INMETEO MAGAZINE 5

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La redazione È doveroso porgere un ringraziamento particolare agli enti gemellati con la nostra associazione, e cioè l’Associazione MeteoNetwork e l’Osservatorio Astronomico Isaac Newton per il preziosissimo contributo pervenuto in redazione e quindi per la collabo- razione che da questo numero in poi contribuirà a rendere alta la qualità della nostra rivita meteorologica. Presidente: Vittorio Villasmunta I siti dell’associazione InMeteo

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Finalità Associazione “INMETEO”

Dall’Art. 2 (Finalità dell’Associazione) dello Statuto dell’associazione NO PROFIT InMeteoLe specifi che fi nalità dell’Associazione di promozione sociale InMeteo sono:

1) Effettuare e pubblicare Bollettini Meteo e Previsioni del Tempo sul sito www.inmeteo.it (e relativi siti affi liati) e tramite i mass-media, fornendo un servizio di informazione e di divulgazione scientifi ca 2) Effettuare e favorire la ricerca e lo studio scientifi co, organizzare convegni, seminari, conferenze e corsi di forma zione professionale; pubblicare il risultato di quanto suddetto sul web o tramite pubblicazioni particolari. a) Pubblicare la Rivista “InMeteo Magazine” con cadenza trimestrale per i soci e chi ne fa richiesta (a secon da delle modalità decise in comune accordo dal consiglio direttivo) b) Creare un sussidio per la pubblicazione di Libri di natura meteorologica e scientifi ca, soprattutto all’inter- no dell’associazione 3) Facilitare la riunione di appassionati di meteorologia attraverso il web, convegni e incontri. 4) L’installazione e la gestione, nell’osservanza delle relative norme legislative e regolamentari, di stazioni meteoro logiche e quant’altro utile allo studio dei specifi ci fenomeni, nonché di eventuali sistemi informatici ed informativi di collegamento. 5) Stipulare delle convenzioni con negozi e rivenditori autorizzati di materiale meteorologico e affi ne. 6) Fornire ai soci materiale informatico per migliorare il monitoraggio e l’attività meteorologica sul web. 7) Stipulare convenzioni con importanti centri di raccolta dati. 8) Elaborare strutture informatiche complesse ed utili alla meteorologia nell’ambito associativo ed esterno, mediante la costruzione di piattaforme adatte e la possibilità di offrire servizi di supporto. 9) La promozione di corsi di formazione e di aggiornamento per alunni ed insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado.

È doveroso porgere un ringraziamento particolare agli enti gemellati con la nostra associazione, e cioè l’Associazione MeteoNetwork e l’Osservatorio Astronomico Isaac Newton per il preziosissimo contributo pervenuto in redazione e quindi per la collabo-razione che da questo numero in poi contribuirà a rendere alta la qualità della nostra rivita meteorologica.

La redazione

Per acquistare le vecchie copie di InMeteo Magazine è possibile inviare la richiesta a [email protected] specifi cando:

-nome cognome-indirizzo-recapito telefonico-copia della ricevuta di versamento da effettuare al numero di postepay 4023 6004 5160 9764 intestata a Giancarlo Modugno

Per ogni copia richiesta viene richiesta una donazione minima di 6 €; per eventuali ri-stampe la donazione minima per ogni copia ristampata è 8 €Sono disponibili i seguenti numeri:- InMeteo Magazine 1 (1 copia) - InMeteo Magazine 3 (1 copia)- InMeteo Magazine 2 (12 copie) - InMeteo Magazine 4 (6 copie)

Presidente: Vittorio VillasmuntaVice Presidente: Giancarlo ModugnoConsiglio Direttivo: Giuseppe Conteduca, Francesco Montanaro, Pasquale Abbattista, Francesco Ladisa, Sante BarbanoTecnici Uffi ciali: Francesco Galella, Pasquale Abbat-tista, Filippo GorguglioneComitato Gargano:Sante Barbano, Giuseppe d’Altilia,

Filippo Gurgoglione, Vincenzo MastromatteoSoci onorari: Domenico Papandrea, Gabriele LadisaRelazioni esterne: Tommaso Intini, Francesco Ladisa www.inmeteo.it Fondato il 3 Settembre 2005

Presidente: Vittorio Villasmunta I siti dell’associazione InMeteo

WWW.INMETEO.ITWWW.PUGLIAMETEO.ITWWW.METEOLUCANIA.ITWWW.METEOBITONTO.ITWWW.VILLASMUNTA.ITWWW.METEOSGR.ITWWW.METEOGARGANO.COM//LIVE.METEOCORATO.ITWWW.METEORUVO.IT

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sommario numero 2/2008sommario numero 2/2008

InMeteo Magazine Periodico trimestrale di InMeteo Associazione NO - PROFIT di Meteorologia

Anno 2 - Aprile 2008 - Numero 5

Direttore Responsabile

Domenico Papandrea

Capo Redattore

Giancarlo Modugno

Vice Capo Redattore

Paolo De Luca

Comitato di Redazione

Giancarlo ModugnoVittorio VillasmuntaPasquale AbbatistaAnnalisa MuschitielloGiuseppe Conteduca

Redazione

E mail: [email protected]

http://www.inmeteo.it

Progetto Grafi co e Composizione

Giancarlo Modugno

Stampa

“Pubblicittà” - Roma

Autorizzazione del Tribu-nale di Bari con decreto numero 8 del 28/02/2007

2 Assottigliamento concentrazioni ozono ... della Dottoressa Rosetta Onorati

4 Venti locali sul golfo di Taranto di Vittorio Spagnoletti

6 Stratospheric Final Warming di Claudio Stefanini

8 L’uomo: da spettatore a protagonista del... della Dottoressa Annalisa Muschitiello

10 Impatto della NAO invernale sulla circolazione.. di Paolo De Luca

13 Approssimazione Geostrofi ca di Giancarlo Modugno

14 Esplosioni nucleari e clima di Sante Barbano

16 Vento termico di Giancarlo Modugno

17 Idrogeno: il nostro futuro? di François Burgay

18 Modelli Numerici (2à parte) del Ten. Francesco Montanaro

21 Focus Climatico Puglia di Giuseppe Conteduca

21 I Convegni consigliati da InMeteo di Giancarlo Modugno

InMeteo Magazine e www.inmeteo.it sono due mezzi d’informazione che nascono con lo scopo di divulgare la scienza e la cultura meteorologica. Chiunque volesse contribuire con articoli e commenti agli articoli pubbli-cati può scriverci al seguente indirizzo mail: [email protected]

Finalità Associazione “INMETEO”

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terra) e solo il 10% nella troposfera (da 1 a 9 km sopra il territorio polare), ma, come è stato già detto, l’ozono tropo-sferico è una sostanza velenosa: esso si viene a creare generalmente durante le ore diurne nelle zone inquinate come i territori urbani.

L’ozono stratosferico, invece, svolge un ruolo molto importante per gli orga-nismi viventi sul pianeta, perché assor-be la radiazione ultravioletta nociva, l’UV-B, che potrebbe provocare danni all’uomo, quali il cancro della pelle a seguito dell’ esposizione prolungata ai suoi raggi. L’ultravioletto si suddivide in tre bande di radiazione: UV-A (400-320 nm), UV-B (320-280 nm) ed UV-C (280-100 nm), che differiscono fra loro per la lunghezza d’onda. L’ UV-A, in particolare, attraversa totalmente lo strato arrivando sulla terra, ma non ha effetti nocivi sugli organismi; l’UV-C, invece, è fi ltrata totalmente dall’at-mosfera e non raggiunge la superfi -cie terrestre. Quello che è assorbito dall’ozono è l’UV-B, e più lo strato di ozono si assottiglia più i raggi UV-B riescono a penetrare, raggiungendo la superfi cie della terra ed aumentando così la percentuale di rischio per la biologia terrestre.

Per comprendere a pieno l’importanza dell’ozono stratosferico nella “prote-zione” della superfi cie terrestre da tali radiazioni, occorre fare riferimento allo spettro d’azione: questo descrive l’effetto relativo della radiazione UV, per ciascuna lunghezza d’onda (280-400 nm), nel determinare una certa risposta biologica all’esposizione del-la radiazione. Tale risposta può essere riferita a vari effetti dannosi e persvariati soggetti biologici come uomo, animali e piante.

Uno spettro di azione per un dato ef-fetto biologico viene impiegato come fattore moltiplicativo, dipendente dalla lunghezza d’onda; le irradianze a ciascuna lunghezza d’onda vengono moltiplicate per i rispettivi coeffi cienti dello spettro di azione ed infi ne inte-grate sull’intero intervallo dell’UV-A al fi ne di trovare l’irradianza biologi-camente effi cace (in W*m^-2) della radiazione in esame. La dose UV (in J*m^-2) per un dato intervallo di tempo di esposizione viene determi-nata integrando l’irradianza biologi-camente effi cace sull’intero periodo di esposizione. I più importanti spettri di azione sono gli spettri di azione dell’eritema, dell’assorbimento del

Quali sono le cause? Qual è l’impor-tanza dell’ozono? Cosa è successo dal 1980 ad oggi? Ecco alcune risposte. [Abstract della tesi di laurea della dott.ssa Rosetta Onorati]

L’ozono è una molecola gassosa, costi-tuita da tre atomi di ossigeno (O3), mol-to nociva se respirata dagli esseri viventi tanto che, quando si parla di ozono ai livelli superfi ciali, ci si riferisce ad una sostanza velenosa. Tuttavia l’ozono svol-ge un ruolo fondamentale in stratosfera, perché lo strato assorbe la radiazione ultravioletta biologicamente nociva, attenuando i fl ussi che raggiungono la superfi cie della terra e rendendo quindi possibile la vita sul pianeta. Purtroppo però, dalla metà del secolo scorso ad oggi, lo strato di ozono si è assottigliato, provocando ripercussioni sugli organismi che compongono la biologia terrestre.

Pertanto si è avvertita l’esigenza di studiare più a fondo il fenomeno del de-pauperamento allo scopo di individuare le ragioni che lo hanno determinato. Una causa dell’assottigliamento dello strato, e perciò della distruzione dell’ozono stratosferico, è la presenza in stratosfera per lunghi periodi di tempo dei clorofl uo-rocarburi (CFC), che sono una famiglia di sostanze chimiche sviluppate intorno agli anni venti come alternativa sicura, atossica ed ininfi ammabile, alle sostanze pericolose come per esempio l’ammo-niaca, usate nella refrigerazione o come propellenti spray, il cui uso è divenuto molto frequente nel corso degli anni.

Uno degli elementi principali che compongono i CFC è il cloro, pertanto le emissioni dei CFC comportano un au-mento considerevole di cloro in atmosfe-ra, che è liberato in stratosfera attraverso reazioni di fotochimica. Secondo quanto è stato rilevato soprattutto in Antartide, il cloro ha la potenzialità di distruggere grosse quantità di ozono, provocando un sensibile incremento dei livelli di radiazione ultravioletta. Di tutto l’ozono presente in atmosfera, il 90% è reperibile nella stratosfera (la regione che va dai 10 ai 50 km al di sopra della superfi cie della

terra) e solo il 10% nella troposfera (da Per comprendere a pieno l’importanza Quali sono le cause? Qual è l’impor-

L’ASSOTTIGLIAMENTO DELLE CONCENTRAZIONI DI OZONO STRATOSFERICO ANTARTICO

della Dottoressa Rosetta Onorati - CNR-IDAC – Gruppo ICES - Roma - Tor Vergata

Fig. 1.1 – Le tre bande dell’UV in relazione alla fascia di ozono Polare (http://www.ccpo.odu.edu/SEES/ozone/class.jpg)

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Questo trasporto è lentissimo: infatti, per spostare una massa d’aria dalla tropopausa tropicale, a 20 km circa, sono necessari quattro o cinque mesi. L’aria che viene trasportata è ricca di CFC. Nel 1928 il chimico statunitense Thomas Midgley sviluppa il CFC-12 come sostanza refrigerante sostitutiva dell’ammoniaca, tossica ed infi amma-bile. Questa sostanza, inoltre, offriva la possibilità di ottimizzare i rendimenti della macchina termica.

Dal 1930 Duport e General Motors introdussero i CFC nelle industrie con la denominazione di Freon, e furono utilizzati anche per i propellenti spray. I CFC sono estremamente stabili, e la loro distruzione avviene solo in presen-za di radiazione ultravioletta (fotode-composizione). Attraverso le reazioni di distruzione dei CFC viene liberato il cloro, che diviene un catalizzatore, insieme al bromo, anch’esso presente in atmosfera, delle reazioni catalitiche di distruzione dell’ozono. Il cloro ed il bromo, quindi, sono da considerarsi i diretti responsabili di tale distruzione.

La produzione della specie reattiva del bromo e del cloro è accelerata dalle reazioni di chimica eterogenea che avvengono sulla superfi cie delle PSC (Polar Stratosferic Clouds), nubi stratosferiche composte di sostanze in fase solida, che si formano durante gli inverni polari quando la temperatura della stratosfera diminuisce brusca-mente. Le reazioni di fotochimica in fase ete-rogenea che avvengono sulle PSC sono talmente veloci che l’assottigliamentodello strato di ozono avviene nel giro di pochissime settimane, alla fi ne del mese di agosto. Inoltre sia al polo Nord che al polo Sud è presente un’intensa corrente stratosferica, detta “vortice polare”, che isola le masse d’aria che arrivano dalle medie latitudini, ricche appunto di CFC.

La conseguenza di questo isolamento è principalmente di tipo radiativo in quanto in assenza di apporti di energia dinamici comporta un raffreddamento. La temperatura più bassa determina a sua volta il tipo di chimica che in inverno si sviluppa prevalentemente nella bassa stratosfera delle regioni polari. In questo modo i CFC entrano in contatto con la superfi cie delle PSC e hanno modo di reagire per produrre le forme attive del cloro e del bromo.

