Nèura Magazine #5

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Nèura Magazine Numero 5 Percorsi Nèurastenie Gli appuntamen della semana 1-7/11 “Fiato d’arsta” I fotogrammi di Fabio Torre I viaggi nella memoria di Carla Filipe Eunomia Tomás Saraceno all’Hangar Bicocca Canere del ‘900 alle Gallerie d’Italia Logo ©Cristiano Baricelli 1° novembre 2012 Non È Una Rivista d’Arte

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Non è una rivista d'arte - Percorsi

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Nèura Magazine Numero 5

Percorsi

Nèurastenie

Gli appuntamenti della settimana 1-7/11

“Fiato d’artista”

I fotogrammi di Fabio TorreI viaggi nella memoria di Carla Filipe

Eunomia

Tomás Saraceno all’Hangar BicoccaCantiere del ‘900 alle Gallerie d’Italia

Logo ©Cristiano Baricelli

1° novembre 2012Non È Una Rivista d’Arte

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©Nèura Magazine 2012. Nèura Magazine è uno spazio culturale di prospettiva. La redazione è composta da Anna Castellari, Silvia Colombo, Sonia Cosco e Roberto Rizzente.

Nessuna parte o contenuto di questa pubblicazione può essere du-plicata, riprodotta, trasmessa, alterata o archiviata in alcun modo senza preventiva autorizzazione degli autori. I contenuti di questa pubblicazione non hanno carattere periodico e non rappresentano prodotto editoriale ex L.62/2001.

Logo ©Cristiano Baricelli, Ictus, 2005.

Per contatti, scrivi: [email protected]

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Editoriale - Percorsi

Il numero #5 di Nèura Magazine fa capolino all’inizio di novem-bre, tra la nebbia mattutina e dopo aver superato brillantemente la festa delle streghe.

Volete leggerci questa settimana? Potete farlo seguendo i nostri Percorsi – il tema prescelto per la prima uscita del mese.

I percorsi sono quelli museali delle Gallerie d’Italia, e più precis-amente del Cantiere del ‘900 che ha appena inaugurato nel cuore di Milano, ma anche i passi insicuri e morbidi dell’installazione di Tomás Saraceno all’Hangar Bicocca – per prepararvi alla visita vi forniamo le nostre ‘istruzioni per l’uso’.

Di diverso tipo sono le strade percorse dall’artista bolognese Fa-bio Torre, ora in mostra presso la Galleria Studio G7, come ci rac-conta la sua foto in bianco e nero di un paio di boots usurati e slac-ciati. E, ancora, è metaforico, legato alla memoria e all’identità di un Paese – il Portogallo – il cammino riproposto dall’artista Carla Filipe attraverso le sue opere.

Racconti, impressioni, riflessioni e associazioni – il nostro viaggio è appena all’inizio.

Buona settimana.

La Nèuraredazione

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Indice - Numero 5

Editoriale - Percorsi

Eunomia - I dodici comandamenti di Tomás

Saraceno

Eunomia - Le Gallerie d’Italia aprono al

contemporaneo. Un cantiere del ‘900 nel cuore di Milano

“Fiato d’artista” - Le non-storie di fotogrammi di

Fabio Torre

“Fiato d’artista” - Nell’archivio di Carla Filipe

Nèurastenie - Design

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Eunomia - I dodici comandamenti di Tomás Saraceno

Silvia Colombo

Una sintetica digressione sullo spazio espositivo, condito da un breve prontuario per evitare figure imbarazzanti visitando l’installazione On Space Time Foam di Tomás Saraceno all’Hangar Bicocca di Mila-no. Arte, architettura, scienza o, di nuovo, spettacolo?

Primo appunto. L’Hangar Bicocca è un’imponente struttura che deve le sue forme alla precedente funzione cui era adibita: prima di diventare un centro espositivo di grande richiamo (nel 2004), era sede dell’azienda Ansaldo-Breda.

Persa però in un punto anonimo della periferia cittadina, al limi-te con Cinisello Balsamo, è mal collegata con la rete dei mezzi pub-blici (quasi un paradosso, tenendo conto che l’Ansaldo-Breda si oc-cupa della produzione di mezzi di trasporto su rotaie) ed è priva di qualsivoglia indicazione segnaletica.

Fausto Melotti, La Sequenza (1981) - installazione collocata all’esterno dell’Hangar Bicocca

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Se la questione è ancora accettabi-le nel caso di un centro temporaneo, come abbiamo visto per Manifesta 9, dovrebbe essere invece la conditio sine qua non da cui partire, nel caso si trat-ti di un luogo che vuole essere “uno dei principali agenti della crescita culturale e sociale del territorio circostante” (cit. dal sito ufficiale).

