Ucuntu n.30

8
200209 www.ucuntu.org Borsellino, chi l'ha fatto ammazzare? Inchiesta insabbiata. Piduisti, di che cosa ridono fra di loro? Degli oppositori ammazzati. Mafia, si può parlarne? “No, meglio di no”. Quartieri, che vogliono farne i politici? Chiudere i pochi centri di ritrovo. Queste erano le cose che si vedevano sul Pianeta Italia, ed altre ancora, nell'Anno del Grande Fratello, duemila-zero-nove || 20 febbraio 2009 || anno II n.30 || www.ucuntu.org || Ho visto cose

description

20 febbraio 2009

Transcript of Ucuntu n.30

Page 1: Ucuntu n.30

200209 www.ucuntu.org

Borsellino, chi l'ha fatto ammazzare? Inchiesta insabbiata. Piduisti, di che

cosa ridono fra di loro? Degli oppositori ammazzati. Mafia, si può parlarne?

“No, meglio di no”. Quartieri, che vogliono farne i politici? Chiudere i pochi

centri di ritrovo. Queste erano le cose che si vedevano sul Pianeta Italia, ed

altre ancora, nell'Anno del Grande Fratello, duemila-zero-nove

|| 20 febbraio 2009 || anno II n.30 || www.ucuntu.org ||

Ho visto cose

Page 2: Ucuntu n.30

Regime/ 1 Regime/ 1

La mortedella giustizia“Quell'agendadeve sparire”

Mi è arrivata in questo momento una noti-zia alla quale la mia mente si rifiuta di cre-dere. Sono ormai abituato nei 17 anni che sono passati dall'assassinio di Paolo a continuare a vederlo ripetutamente massacrato da tutte le volte che è stata negata la giustizia per quella strage.

Da tutte le volte che delle indagini sono state bloccate, dei processi sono stati archi-viati nel momento in cui arrivavano ad essere indagati i veri autori di quella strage, i veri assassini di Paolo e dei ragazzi della sua scorta. Quelli che hanno procurato l'esplosi-vo di tipo miltiare necessario per l'attentato, quelli che dal castello Utveggio hanno pre-muto il pulsante del telecomando che ha provocato l'esplosione, quelli che in una bar-ca al largo del golfo di Palermo attendevano la comunicazione dell'esito dell'attentato, quelli che si sono precipitati sul luogo dove le macchine continuavano a bruciare, calpe-stando i pezzi di quei cadaveri e camminando nelle pozzanghere formate dal sangue di quei ragazzi, per potere prelevare l'agenda rossa di Paolo e insieme ad esse le prove della scellerata trattativa tra mafia e Stato per portare avanti la quale Paolo doveva essere eliminato.

Credevo di essere ormai abituato a tutto, di riuscire a resistere a qualsiasi disillusione, a qualsiasi venire meno della speranza di otte-

nere Giustizia, ma questa volta il colpo è troppo forte. Il ricorso presentato in Cassazione dalla Procura di Caltanissetta, retta da Sergio Lari, a fronte della sentenza di assoluzione emanata dal GUP nei confronti del Cap. Arcangioli era inoppugnabile. Quella sentenza grida vendetta sia per quanto riguarda la forma giuridica che la sostanza.

Basta guardare, nelle fotografie e nei video, il Cap. Arcangioli. Si vede un uomo che si allontana dalla macchina con il suo bottino tra le mani per consegnarlo a chi gli ha ordinato di sottrarre quella preziosa testimo-nianza autografa dello stesso Paolo suoi mo-tivi del suo assassinio.

Basta questo per capire che non possono essere in alcun modo accettate le motivazioni addotte dallo stesso Arcangioli per giusti-ficare le innumerevoli e discordanti versioni date per giustificare le sue presunte amnesie sulle persone alle quali quella borsa era stata consegnata. Per riapparire, due ore dopo la sua scomparsa, sul sedile posteriore della macchina blindata di Paolo ma vuota del suo prezioso contenuto.

Quell'uomo che si allontana guiardandosi intorno con espressione sicura e che si guar-da intorno per verificare se qualcuno lo sta osservando non è un uomo sconvolto, è un uomo sicuro di sè e a cui non importa se è fatto di sangue e di pezzi di carne il terreno

su cui cammina. E' un uomo che sta compiendo una azione di guerra e deve portarla a termine.

