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La coalizione di centro destra PdL - Lega Nord dopo aver trionfato due anni orsono nelle elezioni politiche e l’anno scorso in quelle europee assesta un nuovo, terribile colpo alle velleitarie ambizioni di rivincita del Partito Democratico e dei suoi alleati politici. Infatti, malgrado gli scandali o pseudo tali che hanno coinvolto il Primo Ministro e alcuni uomi- ni politici del centro destra, a dispetto della campagna di stam- pa permanentemente incentrata su tematiche che poco avevano a che vedere con la politica che certe testate giornalistiche hanno continuamente portato avanti, nonostante la crisi economica ben lungi dall’essere superata dal nostro Paese, malgrado i conti- nui dissidi tra Berlusconi e Fini e la struttura ancora traballante del Popolo della Libertà, ovvian- do ai pasticci nella presentazione delle liste, alla politica dei “due forni” di qualche ex alleato e alla netta flessione del numero dei votanti, ebbene malgrado tutto ciò, grazie all’impegno soprattut- to di Berlusconi e dei candidati Governatori, PdL e Lega hanno strappato dalle mani del centro sinistra importanti amministra- zioni regionali che da tempo in mani avverse. Il centro destra governava alla vigilia di quest’ultimissima tor- nata elettorale solo due Regioni - Lombardia e Veneto - rispet- to alle undici tenute dal Partito Democratico e dai suoi alleati. Ebbene alla fine dello scrutinio dei voti gli uomini guidati da Berlusconi e Fini, oltre a mante- nere il controllo delle due regioni del Nord del Paese hanno ricon- quistato il Lazio, la Campania, la Calabria ed il Piemonte. In Lombardia è stato confermato per la quarta volta consecutiva alla carica di Governatore, Roberto Formigoni, che con il 56% dei suffragi ha sbaragliato il diretto avversario, Penati, sostenuto dai partiti di centro sinistra, fermatosi quest’ultimo ad un misero 33%. Nel Veneto, feudo fino a qualche mese fa di Galan, il candidato di PdL e Lega, il Ministro dell’Agri- coltura Zaia, ha travolto sotto una vera e propria valanga di voti l’aspirante Governatore della coa- lizione di centro sinistra: 62% per il leghista contro il 29% scarso di Bortolussi. Nel Lazio invece, dopo un testa a testa durato tutta la notte, Renata polverini ha superato per poche migliaia di voti - circa 77 mila - la radicale Emma Bonino sostenuta dal centro sini- stra unito. Si conclude in questo modo la storia romana del pote- re Veltroniano, dopo la caduta del comune di Roma ad opera di Gianni Alemanno, costruito pezzo a pezzo durante gli anni di dominio incontrastato della sinistra capitolina: dopo il nulla del ”Piacione” Rutelli, la fatui- tà delle notti bianche di Walter l’Americano, il degno finale costi- tuito dalle recenti “marrazzate” regionali che la discreta Bonino ha tentato - inutilmente - con le unghie e con i denti di far dimen- ticare agli elettori laziali. Note dolenti per il centro sini- stra italiano provengono pure dal Meridione. In Campania - fino a qualche mese fa proprietà incontrastata del Governatore Bassolino - l’ex socialista Caldoro appoggiato da PdL e UDC ha battuto, 54 % dei suffragi contro il 45%, il sindaco di Salerno De Luca: evidentemente il buon lavoro del Governo Berlusconi in occasione dell’emergenza rifiuti ha portato i suoi frutti. Altra sonante vittoria il centro destra l’ha raggiunta in Calabria dove il sindaco “ex-AN” Scopelliti ha surclassato il Governatore uscente di centro sinistra Agazio Loiero: 58% alla coalizione di centrodestra contro il 32% raci- molato da Partito Democratico e suoi alleati con l’esclusione dell’IdV che in Calabria puntava tutto su un proprio cavallo di razza, l’imprenditore Callipo. Risultato ribaltato pure in Piemonte - ancora più all’ultimo respiro rispetto a quanto accaduto nel Lazio - dove il Leghista Cota ha sconfitto con solo diecimila voti di scarto la Presidente uscen- te Mercedes Bresso: anche qui come nella Regione conquistata dalla Polverini i voti vincenti per il centrodestra sono venuti dalle province in confronto ai risultati ottenuti nei rispettivi capoluoghi, Roma e Torino, dove le coalizioni di centro sinistra hanno ottenuto più consensi. A tirare le somme i partiti di centro destra al Governo si posso- no ritenere più che soddisfatti in merito ai risultati scaturiti dall’esi- to di queste elezioni. Il Popolo della Libertà grazie soprattutto alla discesa in campo in prima persona del Presidente del Consiglio ha avuto la marcia in più che ha permesso la conqui- sta di alcune regioni fondamentali in mano al centro sinistra nono- stante il calo delle sue preferenze che ad esempio nel Veneto hanno visto il sorpasso della Lega nei riguardi del PdL. Alla vigilia tutti i partiti d’opposizione - speran- zosi di ripetere in Italia ciò che era accaduto solo una settimana prima in Francia dove le sini- stre avevano duramente sconfit- to nelle amministrative il centro destra al Governo - affermavano che quello di domenica scorsa sarebbe stato oltre che un test locale anche una specie di son- daggio generalizzato per sondare quanta fiducia gli italiani ripones- sero ancora nel Cavaliere: ebbene il “referendum” ha avuto un esito positivo per Berlusconi. Si è constatato quindi per l’en- nesima volta che attraverso il “Governo del fare” - vedi il già citato caso dei rifiuti in Campania, della ricostruzione post terremoto Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-31 Marzo 2010 - Anno XLV - NN. 75-76 E 0,25 (Quindicinale) In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy — Fondato da Turchi — Netanyahu in USA per chiarire — a pagina 4— ESTERI Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 La Piazza d’Italia Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina COPIA OMAGGIO www.lapiazzaditalia.it di FRANZ TURCHI — a pagina 7 — ATTUALITÀ Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia www.lapiazzaditalia.it Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti Credo che il vero soggetto vincitore questa volta sia stato l’astensionismo, mai stato così alto nelle nostre elezioni sia di carattere regionale che nazionale. Oltre, infatti, alla vittoria di Berlusconi e Bossi in queste elezioni, chiare a tutti, anche all’opposizio- ne, incomincia ad esserci un fenomeno, quello del calo dell’affluenza, che era conosciuto in questi termi- ni solo in USA (e recente- mente in Francia). Cosa fare? La vera questione è politica da una parte ed economica dall’altra. Politica: nel cercare di dare risposte con un contenito- re, come fa la Lega al Nord, ma in questo caso per il Sud, che riguarda esigenze di sicurezza, difesa di posti di lavoro e soprattutto dife- sa di valori fondamentali (Dio, Patria e Famiglia). Se ci sarà di nuovo da parte del PDL e dei suoi alle- ati la risposta al sud per questi temi, allora molta gente datasi all’astensioni- smo sarà riconvertita; tutto questo sarebbe realizzato in modo più veloce e strin- gente con una buona classe dirigente che faccia politica seriamente sul territorio. Economica: nel senso di incominciare a dare rispo- ste alla crisi soprattutto per la PMI, cioè, ad esempio, attuare la riforma del paga- mento dell’IVA, o meglio farla pagare all’incasso della fattura. Proporre un’IVA agevolata al 10% dopo aver concor- dato con l’Europa i settori e la tempistica; sbloccan- do i grandi lavori con una centralità in termini opera- tivi e migliorando la legge obbiettivo. Se faremo anche solo in parte quello che è elencato, fra tre anni i risultati poli- tici si vedranno. Silenzio amaro in RAI L’astensionismo Segue a pagina 2 Malgrado tutto Il PDL strappa sei regioni e la provincia de L’Aquila: da nord a sud funziona la tattica dal Cavaliere

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L’astensionismo - Malgrado tutto - Il Popolo della Libertà in piazza - Crisi: european pact for structural reforms - La via italiana nel capitalismo internazionale - Usa - Israele: tensioni inopportune - Netanyahu in USA per chiarire - Legittimo impedimento pro tempore - Connotati di una società democratica - Caos infinito - Silenzio amaro in RAI - L’Amarone si presenta in anteprima - Passeggiate di primavera lungo la strada del Recioto

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La coalizione di centro destra PdL - Lega Nord dopo aver trionfato due anni orsono nelle elezioni politiche e l’anno scorso in quelle europee assesta un nuovo, terribile colpo alle velleitarie ambizioni di rivincita del Partito Democratico e dei suoi alleati politici.Infatti, malgrado gli scandali o pseudo tali che hanno coinvolto il Primo Ministro e alcuni uomi-ni politici del centro destra, a dispetto della campagna di stam-pa permanentemente incentrata su tematiche che poco avevano a che vedere con la politica che certe testate giornalistiche hanno continuamente portato avanti, nonostante la crisi economica ben lungi dall’essere superata dal nostro Paese, malgrado i conti-nui dissidi tra Berlusconi e Fini e la struttura ancora traballante del Popolo della Libertà, ovvian-do ai pasticci nella presentazione delle liste, alla politica dei “due forni” di qualche ex alleato e alla netta flessione del numero dei votanti, ebbene malgrado tutto ciò, grazie all’impegno soprattut-to di Berlusconi e dei candidati Governatori, PdL e Lega hanno strappato dalle mani del centro sinistra importanti amministra-zioni regionali che da tempo in mani avverse.Il centro destra governava alla vigilia di quest’ultimissima tor-nata elettorale solo due Regioni - Lombardia e Veneto - rispet-to alle undici tenute dal Partito Democratico e dai suoi alleati. Ebbene alla fine dello scrutinio dei voti gli uomini guidati da Berlusconi e Fini, oltre a mante-

nere il controllo delle due regioni del Nord del Paese hanno ricon-quistato il Lazio, la Campania, la Calabria ed il Piemonte.In Lombardia è stato confermato per la quarta volta consecutiva alla carica di Governatore, Roberto Formigoni, che con il 56% dei suffragi ha sbaragliato il diretto avversario, Penati, sostenuto dai partiti di centro sinistra, fermatosi quest’ultimo ad un misero 33%. Nel Veneto, feudo fino a qualche mese fa di Galan, il candidato di PdL e Lega, il Ministro dell’Agri-coltura Zaia, ha travolto sotto una vera e propria valanga di voti l’aspirante Governatore della coa-lizione di centro sinistra: 62% per il leghista contro il 29% scarso di Bortolussi.Nel Lazio invece, dopo un testa a testa durato tutta la notte, Renata polverini ha superato per poche migliaia di voti - circa 77 mila - la radicale Emma Bonino sostenuta dal centro sini-stra unito. Si conclude in questo modo la storia romana del pote-re Veltroniano, dopo la caduta del comune di Roma ad opera di Gianni Alemanno, costruito pezzo a pezzo durante gli anni di dominio incontrastato della sinistra capitolina: dopo il nulla del ”Piacione” Rutelli, la fatui-tà delle notti bianche di Walter l’Americano, il degno finale costi-tuito dalle recenti “marrazzate” regionali che la discreta Bonino ha tentato - inutilmente - con le unghie e con i denti di far dimen-ticare agli elettori laziali.Note dolenti per il centro sini-stra italiano provengono pure dal