Fortunatamente intervengono, appa-ganti alla vista e utili per la risalita del buonumore, le due installazioni perma-nenti: all’esterno, antistante all’ingres-so, l’opera La Sequenza (1981) di Fau-sto Melotti, ivi collocata nel 2010, in seguito a un ventennale peregrinare per l’Italia, e all’interno I Sette Palazzi Ce-lesti di Anselm Kiefer, lavoro realizza-to nel 2004. Il ferro ormai arrugginito e

l’affascinante, melanconico e imperfetto cemento armato parlano la nostra lingua e scandiscono i primi passi del visitatore nello spazio.

Secondo appunto. Veniamo al dunque, alla mostra temporanea On Space Time Foam di Tomás Saraceno aperta a Milano dal 26 ottobre.

Premetto che da qualche tempo seguo le tracce dell’artista argen-tino, un po’ per caso e un po’ per interesse. Lo scorso 2011, al MA-CRO di Roma, è andata in scena la suggestiva Cloudy Dunes. When Friedman Meets Bucky on Air-Port-City, allestita nella sala Enel. Un potente, ingombrante eppure quantomai leggiadro intreccio di tubi semirigidi per cavi elettrici, affogati in un buio squarciato da raggi di luce, tesi a rievocare la ricerca dell’architetto Richard Buckmin-ster Fuller in tema di ‘rete di energia’.

Sempre nel 2011, presso l’Hamburger Bahnhof di Berlino – dove peraltro Saraceno risiede e lavora – ha preso vita una delle sue Cloud Cities: un pullulare di sfere trasparenti e sospese in PVC, pulsanti e a tratti verdeggianti, a prova di interazione col pubblico.

A Milano, invece, cosa accade?On Space Time Foam, il titolo prescelto cui sono sottesi concetti

L’artista Tomás Saraceno durante la conferenza stampa all’Hangar Bicocca

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provenienti dalla meccanica quantistica e l’idea di creazione dell’u-niverso, è realmente un site-specific? Se si considera la definizione di Nick Kaye, secondo cui esso indica le “pratiche che articolano gli scambi tra l’opera d’arte e i luoghi in cui sono definiti i suoi signifi-cati”1, sembrerebbe di sì.

D’altra parte, ritengo che pensare a un luogo non significhi so-lamente ‘cambiare forma’ all’installazione, passando da una sfe-ra a un cubo (un parallelepipedo a tre strati?) perché la confi-gurazione spaziale della sala lo suggerisce, bensì compiere ricer-che più profonde anche sulle tradizioni, le abitudini e la cultu-ra di un Paese.

Ora, due veli trasparenti in materiale plastico – piuttosto sugge-stivi, nulla da ridire – sospesi sofficemente a mezz’aria e pronti ad accogliere i passi insicuri dei futuri fruitori che vi sprofonderanno, possono funzionare in Italia?

Si tenga conto che: la visita può avvenire per gruppi di massimo dieci persone, è sconsigliata (così si legge sulla liberatoria) a indivi-dui il cui peso sia uguale o superiore ai 100 chili e può durare per

1 N. Kaye, Site Specific Art: Performance, Place and Documentation, Routledge, Londra 2000, p. 65.

Tomás Saraceno, Cloud Cities, Hamburger Bahnhof (Berlino, 2011) - particolare

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un tempo massimo di mezz’ora.

Inoltre, ecco l’e-lenco dei divieti, dei dodici comandamen-ti che sicuramente manderanno in cri-si i più. Per preveni-re eventuali momen-ti imbarazzanti, ricor-date che per accedere ai due piani alti (in-termedio e superiore) occorre:

togliere le scarpe prima di entrare;

indossare le calze;avere abiti privi di

oggetti contundenti (borchie comprese);

non indossare ac-cessori contundenti o appuntiti, tra cui cin-ture, orecchini, brac-

ciali, piercing, forcine;depositare oggetti appuntiti, dalle macchine fotografie agli om-

brelli, dalle chiavi alle monete;rimanere distanti almeno un metro dai bordi dell’opera;evitare corse e capriole;non lanciare oggetti;non accedere con animali;non mangiare, fumare e scattare foto [ndr, azioni peraltro impos-

sibili, dal momento che si dovrebbero depositare tutti gli oggetti all’ingresso].

