1-15/16-31 luglio - 1-15/16-31 agosto 2010 - Anno XLV - NN. 83 - 84 - 85 - 86 – La rottura

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Arriva l’estate e la coppia scop- pia. Dopo mesi di insofferenza, battute al vetriolo e un conti- nuo stillicidio di contrasti tra il Presidente del Consiglio e quel- lo della Camera, avviene quello che era più logico avvenisse: la separazione tra i due alleati. L’epilogo a 16 anni di conviven- za politica a volte felice, a volte forzata si è avuto alla fine di un anno trascorso sul filo del rasoio per quanto riguarda soprattutto i rapporti personali tra i due cavalli di razza del Popolo della Libertà. Anni di battaglie condotte fian- co a fianco alla testa dell’esercito della gente del centro destra sono stati mandati in fumo dalle polemiche degli ultimi mesi. Evidentemente il rancore per- sonale, e non solo politico, sorto tra i due è stato più forte delle esperienze vissute insie- me in tutti questi lustri e che avrebbero dovuto cementare indissolubilmente tale sodalizio politico. Dallo “sdoganamento” berlusconiano, alle elezioni vinte sino a quelle perse, dai ribaltoni parlamentari leghisti prima, fino a quelli centristi dopo, dagli screzi tra Fini e Bossi e a quelli tra Casini e Berlusconi, dalla dissoluzione di AN e Forza Italia alla creazione del PdL: insomma quello che sembrava un tandem indissolubile ha pagato lo scotto del logoramento dovuto alla vita condotta nei “palazzi” istituzio- nali italiani. Troppe le incomprensioni tra i due che si sono succedute ulti- mamente. Dalle presunte ed auspicate “bombe” giudiziarie che Fini preconizzava a microfoni aper- ti durante qualche convegno estivo si è passato ai distinguo continui senza se senza ma del Presidente della camera rispetto alle posizioni del Cavaliere - e spesso rispetto a quanto propu- gnato per anni dall’ex Presidente di Alleanza Nazionale - riguardo temi come i referendum sulla bioetica, la legge elettorale e quella che regola l’immigrazione che porta anche il suo nome, sulla cittadinanza e il diritto di voto agli stranieri, la scelta dei candidati alle elezioni regionali ed europee, le riforme giudi- ziarie ed economiche e via di questo passo. A tali motivi di attrito, se ne sono aggiunti negli ultimi mesi altri: gli scontri riguardo l’orga- nizzazione ancora da venire del PdL, la presenza nell’entourage berlusconiano e di riflesso in quello governativo e partitico di personaggi che mai sono sem- brati troppo limpidi o almeno capaci di sembrarlo. I casi delle dimissioni richieste ed ottenute di Scajola, Brancher, in parte di Verdini e Cosentino sono solo l’estrema sintesi di una guerra di posizione che si è iniziata prima a combattere nelle retrovie tra “Berluscones” e “Finiani” e che si è poi conclusa in queste ulti- missime ore nel botta e risposta ufficiale che ha sancito la defini- tiva rottura politica e personale tra il Cavaliere e il Presidente della Camera. A ben guardare, più che le dif- ferenze caratteriali tra Fini e Berlusconi, nell’avvenuto divor- zio hanno contribuito molto di più le loro reciproche similitudi- ni comportamentali . Abituati entrambi per carisma, a guidare più che essere guida- ti, l’uno, Berlusconi ha creato dal nulla un impero economico editoriale che presupponeva una forza ed una capacità di coman- do eccezionali, l’altro, Fini, è riuscito a portare, grazie soprat- tutto al proprio merito, l’unico partito della destra italiana - il MSI prima considerato al di fuori dello schieramento demo- cratico da tutte le forze politiche italiane ed Alleanza Nazionale poi - dal 5% dei suffragi ad oltre il 13% e ad annoverare tra le proprie fila Ministri, Sindaci, Governatori di Regioni oltre che persone le quali hanno ricoperto o ricoprono tuttora importanti cariche istituzionali. Due personaggi però abituati ad essere degli “uomini soli al comando” contornati molto spesso o solo da fedeli uomi- ni azienda - Berlusconi - o da miracolati politici che tutto o quasi, devono al capo, Fini. Due “generali”quindi soliti anche ad epurare facilmente chi si oppo- ne o possiede idee divergenti dalle proprie - Martino, Pisanu, Storace e tante altre vittime illu- stri e ingiustamente esiliate dai due - oppure a tenersi vici- no uomini - come Tremonti o Alemanno ad esempio - di cui i due fino ad ora non possono o non potevano fare assoluta- mente a meno: insostituibile per il Cavaliere il Ministro delle Finanze per le sue qualità tecni- che nel ricoprire il delicato ruolo e di mediazione con l’alleato leghista, importante e storico serbatoio di consensi l’inquilino del Campidoglio. Insomma è la solita storia che si ripete: due galli nel medesimo pollaio non possono e non pote- vano convivere pacificamente. Il pollaio costituito dal Popolo delle Libertà - al momento que- sta è la descrizione che rende meglio l’idea del partito più Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-31 Luglio/Agosto 2010 - Anno XLV - NN. 83-84/85-86 E 0,25 (Quindicinale) In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy — Fondato da Turchi — I contribuenti e lo Stato — a pagina 5 — economia Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 La Piazza d’Italia Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina COPIA OMAGGIO www.lapiazzaditalia.it di FRANZ TURCHI — a pagina 6 — cultura Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia www.lapiazzaditalia.it Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti Si, finalmente abbiamo fatto chiarezza e la quota che oramai faceva oppo- sizione più a sinistra della sinistra è stata messa fuori dal PDL. Penso che fini si debba sentire responsabile di non avere mantenuto la pro- messa fatta agli elettori del PDL e a quelli soprattutto ex di AN, di credere nel partito da lui fondato e nel programma da que- sto votato nel congresso e nelle ultime elezioni. La Destra italiana si è sempre riconosciuta nel Dio, Patria e Famiglia ma anche nella lealtà, nella coerenza del pensiero e nel rispetto delle istituzioni sin dai tempi del MSI. Quello che abbiamo visto da parte di Fini e dei suoi sostenitori, va nel senso contrario a tutto questo. Soprattutto adesso, nella crisi, dove servirebbero stabilità e riforme per il Paese, per dare risposte economiche, occupaziona- li e sociali come anche di servizi e infrastrutture agli italiani. A questo punto noi credia- mo nel progetto del PDL e nel suo leader, credendo che il futuro delle nuove generazioni e per esem- pio del sud, passi per un rinnovo della classe diri- gente e per una politica che abbia i principi da me elencati e gli obbiettivi da noi sottolineati più volte. Ad maiora. Feuerbach, essenza della religione Finalmente ! Segue a pagina 2 La rottura Epilogo amaro di 16 anni di convivenza politica

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Finalmente - La rottura - Temporali estivi - USA, la favola è finita - Nigeria, ancora scontri e morti - La crisi economica, ciclica o strutturale? - La crescita continua del debito pubblico - Tagli a Regioni ed enti locali - I contribuenti e lo Stato - Le ovvietà delle congiunture economiche conclamate . Un miracolo per riabilitare l’economia e le famiglie italiane - Feuerbach, essenza della religione - Hume, storia naturale della religione - Freud, avvenire di un’illusione - Seth Lloyd e il suo sogno in fieri - Un viaggio lampo nel cioccolato - Roma, Alta Moda Autunno Inverno 2010-2011

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Arriva l’estate e la coppia scop-pia.Dopo mesi di insofferenza, battute al vetriolo e un conti-nuo stillicidio di contrasti tra il Presidente del Consiglio e quel-lo della Camera, avviene quello che era più logico avvenisse: la separazione tra i due alleati. L’epilogo a 16 anni di conviven-za politica a volte felice, a volte forzata si è avuto alla fine di un anno trascorso sul filo del rasoio per quanto riguarda soprattutto i rapporti personali tra i due cavalli di razza del Popolo della Libertà.Anni di battaglie condotte fian-co a fianco alla testa dell’esercito della gente del centro destra sono stati mandati in fumo dalle polemiche degli ultimi mesi.Evidentemente il rancore per-sonale, e non solo politico, sorto tra i due è stato più forte delle esperienze vissute insie-me in tutti questi lustri e che avrebbero dovuto cementare indissolubilmente tale sodalizio politico. Dallo “sdoganamento” berlusconiano, alle elezioni vinte sino a quelle perse, dai ribaltoni parlamentari leghisti prima, fino a quelli centristi dopo, dagli screzi tra Fini e Bossi e a quelli tra Casini e Berlusconi, dalla dissoluzione di AN e Forza Italia alla creazione del PdL: insomma quello che sembrava un tandem indissolubile ha pagato lo scotto del logoramento dovuto alla vita condotta nei “palazzi” istituzio-

nali italiani.Troppe le incomprensioni tra i due che si sono succedute ulti-mamente.Dalle presunte ed auspicate “bombe” giudiziarie che Fini preconizzava a microfoni aper-ti durante qualche convegno estivo si è passato ai distinguo continui senza se senza ma del Presidente della camera rispetto alle posizioni del Cavaliere - e spesso rispetto a quanto propu-gnato per anni dall’ex Presidente di Alleanza Nazionale - riguardo temi come i referendum sulla bioetica, la legge elettorale e quella che regola l’immigrazione che porta anche il suo nome, sulla cittadinanza e il diritto di voto agli stranieri, la scelta dei candidati alle elezioni regionali ed europee, le riforme giudi-ziarie ed economiche e via di questo passo.A tali motivi di attrito, se ne sono aggiunti negli ultimi mesi altri: gli scontri riguardo l’orga-nizzazione ancora da venire del PdL, la presenza nell’entourage berlusconiano e di riflesso in quello governativo e partitico di personaggi che mai sono sem-brati troppo limpidi o almeno capaci di sembrarlo. I casi delle dimissioni richieste ed ottenute di Scajola, Brancher, in parte di Verdini e Cosentino sono solo l’estrema sintesi di una guerra di posizione che si è iniziata prima a combattere nelle retrovie tra “Berluscones” e “Finiani” e che

si è poi conclusa in queste ulti-missime ore nel botta e risposta ufficiale che ha sancito la defini-tiva rottura politica e personale tra il Cavaliere e il Presidente della Camera.A ben guardare, più che le dif-ferenze caratteriali tra Fini e Berlusconi, nell’avvenuto divor-zio hanno contribuito molto di più le loro reciproche similitudi-ni comportamentali .Abituati entrambi per carisma, a guidare più che essere guida-ti, l’uno, Berlusconi ha creato dal nulla un impero economico editoriale che presupponeva una forza ed una capacità di coman-do eccezionali, l’altro, Fini, è riuscito a portare, grazie soprat-tutto al proprio merito, l’unico partito della destra italiana - il MSI prima considerato al di fuori dello schieramento demo-cratico da tutte le forze politiche italiane ed Alleanza Nazionale poi - dal 5% dei suffragi ad oltre il 13% e ad annoverare tra le proprie fila Ministri, Sindaci, Governatori di Regioni oltre che persone le quali hanno ricoperto o ricoprono tuttora importanti cariche istituzionali. Due personaggi però abituati ad essere degli “uomini soli al comando” contornati molto spesso o solo da fedeli uomi-ni azienda - Berlusconi - o da miracolati politici che tutto o quasi, devono al capo, Fini. Due “generali”quindi soliti anche ad epurare facilmente chi si oppo-

ne o possiede idee divergenti dalle proprie - Martino, Pisanu, Storace e tante altre vittime illu-stri e ingiustamente esiliate dai due - oppure a tenersi vici-no uomini - come Tremonti o Alemanno ad esempio - di cui i due fino ad ora non possono o non potevano fare assoluta-mente a meno: insostituibile per il Cavaliere il Ministro delle Finanze per le sue qualità tecni-che nel ricoprire il delicato ruolo

e di mediazione con l’alleato leghista, importante e storico serbatoio di consensi l’inquilino del Campidoglio.Insomma è la solita storia che si ripete: due galli nel medesimo pollaio non possono e non pote-vano convivere pacificamente.Il pollaio costituito dal Popolo delle Libertà - al momento que-sta è la descrizione che rende meglio l’idea del partito più

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - dcb-Roma 1-15/16-31 Luglio/Agosto 2010 - Anno XLV - NN. 83-84/85-86 E 0,25 (Quindicinale)

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Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina

COPIA OMAGGIOw

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dita

lia.it

di fRANz tuRchI

— a pagina 6 —

cultura

Ricco, continuamente aggiornato:arriva finalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia

www.lapiazzaditalia.itUna Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti

Si, finalmente abbiamo

fatto chiarezza e la quota

che oramai faceva oppo-

sizione più a sinistra della

sinistra è stata messa fuori

dal PDL.

Penso che fini si debba

sentire responsabile di non

avere mantenuto la pro-

messa fatta agli elettori del

PDL e a quelli soprattutto

ex di AN, di credere nel

partito da lui fondato e

nel programma da que-

sto votato nel congresso e

nelle ultime elezioni.

La Destra italiana si è

sempre riconosciuta nel

Dio, Patria e Famiglia ma

anche nella lealtà, nella

coerenza del pensiero e nel

rispetto delle istituzioni

sin dai tempi del MSI.

Quello che abbiamo visto

da parte di Fini e dei suoi

sostenitori, va nel senso

contrario a tutto questo.

Soprattutto adesso, nella

crisi, dove servirebbero

stabilità e riforme per il

Paese, per dare risposte

economiche, occupaziona-

li e sociali come anche di

servizi e infrastrutture agli

italiani.

A questo punto noi credia-

mo nel progetto del PDL

e nel suo leader, credendo

che il futuro delle nuove

generazioni e per esem-

pio del sud, passi per un

rinnovo della classe diri-

gente e per una politica

che abbia i principi da me

elencati e gli obbiettivi da

noi sottolineati più volte.

Ad maiora.

Feuerbach,essenza

della religione

Finalmente !