Le temperature di questa aria polare sono estremamente basse, arrivando a toccare i -80°C. Essendo l’Antartide più fredda e più isolata dell’Artide, il fenomeno dell’assottigliamento è più evidente. La prima volta che si pensò ad un buco nello strato di ozono, fu nel 1971, quando James Lovelock riscon-trò la presenza di freon in atmosfera in seguito ad indagini ed analisi dettaglia-te. Solo nel 1974, però, si cominciò a formulare teorie, basate su dati di laboratorio, che confermavano l’ipotesi che i CFC nelle quote stratosferiche vengono scissi nei componenti reattivi del cloro e del bromo, che svolgono la funzione di radicali liberi nelle reazioni catalitiche di scissione di ozono. Nel 1979 il lancio del satellite Ninbus7 in cui era istallato lo strumento TOMS, fornì la prima mappatura completa dello strato di ozono, rilevando una effettiva diminuzione globale del 3%, e confermando le teorie di distruzione.

Qualche anno dopo la NASA coordi-nò l’esperimento che confermò una forte diminuzione dello strato d’ozono antartico e rivelò che, in alcune zone, addirittura il 95% di questo era distrut-to. Proprio in queste aree l’ossido di cloro era presente in concentrazioni 1000 volte superiori a quelle del suolo, confermando così l’ipotesi che l’ozono venisse distrutto da queste moleco-le. Nel 1985 Joe Farman, Gardiner e Shanklin denunciarono una riduzione dello strato di ozono sull’Antartide del 40%, pubblicando una carta con una rappresentazione dettagliata dell’ozo-no e dimostrando che questo spariva sopra l’atmosfera antartica proprio nel periodo di agosto, con cadenza ciclica annuale.

Nell’Artico l’assottigliamento dello strato di ozono fu denunciato non pri-ma dell’inizio degli anni ’90 a Londra dalla WMO (World Metereological Or-ganizzation), che registrò una diminu-zione del tasso di ozono stratosferico del 20% sulla Scandinavia e sulla Gran Bretagna. Ovviamente una volta cono-sciuto il fenomeno, la preoccupazione per la salute dell’ozono ha condotto nel 1987 a stipulare un accordo interna-zionale, il Protocollo di Montreal, che limitasse la produzione dei CFC.

Nel prossimo numero:Analisi dei dati satellitari

DNA e quello relativo al tumore della pelle. In sostanza ci darà una misura del-l’effi cacia delle radiazioni sulla biologia terrestre, in base alla risposta data dalla sua stimolazione. Alcuni di questi effetti potrebbero essere, ad esempio, eritemi, variazioni nel Dna molecolare o cambia-menti nello sviluppo di una pianta.

Riguardo la distribuzione dell’ozono, oc-corre dire che è data sia da un equilibrio fra produzione e perdita, sia dal trasporto dell’ozono, attraverso i venti, dalle zone di produzione fi no alle alte latitudini. Gli strumenti TOMS (Total Ozone Mapping Spectrometer) ed OMI (Ozone Moni-toring Instrument), montati sui satelliti Ninbus 7, Meteor 3, Eptoms, ed Aura, forniscono una “mappatura” di ozono producendo dati dal 1978 ad oggi.

I rilevamenti effettuati sono relativi al numero totale di molecole di ozono presenti fra la superfi cie terrestre ed il top dell’atmosfera. In questa colonna, la quantità di l’ozono viene calcolata in Dobson, un’unità di misura dello spessore dello strato di ozono. La misura è concettualizzata immaginando che le molecole di ozono siano contenute in uno spessore di 3 mm, e ad una pres-sione e temperatura standard, 298,15 K (25 °C) e 1013.25 hPa (1 atm). Tale quantità acquista il valore unitario di 300 DU (Dobson Unit) e dall’analisi dei dati ricavati dagli strumenti TOMS ed OMI, si nota come, spostandoci dai tropici ai poli, per entrambi gli emisferi, il conte-nuto di ozono colonnare aumenti e, in particolare, gli importi colonnari sono maggiori nell’emisfero settentrionale, rispetto l’emisfero meridionale.

In più mentre i livelli minimi di ozono raggiunti in Artide si riscontrano nel periodo compreso fra marzo ed aprile, i minimi in Antartide si registrano fra settembre ed ottobre. Le variazioni sono anche determinate dal trasporto dell’ozo-no causato dalla circolazione generale atmosferica dalle zone di produzione, le medie latitudini, nei paesi sviluppati ed industrializzati. Ma non basta: l’ozono varia anche con l’altezza, la cui misura viene data dal valore della densità, cioè dalla quantità di ozono per unità di volu-me. I 300 DU sopra citati corrispondono a 8.07*1022 mol*m^-2. La circolazione stratosferica spiega in che modo viene trasportato l’ozono nelle latitudini del pianeta, ed in particolare dall’alta strato-sfera, sopra i tropici, alla bassa stratosfe-ra delle medie latitudini.

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I VENTI LOCALI - Le brezze, il wind-shear ed i principali ven-ti sul Golfo di Taranto

di Vittorio Spagnoletti - Osservatorio Isaac Newton

nuvolosità, l’orografi a o il grado di stabilità dei bassi strati dell’atmosfera. Normalmente la brezza raggiunge nel primo pomeriggio velocità intorno ai 10-15 nodi. Talora però la brezza fatica ad avviarsi o non si avvia affatto. Le ragioni potrebbero essere una forte instabilità atmosferica, una forte sta-bilità atmosferica o un vento in quota di direzione opposta alla controbrezza. Nel tardo pomeriggio l’intensità della brezza cede progressivamente fi no alla calma di vento poco dopo il tramonto. Il regime di brezza si instaura pertanto in condizioni di bel tempo e di cielo sereno. Di notte, poi, la terra si raffred-da molto più rapidamente del mare e pertanto, seppur attenuate, le parti si invertono; è l’aria sul mare che ora è più calda e pertanto si innalza e deter-mina un richiamo di aria dall’entroter-ra verso il largo. Si instaura così una brezza di terra. L’inversione della dire-zione si ha in prima serata e la brezza di terra raggiunge il massimo della sua intensità nelle ore che precedono l’alba, quando è massimo il raffred-damento del suolo. Tuttavia essendo più debole, anche il campo d’azione della brezza di terra è certamente più limitato; Non è raro che, spinti da una piacevole brezza e dal chiaro di luna si decide per una uscita in mare a vela e ci si ritrovi appena fuori dalla rada nella più completa calma di vento.

Abbiamo detto che l’orografi a ha una certa importanza nell’andamento delle brezze; infatti nel caso di catene mon-tuose costiere, la direzione della brezza di terra sarà determinata dalla direzio-ne delle vallate che sboccano sul mare. Qui i venti potranno assumere notevole intensità anche in inverno, quando i monti sono innevati. In questi casi si instaura un vento detto catabatico, che può raggiungere intensità di burrasca. Se la corrente ascensionale determinata dalla brezza supera il livello di con-densazione, avremo la formazione di una nube cumuliforme innocua, detta cumulo di bel tempo. Questi cumuli svaniranno con l’affi evolirsi dei venti di brezza. La presenza di nubi cumuli-formi imponenti, invece, può

determinare la scomparsa delle brezze; così anche una brezza di mare che dura ben oltre il tramonto è sinonimo di tempo che cambia.

Un altro aspetto importante per la na-vigazione locale è senz’altro dato dalle correnti marine. Le differenze di salinità e di tempe-ratura tra le acque del Mediterraneo e quelle dell’Atlantico danno luogo, attraverso lo Stretto di Gibilterra, ad un incessante scambio delle acque superfi ciali: quelle del Mediterraneo, più dense, scendono in profondità diri-gendosi verso l’oceano, mentre quelle atlantiche scivolano in superfi cie verso l’interno. Le correnti marine superfi -ciali hanno in media una velocità di 0,5 nodi e percorrono in senso antiorario le zone costiere di tutto il Mediterra-neo, mantenendosi a circa 3-4 miglia dalla costa. I venti di terra spingono la corrente più al largo, aumentandone la larghezza e diminuendone l’intensità. I venti che soffi ano invece dal mare aperto sospingono sottocosta l’invisi-bile fi ume marino, restringendone la sezione ed aumentandone la velocità. Il rinforzo è massimo in presenza di venti di mare che formino un angolo di 30-40° rispetto alla direzione di movimen-to della corrente. Alle correnti marine permanenti spesso si sovrappongono temporaneamente i moti di deriva ge-nerati da venti superiori ai 10-15 nodi e che soffi no con direzione costante per qualche giorno.

Vediamo ora brevemente le relazioni tra vento e moto ondoso. All’insorgere del vento la superfi cie del mare si increspa per effetto dell’at-trito dell’aria che scorre sull’acqua. Le increspature, sotto la spinta del vento, guadagnano energia cinetica, crescono in altezza e si trasformano in onde. Gli elementi caratteristici di un’onda sono: la lunghezza dell’onda (L), che è la distanza orizzontale tra due creste successive; l’altezza d’onda (H), che è data dalla distanza verticale tra cresta e gola; il periodo (T), il quale è il tempo intercorrente tra il passaggio nello stes-so punto di due creste consecutive.

Il Mediterraneo è dominato da molti venti caratteristici, ma il più diffuso, specie nella stagione estiva, è certamente la brezza. Il meccanismo di formazio-ne delle brezze, in sintesi, può essere riassunto così: di giorno, per azione dei raggi solari la terra si riscalda veloce-mente ad una temperatura superiore a quella delle zone di mare adiacenti. Il calore si trasmette all’aria a contatto con la terraferma e pertanto si formano bolla d’aria che si espandono e diminuiscono di intensità, divenendo più leggere. Que-sta bolla si innalza e viene rimpiazzata al suolo con aria più fresca proveniente dal mare. Con una controbrezza in quota l’aria che si era innalzata dalla costa si porta verso il mare dove ridiscende sosti-tuendo quella che si era diretta verso la spiaggia. Si determina così una piccola cella convettiva caratterizzata da una zona di bassa pressione sulla terraferma (depressione termica) e di alta pressione sul mare.

La direzione del vento teoricamente sarebbe dal mare verso la terraferma, ma solo inizialmente è così. Infatti, col passare delle ore, la differenza di tempe-ratura e quindi di pressione atmosferica aumenta sempre di più. Con l’aumentare della differenza di pressione, aumenta anche la velocità del vento; ma con l’aumentare dell’intensità di quest’ulti-mo comincia a farsi sentire l’azione della forza deviante di Coriolis. Contempo-raneamente viene interessata una fascia costiera e di mare via via più larga, fi no a 15-20 miglia al largo. In defi nitiva si avrà una rotazione verso destra della direzione della brezza sino a che questa nel pomeriggio si metterà a spirare quasi parallela alla costa ed alle isobare. Da qui il detto popolare che in estate il ven-to “gira col sole”. L’azione della brezza sulla terraferma si estende anche sino a 40 km dalla costa, mentre verticalmente la cella è racchiusa nei primi 600-1000 metri di quota.

Normalmente la brezza di mare si instau-ra intorno alle 10 del mattino e raggiun-ge il massimo dell’intensità nelle prime ore del pomeriggio. La sua velocità dipende da molti fattori, come la

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I VENTI LOCALI - Le brezze, il wind-shear ed i principali ven-ti sul Golfo di Taranto

di Vittorio Spagnoletti - Osservatorio Isaac Newton

Tra i valori di L (in metri), T (in secon-di) e la velocità V dell’onda (in m/s) si hanno le seguenti relazioni:

L = 1,5 * T2; V = 1,5 * T; V = 1,2 *L.

L’ultima relazione è particolarmente im-portante, poiché mostra che la velocità dell’onda cresce all’aumentare della sua lunghezza. Può pertanto accadere che alcune onde molto lunghe acquistino una velocità superiore a quella del vento che le ha generate. Questo è il motivo per cui talvolta si assiste all’arrivo delle onde anche in assenza di vento. L’al-tezza delle onde, oltre che dall’intensità del vento dipende anche dal numero di ore in cui questo vento soffi a in maniera persistente e costante. Nei fondali bassi, poi, la velocità di propagazione delle onde dipende anche dalla profondità del fondale. Quando un’onda si muove verso acque più basse tende a diminuire la velocità e di conseguenza anche la lunghezza. Pertanto l’onda aumenta la pendenza, il che prelude alla rottura della stessa sotto forma di frangenti. Per tale motivo nei fondali bassi il mare risulta mosso anche in presenza di venti deboli.

Un evento molto temuto nella naviga-zione aerea, ma che comporta problemi anche nella navigazione è il wind shear, che si manifesta con rapide variazioni orizzontali o verticali della direzione e dell’intensità del vento in prossimità del suolo. Il wind shear è particolar-mente temibile al di sotto delle nubi temporalesche o da rovescio dalla cui base fuoriescono correnti di aria fredda che precipitano verso il basso a velocità talora superiori a 30 m/s interessando uno strato profondo 500 – 1000 metri e largo 3-4 km. In prossimità del suo-lo le correnti fredde sono costrette a divergere lateralmente, trasformandosi in violenti venti orizzontali (outfl ow) i quali si propagano radicalmente in tutte le direzioni. Nella parte avanzata della nube i venti rifl uiscono verso l’alto sotto forma di turbinosi vortici.

Vediamo ora i principali venti sul Golfo di Taranto.

Il maestrale.

E’ un vento da nord ovest, talvolta mol-to forte, che dal Golfo del Leone si apre a ventaglio verso la Corsica, la Sarde-gna, la Sicilia, ma i suoi effetti

fenomeni saranno più probabili lungo la costa salentina.