Meridione.In Campania - fino a qualche mese fa proprietà incontrastata del Governatore Bassolino - l’ex socialista Caldoro appoggiato da PdL e UDC ha battuto, 54 % dei suffragi contro il 45%, il sindaco di Salerno De Luca: evidentemente il buon lavoro del Governo Berlusconi in occasione dell’emergenza rifiuti ha portato i suoi frutti.Altra sonante vittoria il centro destra l’ha raggiunta in Calabria dove il sindaco “ex-AN” Scopelliti ha surclassato il Governatore uscente di centro sinistra Agazio Loiero: 58% alla coalizione di centrodestra contro il 32% raci-molato da Partito Democratico e suoi alleati con l’esclusione dell’IdV che in Calabria puntava tutto su un proprio cavallo di razza, l’imprenditore Callipo.Risultato ribaltato pure in Piemonte - ancora più all’ultimo respiro rispetto a quanto accaduto nel Lazio - dove il Leghista Cota ha sconfitto con solo diecimila voti di scarto la Presidente uscen-te Mercedes Bresso: anche qui come nella Regione conquistata dalla Polverini i voti vincenti per il centrodestra sono venuti dalle province in confronto ai risultati ottenuti nei rispettivi capoluoghi, Roma e Torino, dove le coalizioni di centro sinistra hanno ottenuto più consensi.A tirare le somme i partiti di centro destra al Governo si posso-no ritenere più che soddisfatti in merito ai risultati scaturiti dall’esi-to di queste elezioni.Il Popolo della Libertà grazie

soprattutto alla discesa in campo in prima persona del Presidente del Consiglio ha avuto la marcia in più che ha permesso la conqui-sta di alcune regioni fondamentali in mano al centro sinistra nono-stante il calo delle sue preferenze che ad esempio nel Veneto hanno visto il sorpasso della Lega nei riguardi del PdL. Alla vigilia tutti i partiti d’opposizione - speran-zosi di ripetere in Italia ciò che era accaduto solo una settimana prima in Francia dove le sini-stre avevano duramente sconfit-to nelle amministrative il centro

destra al Governo - affermavano che quello di domenica scorsa sarebbe stato oltre che un test locale anche una specie di son-daggio generalizzato per sondare quanta fiducia gli italiani ripones-sero ancora nel Cavaliere: ebbene il “referendum” ha avuto un esito positivo per Berlusconi.Si è constatato quindi per l’en-nesima volta che attraverso il “Governo del fare” - vedi il già citato caso dei rifiuti in Campania, della ricostruzione post terremoto

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-31 Marzo 2010 - Anno XLV - NN. 75-76 E 0,25 (Quindicinale)

In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romaninaper la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy

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di FRANZ TURCHI

— a pagina 7 —

ATTUALITÀ

Ricco, continuamente aggiornato:arriva finalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia

www.lapiazzaditalia.itUna Piazza di confronto aperta aldibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuoveidee e nuovi contenuti

Credo che il vero soggetto vincitore questa volta sia stato l’astensionismo, mai stato così alto nelle nostre elezioni sia di carattere regionale che nazionale. Oltre, infatti, alla vittoria di Berlusconi e Bossi in queste elezioni, chiare a tutti, anche all’opposizio-ne, incomincia ad esserci un fenomeno, quello del calo dell’affluenza, che era conosciuto in questi termi-ni solo in USA (e recente-mente in Francia).Cosa fare?La vera questione è politica da una parte ed economica dall’altra.Politica: nel cercare di dare risposte con un contenito-re, come fa la Lega al Nord, ma in questo caso per il Sud, che riguarda esigenze di sicurezza, difesa di posti di lavoro e soprattutto dife-sa di valori fondamentali (Dio, Patria e Famiglia). Se ci sarà di nuovo da parte del PDL e dei suoi alle-ati la risposta al sud per questi temi, allora molta gente datasi all’astensioni-smo sarà riconvertita; tutto questo sarebbe realizzato in modo più veloce e strin-gente con una buona classe dirigente che faccia politica seriamente sul territorio.Economica: nel senso di incominciare a dare rispo-ste alla crisi soprattutto per la PMI, cioè, ad esempio, attuare la riforma del paga-mento dell’IVA, o meglio farla pagare all’incasso della fattura.Proporre un’IVA agevolata al 10% dopo aver concor-dato con l’Europa i settori e la tempistica; sbloccan-do i grandi lavori con una centralità in termini opera-tivi e migliorando la legge obbiettivo.Se faremo anche solo in parte quello che è elencato, fra tre anni i risultati poli-tici si vedranno.

Silenzio amaroin RAI

L’astensionismo

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Era una Piazza San Giovanni festosa, senza bava alla bocca - come purtroppo siamo sempre più spesso abituati a vedere - quella gremita da iscritti e simpatizzanti del centro-destra sabato scorso a Roma.La riuscita manifestazione, che è stata fortissimamente voluta dal Presidente del Consiglio in persona, ha rappresentato quindi l’ennesima dimostra-zione dell’attrazione che la carismatica figura di Silvio Berlusconi esercita sulla gente comune, a prescindere dagli attacchi più o meno personali che da ormai un quindicennio i suoi oppositori politici gli riversano addosso a torto o a ragione. Insomma l’empatia tra la piazza e il Cavaliere non accenna a diminuire seppur

tra alti e bassi, sia che guidi l’opposizione in Parlamento sia che governi il Paese.L’adunata, organizzata in fretta e furia in meno di tre settima-ne, ha visto la partecipazio-ne di centinaia di migliaia di persone - non certamente il milione sbandierato da Verdini ma neppure le cifre irrisorie diramate dalla Questura - che hanno sfilato con calma e mitezza dimostrando che c’è anche un altro modo di far sentire la propria voce a soste-gno di un idea o di un progetto politico: la gente comune, non quella politicizzata dalla sini-stra dei salotti buoni e dalle testate amiche, o quella sinda-calizzata dagli estremismi del secolo scorso o dai blog, ha avvertito avversari e chi sperava in un clamoroso flop, che è ben viva e presente al fianco di Berlusconi e richiede con fermezza l’attuazione del pro-gramma di governo.Ad una settimana dall’impor-tante scadenza elettorale, con un colpo solo, il Cavaliere sem-bra essere riuscito ad entusia-smare di nuovo la base sociale che lo sostiene e a costringere, generali in seconda e colon-nelli vari che lo circondano, a mettere almeno per ora da parte ogni polemica per rema-re all’unisono verso una sola direzione: quella voluta dal Premier ovviamente.La manifestazione è stata volu-ta oltre che per dimostrare agli avversari politici che difficil-mente la loro tattica denigrato-ria nei confronti di Berlusconi sarà vincente agli occhi degli italiani suoi simpatizzanti, anche per sostenere maggior-mente senza se e senza ma, i tredici candidati del centro-destra - assente il solo Zaia - alle oramai imminenti elezioni amministrative regionali.Nel suo intervento romano Berlusconi oltre che aver riba-dito con veemenza il diritto di poter votare a Roma la lista del

PdL - opportunità che ad oggi pare definitivamente da esclu-dere - ha espresso la voglia di cambiare il Paese con l’energia che solo il consenso della gente può dare. Cambiamenti che, sempre secondo il Presidente del Consiglio, dovranno esse-re necessariamente accelerati dopo il test elettorale in manie-ra tale che si arrivi alla fine della legislatura avendo final-mente raggiunto gli obiettivi dell’elezione diretta del capo del Governo o del Presidente della Repubblica, del federali-smo, della riforma dell’appa-rato giudiziario e del sistema fiscale.Come ricordato, oltre che dare un segnale di forza agli avversari politici e chi nel PdL appare ancora poco convinto della direzione da prendere, la “kermesse” romana è stata l’occasione per vedere insieme tutti e tredici i candidati di

centro-destra che la prossima settimana tenteranno di confer-marsi governatori delle regioni in cui si vota - Formigoni in Lombardia - o quelli che ten-teranno di riuscire a strappare le amministrazioni in mano al centro sinistra: Cota in Piemonte, Biasotti in Liguria, Marinelli nelle Marche, la Bernini in Emilia, la Modena in Umbria, Monica Faenzi in Toscana, Renata Polverini nel Lazio, Caldoro in Campania, Pagliuca in Basilicata, Rocco Palese in Puglia e Scoppelliti in Calabria, mentre nel Veneto il Ministro leghista Zaia cercherà di “rinverdire” - è proprio il caso di dirlo - i successi elet-torali del tre volte governatore Galan. I tredici “cavalieri” della libertà nell’occasione si sono impegnati davanti alla platea, in caso di elezione, di attuare celermente il piano casa vara-to dal Governo, di snellire la

burocrazia regionale, tagliare le tasse locali e le liste d’attesa nella Sanità.All’unisono quindi le note provenienti dalle dichiarazio-ni espresse dal Presidente del Consiglio e dai simpatizzanti accorsi in gran numero a Piazza San Giovanni: pochi affondi contro i partiti all’opposizione in parlamento o nelle piazze, e mano tesa verso chi - come il Capo dello Stato - spera in una seconda parte di legislatu-ra caratterizzata dal varo delle necessarie riforme istituzionali. Un discorso pacato quello del Cavaliere utile sia a smorzare le discussioni in atto, sia a coagulare intorno un progetto politico, moderato nei termini e nei toni, il maggior numero di consensi politici e di voti: chiaro quindi il tentativo di marcare una netta cesura nei confronti di una politica urlata che ha avuto il solo risultato

- voluto o meno - di frenare ogni efficace dialogo tra mag-gioranza ed opposizione.Insomma ci sentiamo di sotto-scrivere in pieno le parole del Sindaco della Capitale Gianni Alemanno, che nell’interven-to introduttivo al comizio di Roma si è detto convinto che la manifestazione di sabato scorso sia stato un segnale della volontà del popolo di centro-destra di cambiare la politica italiana fatta in gran parte di odio, veleno e volontà distrut-tiva, per dare forza ad un pro-getto politico fatto di speranza, di riforme e di cambiamenti che al momento, nel panora-ma politico nostrano, posso-no essere realizzati e finalizzati solo da Silvio Berlusconi e da un PdL definitivamente “paci-ficato” nelle sue componenti politiche che lo costituiscono.

Giuliano Greco

Berlusconi “tira la volata” ai candidati governatori del centro-destra

Il PDL strappa sei regioni e la provincia de L’Aquila: da nord a sud funziona la tattica dal Cavaliere

Il Popolo della Libertà in piazza

Malgrado tutto

La Piazza d’Italia - Interni

in Abruzzo, e il buon governo delle regioni settentrionali - le possibilità di vittoria nei con-fronti del centro sinistra crescono a dismisura.Il PD avendo perso quattro regioni importanti e popolatis-sime come Lazio, Campania, Piemonte e Calabria -ha dimo-strato ancora una volta di essere diventata una “lega dell’Italia Centrale”, seppur in riflusso con la sconfitta a Roma della Bonino: il centro sinistra infatti è relegato ad amministrare con continuità solo le regioni storicamente rosse come Umbria, Marche, Toscana, Emilia e Liguria.Il Partito del Presidente del Consiglio in ogni caso non deve dormire sugli allori in quanto c’è stato un generale, seppur lieve, arretramento percentuale e nel Nord del Paese la Lega in termini di consensi si è avvicina-

ta notevolmente. Insomma biso-gna iniziare a strutturare meglio sul territorio il PdL - prendere esempio dal Carroccio - ades-so che le fibrillazioni politiche interne dovute alle elezioni loca-li sono finite.In alcune regioni poi un esame di coscienza ed un ricambio dei vertici del partito appare necessario.In Liguria il pur bravo Biasotti da due elezioni consecutive le “prende” regolarmente da Burlando - anche se l’UdC da 5 anni all’opposizione col centro destra in questa tornata elettora-le si è schierato con la coalizione di centro sinistra - e a questo punto sarebbe il caso di rivedere qualcosa.Come sono certamente da rive-dere le cose nelle regioni rosse dove, a parte la tradizione stori-ca, il PdL non riesce a scalfire il dominio di PD ed alleati. Ogni volta si assiste nel centro destra