Segue a pagina 2

La rottura

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Epilogo amaro di 16 anni di convivenza politica

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grande del paese, dove il primo che si alza canta a suo pia-cimento fuori da coro - era troppo stretto per contenere entrambi. Ciò in verità lo si era capito già al momento della sua fondazione voluta fortemente dal solo Berlusconi attraverso l’oramai “storico” annuncio dal predellino: Fini si era visto sor-preso dall’improvvisa decisione del Cavaliere e fatti due conti - vista la vicinanza con l’appun-tamento elettorale - non aveva potuto fare altro che ingoiare la decisione e strappare un nume-ro congruo di scranni per i suoi fedelissimi, complice una legge elettorale che lascia agli appara-ti di partito l’ultima scelta dei candidati. Decisione quella di far confluire AN nel Popolo della Libertà alquanto indigesta a quanto pare se già a pochi mesi dalla vittoria elettorale erano iniziati i distinguo poli-tici - prima accennati, infine sempre più impetuosi - su ogni decisione politica governativa.E’stato quindi quasi natura-le che il 29 luglio,l’ufficio di Presidenza del PdL a stragrande maggioranza - 33 voti a favore contro 4 soli contrari - votasse un documento in cui si deci-deva di deferire ai probi viri del partito Bocchino, Granata e Briguglio - i 3 giannizzeri più fedeli di Fini - e nel contempo sanzionare duramente il com-portamento di Fini accusato di non rispettare il suo ruolo istituzionale super partes e di guidare un’opposizione interna che si è data oltretutto una organizzazione territoriale in linea con le posizioni dei partiti di centro sinistra manifestate non come un legittimo dis-senso bensì come uno stillici-dio di distinguo o contrarietà nei confronti del programma

di governo e come una cri-tica demolitoria alle decisioni prese dal partito. Insomma un vero e proprio atto di sfidu-cia del Partito nei confronti di Fini sottoscritto pure dagli ora-mai ex colonnelli Gasparri, La Russa, Alemanno e Matteoli. L’invito di Berlusconi fatto a Fini di abbandonare la cari-ca di Presidente della Camera poiché espressione politica del PdL rappresentava infine la pie-tra tombale posta sui rapporti personali e politici intercorsi tra i due.A stretto giro di posta non si è fatta aspettare la reazione del Presidente della Camera il quale durante una conferenza stampa convocata all’indomani della riunione del massimo organo decisionale del Popolo della libertà, oltre a ribadire la sua intenzione di non voler assoluta-mente abbandonare lo scranno più alto della Camera dei depu-tati, denunciava - a suo modo di vedere - la concezione non proprio liberale della democra-zia del Presidente del Consiglio annunciava la creazione di un nuovo movimento politico che costituirà gruppi parlamentari in parlamento:Futuro e Libertà per l’Italia il suo nome.Resta a questo punto da vedere - oltre al mero dato numerico dei parlamentari che il nuovo soggetto politico riuscirà ad attrarre - quanto questa scissio-ne peserà sul prosieguo dell’at-tività di governo ed in quella di creazione e strutturazione del PdL, due punti questi che sono strettamente intrecciati tra di loro e che possono contribuire - grazie alla stabilità politica che ne deriverebbe - a rilanciare o definitivamente affossare il ten-tativo del Paese di rialzarsi dalle pesante crisi economica in cui ristagna da troppo tempo.

Giuliano Leo

Chiunque abbia avuto la possibilità, o la volontà, di leggere sui giornali le crona-che politiche di questi ultimi giorni riguardo la situazione interna al maggior partito italiano, il PdL, si sarà sicu-ramente reso conto di quan-to sia difficile governare nel nostro Paese pur possedendo carisma personale, voglia di fare e soprattutto i numeri, in termini di parlamentari e di voti, per fare ciò.Ogni settimana, ogni giorno, è uno stillicidio di critiche o accuse che i diversi apparte-nenti alle correnti costituenti il Popolo delle Libertà si rim-pallano l’uno contro l’altro in maniera da creare un clima di costante tensione che di fatto sta rallentando l’azione del Governo.Temi di giornaliero scontro tra le diverse anime del parti-to sono diventate ultimamen-te le inchieste giudiziarie che indicano il coinvolgimento di esponenti di primo o secondo piano della “nomenklatura” politica del PdL.Agli inizi di maggio scoppiò il putiferio intorno al caso delle dimissioni del Ministro Scajola per l’abitazione roma-na da lui acquistata grazie al consistente aiuto monetario della consorteria che face-va capo al costruttore Diego Anemone e ad alti funzionari del ministero dei lavori pub-blici sospettati pure in nume-rosi casi di tangenti elargite e ricevute al fine di fare incetta d’importanti affidamenti di opere pubbliche.La “ritirata strategica” di Scajola è stata seguita subi-to dopo, eravamo appe-na a Giugno, dalla nomina a Ministro e dalle relative dimissioni lampo di Aldo Brancher coinvolto in un indagine finanziaria e dal polverone di polemiche alza-to dalle stesse.Adesso invece i nuovi casi,

quasi fossimo al cospetto di un terribile gioco stile rou-lette russa, riguardano le fre-quentazioni ed i comporta-menti non troppo ortodossi avuti in un passato recente da alti rappresentanti del PdL e che vedrebbero tra gli imputati principali il “trium-viro” Verdini e l’uomo forte di Berlusconi in Campania, Cosentino.Verdini sarebbe coinvolto sia in un oscuro giro di tangenti riguardanti la costruzione di campi eolici in Sardegna, i cui contorni ancora non sono sufficientemente chiari, sia nella complicità nella parte-cipazione insieme a Dell’Utri e il redivivo Flavio Carboni, alla ricostruzione di una sorta di loggia massonica - definita P3 da alcuni osservatori - che tra i vari obiettivi avreb-be avuto - oltre a quello di sostenere alcune lobby finan-ziarie ed economiche, quello di screditare, attraverso un sexy scandalo simile a quello che ha tarpato le ali a Piero Marrazzo nel Lazio, l’attua-le Governatore della regione Campania Caldoro all’epo-ca dei fatti in piena lotta per l’investitura a candidato ufficiale del PDL alle ele-zioni regionali col già citato Cosentino.Il putiferio mediatico-politi-co alzatosi intorno a questa vicenda è stato così gran-de che Berlusconi, come nei casi di Scajola e Brancher, per non far uscire male da questo can can il partito, è stato costretto a chiedere al sottosegretario Cosentino di dimettersi per non creare ulteriori pericolosissime fri-zioni interne al PdL in con-comitanza del voto di fiducia riguardo la manovra econo-mica anti-crisi poi approvata in prima lettura al Senato.Tali avvenimenti hanno otte-nuto il risultato di rinvigorire le polemiche nei confronti sia degli indagati sia verso Berlusconi ed il suo Governo, curioso poi sottolineare come gli attacchi più livorosi verso i protagonisti di queste vicen-de giudiziarie siano venuti, oltre che dagli esponenti dei partiti d’opposizione - come era logico aspettarsi - soprat-tutto dall’ala “finiana” dei deputati del Popolo della Libertà.Il più lesto ad inserirsi ed evidenziarsi per la durezza delle proprie dichiarazioni in questo “tourbillon” di pole-miche è stato come al solito il braccio destro del Presidente della Camera, Bocchino.L’esponente ex AN ha infatti invocato non solo le dimis-sioni da tutte le cariche governative e di partito per Verdini e Cosentino, risul-tato parzialmente ottenuto nei confronti di quest’ulti-mo, ma ha affermato che dal punto di vista politico ci fosse l’esistenza di un gros-so problema d’opportunità che il Presidente Berlusconi non avrebbe potuto in alcun modo sottacere: quello della

presenza all’interno della classe dirigente del Partito di un malcostume diffuso. Insomma dopo settimane di strenua difesa, i “finia-ni” sull’onda delle polemiche giudiziarie cercavano di fare filotto mettendo alle corde il Presidente del Consiglio colpendo i suoi più fedeli alleati, cercando inoltre di stravolgere la strategia politi-ca difensiva di Berlusconi.Strategia Berlusconiana che verteva intorno ai tentativi di riallacciare l’alleanza politica con l’UDC - testimonianza di ciò è stata una ristrettis-sima cena avvenuta qualche giorno fa a casa di Vespa tra il Cavaliere e Casini - che oltre a diminuire il potere con-trattuale dei deputati vicini all’ex Presidente di Alleanza Nazionale, avrebbe fatto da contraltare alle rivendicazio-ni dell’alleato di coalizione leghista. Questa manovra sembrava andare nel verso di un doveroso quanto proficuo riavvicinamento tra i centristi e il PdL quando si è scatenata la tempesta giudiziaria contro Verdini e Cosentino che ha avuto l’effetto di vanificare gli sforzi messi in campo per raggiungere tale obiettivo.A questo punto, per il Presidente del Consiglio sarà molto arduo sciogliere i nodi che non permettono al Governo di attuare con forza le politiche necessarie al superamento della fase di crisi che il Paese sta attraver-sando.Per quanto riguarda il fronte interno al PdL, Berlusconi dovrà rintuzzare gli attacchi dei finiani che puntano con-temporaneamente a diminui-

re la Sua capacità d’attrazione agli occhi dei simpatizzanti e la forza degli uomini da sem-pre fedeli al Cavaliere al fine di impadronirsi del Partito, ciò potrà essere evitato solo rimuovendo con decisione e senza tentennamenti i per-sonaggi più “chiacchierati” e meno capaci del suo entou-rage e rilanciando l’azione costitutiva del Partito attra-verso la celebrazione di veri congressi locali.Per quanto concerne il fronte esterno al Partito il Cavaliere il prosieguo lungo la stra-da che avrebbe portato al riavvicinamento con l’UDC appare definitivamente sbar-rata dalle reazioni da una parte della Lega Nord che ha addirittura minacciato di rompere l’alleanza con il PdL e da quelle delle opposizioni di centro sinistra e dell’Italia dei Valori dall’altro lato che minacciano i centristi, in caso di “intelligenza” col nemi-co berlusconiano di rompere definitivamente i rapporti ad ogni livello.La speranza è che l’approva-zione della Legge Finanziaria “lacrime e sangue” e la pausa estiva possano in qualche modo favorire il superamen-to dell’empasse politica che sta caratterizzando gli ultimi mesi dell’azione politica del Governo Berlusconi ed eviti l’azzeramento dei risultati fin qui ottenuti o in dirittura di arrivo come la riforma dell’Università, il federali-smo fiscale, la lotta all’im-migrazione clandestina e alla criminalità oltre che l’inizio di risanamento dei conti pubblici di cui Tremonti ha posto le basi.

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Dalla PrimaTemporali estivi La rotturaLe inquietudini interne al partito rallentano l’azione del governo

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La Piazza d’Italia - Esteri

Mentre passa anche la rifor-ma del sistema finanziario, un misto di iper-regolamentazione e devoluzione di maggiori poteri alla Fed con annessa creazione nel suo seno di una fantomati-ca “Agenzia di protezione dei consumatori”, la popolarità di Barack Hussein Obama non è mai andata così giù: sei ameri-cani su dieci si dicono convinti che il Paese sotto l’ammini-strazione Obama stia andando nella direzione sbagliata.

E dire che l’inquilino di Pennsylvania Avenue è riuscito ad approvare la sua, almeno in parte, riforma del sistema sanitario, si è disimpegnato dall’Iraq e si è buttato a testa bassa sull’Afghanistan, il mega stimolo all’economia da mille miliardi di dollari che aveva promesso è stato varato, l’eco-nomia a stelle e strisce, cre-sce, non tantissimo, ma cresce (3/3,5) a tassi che comunque da questa parte dell’Atlantico non si ricordano da anni.

Ma tant’è nonostante la pom-posa ufficialità quasi da trionfo bellico nell’annunciare il pas-saggio della riforma del sistema finanziario, nei sondaggi gli americani sembrano aver fatto spallucce a BHO.

Il tracollo d’immagine di colui che un tempo veniva affettuo-samente chiamato “The Man” pare difficile da interrompere.

Tutto comincia in una giornata d’inizio estate allorché il roto-calco di rock e costume “The Rolling Stone” racconta attra-verso un suo inviato di uno sfogo da bar del capo delle ope-razioni militari in Afghanistan Stanley Mc Christal con alcuni quadri dell’esercito alla pre-senza del giornalista insider. Ne escono di cotte e di crude, sull’incompetenza di Biden, il vicepresidente, ma soprattut-to il ritratto di un Presidente impaurito che chiede timida-mente consigli e non sa dove metter le mani, preoccupato più che altro di concertare un romanzo fotografico convin-cente dell’incontro alla Casa Bianca con il nuovo coman-dante in capo delle operazioni militari in Afghanistan.

La notizia fa il giro del web in un istante e sui blog con-servatori statunitensi campeg-gia il motto “Stanley 2012”, il Presidente ha una reazione isterica capace di amplificare la portata dell’accaduto e porta in breve Mc Christal alle dimis-sioni tra le tensioni tra Casa Bianca e apparati militari.

Poi l’attacco a Wall Street che i più dicono concertato per far dimenticare l’incidente Mc Christal e rilanciarsi in chiave elezioni di mid-term, oramai vicinissime (novembre prossi-mo), elezioni che non lascia-no presagire nulla di buono

prevedendosi il passaggio di almeno di una delle camere ai repubblicani, un partito quello dell’elefantino dei giorni d’oggi privo di un leader e di un pro-gramma ma con l’unico meri-to di aver mostrato dall’inizio scetticismo sulle reali capacità di un Presidente fotogenico e carismatico ma pure sempre

inesperto in fatto di ammini-strazione della cosa pubblica.

Sullo sfondo il petrolio della BP che senza pietà inonda le coste della Louisiana senza che il gabinetto del Presidente rie-sca a trovare una soluzione che una per giorni e giorni dopo che Obama era stato uno dei più fieri aggressori politici del G.W. Bush incapace di reagi-re tempestivamente all’arrivo

dell’uragano Katrina sempre sulle stesse sfortunate coste.

Il Presidente è all’angolo e il suo “Change” lascia disincan-tati, i più vi vedono oramai solamente l’ennesima riedi-zione democratica del classico Tax and Spending che affoga l’economia.

Se il disastro della BP o la figu-raccia con Mc Christal spin-gono ai minimi la popolarità di Obama, la sua rielezione ed ancor prima il risultato delle prossime elezioni di mid-term non sarà però certamente determinato da tali fatti, i cit-tadini americani restano una delle democrazie più mature del pianeta e non decidono di cambiar colore misurando la

propria amministrazione sulla base di disastri naturali di cui non si è responsabili o sulla base di uno scandalo qualsia-si, la verità è che il giudizio che verrà sull’amministrazione Obama verterà su tre precisi punti, punti che egli stesso aveva messo davanti all’eletto-rato quando si candidò: i risul-

tati sull’occupazione della ricet-ta da mille miliardi di dollari obamiana; i risulati della guerra ad Al-Qaeda in Afghanistan e Pakistan; la riforma sanitaria.

Il fatto è che durante l’am-ministrazione di BHO l’occu-pazione è salita di poco più di 400.000 unità lavoro e per di più sulla base di contrat-ti temporanei, causa – dicono gli osservatori – lo scoraggia-

mento delle imprese costrette a gestire una prospettiva di incremento di tasse sinora sco-nosciuta che sarà necessaria per dare la copertura finanziaria ai programmi e le riforme del Presidente.