Un consiglio: quando programmate la visita pensate a cosa por-terete con voi, in che modo vi pettinerete e vestirete. Già in sede di presentazione stampa si sono verificati disguidi: attese per firmare le

Tomás Saraceno, On Space Time Foam - Hangar Bicocca (Milano, 2012)

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liberatorie, abiti inadeguati (ricordate: no alle gonne) e lamentele.Il dilemma è: noi italiani, che spesso non siamo nemmeno in grado

di preparare un bagaglio a mano di dieci chili per volare con le compa-gnie low cost, saremo capaci di rispettare tutti i divieti, i dodici comanda-menti, o contribuiremo alla vita breve dell’opera?

Tomás Saraceno. On Space Time FoamMilano, Hangar Bicocca - Ingresso libero26 ottobre 2012 – 3 febbraio 2013Orari. Da giovedì a domenica 11-23

Anselm Kiefer, I Sette Palazzi Celesti - Hangar Bicocca (Milano, 2004)

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Tomás Saraceno, On Space Time Foam - Hangar Bicocca (Milano, 2012)

Carsten Nicolai, Undisplay - Hangar Bicocca (Milano, 2012)

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Eunomia - Le Gallerie d’Italia aprono al contemporaneo. Un cantiere del ‘900 nel cuore di Milano

Anna Castellari

Ha inaugurato in una sala gremita di giornalisti, all’interno di un’ex banca nel centro di Milano, il Cantiere del ‘900, la sezione contem-poranea delle Gallerie d’Italia. Un luogo quasi opposto alla sezione ottocentesca adiacente, con tanti capolavori, da Manzoni a Fontana, passando per Guttuso, Isgrò, e tanti altri.

È una mattina soleggiata di ottobre. Camminando nella galleria Vittorio Emanuele, verso Piazza della Scala, tra le frotte dei turisti e i milanesi dal passo veloce, ci dirigiamo verso le Gallerie d’Italia.

Non sono così lontani gli anni novanta, quando i veri ritrovi dei mila-nesi erano Fiorucci, il Panino Giusto e la Ricordi. Ma, senza nulla togliere a un passato tutto lustrini e paillette qual è stato quello del capoluogo lom-bardo, a noi fa decisamente più piacere vedere che l’arte contemporanea

Gallerie d’Italia - Piazza Scala, Milano. L’ingresso delle Gallerie in Piazza della Scala

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si sta inserendo pian piano nel tessuto urbano, rendendo il centro meno commerciale e più abitabile – almeno, così ci auguriamo.

Dopo l’apertura del Museo del Novecento e della sezione otto-centesca delle Gallerie d’Italia nel 2011, questo autunno vede un nuovo, importante centro culturale.

Diciamocelo: il rischio di una “mummificazione” delle opere del-la collezione Intesa San Paolo, collocate entro le mura di un museo, c’era tutto. Ma per fortuna, con un allestimento attento e, di per sé, piuttosto mobile (su pannelli bianchi), il nuovo museo di Milano dedicato al Novecento ha scongiurato questa deriva.

E non è nemmeno la solita mostra Milanocentrica, in cui sembra che l’arte novecentesca italiana passasse solo attraverso la terra meneghina. Infatti, tra gli artisti, si annoverano, per esempio, il friulano Afro (Ba-saldella), il pugliese Pino Pascali, la siciliana Carla Accardi, l’anconeta-no Corrado Cagli, il romano Giuseppe Capogrossi e il parmigiano Et-tore Colla. Solo per citarne alcuni, tra i 153 artisti ospitati nello spazio.

Si chiama “cantiere” il nuovo polo dedicato all’arte novecente-sca nel cuore di Milano, e a noi piace tanto già il nome. Sì, per-ché, come afferma il curatore Francesco Tedeschi, esso è un «luogo

Emilio Isgrò (Barcellona Pozzo di Gotto, Messina 1937) L’ora italiana, 1986riporto fotografico, acrilico e assemblage (orologio) su tavola, venti elementi, diam. 100 cm ciascuno. Collezione Intesa Sanpaolo, Gallerie d’Italia - Piazza Scala, Milano

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simbolico di una costruzione in fieri, e insieme occasione di scavo e ricerca». E continua: «La nuova sezione del museo è dedicata all’ar-te di un periodo ancora vicino, nel quale affonda le radici del pre-sente, la cui storia appare delineata nella conoscenza dei maggiori autori e delle sue linee complessive».

Di buono, in questa ex banca riconvertita a polo museale, ci sono cer-tamente due caratteristiche: il recupero rispettoso di un dispositivo del passato, che non viene sconvolto nella sua architettura ma mantiene in-tatta la sua personalità; e poi, l’accostamento di un edificio affascinante quanto complesso con le opere più vicine al nostro presente.