al “tourbillon” di candidature di secondo piano che hanno poche speranze, se non di ribal-tare il risultato, anche solo di alzare gli indici di gradimento regionali del centro destra: è ora che qualche rappresentan-te nazionale di primo piano si prenda il compito, e il rischio, di scendere in campo in prima persona in questi feudi del cen-tro sinistra.Nel Lazio, seppur vittoriosa e priva della lista provinciale del PdL di Roma, la coalizione di centro destra ed il sindaco capi-tolino suo primo e più “pesante” rappresentante politico, debbo-no cercare di estinguere i foco-lai di crisi che hanno portato all’esclusione della lista e cercare di far il punto della situazione rispetto al risultato di Roma città: a meno di 2 anni dal trionfo di Alemanno, la Bonino ha ottenuto ben 120 mila prefe-renze in più della Polverini: gap

questo recuperato solo alla solita performance ottenuta dal PdL nelle restanti province laziali.Stesso dicasi dei risultati pugliesi - seconda vittoria consecutiva di Vendola - che hanno ancor più evidenziato la strategia sbagliata voluta dai vertici locali i quali, dividendo più che aggregando hanno permesso la vittoria del portabandiera della sinistra radi-cale. Almeno però una rottura col recente passato e con le itali-che abitudini c’è stato: all’indo-mani dell’inopinata sconfitta del PdL l’artefice delle alleanze pre-elettorali, il Ministro Fitto ex presidente della regione Puglia, ha rassegnato le dimissioni.Detto del PD in coma farmaco-logico nelle sue enclavi storiche bisogna per forza impiegare due righe per parlare dei veri trion-fatori della tornata elettorale amministrativa: La Lega Nord.In Veneto il Partito di Bossi ha portato alla vittoria Zaia otte-

nendo un risultato - per se e per la coalizione intera - difficilmen-te ripetibile: rispettivamente il 35% ed il 62% dei suffragi. In Piemonte l’altro suo candidato Cota ha dato la marcia in più al motore della coalizione per sconfiggere la Bresso.Sconfitta in parte la politica dei due forni dei centristi guidati da Casini: raggiunto in poche regioni più del 6% dei suffragi: nel Lazio dove a Roma il PdL non era presente, in Calabria e Campania dove correva a fian-co degli storici alleati di centro destra. Ove era alleato con le sinistre – Piemonte e Liguria ad esempio - gli orfani della Balena bianca non raggiungo-no il 4% scarso. Dove hanno corso da soli - Regioni rosse, Veneto, Lombardia e Puglia - poco meglio ma nulla di tra-scendentale.Infine buono pure il risultato dell’Italia dei Valori e delle liste

“Cinque Stelle” promosse da Beppe Grillo che hanno eroso i voti del PD: tale buon riscon-tro di suffragi dei dipietristi e del popolo viola renderà ancora più difficile la strategia politica del partito Democratico a livel-lo nazionale: cercare un accor-do condiviso con le destre per le riforme oppure divaricare le distanze come chiedono queste fazioni più radicali?A bocce ferme vedremo - tra qualche mese - se l’auspicio del Presidente della Repubblica Napolitano, di mettere cioè in cantiere finalmente le riforme strutturali utili per il Paese, sarà preso in considerazione ed attuato dalle coalizioni di maggioranza ed opposizione in virtù del fatto che adesso per tre anni non ci saranno più appun-tamenti elettorali di rilevanza che causano, per forza di cose, un irrigidimento delle rispettive posizioni politiche.

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Dalla Prima

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In Europa la disoccupazione nel 2010-2011 dovrebbe essere al 10,5% secondo quanto emer-ge dai risultati del Survay of Professional Forecasters. Le aspettative sulla disoccupazione a lungo termine per il 2014 sono state riviste leggermente al rialzo all’8,6% e i rischi più a lungo termine sono considerati decisamente orientati al rialzo. È quindi necessario accelerare le riforme strutturali per rafforzare la crescita sostenibile e creare posti di lavoro. La “crisi finan-ziaria”, spiega la BCE, ha inciso negativamente sulla capacità pro-duttiva dell’economia dell’area dell’euro. Nel caso dei mercati di beni e servizi occorrono con urgenza politiche di stimolo alla concorrenza e all’innovazione per imprimere slancio alla ristruttu-razione e agli investimenti e cre-are nuove opportunità imprendi-toriali. Sul fronte del mercato del lavoro “sono necessari, sottolinea ancora la BCE, moderazione sala-

riale, incentivi efficaci al lavoro e nuova sufficiente flessibilità, per impedire che la disoccupazio-ne strutturale raggiunga livelli significativamente più elevati nei prossimi anni”.L’attuale livello dei tassi d’inte-resse continua ad essere adeguato e l’evoluzione dei prezzi dovreb-be restare contenuta nell’oriz-zonte temporale rilevante per la politica monetaria. Le aspettative di inflazione a medio e lungo termine rimangono saldamente ancorate in linea con l’obiettivo del consiglio direttivo di mante-nere tassi di inflazione sui livelli inferiori ma prossimi al 2% nel medio periodo.La crescita del Pil dell’area dell’eu-ro dovrebbe essere dell’1,2% nel 2010. In rialzo di 0,2 punti percentuali, rispetto alle prece-denti previsioni. Le aspettative di crescita per il 2011, invece, sono invariate all’1,6%. In generale, gli esperti interpellati ritengono che sia improbabile una ripresa soste-

nuta nell’area dell’euro prima del 2011 “poiché il recupero dei mercati del lavoro sarà molto graduale, non ci si attende che gli investimenti riacquistino vigore prima del 2011 a causa del basso grado di utilizzo della capacità produttiva, la domanda interna secondo le attese dovrebbe rima-nere relativamente contenuta e le esportazioni potrebbero essere ostacolate da un euro forte”.L’allarme rosso riguarda i conti pubblici: i livelli elevati di disa-vanzo e debito pubblico eserci-tano infatti “pressioni a carico della politica monetaria, minan-do il patto di stabilità e crescita in quanto pilastro fondamentale dell’unione economica e mone-taria”. In questo senso è fonda-mentale “che il programma di stabilità di ciascun Paese dell’area dell’euro poggi su misure con-crete in linea con le strategie di uscita dalle misure di stimolo e con le strategie di riequilibrio dei conti per il prossimo futu-

ro”. “ I Paesi debbono rispettare gli impegni assunti nel quadro delle procedure per i disavanzi eccessivi”.Dalle valutazioni effettuate dalla BCE emerge uno scenario non molto incoraggiante nei prossimi 4 anni. Il problema principale sembra essere quello della disoc-cupazione, nonostante la timida crescita del Pil.Quando un sistema economico subisce gli effetti della disoccu-pazione non può non subire un rallentamento nella crescita. Se aumentano i disoccupati vuol dire che meno persone di prima si trovano nella condizione di poter disporre di un reddito da destinare a consumi o a rispar-mi. L’economia europea come quella dei singoli Stati membri si muove allo stesso modo secondo le componenti che la determina-no. L’influenza della disoccupa-zione si traduce inevitabilmente in una contrazione dei consumi da parte delle famiglie. Di qui la

necessità e l’urgenza di interve-nire nel mercato del lavoro ma in modo “strutturale” cioè quelli rivolti a risolvere in maniera con-creta la “meccanica delle struttu-re” economiche dei singoli Stati e per sommatoria dell’economia europea.Non è pensabile un sistema eco-nomico integrato come quello europeo con una dinamica di aggiustamento che parta dall’al-to, gli interventi strutturali deb-bono essere effettuati da ogni Stato membro, e messi in atto per rispettare una sorta di patto europeo delle riforme struttu-rali. Solo in tal modo si può raggiungere l’obiettivo di impe-dire alla disoccupazione strut-turale di permanere nell’area dell’euro danneggiano crescita e sviluppo. Non si dimentichi che ogni problema disoccupa-zionale è strettamente legato ad uno di natura sociale. Le persone che rimangono senza lavoro e che non vedono la prospettiva

di ritrovarlo entro un termine ragionevole, cominciano a vivere il disagio, l’angoscia, e il tutto va a peggiorare il clima di sfiducia che diventa un valore aggiunto negativo per il sistema economi-co nel suo complesso.Se gli Stati membri non man-terranno l’impegno di riformare in maniera strutturale il mercato del lavoro, anche dopo il 2014 la disoccupazione continuerà a cre-scere e il sogno di sviluppare un sistema economico che contem-peri lo sviluppo sociale potreb-be svanire. Se ognuno di noi si immedesimasse per un attimo nel ruolo istituzionale che dovrebbe-ro ricoprire i politici attuali di fronte all’impegno cui sono stati chiamati dall’Europa, ci sarebbe solo uno “scatto di orgoglio” a superare la sfida per dare una prospettiva certa alle generazio-ni future. Se questo scatto non avviene vuol dire che la gover-nance non ha né un’anima e quindi nessuna una politica.

Le riforme strutturali sono necessarie per rafforzare la crescita sostenibile nell’area dell’euro

La Piazza d’Italia - Economia

Crisi: european pact for structural reforms

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La via italiana nel capitalismo internazionaleLe imprese italiane sono scarsamente competitive e questo non è una premessa di crescita

L’indice Ftse/Mib rileva un paniere delle 40 maggiori società quotate, che meglio rappresenta Piazza Affari. Esce Mondadori, un’icona della nostra industria, ed entra Azimut, risparmio gesti-to. Il mutamento di un indice di borsa è un fatto marginale sia per il mercato azionario, sia per le società coinvolte; e irri-levante per l’economia nel suo complesso. Ma indubbiamente ha una valenza simbolica. Ed è un buon pretesto per fotografare il nostro capitalismo, e confron-tarlo con quello degli altri, dopo i postumi della crisi e a 15 anni dall’avvio del processo di risana-mento economico, privatizzazio-ni, liberalizzazioni, regolamenta-zioni, sfociato nella costituzione dell’Eurozona.L’immagine del capitalismo ita-liano che si riflette nello specchio dell’indice Ftse/Mib dovrebbe far riflettere sul futuro benessere del nostro Paese. Invece, sembra provocare solo scarso interesse.La borsa italiana oggi è fatta di pochissime grandi imprese. Le 40 del Ftse/Mib rappresentano l’87% della capitalizzazione tota-le (valore di mercato di tutte le imprese quotate). Dei primi 150 titoli del listino, la metà ha una capitalizzazione inferiore ai 696 milioni. Il numero delle società quotate è limitato, non molto distante da quello di 25 anni fa. L’intero mercato azionario italia-no vale, ai prezzi attuali, solo il 30% del Pil 2009. Non è nep-pure pensabile un confronto con gli Stati Uniti: basti ricordare che negli Usa, anche dopo la crisi, il rapporto tra valore della Borsa e Pil è al 103% e nelle prime 150 società, la metà vale di più di 25

miliardi di euro. Ma siamo il fanalino di coda anche dell’Euro-pa continentale: il nostro rappor-to borsa/Pil è meno della metà di quello francese (74%), ed è inferiore anche a quello tedesco (40%), anche se in Germania, tradizionalmente le imprese si sono sviluppate al di fuori del mercato azionario: ma dove, tra le prime 150 società, la mediana è grande il triplo della nostra.Questa non è l’inevitabile con-seguenza del nostro capitalismo, familiare e manifatturiero. Anche in Francia e Germania molte imprese sono controllate da un gruppo spesso ricollegabile al fon-datore, ma il peso delle grandi imprese nei settori dei beni di consumo e industriali è il doppio del nostro: tra le principali società quotate francesi e tedesche ci sono colossi in settori come moda, beni per la persona, alimenta-re, anche cinque, dieci volte più grandi delle nostre medie imprese d’eccellenza. I vantaggi delle eco-nomie di scala ci sono, e notevoli, anche nel settore manifatturiero tradizionale, specie se la fonte di crescita dell’economia mondiale è sempre più lontana dall’Europa. Vantaggi non solo per le azien-de, ma pure per il Paese, visto che i grandi gruppi necessitano di figure più qualificate sotto il profilo professionale, richiedono mediamente maggiori competen-ze e pagano quindi remunera-zioni più elevate. La quotazione è poi indispensabile per permet-tere espansioni all’estero tramite acquisizioni.Ma è la composizione settoriale delle maggiori società quotate che ci distacca maggiormen-te dal resto dell’Eurozona, per