In Afghanistan gli Stati Uniti hanno assunto una chia-ra leadership ma le ondate degli attacchi contro taleba-ni e qaedisti paiono perdersi nelle brume delle montagne dell’Hindukusch e quello che è chiaro è che la vittoria milita-re continua ad essere lontana, mentre il rischio di una ritira-ta strategica (perché non dire chiaramente che di sconfitta si tratta) è dietro l’angolo.

Quanto alla riforma sanitaria essa nonostante sia stata varata all’italiana (la legge nei suoi aspetti salienti entrerà in vigore solamente nel 2014) ha scate-nato un genuino moto di ribel-lione in un Paese preoccupato dall’esplosione di un deficit e di un debito pubblico che dopo gli interventi obamiani appaio-no fuori controllo.

La favola del Presidente prede-stinato appare essere terminata, quel che è certo è che da doma-ni ad Obama per mantenere e guadagnare credito con l’elet-torato non basterà più il pro-verbiale magnetismo ma servirà un qualche risultato.

Giampiero Ricci

Nigeria, ancora scontri e morti

USA, la favola è finita Il calo di popolarità del Presidente Obama segna un momento fondamentale per gli Stati Uniti

La problematica civile della frammentazione religiosa

Nigeria, intreccio di etnie e interessi diversi, esistenza e non convivenza pacifica di differen-ti religioni e credi separati; usi, costumi e leggi non integrati tra i gruppi della popolazione.

Questo è lo specchio che riflet-te l’immagine di un paese sem-pre e per forza sull’orlo di una guerra civile e di aspri scontri, in nome di intricate e tortuose cause di fedi che parlano lin-gue opposte e che spesso non vogliono comprendersi.

La profonda divisione tribale e frammentazione politica del paese, probabile retaggio del colonialismo in Africa, conta un’enorme varietà di tradizio-ni diverse: 250 circa gruppi etnici.

Il gruppo dominante nel nord è degli Hausa-Fulani, di reli-gione islamica; la popolazione Yoruba prevale nel sud-ovest e l’area del sud-est è sotto il controllo dell’etnia Igbo.

Il meridione è per la maggior parte cristiano, il nord è musul-mano.

La conflittualità politica a par-tire dall’indipendenza nigeria-na è stata causata dagli anni ’60 in poi da questi tre principali gruppi, Yoruba, Hausa-Fulani e Igbo che assieme formano i cosiddetti Big Three.

Lo squilibrio tra nord e sud è stato sempre favorevole al nord islamico in contrasto con la maggiore produttività

ed emancipazione culturale del sud cristiano.

In realtà, la questione etni-co-localistica è al centro del dibattito politico-economico del paese e in questo scenario, si inseriscono le rivendicazioni

delle più piccole popolazioni del delta del Niger a partire dagli Ijaw, dagli Ilaje, dagli Urhobo ed Ogoni che spesso sfociano in violenze contro lo stato e contro le multinazio-nali petrolifere installate nella regione, dalla Shell all’Agip, ree di sfruttare le risorse del territorio senza contribuire al

mantenimento ecologico e non curanti di una giusta distribu-zione dei profitti.

Post indipendenza il paese aveva tre macroregioni, quelle illustrate precedentemente, ma per favorire la rappresentanza

e il potere ad ogni etnia, si è andati verso una maggiore frammentazione fino ad arri-vare ad un totale di 36 stati odierni; le pressioni per crearne altri ancora non si arrestano.

Probabilmente il frazionamen-to della società nigeriana, se di tessuto sociale si può parla-re, non è stata una buona via

per garantire peso politico per tutti; di sicuro, in un concreto sistema democratico e repub-blicano la partecipazione equa poteva trovare strade miglio-ri per costruire nella diversità, un’entità popolare più omo-genea e più unita; ad esempio, la promozione di una cultura laica, libera dai dogmi e dagli imperativi religiosi nella vita quotidiana già avrebbe fatto molto in una realtà dove i ter-ritori sono separati anche per le differenti fedi.

Il Nord della Nigeria è islami-co, gli Husa-Fulani vivono qui; gli Yoruba che vivono nel sud ovest sono per la maggior parte cristiani, per un quarto islamici e le zone restanti sono abitate da popolazioni che seguono religioni animiste tradizionali. Gli Igbo sono prevalentemente cristiani ed occupano la parte del sud est, tra questi, i cattolici di rito Romano sono predomi-nanti.

Le rivendicazioni politiche e il peso economico non possono essere concepite avendo come punto di partenza la coscienza di appartenere ad un gruppo religioso, perché la storia ci ha ben insegnato quali conflitti sanguinosi, fratricidi e folli può causare la religione se incorpo-ra interessi che non dovrebbero competerle.

Negli anni in Nigeria si è assi-stito a scontri violenti fra grup-pi cristiani e islamici, soprat-

tutto nel nord del paese:anche l’introduzione in alcuni stati settentrionali della Sharia ha le sue responsabilità. In questo caso la scienza giurispruden-ziale si sforza di individuare la Legge di Dio e le fonti della Legge Islamica sono il Corano e la Sunna e in base a questa, la pena di morte è concepita in quattro casi specifici.

Quest’ultima è ancora utilizza-ta in paesi che si fanno paladini della civiltà occidentale, quindi la si contesta in generale, non solo in quanto prevista dalla Sharia; in realtà, ciò che più colpisce è che le fonti della legge siano ricercate in testi religiosi. Ecco un esempio di come la fede non deve entrare a far parte degli affari umani.

Nel Novembre 2008 , il partito politico sostenuto dai cristiani vince le elezioni nella zona di Plateau e questo fomenta fune-ste rivolte che lasciano a terra centinaia di vittime.

A Gennaio 2010 a Jos, capitale dello stato di Plateau e città nel centro del paese, capoluogo di confine tra il nord musulma-no e il sud cristiano, dove i cittadini delle due diverse fedi vivono fianco a fianco, quattro giorni di scontri scatenati dalla costruzione di una moschea nel quartiere a maggioranza cristia-na, provocano più o meno 464 vittime.

Nel Marzo 2010 sempre a Jos i morti sono 500, causati non

solo dagli scontri interreligiosi, ma anche dalla lotta per il con-trollo delle risorse territoriali.

14 Luglio 2010, nello stato di Taraba, nella città di Wukari a maggioranza cristiana ma con-finante con Plateau, si lavora alla costruzione di una moschea che deve sorgere all’interno di un terreno di un commissaria-to di polizia. Inizia la protesta di giovani cristiani che a suon spranghe, vanghe e picconi entrano nel recinto e distrug-gono la parte della moschea ancora in costruzione; si sparge la voce e allora un folto gruppo di musulmani si accanisce sulla prima chiesa che capita. I due gruppi si affrontano, la polizia spara senza scrupoli ad altezza uomo ed ecco sfociare la città nella guerriglia urbana; risulta-to: 8 morti e 40 feriti.

I rancori venuti a galla per l’occasione non sono pochi e sono indicatori della realtà della zona: questioni religiose, ma anche miseria, terreni fer-tili assegnati ad una comunità piuttosto che ad un’altra, lavori sottratti e ridistribuiti a clan diversi, storie di emigrazioni e difficili integrazioni.

Questa è la Nigeria, un paese che fatica a trovare il suo equi-librio nell’unità e che fa della religione un pretesto di scon-tro e veicolo per altri rancori e tante problematiche ancora irrisolte.

Ilaria Parpaglioni

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La Piazza d’Italia - Economia

Da qualche mese il problema della crisi economia internazio-nale non viene più affrontato nello step della sua dinami-ca ma in chiave interpretativa. A seguito di una congiuntura internazionale fortemente cri-tica, tutti si chiedono se abbia una natura ciclica o strutturale. Anche il CNEL nel rapporto del mercato del lavoro 2010 pone l’accento su questa dico-tomia interpretativa. È aperto il dibattito sugli effetti strutturali della crisi, ovvero sulla misura in cui essa possa aver intaccato i livelli dell’output potenzia-le; da questo conseguirebbero evidentemente minori spazi di recupero nel corso della fase di ripresa del ciclo economico. Poi conta anche l’eredità che la crisi trasmette in termini di squilibri delle finanze pubbli-che. Paesi che hanno cumula-to ampi disavanzi, e registrato incrementi di rilievo dello stock di debito pubblico, potrebbero essere nella condizione di dove-re mettere in atto politiche di consolidamento della finanza pubblica con effetti sfavorevoli sulla crescita dei prossimi anni, ed è il caso dell’Italia.Se vale l’ipotesi per cui la crisi si configura essenzialmente come un fatto di carattere ciclico, con effetti limitati sul livello del prodotto potenziale, allora ci si deve attendere un ritorno dei livelli produttivi in prossimità del trend precedente la reces-sione. Se invece la contrazione del Pil è di carattere struttu-rale, allora ne consegue che il più basso livello raggiunto dalla produzione non è destinato a venire recuperato rapidamente;

in termini tecnici, la recessione ha modificato il livello del pro-dotto potenziale.Con il passar dei mesi, la tesi della caduta del livello del pro-dotto potenziale ha acquisito rilievo crescente nel dibattito, proprio in considerazione del fatto che la rapidità della crisi in alcune economie si è rive-lata del tutto esigua rispetto all’intensità della precedente recessione.Nel corso del 2009 le perdite di prodotto hanno intaccato in maniera rilevante le perfor-mances delle industrie, questo dimostra come una crisi di natura finanziaria può influen-zare settori industriali cioè quelle economie nazionali che sono caratterizzate dalla produ-zione manifatturiera come l’Ita-lia, il Giappone e la Germania. L’intensità delle misure di poli-tica economica messe in campo per contrastare la crisi è stata davvero impalpabile, mentre la reazione delle politiche di bilan-cio alla crisi è stata in generale di dimensioni eccezionali in una prospettiva storica. I disa-vanzi pubblici si sono ampliati, sia a seguito delle conseguen-ze della recessione sui saldi, che per effetto delle misure di carattere discrezionale messe in campo dai Governi.Si può affermare che questa crisi è stata la prima nell’era della globalizzazione. L’Italia ha condiviso nel 2009 le tendenze del ciclo internazionale. Nel dato medio dell’anno il nostro Paese è fra quelli che hanno fatto peggio, dopo essere cre-sciuto meno di tutti nella pre-cedente fase di espansione del

ciclo. La crisi si è venuta difatti a sovrapporre per l’Italia ad una tendenza di fondo di per sé fra-gile. Ha pesato anche la nostra specializzazione industriale, che ci ha esposti in misura maggiore alle fluttuazioni della domanda internazionale, oltre che l’eredi-tà di un elevato stock di debito pubblico, che ha impedito un utilizzo attivo della leva fiscale.Il 2009 è stato però un anno eccezionale anche per l’econo-mia mondiale, colpita da una recessione le cui caratteristiche non hanno precedenti nella storia economica recente. La caduta del prodotto ha superato quella di tutte le crisi verificate-si dal secondo dopoguerra. Tale intensità della crisi è associa-ta anche alla contemporaneità della recessione, che si è difatti prodotta contestualmente nella maggior parte delle economie mondiali. Ed è questa la carat-teristica che la contraddistin-gue come la prima recessione dell’epoca della globalizzazione. Essa è in parte da associare pro-prio ai meccanismi di propa-gazione del ciclo economico in un contesto di aumentata inte-grazione fra le diverse aree, che ha reso ciascuna di esse meno isolata dalla tendenze del ciclo economico rispetto al passato.Nel dibattito recente un peso di rilievo è stato assegnato al fatto che la crisi è derivata in tutti i Paesi dalla reazione delle impre-se ad uno shock comune, costi-tuito dal cambiamento delle condizioni di accesso al credito e dal timore di dover fronteg-giare una fase di inasprimento dei vincoli di liquidità. La rapi-dità della propagazione derive-

rebbe proprio dal fatto che essa si è diffusa attraverso i canali di trasmissione della finanza, piut-tosto che attraverso quelli degli scambi commerciali, che soli-tamente si caratterizzano per reazioni più dilatate dal punto di vista temporale.L’Italia è il Paese che nel posi-zionamento della dinamica della gerarchia internazionale della crescita ha realizzato la perfor-mance più deludente, avendo registrato una contrazione del prodotto interno lordo superio-re al 6% in un biennio, dopo essere stati il paese a minore crescita nel corso del biennio precedente.È chiara l’interpretazione che può darsi alla natura della crisi italiana, cioè di tipo strutturale e non ciclica perché essa ha inci-so profondamente sull’output potenziale e di conseguenza più passa il tempo e più difficile risulta essere l’uscita dalla crisi. Queste caratteristiche conno-terebbero in maniera inequi-vocabile il carattere strutturale della crisi economica italiana, a questa bisogna aggiungere l’ele-vato stock di debito pubblico accumulato, l’elevato squilibrio del bilancio pubblico, la cre-scita esponenziale della disoc-cupazione, la contrazione dei redditi e dei risparmi. Questi indicatori non sono diventati così negativi all’improvviso ma stanno confermando un trend pessimo che viene da lontano causa soprattutto l’assenza di politiche economiche appunto strutturali nei rispettivi mer-cati.