E se così non fosse, se il Cap. Arcangioli fosse innocente e non fosse lui ad avere sot-tratto quella agenda, gli dovrebbe essere data la possibilità di difendersi in un pubblico dibattimento, di difendersi davanti all'o-pinone pubblica da un'accusa così infamante con la stessa visibilità che è stata data ai pro-cessii dei coniugi di Erba, di Meredith, della Franzoni o alla pretesa agonia mediatica di un povero corpo morto ormai da 17 anni come quello di Eluana.

Ma la Giustizia in Italia è ormai marcia, eliminati senza bisogno di tritolo quei giudici che hanno osato avvicinarsi ai fili scoperti della corruzione del sistema di potere, inti-moriti gli altri magistrati con gli esempi di provvedimenti disciplinari inauditi e da espulsioni dalla Magistratura per giudici che cercavano soltanto di ottemperare al giura-mento prestato allo Stato al momento di in-treprendere il loro servizio a quello Stato in cui avevano creduto, si è ormai arrivati alla fase finale.

Per legge si proclama che il nero è bianco e che la realtà non è quella che vediamo. É quella che DOBBIAMO vedere.

Salvatore Borsellino

|| 20 febbraio 2009 || pagina 02 || www.ucuntu.org ||

Chi ha veramente dato l'ordine di uccidere ilChi ha veramente dato l'ordine di uccidere il giudice Borsellino? Perché è sparita la suagiudice Borsellino? Perché è sparita la sua agenda? Che cosa c'era dentro? Chi l'ha portataagenda? Che cosa c'era dentro? Chi l'ha portata via? Perché vengono bloccate le indagini suvia? Perché vengono bloccate le indagini su questo caso? Chi aveva paura dei giudici comequesto caso? Chi aveva paura dei giudici come Borsellino? Chi ne ha paura ora?Borsellino? Chi ne ha paura ora?

Page 3: Ucuntu n.30

Regime/ 2Regime/ 2

“Ah ah, tutti queirossi ammazzzati!”Quando i piduistiridono fra di loro

Chi parla dei desaparecidos e dei “voli della morte” come ne ha parlato il più ignorante e volgare presidente del consiglio della nostra repubblica è un infame. Le parole pronunciate da costui a Cagliari, durante la campagna elettorale, non sono battute, non sono uno scherzo, non sono una gaffe, come continuano a definire questo genere di dichiarazioni i giornali. Appartengono, viceversa, ad una strategia precisa, quella della “spallata”, che prevede una marcia indietro, via Ansa, se la spalla si accorge che il muro, per il momento, ha retto.

Le cosiddette “gaffe” dell’Infame non sono altro che l’espressione di un desiderio. Il capo supremo dei torturatori argentini, Emilio Massera, numero due della giunta della dittatura (con Videla e Agosti) era iscritto alla P2 di Licio Gelli, esattamente come il peggior presidente del consiglio della nostra repubblica. Da che parte sarebbe stato, l’Infame se a quei tempi avesse avuto un qualsivoglia potere?

Avrebbe giustificato i torturatori, dicendo che la “picana” elettrica fa soltanto il solletico ai testicoli, oppure avrebbe denunciato le torture e si sarebbe schierato a difesa dei torturati?

* * * La P2 appoggiò, avallò, partecipò alle

torture e ai voli della morte sul Rio de la Plata, così come il nunzio apostolico del Vaticano, Pio Laghi, morto poche settimane orsono, così come l’estremista di destra Stefano Delle Chiaie, che saltava un po’ di qua (Cile di Pinochet) e un po’ di là (Argentina di Videla) nei teatri dell’orrore anni Settanta e che oggi se ne va liberamente a zonzo per le strade di Roma.

La P2 era uno degli attori della “guerra sucia” e del Piano Condor, concordato a tavolino da tutte le dittature del Sudamerica per la caccia e l’eliminazione agli oppositori di sinistra. Il nostro peggiore presidente del consiglio ne condivideva in toto il Piano di rinascita nazionale, che guarda caso combacia perfettamente – come ha più volte fatto notare Marco Travaglio – con le mosse del governo nei confronti della magistratura, dei giornali, dei sindacati non servili, del garante della Costituzione.