C’è anche da dire che, talvolta, l’accostamento non è riuscitissi-mo, forse anche per via della presenza molto forte di un gusto co-struttivo di inizio Novecento, seppur rivisto dall’architetto Michele De Lucchi. Come il pavimento del corpo centrale del museo, dove sono collocate alcune opere che, cromaticamente, non godono di grande visibilità: questo vale ad esempio per la mezzaluna senza ti-tolo di Mauro Staccioli, o per il Ferro (Scultura policroma o Astro-formal) di Ettore Colla. Diverso invece il discorso – grazie a un ros-

so sgargiante – del Concetto spa-ziale di Lucio Fontana.

L’esposizione, a partire da quella rotonda centrale, cuo-re della spazialità museale, si snoda, poi, lungo le sale circo-stanti, in un percorso didatti-co e tematico. Certo, talvolta, la presenza di ‘etichette’ non giova rendere idea in maniera complessiva del lavoro artistico di un autore – si pensi a Gut-tuso misteriosamente finito nella zona pop art, o a Novel-li ‘smembrato’ in diverse sezio-ni – ma danno, quantomeno, l’idea di un lavoro ‘interattivo’, ricco di scambi e di commistio-ni tra le correnti e gli artisti.

Gallerie d’Italia - Piazza Scala, MilanoCantiere del ’900. Opere dalle collezio-ni Intesa Sanpaolo. Ouverture 1

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Si entra in un’atmosfera angosciante, varcando la soglia della sala dedicata all’Ora italiana, l’opera dell’onnipresente artista Emilio Isgrò – sì, onnipresente a tutte le importanti manifestazioni d’arte: il giorno seguente l’abbiamo ritrovato anche al Mart di Rovereto – il quale ha letteralmente aggregato (ticchettio annesso) una serie di oro-logi,con immagini di scene di vita quotidiana bolognese e con le sue cancellature d’artista: come a rimarcare che, nell’ora X della strage di Bologna, si sarebbero cancellate vite umane, e niente sarebbe più sta-to come prima.

L’altro percorso monografico è dedicato al “Colore come forma plastica”, incentrato sulle ricerche cromatiche operate durante il fu-turismo a partire da Balla, quando il colore assunse un ruolo spazia-le e materico, fino ad allora inedito.

Bellissimo e ben conservato anche il caveau, risultato di un pro-getto di conservazione sugli ambienti sotterranei della banca. È uno spazio visitabile su prenotazione – si tratta di un luogo nascosto ma

Afro (Afro Basaldella) (Udine 1912 - Zürich 1976), Senza nome, 1959. Tecnica mista su tela, 104 x, 130 cm. Collezione Intesa Sanpaolo, Gallerie d’Italia - Piazza Scala, Milano

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passibile di un’ispezione, un’innovazione tra gli allestimenti del mu-sei contemporanei, se si pensa per esempio al Pompidou, che fa ruo-tare le proprie opere tra i magazzini e gli spazi espositivi, ma non permette mai una visione completa in un’unica visita.

Buona, poi, l’idea di riservare spazi sufficientemente ampi e articola-ti ai servizi di accoglienza, bar e ristorazione, con bookshop, accessibile dall’esterno, senza passare obbligatoriamente attraverso le sale museali.

Si crea finalmente uno spazio che ha a che fare con la città: non è un’entità a sé stante, bensì un luogo da frequentare. Che – almeno si spera – contribuisca a rendere un po’ più vivibile un centro ormai frequentato quasi solo da turisti.

Gallerie d’Italia - Cantiere del ‘900. Piazza della Scala, 6 - Milano

Da martedì a domenica dalle 9.30 alle 19.30 (ultimo ingresso 18.30). Giovedì dalle 9.30 alle 22.30 (ultimo ingresso 21.30). Lunedì chiuso. Ingresso libero | Audioguida gratuitaPer informazioni: www.gallerieditalia.com

Giuseppe Capogrossi (Roma 1900 – 1972), Superficie 154, 1956. Olio su tela, 80 x 100 cm. Collezione Intesa Sanpaolo, Gallerie d’Italia - Piazza Scala, Milano

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Mimmo Rotella (Catanzaro 1918 - Milano 2006), Mitologia in nero e rosso, 1962, décollage su tela, 135 x 98 cm. Collezione Intesa Sanpaolo, Gallerie d’Italia - Piazza Scala, Milano

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“Fiato d’artista” - Le non-storie di fotogrammi di Fabio Torre

Sonia Cosco

Qual è il filo che attraversa fotografia, cinema e pittura? È la domanda che ci poniamo di fronte alle opere dell’artista bolognese Fabio Torre, con una personale presso la galleria Studio G7, che dura fino al 17 novembre.

