilibri economici mon-diali. L’evoluzione di questi comporta un’estensione della visione del benessere collet-tivo, rispetto alla quale ogni

Stato deve confrontarsi e deve riflettersi, altrimenti l’ammo-dernamento dell’economia e l’adeguamento ai sistemi economici più evoluti non sarà possibile. Guai a rima-nere indietro nel modello di concorrenza sociale ed eco-nomica che si verrà a deline-are, l’arretratezza di questo potrà provocare seri danni al mercato nazionale che si vedrà costretto a rincorrere altri mercati più efficienti e redditizi. Questo gap va col-mato fin d’ora, soprattutto in un Paese dove la cultura della qualità del benessere non è ancora ben chiara e predo-minante.

Il FMI sostiene che nel prossimo futuro gli equilibri economici mondiali cambieranno

Changing the world economic balance

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La Piazza d’Italia - Economia

Due a zero per la Cina nei confronti del G20 tenutosi a Seul per discutere degli equi-libri dell’economia mondiale soprattutto in termini moneta-ri. Al centro dell’agenda c’era ovviamente la questione della sottovalutazione della moneta cinese, troppo bassa rispetto alle altre valute del pianeta e per questo troppo avvantaggia-ta in termini di esportazioni e quindi di commercio interna-zionale. La questione valutaria della Cina rimane però anco-ra aperta, non è uscita fuori alcuna soluzione. Obama spie-ga che tale questione “non è destinata a risolversi immedia-tamente, ma deve essere risolta e sono pienamente fiducioso che questo possa avvenire”. Inoltre Obama ha sottolineato il fatto che Pechino “spenda un enorme quantità di dena-ro per mantenere la moneta sottovalutata si irritante non solo per gli Stati Uniti, ma anche per gli altri partner com-merciali”, ed ha poi aggiunto “quanto sia importante avviare una transizione verso un siste-ma dei cambi più orientato al mercato”.Eppure il Presidente cinese Hu Jintao, alla vigilia del G20 aveva dichiarato che la Cina sarebbe stata pronta a raffor-zare la cooperazione ed il dia-logo con gli Stati Uniti, anche se oltre ai rapporti commer-ciali, il Presidente annovera le questioni legate alla pace, alla stabilità ed allo sviluppo del mondo. Ad ogni modo si

registra un primo fallimento a Seul perché Stati Uniti e Cina non sono riusciti a tro-vare una intesa sull’accordo di libero scambio. I rapporti commerciali fra i due alleati storici sono regolati da una intesa del 2007 che a Seul, era la speranza di Obama, che avrebbe potuto trasfor-marlo in un accordo di libero scambio. Dunque, gli Stati Uniti incassano un secondo risultato negativo sulla que-stione valutaria, come già su ampiamente discussa, relativa alla necessità di rivalutare lo yuan cinese per non squilibra-re in modo eccessivo il sistema monetario mondiale. Un face to face che non ha regala-to l’esito sperato da Obama ma anche da altri Capi di Governo, quindi una questio-ne irrisolta e rimandata.Al G20 hanno partecipato le principali economie che con-trollano l’85% del Pil globa-le, e quindi si tratta di un consesso sempre più chiama-to a sciogliere i nodi cruciali dei rapporti internazionali. In questo G20 c’è stata tanta cor-dialità tra i partecipanti, una buona qualità nella comuni-cazione, ma scarso appeal e poca concretezza. Quello che avrebbe dovuto rappresentare il vertice di Seul non si è rive-lato, cioè “cercare di sanare gli equilibri globali” come ha detto Obama. E’ chiaro che si tratta di un tema centrale, di primaria importanza, soprat-tutto in una fase economica

non troppo felice per il pianeta anche se l’economia globale ha di nuovo ripreso il cammino della ripresa, ma i risultati non saranno abbastanza veloci.

Se il vertice di Seul non ha risolto il problema della ecces-siva sottovalutazione dello yuan cinese, si comprende bene come la guerra valuta-ria non possa aver tregua, e questa costituisce sicuramente un danno per l’economia glo-bale. Infatti per porre riparo a questa eccessiva competiti-vità valutaria della Cina sul mercato internazionale, la Federal Reserve ha dichiara-to di immettere 600 miliardi di dollari nell’economia sta-tunitense. Altra liquidità per

sostenere il dollaro. Obama ha affermato a tal proposi-to che la decisione della Fed non ha l’obiettivo di avere un impatto sul dollaro, ma

quello di far crescere l’eco-nomia. Non si vuole cercare il pelo nell’uovo ma questa dichiarazione di Obama è solo molto diplomatica e non può non rilevare al contrario l’in-tento palese ed esplicito della Fed di sostenere la moneta americana per far ripartire le esportazioni che a loro volta vanno a sostenere l’economia nel suo complesso. Quindi, l’impatto di questa iniezio-ne di liquidità è diretto sulla moneta americana che a sua volta si traduce in un impatto

sull’economia.Quello che va rilevato, però, è che immettere nuova liqui-dità nel sistema a seguito di già massicci interventi finan-

ziari resisi necessari dopo lo scoppio della crisi, provoca un inasprimento della guerra valutaria perchè crea un sur-plus di liquidità (meccanismo che serve a svalutare la moneta per renderla più competitiva, ma tale meccanismo è simile a quello degli altri) che a sua volta,quindi, si traduce in un peggioramento degli equilibri internazionali.Quando un vertice così impor-tante sia dal punto di vista istituzionale sia dal punto di vista delle tematiche oggetto del

vertice stesso, fallisce nella riso-luzione e/o nella ricerca di inte-se o accordi non si può essere soddisfatti, le singole collettività nazionali vedono così svanire un’altra speranza di ripresa e di maggiore equilibrio interna-zionale. È vero che ci saranno altre possibilità per raggiungere intese o accordi, ma i tempi del sistema economico, valutario e finanziario non seguono sicu-ramente i tempi delle decisioni istituzionali.Se a fronte della crisi scoppia-to nel 2008 i vertici interna-zionali avevano dimostrato di intervenire con tempestività oggi non si può dire la stessa cosa. Questo dimostra come il vertice debba percepire una pressione molto alta correlata ad emergenze altrettanto gravi per poter intervenire subito e per poter trovare con estrema rapidità le intese giuste. Non è che la questione dello yuan cinese sia meno urgente, ma probabilmente gli Stati non hanno percepito la stessa pres-sione che avevano percepito qualche anno fa, dove il timo-re di una espansione incon-trollata della crisi era molto più reale ed elevato.Quello che occorre sottolineare è che comunque questi vertici costano, e se si ragionasse in termini finanziari-aziendalisti-ci, si concluderebbe che questi costi non sono stati adegua-tamente coperti dai ricavi in termini di obiettivi raggiunti.