Avanzino Capponi

Le misure restrittive previste dalla manovra continuano a proliferare, è infatti il momento dei tagli alle Regioni ed agli enti locali. È pacifico ormai che si tratta di tempi duri, sia per i conti pubblici che per quelli delle famiglie italiane. Il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio parla di cami-cia stretta che bisogna accet-tare, continua dicendo che in Inghilterra addirittura si pensa di togliere il posto a 20.000 poliziotti.Il segretario del Pd Pierluigi Bersani interviene sulla mano-vra: “Non vorrei che dopo Berlusconi venisse fuori Chavez. Dobbiamo ripristinare i con-cetti base della democrazia par-lamentare perché non si può andare avanti a colpi di decreti, fiducie e telefonate riparatri-ci. O il Parlamento riprende il suo ruolo o non c’è libertà per nessuno”.L’emendamento approvato dalla Commissione prevede tagli per le Regioni pari a 8,5 miliar-di di euro nel biennio 2011-2012. Per i comuni le riduzioni ammontano a 4 miliardi di euro nel biennio e per le province pari a 80 milioni.Critico il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni che sottolinea come “ i ministeri vengano tagliati dell’1%” mentre alle Regioni “viene chiesto un sacrifi-cio pesantissimo del 14%. Complessivamente, regioni, province e comuni, sopporte-ranno ben oltre la metà della manovra”. Formigoni ha quin-di ripetuto che “continuiamo a chiedere il dialogo istituziona-le con il governo; francamente

non riesco a credere che non ci sia spazio per un incontro del governo, con regioni, comuni ed enti locali”. “Non voglia-mo il conflitto istituzionale, vogliamo il dialogo per arri-vare ad un accordo”. Secondo Formigoni questi tagli premie-rebbero le Regioni meno vir-tuose cioè quelle che hanno una spesa corrente enorme, e non la Lombardia, invece che è una regione molto virtuosa. Il meccanismo premiale non è certamente auspicabile, anche se in buona sostanza si verificherà uno sconfinamento della spesa corrente che comunque deve far fronte ai vari costi fissi degli organismi pubblici territoriali. Quindi maggiori tagli e meno virtuosismo, ma come sempre ogni decisione implica vantaggi per una parte e svantaggi per l’altra. Un buona politica ed un buon Governo sarebbe comun-que in grado almeno di contro-bilanciare gli effetti scaturenti dalle decisioni prese. Formigoni ribadisce che non viene messa in dubbio l’entità della mano-vra: adesso però sembra che la manovra sia intangibile anche nei particolari.Il problema oggi è quello di assi-curare stabilità ed equilibrio al bilancio pubblico, e per far que-sto occorre tagliare. Certamente l’emendamento non è il miglior intervento possibile in prospet-tiva federalista. Assicurare stabi-lità, continuità ed efficienza alla funzione di indirizzo politico, è un fine importante per un parti-to o per una maggioranza parla-mentare che governa un Paese. Peccato che talvolta l’indirizzo politico non è l’espressione di tutta la maggioranza di governo,

rilevando infatti che per essere tale deve avere l’esigenza di un necessario riflesso nella struttura interna di ogni singolo partito perché appunto il potere diret-tivo tende sempre ad accentrarsi in un gruppo ristretto di indi-vidui. Il pericolo può provenire proprio dalle forze politiche di maggioranza, le quali, una volta giunte al potere con il normale processo democratico, tendo-no ad usarlo per interromperne l’applicazione e ad instaurare un “regime” (cioè una situazione di fatto o di diritto, in cui i soli principi leciti siano quelli ispira-ti all’ideologia ed agli interessi di parte, ed in cui sia impossibile alla minoranza svolgere un’azio-ne capace di trasformarla in maggioranza e così subentrare al potere). Oggi assistiamo ad una notevole spaccatura all’interno della maggioranza sintetizzata da due posizioni diverse, quella di Fini e quella di Berlusconi.All’impatto della manovra restrittiva si aggiungono pro-blemi di natura politica, fratture interne che sembrano far per-dere di lucidità ad un partito che aspira ad essere un modello occidentale. Le decisioni econo-miche quando sono il risultato di divergenze all’interno della maggioranza non trovano con-divisione e a catena possono provocare dissensi spesso insa-nabili e rompere quel rapporto istituzionale che serve, invece, soprattutto nei momenti più difficili a rafforzare il dialogo per cercare una soluzione comune.Quindi il tema delle relazioni istituzionali è molto importan-te perché è il misuratore del rapporto fra Presidenti delle Regioni e Governo, il quale

decidendo per loro potrebbe non trovare adesioni e quindi all’applicazione del suo indiriz-zo politico economico, da qui nasce l’esigenza forte di trovare un accordo comune con le parti in causa, il problema vero è però che spesso i conti dello Stato non godono della stessa salute di quelli delle Regioni che a loro volta, soffrendo di una diffe-renziazione gestionale incidono chi più e chi meno sul bilancio pubblico. Dalla manovra, non c’è dubbio che può solo scaturire un aumento della spesa corrente, e chi fino ad ora non ha adot-tato un modello di governance virtuoso deve stringere ancor di più la cinghia, questo significa almeno nella fase iniziale meno servizi e più stagnazione. È anche vero che lo Stato non può sempre finanziare gli sconfina-menti e gli sprechi delle Regioni e degli enti locali e questo forse è un modo per richiamare tutti ad una buona conduzione della cosa pubblica. Il processo di spesa se alimentato da una razio-nale ed equilibrata politica di governo può tradursi nel tempo in risultati proficui per la collet-tività. Se non si vuole proprio essere irrealisti si può pensa-re che questi tagli comunque dovrebbero avere un fine edu-cativo: quello di insegnare alle Regioni ed agli enti locali che se il budget ammonta ad un certo livello le risorse da movimentare non possono essere maggiori, per cui un processo che tenga conto di questo sicuramente con il passar del tempo oltre che a risanare potrebbe diventare far diventare virtuosa una Regione che in passato non lo era.

CC

Continua la scalata irresistibile ed inarrestabile del debito pubblico nel nostro Paese, nel solo mese di maggio ha fatto registrare un incremento pari a 15 miliardi di euro rispetto ad aprile. Si tratta di un altro record, dopo quelli dei mesi precedenti. In termini monetari la soglia raggiunta è di 1.827 miliardi di euro contro i 1.812 di aprile. Tremonti ha commentato così questo incre-mento: “non farei il cambio con chi ha un debito pubblico basso e un debito privato che è quattro volte il nostro”. “Il parametro del debito pubblico è utile per valuta-re la sostenibilità di un Paese, ma ci sono anche altri indicatori per valutarla, tra cui la ricchezza delle famiglie, il sistema delle pensio-ni e la bilancia dei pagamenti”. “Questo non vuol dire che il debito pubblico non è rilevante, è enormemente rilevante, ma non esclusivamente rilevante”.Il commento del Ministro anzitutto non doveva essere un commento ma avrebbe dovuto provvedere in tempi remoti ad adottare una politica di stabi-lizzazione del debito pubblico e di decremento in modo da evitare accumuli indesiderati e troppo pesanti per una colletti-vità. Dopo di che poteva fornire un primo commento sulla bontà delle politiche adottate illustran-do alla popolazione gli even-tuali risultati raggiunti, questo è il compito di un ministro non sempre quello di limitarsi a commentare uno status quo che non si capisce chi dovrebbe contribuire a mutare in senso positivo. Il problema del debito pubblico non è nuovo ma è vecchio quanto l’Italia, per cui nessun ministro può adagiarsi.Bene ha fatto a ricordare il Presidente Napolitano che “siamo in una fase di conso-lidamento della finanza pub-blica, che viene affrontata in tutti i Paesi europei, sotto il peso, sotto l’assillo di una crisi finanziaria ed economica glo-bale e una espansione anche dell’indebitamento pubblico. Noi possiamo avere qualsiasi discussione nel nostro Paese, sulle scelte da fare, sulle misure da adottare, ma non c’è dubbio che non possiamo continuare a far pesare sulla spalle delle generazioni più giovani il debi-to così pesante dello Stato, che significa ogni anno spendere risorse pari a diversi punti del prodotto interno lordo non per investire ma per pagare il debi-to pubblico. Noi dobbiamo alleggerire questo fardello sulle nostre spalle e quindi abbia-mo bisogno di misure anche di severa restrizione della spesa pubblica, in particolare della spesa pubblica corrente”.Il Ministro Tremonti, afferma la non esclusività del parametro del debito pubblico quale fine della sostenibilità di un Paese e que-sta è un’affermazione sacrosanta perché il sistema economico è caratterizzato da una molteplici-tà di situazioni che se tendenti ad una sinergica azione di cre-scita e di sviluppo la rendono appunto sostenibile. Ma gli altri indicatori che condurrebbero a valutare la sostenibilità del Paese, come la ricchezza delle famiglie italiane, non è che godano di molta salute. Proprio di recente l’Istat ha pubblicato i dati del primo trimestre 2010 sul reddito delle famiglie italiane che hanno fatto registrare appunto una forte contrazione (- 2,6%) insieme a quella del risparmio. Per cui se associamo questi dati a quello del debito pubblico si fa presto a comprendere che l’Italia non è sulla strada di una crescita soste-nibile, questa crescita, dovrebbe meglio illustrarci il ministro, da quale altro indicatore positivo sarebbe sostenuta?Se la disoccupazione aumenta, la propensione al risparmio ed al consumo diminuisce, i redditi privati si contraggono, le picco-le e medie imprese continuano a

non perseguire utili d’esercizio, il contributo del comparto pri-vato ad una crescita sostenibile è molto lontano dalla realtà che vive il nostro sistema economi-co nel suo complesso. Se non si ha la consapevolezza che questi indicatori sono tutti negativi e già da tempo, non si riuscirà quantomeno ad arginare il pro-blema del collasso della finanza pubblica e successivamente di quella privata.Come dimostrano le teorie di politica economica, il manage-ment pubblico può fallire, ma questa può essere condizione necessaria per provocare danni irreversibili al sistema privato, quello cioè che caratterizza l’eco-nomia reale. In aggiunta biso-gna considerare la congiuntura internazionale che incide molto su quella interna e che non pre-figura scenari certamente posi-tivi, visto che la disoccupazione in Europa continua a lievitare, visto che gli investimenti conti-nuano a rimanere fermi.Il Presidente della Repubblica Napolitano ha ragione quando richiama tutte le forze parla-mentari ad un intervento di pubblica dignità morale, non è pensabile che il costo di questi elevati stock di debito pubblico debba essere sopportato dalle giovani generazioni, che già si trovano in una condizione di precarietà quasi permanente, e che debbono fare i conti ogni giorno con il mercato del lavoro che possa fornirgli soddisfazioni e prospettive incoraggianti. La realtà è che i sistemi economici in tutta la loro storia sono stati sempre accusati di avere i loro tempi per esplicare gli effetti preventivati, nel caso specifico, mentre il debito cresce a dismi-sura su base mensile, così come la disoccupazione, mentre i con-sumi non riescono a ripartire, le risorse non vengono liberate per investire sulla crescita e sullo sviluppo, gli addetti ai lavori trovano il tempo per commen-tare al posto di agire. Questi atteggiamenti poco istituzionali appartengono alla storia delle forme di Stato democratiche; va notato però che delle volte la democrazia a livello decisionale ha prodotto solo stallo, inerzia istituzionale e tanto immobi-lismo, quello che non c’è mai stato in paesi con forme di Stato totalitarie dove al posto delle chiacchiere si facevano i fatti, ovviamente quelli leciti, legali, cioè quei fatti che consentivano ai Paesi di raggiungere obiettivi di crescita e di sviluppo.Per precisare, quando si allude a queste forme totalitarie si fa riferimento esclusivamente al fatto che i Governi totalitari almeno soddisfacevano quella relazione necessaria mirata al raggiungimento di un determi-nato fine: cioè quella tra obiet-tivi e mezzi che mediante poli-tiche adeguate veniva appunto sempre soddisfatta. Questa è la tipica inadempienza, invece, degli Stati democratici che non sono in grado di garantire risul-tati concreti a fronte di proble-mi che con il tempo si accumu-lano senza trovare soluzioni.Non è un rimpianto al regime ma è la semplice ed oggetti-va constatazione che quei fatti necessari alla crescita di un Paese venivano puntualmente realizzati negli Stati totalitari.Oggi l’auspicio è che ci vor-rebbe una politica economica totalitaria operante in regime di Stato democratico. Solo questo garantirebbe il successo gradua-le degli interventi economici in un sistema che è destinato al collasso per ora del bilancio pubblico. L’Europa sta guardan-do e sta monitorando il rispetto del parametro di Maastricht, e dopo? Se questo parametro non verrà rispettato si spera di non fare la fine della Grecia. Meglio ovviamente sarebbe evitare.

CC

Sono due le possibili chiavi di lettura dell’attuale crisi

Confermati nella manovra i tagli alle Regioni ed agli enti locali, ed è subito polemica

La crisi economica, ciclica o strutturale?

Tagli a Regioni ed enti locali

A maggio, è cresciuto di 15 miliardi di euro rispetto al mese precedente

La crescita continua del debito pubblico

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La Piazza d’Italia - Economia

Sicuramente tutti farebbero a meno di leggere articoli che rilevano situazioni negative per l’economia italiana, e tutti, invece, preferirebbero leggere articoli che rilevano eventi posi-tivi a sostegno della crescita e della occupazione. Ma più che leggerli, finalmente vorrebbero viverli (ovviamente i secondi). Peccato che ciò non è ancora nemmeno ipotizzabile. Infatti, secondo l’Istat la spesa media mensile per famiglia è stata paria 2.442 euro, con una variazione rispetto all’anno precedente del -1,7%. Insomma nel 2009 i consumi delle famiglie italiane sono notevolmente diminuiti. Del resto come sarebbe stato plausibile pensare il contrario. La crisi internazionale, l’au-mento della disoccupazione, l’assenza di politiche strutturali nel mercato del lavoro, la crisi delle imprese, la diminuzione degli investimenti, la paura per un futuro sempre più incerto e meno sicuro. Oggi, non è che le cose siano cambiate di molto, restano infatti al palo consu-mi ed occupazione, anzi fanno registrare andamenti decrescen-ti e preoccupanti. Peccato però che chi di dovere non se ne accorge o fa finta di non vedere. Ma il costo della miopia dolosa

o involontaria è comunque sop-portato dalle famiglie italiane.Se calano i consumi vuol dire semplicemente che un aggre-gato della crescita economica provoca un rallentamento della stessa, che attestandosi ad un livello di recessione non fa altro che peggiorare la congiuntura. L’effetto contemporaneo è il continuare ad attingere ai rispar-mi, e quindi erodere sempre più la quota di risparmio. Ormai è consolidata la convinzione di chi ci governa, che gli italiani sono dei grossi risparmiatori, anche qui però commettendo un errore di valutazione, non sanno cioè che prima o poi questi finiranno se non messi in grado di poter accantonare altro risparmio, infatti, per defini-zione il risparmio è una risorsa scarsa e non illimitata e sempre disponibile.Quello che preoccupa è che a fronte di problemi reali che riguardano la vita delle fami-glie, la loro qualità, la possibi-lità di investire in una casa di proprietà, di crearsi un futuro soprattutto per le giovani gene-razioni, i politici rispondono con demagogia, senza misure concrete, questo non è più tol-lerabile.La contrazione della spesa per

consumi appare particolar-mente evidente tra le famiglie con livelli di spesa medio-alti. Diminuisce del 3% rispetto al 2008 la spesa medi per i generi alimentari e bevande (461 euro al mese); la diminuzione segue l’incremento osservato nel 2008, essenzialmente dovuto alla sostenuta dinamica inflazio-nistica che aveva caratterizzato questi beni. Diminuisce la spesa per servizi sanitari, tabacchi, comunicazioni, mentre risulta in aumento la spesa per combu-stibili ed energia, che si associa ad un periodo invernale parti-colarmente lungo e rigido.Se le famiglie italiane nel 2009 hanno speso di meno in beni alimentari, bevande, pane, oli, cereali, frutta, verdura, caffè, zucchero, vuol dire che o sono tutti a dieta o tutti più rispar-miatori. Sicuramente la secon-da è maggiormente plausibile, anche perché la prima è una battuta per smorzare il peso della deficienza economica in cui vivono le famiglie stesse. Risparmiare di più per far fronte ad un flusso di spese che con il passar del giorno invece di esser coperto con il relativo flusso di reddito deve esser finanziato dalla quota di risparmio accantonata prima,