non parlare degli Stati Uniti. Da noi, anche dopo la crisi, il 35% dell’indice è costituito da banche e servizi finanziari: quasi il doppio di Francia e Germania. Negli Usa, dove la bulimia del settore finanziario aveva inne-scato la crisi, banche e finanza pesano oggi la metà che in Italia. Un ridimensionamento drastico quanto salutare.Il resto di Piazza Affari è fatto di servizi di pubblica utilità ed Eni: insieme alle banche, fanno quali l’80%. È il retaggio del peso dominante nella nostra eco-nomia dello Stato imprenditore. Un peso però ancora presente, dato che il 41% delle aziende nel Ftse/Mib ha un’azionista di rife-rimento pubblico, Stato o ente locale. Se a queste aggiungia-mo le società interamente cedu-te dallo Stato ai privati (come Autostrade, Sme, Telecom ) si arriva all’assurdo che il 69% delle nostre grandi aziende quotate è pubblica o nata dalla mano pub-blica. Inevitabile in un capitali-smo storicamente senza capitali? No. È vero che 20 anni fa, senza mobilità internazionale dei capi-tali, il risparmio degli italiani doveva necessariamente finanzia-re il deficit pubblico. E in man-canza di un mercato finanziario, tutto passava per le banche. Ma l’Euro, le liberalizzazioni, lo svi-luppo e l’integrazione dei mer-cati, avrebbero dovuto liberare i nostri capitalisti dallo storico vincolo della carenza di capitali. Così non è stato, siamo passati da un capitalismo senza capitali ad un capitalismo senza capita-listi: gestire relazioni e rapporti col settore pubblico è altro che creare imperi economici.L’ultimo elemento della fotogra-fia che dovrebbe far riflettere è la totale assenza in Italia di grandi imprese nei settori a maggior cre-scita della produttività: non solo tecnologia, informatica e farma-ceutica (39% negli Stati Uniti), ma anche settori tradizionali che incorporano innovazione tecno-logica e manageriale come i beni di largo consumo per il tempo libero e la grande distribuzione. In questo, anche il resto dell’Eu-ropa non tiene il passo degli Usa, e non sembra capace di sfruttare

la crisi per cambiare il modello produttivo.In Italia il gap sembra incolma-bile, il reddito delle generazio-ni future dipende proprio dalla capacità di spostare le risorse nei settori a maggior crescita della produttività.Se il capitalismo italiano soffre di

una carenza di capitalisti, dipen-de anche dalle ambizioni intrin-seche di una mentalità impren-ditoriale dove l’iniziativa privata costituisca il fondamento dello sviluppo e della crescita. Questa non è molto vincente in Italia, seppur molti investono capitali in piccole e medie imprese lo fanno

in settori scarsamente compe-titivi, questo può solo garanti-re una sopravvivenza in Europa dell’economia nazionale e non può costituire un’accelerazione importante lungo la strada della competitività internazionale.

Avanzino Capponi

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La Piazza d’Italia - Esteri

C’è una grande confusione, di nuovo, in medio oriente.Dopo mesi di attese, scherma-glie, provocazioni ecc., sembra-va ripartire il carrozzone dei colloqui di pace tra le parti.La preparazione è stata molto lunga visto il dictat da parte dei palestinesi che pretendevano un blocco totale e definitivo delle costruzioni dei nuovi insedia-menti da parte degli israelia-ni che a loro volta non sono andati oltre la sospensione per dieci mesi con l’esclusione di Gerusalemme.Vista la reciproca diffidenza e, per Israele, visto che il problema palestinese sta diventando sem-pre più di secondo piano scal-zato da quello iraniano, gli Stati Uniti, dopo infinite pressioni sul suo alleato, hanno deciso che sarebbero stati accettabili dei colloqui indiretti per dare nuova vita ad un cammino che oramai si è arenato definitivamente.Prima con l’inviato speciale Mitchell, poi con il Segretario di Stato Clinton, poi con il Vice Presidente Biden, il progetto dell’amministrazione Obama, secondo una logica conosciuta solo a loro, doveva riportare il clima propizio per far tornare al tavolo le parti.Qualcosa però sfugge, eviden-temente, perché oltre alle due principali fazioni palestinesi che si fanno la guerra (nel vero senso della parola), anche in Israele il

governo di Netanyahu, con la sua natura eterogenea, ha i suoi equilibri e prende decisioni in linea con chi lo forma.Il risultato è che mentre Biden lascia Israele per andare a fare visita ad Abu Mazen, il Ministro degli interni rende noto il pro-getto di costruzione di 1.600 unità abitative a Gerusalemme Est.Gli USA non hanno ovviamen-te gradito né il progetto né il tempismo che sembra usato per mettere in ridicolo la seconda carica americana e l’immagine del suo Presidente.E’ noto che Israele e Obama si piacciono poco, la politica della mano tesa da subito non ha trovato sulla sponda ebraica il sostegno che ingenuamente il Presidente USA forse si aspetta-va, e la mancata risposta positiva da parte del mondo arabo non ha fatto che dare ragione al governo di Gerusalemme.E’ anche noto che gli interessi degli Stati Uniti in medio orien-te sono altissimi e Israele rimane un alleato strategico, per questo, dopo le scuse delle più alte cari-che della democrazia ebraica e dopo diversi pubblici rimproveri da parte statunitense, quella che poteva essere la crisi diplomatica più grande tra i due amici si sta risolvendo con un mezzo passo indietro degli USA.Di fronte alla determinazione di Netanyahu Obama e i suoi

sembrano sorpresi, il Primo Ministro israeliano ha si chie-sto scusa per l’accaduto ma ha mantenuto il punto mettendo in chiaro che alcune scelte sono vitali per il suo Governo e per mantenere l’ebraicità del suo Paese. Per questo Biden, dopo essere rientrato a casa ha dichia-rato che le parti devono sedersi comunque ad un tavolo e lavo-rare per una pace sicura e dura-tura, lasciando cadere la prima parte del progetto.A questo punto si arriva al noc-ciolo della questione: perché una super potenza (che sicura-mente darà un colpo di coda per non sfigurare definitivamente), anche se in declino, dovrebbe permettere una libertà del gene-re rimettendoci come immagine e credibilità? Potrebbe darsi che in USA ci sia la speranza che l’imbarazzo generato dalle scuse reiterate agli Stati Uniti da parte del Governo israeliano, porti-no ad un regolamento di conti interno e, nella migliore delle ipotesi, ad una crisi con conse-guente estromissione del partito di estrema destra che non vuole alcun dialogo con i palestinesi. L’eventuale crisi potrebbe esse-re innescata anche da un’uscita dal Governo dai laburisti del Ministro Barak, furibondo dopo la gaffe con Biden.Per l’amministrazione Obama è fondamentale tenere Israele sotto controllo per evitare un

attacco militare all’Iran che por-terebbe conseguenze dirette e affatto positive sui fronti in cui gli americani sono impegnati da anni per la lotta al terrori-smo. Per questo forse si stan-no rendendo conto che cercare di forzare Israele come hanno fatto, facendolo apparire agli occhi del mondo come un bam-bino capriccioso che non vuole rinunciare al suo giochino, gli si sta ritorcendo contro e forse è il caso di far capire a tutto il contesto dell’area che una nor-malizzazione dei rapporti con lo Stato ebraico non può essere subordinato alla soluzione con i palestinesi ma, al contrario,

dovrebbe essere un elemento di reale pressione ed equilibrio che potrebbe portare insperati risultati. Ma questo non avver-rà mai perché gli Stati arabi, e soprattutto quelli confinanti con Israele, dovrebbero pren-dersi la responsabilità di quanto non hanno fatto per i profughi palestinesi da loro lasciati nei campi per decenni in attesa di un loro ritorno in terre perse che mai nella storia c’è stato e che anche in questo caso non ci sarà. Ma questo dovrebbero essere loro a dirlo senza incol-pare il parafulmine Israele, per una volta.Intanto scoppiano altri disordi-

ni, Hamas annuncia il giorno della rabbia e innesca prote-ste pericolose usando il pre-testo dell’inaugurazione nella città vecchia di Gerusalemme della Sinagoga Hurva ricostruita per la terza volta, dopo essere stata distrutta l’ultima volta dai giordani nel 1948, e posta a 400 metri dalla Spianata delle Moschee. La scusa è il possibile progetto di occupare la Spianata per la costruzione del Terzo Tempio, cosa a dir poco fanta-siosa e comunque ampiamente smentita. Ma, si sa, basta poco per scatenare un altro inferno e c’è chi ne vuole approfittare.

Gabriele Polgar

Dopo settimane di tensioni, ana-listi ed osservatori aspettavano con fervente interesse la visita del Primo Ministro di Israele negli Stati Uniti.Gli staff delle due amministra-zioni si sono prodigate per poter far incontrare le figure principali tra cui un redivivo Obama che, con l’approvazione della riforma sanitaria, ha raggiunto il 49% dei consensi, un gran bel passo in avanti dopo poco più di un anno di caduta libera.Le tensioni scoppiate con l’ap-provazione da parte israelia-na di 1600 unità abitative a Gerusalemme durante la visita

del Vice Presidente Biden avreb-bero dovuto essere placate dai faccia a faccia che Netanyahu aveva in programma con il Segretario di Stato Clinton, con lo stesso Biden e con il Presidente Obama.Non si conosceva quale sarebbe stato il livello mediatico degli incontri e per questo l’attesa si è fatta spasmodica.La necessità americana di far ripartire i negoziati tra israe-liani e palestinesi e l’approccio “inconsueto” che l’amministra-zione Obama ha avuto fino ad ora sulla questione ha messo una grande pressione su Israele.