Avanzino Capponi

Nel G20 di Seul la questione della sottovalutazione della moneta cinese rimane ancora aperta e quindi irrisolta

Cina due - G20 zero

Non è una affermazione di rou-tine, questa volta l’Istituto di Francoforte ha colto in pieno le difficoltà che possono appesan-tire il quadro economico euro-peo ed internazionale se non si attuano con urgenza le riforme strutturali, in particolare nel mercato del lavoro degli Stati membri.Pur se la dinamica di fondo della ripresa rimane sostanzial-mente positiva in presenza di incertezza ci si attende che la ripresa sia frenata dal processo di aggiustamento dei bilanci in corso in diversi comparti.Il recupero dell’economia mondiale dovrebbe proseguire, e quindi anche il suo impat-to positivo sulla domanda di esportazioni dell’area dell’eu-ro. L’Istituto di Francoforte prevede che il Pil nella zona euro possa attestarsi nel 2010 all’1,6%, nel 2011 all’1,5% e nel 2012 all’1,7%. Come si nota per l’economia europea è prevista una crescita molto lieve nel 2012 passando per un rallentamento altrettanto lieve nel 2011. Questi andamenti oscillanti non fanno sperare a nulla di buono perché il Pil a -0,1% e a +0,2% in termini sostanziali significa che la cre-scita economia nel giro di tre anni sarà stazionaria, ci sarà una stagnazione preoccupante. Si tratta di margini troppo bassi ed impercettibili che non costi-tuiranno ossigeno per nessuno degli attori del sistema econo-mico. Già sulla base di queste

stime previsionali bisognerebbe intervenire sia a livello naziona-le che comunitario altrimenti nel 2012 sarà già troppo tardi.

Occorre intervenire subito per-ché questo triennio non dovrà in alcun modo appesantire ed ostacolare la crescita post 2012. Questa per verificarsi, ha biso-gno di basi solide sulle quali poter partire. Ecco perché la BCE lancia l’allarme sull’attua-zione delle riforme strutturali negli Stati membri, perché que-sti debbono immediatamente fornire una spallata ai rispettivi sistemi economici in termini di occupazione, di consumi, di

investimenti e di produttività.Ogni ritardo nell’attuazione delle riforme strutturali costi-tuirà un ritardo nella ripresa

economia europea e nazionale. Nell’ottica di una interdipen-denza economica, gli Stati deb-bono considerare il processo di integrazione, debbono esse-re partner fino in fondo non solo quando presso le istituzio-ni europee debbono incassare il voto di turno per vedersi approvata qualche concessione. Il dovere di contribuire alla crescita economica e sociale dell’UE è sacrosanto e va rispet-tato, almeno così dichiarerebbe

un europeista convinto.“Le riforme strutturali risulta-no particolarmente necessarie, -sostiene la BCE-, nei Paesi che

hanno subito una perdita di competitività o che al momento soffrono di disavanzi nei conti pubblici e disavanzi esterni ele-vati”. Eliminare le rigidità del mercato del lavoro e potenziare la crescita della produttività, favorirebbe ulteriormente il processo di aggiustamento di tali economie, inoltre, stimolare la concorrenza nei mercati dei beni e servizi agevolerebbe la ristrutturazione dell’economia e incoraggerebbe l’innovazione e

l’adizione di nuove tecnologie.Le proposte di riforma della Governance economica dell’UE avanzate “non bastano ad assi-curare quel salto di qualità che esso chiede per la gover-nance economica dell’Unio-ne Monetaria”, sottolinea la BCE nel bollettino mensile di novembre, evidenziando tutta-via “che le proposte avanzate dal Presidente Van Rompuy costituiscono un rafforzamento del presente quadro di sorve-glianza macroeconomica e dei conti pubblici nell’UE”.Il Consiglio Direttivo della BCE “nutre timori sul fatto che nell’attuazione della sorveglian-za delle finanze pubbliche non vi sia sufficiente automaticità, che la regola sulla riduzione del rapporto debito pubblico/Pil non sia precisata e che le sanzioni finanziarie non siano state espressamente confermate nella procedura di sorveglianza macroeconomica”.Come non dar ragione al Consiglio Direttivo della BCE? Il problema è che il meccani-smo automatico di sorveglianza sul parametro debito pubblico/Pil è stato affrontato in molte occasioni in sede europea, ma in quelle, ogni Stato membro cercava la formula “elastico” nelle proprie richieste, cioè voleva incassare formule molto larghe di automatismo per potersi adeguare al parametro di Maastricht. Formule talmente larghe che rischiano di annulla-re l’efficacia del meccanismo

automatico di sorveglianza. Queste concessioni però sono state fatte dalla stessa Europa, per cui è un po’ contraddittorio porsi ora il problema del timore sulla insufficiente automaticità della sorveglianza macroecono-mica.In sede europea, non è che non si debbono concedere misure ela-stiche in termini temporali agli Stati membri che hanno serie difficoltà a rispettare i parametri di finanza pubblica, ma queste non possono sempre essere diffe-rite ad ogni occasione altrimenti non solo verrebbe pregiudicato l’automatismo della sorveglianza, ma sarebbe non scorretto nei confronti di quei Paesi che grazie a Governi responsabili con molti sacrifici hanno ottemperato nel termine richiesto.Comunque, se le stime previ-sionali sul Pil nella zona euro testimoniano una sostanziale stagnazione nei prossimi tre anni, quelle sul tasso di disoccu-pazione non sono meno incorag-gianti, infatti si prevede che nel 2010 il tasso si attesti al 10,1%, nel 2011 al 10% e nel 2012 al 9,6%, qui si nota allo stesso modo una lieve riduzione dei disoccupati ma ancora troppo poco per raggiungere l’obiettivo delle ripresa su scala europea.La priorità nell’agenda interna-zionale ed europea deve essere il lavoro, altrimenti le speranze di una prossima ripresa non saran-no fondatamente alimentate.

Avanzino Capponi

La BCE ha sottolineato l’urgenza di riforme strutturali di tutti gli Stati della UE per contribuire ad una ripresa sostanziale e duratura