significa vivere in apnea con qualche difficoltà finanziaria ed economica di parte corrente. Quando la quota di risparmio non è più sufficiente a garantire la copertura del flusso di spesa fisiologicamente legato alle esi-genze di una famiglia questa come si finanzia? Sicuramente c’è chi si indebita di più per mantenersi un mutuo immobi-liare e chi, invece, taglia fino ad azzerare la qualità della vita.Un Paese come l’Italia, che aspira a rafforzare il suo rango di industrializzazione, non può non adottare politiche a soste-gno della qualità della vita dei cittadini cercando di miglio-rarla. Purtroppo queste sono praticamente assenti. Cosa fare? In fretta riforme strutturali del mercato del lavoro, aumentare le risorse a disposizione della collettività in termini di reddito, di ammortizzatori sociali, per garantire quei livelli di qualità della vita adeguati a condurla in modo dignitoso. Tutti hanno diritto a questo e lo Stato deve fare del tutto per garantirli. La responsabilità politica di una situazione così deficitaria non è certamente dei cittadini che ogni giorno lavorano, produco-no, cercano lavoro, ovviamente quando il lavoro è scarso biso-

gna fare di più e rimboccarsi le maniche, altrettanto però dovrebbero fare i politici coloro che più degli altri sono investiti della responsabilità istituziona-le e costituzionale di garantire alla collettività livelli di vita dignitosi e di rimuovere tutte le barriere e gli ostacoli al libe-ro svolgimento di una attività lavorativa. La sfida più impor-tante oggi è creare le condizioni per riequilibrare domanda ed offerta nel mercato del lavo-ro. Senza intervento pubblico i consumi non possono ripren-dersi e raggiungere livelli tali da garantire una notevole spinta alla crescita, perché se cresce la disoccupazione non si capisce come possano aumentare i con-sumi, e se le imprese continua-no a liquidare o a chiudere non si capisce come si possa sperare in nuove assunzioni o riassor-bimenti. Tutto ciò è davvero preoccupante, non bisogna fare l’errore però di tradurlo in pes-simismo perché non costituisce un utile supporto al fare meglio e a riprendere energie per tro-vare nuove occupazioni o per superare le difficoltà.Una cosa è certa: che mentre i consumi delle famiglie italia-ne calano , la disoccupazione aumenta, gli interventi ritarda-

no e tutto ciò non fa che aggra-vare il peso di una crisi “reale”, anche se talvolta le oscillazioni numeriche potrebbero far pen-sare ad un futuro migliore; ma tali oscillazioni non sono legate ad un cambiamento reale delle determinanti dell’economia ma ad altri indicatori tipo l’infla-zione o la solidità del sistema bancario che francamente per gli italiani non rappresentano una leva reale alla crescita ed al miglioramento della loro condi-zione economica e sociale. Come dire, si spera che la fisioterapia possa intervenire a riabilitare il sistema economico nazionale, l’unico problema è che i pro-fessionisti fisioterapici non sono medici veri, seri e attenti al funzionamento reale delle cose, ma sono professionisti abilitati a peggiorare il movimento degli arti del mercato nazionale e del sistema nel suo complesso. Per capire meglio di cosa si tratta: non bisogna decidere se tutelare la testa istituzionale o il corpo cittadino, quello che occorre fare è legare la testa al corpo per farlo muovere meglio e per fargli recuperare quel funziona-mento indispensabile al vivere di un Paese industrializzato e socialmente evoluto.

Avanzino Capponi

Se i redditi delle famiglie italia-ne continuano a calare non è intellettualmente onesto stupir-si. Questa sintomatologia con-giunturale non era che una cer-tezza da fronteggiare in tempi rapidi e con interventi impor-tanti. Come è pensabile che i policy makers non avrebbero potuto intercettare in tempo questa situazione reddituale a fronte di un aumento vertigino-so del tasso di disoccupazione? e come è pensabile poter giustifi-care l’immobilismo istituzionale sia di fronte ai licenziamenti sia rispetto ad una logica correla-zione esistente tra l’aumento della disoccupazione ed il decre-mento del reddito?A maggior ragione queste indi-cazioni congiunturali avrebbero dovuto allertare gli esponenti della maggioranza parlamentare in modo da definire misure con-crete per arrestare un andamento negativo sia in termini di reddito che in termini di crescita.L’Istat ha rilevato puntualmen-te quanto, invece, paradossal-mente non sono stati in grado di rilevare i vertici ministeriali, e questo, vista la loro compe-tenza professionale è un fatto a dir poco scolastico e quindi sorprendente. L’Istat appunto rileva la diminuzione del 2,6% del reddito delle famiglie nel primo trimestre 2010 rispetto allo stesso periodo del 2009. Scendono quindi il potere d’ac-quisto (-2,6%) e la propensione al risparmio (-1,6%). Si tratta di dati significativi che dimostrano

la fondatezza di quanto è stato più volte scritto e ripetuto in altri articoli di carattere econo-mico. Data questa tendenza, a quale crescita si può pensare? Questi andamenti influenza-no in modo incisivo il reddito nazionale, non fanno ben spe-rare ad una prossima ripresa, i tempi della ripresa realisti-camente parlando si allunga-no e sono del tutto lontani da quelli previsti dalle stime di Confindustria.L’impatto restrittivo della manovra appena varata, associa-to a quello della contrazione dei redditi delle famiglie configura una previsione di rallentamento economico a dir poco evitabile. Evitabile perché basti pensa-re che questo governo non ha varato alcuna misura di carat-tere strutturale che poteva cam-biare le sorti della congiuntura, che poteva comunque arginare la caduta della disoccupazione e quella del risparmio. È da istru-zione elementare comprendere il seguente meccanismo: se la disoccupazione cresce inevita-bilmente le famiglie, per coprire i costi fissi della loro soprav-vivenza, debbono comunque attingere ai propri risparmi, ma se il periodo di inattività dura più di qualche mese, le famiglie si troveranno di fronte a dover finanziare i costi fissi generati dai mesi successivi e cumulando-si tendono a crescere nel tempo e quindi a provocare maggiori difficoltà finanziarie. Insomma, le famiglie per autofinanziarsi

dovranno ricorrere sempre più ai risparmi personali, ai presti-ti erogati da qualche istituto di credito o altri preposti, e saranno costrette ad indebitersi sempre di più, questo provoca una riduzione della propensione al risparmio come diretta con-seguenza della riduzione della quota di reddito disponibile e quindi accantonabile. Non era difficile prevedere questo, per-ché i germi erano presenti già da qualche anno, ora è ancor più difficile intervenire e risol-vere una situazione che necessita di tempi rapidi che non sono ovviamente gli stessi di quelli di una ipotetica definizione delle politiche volte a sostegno di queste situazioni.Il cittadino, il lettore, l’indu-striale, l’agricoltore, il mondo sociale nel suo complesso non può stupirsi di fronte a questa cruda realtà, l’unica cosa che può fare è continuare a sperare nelle istituzioni. È vero che la speranza è l’ultima a morire ma nessuna speranza è tale se non è alimentata da impulsi vitali o comunque intenzionali. Al Governo mancano sia vitalità che intenzionalità.Il problema, infatti, è aggravato dal fatto che la macchina istitu-zionale fa fatica a comprendere le logiche semplici che governano il meccanismo economico, le sua naturali conseguenze allo stato elementare, per cui è davvero inaccettabile, per chi vive di sen-timentalismo patriottico (l’italia-no) , per chi crede nel lavoro,

per chi crede nella famiglia come modello di crescita e di sviluppo sociale, per i più giovani che credono nelle loro capacità e nei loro progetti, una realtà che vede come assoluto colpevole l’orga-no istituzionale, il Parlamento, che mediante il suo interven-to legislativo (ed esecutivo del Governo praticamente primo assente) avrebbe dovuto evitare questi decrementi reddituali ed occupazionali, rafforzando quel desiderio individuale di apparte-nere orgogliosamente alla patria ed alla sua italianità.Questo atteggiamento istituzio-nale di inerzia, di carenza di politiche per lo sviluppo, non è connaturato nel DNA di una maggioranza di centro-destra che per la sua storia si è sempre caratterizzata per aver risolto concretamente i problemi del Paese, e che dalla sua storia ha tratto la sua matrice identita-ria, fondata sulla cultura della patria, della famiglia e della reli-gione cattolica.L’economia non può continuare ad essere il capro espiatorio dei suoi mali, perché da sola lancia spesso il grido d’allarme come da qualche anno è accaduto nel nostro Paese. La sintomatologia di una congiuntura così negativa era tanto palese da provocare effetti lampanti e dirompenti e che oggi non potevano essere tollerati in un contesto inter-nazionale che ha già provocato danni facendo la sua parte anche sul nostro sistema economico.

La manovra varata dal Governo prevede misure sulla riscossione e sulla compensazione dei debiti e crediti fiscali che stanno pro-vocando accese discussioni nel mondo imprenditoriale. Infatti, Confindustria e Rete Imprese Italia ribadiscono “le preoccu-pazioni” già espresse nei giorni scorsi, in merito alle misure con-tenute nella manovra finanziaria relative alla riscossione (art.38) e alla compensazione dei debi-ti e crediti fiscali (art.31). Le imprese, si legge in una nota congiunta, fanno appello al Parlamento e al Governo, al

presidente Berlusconi e al mini-stro Tremonti affinché venga-no modificate queste norme, che nella formulazione attuale, costituiscono violazioni gravi dei diritti dei contribuenti e nulla hanno a che fare con il contrasto all’evasione.La proposta che è stata avanza-ta in Commissione Bilancio al Senato di portare da 150 a 300 giorni la durata massima della sospensione giudiziale degli atti di recupero dei crediti verso l’amministrazione, sottolineano in una nota congiunta, non risolve il problema, a fronte del

fatto che la durata media dei soli procedimenti di primo grado supera i 700 giorni. Se passasse questa norma, il contribuente sarebbe costretto, pena il pigno-ramento, a pagare gli importi richiesti dall’amministrazione, pur essendo ancora in attesa di sentenza e a fronte di pretese che nella grande maggioranza dei casi risulteranno infondate. Ciò affermano, non è accetta-bile, darà luogo a contenziosi, anche in punto di legittimità costituzionale, in molti casi por-terà a conseguenze irreparabili, specie per le piccole e medie

imprese.Per rimediare al problema, rilevano Confindustria e Rete Imprese Italia, occorre che la sospensiva duri quantome-no sino alla sentenza di primo grado. In tal modo si concede-rebbe agli interessati il tempo necessario a conoscere l’esito almeno della sentenza di primo grado che la maggior parte delle volte rileva fatti non imputabili alle imprese e quindi esonere-rebbe le medesime dal paga-mento di eventuali sanzioni.L’altra misura che desta allar-me riguarda il divieto di effet-

tuare compensazioni fra crediti e debiti fiscali in presenza di accertamenti anche di importo modesto (1.500 euro). Il divieto di compensazione può essere imposto, ma solo quando vi sia la piena certezza del debito fiscale, ossia quando lo stesso sia iscritto a ruolo definitivo. Al riguardo, Confindustria e Rete Imprese Italia fanno notare che il titolo della rubrica recita: “Preclusione alla autocompen-sazione in presenza di debito su ruoli definitivi”. Nel testo dell’art.31 si fa invece riferimen-to a debiti iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi acces-sori e si omette la qualificazione “definitivo”.Il fatto che sino ad oggi non si è riscontrata alcuna disponibilità da parte del governo a intro-durre nel testo questa qualifica-zione, stupisce ed allarma, visto che appare invece assolutamente necessaria per tutelare i diritti dei contribuenti. E sono del tutto sproporzionate anche le sanzioni previste nel caso di violazione del divieto di com-pensazione (il 50% dell’importo indebitamente compensato).Sul piede di guerra ci sono anche le Regioni che denun-ciano un tentativo di delegit-timazione. La manovra vara-ta, ha dichiarato il Presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani, rischia di tagliare le gambe al federalismo fiscale, è squilibrata perché pesa per l’80% su regioni ed enti locali e finirà per ricadere su servizi pubblici essenziali per i cittadi-ni, per questo Regioni ed enti locali hanno chiesto un incon-tro urgente al presidente del Consiglio al quale si richiede per necessità un cambiamento della manovra.Il rapporto tra contribuente e Stato fin dai primi momenti della sua instaurazione si è rive-lato sempre complesso, com-plicato e quasi mai condiviso visti i numerosi contenzioni che si istituiscono nelle aule dei Tribunali. In particolare quelli che riguardano la materia fiscale, quindi quelli che si instaurano nelle Commissioni tributarie. Spesso, la legislazione penalizza i contribuenti e rafforza i decisori istituzionali. Sarebbe opportu-no che nelle sedi governative

i diritti dei contribuenti ven-gano difesi e fatti rispettare in tutta la loro esplicazione e forza statutaria. I deputati a svolgere queste funzioni non sono altro che i parlamentari, i vari mini-stri che alternandosi al dicastero dell’Economia possono mettere al centro delle loro politiche legislative la figura del contri-buente intesa come categoria che produce reddito e che lavora con sacrifici e volontà. Intervenire con una norma che prevede una incongruenza temporale tra la sospensiva giudiziale degli atti di recupero dei crediti e l’esito delle sentenza che accerta e dispone il recupero è un atto meramente coercitivo che viola e calpesta i diritti dei contribuenti.Non è pensabile, in un Paese civile e democratico come quel-lo italiano, che chi legifera è il primo ad incrinare un rappor-to così delicato e proficuo tra diritti dei contribuenti e diritti istituzionali, il piano giuridico dei diritti deve essere tutelato a garanzia di un’applicazione equa e giusta delle legge, e di quel principio che non vede due pesi e due misure predomi-nare su quello dell’uguaglianza giuridica.Si auspica che l’etica istituziona-le e legislativa dei parlamentari e dei vertici ministeriali possa contrapporsi ad una ingiusta pratica coercitiva che vede lo Stato delle volte abusare delle proprie funzioni e della pro-pria posizione dominante. Le decisioni quando si prendono debbono essere giuste in senso oggettivo non funzionali alle esigenze di una parte in causa. La cultura della oggettivazio-ne delle decisioni appartiene ad una sfera alta e nobile delle misure prese dai policy makers. Se si segue questa cultura il rap-porto tra fisco e contribuente e quello più generale tra Stato e individuo sicuramente potrà rafforzarsi ed essere condiviso.Oggi la condivisione di que-sto rapporto o meglio il render condivisibili certe misure è dav-vero ardua ed aggravata dalla manovra di questo Governo che conferma l’individualismo istituzionale a scapito di quello collettivo il tutto addirittura sul piano giuridico-costituzionale.