La bora

E’ un forte vento da nord est, tipico dell’alto Adriatico, poiché si riversa sul Mediterraneo attraverso la porta di Trieste. La situazione barica tipica della bora è costituita da un promontorio di alte pressioni a nord delle Alpi e da un’area di basse pressioni sullo Jonio. Anche questa situazione non è sempre prevedibile con suffi ciente anticipo e, vista l’impetuosità del vento, può determinare seri problemi alla navi-gazione specie sull’Adriatico (anche a causa della sua scarsa profondità).sul golfo di Taranto raramente arriva la bora direttamente dal golfo di Trieste, quanto piuttosto dalle Alpi Dinariche e dal Montenegro. E’ un vento quasi esclusi-vamente invernale e determina notevolicondizioni di maltempo sul golfo. La confi gurazione barica tipica prevede una zona di alta pressione che si estende dall’Europa orientale sino al centro-nord Italia ed una depressione centrata sulla Grecia. Tale situazione comporta estese precipitazioni su tutto il golfo con temperature assai rigide (talora anche precipitazioni nevose). Non bisogna il-ludersi delle buone condizioni del mare sottocosta, poiché già poche miglia al largo il mare comincia rapidamente ad ncresparsi.

Lo scirocco

Vento caldo da sud-est, inizialmente secco, proviene dai deserti del nord Africa. Qui assume dei nomi locali come Chili dal Marocco alla Tunisia, Ghibli in Libia e Khamsin in Egitto ed Israele. Il quadro tipico di questo vento è costituito da una depressione origi-nariamente centrata sul nord Africa, sottovento alla catena dell’Atlante che spesso poi si sposta attraverso tutta la parte meridionale del bacino del Medi-terraneo da ovest verso est.

Quando il vento abbandona la costa africana è molto secco ma, data la sua alta temperatura, assorbe rapidamente una grande quantità di umidità dalla superfi cie del mare; tale assorbimento è tanto maggiore quanto più lentamente scorre sul mare e quanto maggiore è il tratto di mare percorso. Non è infre-quente che lo scirocco trasporti con sé grandi quantità di sabbia che poi si riversa al suolo a seguito delle precipita-zioni. Lo scirocco è un vento del tardo

sull’Adriatico e sullo Jonio sono più limitati. Quando le correnti fredde che seguono una depressione atlantica in transito sulle isole britanniche e l’Eu-ropa centrale investono l’arco alpino in parte entrano nel Mediterraneo attraver-so la valle del Rodano, in parte valicano le Alpi determinando una depressione sul golfo ligure.

Nel frattempo dopo il passaggio della perturbazione sulla Francia la pressione aumenta rapidamente e ciò determina un forte gradiente barico tra l’alta pressione sulla Francia e la bassa sul mar Ligure. Il risultato è il mistral che può arrivare improvviso ed impetuoso e determinare rapidamente l’insorgere di una burrasca. Si tratta di un vento molto più frequente d’inverno che in estate. Sul golfo di Taranto il vento da nord ovest raramente deriva dal mistral, quanto piuttosto dal passaggio di un fronte freddo in seno a correnti nord occidentali a tutte le quote.

La presenza della catena appenninica costituisce un ostacolo alle fredde ed umide correnti da NW, che pertanto apporteranno precipitazioni e fenomeni più intensi sui rilievi lucani e, local-mente sul versante occidentale della penisola salentina. In estate tuttavia in situazione di instabilità possono portare rovesci e temporali dai monti verso le acque del golfo, pertanto non sono venti da sottovalutare. Il libeccio

Vento da sud ovest, il libeccio precede una perturbazione di origine atlantica che entra attraverso la porta di Carcas-sonne. E’ un vento particolarmente te-muto sul Tirreno, poiché con esso si ha un notevole fetch che parte dalle Baleari e termina sulle coste tirreniche. Spesso precede il mistral ed il rapido modifi car-si dei venti può determinare effetto di mare incrociato. E’ anch’esso un vento più frequente nella stagione invernale.

Nel golfo di Taranto il libeccio è asso-ciato ad una depressione che si muove dal basso Tirreno verso il medio Adria-tico o come avanguardia di un fronte freddo in arrivo da nord. E’ il cosiddetto “vento della Calabria”, a volte impetuo-so e che può durare sino a 2-3 giorni; non porta grandi precipitazioni, poiché anche qui c’è l’effetto ombra determi-nato dai rilievi della Sila, tuttavia può trasportare con sé nubi cumuliformi che possono dare vita a qualche rovescioo temporale. Anche in questo caso i

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inverno o inizio primavera, ma anche dell’autunno. Esso tuttavia non è del tutto assente negli altri periodi dell’an-no.

Sul golfo di Taranto è il vento che si manifesta meglio in tutta la sua potenza. Infatti per la conformazione geografi ca della costa nessuna zona è immune dalla sua azione e frequenti sono le mareggiate che si abbattono lungo la costa anche per la mancanza di ostacoli naturali. Il cielo è coperto da nubi che corrono veloci e che solo in prossimità del fronte lasceranno cadere la pioggia (ed in tal caso i venti ruotano a sud). La tipica situazione barica è data da una profonda depres-sione centrata intorno alla Sicilia ed i mari adiacenti ed una zona di alta pressione sui Balcani.

Il grecale

Il grecale è il nome maltese di un vento da nord est che interessa il mediterra-neo centrale e lo Jonio. La situazione che lo determina è data da una depres-sione sul mar libico ed una zona di alta pressione sui Balcani. Si differenzia dalla bora poiché è nettamente meno freddo, ma porta ugualmente buone quantità di precipitazioni. Sul golfo di Taranto si manifesta con venti da ENE e con cielo molto nuvoloso e con pioggia nella stagione invernale.

Man mano che il minimo di pressione si allontana le schiarite tendono a prevalere ed il vento si orienta più nettamente da nord o nord-est.

Altri venti Il vento da sud nel golfo di Taranto pro-duce estesa nuvolosità e piogge continue. E’ tipico del semestre invernale e spesso è l’evoluzione dello scirocco, rispetto al quale si presenta meno impetuoso. Piuttosto raro è il vento da ovest, poiché subisce l’infl uenza della catena appen-ninica. Non apporta mai grossi quanti-tativi di pioggia, ed anche la nuvolosità da esso trasportata si presenta alquanto frastagliata. Più frequente è il vento da nord, spesso associato ad irruzioni di aria fredda durante il semestre invernale. In estate esso è insieme al vento da nord est il vento prevalente, poiché è associato alle estreme propaggini dell’anticiclo-ne delle Azzorre e della depressione a carattere stagionale presente sul mar di Levante. Piuttosto raro è pure un vento proveniente da est che non sia l’evolu-zione successiva di un vento esaminato in precedenza. Può manifestarsi a seguito del formarsi di locali depressioni sullo Jonio centrale che normalmente vengono a colmarsi nel giro di poco tempo. Nel Mediterraneo si possono avere anche burrasche che non rientrano negli schemi summenzionati. Per esempio vi posso-no essere infi ltrazioni di aria fredda di dimensioni molto limitate, anche sotto i 100 km che possono determinare

violentissime perturbazioni locali che sfuggono alle previsioni dei servizi meteorologici. Più in generale per quanto riguarda i venti sul Mediterraneo facciamo una distinzione tra la stagione invernale e quella estiva con due periodi di transizione, aprile-maggio e ottobre-novembre. La stagione invernale è caratterizzata dall’arrivo di aria fredda polare portata dalle correnti da W e da N che seguono le depressioni in transito sull’Europa centrale. In estate l’anticiclone delle Azzorre si sposta più a nord. Le depressioni atlantiche tendono pertanto a passare sull’Europa centrale senza interessarci. L’eventuale aria polare che fl uisca verso il Mediter-raneo verrà modifi cata nel suo passag-gio sul continente europeo abbastanza caldo da far perdere alla massa d’aria i suoi caratteri freddi; i contrasti termici risulteranno perciò attenuati rispetto alla stagione invernale e quindi ben diffi cilmente si formeranno depressioni profonde. Tuttavia anche d’estate il tempo si può guastare, per esempio perché l’anticiclone delle Azzorre è più basso o più ad ovest rispetto alla posizione media in questo periodo dell’anno. Le burrasche estive sono generalmente dovute all’ingresso improvviso, per traboccamento, di aria fredda che siprecipita nel bacino del Mediterraneo.

GLI STRATOSPHERIC FINAL WARMING E IL LORO IM-PATTO SULLA PRIMAVERA EUROPEA.

di Claudio Stefanini - Comitato Scientifi co Meteonetwork

GLI STRATOSPHERIC FINAL WARMING E IL LORO IM-GLI STRATOSPHERIC FINAL WARMING E IL LORO IM-

Gli Stratospheric Final Warming (SFW) consistono in una repentina inversione dei venti zonali stratosferici parten-do dalle quote più alte fi no alla bassa stratosfera (non oltre i 100 hPa) acce-lerando in questo modo la transizione annuale dal vortice polare stratosferico (VPS) ad un regime anticiclonico (sem-pre e solo in stratosfera) sopra il polo. La propagazione verso il basso da 10 hPa a 50 hPa avviene in una settima-na/10 giorni.

Nel dettaglio, qual’é la differenza tra gli SFW e i Major Midwinter Warming (MMW)? Diciamo che l’unico punto che hanno in comune é l’aumento delle temperature stratosferiche polari e

solare.Inoltre i pattern circolatori associati agli SFW sono strutturalmente distinti da quelli degli SSW (connessi al NAM) essendo i primi traslati verso nord rispetto ai secondi.Gli SFW presentano una grande varia-bilità per quel che concerne il momen-to del loro arrivo durante la primavera; per stabilire una data precisa del pas-saggio alla circolazione estiva Black et al. [2006] (uno dei maggiori esperti di SFW) hanno adottato questo criterio: é il momento in cui la media mobile su 5 giorni del vento zonale medio a 70N e 50 hPa diventa negativa e non risale oltre i 5 m/s fi no all’autunno successi-vo (si veda un esempio in fi g. 1).

l’indebolimento (e/o inversione) delle westerlies delle alte latitudini, per il resto le differenze sono le seguenti:1) Frequenza e periodo di accadimento: gli SSW si presentano nel medio-tardo inverno in media ogni 2 anni circa (0,6 all’anno); gli SFW si presentano in primavera ogni anno;2) Effetti: durante gli SSW i venti zonali si invertono ma poi ritorna-no occidentali; con gli SFW i venti zonali vengono “defi nitivamente” (fi no all’autunno successivo) sostituiti dalle easterlies;3) Meccanismo: gli SSW sono causati dalla propagazione delle onde plane-tarie mentre negli SFW gioca un ruolo anche l’aumento della radiazione

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Black et al., in base all’archivio ERA40 (anni considerati: 1958-1999) hanno ottenuto come media 14-15 aprile, mentre utilizzando i dati NCEP/NCAR la media (calcolata sullo stesso periodo) risulta 16 aprile.Ayarzaguena et al. [2007] hanno stu-diato l’impatto troposferico durante la media primavera degli SFW precoci e tardivi ottenendo il risultato di fi g.2:

ovvero in ambedue i casi una strut-tura di “tripolo” consistente in GPT+ (-) alle alte latitudini e sulle Azzorre e GPT- (+) alle medie latitudini in Atlantico negli anni di SFW precoce (tardivo). nel primo (secondo) caso abbiamo un surplus (defi cit) di precipi-tazioni sull’Europa centro-occidentale (in part. sud Francia e NW italiano) e un defi cit (surplus) sui Balcani e in Al-geria. Non é ancora ben chiaro da cosa dipenda l’anticipo/ritardo dell’avvio della circolazione estiva, forse dipende dalle condizioni del fl usso stratosferi-co precedente e dalle variazioni della propagazione delle planetary waves troposferiche (Waugh et al. 1999) ma sembra ormai certo che la QBO non abbia in questo nessun ruolo.

Un’altra caratteristica chiave degli SFW é l’occorrenza di due distinti pe-riodi di decelerazione del fl usso zonale troposferico: il primo 10 giorni prima dell’evento che coincide con il periodo di massima decelerazione stratosferi-ca; il secondo tra 5 e 10 giorni dopo lo SFW in cui il fl usso stratosferico in genere tende a “rilassarsi” e seguire le condizioni climatologiche medie e il fl usso troposferico presenta la massima ampiezza. Queste anomalie connesse con gli SFW si rifl ettono sul comporta-mento degli indici AO e NAO (Arctic Oscillation e North Atlantic Oscilla-tion) che durante i due periodi di dece-lerazione dei venti zonali troposferici calano vistosamente rispetto ai giorni immediatamente precedenti.

Black et al. hanno ipotizzato che i due periodi di decelerazione siano associati rispettivamente alla risposta diretta ed indiretta ai cambiamenti della circolazio-ne della bassa stratosfera. Andando nel dettaglio dell’evoluzione degli SFW, vediamo l’anomalia dei venti zonali (m/s) prima e dopo lo SFW (fi g. 3, pagina 8).

Osservando la fi g. 3 si vede che 15 giorni prima sono presenti anomalie positive alle alte latitudini stratosferiche e tra le medie e le alte latitudini troposferiche; 5 giorni dopo l’anomalia troposferica si sposta verso nord coprendo tutta l’area a nord di 60N, mentre in stratosfera l’ano-malia si sposta verso nord e verso il bas-so. Le westerlies anomale strato- e tropo-sferiche si indeboliscono tra i giorni -10 e -5 mentre emergono anomalie orientali alle alte latitudini nella media stratosfera; quest’anomalia si intensifi ca velocemen-te e si sposta molto rapidamente verso il basso fi n verso la troposfera sostituendo la precedente anomalia positiva.