La governance europea e le riforme strutturali

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La Piazza d’Italia - Esteri

La vera domanda è: è possibi-le arrestare i processi sociali?Se sì, come? E se no, come farsi trovare preparati per non venirne travolti?Fermo restando che i suddetti processi non si possono scan-sare o eludere, ma al massimo ritardare, facendo sì che essi avvengano nel modo meno traumatico possibile, occor-re a tal fine, che vengano prima di tutto riconosciuti. Poi analizzati e, infine, che si provveda.Al giorno d’oggi, nell’UE democratica, far fronte alle migrazioni di massa – ostili o meno che siano – è assai più difficile che un tempo. Tra l’Ieri e l’Oggi sta tutta la differenza che comporta “l’età dei diritti” attuale.Il lavoro, le persecuzioni, la fuga dalle calamità conver-gono verso un unico centro: l’Europa.Ma questi eserciti in fuga alla bene e meglio, eserciti di nul-latenenti d’ogni età, spesso e volentieri “armati” di sola, ferrea fede, celano dietro di sé diversi interrogativi legati perlopiù a ragioni di com-patibilità con le società che vanno ad “aggredire”.Ovviamente lo spostamento di masse produce un modifica sostanziale a vari livelli dei paesaggi sociali in cui vanno a stanziarsi.La prima modifica è di tipo visivo. La seconda comporta-mentale. La terza uditiva.Cambia il paesaggio umano, ambientale e finanche archi-tettonico intorno a noi (a Rotterdam interi quartieri sono pezzi di Oriente, qua e la in Europa, mastodon-tiche moschee straripanti si interfacciano a chiese in crisi d’affluenza). Sono sempre più le persone che ci circon-dano che percepiamo come strane, lontane, diverse, che non capiamo un’acca di ciò che dicono. Quando poi a queste differenze tangibili si aggiungono incompatibilità di tipo religioso come nel caso dell’Islam radicale (il vero Islam) la miccia è accesa. E in Europa, questa miccia ha già visto lampeggiare la sua prima scintilla. Dato che tali flussi orientati concen-tricamente sull’Europa – da vari continenti – hanno per la stragrande maggioranza un humus di provenienza musul-mano occorre al più presto “armarsi” dei giusti rimedi per scongiurare cataclismi sociali.Non - come detto – per scan-sare il processo in atto (che molti peraltro si rifiutano proprio di riconoscere), cosa impossibile, ma per ridurre al minimo gli inevitabili conflit-ti sociali.L’Olanda è un esempio straor-dinario di quanto finora detto. È probabilmente il paese in cui i “diritti” sono i più estesi in Europa, in cui l’identità cristiana si è più dissolta, in cui la presenza musulmana cresce più spavalda, grazie anche alla “crisi riproduttiva” in cui versa tutto l’Occidente, a fronte dell’altrui esuberanza in materia.

Ebbene, in questo Eden dell’ “io posso”, ove il multicultu-ralismo è la regola, i contrac-colpi sono stati drammatica-mente eclatanti: dall’uccisione

del leader politico anti-islami-sta Pim Fortuyn alla persecu-zione della dissidente somala Ayaan Hirsi Ali, all’assassinio del regista Theo Van Gogh, condannato a morte per il film “Submission” di denun-cia dei crimini della teocrazia

musulmana. Il successore di Fortuyn, Geert Wilders, vive da sei anni protetto minuto per minuto dalla polizia. Fatti cruenti, spie da non sottova-lutare di un sostrato magma-tico pronto, da un momento all’altro, ad esplodere.I rischi della libertà, si dice. Ma più che libertà, dovrem-mo dire, trattasi di un ecces-sivo laissez faire, di dare per diritto divino tutto a tutti senza nulla pretendere.In soldoni, come detto, si tratta di non saltare – come sistematicamente avviene - a piè pari il primo dei tre passi fondamentali per non venire travolti dall’islamizzazione in atto: riconoscere il fenomeno, studiandone le peculiarità e provvedere.Una volta riconosciuto il fenomeno la reazione dovreb-be essere immediata (e scon-tata): prima di consentire, pretendere.Pretendere l’integrazione cul-turale attraverso la conoscen-za della lingua e delle leggi del paese accogliente. Il possesso di un contratto regolare di lavoro (o quantomeno di una possibilità concreta di lavoro pulito), fedina penale spec-chiata.Soddisfatte tali credenziali, il “candidato all’entrata” può passare alla cassa. Musulmano, buddista, pagano che sia. Non è un fatto di religione, né di pregiudizio, ma di sostenibi-lità. Senza sostenibilità non c’è integrazione. Senza inte-grazione non c’è pace sociale, ma distanza e conflitto. In uno spazio ristretto.Il discorso della recipro-cità, più volte sollevato, è una battaglia di retroguardia. Mettersi al livello di stati ove la democrazia è un miraggio e la teocrazia e la Sharia le uniche realtà riconosciute è fuorviante, se non sciocco. Basterebbe rifarsi al semplice vecchio adagio: posto che vai, usanza che trovi (e rispetti, pena l’espulsione).L’Europa in quanto Unione - o quantomeno coordina-mento (di politiche) –deve mettersi in condizione di selezionare i flussi migratori. Il pattugliamento delle coste non serve a nulla in ottica di

selezione e non fa che som-mare tragedie umane ad altre tragedie.Occorre che la diplomazia si muova con decisione nella direzione di accordi bilaterali (o multilaterali se occorre) – sulla falsariga di quanto fatto

con il patto italo-libico (rela-tivamente alla parte buona dell’accordo, ossia il controllo in loco dei flussi).Chiuder le porte, sbarrare la strada a processo iniziato non rende possibile alcuna buona soluzione.L’islamizzazione incontrollata comporta inevitabili reazioni. Se la maggioranza silenziosa si limita a storcere la bocca, minoranze - ma non per que-sto meno pericolose – orga-nizzate si muovono. Partiti di destra chiaramente xeno-fobi raccolgono un consen-so insperato, puntando tutto sulla lotta agli immigrati e il contagio – amplificato dai media – diffonde il fenomeno “estremista” che prende piede un po’ ovunque. Persino nei paesi che tradizionalmente consideriamo più pacifici e aperti (come la Svezia).Per contro - mentre alle nostre latitudini siamo alle scherma-glie iniziali (della serie cro-cifisso sì-crocifisso no) – in Danimarca, la penetrazione islamica è in stato avanzato e il DAMP, il partito musul-mano danese, non nasconde le proprie ambizioni: islamiz-zare la Danimarca.Già 700.000 musulmani risie-dono in Danimarca (su poco meno di cinque milioni e mezzo di abitanti) e di conse-guenza il partito musulmano punta ad avere una forte rap-presentanza in Parlamento.In base ad un calcolo demo-grafico nient’affatto peregri-no, il DAMP sostiene che entro il 2020 i musulmani costituiranno la maggioranza in Danimarca.Inoltre, il partito conta molto sull’entrata della Turchia nella Unione Europea, in quanto ritiene che sarà l’oc-casione per far giungere molti nuovi immigrati musulmani che andrebbero ad accentua-re ulteriormente il fenomeno demografico in corso.Il primo punto del DAMP consiste nell’inviare un gran numero possibile di deputati musulmani in Parlamento “a prescindere dalle loro idee, dal loro credo religioso o dalle loro opinioni politiche”. È chiaro che fenomeni come quello danese, per ora pre-

senti a macchia di leopardo, se sottovalutati e facile che si estendano nel resto d’Europa, provocando probabilmente reazioni assai poco scandina-ve, bensì piuttosto latine.La problematica veicolata dall’islamizzazione (senza in

questa sede considerare quella di tipo ostile) è che essa può produrre scompensi non solo in entrata, ma anche dall’in-terno se malintegrata, pur se residente da anni.Si osservi a proposito quanto accaduto in Francia con le banlieu. La politica, colpe-volissima, fedele alla vecchia regola “ciò che non mostro non esiste”ha scambiato l’integrazione con la ghettizzazione. Errore gravissimo, visto che ha sostanzialmente confedera-to anzichè unire le culture, mantenendo di fatto distanza e diffidenza tra gruppi socio-culturali diversi, a prescindere dal fatto che fossero nativi o meno. La natività conta zero