Sfortunatamente per gli USA il Governo dello Stato ebraico è presieduto da un uomo che con il suo omologo alleato ha poco a che spartire, politicamente e umanamente. Netanyahu cono-sce molto bene le dinamiche nei rapporti con gli Stati Uniti, sa usare la diplomazia anche in modo forte e non mostra smarrimento di fronte ai moniti di quello che buona parte del mondo ritiene il suo fratello maggiore ma di cui lui afferma la non subalternità.Il viaggio di “Bibi” in USA era per partecipare alla conferen-za dell’AIPAC (American Israel

Public Affairs Committee), la lobby ebraica più importante nel Paese amico, talmente impor-tante che la Signora Clinton, durante il suo intervento alla conferenza, il giorno prima del Premier israeliano, ha smorzato i toni facendo una richiesta ferma a Israele ma ribadendo senza se e senza ma l’indissolubilità del legame fraterno tra i due Paesi.L’intervento di 45 minuti di Netanyahu non poteva che esse-re una risposta a tutti quelli fatti dall’establishment america-no nelle ultime due settimane, per questo, di fronte alla pla-tea dell’AIPAC, ha ribadito che

Gerusalemme non è una colonia ma la capitale, irrinunciabile, di Israele e che seguire i palestinesi, la parte “dialogante”, nelle loro illogiche richieste non farà altro che allontanare la ripresa dei negoziati.Per quanto riguarda l’incontro con Biden prima e con Obama, c’è poco da dire visto che la stampa non è stata informata di nulla al di là della definizione dei colloqui, “schietti e produttivi”; vale a dire per ora tutti riman-gono sulle proprie posizioni, in futuro vedremo.L’unica nota positiva, ma piut-tosto magra, viene dal Congresso dove Netanyahu ha incassato le dichiarazioni di amicizia sia da parte della Speaker Pelosi che da quella della minoranza per voce di John Boehner.Per Israele Obama, vista la debo-lezza di Abu Mazen nel contesto dove deve operare, con le sue esternazioni sta prendendo, agli occhi della controparte, il posto dell’ANP nella trattativa, ampli-ficando richieste maturate da teorie di lotta e non di pragma-tica politica territoriale.Netanyahu e buona parte del suo Governo non sono disponi-bili a cedere per avere in cambio solo un avvicinamento al tavolo negoziale visto che in questi anni dialogo ha voluto dire sempre arretramento delle posizioni da parte palestinese. A partire da Camp David nel 2000 la parte palestinese non ha fatto altro che far avanzare la parte più con-flittuale alzando sempre di più la posta, senza mai mettere sul piatto qualcosa di concreto.E’ vero che negli ultimi dieci anni il medio oriente è cambia-to, o meglio, le dinamiche che lo governano sono cambiate ma,

proprio per questo, vista la stret-ta collaborazione tra Hamas, Hezbollah ed Iran, l’ANP dovrebbe cercare di stringere i tempi perché qualora Israele si sentisse veramente minacciato da qualsivoglia progetto ostile (direttamente iraniano o da parte dei suoi affiliati), il problema dello Stato palestinese andrebbe discusso dopo la fine di un sicuro e violentissimo scontro militare su un territorio che andrebbe dal Libano alla Siria fino al confine con l’Egitto, con l’incognita di cosa farebbero lo stesso Egitto e la Giordania ufficialmente in pace con lo Stato ebraico.Questo significherebbe annullare anche il poco che si è raggiunto in decenni, i confini del 1967 non avrebbero più alcun senso poiché le cartine geografiche ver-rebbero ridisegnate certamente in modo definitivo, qualunque fosse la parte vincente.Di tutto questo Obama sembra non accorgersi puntando solo a mettere in difficoltà l’alleato per favorire un’entità fantasma che ancora deve regolare i suoi conti con il suo nemico interno a Gaza, Hamas. Facendo appa-rire Israele più solo, indebolen-dolo, non fa che alimentare un conflitto che pian piano sembra riprendere corpo legittimando le parti più estremiste delle forze in gioco.Il fatto comunque che nessuna della due parti abbia inasprito la propria posizione vuole dire che la volontà di ricucire lo strappo (provocato da chi poco impor-ta, a questo punto) c’è e non è poco visti i toni delle ultime settimane.

Gabriele Polgar

Netanyahu in USA per chiarireNessuno ha cambiato la propria posizione e questo è già qualcosa

Usa - Israele: tensioni inopportuneL’annuncio di nuovi insediamenti durante la visita di Biden fa crescere la tensione tra i due alleati

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La Piazza d’Italia - Approfondimenti

Legittimo impedimento pro tempore“Domattina alle sei sarò giusti-ziato per un crimine che non ho commesso. Dovevo essere giustiziato alle cinque, ma ho un avvocato in gamba”. (Woody Allen)Con il disegno di legge approva-

to dalla Camera dei deputati lo scorso 3 febbraio, il legislatore ha indicato una delle possibili soluzioni temporanee alla vexa-ta quaestio del rapporto tra il potere legislativo e quello giudi-ziario, attraverso l’introduzione

di alcune disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza.Il disegno di legge prevede che per il Presidente del Consiglio dei Ministri costituisca legittimo impedimento una qualsiasi delle

attività previste dalla legge 23 agosto 1988, n. 400, legge che disciplina l’attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, non-ché una delle attività previste dal decreto legislativo 30 luglio

1999, n. 303, recante disposi-zioni in materia sempre di ordi-namento della Presidenza del Consiglio dei ministri.Andando a valutare il ventaglio delle attività richiamate nelle disposizioni indicate si può asse-

rire che queste vadano a coprire praticamente tutto l’arco di atti-vità funzionali del Presidente del Consiglio dei ministri.Discorso similare prevede il secondo comma dell’articolo 1 del disegno di legge con riferi-

mento ai ministri.Naturalmente il corso della pre-scrizione prevista per il reato rimane sospeso ai sensi dell’art. 159 c.p. Praticamente sarà necessario aggiungere 60 giorni al tempo originario necessario a prescrivere il reato per ogni periodo di sospensione per legit-timo impedimento.La legge che verrà, avrà efficacia determinata fino alla data di entrata in vigore di una legge costituzionale in materia di prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri stessi e comunque non oltre 18 mesi dalla data di entrata in vigore del presente disegno.La questione è più delicata di quello che appaia muovendosi, attraverso una disciplina proce-durale sull’ampiezza della nozio-ne di legittimo impedimento, sulla sottile linea di demarcazione tra ambiti funzionali dei singoli poteri dello stato e sulle possibili quanto inevitabili influenze che possa l’uno esercitare sugli altri e viceversa.L’impedimento oggi richie-sto per un legittimo rinvio dell’udienza non solo deve pre-sentare i requisiti della gravità e dell’assolutezza ma deve rivestire anche un carattere di attualità imprescindibile.Già la Corte Costituzionale, con

la sentenza n. 225/01, era stata chiamata a pronunciarsi sull’ar-gomento dichiarando “in acco-glimento del ricorso in epigrafe (ndr conflitto tra poteri dello Stato), proposto dalla Camera dei deputati, che non spettava al Giudice per le indagini prelimi-nari del Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’udien-za preliminare, nell’apprezzare i caratteri e la rilevanza degli impedimenti addotti dalla dife-sa dell’imputato per chiedere il rinvio dell’udienza, affermare che l’interesse della Camera dei deputati allo svolgimento delle attività parlamentari, e quindi all’esercizio dei diritti-doveri ine-renti alla funzione parlamentare, dovesse essere sacrificato all’inte-resse relativo alla speditezza del procedimento giudiziario”.Anche la Corte di Cassazione era stata più volte chiamata a pronunciarsi sul rapporto tra funzioni istituzionali e attività giudiziaria, dovendo di necessità affrontare proprio quel bilancia-mento tra funzioni che contiene al suo interno il conflitto tra poteri poc’anzi indicato.Non può sconvolgere la previ-sione di un’eventuale salvaguar-dia di quelle prerogative proprie di chi è stato eletto quale sogget-to rappresentativo per svolgere le funzioni fondamentali di cui agli organi camerali e di gover-

no. Quello che può, a ragione, contestarsi è, come sempre, l’uso di uno strumento non consono a risolvere un così delicato proble-ma e con modalità che avranno il solo effetto di distorcere, più di quanto non lo siano già, l’or-ganicità e la sistematicità del processo penale.Ulteriori perplessità nascono dalla durata determinata previ-sta per l’attuale disegno di legge, “baco” di un futuro testo nor-mativo, segnale troppo esplicito di interessi straordinari.Una previsione normativa che disciplini il rapporto funzione pubblica - attività giudiziaria appare, quindi, necessario ed assolutamente non sovversivo in un sistema di separazione dei poteri, ma perché possa avere quella forza regolatrice non solo di norme procedurali ma, come dovrebbe, di principi su cui si fonda un sistema, necessita di una genesi di maggior spesso-re, non inquinata da interessi temporanei o individuali e con una prospettiva di maggiore ampiezza.Per questo una disposizione del genere non solo dovrebbe trovare adeguata collocazione a livello costituzionale ma, altresì, dovrebbe avere non un termine finale quanto un termine iniziale con riferimento alla legislazione successiva.

“Le riforme vanno finalizzate allo spirito costituente e devono avere come obiettivo l’interesse generale e il bene comune, nel rispetto della dialettica tra le forze e le culture politiche. No ad un approccio basato sulle strumentalizzazioni di tipo pro-pagandistico o legato al vantag-gio, pur legittimo, di una parte” (Presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini).Rispetto delle Istituzioni e richiamo al bene pubblico sono i moniti che in questi giorni hanno attraversato in lungo e in largo il Governo Italiano e che sotto elezioni rappresentano una linea guida per chi andrà ad amministrare le regioni.Agire per cambiare e miglio-rare è dovere di ogni politico, godere dei buoni frutti delle scelte dei governanti è diritto di ogni cittadino. Questa posizione palesemente non è di parte, ma sintetizza le necessità di un paese intero che galleggia in un mare inquinato dal primato dell’in-teresse privato su tutto e dalla disuguaglianza sociale ed eco-nomica.Alexis De Tocqueville (Verneuil 1805- Cannes 1859) filosofo e moralista di notevolissimo spes-sore, nella seconda parte della sua opera storica “La democra-zia in America” (1840), affronta nel capitolo ottavo del secon-do libro, il concetto e il senso ”dell’interesse bene inteso”, nella sua accezione di operato finaliz-zato all’utile comune.Il titolo della parte presa qui in considerazione è eloquente: “Come gli americani combatto-no l’individualismo con la dot-trina dell’interesse bene inteso”.Quando egli giunse negli Stati Uniti per studiarne le istituzioni e l’influenza della democrazia sui sentimenti degli americani, comprese che in questo paese non si affermava mai che la virtù fosse bella, ma si sosteneva che fosse utile.La ricerca e il valore morale riguardo questa attitudine posi-

tiva aveva messo in luce il fatto che lavorare al benessere di tutti significava trovare il punto in cui l’interesse individuale e l’in-teresse generale si incontrano.Ciò che prima era quindi solo un’osservazione, una constata-zione isolata, diventa dottrina generale e infine si arriva a rea-lizzare che l’uomo servendo i suoi simili, serve se stesso e che il suo interesse particolare è quello di fare il bene.I moralisti americani spiega Tocqueville, hanno scoperto che nel loro tempo e nel loro paese l’uomo è ricondotto verso se stesso da una forza irresisti-bile e coscienti delle difficoltà di arrestare questo processo, si sono impegnati a guidare questa corsa, sforzandosi di provare che l’interesse di ognuno è quello di essere onesto.Questa dottrina dell’interesse bene inteso è divenuta così uni-versalmente ammessa e popola-re, che la si ritrova sulla bocca di tutti, dai discorsi politici, alle azioni di ogni giorno.Il filosofo spiega che in realtà questa teoria è poco elevata, ma chiara e sicura.Essa non vuole raggiungere gran-di oggetti, ma con poco sforzo raggiunge tutti quelli a cui mira; è alla portata di tutte le intel-ligenze, tutti possono afferrar-la facilmente e osservarla senza fatica. Si adatta inoltre in modo perfetto alle debolezze umane e ottiene un gran dominio perché non provoca grandi sacrifici ma ne suggerisce quotidianamente dei piccoli.La dottrina dell’interesse bene inteso aiuta a formare una mol-titudine di cittadini regolati, moderati, previdenti e padroni di se stessi e avvicina l’uomo alla virtù per mezzo delle abitudini.“Non esito a dire che la dottri-na dell’interesse bene inteso mi sembra, di tutte le teorie filosofi-che, la più appropriata ai bisogni degli uomini del nostro tempo e che vedo in essa la più grande garanzia che resti loro contro se

stessi. Lo spirito dei moralisti del nostro tempo deve, dunque, rivolgersi principalmente verso di essa, ma, anche se essi la giu-dicheranno imperfetta, bisogne-rà adottarla egualmente, perché è necessaria” (pag.539).L’egoismo va educato nel sacrifi-care una parte dei propri interes-si personali per salvare il resto. Come la libertà in sostanza, che

in una democrazia non è più assoluta come potrebbe essere in uno stato di natura precontrat-tuale: formare una società civi-le infatti, significa rinunciare al proprio potere esecutivo incon-trollato e alla propria libertà assoluta per avere in cambio un parte più significativa di sicurez-za personale.Non c’è, dice Tocqueville, un potere che possa impedire allo spirito umano quella ricerca dell’utile che pone l’individuo nella disposizione di chiudersi in se stesso; in questo caso, esso

diventa il principale motore delle azioni umane. Allora importante è comprendere come ogni uomo intende il proprio interesse .E’ fondamentale considerare che se i cittadini restano ignoranti e grossolani, è difficile e spavento-so prevedere fino a quale stupido eccesso potrebbe spingersi il loro egoismo, quindi argomenta il filosofo, è vicino più che mai il

tempo in cui la libertà, la pace pubblica e l’ordine sociale stesso non potranno fare a meno della cultura.Dei sentimenti caratterizzanti le istituzioni democratiche ne ha parlato anche Jurgen Habermas (Dusseldorf 18/06/1929) grande filosofo, storico e sociologo tede-sco, analizzando queste ultime in base ad una nuova prospettiva dialogico-emancipativa. Anche le sue parole calzano in modo convincente col nostro contesto italiano pre-elettorale e più in generale, politico.