Il cambiamento più drastico quindi si ha tra i giorni -10 e 0 tra 60N e 90N. Dopodichè c’é un breve periodo in cui l’anomalia stratosferica si espande e quella troposferica si sposta verso sud;

poi mentre si assiste ad un calo dell’ano-malia stratosferica, ha luogo un’altra decelerazione delle westerlies alle alte latitudini troposferiche (tra 70N e 80N). Durante l’evoluzione del fi nal warming il jet stream subtropicale si indebolisce e si espande latitudinalmente. Come si ac-cennava sopra, la struttura delle anoma-lie dei venti zonali troposferici si mostra distinta da quella canonica del NAM, perché i massimi locali del vento zonale sono osservati ben più a nord di 55N, l’estremo troposferico latitudinale del NAM (Thompson and Wallace 2000).

Bibliografi a:“Impact of interannual variability of stratospheric fi nal warmings on the anomalous spring rainfall regime in the Mediterranean region” – Ayarzagüe-na et al. 2007, Journal of Climate

“Impact of the wintertime North Atlantic oscilla-tion on the summertime atmospheric circulation”

10 luglio 2003Masayo Ogi, Yoshihiro Tachibana e Koji Yamazaki

Copyright 2003 by the American Geophysical Union.

“Stratosphere-Troposhere coupling durino spring onset” – Black et al. 2005, Journal of Climate

“The dynamics of northern hemisphere strato-spheric fi nal warming events” – Black et al. 2006, Journal of Climate

Black et al., in base all’archivio

Fig. 1. Calcolo della data di uno SFW (1964) in base all’an-damento dei venti zonali (in ordinata) a

50 hPa e 70N.

Fig. 2. Anomalie dei geopotenziali a 500 hPa di aprile negli anni con SFW precoce (early) e tardivo (late)

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Fig. 3. Anomalie dei venti zonali in funzione della latitudine (in ascissa) e della quota (ordinata) 15, 10, 5 giorni prima dello SFW (giorno 0) e 5 e 10 giorni dopo.

L’ UOMO: DA SPETTATORE A PROTAGONISTA DEL “TEA-TRO NATURA”.

della Dottoressa Annalisa Muschitiello - Socia e Redattrice InMeteo

L’ UOMO: DA SPETTATORE A PROTAGONISTA DEL “TEA-L’ UOMO: DA SPETTATORE A PROTAGONISTA DEL “TEA-

Per centinaia di migliaia di anni, l’uomo è stato parte integrante della natura: si cibava di vegetali che coglie-va o degli animali che riusciva a cat-turare ed era costretto al nomadismo, allorquando le risorse scarseggiavano o le condizioni ambientali di un luogo diventavano ostili.Con il tempo, però, ha imparato ad imporsi sempre di più sull’ambiente, attraverso l’agricoltura, prima (70.000 anni prima di Cristo), l’allevamento e la pastorizia, dopo.Per millenni l’uomo, pur affi nando le tecniche di coltivazione e di alleva-mento, ha continuato a vivere in sinto-nia con l’ambiente e in sincronia con i ritmi della natura.L’inizio delle grandi trasformazioni ri-sale all’Ottocento, con l’avvento della

inquinamento atmosferico, idrico, elettromagnetico, acustico e luminoso; il problema “acqua”; il disboscamento; l’edilizia selvaggia; l’industializzazio-ne massiccia; lo sfruttamento irra-zionale dei terreni agricoli con l’uso intenso dei prodotti chimici e così via.

La gravità di questi problemi e l’esi-genza di intervenire per cercare di proteggere l’ambiente, inducono gli scienziati a formare una coscienza ambientale nelle attuali genarezioni.E’ importante valutare quel che ancora si può fare per salvare la Terra.

Le prime misure hanno portato a difendere in maniera passiva la natura, con la creazione di aree protette, parchi naturali, riserve naturali, zone

Rivoluzione industriale.Le macchine infatti, necessitavano di combustibile (legno, carbone e dopo gli idrocarburi) per il loro funziona-mento; la velocità e la semplicità con cui producevano, richiedeva sempre maggiori quantità di materie prime e, infi ne, immettevano nell’ambiente una quantità sempre maggiore di sostanze inquinanti.

La necessità di trasportare le merci spinse l’uomo a costruire strade, ferro-vie, addirittura perforando le montagne e abbattendo boschi.Col tempo, la corsa al progresso e al benessere e l’in-curia verso qualsiasi norma di rispetto verso l’ambiente hanno provocato quei problemi ambientali di cui tanto oggi si discute: piogge acide; effetto serra;

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L’ UOMO: DA SPETTATORE A PROTAGONISTA DEL “TEA-TRO NATURA”.

della Dottoressa Annalisa Muschitiello - Socia e Redattrice InMeteo

in cui qualsiasi attività antropica fosse evitata.

Successivamente, però, si è adottata una difesa attiva, mediante la promo-zione di un turismo sostenibile, non distruttivo e atto a valorizzare certe zone, con i propri ecosistemi.Col turismo sostenibile nasce, ad esempio, l’idea di organizzare safari fotografi ci per turisti; questo tipo di attività garantisce introiti tali da far desistere bracconieri e la popolazione locale dalla caccia e dalla vendita di animali, spesso anche in via di estin-zione.

Un altro vantaggio di questa difesa at-tiva consiste nel promuovere la cultura e le tradizioni delle popolazioni che vivono in quelle zone, il che signifi ca valorizzare la vocazione naturale di quel territorio e aiutarlo ecologicamen-te ed economicamente.In Kenya, ad esempio, sono state favorite le attività artigianali delle popolazioni Masai dei parchi naturali, scoraggiandone allo stesso tempo, le attività industriali che avrebbero dan-neggiato l’ambiente.

Il concetto di “sviluppo sostenibile”, risale al 1987 quando, Gro Harlem Brundtland, Presidente della Commis-sione Mondiale su Ambiente e Svi-luppo, lo defi nì come “ lo sviluppo in grado di soddisfare i bisogni della ge-nerazione presente, senza compromet-tere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”.La legislazione italiana mira a salva-guardare il patrimonio naturale, anche se spesso, queste leggi sono rimaste inosservate!

L’articolo 9 della Costituzione recita che “la Repubblica promuove lo svi-luppo della cultura e la ricerca scien-tifi ca e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”. La “Legge antismog” (1966) e la “Legge Merli” (1976) limitano rispetti-vamente l’inquinamento atmosferico e quello idrico.

Al 1986 risale poi la nascita del Mi-nistero dell’Ambiente, col compito di sovrintendere alla tutela del territorio e quindi anche il concetto di “danno ambientale” con le relative pene.

L’energia geotermica sfrutta il ca-lore interno della Terra, presente in prossimità dei vulcani. Nella zona boracifera di Larderello (Toscana), le centrali geotermiche producono circa 5 miliardi di KWh di energia elettrica, risparmiando 1.100.000 tonnellate di petrolio ed evitando l’emissione di 3,8 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Tale calore viene utilizzato per produrre energia elettrica ma anche per il riscaldamento di edifi ci e serre e nei processi industriali.

Infi ne citiamo l’energia da biomassa, derivante dalla decomposizione di vegetali, da sottoprodotti delle attività agroindustriali e forestali (residui della lavorazione del legno), dai rifi uti urba-ni e dai gas provenienti da discariche controllate.

Nonostante il problema sia grave e complesso, in realtà, anche noi nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa.Una prima regola è quella di gettare sempre i rifi uti negli appositi cestini della spazzatura per evitare l’inquina-mento ambientale; infatti, per esempio, una lattina di alluminio impiega dieci anni per essere smaltita dall’ambiente; un sacchetto di plastica ne impiega mille; un chewing gum, cinque!

Una seconda regola è quella di evitare sprechi di acqua: basti pensare che chiudere il rubinetto mentre ci laviamo i denti, fa risparmiare circa tre litri di acqua e preferire una doccia al bagno, fa risparmiare circa cento litri!Fondamentale è osservare i divieti all’interno di parchi e aree protette; infatti, non rispettarli, potrebbe signi-fi care danneggiare la fl ora, la fauna e l’ecosistema.

Per concludere, encomiabile è il lavoro di molte associazioni ambientaliste quali Greenpeace, WWF, Legambiente, FAI (Fondo Ambiente Italiano), Italia Nostra, Lipu (Lega Italiana per la Pro-tezione degli Uccelli), LAV (Lega Anti Vivisezione) etc., alle quali possiamo prestare il nostro sostegno.

Lo Stato italiano interviene inoltre, con una politica economica volta ad incen-tivare le imprese che vogliano dotarsi di tecnologie pulite; prevede la VIA (Valutazione di impatto ambientale) prima della costruzione di grandi opere (autostrade, ferrovie, aeroporti, etc.); promuove iniziative di sensibilizzazio-ne alle problematiche ambientali; indi-vidua aree naturali protette; gestisce le politiche di raccolta e smaltimento dei rifi uti.

A proposito del delicato tema della gestione dei rifi uti, dal 1997, il CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) ha il compito di promuovere la raccolta differenziata.Quello dei rifi uti rimane però un gravissimo problema perché la società industrializzata ne produce così tanti che è diffi cile smaltirli.Da qualche anno si stanno speri-mentando tecnologie che utilizzino “energie alternative o rinnovabili”, meno inquinanti e inesauribili, rispetto ai combustibili tradizionali (petrolio, carbone, metano).

L’ energia nucleare è un esempio di energia rinnovabile; si ottiene utiliz-zando piccole quantità di uranio nei reattori nucleari. D’altra parte, non tutti sono favorevoli all’uso del nucleare perché le scorie di lavorazione man-tengono la loro radioattività per secoli e quindi rappresentano un prodotto molto pericoloso, delicato e diffi cile da smaltire.

Inoltre, un malfunzionamento agli im-pianti nucleari potrebbe avere conse-guenze catastrofi che come l’incidente di Chernobyl, in Ucraina, del 1986.Un’altra fonte di energia è rappresen-tata dal vento: nelle macchine eoliche, alcune pale spinte dal vento, ruotano producendo l’energia che viene imma-gazzinata.

C’è poi l’energia solare raccolta dai pannelli solari: il calore riscalda acqua fi no a 60-70 gradi, mentre la luce viene convertita in energia elettrica.

L’energia idroelettrica si ottiene sfrut-tando l’energia cinetica dell’acqua, la quale viene convertita in energia elettrica, in una centrale idroelettrica.

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Usando i dati di reanalisi NCEP/NCAR e altre osservazioni, si è dimostrato come il clima estivo delle alte latitudini dell’Emisfero Nord sia infl uenzato dalla NAO del precedente inverno. Questa infl uenza la si indivi-dua in estate nella temperatura superfi -ciale dell’aria, nell’altezza del geopo-tenziale, nella temperatura superifi ciale marina (SST), negli estesi campi della copertura nevosa dei ghiacci marini continentali così come nell’altezza geopotenziale zonale media e nei campi del vento zonale. Le distinte anomalie estive sono localizzate sulle latitudini nodali delle anomalie inver-nali (medio-alte latitudini). In defi niti-va i ghiacci marini, le anomalie delle SST e della copertura nevosa memoriz-zino il segno della NAO invernale per stabilire il successivo clima estivo.

Introduzione

L’Oscillazione del Nord Atlantico (NAO), il simultaneo rinforzo e inde-bolimento della depressione d’Islanda e dell’Alta delle Azzorre, è il più importante fenomeno in inverno e do-mina la variabilità climatica invernale dell’Emisfero Nord, specialmente sul-l’America nord-orientale, l’Atlantico e l’Eurasia. Molti studi sono stati fatti sull’infl uenza della NAO nel clima invernale a livello regionale ed emi-sferico (Hurrell 1995, 1997; Kodera e al. 1999; Rodwell e al. 1999; Xie e al. 1999).

Recentemente, enfatizzando maggior-mente un pattern della circolazione emisferica, Thompson e Wallace (1998, 2000) introdussero l’Oscilla-zione Artica (AO) o Northern Anular Mode (NAM). L’AO ha anche un im-patto sul clima invernale nell’Emisfero Nord su scale temporali interannuali o più lunghe (Thompson e Wallace, 2001). Comunque, pochi studi sono stati sviluppati sull’impatto in estate della NAO/AO invernale. Rigor e al., nel 2002, mostrarono che le con-centrazioni dei ghiacci marini estivi sull’Oceano Artico sono collegate alla fase dell’AO del precedente inverno. Comunque, il loro studio è limitato alla regione artica. L’impatto della

NAO/AO invernale sulla circolazione atmosferica estiva non è stata ancora chiarita.Lo scopo di questo studio è illustrare l’impatto della NAO/AO invernale sulla circolazione atmosferica estiva nelle zone extratropicali. Sebbene l’indice NAO, in questo studio, sia utilizzato come un indi-ce per la circolazione invernale, i risultati dell’AO sono simili a quelli della NAO.

Dati e Metodi

I dati atmosferici usati in questo stu-dio sono la raccolta dei dati di reanalisi NCEP/NCAR per il periodo che va dal 1958 al 2000 (Kalnay e al., 1996). L’inverno è defi nito come Dicembre, Gennaio e Febbraio (DJF). L’indice NAO è defi nito come la differenza della SLP tra Stykkisholmur in Islanda e Ponta Delgada nelle Azzorre (da Hurrell 1995).

La NAO invernale e la circolazione atmosferica primaverile-estiva

Per afferrare lo scopo dell’impatto della NAO invernale sui mesi successivi, ci affi diamo alle correlazioni medie mensili della media altezza di geopotenziale a 500 hPa con l’indice della NAO invernale, visualizzabili in fi gura 1.