se il tuo sistema di valori – a distanza di anni o di secoli - è incompatibile con quello dominante.Fedele replica del meto-do francese è, in pratica, lo scempio di Piazza Vittorio a Roma.Un modello palesemente sba-gliato, vecchio, applicato dai romani con gli ebrei e per gli americani con i neri, sino ad oggi. La negazione assolu-ta dell’integrazione. Sistema che, se applicato al gruppo sociale sbagliato, produce catastrofi.Un discorso particolare in quest’ottica lo merita il secolarismo. Dominante in Europa ha condotto a poco a poco all’allontanamento dalla tradizione giudaico-cristiana, malgrado gli sforzi della Chiesa. Dal secolarismo, procede la desertificazione delle chiese, al cospetto di un Islam che esercita un fortissi-mo richiamo. Tra le religioni monotesiste, l’Islam – nella cattolicissima Italia presente con oltre 1 milione di fedeli – la più in grado di evangeliz-zare. E lo fa anche in territori tradizionalmente ostili come l’Europa.Se alla mancata integrazio-ne – non solo culturale, ma anche territoriale (con ghetti e scempiaggini) – aggiungiamo le implicazioni demografiche (con i cristiani che hanno in media 1,4 figli per donna, e con i musulmani che godono di un tasso di natalità di gran lunga più elevato), non se ne esce: l’integrazione siste-matica di flussi selezionati è l’unica strada.Tornando all’Olanda, Amsterdam e Rotterdam fini-ranno per diventare, a parti-re dal 2015, le prime città europee la cui popolazione è a maggioranza musulmana.

Intorno al 2050, la Russia potrebbe diventare un paese a maggioranza musulmana. Per assumere abbastanza lavoratori necessari a finan-ziare esistenti piani pensio-nistici, l’Europa necessita di milioni di immigrati e questi tendono ad essere in modo sproporzionato musulmani per motivi legati alla pros-simità geografica all’Europa, ai legami coloniali e alle agi-tazioni che imperversano nei paesi a maggioranza musul-mana.A nulla vale senza il succita-to metodo di integrazione, la legge francese anti-hijab, se il provvedimento – di per sé condivisibile, viene attuato in contesto generale di lassismo.All’incapacità degli stati di governare l’islamizzazione montante, la gente è spinta a far da sé. Sorgono partiti dichiaratamente anti-immi-grati; quelli storici, modello-Lega, fanno il pieno di con-sensi concentrandosi tutti sulla battaglia anti-Islam in tutte le sue declinazioni.Il multiculturalismo viene da costoro considerato come risposta debole – o non risposta – alle criticità imposte dai flussi migratori a retroterra islamico (non solo per la verità, campagna anti-Cina docet).E si fa largo l’idea di uno scontro inevitabile, quando è proprio ciò che bisogne-rebbe evitare.Subordinando l’accoglienza a pretese legittime di garan-zia, selezionando l’immigra-zione in basi ai suddetti, ineludibili criteri, proceden-do infine all’integrazione (sostenibile).Ma prima bisogna accorgersi che c’è un fenomeno in atto.

Francesco di Rosa

Dall’Europa all’Eurabia

ra politica interna o meglio per la nostra politica interna pove-ra, una parte considerevole dei file e dei report pubblicati da wikileaks è piuttosto destinata alla crisi iraniana sul dossier nucleare. Le autorità israelia-ne nella disputa con l’alleato americano sui provvedimenti da prendere ne escono un po’ come fratello il coscienzioso e avveduto di famiglia che cerca di far rendere conto che il corteggiamento - leggi la strategia dell’abbraccio diplo-matico - al più riuscirà a dar tempo alla dama sdegnosa - ad Ahmadinejad - per completare il suo disegno ostile – il pro-gramma di armamento nucle-are: Barak, già nel febbraio di quest’anno ammonisce gli USA, che la capacità tecnolo-gica di sfruttare il nucleare a fini bellici sarà a disposizione di Teheran già tra il dicem-bre 2010 e il Gennaio 2011: una prospettiva che lo Stato israeliano non può accetta-re lasciando tutte le opzioni aperte sul tavolo, ivi compresa quella di un attacco aereo.Assange ha reso un servizio alla democrazia mondiale? Con i file di wikileaks è nato un nuovo giornalismo? E’ liber-

tà di stampa? Giacché come noto la diplomazia è l’arte del non detto Assange ha sola-mente operato del killeraggio diplomatico su commissione (di qualcuno o più di uno), la democrazia qui non c’entra nulla e neanche la libertà di stampa.Fa tristezza vedere tanti sper-ticati democratici ingrassa-

re dell’ennesimo schiaffo al Governo italiano, quando il

risultato di tutto questo è stato in un giorno solo quello di un aumento del 200% dello spread tra i titoli del tesoro italiano e quelli tedeschi con un asta per la prima volta andata non del tutto coperta che promette in caso di una crisi di Governo (oggi più che mai probabile) un debito pub-blico italiano fuori controllo:

cominciò così anche per la Grecia e l’Irlanda.

Il nuovo terrorismoDalla Prima

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La Piazza d’Italia - Esteri

Se si da retta al mainstream mediatico, il risultato eletto-rale delle recenti elezioni di mid-term americane, con le quali i cittadini statunitensi erano chiamati a rinnovare 435 membri della Camera dei Rappresentanti, un terzo del Senato, 36 dei cinquanta Governatori e le assemblee legislative degli Stati Federati, sono state una semplice scon-fitta per Barack Obama, vitti-ma di un complotto crudele ordito da bloggers, giornalisti di destra ed i pericolosi popu-listi dei TEA Party.Così pare pensarla anche il Presidente, giacché all’indo-mani della sconfitta, come prima reazione dopo i mea culpa di rito e per il rilan-cio dell’azione politica del suo gabinetto ha pensato ad un’operazione davvero incisi-va, concreta e si dirà progres-sista, come a lui pare esser-gli stato richiesto dal voto popolare: ha infatti lanciato un reality online sulla sua pre-sidenza, dove un giornalista cameraman lo segue ovunque e lo filma in ogni momento.La verità però per BHO è un’altra e non sarà un’esca-motage mediatico a poter dare una rinfrescata alla sua imma-gine appannata: il 4 novem-bre scorso negli Stati Uniti d’America si è avuto un risul-tato elettorale storico, capace di rivaleggiare per importanza con le elezioni del 1946 che travolsero l’Amministrazione Truman.La Camera dei Rappresentanti è passata da una maggioran-za democratica di 255 seggi a 178 ad una repubblicana di 240 seggi a 189, con un Senato di fatto bloccato poi-ché, sebbene i democratici vi mantengano una maggioranza di 53 a 47 seggi dagli iniziali 59 a 41, due seggi demo-cratici dei 53 sono occupati da Senatori poco inclini a seguire il verbo social-radical-progressista dell’Amministra-zione Obama.Il Presidente all’indomani del voto è un’anatra zoppa né più né meno di G.W. Bush alla metà del suo secondo manda-to e l’analisi dei flussi eletto-rali, sempre con riferimento