Nel 2009 meno consumi e più disoccupazione

Continua a diminuire anche la propensione al risparmio

Niente compensazioni fiscali e sospensiva giudiziale degli atti di recupero dei crediti verso l’amministrazione

Un miracolo per riabilitare l’economia e le famiglie italiane

Le ovvietà delle congiunture economiche conclamate

I contribuenti e lo Stato

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La Piazza d’Italia - Cultura

In questa seconda riflessione nata per moderare e fare da contrappeso agli scontri religiosi anche pretestuosi, di cui ancora oggi siamo ancora sfortunata-

mente testimoni, si parlerà di una delle opere più importanti di Ludwig Feuerbach ( 1804-1872): “Essenza della religio-ne”, 1845.

Rispetto a Hume, egli svilup-pa una visione più concen-trata sulla dimensione umana del divino: riscopre l’esigenza dell’uomo di riappropriarsi di

quel piano ultraterreno, di quel riflesso che ha proiettato oltre di sé ma che non è altro che la sua dimensione antropologica che ha allontanato dalla sua stessa natura.“ L’ente diverso e indipendente dell’essenza umana o Dio, l’en-te che non ha essenza umana, proprietà umane, individuali-tà umana- questo ente non è altro, in verità, che la natura” (pag.39).Il sentimento di dipendenza dell’uomo è il fondamento della religione; l’oggetto di questo sentimento di dipendenza, ciò da cui l’uomo dipende, non è che la natura.Essa si caratterizza dunque come il primo oggetto della religione.I cristiani, spiega Feuerbach, non hanno più come culto la natura, semplicemente perché non fanno più dipendere la loro esistenza da quest’ultima, ma da un ente indipendente da essa; questo ente lo pregano e lo ritengono divino perché lo considerano autore e sostegno della loro vita.La credenza che il divino abbia una esistenza al di fuori della natura, quindi indipendente dall’uomo, ha radice nel solo fatto che è considerato un ente oggettivo. Infatti il primo con-cetto di base che lancia l’idea del divino è la presupposizione che la sua esistenza sia antece-

dente a quella dell’uomo.Per il filosofo è però vero il contrario, ossia la fede nell’esi-stenza del divino trova il suo unico fondamento nell’esisten-za della natura. Le proprietà che costituiscono i caratteri della divinità, non sono che quelli che sono propri della natura, la sua potenza o meglio ancor di più la sua onnipotenza di fronte alla piccolezza umana.Essa è lontana dalle passioni umane e indifferente e indi-sturbata nella sua forza, agisce secondo sue leggi, è regolare ed inesorabile, non soggetta a nessun arbitrio.“Noi siamo situati all’interno della natura; e dovrebbe essere posto fuori di essa il nostro ini-zio, la nostra origine? Viviamo nella natura, con la natura, della natura e dovremmo tutta-via non essere derivati da essa? Quale contraddizione”!Il fondamento della religio-ne è dunque il sentimento di dipendenza dalla natura, ma il suo fine è il superamento di tale approccio, che si concre-tizza nella libertà dalla natura; in altri termini il fondamento della religione è la divinità della natura ma il fine ultimo della religione deve essere il recupero della divinità dell’uomo.L’oggetto della religione è ciò che è oggetto dei fini e dei biso-gni umani: là dove il desiderio dell’uomo arriva ma non riesce

a realizzare per la sua limitatez-za, nasce il sentimento divino, come speranza di riuscita, come proiezione delle proprie possi-bilità e fuoriuscita dalla propria inadeguatezza nei confronti di un immaginario senza vincoli.Quindi si può dire che l’essenza degli dei è l’essenza del desi-derio umano reso incarnato e corporeo.L’ente spirituale a cui l’uomo attribuisce un rango superiore alla natura non è altro che l’es-senza spirituale dell’uomo, che sembra a lui stesso un’essenza altra, diversa da lui solo perché egli ne è in fondo la causa, in quanto proietta nel divino ciò che egli non arriva a fare.Finchè l’individuo farà sussiste-re una distinzione tra Dio e la natura, farà esistere una diffe-renziazione umana e divinizzerà nel presunto ente originario, la sua stessa natura.Di qui il recupero che Feuerbach compie della dimen-sione umana del divino: l’indi-viduo capovolge i rapporti in quanto consapevole di essere parte integrante della natura e finalmente cosciente di essere causa del divino perché pro-iezione quest’ultimo delle sue aspirazioni irrealizzabili.Chi non avrà più desideri soprannaturali, non avrà nean-che più essenze del genere.

I.P.

Dalla limitatezza umana al senso divino

Feuerbach, essenza della religione

Di fronte ai continui contrasti scatenati da motivi o pretesti religiosi è bene rivedere ciò che grandi filosofi hanno detto sulle varie credenze e sul loro senso. Questo giusto per considerare quanto vani siano gli scontri derivanti da cause del gene-re, poiché alla luce delle loro riflessioni, tutto potrà sembrare molto più serenamente supera-bile e conciliante.C’è qualcosa che forse non solo a volte deve essere considerato superiore ad una fede e questa è la ragione umana che con strade più pratiche può riuscire a superare problematiche che altrimenti proseguirebbero in modo piuttosto illogico ad esse-re dibattute.Tre filosofi e tre loro opere regalano spunti di riflessione che sono in grado di minare ogni irremovibile convinzione che pecca di senso di superiori-tà rispetto all’altrui confessione religiosa:David Hume (1711-1776) scrive “Storia naturale della religione” nel 1755, Ludwig Feuerbach ( 1804-1872) scri-ve “Essenza della religione” nel 1845 e Sigmund Freud (1856-1939) scrive “Avvenire di un’il-lusione” nel 1927.In questa prima parte si pren-derà in considerazione Hume, il quale compie un percorso storico della religione, illustran-done il suo sviluppo naturale, aggettivo quest’ultimo che indi-ca la sua profonda connessione con l’approccio più preistorico e poi moderno che l’uomo ha avuto nei confronti della vita e delle difficoltà che essa via via

presentava.Fin dall’introduzione esordisce con una sua considerazione fondamentale: il monoteismo non è che un residuo pseudo-razionale delle paure, emozioni e fobie dei primi popoli e il teismo è la proiezione o subli-mazione in natura di immagini prodotte dai fantasmi interio-ri, dalle ansie e speranze degli uomini.Così di certo la natura umana non progredisce, né migliora; la mente, prosegue, ha il suo per-corso definito, risale dal basso verso l’alto e opera astrazioni su ciò che è imperfetto, si forma un’idea della perfezione e pro-ietta il meglio dell’uomo nella divinità.Il politeismo, la prima espres-sione religiosa, non nacque dall’osservazione della natura, ma per forza di cose, dall’inte-resse per gli eventi della vita, dalle speranze e dai timori che assediavano un’esistenza pre-caria e in continuo pericolo, esposta ai più incontrollabili e violenti fenomeni naturali.Così ogni divinità volu-ta dall’immaginario umano comincia ad avere il suo domi-nio, il suo campo operativo e l’uomo esprime in questo modo l’ansiosa brama della felicità, il timore della miseria futura, il terrore per la morte e la neces-sità di sopravvivere.Ecco secondo Hume, le prime personalizzazioni divine delle paure umane più profonde.Tra l’altro risulta piuttosto evidente e dimostrato questo discorso, quando si pensa alle caratteristiche umane delle

prime divinità: gelosia, passio-ni, spirito di vendetta e esteti-camente parlando, aspetti fisici così somiglianti alle persone comuni da rendere quest’ultime rassicurate dalla loro vicinanza e similarità con gli dei.Il teismo nasce invece, a diffe-renza del politeismo, dall’osser-vanza della natura: la rigidità delle sue leggi, la sua armonia, suggeriscono una intelligenza che tutto ha programmato.La regolarità diventa per l’uo-mo la maggiore prova che tutto sia espressione di una finalità predefinita. Ma il filosofo, in altra sede, mise in discussione

anche questa teoria, perché al di là del meccanicismo che il creato offre, solo l’abitudine ci porta a dire che il sole domani sorgerà ancora, quindi le leggi di causa effetto hanno il loro difetto e si fondano su una questione molto umana, ossia l’idea che anche il giorno suc-cessivo accadrà ciò che oggi è avvenuto.Il teismo non è in grado però di placare i capricci con cui si esprime la forza insita nella natura anche e soprattutto nelle sue forme più disastrose; così il volgo dimentico dello studio degli eventi, corre ad ingraziarsi

il divino attraverso preghiere e altre varie manifestazioni, affin-ché il peggio si plachi o non accada per niente.Ecco l’uomo ricadere vagamen-te in un riflusso verso il politei-smo e la superstizione.Inoltre, altra considerazione importante di Hume, lezione per i nostri giorni è quando afferma che tanto è caratteristica la tolleranza nei credi politeistici perché abituati ad una pluralità di divinità, tanto è propria del monoteismo l’intolleranza verso altre religioni perchè pretendono l’esclusiva del vero; nei tempi, si chiede il pensatore, quante

volte, virtù, conoscenza, amore per la libertà hanno attratto sul capo di chi le difendeva le ven-dette degli inquisitori? E una volta tolte di mezzo le “teste calde” e gli eretici, l’umanità ripiombava nell’ignoranza, nella schiavitù e nella corruzione più vergognosa.Infatti, più la divinità viene rappresentata come alcunché di infinitamente superiore al gene-re umano, tanto più lo spirito umano è sommerso nell’umi-liazione e nell’avvilimento più profondo e solo le virtù mona-cali della mortificazione, della penitenza, dell’umiltà timorosa e della sofferenza passiva sem-brano a quel punto accettabile di fronte a tanta inconoscibile potenza.Più valgono i misteri inspiega-bili e le storie incomprensibili, tanto più il volgo ci crede e di conseguenza si sente più fedele dell’altro.I popoli ancora si dividono e si scontrano perchè uno vuole essere più credente dell’altro, perché l’altro vuole avere più ragione del vicino.L’ignoranza è madre della devo-zione, dice Hume, ma tanta è la fragilità della ragione umana e profondo il contagio irresi-stibile delle opinioni che non è facile attenersi all’unica posi-zione scettica possibile: tutto è ignoto.Quindi, mentre infuria il duel-lo, il filosofo scozzese propone un rimedio intelligente: ripa-riamoci felicemente nelle regio-ni della filosofia, oscure anche quelle, ma almeno tranquille.

I.P.

Umane trattazioni

Hume, storia naturale della religione

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La Piazza d’Italia - Cultura / Attualità

L’ultimo filosofo che viene preso in considerazione nella riflessio-ne riguardante un alternativo senso più ampio e poco dibat-tuto della religione è Sigmund Freud (Příbor, 6 maggio 1856 – Londra, 23 settembre 1939) , che scrisse “Avvenire di un’illu-sione” nel 1927.Il testo rappresenta un momen-to di sintesi delle posizioni di Hume e Feurbach esposte nei lavori precedenti, ma appor-ta anche un approfondimento psicologico fondamentale e una considerazione molto illumi-nante sulle motivazioni della devozione.Questo è uno degli ultimi lavo-ri del padre della psicoanalisi, quindi già nelle opere prece-denti da lui scritte, è stato stu-diato e compreso quanto ogni civiltà poggi sulla coercizione al lavoro e sulla rinuncia pulsio-nale cosa che, su coloro i quali sono i destinatari dei costringi-menti, provoca avversione nei confronti della società, anche se finalizzati a preservare una pacifica convivenza.Per ovviare a questa insoffe-renza dell’uomo si fa ricorso al processo di accaparramento di beni materiali e a tutti quei mezzi che possono allietare lo spirito per indennizzarlo dei suoi sacrifici; questi elementi sono descritti come il patrimo-nio spirituale della civiltà.Le rappresentazioni religiose, commenta Freud, sono forse la parte più importante dell’in-ventario psichico di una comu-nità.Per l’umanità nel suo insieme, la vita è dura da sopportare in quanto l’uomo è soggetto alle più difficili privazioni: la civiltà

gli impone determinate rinunce pulsionali, gli uomini si arreca-no danni e disagi a vicenda e a ciò si aggiunge la natura, che implacabile si abbatte con le sue manifestazioni più disastrose.Questo determina una pesante riconsiderazione a danno del proprio narcisismo naturale.Rispetto alla civiltà che gli impone duri divieti, l’uomo reagisce sviluppando una dose notevole di opposizione agli

statuti che lo governano, men-tre è da analizzare come egli si protegga dalle forze della natura che non può contrastare ma che lo minacciano costantemente.Due sono i passi da attuare per risolvere il disagio umano: sradicare dalla vita i suoi terrori per arrivare ad un sufficiente stato di consolazione del pro-prio sé e soddisfare la curiosità cercando risposte adeguate in

vista del fine che ci si è posti.Il primo passo consiste nell’umanizzare la natura: alle forze impersonali è impossi-bile accostarsi o costituire un rapporto di comprensione, ma se tra gli elementi infuriano passioni, se ovunque intorno a noi, dice Freud, abbiamo una natura che ha elementi simili ai caratteri umani, allora l’uomo sente di respirare più sollevato, comincia ad essere più a suo

agio in questo mondo e riesce ad elaborare psichicamente le sue angosce più radicate.Pur restando parzialmente indi-feso, l’uomo non si sente più così paralizzato ed inerme, anzi, sente di poter scongiurare, pla-care, corrompere questi terribili superuomini esterni, crede di poter influire su di essi.Questa sostituzione della scien-za naturale con la psicologia

indica la via verso un ulteriore dominio della situazione.Freud descrive così il percorso della nascita delle rappresen-tazioni religiose: l’individuo osserva la regolarità dei fenome-ni naturali e la loro conformità a delle leggi; quindi le forze della natura prendono i loro tratti umani. Ma l’impotenza dell’uomo perdura. Così gli dei assumono una triplice funzio-ne: esorcizzare i terrori che la natura scatena, riconciliarlo con la crudeltà del fato, risarcirlo per le sofferenze e le privazioni a lui imposte dalla civiltà nella vita in comune con gli altri.Ma la natura prosegue a mani-festarsi per conto suo, gli dei l’hanno ordinata ma anche lasciata a se stessa e quanto più essa è autonoma tanto più le divinità si ritraggono di fronte alla sua azione indisturbata.A questo punto le aspettati-ve degli uomini nei confronti degli dei si concentrano sulla terza facoltà loro attribuita: il loro dominio diventa quello morale.Essi devono compensare le mancanze e i danni della civiltà, devono occuparsi delle sofferenze che si infliggono a vicenda nella vita in comune e anche vigilare sull’attuazione delle norme civili a cui essi si attengono così male. E’ così che a queste stesse leggi viene data un’origine divina.Viene in questo modo costitu-ito un patrimonio di rappre-sentazioni, nate dal bisogno di rendere sopportabile l’umana miseria, edificate con il mate-riale dei ricordi dell’impotenza sia della propria infanzia che di quella del genere umano.