In gennaio e febbraio, è dominante uno scarto tra 40-50°N e 60-75°N. Dopo febbraio, la collocazione del massimo positivo trasla verso nord e la correla-zione è più debole in Marzo. In Aprile, la correlazione positiva localizzata ai nodi latitudinali dell’anomalia inver-nale si incrementa nuovamente e la correlazione negativa artica riappare in Giugno. Da questa variazione tempo-rale del coeffi ciente di correlazione, noi defi niamo estate come Maggio, Giugno e Luglio (MJJ) e la stagione di transizione come Marzo e Aprile (MA). I pattern risultanti in primavera e in estate relativa alla NAO invernale sono mostrati in fi gura 2.

Il campo della SLP in primavera (fi -gura 2a) mostra uno scarto tra un’area positiva sul Nord Atlantico e una negativa centrata sul Mar di Groen-landia. Il campo delle altezze a 500 hPa (fi gura 2b) mostra anche un simile scarto con pattern differente tra il Nord Atlantico e il Mar di Groenlandia. La NAO primaverile mostra una equiva-lente struttura barotropica eccetto per la Siberia centrale.

Usando i dati di reanalisi NCEP/ NAO/AO invernale sulla circolazione In gennaio e febbraio, è dominante uno

IMPATTO DELLA NAO INVERNALE SULLA CIRCOLAZIO-NE ATMOSFERICA PRIMAVERILE-ESTIVA

di Paolo De Luca - Socio e Redattore InMeteo

Figura 1

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Il dato delle calde temperature a 850 hPa (fi gura 2c) è osservabile sul Nord Atlantico e si estende verso est attraverso l’Eurasia settentrionale e per larga parte si trova sulla Siberia centra-le. La temperatura superfi ciale dell’aria (temperatura a 2 m) mostra un pattern simile. Il dato molto caldo sulla Siberia centrale genera una signifi cativa ano-malia dell’altezza geopotenziale a 500 hPa. Il segno della NAO primaverile è molto simile a quello della NAO invernale (Hurrell, 1995).

I dati di SLP e altezza a 500 hPa in estate (fi gure 2d e 2e) sono caratte-rizzati da un differente pattern tra l’Artico e la regione subartica; un’area di correlazione negativa nell’Arti-co e una correlazione positiva nella regione subartica, specialmente tra le isole britanniche, la Siberia centrale e il Mar di Okhotsk settentrionale. Le anomalie nella parte settentrionale del Mar di Okhotsk sono relazionate alla sua altezza di geopotenziale, laddove soggiace un’anticiclone che talvolta si instaura in estate su quel mare. I segnali dell’altezza a 500 hPa (fi gura 2e) mostrano che i valori negativi della correlazione/regressione dell’Artico sono circondati da valori positivi dei medesimi parametri.

In particolare, valori positivi sono signifi cativi sulle isole britanniche, Si-beria centrale, Siberia orientale e Nord America subartico. Queste caratteri-stiche possono essere viste nell’intera troposfera. La regressione/correlazione nella mappa tra la NAO invernale e la temperatura a 850 hPa in estate (fi gura 2f) mostra larghi valori positivi sulla zona circumpolare, specialmente sull’Europa nordoccidentale, Siberia centrale, e Siberia nordorientale. Cioè, quando la NAO invernale è in fase positiva, le temperature nelle regioni circumpolari tendono ad essere più cal-de. Le aree di massime anomalie nella temperatura corrispondono con l’area delle anomalie massime nell’altezza del geopotenziale.

La fi gura 3 mostra i coeffi centi di cor-relazione tra la media del vento zonale in estate e la NAO invernale.

Una struttura dipolare, con correlazio-ni positive localizzate al 70-75°N e negative a 50-55°N, è palese. Quando la NAO invernale è in fase positiva, i venti occidentali estivi al 70-75°N tendono ad essere più forti rispetto ai più deboli a 50-55°N.

Intorno i 40°N, dove è localizzato il getto subtropicale, le correlazioni sono quasi a zero.

Ciò indica una doppia struttura del get-to, che è quasi relazionata agli eventi di blocking, comparendo in estate dopo una NAO invernale positiva.

Dal momento che il segnale estivo è anulare, il collegamento inverno-estate potrebbe essere la causa di una persi-stenza della modalità anulare invernale (persistenza di valori simili dell’in-dice AO anche in estate). La tabella 1 mostra queste auto-correlazioni da Gennaio fi no a Luglio con gli indici invernali NAO/AO.

Dopo Febbraio, i coeffi centi di cor-relazione diminuiscono rapidamente e perdono il loro signifi cato statistico dopo un mese o due. Allora, il collega-mento tra la NAO invernale e l’atmo-sfera estiva scoperto in questo studio non mette in risalto semplicemente una persistenza dello specifi co pattern atmosferico; ma esso accompagna un cambiamento strutturale.

IMPATTO DELLA NAO INVERNALE SULLA CIRCOLAZIO-NE ATMOSFERICA PRIMAVERILE-ESTIVA

di Paolo De Luca - Socio e Redattore InMeteo

Il dato delle calde temperature a In particolare, valori positivi sono Intorno i 40°N, dove è localizzato il

Figura 2

Jan Feb Mar Apr May Jun JulNAO 0.75 0.61 0.16 -0.15 -0.17 0.15 -0.20AO 0.87 0.77 0.30 0.00 0.09 0.00 0.21

Tabella 1

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La NAO invernale e la copertu-ra nevosa primaverile-estiva, i ghiacci marini e le SST

I risultati nel precedente paragrafo mo-strano che la NAO invernale infl uenza la circolazione atmosferica primaveri-le-estiva. La stessa atmosfera non ha una lunga memoria al di là di un mese e la NAO invernale non ha una signifi -cativa auto-correlazione dopo Marzo, qualcos’altro ha una memoria più lunga che potrebbe collegare l’inverno all’estate. La superfi cie oceanica, i ghiacci marini e la copertura nevosa sono possibili candidati per questa lunga memoria. La fi gura 4a mostra la correlazione tra la NAO invernale e le SST primaverili, la concentrazione dei ghiacci marini e la copertura nevosa.

Figura 4 (a) Coeffi cienti di correlazione tra la NAO invernale (DJF) e le SST primaverili (MA), ghiacci marini e copertura nevosa. (b) Come in (a) ma per le SST estive (MJJ), ghiacci marini e copertura nevosa. Le linee sugli oceani sono le correlazioni delle SST. Linne continue (rosse) e linee tratteggiate (blu) mostrano le correlazioni positive e negative, rispettivamen-te. Le colorazioni sugli oceani riguardano le correlazioni con i ghiacci marini. Le colorazioni sulla terraferma riguardano le correlazioni con la copertura nevosa. Le rappresentazioni delle aree colorate sono al contraio di quelle in Figura 1

(in fi gura 4, qui sopra, la colorazione rossa denota correlazione negativa, quella blu correlazione positiva).

La zona calda nella fi gura denota SST più calde, meno ghiacci marini e meno copertura nevosa per l’indice NAO po-sitivo in inverno. SST più fredde e mag-giori coperture di ghiaccio marino sono state trovate nel Nord Atlantico e Mar di Labrador. Quest’area fredda è circondata da SST calde a sud e a est e da meno copertura di ghiacci marini sul Mar di Groenlandia e Mar di Barents. Queste anomalie delle SST e dei ghiacci marini associati con la NAO sono ben noti da precedenti studi [Rodwell e al., 1999] e persistono per tutta l’estate (fi gura 4b).

Ciò indica che l’infl uenza della NAO in-vernale è memorizzata nell’oceano e nei ghiacci marini, entrambi i quali hanno una più ampia inerzia termica rispetto all’atmosfera. Un altro candidato per una lunga memo-ria è la copertura nevosa (Watanabe e Nitta, 1999, Rajeevan, 2002).Le anomalie negative nella copertura nevosa sull’Eurasia occidentale e l’Asia centrale in primavera (fi gura 4a) e quelle sulla Siberia orientale in estate (fi gura 4b) sono statisticamente signifi cative.

Poiché la Siberia orientale è montuosa, la stagione dello scioglimento della neve avviene in ritardo rispetto ad altre regioni e il segnale di copertura nevosa sulla Siberia orientale appare in estate. Le anomalie di copertura nevosa sul Nord America subartico in estate sono anche negative. Il precoce scioglimento sull’Eurasia occidentale è considerato essere la causa delle temperature calde e delle minori precipitazioni nevose durante l’inverno (Serreze e al., 1997). In generale, il periodo di scioglimento nelle regioni circumpolari in entrambi i continenti è più precoce dopo una fase positiva della NAO invernale che dopo la fase negativa.La copertura nevosa infl uisce sul locale riscaldamento atmosferico attraverso l’effeto albedo durante la stagione calda. Anche dopo lo scioglimento, la coper-tura nevosa infl uisce sul riscaldamento attraverso l’umidità del suolo.

Conclusioni

Abbiamo visto l’infl uenza della NAO invernale sulla successiva circolazio-ne atmosferica in primavera ed estate nelle zone extratropicali con analisi di regressione e correlazione basate su dati di reanalisi NCEP/NCAR. E’ stato visto che quando la NAO invernale è in fase positiva, le temperature superfi ciali dell’aria in estate sulle regioni circum-polari dell’Eurasia settentrionale e sul Nord America subartico sono più calde e sono più alte le altezze di geopotenzia-le e viceversa.Le anomalie delle SST e dei ghiacci marini sul Nord Atlantico e sull’Ocea-no Artico persistono dall’inverno fi no all’estate. In aggiunta, le anomalie della copertura nevosa sull’Eurasia occidenta-le e l’Asia centrale in primavera e quelle sulla Siberia orientale in estate sono signifi cative.

La NAO invernale e la copertu- (in fi gura 4, qui sopra, la colorazione rossa denota

Figura 3

Figura 4

Si può affermare che il se-gnale della NAO invernale è memorizzato nella neve, nei ghiacci e sulla superfi -cie oceanica nelle regioni circumpolari, e queste anomalie infl uenzano la cir-colazione atmosferica estiva nelle regioni extratropicali.

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Le equazioni che aiutano a descrivere lo stato e non la previsione dei moti trosposferici sono dette primitive; esse tengono conto della continuità della massa (in un volume tanta massa entra tanta ne esce), della legge di stato per i gas perfetti (in realtà abbiamo un gas reale ma si usa volentieri questa approssimazione), e della famosissi-ma legge di Newton F = m*a anche se riscritta per un campo di velocità e conosciuta come legge di Eulero nella seguente forma:

[1]

Con Fext le forze esterne agenti sul sistema (nel nostro caso la forza di gravità e la forza di Coriolis essendo il sistema non inerziale).

[2]

Sostanzialmente stiamo trattando l’atmosfera come un fl uido, il quale è abbastanza complesso e di conseguen-za è doveroso effettuare delle appros-simazioni per poter estrarre dall’equa-zione [1] attraverso un procedimento fi sico-matematico qualcosa di concreto che rispecchi la realtà.Possiamo prendere in esame l’eq [1] e scriverla per ogni componente, trala-sciando la forza di Coriolis per l’asse z ed eliminando la forza di gravità dall’asse x e y. La prima approssimazione è quella dell’idrostatica: consideriamo, cioè, il fl uido non in movimento lungo l’asse z.

Questa manipolazione fi sica è ritenuta molto buona dai meteorologi quando si considerano scale spaziali este-se (diversa sarebbe la situazione in scale ridotte, trovandoci per esempio a contatto con una montagna o con un temporale) e quindi otteniamo

[3]

Considerando le altre due componenti otteniamo un’altra buona semplifi ca-zione, seppur molto azzardata:

[4]

[5]

Dove

[6]

Cioè il termine aggiuntivo di Coriolis che dipende dal seno della longitudine.

Sostanzialmente a sinistra abbiamo delle forze e a destra abbiamo delle accelerazioni. Il fatto che abbiamo approssimato queste accelerazioni con zero non signifi ca che essere non ci siano, ma che le consideriamo molto trascurabili rispetto ai termini a sinistra (tutto ciò molto vero solo alle medie latitudini). In questo modo ci stiamo avvicinando all’equilibrio geostrofi co:

questi non è altro che una buona approssimazione di come è distribuito il campo delle velocità in quota dove non vi è l’interazione con gli ostacoli del suolo, dato un campo di pressione. È grazie a queste considerazioni fi siche che possiamo effettuare una diagnosti-ca meteorologica sulle mappe bariche: infatti se abbiamo un gradiente di pressione lungo y con bassa pressione a nord e bassa al sud ci aspetteremo un vento che lascia la prima a sinistra e la seconda a destra (fi g 1).

Si può dimostrare che le componen-ti del vento parallele alla superfi cie terrestre si possono associare ad una funzione che descrive in sostanza il fl usso in maniera bidimensionale sod-disfacendo la principale caratteristica, ovvero la divergenza nulla per man-tenere l’incomprimibilità del fl uido. Questa funzione contiene la defi ni-zione di potenziale, ovvero l’altezza a cui si misura una certa pressione atmosferica:

con g*z il potenziale.

La considerazione principale che verte sulla questione “fl usso bidimensiona-le” è che il differenziale della funzione rappresenta proprio le isolinee del fl usso del fl uido, quindi è questo il motivo per cui sulle topografi e relative possiamo individuare la direzione del vento in quota attraverso le isoipse.