al Congresso, evidenzia poi un altro pericoloso vulnus per il “The Man” che si appresta alla difesa dello scranno di Pennsylvania Avenue: la tor-nata elettorale che si svolgerà unitamente alle presidenziali del 2012 sarà giocata su un terreno caratterizzato da Stati tradizionalmente più favore-voli ai repubblicani che in più potranno giovarsi della travol-gente vittoria fatta registrare nelle Assemblee Legislative degli Stati (19 Assemblee Legislative statali strappate ai democratici per un totale di 55 a 38 ad appannaggio del partito dell’elefantino).Infatti per la legge statuni-tense in 18 Stati saranno pro-prio le Assemblee Legislative recentemente elette, quasi tutte a maggioranza repub-blicana, a dover modificare le circoscrizioni elettorali sulla base dei dati del censimento 2010, circostanza questa che in un sistema elettorale uni-nominale a turno unico può fare la differenza e determi-nare il destino di più di un seggio chiave.A completare il quadro un pick-up di Governatori a favore del Grand Old Party di +6 per un parziale di 29 a 19 (1 il Rhode Island ad un Governatore indipendente) ed un Paese che ad oggi presen-ta i Governatori democratici come una ridotta arroccata sulle due coste.Ma come è stato possibile tutto questo? Come è stato possibile che in soli due anni, la maggioranza degli ameri-cani abbia voltato la faccia in modo così duro e radicale al Presidente del “Change”?E’ la democrazia bello! Ma vi sarebbe da aggiungere, la democrazia “diretta”. Soltanto con il metodo delle primarie è stato possibile infatti al giova-ne movimento dei TEA Party, nato con l’idea di far tornare il Paese sui passi segnati dai padri fondatori, di spazzare via l’elite burocratica del parti-to repubblicano il cui schema fusionista, ovvero la misce-la politica di valori cari alla destra nazionale, ai neo-con, ai libertarian e alla Christian Coalition dento un’unica

leadership, aveva finito per portare ad un immobilismo di idee che sembrava dover durare decenni.Tutto ciò grazie al sistema delle primarie è stato spazzato via in un attimo grazie alla presentazione nelle primarie del GOP di candidati dei TEA Party e alle elezioni di mid-term ha finito per presentarsi un partito nuovo, in piena sintonia con la sua base.Oggi nel paese a stelle e strisce di poche cose si è certi.Sul fatto che il “Change” di Obama alla fine non abbia rap-presentato sul piano delle rela-zioni internazionali altro che una resa incondizionata e una voglia di atterraggio morbido a favore delle potenze emergenti, Cina e Russia in primis (ma non dimentichiamoci l’inchino al Re Saudita e la considerazione offerta a Chavez il caudillo di Caracas).Che il vero volto del “Change” economico, è rappresentato da uno spaventoso allarga-mento del deficit e del debito, aggravati dopo tutti i bailout di banche ed aziende decot-te, da una riforma sanitaria senza copertura, evidente pre-ludio ad un vasto inasprimen-to delle tasse ed anche alla messa in discussione all’ordi-ne del giorno dell’introduzio-ne dell’europeissimo prelievo fiscale alla fonte anche negli States.Che alla Casa Bianca c’è un Presidente che deve dimo-strare di non essere anti-americano vista la gestione con tante ombre ed amnesie del famigerato progetto della costruzione di una moschea a due passi dal monumento per l’olocausto del World Trade Center.Ragioni queste di un dissenso profondo che hanno finito per scolpire nella pietra l’immagi-ne di un Presidente, gran-de comunicatore ma piccolo politico, non adatto a rivestire il ruolo di Commander in Chief del Paese leader delle democrazie del pianeta.E’ ora arrivato il momento per Barack Obama di dimostrare chi è.

Giampiero Ricci

Ad urne fredde quale il cambiamento politico statunitense

Wikileaks non sorprende ma ditrugge la politica della mano tesa

Elezioni di mid-term

“Rimango un’ottimista non perché possa offrire alcuna prova che la giustizia pro-spererà, ma per via della mia inflessibile fede nel fatto che essa, alla fine, dovrà preva-lere…. La nostra ispirazio-ne può venire soltanto dalla fede che la giustizia debba, in ultimo prevalere” ( Mahatma Gandhi).13 Novembre 2010 Aung San Suu Kyi libera.Bisogna lavorare tutti insie-me, ha detto nel suo primo discorso in pubblico dopo anni di “cattività”, di comune accordo, lasciando intendere la necessità di superare le divi-sioni nell’opposizione, perché soltanto così si potrà raggiun-gere l’obiettivo fondamentale: la democrazia in Myanmar.La base della libertà demo-cratica, ha sottolineato, è la libertà di parola, elemento fondante che le è stato negato per lungo, troppo e inaudito tempo.La leader pacifista, vuole lavo-rare con tutte le forze demo-cratiche e ha dichiarato che c’è democrazia quando il popolo controlla il governo; dunque ha fatto il suo patto con la sua gente: “accetterò che il popolo mi controlli”.Bisogna resistere per quello che è giusto.Aung San Suu Kyi, venti anni di lotte e di tensioni, venti anni di resistenza e d’impegno coerente, venti anni di costan-za e fermezza.Fonda la Lega Nazionale per la Democrazia ( LND) il 27 Novembre del 1988; è segre-

tario generale del partito e alle elezioni del 1990 vince prendendo 392 seggi su 492. Ma non basta.La giunta militare al potere non le permette di formare il governo e così ha inizio il calvario: nel 1990 alcuni rappresentanti eletti fuggo-no dagli arresti compiuti dal regime e formano la coali-zione Nazionale del Governo dell’Unione di Birmania per continuare la lotta per la liber-tà.Ma prima di tutti è lei ad essere privata della sua indi-pendenza; nel Luglio del 1989 è assegnata agli arresti domiciliari, tornerà in liber-tà nel 1995. Nel frattempo, nel 1991 le viene assegnato il Nobel per la pace e con i soldi del premio costituisce un sistema sanitario e di istru-zione per il popolo birmano.Nel Settembre del 2000, due anni dopo aver lanciato un appello alla giunta militare per convocare l’assemblea elet-ta nel 1990, viene di nuovo costretta agli arresti domicilia-ri. Ma grazie alla mediazione dell’inviato speciale dell’Onu in Birmania, Razali Ismail, apre negoziati segreti con i militari al potere e in seguito, nel Maggio del 2002 viene rilasciata in presenza della stampa straniera.Liberata si, ma costantemente in pericolo. Un anno dopo infatti, mentre viaggiava su un convoglio con degli espo-nenti del suo partito, cade in un’imboscata dove muoiono 4 persone secondo il potere e