“Picture Star” — l’inizio del film — è il countdown che apriva le pellicole in bianco e nero, sequenze che, con la mostra di Fabio Torre (classe 1955), da negativi fotografici diventano frame pittorici. Una tecnica e contenuti particolari quelli che propone l’artista. Non c’è ‘soggetto’, ma ci sono ‘i soggetti’: macchine fotografiche, pistole, anfibi, visi che reclamano la nostra attenzione. Noi, smettiamo di correre e iniziamo a osservarli, senza aver fretta di passare oltre.

Quando ha iniziato a contaminare la fotografia con la pittura?Il filtro della fotografia nasce insieme al mio lavoro già in origine. Non è un processo di contaminazione, ma semplicemente una sorta di ‘punto di vista’ sul mondo. La fotografia opera una sintesi, in senso temporale e spaziale e a essa io aggiungo un ulteriore lavoro di riduzione e rielaborazione nella progettazione e nell’esecuzione

Alcuni dei fotogrammi di Fabio Torre

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dei dipinti, che rispetto alla fotografia subiscono un processo di astrazione. Non riuscirei a datare la nascita di questo metodo, perché è istintivo e ha riguardato fin dai primi momenti il mio lavoro. Certo la fotografia e la pittura sono cose diverse e tali restano. Non amo confondere le carte o fare un gioco di mimesi o illusionismo, non mi interessa che si dica che i quadri ‘sembrano fotografie’. Semplicemente considero l’obiettivo fotografico, con le sue problematiche di inquadratura, scorcio, luce ecc., uno strumento necessario per selezionare e indagare la realtà.

Ci descrive nel particolare la tecnica che ha usato per la sua personale presso Studio G7?La mia tecnica è costante da molti anni, quello che può apparire di volta in volta diverso è il grado di risoluzione che intendo raggiungere. In questi ultimi lavori sentivo la necessità di lavorare ad ‘alta risoluzione’. La tecnica è piuttosto tradizionale. Metà del lavoro è progettuale: eseguo fotografie, le seleziono e stampo in grande formato quella che mi interessa. Quindi decido il formato del quadro e su questo viene eseguito un disegno e un abbozzo che devono essere accurati per evitare incertezze e sorprese. I passaggi col colore a olio sono molti, in quanto non amo la pittura materica e questo impone diversi strati di pittura poco corposa per saturare i colori. Il dettaglio richiesto da questi ultimi lavori ha comportato tempi lunghi di esecuzione (per alcuni quadri oltre tre mesi). È il quadro a dirti a un certo punto che ti devi fermare, altrimenti il lavoro di dettaglio sarebbe potenzialmente infinito e comunque preferisco che sul quadro si legga pittura e non pseudo fotografia. Il dato fotografico deve essere concettuale prima che iconico.

La sperimentazione dei suoi lavori ha qualcosa di contemporaneo e nello steso tempo retrò. Quali sono i suoi riferimenti del passato e del presente?Non amo il gusto rétrò, ma devo ammettere che il mondo fotografico e cinematografico a cui guardo è interamente analogico, il che è come ammettere di guardare al passato. I riferimenti più forti sono il cinema e la fotografia degli anni sessanta-settanta, anni caratterizzati da forti contrasti che

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l’iconografia del tempo ci ha trasmesso. Oggi il digitale ha la capacità di assorbire, metabolizzare e ridistribuire tutto in particelle uniformi. Il contrario avveniva con l’analogico di quarant’anni fa: un corpo, un viso, un evento minimo assumevano un fortissimo valore iconico col semplice ricorso a luci, espressioni, ambientazioni. Pensiamo, per fare un solo esempio tra gli altri, a tutto il corpus fotografico realizzato sui luoghi e sui personaggi della Factory di Andy Warhol. Del contemporaneo mi interessa tutto, ma resto convinto che l’opera d’arte per essere tale debba passare attraverso un filtro tecnico che non si può evitare, sia esso pittura, video, scultura o altro. La tecnica dà spessore anche al lato concettuale dell’opera. Trascurarla o ritenerla inutile genera un lavoro che non m’interessa. È frequente assistere a mostre in cui c’è poco da vedere e molto da leggere e sentirsi dire alla fine che il tutto è stato sdoganato da Duchamp. Ma Duchamp ha fatto le sue provocazioni un secolo fa. Chi guarda davvero indietro?

La pellicola cinematografica ha in sé un paradosso: l’immobilità del movimento. Anche le sue opere pittoriche sembrano frammentare la storia e nello stesso tempo ricomporla. Cosa vuole raccontare?Buona domanda. Gli americani direbbero: «What’s the point?».