Le equazioni che aiutano a descrivere Questa manipolazione fi sica è ritenuta questi non è altro che una buona

L’APPROSSIMAZIONE GEOSTROFICA di Giancarlo Modugno - Vice Presidente “InMeteo”, Fondatore del portale www.inmeteo.it

Figura 1

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Un confl itto nucleare anche se su scala regionale potrebbe causare, oltre a un elevatissimo numero di morti, lo sconvolgimento degli equilibri climatici e degli ecosistemi: è questa la conclusione a cui è arrivato uno studio condotto da un gruppo interdisciplinare di ricercatori della Rutgers University, dell’Università del Colorado a Boulder e dell’Università della California a Los Angeles (UCLA), presentato nel 2006 al convegno dell’American Geophysi-cal Union a San Francisco.

Il rapporto scorge le possibili con-seguenze di un confl itto nucleare, un’evenienza divenuta meno fantapo-litica a causa del continuo aumento di stati che dispongono, o potrebbero di-sporre in tempi relativamente brevi, di un arsenale atomico. Per quanto questi stati possano disporre solo di armi nucleari di limitata potenza, si tratta comunque di ordigni dotati di una potenza molto superiore a quella usata a Hiroshima, che era di 15 chiloton.

Secondo i moderni modelli di simulazione, le conseguenze climatiche si sono rilevate inaspettatamente grandi rispetto alle dimensioni del confl itto ipotizzato, nel quale è stato considerato l’equivalente del lancio di 100 testate da 15 chiloton.

Fra gli effetti più devastanti di una guerra nucleare vi è sicuramente quello dell’inverno nucleare (teoria del 1983 dell’astronomo Carl Sagan). Il mecca-nismo fi sico che provocherebbe lo sce-nario ipotizzato è legato all’innescarsi di grandi incendi dovuti alle esplosioni nucleari. Questi incendi immettereb-bero nell’atmosfera enormi quantità di fumo che oscurerebbero la luce del sole per vario tempo. Tuttavia qualche scienziato crede che da solo il “fumo” non creerebbe tutto lo sconvolgimento ipotizzato.

La possibilità e l’estensione dell’inver-no nucleare sono legate a vari fattori: innanzitutto nel caso i maggiori bersa-gli fossero i centri urbani e industriali le quantità di fumo immesse nell’at-mosfera sarebbero enormi. Invece una guerra nucleare strategica tesa

all’eliminazione delle armi nucleari nemiche e non all’annientamento della forza industriale e demografi ca del rivale probabilmente non avrebbe fra i suoi effetti l’inverno nucleare. Bisogna sottolineare che i combustibili fossili e i prodotti da essi derivanti sono for-temente concentrati nei centri abitati: la combustione anche di una piccola percentuale di questi materiali gene-rerebbe milioni di tonnellate di fumo di cui circa la metà sarebbe costituito da carbonio elementare amorfo, nero e assorbente la luce solare.

Gli incendi di grandi aree forestali ag-giungerebbero altri milioni di tonnella-te di fumo che contenendo solo il 10% di carbonio elementare amorfo sarebbe di importanza secondaria rispetto a quello prodotto dagli incendi urbani che avrebbe un più elevato coeffi ciente di assorbimento della radiazione solare.

Questa enorme quantità di fumo (costi-tuito di particelle con diametri da 0,1 a 1 micron formate da una mescolanza di carbonio elementare amorfo, idrocar-buri condensati, minuscoli detriti e altre sostanze) sarebbe rapidamente trasportata nella troposfera, e proba-bilmente anche nelle parte più bassa della stratosfera, dalle violente correnti ascensionali generate dagli incendi. Inizialmente il fumo non viene intro-dotto nella stratosfera, ma il riscalda-mento prodotto dall’assorbimento della radiazione solare determinerebbe la risalita del fumo anche in questo settore dell’atmosfera.

Successivamente una parte consi-derevole, dal 30% al 50%, dei fumi verrebbe immediatamente depurata dalla pioggia (neve) nera, la restante re-sterebbe a lungo sospesa nell’atmosfera esercitando una forte azione assorbente della radiazione solare di circa il 25-30%. Si ritiene probabile che il fumo ascendente rimanga nell’atmosfera almeno per un anno dopo le esplosioni, con una depurazione costante operata, oltre che dalle precipitazioni, dall’ossi-dazione chimica e da altri fattori.

Le esplosioni genererebbero grandi quantità di ossidi di azoto che sareb-bero innalzati nella stratosfera: ciò avrebbe l’effetto di ridurre del 20% la concentrazione di ozono nell’atmosfera dell’emisfero boreale. Tale riduzione aumenterebbe sulla superfi cie terrestre l’intensità della radiazione ultravioletta che, inizialmente, sarebbe arrestata dalla presenza delle coltri di fumo ma che successivamente colpirebbe la terra senza alcun ostacolo (il ripristino della concentrazione dell’ozono avverrebbe solo dopo parecchi anni).Senza contare che il dilavamento dei composti di azoto, zolfo e cloro, dovuto alle precipitazioni, aumenterebbe il grado di acidità delle piogge (nevicate) stesse.

La stagione in cui si verifi casse, nel-l’emisfero nord, questa ipotetica guerra nucleare giocherebbe paradossalmente un ruolo molto importante nell’evolu-zione dell’inverno: nel caso ci si trovi nel periodo che va dalla primavera all’inizio dell’autunno le temperature medie al suolo potrebbero calare di decine di °C (nel recente studio s’ipo-tizza un calo di 2°F, circa 1°C, della temperatura media terrestre nei primi tre anni) causando temperature intor-no allo zero nelle zone settentrionali temperate dell’emisfero boreale. Una stagione estiva con temperature così ri-gide sarebbe poi seguita dall’inverno e questo determinerebbe almeno 12 mesi consecutivi di freddo intenso. Se invece l’ipotetica guerra nucleare generalizza-ta si compisse nell’inverno boreale la temperatura subirebbe un calo mode-rato e nella successiva estate il dilava-mento della coltre fumosa produrrebbe un raffreddamento generalizzato ma comunque più contenuto.

In caso di grandi immissioni di fumo alle latitudini subtropicali dell’emi-sfero settentrionale le temperature potrebbero crollare in zone solitamente molto calde. In tali condizioni potrebbe verifi carsi una notevole riduzione delle precipitazioni e dell’intensità dei mon-soni estivi in Asia e Africa, rischiando un totale collasso della circolazione monsonica.

ESPLOSIONI NUCLEARI E CLIMAdi Sante Barbano, Consigliere InMeteo, Sede Staccata “Gargano”

Un confl itto nucleare anche se su Un confl itto nucleare anche se su all’eliminazione delle armi nucleari Le esplosioni genererebbero grandi

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Ma il forte riscaldamento del fumo presente nell’emisfero boreale in caso di guerra nucleare nel periodo estivo porterebbe il fumo alle alte quote troposferiche e così verso l’equatore: in pochi giorni sottili ma estesi strati di fumo potrebbero apparire nell’emisfe-ro australe. Comunque in quel periodo l’emisfero sud si troverebbe già in inverno, quindi la diminuzione della temperatura dovuta alla coltre fumosa sarebbe in ogni caso di pochi gradi tuttavia associata a una diminuzione della quantità di precipitazioni.Il raffreddamento del globo durerebbe probabilmente per numerosi anni, in considerazione anche della diminu-zione della temperatura degli oceani mentre le precipitazioni potrebbero ridursi drasticamente.

Con le nozioni acquisite non si nota la correlazione che vorrebbe un raffred-damento terrestre dopo la seconda guerra mondiale dovuto ai numerosi esperimenti nucleari effettuati, prin-cipalmente in atmosfera e al suolo. Secondo Greenpeace, sono stati circa 2044 i test condotti fi no al 1996, dei

quali 711 nell’atmosfera o in aree marine, per una potenza complessiva di 438 mega-toni, ovvero l’equivalente di 29200 bombe di Hiroshima.

Gli esperimenti non vennero fatti in maniera concentrata né di tempo (anche se alcuni anni denotano una quantità eleva-tissima di esprimenti), né di luoghi. Ma soprattutto gli effetti nebulosi che si sono avuti sono stati comunque impercettibili rispetto alla teoria dell’inverno nucleare visto che in atmosfera non c’è nulla da annientare e al suolo gli obiettivi, che sono stati citati in precedenza, non c’erano quindi il massimo delle polveri deriva dalla sublimazione della massa dell’arma e dal pulviscolo alzatosi dal terreno. Non si prende assolutamente in considerazione per ovvi motivi gli esperimenti sotterranei. Quindi si esclude a priori un possibile cambiamento climatico generale e diffuso: infatti studiando il grafi co delle tempera-ture medie globali notiamo un graduale e costante aumento termico che non pare per niente essere scalfi to dal numero degli esperimenti nucleari che tra gli anni 60 e 80 raggiunsero una regolarità preoccupan-te.

Naturalmente se poi si vogliono col-legare singoli e limitati episodi, come ad esempio il gran freddo dell’inverno ‘62-‘63, risulta veramente complicato trovare possibili cause e lo stesso vale per altri avvenimenti di questo genere. Naturalmente gli effetti di conta-minazione radioattiva e ambientale sono certi ma non risulta possibile un mutamento signifi cativo e diffuso di un sistema così complesso, anche se delicato, come quello climatico. L’uni-co effetto ipotizzabile è una riduzione dello strato di ozono in stratosfera che paradossalmente avrebbe causato un aumento delle temperature terrestri. Quindi le esplosioni nucleari non avrebbero effetti diretti sul clima ma sarebbero la causa dell’offuscamento atmosferico e siccome il principale attore del clima terrestre è il sole le conseguenze sarebbero veramente imprevedibili e serie.

Fonti: - wikipedia.org- fi sicamente.net- meteogiornale.it- usatoday.com

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IL VENTO TERMICOdi Giancarlo Modugno - Vice Presidente “InMeteo”, Fondatore del portale www.inmeteo.it

La sola defi nizione di vento geo-strofi co e il relativo utilizzo pratico delle isoipse sulle topografi e relative permetterebbero di effettuare una sorta di descrizione qualitativa della distri-buzione dei campi di pressione e di velocità su una zona ma non darebbero nessuna informazione “dinamica”, quindi di previsione: ciò che è resta così nel tempo.

Per poter effettuare un passo avanti rispetto all’analisi dei venti geostrofi ci sarebbe necessario sovrapporre alle topografi e relative le relative distribu-zioni delle temperature sul territorio, in modo tale da ritrovare lì dove vi sono le intersezioni tra isoipse e isoterme le zone di convezione termica, ritrovando maggiori informazioni circa la succes-siva evoluzione del sistema ma sempre rimanendo in un ambito qualitativo.

La meteorologia dinamica spiega come è possibile far interagire i venti geostrofi ci e i campi di temperatura riscoprendo proprio il movimento di masse d’aria con caratteristiche termiche diverse: con il vento termi-co, infatti, inseriamo le informazioni relative all’equilibrio idrostatico, alla distribuzione dei campi di pressione, ai geopotenziali e alle temperature determinando una relazione molto interessante, la quale esprime la dipen-denza dallo spostamento delle masse d’aria in funzione della differenza di temperatura.

Partendo dall’approssimazione idrosta-tica si considerano le velocità parallele alla superfi cie terrestre in relazione alle derivate della funzione di un fl usso bidimensionale legato al sistema di riferimento non inerziale. Si può racco-gliere questa informazione in un’unica relazione:

Dove k è il versore perpendicolare alla superfi cie terrestre e Ф l’altezza di geopotenziale.

una quota che si estrapola l’informa-zione relativa all’arrivo di aria calda o fredda.Volendo essere ancora più precisi po-tremmo sviluppare in serie il termine logaritmico (considerando la pressione superiore molto vicina a quella inferio-re), dividere per la differenza di altezza la differenza vettoriale, utilizzare l’equazione di stato dei gas perfetti e l’approssimazione idrostatica nuova-mente e passare al limite, ottenendo:

Questa relazione è molto importante in quanto spiega che la variazione del-l’intensità dei venti lungo l’asse x con l’altezza è proporzionale al gradiente di temperatura lungo l’asse y col meno davanti; allo stesso modo la variazione di intensità dei venti lungo l’asse y è proporzionale al gradiente di tempera-tura lungo l’asse x.

Nell’esempio riportato in fi gura viene mostrato come ricavare la differenza vettoriale tra i due venti, considerando che il vento termico lascia l’aria calda a destra e l’aria fredda a sinistra. In questo caso si intuisce subito che è in arrivo aria più calda sul punto in cui viene effettuata la differenza vettoriale. È possibile poter fare delle considera-zioni di questo genere utilizzando i dati provenienti dai sondaggi termodinami-ci, oppure all’aria aperta osservando lo spostamento delle nubi in quota e per esempio delle bandiere che indichino la direzione del vento al suolo.

La sola defi nizione di vento geo- una quota che si estrapola l’informa-Se si effettua la differenza vettoriale tra un vento geostrofi co ad una certa quota e un vento geostrofi co ad una quota inferiore nel gradiente di Ф avremo la differenza delle due altezze di geopo-tenziale, la quale utilizzando l’appros-simazione idrostatica e la legge di stato dei gas perfetti può essere riscritta come

Con R costante del gas, T temperatura, P pressione, 2 e 1 rispettivamente il geopotenziale superiore e quello inferiore. Utilizzando il teorema della media per gli integrali riusciamo a scrivere una media termica per tutti i valori delle pressioni “attraversate” nello strato atmosferico racchiuso dai due valori di geopotenziale

Di conseguenza la differenza vettoriale si trasforma in

Il risultato evidente è che il vento ter-mico dipende sì dalla forza di Coriolis e dalla differenza di pressione tra le due superfi ci isobariche ma tutto ciò esclusivamente in modo scalare: infatti, è grazie al gradiente di temperatura e quindi all’anomalia di temperatura ad

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L’Idrogeno. Il nostro futuro? In molti ne stanno discutendo in questi ultimi anni. Ci sono scettici e promotori. Ma quali vantaggi e quali svantaggi ha questa forma energetica? Cercheremo di capirlo in questo articolo.