Questo bagaglio permet-te all’uomo di difendersi in due direzioni, contro i pericoli della natura e del fato e contro le offese derivanti dalla stessa società umana.“Su ciascuno di noi allora veglierà una Provvidenza bene-vola, solo apparentemente seve-ra, la quale non consente che diventiamo il trastullo delle strapotenti e implacabili forze della natura; la morte stessa non è annientamento, ma l’inizio di un modo nuovo di esistenza, posta sul percorso di un supe-riore sviluppo” (“Il disagio della civiltà”, Avvenire di un’illusio-ne, pag 159).Freud nella sua argomentazio-ne, mette in luce un aspetto molto importante al fine del nostro intervento a favore di una larga tolleranza religiosa contro ogni fondamentalismo o scontro causato da motivi di credo: egli dice che se ci si interroga in merito al fonda-mento su cui poggia la prete-sa delle dottrine religiose ad essere credute, si ottengono tre risposte: meritano fede perché già i nostri antenati ci hanno creduto, perché possediamo prove tramandateci proprio da questa antichità, da questo pas-sato remoto e infine perché è proibito porre la questione di tale convalida.Quest’ultima audace pretesa ha causato nella storia su tutti i fronti religiosi migliaia di vit-time eppure è proprio questo il punto che deve destare i mag-giori sospetti, perché un divieto del genere ha una sola ragione: “la società è perfettamente con-sapevole della dubbia fondatez-za della pretesa da essa avanzata in merito alle sue dottrine reli-giose” (pag.166).In questo contesto, la civiltà ci esorta ad accogliere la filoso-fia del “come se”, ossia: nella nostra attività pensante esistono numerosi assunti di cui noi siamo consapevoli che fanno acqua da tutte le parti, ma ai fini del mantenimento dell’or-dine sociale, dobbiamo com-portarci “come se” credessimo a queste finzioni.Questa genesi psichica delle rappresentazioni religiose trova tutta la sua forza indipendente-mente dall’approvazione razio-nale nel fatto che esse sono illusioni, appagamenti dei desi-deri più antichi, più forti e più pressanti per l’umanità. Perciò il segreto della loro energia sta nella capacità di impatto, nel profondo bisogno di queste espressioni umane.L’elemento che più caratte-rizza un’illusione è il derivare dai desideri umani; per questo aspetto essa si avvicina al delirio psichiatrico, ma ne differisce tuttavia, aldilà della più com-plessa struttura di quest’ultimo. Nel delirio il nocciolo della questione sta nella contraddi-zione rispetto alla realtà mentre, l’illusione non deve essere per forza falsa, cioè irrealizzabile o in contraddizione con essa.“ Chiamiamo dunque illusione una credenza, quando nella sua motivazione prevale l’appaga-mento di desiderio, e prescin-diamo perciò dal suo rapporto con la realtà, proprio come l’il-lusione stessa rinunzia alla pro-pria convalida” (pag. 171).Di certo la religione ha avuto grande potere di ordinare la società e per ciò si è arricchita di grandi servigi nella storia,

ma è dubbio se al tempo del dominio illimitato delle dottri-ne religiose, gli uomini fossero nel complesso più felici di oggi; di certo non furono più morali, perché molto bravi ad esterio-rizzare le prescrizioni di fede e sempre pronti a vanificarne i frutti negli intenti pratici e quotidiani.Da qui Freud inizia ad esami-nare la necessità di vietare un atto illegale contro la società: se si fonda il divieto di uccidere su una legge divina, di sicuro si riveste il comando categorico di una solennità tutta particolare, ma si rischia di farne dipendere l’osservanza dalla fede in Dio.Se invece, si fa il percorso inver-so e non si attribuisce più la volontà dell’uomo a Dio, ma ci si accontenta del suo fon-damento sociale, di sicuro si rinuncia alla trasfigurazione del divieto civile, ma si evita anche di metterlo a repentaglio.Da questo punto di vista, ammettendo onestamente l’ori-gine umana di tutti gli ordi-namenti e di tutte le norme civili, gli individui potrebbero capire meglio che questi impe-rativi sono fatti non tanto per dominarli, quanto per servire gli interessi dei cittadini, che di conseguenza assumerebbero un atteggiamento più benevo-lo e pacifico. Ciò condurrebbe l’uomo verso un vero perfezio-namento di se stesso e verso una significativa riconciliazione con l’oppressione della civiltà.“La civiltà ha poco da temere dagli uomini colti e da chi si dedica al lavoro intellettuale. In essi per quanto riguarda il comportamento civile, la sosti-tuzione dei motivi religiosi con motivi diversi, laici, può avveni-re senza strepito. Le cose stanno altrimenti per quanto riguar-da la gran massa degli incolti, degli oppressi, che hanno tutti i motivi di essere nemici della civiltà. Tutto va bene finchè si accorgono che non si crede più in Dio” (pag. 179).Dunque a quel punto, com-menta Freud, o si deve preclu-dere a queste persone qualsiasi tipo di accesso a ogni possibile occasione di risveglio intellet-tuale oppure ci si deve muovere verso una revisione radicale del nesso civiltà-religione.Terminiamo questo spunto riflessivo con una considerazio-ne freudiana, che qui può anche sembrare una pacifica provoca-zione, ma indubbiamente, si presta a favore dell’intento di incoraggiare ad un superamen-to di qualsiasi contrasto reli-gioso: “E in secondo luogo: consideri la differenza tra il suo e il mio atteggiamento nei con-fronti delle illusioni. Lei deve difendere con tutte le sue forze l’illusione religiosa; se questa viene screditata – e di fatto è abbastanza minacciata – il suo universo crolla, non le rimane che disperare di tutto, della civiltà e dell’avvenire dell’uma-nità. Da tale schiavitù io sono, noi siamo, liberi. Essendo pron-ti a rinunciare a parte notevo-le dei nostri desideri infantili, possiamo tollerare che certune delle nostre aspettative si palesi-no illusioni” (pag. 194-195).

I.P.

Discorso sociale sull’appagamento di un desiderio e sui suoi nessi civili

Freud, avvenire di un’illusione

“Non rimane che chiederci se un giorno ritornerà. Può darsi che si sia diretto in un’età in cui gli uomini sono ancora uomini, ma gli enigmi della nostra epoca e i suoi penosi problemi sono risolti?”Questa non è un’osservazione dei nostri giorni, ma appartiene ad un passato prossimo che, a quanto pare, ci somiglia.La frase, o meglio, la domanda da “due milioni di dollari” che sopra apre i “giochi” è l’epilogo del romanzo di fantascienza “La macchina del tempo”, scritto nel 1895 da Herbert Gorge Wells.Nel libro, tra le tante vicende, gli Eloi e i Morlocchi si con-tendono il predominio nel loro tempo e il senso finale del loro contrasto sta nel fatto che li accomuna un tragico destino: l’incapacità o la non volontà di risolvere i problemi della vita e della società ha causato e favo-rito una profonda perdita della loro umanità, nucleo dell’es-senza interiore di una persona cosciente di se stessa, che sia Eloi o che si tratti di Morlocchi.“La macchina del tempo” è una delle prime storie ad aver por-tato nel filone fantascientifico della narrativa il concetto di viaggio nel tempo basato su un mezzo meccanico.E in più, come abbiamo notato, muove un’osservazione fondata sulla società del suo tempo; che anche lo scrittore abbia viaggia-to nella storia, che si sia potu-

to affacciare alla nostra epoca, per far somigliare così tanto la descrizione e i dilemmi dei suoi tempi con i nostri?Chissà, può darsi che ora sia diretto in un’età in cui gli uomi-ni sono ancora uomini, dopo aver visto la mancanza di riso-lutezza della nostra società sulle questioni più urgenti.Se nella fantascienza narrata ci fa sognare e riflettere Wells, nella scienza ci ha stupiti in questi giorni Seth Lloyd.Fisico e informatico statuni-tense, insegna ingegneria dei sistemi informatici al MIT di Boston e contemporaneamente, fisica dei computer quantistici e complessità informatica al Santa Fé Institute.Il suo grande impegno scientifi-co si concentra sullo studio della complessità dei sistemi relativi in riferimento all’indagine su di essi condotta per mezzo degli strumenti informatici.Al MIT si occupa principal-mente di ricerca per lo sviluppo dei computer quantistici, infatti è grande esperto di meccanica quantistica e delle sue applica-zioni pratiche.La sua tesi più conosciuta è che l’universo stesso possa essere un gigantesco computer quantisti-co, che crea quel programma informatico di cui anche noi siamo parte; partendo da queste basi, egli afferma che si com-prenderà com’è fatto l’universo solo quando potremo dispor-

re di computer quantistici in grado di affrontare il problema alla radice.Per i profani questi sono discor-si estremamente difficili da comprendere, ma la scienza ha i suoi percorsi tutti da provare e da sperimentare, per cui che la ricerca di Lloyd vada avanti e speriamo che dia i suoi buoni frutti per il mondo e per la sua storia.Negli ultimi giorni lo scienzia-to, è proprio con i suoi studi che ha spiazzato la fantasia di tutti: ha dimostrato con il suo team, del quale fanno parte anche due italiani, Lorenzo Maccone e Vittorio Giovanetti, che un viaggio a ritroso nel tempo potrebbe essere affrontabile.Egli parte dallo “star trekkiano” teletrasporto e dalla meccanica quantistica; attraverso l’effet-to di “postselezione” grazie al quale solo le particelle che sono state teletrasportate, potrebbero essere riportate indietro nella condizione originaria, permet-tendo così un viaggio a ritroso nel tempo.Il ricorso a questo effetto parti-colare permetterebbe agli scien-ziati alcuni vantaggi, come ad esempio, includere nell’esperi-mento la gravità, senza però incorrere nei problemi posti dai viaggi temporali ipotizzati finora e legati alla teoria della relatività.In queste circostanze si preve-deva una ben più ampia defor-

mazione sia dello spazio che del tempo.Questo nuovo tentativo pro-durrebbe un effetto agognato da tempo da molti fisici, a par-tire da Einstein: unirebbe la meccanica quantistica e le leggi della relatività, arrivando così ad una teoria onnicomprensi-va, chiamata “teoria del tutto”, cioè un’unica, semplice (più o meno) legge universale che uni-fica tutte le altre semplificando la descrizione del mondo.Un altro scopo molto pratico di questa ricerca si concretizza nel fatto che il fondamentale effetto di post selezione è alla base degli studi sul computer quantistico, le cui potenzialità per ora sono all’orizzonte piuttosto sfumate, ma che di sicuro se arriveranno a nuovi sviluppi, avranno un fortissimo impatto sulla nostra vita.L’interesse per il progresso è sempre aperto e con grande curiosità, anche noi, piuttosto estranei alla quantità di nozioni che Lloyd ci ha fornito negli ultimi giorni, cercheremo bene di studiare la materia e le sue implicazioni, per essere pronti al futuro e agli eventuali scon-volgimenti che la scienza ci pre-senterà; intanto con orecchie ben attente e un po’ a “punta” rivediamoci le intramontabili puntate di Star Trek, e per ora, buon viaggio così.

I.P.

La scienza che insegna a sperare

Seth Lloyd e il suo sogno in fieri

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La Piazza d’Italia - Attualità

Preceduta dal Titolo multime-diale di Roberto Martusciello, con un opening al Tempio di Adriano ispirata alle creazioni di Roberto Capucci, è inizia-ta, in un clima superblindato per giornalisti, addetti stampa e selezionati ospiti, la kermesse d’alta moda. Titolo della per-formance “ Il gesto sospeso”, sempre molto attesa imprevedi-bile e piena di sorprese, dal 10 al 14 luglio a Roma per l’autunno inverno 2010-2011 nel discus-so e ambitissimo S. Spirito in Sassia.Molte e attesissime le firme dei grandi stilisti. Primo a sfilare sulle passerelle il sarto napole-tano Fausto Sarli, ammirato in altre edizioni per la sua pecu-liarità e il suo stile inconfondi-bile, molte le nuove firme che fanno parte del primo gruppo di manifestazioni in questa quattro giorni, la 17° edizione.Primo fra tutti l’incontro della neo presidente Silvia Venturini Fendi nel palazzo Fendi a Largo Goldoni, che ha presentato alla stampa una “guida su misura Roma“, prefazione della presi-dente, autori Andrea Spezzigu e Pascal Gauteau (239 luoghi della capitale dove l’uomo può farsi realizzare abiti e accessori su misura), seguito da un drink nelle terrazze affacciate su Roma della bellissima sede di palazzo Fendi.Al termine del primo giorno di apertura delle sfilate, dedicata a “who is on Next” giunta ala sua VI edizione per la ricerca di nuovi talenti della moda, frutto di una collaborazione tra Alta Roma e Vogue, con l’esposizio-ne di accessori dei finalisti e una sfilata a S. Spirito in Sassia, la serata si è conclusa con una cena all’accademia di Francia.La collezione del maestro Sarli si ispira al cubismo e all’astratti-smo di Picasso e Braque. Cerchi, elissi, linee che s’intersecano, contrasti nella prima parte della collezione del lucido con l’opa-co, dove le giacche e i cappotti di cashmere sono ricoperti di placche di pelle geometriche dai bagliori metallici. Per coc-ktail e sera abiti a ellissi di raso duchesse. A esaltare l’astratto geometrismo delle linee colori come il rosso bruno il marrone, l’ocra, il viola e immancabile il bianco e nero, una carismatica