Credo che si possa rispondere ammettendo un doppio livello di lettura del lavoro. Il primo, diciamo quello cinematografico-narrativo, può sembrare il meno ricco perché non c’è una storia, neppure un’azione che si consumi nel corso delle sequenze. In

Fabio Torre, Contact sheet 7 (Boots), olio su tela 2012

Fabio Torre, Contact sheet 3 (Revolver), olio su tela 2012

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realtà è vero il contrario: la persistenza dell’immagine, non la sua ripetizione, fa storia. La sequenza svela che l’immagine singola è insufficiente e apre alla percezione qualcosa di più vicino alla realtà, ovvero il continuo flusso di immagini che caratterizza la vita.

www.galleriastudio7.itwww.fabiotorre.com/biographi

[sin-te-si]: s.f.inv. Nel senso di lavorare cercando di sottrarre il più possibile

per arrivare ai termini minimi dell’immagine, alle lettere del suo alfabeto.

Fabio Torre

AA VV Dizionèuro 2012

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“Fiato d’artista” - Nell’archivio di Carla Filipe

Roberto Rizzente

Carla Filipe, As Primas da Bulgária, scatti dell’installazione, linoleum e china su carta, 2012, foto di Andrea Rossetti, courtesy Kunstverein (Milano)

«Noi siamo come nani seduti sulle spalle dei giganti» era solito dire Ber-nardo di Chartres. Non occorre essere degli storici marxisti per com-prendere quanto la storia influenzi e, anzi, condizioni la vita e l’iden-tità stessi dei singoli. Piccoli e grossi cambiamenti su scala globale, guer-re, rivoluzioni, movimenti politici, emigrazioni di massa, carestie, han-no un impatto continuo e necessario sulla vita dell’individuo, spesso in-dirizzandolo verso mete impreviste e imprevedibili.

Indagare questi contesti e da lì ripartire per tracciare la parabola esistenziale del singolo è, da sempre, uno dei compiti privilegiati dell’arte. Restringendo il campo d’osservazione all’ultimo trenten-nio, scopriamo come l’archivio sia uno egli elementi più presenti, considerati, studiati nelle pratiche estetiche (ma lo stesso Merzbau-di Schwitters è, in prospettiva, un archivio ante litteram). Specie

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nell’Europa dell’Est, dove i recenti sommovimenti hanno imposto una riflessione sulla società, le tradizioni, i cambiamenti in atto.

Esemplare, in questo senso, è il caso di Carla Filipe. Portoghe-se, classe 1973, una partecipazione a Manifesta (2010) alle spal-le, guarda a Est, nella fattispecie la Bulgaria, per trovare tracce del proprio presente. È un po’ un viaggio alla Safran Foer, a ritroso nel tempo, quello che propone alla sua prima milanese, “As primas da Bulgária”, fino al 30 novembre ai Frigoriferi Milanesi, curatela di Kunstverein, in collaborazione con FARE. Solo che questo viaggio è instabile, incerto, periglioso.

Colpa, certo, della documentazione, assolutamente lacunosa. La storia delle due cugine che tra il1976 e il 1982 emigrarono in Bul-garia, come tanti prima di loro – era una vera e propria moda, in-coraggiata dal Partito Comunista di Álvaro Cunhal, in auge dopo la Rivoluzione dei Garofani del 1974 e la fine della dittatura salaza-rista – giace sepolta sotto una coltre di silenzio. Non esiste uno stu-dio, se si eccettua il volume di Luis Gonzaga Ferreira, gli archivi del Partito rimangono inaccessibili, i ricordi di famiglia sfumano nel-le nebbie del tempo.

Carla Filipe, As Primas da Bulgária, scatti delle installazioni, linoleum e china su carta, 2012, foto di Andrea Rossetti, courtesy Kunstverein (Milano)

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Non resta, all’artista, che rivolgersi a internet. Consapevo-le dell’impossibilità di attingere ad una verità certa, inoppugnabi-le, Carla Filipe affastella documenti, studia relazioni, traccia dia-grammi, rotte, collisioni. Immagini dai blog scorrono nella memo-ria, affollandosi sulla parete. Estratti dal diario personale, riflessioni estemporanee, domande, pagine di storia, trascritte a penna, istan-tanee del repertorio folcloristico complicano le carte, fondendosi in un tutto compatto, unico e indistinto, dalle molteplici direzioni.