un centinaio secondo la Lega Nazionale. Aung San Suu Kyi e altri membri del partito ven-gono arrestati e in seguito lei viene nuovamente sottoposta ai domiciliari.Nel Maggio del 2009, mentre sta per terminare la sua pri-gionia, viene trasferita in pri-gione, accusata di aver ospi-tato un cittadino americano e quindi, di aver violato le condizioni della pena.E’ condannata a tre anni di prigione e di lavori forzati, ma “fortunatamente” la sua pena viene commutata in altri 18 mesi di domiciliari.Non finisce mai l’accanimen-to dei dittatori e nel 2010 le leggi elettorali costringono il Partito a scegliere tra l’esclu-sione della loro leader e la rinuncia allo scrutinio; il par-tito sceglie la seconda amara alternativa e quindi viene uffi-cialmente sciolto.La liberazione arriva final-mente allo scadere dei tempi della condanna.“Anche se non siete interessati alla politica”, ha detto al suo primo discorso libero dopo anni di persecuzioni, “è la politica che verrà da voi, per-ché bisogna impegnarsi per difendere ciò che è giusto; l’influenza e l’autorità di una sola persona non possono far progredire un paese”.Dalle nostre parti, molti spe-rano che anche nel nostro paese sia la politica ad arrivare ai cittadini; ci sono persone pronte ad accoglierla ma essa non pare avere la prontez-za, l’adeguatezza necessaria,

la nobiltà e il carattere forte perché sia degna del popolo che pretende con arroganza di rappresentare; c’è bisogno di leaders come Aung San Suu Kyi che risveglino la propria gente a resistere per ciò che è giusto e cosa giusta non c’è quando esponenti della politi-ca, magari nei comizi, magari in tv, magari ai giornali, dico-no che ci sono argomenti che ai cittadini non interessano.Non c’è bisogno di leaders che stabiliscano di cosa il popolo voglia sentir parlare o meno: della macchina dello Stato, delle strategie politi-che, dei fatti di palazzo, delle alleanze e delle sottigliezze, delle manovre e dei retrosce-na, dell’economia e del socia-le, di tutto questo invece si vuole sapere, perché si tratta del nostro paese e dei nostri interessi rappresentati.Il cittadino c’è, ma dall’altra parte c’è solo un potere chiuso in se stesso che gestisce per

sé la politico come un gioco e che pretende di comanda-re a cosa l’opinione pubblica debba prestare attenzione, a quale dibattito debba parte-cipare .C’è bisogno di un leader che dica “sarà la politica che verrà da voi”, che dichiari di accetta-re che sia il popolo a control-larlo; c’è necessità ed urgenza di leaders che santifichino l’in-dipendenza e la partecipazione, no di leaders che facciano della rappresentanza parlamenta-re un misto tra esoterismo e paternalismo.Le ultime elezioni del 7 Novembre 2010 in Myanmar sono state una farsa, Aung San Suu Kyi non ha potuto partecipare col suo partito, coi suoi dirigenti, ma ora il popolo potrà contare su una donna che saprà fare gli inte-ressi della maggioranza degli elettori.Gandhi affermava che “il pos-sesso del potere rende gli uomi-

ni ciechi e sordi, incapaci di vedere cose che sono sotto il loro stesso naso e di sentire cose che rintronano nelle loro orecchie. Non si riesce, quindi, nemmeno a immaginare che cosa un governo intossicato dal potere non sia capace di fare. Così gli individui patriottici dovrebbero tenersi pronti alla morte, all’imprigionamento e ad eventualità simili”; Aung San Suu Kyi, leader pacifista e grande seguace del Mahatma, ha messo in pratica con ogni sforzo e sacrificio il suo insegna-mento ed è di grande ammira-zione l’impronta sana che lei è riuscita ad imprimere tra la sua gente.“La democrazia deve, in sostanza significare l’arte e la scienza di mobilitare ogni risorsa fisica, economica e spi-rituale di tutti i settori popo-lari per il servizio del bene comune generale” (Gandhi).

Ilaria Parpaglioni

Aung San Suu Kyi e’ libera“..e’ la politica che verrà da voi, perchè bisogna impegnarsi a difendere ciò che è giusto”

Alla fine poche sono state le rivelazioni che hanno sorpreso nell’archivio che è uscito di Wikileaks.Le considerazioni grossolane e caricaturali che dei funzionari hanno fornito di alcuni leader mondiali fanno sorridere e a ragione.Non sono altro che luoghi comuni che potrebbero essere sentiti in un bar o dal bar-biere.Quello che invece è estre-mamente interessante è come esce la politica estera dall’am-ministrazione Obama da que-ste pubblicazioni. Il presiden-te degli Stati Uniti ha sempre cercato di cambiare rotta, rispetto a quanto fatto dal suo predecessore, praticamente in tutti i contesti, in alcuni casi si è dovuto ricredere e spesso la realtà delle cose lo dovrebbe spingere a tornare sui suoi passi.La situazione mondiale, gli equilibri delicatissimi che resistono a stento nella parte medio orientale del globo rischiano di rompersi perché nelle dichiarazioni riserva-te del personale diplomatico USA la realtà è dipinta come Obama non la vede o non vorrebbe vederla.Quando Israele ha dichiarato nel 2009 che l’Iran avreb-be avuto l’arma atomica nel giro di 12/18 mesi gli USA, l’ONU e tutto il resto del mondo ci hanno quasi scher-zato su, la politica della mano tesa obamiana, quella linea del “volemose bene” ha con-tagiato per mesi, anni tutti. Sembrava che il mondo si fosse incantato di fronte ad un nuovo che è avanzato ma che poi, con il peso delle enormi speranze in lui riposte, è eva-porato nel nulla.“Sorprendentemente” la

paura del nucleare iraniano, che spaventa lo Stato ebraico da anni, nelle pubblicazioni rubate da Wikileaks, appare come un vero e proprio incu-bo per tutti gli Stati del Golfo Persico. In molti dei leader dell’area hanno chiesto agli USA maggiore “decisione” per evitare il peggio, che non è una guerra ma la possibilità di una vera e propria corsa al nucleare che non si farà atten-dere ancora per molto.Paesi come la Giordania e l’Egitto sanno che con la pro-tezione del nucleare iraniano non ci sarà limite per i Fratelli Mussulmani che minacciano di destabilizzare Stati più mode-rati. Organizzazioni terroristi-che come Hamas e Hezbollah si sentiranno completamente protette e libere di agire secon-do i loro folli progetti, condivi-si, di cancellare Israele.Il Re saudita ha chiesto agli americani di “tagliare la testa al serpente” mentre viene da un ministro arabo l’accosta-mento tra Ahmadinejad e Hitler.Israele forse è l’unico Paese dell’area, non allineato con l’Iran, ad avere interesse per una soluzione politica e non militare perché in caso di un improbabile attacco ai siti ira-niani da parte di una “coali-zione”, mentre gli altri Stati, almeno in un primo momen-to, difficilmente verrebbero attaccati, per affinità religiose e per evitare di dividere il fronte arabo nella guerra al grande e al piccolo Satana, lo Stato ebraico verrebbe attaccato immediatamente con perdite immense, al di là dell’esito del conflitto che ne deriverebbe.Qui sta il fallimento della politica di questa amministra-zione USA, perché la paura è