lavorazione a pieghe, come un abito lungo nero con inserti di pizzo avvolto in una cappa bianca. Tante le rappresentanti del mondo arabo, che hanno voluto vedere le creazioni per poterle prenotare in anteprima e infine la sposa, avvolta da una couture.Presente anche il Sindaco Alemanno, e personalità del mondo della politica e dello spettacolo.Tra gli eventi, un’esposizione di arti e artigiani italiani, una giacca dedicata a John Kennedy con i tre bottoni d’oro e la fode-ra con i colori della bandiera americana, sul modello di quel-la ordinata dal presidente nel 1963, esposta dall’atelier Franco Litrico.Tra gli eventi “La Pelanda”, un’esposizione di giovani stilisti al Macro Testaccio in un pro-getto espositivo creato e curato da Susanna Cucco.Corrado De Biase ha sfilato con venti creazioni dedicate alle giovanissime in cui convivono il feltro, l’organza e l’organdis, con una ricerca geometrica spinta all’estremo, per abiti cortissimi dal taglio ingegneristico.L’evento più importante in questa VXVII edizione, spon-sorizzato da Alta Roma, è stata l’apertura agli ospiti dello stori-co palazzo di Piazza Mignanelli, che ospita da sempre Valentino, per ammirare l’arte del maestro Pistoletto e visitare in esclusi-va l’atelier di alta moda, con le straordinarie premiere attive intorno ai meravigliosi tessuti e le preziose creazioni della Haute couture del Divino.La rosa è il filo conduttore della sfilata di Nino Lettieri, rappre-sentata nei ricami e nel lavo-ro scultoreo su tessuti spessi e preziosi come nei mini abiti, nei top pantaloni e negli abiti da sera interamente ricamati di cristalli neri. Cortissimi gli abiti a palloncino e varie le lunghezze dei pantaloni.Ispirata al Giappone l’elegan-te e portabile collezione della nota creatrice milanese Raffaelle Curiel, con una lavorazione a pieghe, tra fruscii di organze, delicati ricami e brividi di luce, appare creando un’atmosfera magica. Deliziose le giacche che hanno giochi di righe di stoffe diverse tra di loro e ricamate tar-

tan, principe di Galles o tweed, spalle morbide o arrotondate, colli e bordi in zibellino o in visone sia naturale che tinto in vari giochi cromatici. Giacche ispirate alle corazze dei samurai, le vite sono segnate da lobi, fasce rigide a cintura in tinte contrastanti che fanno sbocciare gonne per cocktail e sera, mul-tistrati a forma di petali di fior di loto con tagli arrotondati, i ricami ricordano quelli delle lacche giapponesi.In platea Clio Napolitano ad assistere alla sfilata, terminata con l’apparizione di quattordici crocerossine in divisa, ma anche soldatini di piombo per il gran finale e infine l’apparizione (un vero scoop per la Curiel) di Barbara Lamuraglia, la croceros-sina che ha aperto la parata delle sue colleghe, il 2 Giugno in Via dei Fori, in abito da sposa. Strepitosi infine gli abiti da gran gala e per le serate alla Scala accompagnate da scarpe firmate dalla giovane Gigliola Curiel, colorate e intarsiate, tacco sei. Presenti in sala l’ambasciatore del Giappone con la moglie.Lorenzo Riva, il big milanese in cerca di un atelier a Roma, ha presentato la sua raffinata collezione dall’incredibile sarto-rialità nella suite Sophia Loren di un noto albergo romano, preferendolo alla location di S. Spirito in Sassia. Abiti lunghi con vario sentore d’Oriente in georgette corallo e bluette a più strati o in tulle, soprabiti smanicati, con decorazioni di zibellino, cappotti effetto stuoia dalla linea ampia sul davanti e dritti sulla schiena. Effetto balloon per gli abiti da cocktail, nei colori testa di moro, corallo, oro, e verde, verde oliva con ricami di foglie in faille, moiré o pizzo, con volute sempre in fail-le per sera e negli abiti lunghi. Tre importanti spose chiudono la sfilata, spose che sembrano uscite da un giardino d’inverno. Riva ha fatto sfilare una taglia quarantotto per contribuire alla lotta contro i disturbi alimenta-ri, commentando la sua sfilata da solo senza musica alla moda parigina, preferendo mostrare i suoi capi uno per uno da vicino.Al gotico stile di S. Spirito in Sassia, amato dalla Presidente, non hanno rinunciato il sarto

libanese Tony Ward, con un abito dedicato alla lotta contro i tumori al seno, e il siriano Rami Al Ali, una collezione tutta in omaggio alla bellezza e al fasci-no delle principesse orientali, con abiti che per lavoro d’in-treccio e intensità dei colori ricordano l’arte dei tappeti per-siani. Le lavorazioni sono fatte d’intarsi e fili annodati, effetti tridimensionali per la sovrap-posizione di balze, stringhe di seta o velluto, tagli godet o asimmetrici. Sete champagne, oro e platino. L’abito imprimé nei toni del verde e del blu, dedicato a Ivana Trump (con un nuovo toy-boy?) ricorda le piume del pavone, e il prezioso vestito a sirena arricchito da ventagli in organza è stato dedi-cato a Rosanna Davidson, Miss Mondo 2003.Ahbet Mahfouz e Giada Curti precedono la sfilata di chiusura di Renato Balestra, il primo con una collezione che pone un interrogativo: abiti o sculture? Dal libanese, abiti dai colori caldi che ricordano l’autunno newyorkese di Central Park. Tecniche sovrapposte di pizzo, ricami e pietre dorate decorano i tessuti nobili, crèpe mussole e organze ottenendo effetti scin-tillanti e luminosi come pure luminoso è l’uso del paillette come novità della collezione proposta per l’autunno inverno 2010-2011. Romantica, fem-minile, raffinata e sensuale la collezione di Giada Curti.Dedicata agli Emirati Arabi la sfilata-evento di Tilù in un grande albergo romano susse-guita in un’altra location alla presentazione del libro “ I love Islam” (come si vede, l’Oriente incalza...). Tilù ci propone kilo-metri di chiffon, organze, pizzi che avvolgono la silhouette in un roteare di immagini con infinite sfumature.Un pubblico di Vip da Gattinoni, sfilato nello splendido giardino rialzato del Casino dell’Auro-ra di Palazzo Pallavicini. Clio Napolitano si è complimentata col direttore artistico Guillermo Mariotto affermando che “la moda è un bene per l’Italia e fa belle le donne”, visti anche Isabella Rauti Alemanno, la pre-sidente Regione Lazio Renata Polverini, Claudia e Valeria Veltroni e ancora molti rap-

presentanti della politica e uno stuolo di stelle televisive e dello spettacolo. Come contestatore della cosiddetta legge-bavaglio, Guillermo Mariotto porta in passerella un’indossatrice imba-vagliata… una denuncia chic contro questa proposta, e abiti stravaganti come la giacca pel-liccia in lana e paillettes (2500 ore di lavorazione), abiti con tatuaggi Maori e incrostazioni tipo guerriero giapponese. Per la sera stampe floreali chine, trasformate in abiti insuperabili per rigore e per lusso. Must della collezione: complicati gilet lavorati a pietre, ciniglie e cri-stalli. ”Donna Guerriero” per le linee dei tailleur che cambiano per il prossimo autunno inver-no, hanno maniche gigot, si indossano come armature leg-gere realizzate con tessuti spe-rimentali.Interessanti e inediti i gioielli di Gianni De Benedictis che vibrano sul corpo. Un collier di mega perle con granate da cinquanta carati per la sposa di Gattinoni in gazar di duchesse e tulle con corpino ricamato con migliaia di micro cristalli. Da non dimenticare in apertura (e molto discutibili) le mini camicie di taffettà, pizzo, tulle ricamato a filo che coprono un revival di bustiere sotto l’abito camicia solo calze lavorate a rilievo, con ricami, che ricor-danti tatuaggi all’henné.A conclusione della XVII ker-messe di moda capitolina, un’al-tra megaserata Vip alla presenza del Sindaco Alemanno (fotogra-fatissimo in chiusura col famo-so stilista), la sfilata di Renato Balestra in S. Spirito in Sassia, molto allegro e insolito l’eser-cito dei soldatini di piombo, a metà della collezione. Una varietà di stili che vanno da abiti per una serata giovane e diver-tente in discoteca, fino a crea-zioni ispirate ai canoni della più ricercata eleganza, nel parterre, stampa specializzata, personalità politiche e invitati internazio-nali. Inedito, il pitone roccia per giacche e piccoli paletot nei colori laccati, blu Balestra, rosso lacca o nero ebano e pitone anche per “lui”, in accordo con le creazioni per “lei”. Deliziosi e chic i piccoli impermeabili di raso dai colori forti sopra abiti sottoveste in chiffon ricamato di

Swarovski con effetto merletto per le serate e per cocktail come pure ammiratissimi e portabili i piccoli abiti neri, una serie, corti, svelti con inserti vari di pizzo o di raso e bordi in chif-fon o di visone accompagnati da piccoli redingote nere. Una mise perfetta per il prossimo autunno inverno e per le feste natalizie la rete di Swarovski che copre audacissime scollatu-re e schiene molto profonde e sexy per abiti lunghi. L’uomo Balestra segue il leit motiv della collezione indossando giacche di pitone roccia negli stessi colori della donna e per sera, impermeabili di raso nero fode-rati nei colori delle camicie di seta rossi e verdi. Smoking a collo guru e risvolti ricamati di Swarovski. La sposa è a grandi volute a elica, leit motiv della collezione con spume d’organza che ammorbidiscono le linee geometriche rendendola sedu-cente al massimo. Divertenti le T shirt (offerta anche al Sindaco Alemanno) con il ritratto di Renato Balestra.Il Sindaco Alemanno, molto interessato a questa edizione promossa da Alta Roma Alta Moda, ha promesso per la pros-sima edizione di diffondere la creatività e l’impegno dei nostri stilisti, per via televisiva e non solo, non essendoci più la sfi-lata sulla scalinata di Piazza di Spagna, di trasferirla in un’altra sede di prestigio, forse Piazza Navona, per incrementare l’in-teresse di tutti in questo spe-cifico settore, nel difficile ma magico mondo dell’Alta moda.Altresì da non dimenticare l’im-pegno delle Scuole per indiriz-zare i giovani che rappresentano il futuro di questo mondo: l’Ac-cademia Koefia, L’Accademia di Belle Arti di Frosinone, l’Acca-demia Lorenzo da Viterbo, l’ac-cademia Nazionale dei Sartori l’Accademia di Costume e di Moda Scuola di Moda Ida Ferri, l’Accademia Altieri moda e arte al Maxi, una mostra Laboratorio sfilata finale giovani talenti.Con l’augurio che, per le prossi-me edizioni, saranno mantenuti gli impegni presi in questo set-tore dalle autorità competenti e interessate.

Anna Maria Vandoni

Barre di cioccolato, creme spal-mabile, cioccolatini fondenti e al latte… sono diverse le lec-cornie che i maestri cioccola-tieri creeranno per gli amanti del buon cioccolato durante il goloso appuntamento umbro: Eurochocolate. Torna infat-ti a Perugia la diciassettesima edizione della manifestazione, amata da bambini e adulti, legata al tema del cibo degli dei che si terrà dal 15 al 24 otto-bre 2010. Quest’anno il claim dell’evento sarà “Zip, Viaggio Lampo nel Cioccolato” che sarà affiancato da un logo che ritrae un mondo di cioccolato soc-chiuso da una cerniera.Il tema della kermesse è un col-legamento non solo all’oggetto che rifinisce gli abiti ma anche all’informatica che insegna che un file ‘Zip’ è anche un modo per comprimere i documenti, renderli più leggeri per faci-litare la loro trasmissione nel mondo telematico. Insomma,

un modo per comunicare… in un lampo! Eurochocolate per il 2010 ha scelto così un linguag-gio moderno ed immediato attraverso il quale far cono-scere e gustare al meglio tutto il piacere di questo alimento gustoso all’ampio pubblico dei consumatori.Oltre ai percorsi per il pala-to la manifestazione dedicherà uno spazio proprio alla Zip con una mostra intitolata “Lampo di Genio: una Storia chiamata ZIP” che sarà ospitata nelle sto-riche sale del Cerp della Rocca Paolina; la rassegna ripercorrerà il passato della chiusura lampo: dalle sue origini fino ai giorni nostri, aprendo una finestra sul tema dell’innovazioni, dell’ap-plicazioni future e delle curio-sità legate alla zip. La seconda parte dell’esposizione sarà dedi-cata alla ‘lampo’ come oggetto di moda, ispirazione per artisti e creativi. Quindi creazioni di stilisti, designer e artisti di fama

saranno i rigore. Non manche-ranno i gioielli ai quali verrà assegnata una sezione speciale dal titolo ‘Zip Chic’.

Ispirati al claim della kermes-se gli articoli di cioccolata saranno realizzati apposi-tamente dagli artigiani e professionisti del set-tore; essi giocheranno sul concetto di ‘zip’ come prodotto di uso quotidiano ma anche come stru-mento per aprire e chiudere, quindi per scoprire, cono-scere o preservare il contenuto di qualcosa, in questo caso il mondo del cioccolato.Un vero e proprio viaggio nel pianeta cacao e del suo derivato, che riguarderà anche il mondo equo e solidale, che sarà proposto da Eurochocolate World con il patrocinio della

Icco, International Cocoa Organization e di Fair Trade Italia, di cui saranno prota-gonisti le tradizioni,

la cultura, le prospettive econo-mico-sociali dei principali paesi produttori di cacao, primo fra

tutti il Messico, Paese ospite dell’edizione 2010.Ma l’appuntamento centrale di Eurochocolate World sarà, mer-coledì 20 ottobre, l’incontro In the Hearth of Chocolate: where

cocoa meets chocolate, fina-lizzato a sensibilizzare ad

una ristrutturazione in senso sostenibile della

filiera produttiva del cacao, con la parte-cipazione congiunta di produttori e con-sumatori intorno a quattro tematiche principali legate ai temi dell’ambien-

te (Earth), dell’etica (Heart), dell’arte (Art)

e della Musica (Hear).Speciali appuntamen-

ti di Eurochocolate World saranno dedicati ai più pic-coli con laboratori didattici e manipolativi, che permettono di conoscere il cioccolato diver-tendosi ed infine, ampio spa-

zio alle degustazioni guidate di Viaggiare con Gusto.Tra le novità di quest’anno Eurochocolate offre anche un’iniziativa speciale per sco-prire Perugia e le sue bellezze. Il progetto si intitola “ZigZag in Perugia” (acronimo Z.I.P, come il claim della diciassettesi-ma edizione di Eurochocolate): cinque percorsi in altrettante aree del centro storico, che troppo spesso restano fuori dai circuiti di visita dei grandi eventi, animate per l’occasione dai mercatini Ciock’è Tipico e dalle curiose Spalm Beach, vere e proprie spiagge cittadine dove prendersi una dolce pausa con pane e cioccolato, comodamen-te seduti sulle sdraio, sotto gli ombrelloni.Una manifestazione dunque che ricorda un pianeta ancora tutto da scoprire, in cui viaggia-re è motivo per conoscere.

Alice Lupi

Roma, Alta Moda Autunno Inverno 2010-2011

Un viaggio lampo nel cioccolato