Prende corpo così una mappa rizomatica, direttamente ispira-ta alle teorie di Foucault, per tentare di restituire il senso e l’origi-ne del viaggio. Le frasi, stampate su carta e linoleum, si cancellano, le lingue – portoghese, inglese, russo – si moltiplicano, i soggetti si sdoppiano, imboccano nuove strade, nuove relazioni. Le foto gal-leggiano su cornici vuote, i simboli si confondono, il braccio teso può indicare sì l’ideologia comunista, ma anche un rito della tradi-zione, piuttosto che commemorare la rivoluzione portoghese.

Non ci sono punti a capo, non ci sono assiomi, teoremi, di-mostrazioni. Il fascino di questa ricerca sta nell’irriducibilità alla

Carla Filipe, As Primas da Bulgária, scatti dell’installazione, linoleum e china su carta, 2012, foto di Andrea Rossetti, courtesy Kunstverein (Milano)

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casistica, la stratificazione progressiva dei livelli cui ognuno, teori-camente, può aggiungere un tassello, dare una lettura, un’interpre-tazione, come fosse un’opera aperta, pulsante, infinita. Un insie-me eterogeneo di appunti scaturito dall’indagine viva e dispiegato nell’atto stesso del suo farsi. Un istante rarefatto di riflessione, strap-pato al fluire del tempo.

L’obiettivo è quello, ancora una volta, di chiarire chi siamo, da dove veniamo. E nel mentre, capire chi finanziò gli studi dei gio-vani portoghesi in Bulgaria, decifrare i sentimenti degli emigranti, comprendere il valore legale di una laurea ottenuta all’estero. Dare una spiegazione, per quanto precaria, a questi interrogativi sarà lo scopo e il casus belli del lavoro venturo di Carla Filipe. Noi vi invi-tiamo a considerarlo.

Per info:Frigoriferi milanesi:As primas da Bulgária (Part one)Via Piranesi 10, MilanoTel. 02.73981, mail [email protected]

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Nèurastenie - #Design

Silvia Colombo

Cinque occasioni per avvicinarsi alla creatività contemporanea attra-verso le arti applicate. Perché, a volte, è tutta questione di praticità, di stile... insomma, di design.

#Milano

Primo museo nazionale ‘di settore’, il Triennale Design Museum, allesti-to dall’architetto De Lucchi e ubicato al piano superiore dello storico edificio di Muzio, apre al pubblico nel 2007. Con un programma espositivo peculiare, ri-

volto alla valorizzazione della creatività italiana attraverso esposi-zioni tematiche di durata annuale, approda nel 2012 alla sua quin-ta edizione.

Il tema di quest’anno, TDM 5: grafica italiana, si focalizza – com’è intuibile dal titolo – sulla produzione di graphic design dai primi del Novecento, con la ‘liberazione’ futurista, sino a oggi. Il percorso, scandito tematicamente nelle sezioni Lettera, Libro, Pe-riodici, Cultura e Politica, Pubblicità, Imballaggi, Identità visiva, Segnali, Film e video, mette in scena illustrazioni comparse su “Il Manifesto”, foto di cronaca, loghi di prodotti e manifestazioni (La Biennale di Venezia). E ci rendiamo conto che tutto ciò che vedia-mo attorno a noi ha una paternità creativa importante.Dove e quando

Triennale Design Mu-seum, Milano14 aprile 2012 – 24 feb-braio 2013

Info e contatti

Orari. martedì-domenica 10.30-20.30 | giovedì 10.30-23Ingresso. 8 euro intero | 6.50 euro ri-dotto | 5.50 ridotto gruppisito web. www,triennaledesignmuseum.org

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#Venezia

Marino Barovier è il curatore di una rassegna monografica dedicata alla produzione di design in vetro di Scar-pa, nel periodo in cui l’architetto ha ri-coperto il ruolo di direttore artistico presso la società storica veneziana Ve-nini.

La mostra, intitolata Carlo Scarpa. Venini 1932-1947, si sofferma su un periodo cronologicamente limitato ma

creativamente molto prolifico. Esposti presso Le Stanze del Vetro, spazio con sede sull’Isola di San Giorgio Maggiore, oggetti d’arte innovativi sia dal punto di vista materico e tecnico – sono presen-ti vetri cosiddetti ‘a bollicine’, sommersi, a mezza filigrana, murri-ne romane, lattimi, corrosi, a puntini e strisce, zigrinati, laccati, in-cisi... – sia da quello cromatico, ma anche bozzetti, documenti e foto d’epoca.