l’ingrediente che più nuoce a negoziati che richiedono sag-gezza e lungimiranza.Netanyahu questo lo sa e non si fida della sponda debole che offrono gli Stati Uniti in que-sto momento e soprattutto sa che la soluzione del micro-conflitto con i palestinesi, su cui tanto punta Obama, non sarà la soluzione al problema mediorientale ma una distra-zione che porterà il vero nemi-co della pace nell’area, l’Iran, ad armarsi, indisturbato.Wikileaks ha dato, con la pub-blicazione dei file, maggiore credibilità a Israele ma anche un potere enorme all’Iran: avere tanti nemici (più o meno dichiarati) e non subire alcuna conseguenza fa della Repubblica islamica un sogget-to estremamente forte mediati-camente e politicamente.Sicuramene ne esce a pezzi l’ultima ex super potenza del mondo.Chi è dunque il Re nudo o l’inaffidabile? E’ qualche leader europeo o è un americano?Le dinamiche geopolitiche nella storia non sono cambiate nel tempo di un mandato pre-sidenziale e non cambieranno per il colore della pelle di un Presidente perché, anche se il suo popolo lo ha eletto, superando antichi pregiudizi (cosa ancora da dimostrare), il resto del mondo, che a quelle elezioni non ha partecipato se non per cavalcare in modo meschino l’ondata di nuovo ottimismo, è rimasto tale e quale con le stesse reciproche diffidenze, con tensioni che si incancreniscono con il passare del tempo e con la sempre più disperata necessità di una guida sicura e forte che in questo momento non c’è.

Gabriele Polgar

Obama, il Re è nudo

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La Piazza d’Italia - Attualità

“Fair Game non intende esse-re un documento prettamente storico e neppure polemico a livello politico, è il ritratto emo-tivo di due persone straordina-rie, coraggiose e determinate che si trovano intrappolate in una storia devastante e di un matrimonio che supera l’esame più estremo”Naomi Watts e il premio Oscar Sean Penn tornano a recitare insieme nel film Fair Game-Caccia alla spia. I due attori si sono ritrovati sul set dopo quasi sei anni dal loro ultimo lavoro (The assassination), per vestire i panni dell’agente della CIA Valerie Plame e di suo marito Joseph Wilson. Una pellicola di denuncia ispirata ad una storia vera, affidata alla regia di Doug Liman (The Bourne Identity, Mr&Mrs Smith e Jumper-senza confini), in concorso all’ultimo Festival di Cannes.Il film è l’ultima dimostrazio-ne dell’esistenza di una corren-te hollywoodiana, impegnata politicamente,che attraverso gli strumenti messi a disposizione dall’indu-stria e l’utilizzo degli stilemi di generi forti come il thriller, denunciano gli errori politici e non degli States.La storia è quella, vera, dell’agen-te della CIA Valerie Plame,

screditata dal Governo statu-nitense a seguito di un articolo scritto dal marito ambasciatore, in cui apertamente viene criti-cata l’amministrazione Bush in Iraq. La lotta che i due coniu-gi devono affrontare (con non poche ripercussioni all’interno del loro matrimonio) contro quel che la Casa Bianca voleva mettere a tacere, è racconta-ta dal regista con un’esplicita

rinuncia all’azione e alla spet-tacolarità che hanno sempre caratterizzato le sue pellicole precedenti. Non mancano ten-sione e ritmo, ma il cuore della narrazione è la dimensione drammatica della vicenda pri-vata di un uomo e una donna che vedono ricadere sul loro matrimonio e i loro rapporti le scelte delicate che fanno, così come quelle che non fanno.Liman e gli sceneggiatori (i fra-telli Butterwoth) intuiscono che sarebbe stato tardivo scrivere un film che si fosse limitato a denun-ciare le bugie dell’amministrazio-ne Bush utilizzate per legittimare l’invasione dell’Iraq all’indomani dell’11 settembre e nella storia dei coniugi Wilson sviluppano e mettono in risalto l’importanza dei valori e della verità prendendo spunto dal contesto cronachistico che lo genera.L’esigenza della ricerca della verità e della trasparenza, è ampia. Riguarda il discorso pubblico come quello privato di due persone costrette per troppo tempo ad imporsi silen-zio e bugie. Si potrebbe pensare a due facce della stessa meda-glia, due aspetti interdipendenti perché quando salta un preca-rio equilibrio da un lato, anche l’altro ne risente. Fair Gam sug-gerisce che la scintilla del cam-

biamento è destinata a partire sempre dal basso per intaccare l’alto, ma come prevedibile è difficile non cadere nella reto-rica che emerge soprattutto nel finale con il risultato di una confezione corretta ma sconta-ta. L’altra faccia della medaglia però, grazie al suo concentrarsi sulle dinamiche psicologiche e di coppia mette in risalto un discorso politico alto.

Quante volte ci è venuta voglia di spaccare il nostro pc, lancia-re il nostro telefono contro il muro ecc.?Personalmente molte volte, vuoi perché sono uno di quegli utenti che non si fermano mai e che spremono il proprio gadget tecnologico fino a squagliarlo, vuoi perché mi piace vedere il limite di utilizzo.Proprio per questo, anche se amante della tecnologia, devo accettare e fare mie alcune cri-tiche che vengono mosse dalle generazioni meno avvezze al digitale perché, da qualche anno soprattutto, c’è la moda (insana) da parte delle case pro-duttrici di accelerare troppo i processi e mettere sul mercato prodotti a volte eccessivamente acerbi.Schiave dei funambolici tempi dell’era tecnologica che loro stesse hanno reso così inesora-bilmente rapidi, si inseguono l’una con l’atra cercando di innovare, copiare o distruggere con un ritmo incessante e ecces-sivo anche per loro.A cosa mi riferisco?Nello specifico ad apparecchi che non rispettano gli standard per cui sono fatti, telefoni che non telefonano ma che fanno tante altre cose tranne quello per cui sono fabbricati, compu-ter che scaldano come termosi-foni mentre si impallano facen-do risparmiare nelle stagioni più fredde ma che non fanno quello per cui li si compra, sof-tware che escono con due anni di anticipo rispetto al dovu-to creando enormi problemi all’utente che improvvidamente non si è preoccupato di fare un back up dei dati ecc.Ma perché tutto questo?La risposta potrebbe apparire ingenua ma è solo per rispar-miare: si innesca una sorta di

circolo vizioso in cui le case produttrici, invece di speri-mentare e controllare la qualità dei prodotti, li immettono sul mercato e dalle testimonianze/rimostranze dei clienti aggiu-

stano il tiro. Quando possibile per migliorare il prodotto già acquistato (software e quando possibile hardware) altrimenti per quello che sarà prodotto successivamente in barba al consumatore.Non è neanche un problema di immagine perché è una politica ampiamente diffusa e non da scampo allo sventurato con-sumatore trasformato in tester pagante, lo fanno tutti.Un esempio potrebbe chiarire alcuni aspetti.Molti, quasi tutti, conoscono Apple, quasi tutti abbiamo qualcosa generata dalla mente geniale di Steve Jobs, ebbene quando la casa della mela stava uscendo da una crisi profon-da, una decina di anni fa, fece

entrare sul mercato il suo rivo-luzionario sistema operativo Mac OS X.Decisamente innovativo, sicu-ro, stabile ed inesorabilmen-te lento. Vista la portata delle