Che cos’è l’Idrogeno? L’Idro-geno è l’elemento più abbondante dell’universo, forma fi no al 75% della materia (in base alla massa) e più del 90% (in base al numero di atomi).

Sulla Terra lo si può trovare princi-palmente nell’acqua (H2O), ma anche nel Metano (CH4) sottoprodotto della decomposizione organica. Per questo motivo non è una fonte energetica: non esistono pozzi o miniere di Idrogeno.

Esso è una forma energetica che può essere ottenuta attraverso diversi me-todi: dalla gassifi cazione del carbone (C + H2O → CO + H2) all’elettrolisi dell’acqua, in parole povere la separa-zione dell’ H2 dall’ O. In questo caso bisogna disporre di una certa quantità di energia elettrica.

Come si vede quindi la produzione di questo gas non è semplice e anco-ra poco conveniente: l’Idrogeno è sì pulito, ma se per produrlo si ricorre all’energia elettrica (il più delle volte prodotta da centrali a petrolio o a car-bone) non ha molto senso.

Le possibilità per produrre Idrogeno pulito ci sono, ma allo stato attuale delle cose le tecnologie disponibili non garantiscono una produzione su scala industriale. La sfi da futura è quindi questa: produrre industrial-mente Idrogeno usufruendo di fonti energetiche pulite. Il Sole e il vento su tutte. Gli esperti dell’ENI, che dichia-rano un forte interesse nei confronti di questa forma energetica, sostengono che, prima di produrre Idrogeno senza immettere nell’atmosfera gas serra, ci vorrà ancora molto tempo: 50/60 anni. E’ quindi necessario che prima di raggiungere questo obiettivo l’Idro-geno venga prodotto da fonti fossili. La produzione di questo gas è quindi molto costosa. Si stima che a parità di volume l’Idrogeno è due volte più caro del Metano.

Vogliamo segnalare, a scopo di crona-ca, una ricerca piuttosto interessante che permette di produrre Idrogeno a partire da microrganismi quali, ad esempio, i batteri rossi o le microalghe. Essendo il processo ancora in fase di studio ed essendo piuttosto complesso, ci riserviamo la facoltà di analizzarlo in modo più approfondito in un prossi-mo futuro.

L’Idrogeno è proprio una forma ener-getica nuova?

La risposta è negativa. Infatti è cono-sciuto fi n dal 1800 e ogni anno vengo-no prodotti fi no a 60.000.000 di metri cubi di Idrogeno in Italia. Una centrale la troviamo a Mantova dove si produce Idrogeno per uso industriale partendo dal Metano. Come sottoprodotto si ha dell’anidride carbonica che potrebbe essere recuperata per fare l’acqua mi-nerale frizzante o per altre applicazioni tradizionali.

Inoltre è in costruzione nei pressi di Venezia una nuova centrale completa-mente a Idrogeno che, stando ad alcune stime, riuscirà a produrre fi no a 12MW di energia. L’anno prossimo, il 2009, dovrebbe essere l’anno inaugurale.

Oltre a essere un combustibile com-pletamente pulito per le automobili, l’Idrogeno può essere usato, come visto, per produrre energia (nel quar-tiere milanese della Bicocca, circa 40 famiglie sono alimentate a Idrogeno), ma anche per il teleriscaldamento. Non tutti sanno infatti che il prodotto di scarto del processo usato presso la Bi-cocca, ove è collocata una centrale con una potenza di 1,3MW, è acqua calda. Prima avevamo detto come l’Idrogeno, al giorno d’oggi, sia ancora troppo caro e quindi troppo poco conveniente.

Questo merita però una rifl essione. Infatti questa forma energetica è a bassissimo impatto ambientale, di conseguenza i costi di altre strutture, quali quelle sanitarie, diminuirebbero in quanto tutte le malattie legate all’in-quinamento andrebbero mano a mano a diminuire. L’Unione Europea ha infatti calcolato che per ogni litro di benzina bruciato bisognerebbe aggiungere un euro per i costi legati alla sanità.

IDROGENO: IL NOSTRO FUTURO?di François Burgay - Collaboratore InMeteo

La risposta è negativa. Infatti è cono-

bone) non ha molto senso.

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VERIFICA DELLA CAPACITÀ DEI MODELLI NUMERICI DI IDENTIFICARE I SOGGETTI METEOROLOGICI DEFI-

NITI DAI MODELLI CONCETTUALIParte 2

di S.Ten. G.A.r.s. Francesco Montanaro , Consigliere InMeteo

1.3.6 Struttura della 4DVAR

Nella 4DVAR il compromesso tra i dati di background e le osservazioni è determinato dalla combinazione del modello dinamico con l’importanza che è data alla fi rst-guess o alle osser-vazioni. Questa diversa importanza è basata su una stima fatta a priori sugli errori che ci si attende di trovare nei dati della fi rst-guess e nei dati osservati (Derber e Bouttier,1999).La correzione di una variabile del mo-dello genererà delle correzioni anche per altre variabili del modello dinami-co. Per esempio una sequenza di os-servazioni dell’umidità che mostra uno spostamento in atmosfera, correggerà non solo l’umidità ma anche il campo del vento che determina l’avvezione della massa umida.

Il peso relativo dato alle osservazio-ni e ai dati di background dipende dalla predicibilità locale del fl usso. Ad esempio una osservazione in un fl usso molto baroclino che sviluppa una de-pressione sarà più fi ttato con le osser-vazioni rispetto a quelle legate ad un anticiclone. Questo rende la 4DVAR di poter correggere la fase di sviluppo dei cicloni (Rabier et al 1997) e lo rende anche sensibile ad osservazioni errate, singole o in gruppo, che non sono state viste dal controllo di qualità.

1.3.7 Effetti di una analisi non perfetta

Ci sono differenti ragioni perché errori nelle condizioni iniziali infl uenzano negativamente le previsioni:

• Quando vi è una cattiva fi rst-guess e si accorda con dati osservati errati, o quando i dati su una data zona sono insuffi cienti.

• Quando ci sono isolate osservazioni che danno condizioni estreme presenti solo su piccola scala ed invece sono relazionate con fenomeni a più larga scala dai modelli dinamici.

• Se la fi rst-guess è cosi errata da non accettare le osservazioni nel sistema dinamico che invece accetta solo le osservazioni errate.

• Quando un modello concettuale a scala sinottica non è adeguatamente fi ttato dalle osservazioni.

Una analisi errata non necessariamente porta ad una previsione fallita. Questa ha un più ampio impatto in zone dinamicamente sensibili, per esempio in zone dove si sviluppa un sistema baroclino. Durante una ciclogenesi un enorme quantità di energia cinetica intensifi ca le correnti occidentali nelle alte e medie latitudini ed è trasportata dalla corrente a getto fuori dall’area dove l’energia cinetica si è prodotta. In una previsione a breve termine le zone sottovento al getto saranno interessate dall’aumento di energia cinetica. Se un ciclone si sviluppa in questa zona esso si approfondirà erroneamente. In pochi giorni gli errori da questo sistema saranno amplifi cati e trasmessi al successivo sistema determinando il cosiddetto effetto domino.

1.4 CARATTERISTICHE GE-NERALI DEL MODELLO EU-ROHRM

L’HRM è una versione modifi cata del modello EM/DM (Majewski,2001) del Servizio Meteorologico Tedesco (Deutscher Wetterdienst), sviluppato ed adattato su server HP Alpha. Le principali caratteristiche numeriche del modello sono:• griglia lat/lon in coordinate ruotate;• griglia di Arakawa di tipo C, schema alle differenze fi nite del 2° ordine,centrato;• coordinata verticale ibrida• equazione di Helmhotz risolta diretta-mente tramite FFT e metodo di Gauss;• formulazione di Davies delle condi-zioni al contorno;• termine diffusivo del 4° ordine, cor-rezione di temperatura sui rilievi.

Per quanto riguarda invece le para-metrizzazioni fi siche queste possono essere riassunte come segue:• schema radiativo di Ritter e Geleyn (1992)• precipitazione stratiforme con para-metrizzazione della microfi sica delle nubi;• schema convettivo del Mass fl ux (Tiedtke,1989);• schema a due livelli di diffusione verticale nell’atmosfera (Mellor e Yamada,1974), teoria della similarità alla superfi cie (Louis, 1979);• schema del suolo a due livelli.

Una fase di inizializzazione è compiuta prima di iniziare il calcolo di previsio-ne, per ridurre lo squilibrio nei campi di analisi. In questo modello la distanza tra i vari punti di griglia è di 0.5° (56 Km) e il numero di strati verticali è 31 (tabella n°3). Annidato in questo modello c’è un’altra versione del HRM (chiamata Med-HRM)(tabella n°4) a doppia riso-luzione orizzontale (effettiva distanza tra punti di griglia 0.25°; 28 Km) sul bacino del Mediterraneo.I campi previsti ogni tre ore dal Boundary Project del ECMWF danno le condizioni al contorno al modello EUROHRM. Il pacchetto software IFS2HRM è usato per interpolare e adattare i campi al contorno generati dall’ECMWF alla griglia dell’HRM ed alle variabili prognostiche.Inoltre il software IFS2HRM è usato giornalmente per mescolare (blending) i campi di analisi del CNMCA delle 12 UTC con i campi di analisi del ECMWF delle ore 12 UTC. L’interfaccia tra l’analisi oggettiva e il modello prognostico è completato dallo spline interpolation di campi analizzati defi niti dall’analisi di 20 livelli di pressione a 31 livelli di coor-dinata ibrida. A questo punto il ciclo di assimilazione corre su una Compaq ES45 server, con una fi nestra assimi-lazione dati di 4 ore intorno al tempo nominale.

1.3.6 Struttura della 4DVAR • Se la fi rst-guess è cosi errata da non Per quanto riguarda invece le para-

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VERIFICA DELLA CAPACITÀ DEI MODELLI NUMERICI DI IDENTIFICARE I SOGGETTI METEOROLOGICI DEFI-

NITI DAI MODELLI CONCETTUALIParte 2

di S.Ten. G.A.r.s. Francesco Montanaro , Consigliere InMeteo

Il tempo di un’intera corsa per un numero disponibile di osservazioni indipendenti facenti parte dell’algorit-mo di analisi ( circa 7000) è grosso-modo di 30 minuti, che, considerando il tempo necessario per le elaborazioni di post-processing, rende disponibili i campi analizzati a meno di tre ore dopo il tempo nominale di analisi.Due volte al giorno, alle 00 UTC e alle 12 UTC, è eseguita una corsa estesa a T+72 ore del modello EUROHRM basato sul ciclo di assimilazione dati.

La sezione modelli del CNMCA nel corso del 2004 ha sviluppato ed apportato cambiamenti operativi nei modelli, con corse sperimentali sulla IBM960 all’ ECMWF.

Le maggiori innovazioni sono date da:• introduzioni di osservazioni non sinottiche nella suite dell’assimi-lazione dati varazionale (vettori di movimento atmosferico dal Meteosat 5-7-8, venti misurati con scatterometri Quikscat ed ERS2, osservazioni aeree AMDAR- ACAR,osservazioni del profi lo del vento). Per ciascun nuovo tipo di osservazione è stato esegui-to l’Observing System Experiments (O.S.E.), mostrando signifi cativi miglioramenti.(vedere per esempio Bonavita e Torrisi 2004).• Aumento della risoluzione orizzonta-le da 0.5° a 0.25°.• Piccolo incremento del dominio d’integrazione.

1.5. CARATTERISTICHE GE-NERALI DEL MODELLO NON IDROSTATICO AD ALTA RISO-LUZIONE LAMI

1.5.1 Introduzione

Tra gli scopi principali del modello non idrostatico a piccola scala c’è quello di creare un sistema predittivo che permetta la simulazione e la pre-visione di fenomeni meteorologici con risoluzione spaziale dalla meso alla micro scala.

Infatti il modello numerico a scala locale è uno strumento di previsione utile per scopi operativi se utilizzati dai servizi meteorologici cosi come può avere un vasto campo di applicazioni scientifi che su diverse scale spaziali.

L’applicazione principale di tale mo-dello è legato all’uso operativo nelle previsioni meteorologiche e in questo

senso il punto chiave per tale applica-zione è la capacità del modello numerico di prevedere fenomeni quali nuvolosi-tà, nebbie, precipitazioni, fl ussi d’aria locali con forcing orografi co o termico, fenomeni estremi come supercelle tem-poralesche, intensi sistemi convettivi a mesoscala o linee di convergenza pre o postfrontali.

Tab. 3 Caratteristiche principali del modello operativo EUROHRM

Tab.4 Caratteristiche principali del modello MED HRM model

senso il punto chiave per tale applica-Fig.1 Diagramma a blocchi del ciclo assimilazione dati

La maggior parte dei modelli di pre-visione numerica utilizzati nei servizi meteorologici operano su scale di moto per le quali può essere considerato va-lido l’equilibrio idrostatico utilizzando reticoli con passo superiore a 15 Km.Questi modelli non hanno una risolu-zione spaziale necessaria per vedere esplicitamente quei fenomeni intensi a piccola scala e di breve durata che

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sono strettamente connessi con distanze orizzontali in cui la componente non idrostatica diventa fondamentale.Il modello locale è appunto progettato per tale tipo di scale per le quali i pro-cessi non idrostatici rivestono un ruolo importante.Le peculiarità del modello locale sono l’uso di equazioni dinamiche non idro-statiche, nelle quali la velocità verticale è una grandezza ricavata esplicitamente da una equazione prognostica, e una più realistica simulazione dei processi fi sici parametrizzati sulle piccole scale temporali.