* * * Soltanto l’Unità, sabato 14 febbraio, ha

scritto delle risate che l’Infame si è fatto, complice una platea di sardi beoti, alle spalle delle famiglie dei desaparecidos.

Nessun altro s’è scandalizzato. Per fortuna, il mercoledì successivo, la notizia è arrivata in Argentina, che nonostante il suo passato oggi è un paese “normale”. Qui la condanna è stata netta. Il governo ha con-vocato l’ambasciatore italiano a Buenos Aires e ha chiesto spiegazioni. L’ambasciatore si è affrettato a dichiarare, come da noiosissimo copione, che Berlusconi è stato frainteso.

Nessuno gli ha creduto. Uno dei sempre più numerosi “reggicoda” del premier ha tuonato: “E’ un’opera di sciacallaggio”. Non possiamo saperlo con certezza, ma è probabile che dopo il suo ridanciano discorso, l’Infame abbia dato di gomito a Cappellacci e gli abbia detto: “Eh, Ugo, non sarebbe male se davvero potessimo eliminare a quel modo quei coglioni che non mi votano”.

Coglioni lo può dire, lo ha già detto. Andrebbe fermato con qualunque mezzo, ma gli italiani, anche in quell’occasione, ci passarono su.

Riccardo De Gennaro

|| 20 febbraio 2009 || pagina 03 || www.ucuntu.org ||

“Gli danno un pallone e gli dicono: andate a“Gli danno un pallone e gli dicono: andate a giocare fuori...”. Fuori, cioè giù dagli aerei congiocare fuori...”. Fuori, cioè giù dagli aerei con cui i dittatori argentini eliminavano gli oppositocui i dittatori argentini eliminavano gli opposito--ri. Dittatori iscritti alla P2, esattamente come ilri. Dittatori iscritti alla P2, esattamente come il Governante italiano che ride ora. Berlusconi cheGovernante italiano che ride ora. Berlusconi che scherza suscherza sugli omicidi di Massera: sarà un caso?gli omicidi di Massera: sarà un caso?

Page 4: Ucuntu n.30

Attilio Manca/ “Non parlate di lui”, dicono i mafiosiAttilio Manca/ “Non parlate di lui”, dicono i mafiosi

Dormi sepolto...Sogno, ragione e verità

contro la mafia

.. Non parlate di mafia nella provincia di Messina..Questo il «consiglio» che arriva dagli amici degli Amici in occasione di un dibattito pubblico in memoria di Attilio Manca, medico urologo morto a Viterbo cinque anni fa. Questa teoria del «discredito» è ormai vecchia ma pare che da queste parti sia ancora di moda.

Ci si scontrano ogni anno i familiari di Beppe Alfano, quelli di Graziella Campagna e negli ultimi tempi il fratello di Adolfo Parmaliana e i genitori di Attilio Manca. Morti di mafia dei quali non si può parlare in pubblico nel messinese, dove si preferisce creare il vuoto intorno alle vittime, generando un sostegno indiretto ai mafiosi. Ed è nell’isolamento pubblico della città che i familiari di Attilio Manca chiedono da anni la riapertura del caso, archiviato come “suicidio”.

Secondo i familiari infatti Attilio Manca sarebbe stato “ingaggiato” dalla mafia locale (da sempre operativa sulle latitanze dei grandi boss siciliani) per visitare e operare il finto “Gaspare Troia”, ovvero Bernardo Provenzano,

nella clinica di Marsiglia nell’ottobre del 2003. Ma noi questo non lo diremo per non « infangare» il paese. E allora raccontiamo un’altra storia, che di mafia non parla, ed è quella di un giovane siciliano che sogna di fare il medico, lascia Barcellona e intraprende un percorso di «eccellenza» che lo porterà a diventare l’unico urologo in Italia capace di operare il tumore alla prostata in laparoscopia (secondo in Europa, insieme ad un collega francese).