novità introdotte dal nuovo sistema la prima versione fu un incubo per tutti coloro che si erano avvicinati alla rivoluzio-ne di Jobs stanchi del vecchio Mac OS 9 e soprattutto di Windows.Dopo un anno uscì la secon-da versione, un notevole passo avanti ma ancora al di sotto degli standard. Sono servite altre due versioni per poter soddisfare le esigenze degli utenti e questo perché man mano che le versio-ni si susseguivano, sui forum (al tempo i blog non esistevano), sulle riviste, ecc. i possessori di quel nuovo sistema manifesta-vano le loro idee pro e contro le novità introdotte permettendo ad Apple di migliorare senza doversi affidare a sondaggi e ipo-

tetici pareri di esperti che rappre-sentano comunque un’incognita quando si parla di investimenti ingenti e soprattutto di un pro-getto che ha portato all’aumento di circa quattro volte del valore delle azioni.Un altro esempio è Windows Vista ma per evitare di urtare chi è passato per questo incubo evito di elencare i difetti di un prodotto che, a distanza di anni, si può dire che non aveva problemi di immaturità ma di pessima progettazione.Questa digressione per spingere ad una riflessione: vale la pena aggiornarsi in tempi sempre più veloci? Non sempre, anzi quasi mai, il nuovo è tanto migliore di ciò che utilizziamo e soprat-tutto non sempre è pronto per arricchire l’utilizzo che faccia-mo delle cose.Riflettiamo anche se poi andre-mo veramente ad utilizzare quelle novità al di la del gusto di averle.Un comportamento meno consumistico ridurrebbe que-sta fame di cambiamento alla sola nicchia degli appassio-nati rendendo il mercato più maturo, favorendo una qualità decisamente migliore di quanto acquistato e per questo non andrebbe a ridurre il fatturato dei produttori.Si tornerebbe ad avere apparec-chi migliori per anni e non per mesi e soprattutto potremmo dedicarci al loro utilizzo reale invece di impiegare il tempo a cercare gli aggiornamenti del momento.Molta retorica ma ogni tanto bisognerebbe fermarsi e valutare se le grandi novità che vengono proposte sono frutto di una vera rivoluzione, che vale qualche sacrificio e qualche incertezza, o di puro marketing.

Gabriele Polgar

Quando si parla di biblioteca si pensa subito ad un luogo ricco di scaffali colmi di libri classificati e ordinati per nome e tipologia; però da quando il mondo della telematica è sbarcato nella quotidianità delle nostre giornate ecco che le raccolte di tomi diventano multimediali facendo nasce-re le cosiddette mediateche, luoghi nei quali sono conser-vati produzioni multimedia-li contenute in vari supporti: videocassette, cd, dvd, pellicole cinematografiche. Ma a volte,

anche le biblioteche multime-diali si consacrano ad un solo tema proprio come ha fatto la ‘Biblioteca multimediale del Libro antico di cucina’ che si trova a 120 Km da Roma, a Tuscanica, in provincia di Viterbo. Il filo conduttore, ovvero l’arte culinaria, di tutto il patrimonio culturale conte-nuto nella sala multimediale, consta di oltre centomila pagi-ne scannerizzate e consultabili sui computer della nuova sede della Boscolo Etoile Academy www.istitutoetoile.it.

Sono oltre 200 i libri anti-chi, schede tecniche di ingre-dienti, illustrazioni e imma-gini, curiosità e molto altro riguardo al mondo culinario. Il catalogo dei libri è di pregio sia per via per della rarità di alcuni testi sia per i diversi argomenti : dai buffet creati-vi alla pasticceria, ma anche ricette tradizionali e innova-tive, cucina mediterranea e semifreddi.Nella mediateca multimediale del Boscolo Etoile Academy si possono ‘scaricare’ testi rari e antichi come ad esempio l’Er-bario del medico senese Pier Andrea Mattioli, un manuale di erboristeria salutistica che sarà poi utilizzato a lungo nel mondo della botanica per la determinazione delle piante.Come ogni mediateca che si rispetti esiste anche la possi-bilità di consultare una ricca collezione di dvd che permet-te di scegliere e visionare il filmato della ricetta a cui si è interessati. Inoltre, sono a disposizione degli utenti visi-tatori cd-rom di cucina con proposte di antipasti, primi e secondi piatti, cucina saluti-stica e dessert.Al riguardo Rossano Boscolo, presidente dell’Istituto e chef pluridecorato, ideatore della scuola e collezionista appassionato si esprime così:

‘’Colleziono libri antichi di cucina da venticinque anni. Come per tutti i collezioni-sti, è nata a un certo punto l’esigenza di condividere questi testi, renderli dispo-nibili. Nessuno finora aveva mai avuto il coraggio di farlo con libri del genere, anche

per gli alti costi che com-porta il doverli scansionare tutti per renderli pubblici. Operazione, tra l’altro, molto rischiosa anche per la delica-tezza del testo. Questi volumi non possono essere sfoglia-ti, quindi sarebbe limitativo tenerli sotto bacheca. Ecco perché la digitalizzazione di questo patrimonio, pagina per pagina, è unica al mondo.

Sono circa 100mila pagine, dal 1600 in poi’’.L’opera architettonica nella quale alloggia la collezione di media culinari era originaria-mente un convento del 1400, che l’Academy ha provveduto a recuperare. La struttura com-prende anche ‘’l’Orto botani-

co’’, ovvero un percorso didat-tico tra 170 specie di erbe aro-matiche e ortaggi di stagione. ‘’La prima volta, che ho messo mano ai fornelli, avevo quat-tordici anni - ricorda Boscolo -. Era il 1968. Mi ricordo benis-simo che uno dei piatti che mi veniva meglio era il filetto alla Duca di Wellington, che è un filetto arrotolato su un patè di fegato grasso, arrotolato nel

prosciutto e completato con la sfoglia’’.La superficie della sede del Boscolo di Tuscania è di 2500 metri quadri con 17.000 di parco e ospita, oltre alla mediateca, sei laboratori: uno di cucina professionale, due di pasticceria e panificazione di cui un’aula magna con 48 posti a sedere, una con posta-zioni singole anche per gli amatori, un panificio dotato di forno a legna, una sala per la teoria ad alta tecnologia, ma anche un hotel a quattro stel-le con trentadue camere, un ristorante e un shop nel quale i clienti potranno acquistare un’ampia gamma di offerte: dalla minuteria specializzata ad una vasta scelta di prodotti di alta qualità, selezionati dai professionisti Boscolo Etoile. Disponibile una vetrina di specialità gastronomiche pro-dotte e selezionate diretta-mente dalla scuola.La cultura gastronomica, secondo la Boscolo Academy, è una ricchezza da rispettare e valorizzare come delle pre-ziosità antiche. L’arte culina-ria come un tesoro culturale, come punto di attrazione per il turismo, ma anche come opportunità di lavoro, per i giovani e per chi vuole ambire a diventare un ottimo cuoco.

Alice Lupi

Fair Game

Tecnologia schiava di se stessa

Biblioteca multimediale del Libro antico di cucina

...e noi di lei