Quasi a sottolineare una comu-ne visione dei due filosofi qui citati, di una politica il cui ful-cro è un pluralismo di interessi, Habermas arriva a fondare una nuova ragione comunicativa che egli ritiene possa liberare l’uma-nità dal principio di autorità: solo il paradigma conoscitivo intersoggettivo, elemento fon-dativo di una nuova ragione

comunicativa, va ben aldilà di un astratto paradigma della sog-gettività.Egli, critico di ogni fondamen-talismo che presume la scoperta della verità assoluta, teorizza una diversa razionalità, data dalla ragione comunicativa. Si parte non più da una filosofia del soggetto, ma dei soggetti dia-loganti.Un dialogare che è nello stesso tempo un fare o che comunque spinge all’azione.La verità è nella discussione e la ragione si consegna nelle mani di

chi persuade l’altro con la forza non violenta dell’argomentare.Il discorso è così sempre in fieri; le regole di questo incessante discorrere sono caratterizza-te da un’onestà semantica: per esempio, ciascun parlante deve affermare solo ciò in cui crede, chiunque può problematizzare qualsiasi affermazione o ester-nare le sue disposizioni, i suoi desideri, i suoi bisogni e infine non è lecito impedire ad un individuo, tramite una coazione esercitata all’esterno o all’inter-no del discorso, di valersi del suo diritto di partecipare alla discussione.Queste regole dice Habermas, sono liberalisssime, ma non sono né ipotetiche né fondanti, sono semplicemente “trascendental-pragmatiche”, ossia rappresen-tano un presupposto necessario, una specie di fatto della ragione.Se l’avversario della discussione si riduce o riduce al silenzio o ancora, ricorre alla violenza, egli si pone al di fuori dell’uso della ragione.Da queste premesse, la politica di Habermas pone in primo piano il mondo della vita, costituito da fluidità, contro le astrazioni dei sistemi e le frammentazioni; l’agire comunicativo è correlato col mondo vitale, è il suo natu-rale difensore contro la coloniz-zazione del denaro e del potere. Quello di Habermas è quindi un percorso verso la civiltà della discussione che mira ad una politica comunicativa mirante alla persuasione ed escludente la lotta. Certo sarebbe da chiedersi, cosa fare se non vi è applicata nelle dinamiche sociali di un paese, un’azione di governo di questo genere.Il messaggio è chiaro, per entrambi i filosofi e per noi tutti, la democrazia che si cerca, si studia, si vuole e si pretende è fatta di discussione e di “interes-si bene intesi”; questo manifesto è un invito alla valutazione per ogni governo, presente e futuro.

Ilaria Parpaglioni

Discorso e continuità politica tra Tocqueville e Habermas

Connotati di una società democratica

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La Piazza d’Italia - Attualità

A pochi giorni dal voto amministrativo restano ancora irrisolti i problemi legati alla tenuta politica del PdL

Tocqueville e la libertà di stampa nel 1840

Ci sono tanti argomenti di cui si potrebbe discutere in questa Italia martoriata dall’imbarazzo, dallo scandalo, dalla corruzione e dalla commistione tra affari pubblici, politica, sesso a paga-mento e malavita, così tanti che si potrebbe anche arrivare a dire, in modo sbarazzino e divertente, “chi più ne ha ne metta”, perché tanto nella nostra Repubblica delle Banane si sdrammatizza per non pensare, si discute sul grande fratello per spettegolare, si vede il festival di Sanremo per cantare un po’, si vive il calcio per sentirsi tutti campioni, si guarda l’isola dei famosi per.. il perché questa volta è difficile da immaginare. In questo specchio gioioso e spensierato del nostro paese solo un argomento è sco-modo da trattare: di politica si deve tacere. L’opinione pubbli-ca sotto elezioni è stata messa a digiuno degli affari che più dovrebbero competerle.Il Consiglio di Amministrazione RAI, sotto le Regionali, ha imposto la chiusura dei maggio-ri talk show politici nazionali, quali Porta a Porta, L’ultima Parola, Ballarò, Annozero ed ha provocato l’ autosospensione per solidarietà del programma della Annunziata e tutto questo in nome della legge sulla Par Condicio.Il minimo che si possa dire e nella maniera più diplomatica possibile è che questa sia stata una reazione spropositata.In sostanza, la decisione sotto-

scrive a noi cittadini l’imperio di non poter ascoltare i politici italiani discutere sulle vicende del nostro paese e tutto questo sotto elezioni.Di sicuro i telegiornali danno ancora voce agli eventi, ma si conosce bene la polemica che incalza riguardante lo scomodo legame che la RAI ha con i partiti e inoltre, di sicuro nei tg non ci sono scambi di opinioni tra diversi candidati e politici, non vengono aperte discussioni sui problemi della nostra socie-tà, insomma, non si crea quella fruizione di pensiero che, anche se a volte è scomposta o confu-sionaria, è pur sempre produ-zione di idee e definizione delle posizioni di chi ci rappresenta o di chi si occupa ogni giorno di temi che riguardano il nostro paese.Questi spazi offrono senza dub-bio possibilità di scelta e di valutazione e non permettere questo dinamismo prima delle votazioni, con tutto quello che ultimamente è venuto alla luce in Italia, dà un senso di impedi-mento fastidioso e non si adatta ad una logica democratica.Il provvedimento è stato preso per garantire un decente plurali-smo durante le trasmissioni; tut-tavia non si comprende molto bene di quali eque possibilità si parli, visto che gli stessi talk show sono stati sospesi.La legge 28 del 2000 sulla Par Condicio disciplina la comuni-cazione durante l’intero anno e

in tutte le campagne elettorali e referendarie. In più stabilisce dei punti che impongono all’emit-tenti radiotelevisive il dovere di assicurare a tutti i soggetti poli-tici con imparzialità ed equità, l’accesso all’informazione e alla comunicazione politica e con quest’ultima s’intende la diffu-sione di programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche.Nell’articolo 2 della legge, al comma 3 c’è scritto che deve essere assicurata la parità di condizioni nell’esposizione di opinioni e posizioni nelle tribune politiche, nei dibatti-ti, nelle tavole rotonde, nelle presentazioni in contraddittorio di programmi politici, nei con-fronti, nelle interviste e in ogni altra trasmissione dove le idee di partito assumono un carattere rilevante.Per i contesti di campagna elettorale, la legge si esprime nell’articolo 4, consentendo il confronto regolato e controllato dalla Commissione di Vigilanza e dall’autorità Agcom delle parti in causa. No vietandolo.Qui sono esposti tutti i criteri coi quali bisogna procedere per favorire trasmissioni equilibra-te, con parità di trattamento, obiettività, completezza dell’in-formazione.Al comma 3 dell’articolo 5 è sottolineato che i registi e i con-duttori sono tenuti ad un com-portamento nella gestione del programma volto a non eserci-tare influenza sulle libere scelte

degli elettori. Se come è acca-duto, non vige una santa impar-zialità, allora si dovrà procedere per equilibrare, moderare ma no cancellare il programma, così da non permettere ai cittadini di formarsi opinioni in merito ai fatti politici attraverso anche la discussione televisiva.Il testo parla di possibilità, di confronto, di garanzie, di ter-mini che hanno un’accezione positiva, un atteggiamento plu-ralista; non afferma invece la necessità di sospensioni o di chiusura politica.E se la legge richiede il regola-mento dell’accesso dei politici in tv, per cui se parla il rappresen-tante di un partito ci deve essere per forza anche l’oppositore e la divisione di spazi uguali, che si proceda in tal senso; mentre, se si pone la necessità di rivedere l’ordinamento stesso in questio-ne, perché prevede troppi paletti o termini e condizioni trop-po restrittivi, che si lavori per migliorare il testo.L’unica cosa che non è demo-craticamente prevedibile, è la non messa in onda.Alexis De Tocqueville dedica un capitolo del secondo libro de “La Democrazia in America” (scritto tra il 1835/1840) alla libertà di stampa negli Stati Uniti; in esso afferma principi che bisognerebbe urgentemen-te riscoprire per comprendere quanto l’Italia stia perdendo in credibilità e dignità.Il filosofo dice di amare la liber-

tà di stampa più in considerazio-ne dei mali che essa impedisce che dei beni che produce e segue affermando che presso alcune nazioni che si pretendono libe-re, qualsiasi agente del potere può violare impunemente la legge senza che la costituzione del paese dia agli oppressi il diritto di appellarsi alla giusti-zia, dunque presso queste genti la libertà di stampa deve essere considerata come una garanzia, anzi come la sola garanzia che resti alla libertà e alla sicurezza dei cittadini.In un paese, continua Tocqueville, in cui regni il prin-cipio della sovranità del popo-lo, la censura è non solo un pericolo ma anche una grande assurdità. “Quando si concede a ognuno il diritto di governare la società, bisogna anche rico-noscergli la facoltà di scegliere fra le diverse opinioni che agi-tano i suoi contemporanei e di apprezzare i differenti fatti la cui conoscenza può servire da guida” (pag 194).Sovranità del popolo e libertà di stampa sono due cose quindi esattamente correlate; invece la censura e il suffragio universale si contraddicono in modo evi-dente e non possono convivere a lungo nelle istituzioni politiche di un popolo.In riferimento alla difesa della libertà di espressione e valutazio-ne, concludiamo questa nostro modesto intervento con una riflessione del filosofo, riportata

dal testo qui citato, per tenerla a mente come esempio storico di quanto la stampa statunitense intorno al 1840 fosse ben avanti rispetto a noi e ai problemi che a oggi ci si pongono: “Il primo giornale ( “Vincenne’s Gazette”) che cadde sotto i miei occhi, quando arrivai in America, con-teneva il seguente articolo, che traduco fedelmente: In tutto questo affare il linguaggio tenu-to da Jackson (il Presidente) è stato quello di un despota senza cuore, occupato unica-mente a conservare il suo potere. L’ambizione è il suo delitto e vi troverà la sua pena. Egli ha per vocazione l’intrigo e l’intrigo confonderà i suoi disegni e gli strapperà il potere. Egli gover-na con la corruzione e le sue manovre colpevoli torneranno a sua confusione ed onta. Egli si è mostrato nell’arena politica un giocatore spudorato e sfre-nato. E’ riuscito, ma l’ora della giustizia si avvicina; presto egli dovrà rendere quello che ha gua-dagnato, gettar lontano da sé il suo dado ingannatore e finire in qualche rifugio in cui possa libe-ramente bestemmiare contro la sua follia; perché il pentimento non è una virtù che sia mai stata conosciuta dal suo cuore” (“La Democrazia In America”, Alexis De Tocqueville; pag.195).E noi oggi nel 2010, alle porte delle elezioni, non possiamo sentir dialogare di politica.