Infatti il modello locale è basato sulle equazioni primitive della termodinamica e idrodinamica che descrivono i fl ussi non idrostatici in un’atmosfera senza approssimazioni di scala. Le equazioni fondamentali sono scrit-te considerando la forma avvettiva e l’equazione di continuità è sostitui-ta dall’equazione prognostica per la variazione di pressione. Le equazioni del modello sono risolte numericamente usando il metodo delle differenze fi nite. Le principali caratteristiche del modello sono date:

• Equazioni del modello : equazioni termodinamiche ed idrostatiche sono con termini avvettivi, senza approssimazioni si scala.• Variabili prognostiche: componenti del vento orizzontale e verticale, temperatura, perturbazione della pressio-ne (deviazione dallo stato di riferimen-to), umidità specifi ca, contenuto specifi -co dell’acqua nelle nubi• Variabili diagnostiche: densità totale dell’aria, fl usso delle precipitazioni di pioggia e neve.

1.5.2 Inizializzazione del modello e condizioni al contorno

• Tecnica del nestingPer le simulazioni di dati reali, il LAMI può essere guidato dal modello globale GME del servizio meteorologico tedesco DWD usando la tradizionale tecnica del rilassamento al contorno. Questo modello locale può essere annidato nel modello globale GME (Majewski, 1998). Con la tecnica dei dati al contorno la soluzione interna del modello è agganciata ad una soluzione specifi cata esternamente usando un ter-mine di forcing nelle equazioni.La soluzione esterna è ottenuta dal-l’interpolazione dal modello a grande

scala a intervalli di tempo discretizzati. I campi interpolati sono idrostaticamen-te bilanciati. Con questi intervalli di tempo, i dati al contorno all’interno del modello sono interpolati linearmente. Normalmente l’aggiornamento dei dati al contorno nel modello locale è scelto essere un’ora per scala meso- β. I valori al contorno sono ottenuti da un programma di preprocessing dal modello principale defi nito GME2LM: dove i dati sono interpolati dalla maglia triangolare del modello globale GME del DWD.

•Analisi

Il sistema di assimilazione dati è basato sulla tecnica del nudging osservazio-nale. Il modello corre su macchine di memoria distribuite e usa la decompo-sizione del modello per calcolare gli incrementi delle analisi per ciascun punto di griglia del dominio.

Al momento lo schema usa solo dati convenzionali provenienti da messaggi Temp, Ship, Pilot, Synop.

Le principali caratteristiche dello sche-ma di nudging del modello locale sono:

• Implementazione : Ciclo continuo di assimilazione dati con corse di 3 ore.• Variabili analizzate : componente orizzontale del vettore vento, tempe-ratura potenziale, umidità relativa, pres-sione vicino al suolo.• Analisi spaziale: i dati sono analizzati prima verticalmente e dopo trascinati orizzontalmente lungo superfi ci oriz-zontali.

Come componente esterna dell’analisi del LM è stato sviluppato uno schema di analisi per l’umidità del suolo.Altre due addizionali analisi esterne completano l’assimilazione dati e sono:analisi della temperatura del mare (SST) basato sul metodo di correzio-ne usando dati di SST da navi e boe; un’analisi della copertura della neve usando le osservazioni da Synop.

1.5.3 Parametrizzazione fi sica del modello

Una varietà di processi fi sici sono tenuti in conto nello schema di para-metrizzazione. Di seguito diamo una panoramica dello schema di parame-trizzazione usato operativamente:

• Precipitazioni e nubi a scala di griglia:

1) la formazione o dissolvimento di nubi d’acqua derivano dall’aggiustamento idrostatico.2) Formazione di precipitazione da una bulk- parametrization includendo vapor acqueo, acqua della nube, e come idro-meteore la pioggia e neve.3) Pioggia e neve sono trattati diagno-sticamene assumendo l’equilibrio nella colonna d’aria.4) Nel nuovo schema è incluso anche il ghiaccio contenuto nella nube.

• Nubi a scala di subgriglia:

1) la nuvolosità a scala di sub griglia (frazione di nuvolosità) è interpretata da una funzione empirica dipendente dall’umidità relativa. È diagnosticata anche il contenuto di acqua liquida presente nelle nubi.

2) schema del fl usso convettivo di massa umida con chiusura basato su convergenza di umidità• Radiazione: schema δ- stream radia-tion basato su Ritter e Geylen (1989) per fl ussi ad onda lunga e corta, feed-back della radiazione totale dalle nubi.• Diffusione turbolenta: nuova opzione per un nuovo schema con trattamen-to prognostico dell’energia cinetica turbolenta; sono inclusi effetti di condensazione ed evaporazione a scala di sub-griglia• Strato superfi ciale: parametrizzazione dello strato con fl usso costante sullo schema di Louis; nuovo schema per uno strato di superfi cie basato sul-l’energia cinetica turbolenta inclusi effetti da circolazioni termiche di scala a sub griglia.

La versione italiana del Local Model è chiamata LAMI ( Local Area Model Italy) ed è eseguito presso il centro di calcolo del CINECA di Bologna.Le mappe del LAMI sono in uso presso il Centro Nazionale di Meteoro-logia e Climatologia Aeronautica come strumento operativo complementare ai modelli ad alta risoluzione (EU-ROHRM) ed al modello a scala globale del ECMWF; già alla fi ne del 2001.Il LAMI è un modello ad area limitata operante su un reticolo con passo di griglia di 0.0625° (circa 7 Km) e 35 livelli verticali a coordinata ibrida ( se-guono il profi lo del terreno nella bassa troposfera mentre in quota, lontano dal suolo, sono a pressione costante).

Continua nel prossimo Numero

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I CONVEGNI CONSIGLIATI DA INMETEOdi Giancarlo Modugno - Vice Presidente “InMeteo”, Fondatore del portale www.inmeteo.it

Attraverso il web è possibile aggior-narsi sui principali eventi che riguar-dano i momenti di confronto e di aggiornamento in relazione al clima che cambia, ma non solo.

Tra gli eventi più importanti un occhio di riguardo va alla Prima Mostra sul Clima, organizzata dal Museo Regio-nale delle Scienze Naturali di Torino, inaugurata il 17 marzo scorso, la quale si concluderà ad ottobre di quest’anno.L’evento è una dimostrazione che la sensibilizzazione verso il tema “cambiamento climatico” è sempre più accesa e che si vuole divulgare la pro-blematica attraverso il parere di esperti internazionali: infatti, “I tempi stanno cambiando” (il titolo della mostra) è divisa in mostra, ciclo di conferenze e convegni, proiezioni cinematografi che.L’associazione InMeteo sarà presente in visita durante il convegno del 16

Maggio dal tema “Il clima della regione mediterranea: tendenza attuale e scenari futuri”. Sul sito www.inmeteo.it è possi-bile trovare tutte le informazioni circa la mostra con il relativo opuscolo.

Un occhio di riguardo va anche all’in-contro tra i ricercatori e le forze politi-che in programma per il 7 aprile 2008 a Roma: “Il Futuro ipotecato: come se ne esce? La politica della ricerca negli ultimi 15 anni, le esigenze della societàle proposte delle forze politiche su Ricerca, Innovazione e Qualità dello Sviluppo”. L’incontro sarà un’occasione per discutere le strategie per cercare di ovviare al rischio “declino” a cui l’Italia potrebbe andare incontro. Sul sito www.osservatorio-ricerca.it sono disponibili maggiori informazioni.

Sempre nel mese di maggio si terrà un altro convegno climatico: “Challenges

in hydrometeorological forecasting in complex terrain”. Esso si terrà a Bologna, presso il centro congres-si dell´area di ricerca del CNR. Il convegno, organizzato da ARPA-SIM e CNR-ISAC, tratterà come temi principali tutti gli aspetti connessi con l´utilizzo di sistemi previsionali per la gestione di eventi a rischio meteo-idrologici con particolare attenzione alla modellazione probabilistica e deterministica. Maggiori informazioni su http://www.smr.arpa.emr.it/dphase-cost/

FOCUS PUGLIA: FEBBRAIO ARIDO SU QUASI TUTTA LA REGIONE

di Giuseppe Conteduca, Consigliere e Redattore InMeteo

Lo scorso mese di Febbraio ha fatto registrare condizioni meteo-climatiche prettamente aride. Fatta eccezione per la sfuriata gelida del 16-17, il mese è trascorso sotto un regime termico mite. Localmente punte di 20° si sono registra-te in alcune località costiere o di bassa collina durante la terza decade del mese.

Come già detto in precedenza, l’unico evento degno di nota si è verifi cato fra il 16 e il 17 febbraio.Una colata di aria artico-continentale ha interessato tutta l’area Balcanica, la Gre-cia, e la Turchia, con la Puglia e le altre regione del sud-est italico, che sono state interessate marginalmente dalla sfredda-ta. In concomitanza di tale avvenimento, i valori pressori sono risultati partico-larmente elevati, localmente superiori ai 1030 hpa.Molte aree collinari nell’area centro-set-tentrionale della regione, hanno

registrato giornate di ghiaccio, con massime abbondantemente sotto lo zero. Monte Sant’Angelo a circa 800 m.s.l.m. sul Gargano ha rilevato tali estremi gior-nalieri domenica 17: -3,8° / -7,0°. Sempre domenica 17, Castel del Monte sull’Alta Murgia registrava 0° di massi-ma, e -5,1° di minima, a soli 500 metri sul livello del mare. Nelle zone pianeg-gianti e costiere i valori massimi hanno raggiunto diffusamente i 4-5°, mentre i valori minimi hanno oscillato fra -1° e 1° ( prendendo in considerazione sempre domenica 17).

Durante queste 2 giornata di freddo, le precipitazioni sono risultate quasi nulle, eccetto deboli fi occhettate da stau in alcune aree della regione.

Nei giorni successivi minime abbonda-mente sottozero si sono verifi cate nelle pianure e sulle coste di quasi tutta

la regione. In questi giorni infatti, si verifi cano i valori minimi più bassi di tutto il mese di Febbraio: -2,6° a Foggia Amendola, -1,3° a Bari Palese, -2,2° a Gioia del Colle, 0,0° a Marina di Ginosa, -2,0° a Lecce Galatina. Dal punto di vista pluviometrico il mese di Febbraio è risultato completamente defi citario, con accumuli di pioggia scar-si, e in alcuni casi irrisori. Delle stazioni dell’Aeronautica Mi-litare, la più piovosa è stata quella di Lecce Galatina, con 26,2 mm, seguita da Brindisi con 23,7 mm. Le aree meno interessate dalle precipitazioni, sono state il Tavoliere delle Puglie, e la costa Ionica tarantina. Non per questo Foggia Amendola ha totalizzato solo 7 mm, e Marina di Ginosa 4,4 mm. Accumuli intorno ai 30 mm si sono avuti anche in area Garganica ( San Giovanni Rotondo 30 mm, e Vico del Gargano, 22 mm).

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ASSOCIAZIONE CULTURALE di METEOROLOGIAVia Generale Cantore, 73 - Bitonto (Ba)E - mail: [email protected]: [email protected]: http://www.inmeteo.itForum: http://www.inmeteo.it/forum

DOMANDA DI AMMISSIONE A “INMETEO” - da inviare tramite Casella Postale o Mail (copia scanneriz-zata e firmata). Inviare la quota associativa di 20 € al numero di Postepay 4023 6004 5160 9764 intestata a Giancarlo Modugno) allegando alla domanda di ammissione la ricevuta di pagamento.

_l_ sottoscritt_ (cognome)________________________________nome_________________________

nat_ a __________________________________________________ il __________________________

laurea/diploma in _____________________________________________________________________

professione ___________________________________________________________________________

residente in (1)_______________________________________________________________________

telefono ________________________________________ fax__________________________________

e mail __________________________________________ sito web ____________________________

chiede di essere ammess_ in qualità di socio ordinario a InMeteo.

Le mie esperienze principali nel campo della Meteorologia sono :

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I mieii interessi principali nel campo della Meteorologia sono :

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(1) Indicare Via/Piazza, numero civico, CAP, città, sigla Provincia; a questo indirizzo vi verrà inviata la rivista “InMeteo Magazine”.(2) La qualità di socio si acquisisce su domanda del candidato e per approvazione del Consiglio Direttivo.

La quota associativa annuale [ 20 euro ] è unica, ai sensi del nostro Statuto e ha scadenza il 31 Dicembre dell’anno. Il versamento deve essere effettuato via POSTEPAY al numero 4023 6004 5160 9764 allegando ricevuta di pagamento a questa domanda di iscrizione. [ Il numero di carta è intestato a Giancarlo Modugno ]-------------------------------------------------------------------------------------------------------------Ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 196/2003 (Codice in materia di trattamento dei dati personali), Le fornia-mo le seguenti informazioni. I dati da Lei forniti verranno utilizzati da InMeteo nel pieno rispetto della normativa citata. I dati saranno oggetto di trattamento in forma scritta e/o supporto cartaceo, elettronico e telematico; i dati, previo Suo consenso, verranno utilizzati per le future informazioni delle attività di InMeteo tramite supporti cartacei e/o pubblicazione e della distribuzione della rivista “InMeteo Magazine”; l’eventuale diniego a fornire tali dati comporterà l’impossibilità di ottenere il servizio richiesto; i dati non saranno soggetti a diffusione presso terzi.FORMULA DI ACQUISIZIONE DEL CONSENSO DELL’INTERESSATOIl/La sottoscritto/a, acquisite le informazioni fornite dal titolare del trattamento, ai sensi dell’art.13 del D.Lgs.196/2003, dichiara di prestare il mio consenso al trattamento dei dati personali per i fini indicati nella suddetta normativa.

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