#Prato

Al Centro per l’Arte Contem-poranea Luigi Pecci di Prato è in corso UFO Story / Storia de-gli UFO. Dall’architettura radi-cale al design globale, una pano-ramica sul lavoro del gruppo fio-rentino che, dal 1967 al 2012 ha

Info e contatti

Orari. lunedì-domenica 10-19 | chiuso il mercoledìIngresso liberosito web. www.lestanzedelvetro.ite-mail. [email protected]

Dove e quando

Le Stanze del Vetro, Isola di San Giorgio Maggiore (VE)29agosto – 29 novembre 2012

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Nèura Magazine - 1 novembre 2012

operato attivamente al limite tra l’architettura, l’arte e il design. Il materiale, proveniente dall’Archivio Lapo Binazzi – UFO (in par-te ceduto in deposito presso il museo toscano) permette di appro-fondire le sperimentazioni del gruppo composto da Carlo Bachi, Lapo Binazzi, Patrizia Cammeo, Riccardo Foresi, Titti Maschietto e (inizialemente) Sandro Gioli. Tutto parte dalla creazione dei pri-mi Urboeffimeri oggetti gonfiabili – di grandi dimensioni – fatti per “mettere a punto azioni ripetute di disturbo delle abitudini so-ciali e dei riferimenti architettonici della città” e arriva sino ai lavo-ri più recenti, come i Vassoi autostrada, le Zuppiere Vongola (1991) di Binazzi, presentati a Pitti Immagine – Palazzo Strozzi di Firenze.

#Istanbul

Prima edizione per la biennale turca dedica-ta al design, l’Istanbul Design Biennial che intende “esplorare i prodotti e progetti creati-vi provenienti da tutte le discipline delle indu-strie creative, urban design, architettura, dise-gno industriale, design grafico, di moda, per i new media...”. Aperta dalla metà di ottobre e

per i due mesi successivi, la rassegna si divide in due nuclei princi-pali, Musibet e Adhocracy, a cura rispettivamente di Emre Arolat e Joseph Grima: il primo è una riflessione sullo sviluppo urbanistico della capitale turca, mentre il secondo – ove il titolo sottolinea l’op-posizione a tutto ciò che è burocrazia – è incentrato sulla rielabora-zione del design dal punto di vista politico ed economico.

Vengono inoltre proposti diciotto documentari e video prove-nienti da otto Paesi diversi, iniziative parallele in varie sedi della cit-tà e un fitto programma di seminari.

Dove e quando

Centro per l’arte contempo-ranea Luigi Pecci, Prato30 settembre 2012 – 3 feb-braio 2013

Info e contatti

Orari. Lunedì-domenica 10-19 | chiuso il martedìIngresso libero sito web. www.centropecci.ite-mail. [email protected]

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Percorsi

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#Londra

È sempre lì, una certezza, nonché una delle istituzioni più prestigio-se, a livello internazionale, dedica-te al design. Si tratta del Victoria & Albert Museum di Londra, il mu-seo dedicato alle arti applicate fon-dato nel 1852, dopo il grande suc-cesso della celeberrima Esposizione Universale del 1851 ospitata all’in-terno del Crystal Palace di Paxton.

Oltre ai dipartimenti dedicati alle collezioni storiche e alla conserva-

zione dei materiali, l’istituto si tiene al passo coi tempi, poiché dal 1999 ha aperto al pubblico il Contemporary department, destina-to ad accogliere mostre incentrate sulle “creazioni migliori delle arti contemporanee e del design – compresa la moda, l’arredo, il pro-duct design, i digital media, l’architettura e la fotografia”.

A volte, è proprio la capacità di rimanere coerenti e scientifi-camente rigorosi pur nella varietà. Ora è visitabile l’esposizione Hollywood Costume e, in arrivo nel 2013, la grande personale dedicata a David Bowie.

Dove e quando

Istanbul Design Bien-nial, Istanbul13 ottobre – 12 di-cembre 2012

Info e contatti

Orari. MUSIBET / Istanbul Modern da martedì alla domenica 10-18 | giovedì aperto fino alle 20 ADHOCRACY / Ga-lata Greek School da martedì alla dome-nica 10-19 | giovedì aperto fino alle 20Per entrambe: chiuso il lunedì e il primo giorno delle feste religioseIngresso. 10 euro intero | 5 euro studentisito web. www.istanbuldesignbiennial.iksv.orge-mail. [email protected]

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Nèura Magazine - 1 novembre 2012

Dove e quando

V&A South KensingtonCromwell Road, Londra

Info e contatti

Orari. lunedì-domenica 10-17.45 | tutti i venerdì l’apertura è prolunga-ta sino alle 22Ingresso. variabile a seconda del-le esposizioni presenti in museo [at-tualmente tra le 7 e le 11 sterline] – lo staff del museo raccomanda di prenotare in anticipo. sito web. www.vam.ac.uke-mail. [email protected]

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