Ilaria Parpaglioni

Caos infinito

Silenzio amaro in RAI

La politica italiana, e tutto il mondo che vi ruota intorno, non finisce mai di stupire osser-vatori, commentatori e soprat-tutto chi è “costretto” a subirne l’esistenza cioè gli italiani, e ogni volta che ciò accade si è portati a ricorrere al solito “refrain”: adesso si è toccato il fondo. Questo limite, di umana e civile sopportazione da parte dei citta-dini, viene portato sempre più verso l’alto quasi fosse che i poli-tici italiani mettano alla prova il “popolo bue” per saggiarne il grado di resistenza. Dopo quello che è successo al momento di presentare le liste dei candidati alle elezioni amministrative di fine marzo - e soprattutto quel-lo che è accaduto dopo, e che sta accadendo adesso - come è possibile difendere il sistema partitico italiano dall’ennesimo assalto portato loro dal popo-lo viola, girotondini vari e dai Dipietristi che dell’antipolitica fanno la loro bandiera?I mass media italiani hanno tra-scorso mesi, e sprecato carta, a parlare di escort, di trans brasi-liani e “polvere bianca”, di tan-genti per tutti i tipi di appalti, di voti elettorali scambiati con favori alla n’drangheta, di maxi truffe fiscali, oppure leggi “ad personam”, attacchi alla magi-stratura, alla democrazia e alla Costituzione e chi più ne ha più ne metta; il limite più basso della “mala politica” sembrava essere stato raggiunto, ma evidente-mente non è stato così.Infatti lo scorso 27 febbraio, dopo che le liste dei candidati presidenti del PdL in Lazio e Lombardia sono state bocciate - quella del presidente Formigoni è stata poi riammessa - per buro-cratiche imprecisioni formali e sostanziali mancanze, è stato dato il via all’ennesimo walzer

della sceneggiata politica italia-na.Appelli e contrappelli ultimativi indirizzati a tutti i gradi della magistratura italiana si sono suc-ceduti febbrili per recuperare le “liste perdute”, ma alla fine tutti questi tentativi sono risul-tati essere vani: la lista del PdL a Roma e provincia, ad oggi, non potrà partecipare alla competi-zione elettorale che designerà il successore di Marrazzo.A tali iniziative scaturite dal campo del centro destra politico si sono contrapposte le proteste provenienti dalle opposizioni: logori scioperi della fame, mani-festazioni di piazza rosse e viola, ostruzionismo parlamentare a più non posso, moniti d’”im-peachment” lanciati contro il Presidente Napolitano e infine proposte di rimandare il voto amministrativo di marzo, possi-bilità questa che forse fa comodo a tutti gli schieramenti ma che certamente non va nella dire-zione della risoluzione definitiva dei problemi posti in essere ma solo in quella del loro accanto-namento momentaneo.Diverse sono le problematiche che la questione liste hanno fatto emergere e differenti sono le sfaccettature che la questione presenta in entrambi gli schiera-menti partitici italiani.Nel PdL appare sempre meno convincente l’organizzazione nazionale e locale che il partito si è dato, o meglio, gli è stato imposto di darsi. Quello che è successo al momento della con-segna delle liste elettorali nel Lazio e in Lombardia, e nelle settimane precedenti in occasio-ne delle scelte per le candidature dei Governatori per le diverse regioni che andranno tra pochi giorni al voto, è significativo del fatto che a bocce ferme si dovrà

ripensare ulteriormente ad un nuovo sistema organizzativo che limiti al massimo i “black out” tra la periferia e la stanza dei bot-toni del Popolo della Libertà.Pare evidente a tutti che la troppa “libertà di azione” delle seconde e terze linee della politi-ca di centro destra, sta nuocendo all’immagine e al progetto del PdL .Ciò è dovuto anche alla “fred-dezza” che da troppo tempo sta accompagnando i rapporti tra i due principali protagoni-sti del centro destra italiano, Berlusconi e Fini, i quali così facendo tengono il partito intero in una sorta di limbo, di assenza di un potere centrale unito e coordinato, assenza che permet-te queste guerre sotterranee fra-tricide, di volta in volta se non sostenute direttamente almeno tacitamente avallate da uno dei due al fine di mettere in difficol-tà l’altro. Insomma la diarchia tra il Presidente del Consiglio e quello della Camera così come è non porterà nulla di buono al Popolo della Libertà.Berlusconi forte delle figure fatte dalla macchina organizzativa del partito in occasione della presentazione delle liste e delle candidature di secondo piano in parecchie regioni italiane ha la “scusa” di scendere in campo direttamente a sostegno della campagna elettorale anche per candidati voluti fortemente da Fini - in Lazio, Campania e Calabria per esempio - e in que-sta maniera dimostrerà che senza il suo intervento risolutivo il Pdl difficilmente potrebbe vin-cere alcuna elezione. In secondo luogo potrà imporre la propria visione dell’organizzazione del partito: un soggetto destruttura-to, tipo movimento, che solo in occasione delle diverse tornate

elettorali, coagulandosi intorno al carisma del Leader nazio-nale, esce allo scoperto tra la gente. I “Circoli delle libertà” un paio di anni fa, e i “Promotori della Libertà” di oggi sono un esempio di contenitore politico “mordi e fuggi” che pretende-vano e pretendono di essere dei succedanei del partito che sarà o che dovrebbe essere.D’altro canto Fini, dall’esilio della Presidenza della Camera, tenta di “appiccicarsi” addosso la fama di politico “super partes”, di uomo delle Istituzioni.Tale aspirazione però dovrebbe essere fatta seguire più spesso dai fatti e non solo dalle chiacchiere in quanto ad ogni elezione che si rispetti - da quelle Europee giù sino a quelle di condominio - l’ex presidente di AN briga e tratta con Berlusconi, salvo poi, al momento di scendere diret-tamente in campo, pardon in piazza, al fianco del Presidente del Consiglio, tirarsi indietro sventolando a destra e a manca - soprattutto a sinistra in verità - la propria presunta “terzietà” di giudizio. Se a questo compor-tamento da persona che lancia il sasso e nasconde la mano si aggiunge poi la volontà di contrastare Berlusconi adottan-do idee che più che appartenere ad una moderna destra europea sono proprie di una qualsiasi socialdemocrazia - voto agli emi-grati, bioetica, matrimoni spuri, ecc. - ecco che il cittadino italia-no moderato rimane spiazzato e seriamente si correrà il rischio che le prossime elezioni ammi-nistrative vedano una “fuga di massa” dalle urne dei modera-ti che hanno sempre costituito il bacino di voti principale di Forza Italia e AN prima e del PdL dopo.Insomma - adattando una

metafora utilizzata dallo stesso Presidente della Camera - va bene che nella minestra rappre-sentata dalla discussione politica nel PdL bisogna mettere un poco di sale, inteso come maggiore dibattito sulle diverse tematiche politiche da affrontare, ma - aggiungiamo noi - troppo sale sta rendendo immangiabile agli italiani di centro destra l’intera pietanza.Bisognerà quindi tentare di rior-dinare il partito su basi solide e meno aleatorie.No alla deriva movimentista - siano essi clubs più o meno esclu-sivi o Fondazioni e associazioni autoreferenziali - soprattutto se calata dall’alto e suggerita solo da esperti del Marketing, o per lo meno alleggerirne l’importan-za. No ai doppi incarichi elettivi e di partito che creano un vero tappo al ricambio generazionale della struttura del partito così come è oggi. Abolizione delle percentuali 70/30 nella distribu-zione degli incarichi tra ex Forza Italia ed ex AN. Celebrazioni di veri congressi a livello nazionale e locale in cui sia consentito un vero dibattito e sia permessa ai tesserati una reale possibilità di scelta dei coordinatori cittadini, provinciali e regionali. Si crei insomma una struttura certa-mente agile ma che sia presente sempre tra la gente, non solo quando si va a chiedere i voti.Sarebbe sbagliato che a causa di dissidi interni si mandasse a carte e quarantotto tutto ciò di buono che il Governo Berlusconi ha fatto o messo in cantiere in que-sti due anni. Ancora c’è molta strada da fare per riformare ad esempio il sistema amministra-tivo, economico e giudiziario del Paese, e al momento solo la coalizione di centro destra è in grado di portare a termine tale

missione, indi per cui è necessa-rio che Berlusconi e Fini ricom-pattino le “truppe” intorno ad un progetto fin qui credibile per evitare qualsiasi tipo di ostacolo che possa interferire col raggiun-gimento di tali obiettivi.Il Partito Democratico invece in questo frangente non trova niente di meglio da fare che accodarsi, per l’ennesima volta, alla piazza urlante condotta da Di Pietro, vetero sindacalisti di sinistra estrema e guitti vari. Il polverone creato dalle “liste fantasma” del PdL infatti ha consentito alla spaurita nomen-clatura democratica , alla peren-ne ricerca un leader adeguato, di nascondere agli occhi dei propri simpatizzanti la pochezza dei propri candidati Governatori, alcuni dei quali impresentabili sotto ogni punto di vista come De Luca in Campania e Loiero in Calabria, pluri-inquisiti dalla giustizia italiana tanto attenta quest’ultima ad ogni sospiro del Presidente del Consiglio ma muta e sorda alla “questione morale” che da tempo afflig-ge gli amministratori di centro sinistra. Che fine hanno fatto le inchieste sulla sanità puglie-se, sulle tangenti al comune di Firenze, sulla mala gestione dei rifiuti in Campania e il “trans Gate” di marrazziana memoria?Vedremo se nei prossimi giorni la politica italiana riuscirà ad alzarsi dallo stato di profonda prostrazione in cui si è andata a cacciare grazie alla pochezza di progettualità: questa potrebbe essere la vera sorpresa pasquale che gli italiani - di destra o di sinistra - inconsciamente aspet-tano da tanti, troppi, anni.

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La Piazza d’Italia - Tempo Libero

Famosa ai gourmet per il suo ‘bacalà a la visentina’, il terri-torio di Vicenza offre luoghi ancora sconosciuti dove poter trascorrere serene giornate all’in-segna dell’armonia ambientale e culturale, miscelata al buon bere e al gustoso mangiare.Con la primavera alle porte si cominciano a programmare le gite; così amici e parenti stilano percorsi di viaggio dove poter godere del tepore dei primi raggi del sole dopo un lungo e pio-voso inverno, in luoghi dove è possibile godere appieno della natura, dove poter assistere alla magia delle gemme che prepara-no la strada ai frutti estivi. Tra i percorsi insoliti, meno blasonati ma meritevoli di esplorazione, c’è quello vicentino.Qui, gli amanti del turismo eno-gastronomico non rimarranno certo con il cestino della spesa vuoto, potendolo riempire di particolari leccornie come la ricotta cremosa da gustare fresca o affumicata sul camino, il Mais Marano con il quale si produce un’ottima polenta, i Broccoli Fiolaro di cui Goethe andava ghiotto…Uno dei prodotti principe del Vicentino, a cui si associa la primavera, è l’asparago, la cui produzione va appunto dalla seconda metà di marzo alla prima metà di giugno. Questo ortaggio fu introdotto, attorno al 1220, da Sant’Antonio da Padova il quale, al suo rien-tro dall’Africa, si adoperò per la diffusione dell’asparago nel Bassanese. C’è un’eccezionale particolarità che lega quest’or-taggio al Patrono di Padova ed è la data della morte del Santo che coincide con il termine stagio-nale della produzione dell’aspa-rago. La storia narra ancora che esso fu uno dei cibi preferiti dai Dogi della Repubblica di Venezia, ma non solo. Anche Giovanbattista Piazzetta, pit-tore veneziano, ne era goloso

tanto da sottolineare il legame tra questo ortaggio e il territorio veneto nel suo bellissimo dipin-to “La Cena di Emmaus”, nel quale è ben visibile un piatto di asparagi preparato come la tradizione comanda: “sparasi, e ovi, sale e pevare, oio e aseo” (asparagi e uova, sale e pepe, olio e aceto). L’abbinamento ideale cibo-vino per accompa-gnare l’Asparagus officinalis è il Gambellara Classico che si produce lungo la “Strada del Recioto di Gambellara” dove il terreno è fertile, ricco di

potassio e magnesio, idoneo alla coltivazione dei vigneti, per lo più collinari, dai quali si raccolgono dei copiosi grappoli di uva Gargànega, antichissi-mo vitigno, da cui si ricava il Gambellara Doc nelle sue diver-se tipologie Classico, Vin Santo, Recioto.Il Gargànega è un vitigno a bacca bianca che viene allevato

lungo la “strada del Recioto di Gambellara” che si snoda nella bassa valle del Chiampo, in un territorio di origine vulcanica, con suoli basaltici che abbrac-cia i comuni di Gambellara, Montebello Vicentino, Montorso e Zermeghedo.Le uve che si ottengono sono ricche di zuccheri e di sostanze aromatiche, elementi, questi, che caratterizzano fortemente il vino di Gambellara.La punta di diamante della pro-duzione enologica dei vini del basso chiampese è il Recioto,

tanto da conquistare l’ambitis-sima Docg nel 2008. La parti-colarità di questo vino è data dalla tecnica molto antica di vinificazione, accompagnata da un’arte contadina paziente, che prevede un’accurata selezione delle uve ed un appassimento dei grappoli. Il suo colore va dal giallo dorato chiaro all’ambrato, il profumo intenso di fiori ricor-

da note di vaniglia, uva passa e miele, al palato si presenta dolce, armonico, vellutato, con un retrogusto amarognolo.Un tempo il Recioto di Gambellara era considerato il vino del popolo, dei contadini e degli artigiani, di contro il Vin Santo era il vino che accom-pagnava i pasti dei ricchi e dei nobili. Effettivamente l’aristo-cratico Gambellara Vin Santo è un vino straordinario, essen-do prodotto solo nelle migliori annate e la sua produzione è limitatissima. Il sistema di pro-

duzione è simile a quello del Recioto tradizionale, ma preve-de un più lungo appassimento. All’occhio si presenta di colore giallo ambrato, mentre al naso il profumo richiama la frutta matura e passita; intenso e mor-bido al palato. Si sposa bene sia con formaggi stagionati che con la pasticceria secca.Dal vino al riso il passo è breve

nel territorio di Vicenza, un vecchio proverbio recita: El riso nasse da l’aqua e ‘l ga da morire sol vin (il riso nasce nell’acqua e muore nel vino). Diviene impossibile non citare un prodotto di pregio come il Vialone nano che, ad ogni buon conto, può essere considerato il riso vicentino per antonomasia; è utilizzato per preparare anti-pasti, minestre, risotti all’onda, mantecati o sgranati, dolci. Ha altissime proprietà nutrizionali e dietetiche. È classificato come uno dei risi “semifini” e la versa-tilità in cucina è il suo grandissi-mo pregio.La caratteristica del turismo enogastronomico, non è solo nello spostamento del consu-matore e nell’assaggiare il patri-monio culinario del luogo. Ma è qualcosa di più, che abbraccia inevitabilmente la natura, l’am-biente e quindi il duro lavoro dei contadini, dei pastori…è un modo per approfondire il pro-cesso produttivo, per capire cosa c’è dietro ad un’etichetta, è un modo per recuperare anche le nostre radici rurali. Il turismo enogastronomico è dunque un incoraggiamento a visitare un territorio per scoprirne le parti-colarità, le tradizioni, il legame tra l’ambiente e la società locale. Quindi diviene interessante, ma ancor di più divertente, ammi-rare anche un’intensa attività d’allevamento locale di capre e pecore tanto poi da compren-dere certe pietanze autoctone e certi richiami letterari come quello di Ortensio Lando, medi-co e letterato milanese del 1500, che nel suo ‘Commentario de le più notabili, & mostruose cose d’Italia, & altri luoghi’ scrisse: “Buoni vini havrai nel Frioli, migliori in Vicenza dove anco magre ai perfettissimi capretti” riferendosi proprio all’appetito-sa ricetta antica del capretto al forno passato allo spiedo, tipica pietanza che da gustare

lungo la “Strada del Recioto di Gambellara” .Ma gli ovini non sono solo l’unico allevamento che inte-ressa la bassa valle del Chiampo anche il maiale fa la sua parte. Così gli amanti dei salumi non potranno esimersi d’assaggiare la morbida Sopressa Vicentina Dop, che rientra nei classici prodotti della tradizione, gastro-nomica locale; è un ‘salame’ aromatico, dal sapore delicato, preparato con i tagli migliori del maiale (prosciutto, spalla, coppa ecc.). E’ prodotta esclusivamen-te in provincia di Vicenza, in un’area delimitata a nord dalle Piccole Dolomiti e dall’Alto-piano di Asiago, a sud dai colli Berici.E’ proprio l’Altopiano di Asiago ad aver dato i natali ad uno dei formaggi italiani più noti: l’Asiago Dop; esso affonda le radici in una tradizione casearia che risale a più di mille anni fa. Il suo centro di produzione è in un vasto e verdeggiante omo-nimo altopiano, a più di mille metri d’altezza dove fare lunghe e rilassanti passeggiate aiuta a conciliarsi con lo spirito.Dunque, il cestino dei prodot-ti enogastronomici del basso chiampese -che sono alla base di una cucina semplice ma gustosa- si fa colmo di prelibatezze, come lo squisito stoccafisso alla vicen-tina, il piatto locale più famoso, a cui si abbina perfettamente il Gambellara Classico. La ricet-ta è un’elaborazione dell’arte culinaria popolare ed è stata tramandata oralmente di gene-razione in generazione. Il piatto richiede stoccafisso della miglio-re qualità, da sottoporre a lentis-sima cottura in olio extravergine d’oliva e latte, con aggiunta di vari aromi. Il suo sapore delicato lo rende gustabile tutto l’anno e come dicono i chiampesi ”il Bacalà a ‘la visentina, bon de sera e de matina”.

Alice Lupi

Strutturato e corposo ma non aggressivo, piuttosto equilibrato con tannini ben rotondi questa è la sintesi dell’annata citata, che è stata degustata durante la sesta edizione dell’appuntamen-to organizzato dal Consorzio di Tutela Vini Valpolicella in collaborazione con la Camera di Commercio di Verona, la Banca Popolare di Verona, VeronaFiere e con il contribu-to del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, per presen-tare in anteprima a giornalisti, operatori e appassionati l’annata di Amarone della Valpolicella 2006 .All’evento i tecnici del vino hanno spiegato che a privilegiare la bevibilità è sicuramente stata la grande mutevolezza dell’an-nata. Le condizioni ottimali cli-matiche hanno portato le uve ad una concentrazione zuccherina molto alta, così il pH è stato registrato leggermente più alto rispetto alla precedente vendem-mia 2005, ma si attesta pur sempre in media con le migliori annate. Grazie alla componen-te tannica equilibrata, l’Ama-rone 2006 dimostra una buona setosità e bevibilità, così come l’espressione olfattiva presenta un ottimo grado di intensità e complessità. C’è corrispondenza tra l’olfatto e il gusto: al naso

spiccano note di frutta matura, speziate di cannella e in alcuni vini sentori di rabarbaro e gra-fite. In bocca le basse acidità totali e il pH sostenuto hanno conferito equilibrio, rotondità ed eleganza.Se l’annata 2005 la ricorderemo come un millesimo di grande longevità, l’Amarone 2006 verrà rammentato per l’equilibrio, il frutto spiccato e la morbidez-za dei tannini. Ecco di segui-to cinque cantine produttrici dell’Amarone della Valpolicella 2006 che vi propongo: partirei con la storica cantina Tommasi Viticoltori, fondata nel 1902, sita nel cuore della Valpolicella che ha messo in commercio nel mese di febbraio 2010 il suo Amarone proveniente dai vigneti che sorgono nella parte occi-dentale, quella classica dove il suo terreno è d’origine calca-rea. L’Amarone Tommasi è pro-dotto con quattro vitigni della Valpolicella: corvina, corvinone, rondinella e molinara. Il vino qui viene invecchiato, almeno per tre anni, in botti di legno (in rovere di Slovenia) prima di affinarsi in bottiglia per altri 6 mesi. La Cantina Valpolicella Negrar, fondata nel 1933, sto-ricamente fu la prima ad aver imbottigliato l’Amarone. I suoi 500 ettari di vigneti sono nel

cuore del territorio. L’Amarone prodotto con le uve provenienti dal Negrar è famoso perché le note di prugna che caratteriz-zano il vino. Domini Veneti Amarone è un marchio della Cantina Negrar la cui etichetta (che oramai è entrata nell’im-maginario collettivo) è stata pre-miata da Selezione del Sindaco 2009, disegnata dall’abile mano di Milo Molinara. L’Amarone Negrar entrerà in commercio ad ottobre prossimo. La Cantina Cesari, nata nel 1936, si confer-ma una grande casa produttrice di questo importante vino rosso veneto. Il suo Amarone, prodot-to con uve corvinone, rondinella e molinara, è già in commercio. L’Azienda Agricola Latium è una giovane ditta nata nel 2001, sita nella zona allargata della Valpolicella ad est di Verona. L’Amarone Latium, contiene uve corvina corvinone, rondi-nella, oseleta e croatina, si potrà degustare a partire dalla pros-sima primavera. Chiuderei con l’antica Azienda Agricola Igino Accordini, fondata nel 1821, sita nel cuore della Valpolicella classica, il suo Amarone colpisce per il colore intenso. La sua par-ticolarità è quella di avvalersi in piccola percentuale, del vitigno rossignola. Il suo Amarone sarà disponibile per i consumatori

dal mese di aprile 2010.Ma veniamo al territorio. Per la Valpolicella il 2010 si prean-nuncia lieto. Da una parte una buona annata che permette ai produttori di continuare (anche se con una flessione) ad esporta-re i loro vini in tutto il mondo. Dall’altra, nonostante la crisi economica internazionale, ci sono echi da sfruttare ragguar-devoli: il nuovo anno si è aperto per questo territorio veneto con il prestigioso riconoscimento «Wine region off the year 2009» attribuito dall’autorevole rivi-sta statunitense Wine Entusiast.

Se si pensa che in “sfida” vi erano altre quattro regioni viti-vinicole di elevata caratura - le francesi Champagne e Rhône Valley, la californiana Russian River Valley e la sudafricana Stellenbosch - il premio assu-me un’importanza maggiore. Altro elemento da non dimen-ticare è che la Valpolicella ha recentemente conquisto l’atte-sa Denominazione d’Origine Controllata e Garantita (a parti-re dalla vendemmia del 2010 che berremo nel 2014). «La docg – ha affermato Luca Sartori, presi-dente del Consorzio tutela vini

Valpolicella, a chiusura dell’au-dizione pubblica del novembre scorso in cui sono stati pre-sentati i nuovi disciplinari di produzione di Valpolicella doc, Valpolicella Ripasso doc, Amarone della Valpolicella docg e Recioto della Valpolicella docg – è uno strumento che consente di far crescere la percezione del prodotto.Una grande opportunità che sapremo cogliere con un forte impegno da parte del Consorzio e di tutti i produttori». Con tutte queste premesse, c’è da esserne certi.

Per gli appassionati di vini dal gusto equilibrato sta arrivando sugli scaffali l’Amarone della Valpolicella 2006

L’Amarone si presenta in anteprima

Passeggiate di primavera lungo la strada del Recioto