Tanti progetti all’orizzonte, una vita serena e un avvenire promettente ma nonostante questo, secondo gli inquirenti della procura di Viterbo, il giovane rientrato da una giornata di lavoro come tante, decide di suicidarsi l’11 febbraio del 2004.

Le circostanze della morte appaiono alquanto anomale: il medico si sarebbe iniettato per ben due volte un mix di sostanze stupefacenti con la mano sinistra nel polso sinistro, nonostante fosse mancino e procurato da solo dei lividi al volto prima di morire. “Le prime indagini sono state sbrigative, imprecise e traballati” ha

ricordato nell’incontro a Barcellona Pozzo di Gotto, il legale della famiglia Manca, Fabio Repici .

L’incidente probatorio in corso ha permesso di accertare inoltre che la sera in cui il giovane medico si sarebbe suicidato non era solo in casa; delle 14 impronte “estranee”una di queste appartiene con certezza ad un parente del medico, il cugino Ugo Manca (imputato per traffico di droga nel processo Mare nostrum).

L’uomo ha sempre fatto risalire la sua presenza nella casa del medico ad una visita compiuta due mesi prima della sua morte. Le ultime consulenze di periti però ritengono incompatibile le condizioni ambientali dell’ abitazione con la permanenza delle impronte e datano invece in un tempo successivo la presenza di «ignoti» nell’ appartamento.

La giustizia farà il suo corso ma perché questo muro di gomma intorno ad un suicidio – si chiedono i familiari del medico?

|| 20 febbraio 2009 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||

Cinque anni. Quanto tempo deve passare? Stiamo aspettando il processoCinque anni. Quanto tempo deve passare? Stiamo aspettando il processo per la morte di Attilio Manca, di Barcellona Pozzo di Gotto, urologo diper la morte di Attilio Manca, di Barcellona Pozzo di Gotto, urologo di fama internazionale. L'incidente probatorio ha accertato che quella serafama internazionale. L'incidente probatorio ha accertato che quella sera non era certo solo: cinque diverse impronte, di cui una già accertata. E inon era certo solo: cinque diverse impronte, di cui una già accertata. E i segni sul suo corpo. Il frate, le intercettazioni telefoniche, Bernandosegni sul suo corpo. Il frate, le intercettazioni telefoniche, Bernando Provenzano. ”Iddu è stato qui”Provenzano. ”Iddu è stato qui”

Page 5: Ucuntu n.30

Attilio Manca/ “Non parlate di lui”,dicono i mafiosiAttilio Manca/ “Non parlate di lui”,dicono i mafiosi

La risposta a questa domanda la danno i pentiti, le carte giudiziarie, e le indagini che in questi ultimi anni stanno ricostruendo pezzo per pezzo la rete di connivenze e appoggi che ha garantito al boss numero uno di Cosa nostra una latitanza dorata per 43 lunghissimi anni. “Prima di Montagna dei cavalli – dichiara l’avvocato Repici - abbiamo modo di credere che Provenzano sia stato latitante qui a Barcellona Pozzo di Gotto, il che non è una novità perché questa provincia è stata proprio area di latitanze.

“Ci sono dei fatti – continua Repici - che da soli non accusano nessuno ma che sono organici a latitanze di questo calibro; dalla presenza nel convento di Barcellona Pozzo di Gotto di un frate che è membro della famiglia principale reggente della latitanza di Bernardo Provenzano, passando per le intercettazioni telefoniche dell’operazione “Vivaio” nelle quali la sorella del boss di Mazzarà Sant’Andrea commenta: “ragione avevano i Manca a dire che “iddru” è stato qui”; sino alle ultime deposizioni dei boss Francesco Franzese e Gaspare

Pastoia che confermerebbero l’asse Palermo – Messina nella latitanza di Provenzano.

Ce n’è abbastanza anche per la stampa locale e per quella nazionale, che staranno in silenzio per parecchio tempo. Se ne occupa invece un giornalista spagnolo che sul caso Manca scrive il libro“Enigma del caso Manca”; inutile dire che in Italia, con molta probabilità, questa inchiesta non la leggeremo: in troppi si sono già mossi per bloccarne l’uscita nelle librerie italiane. E per essere “soltanto” la storia di un medico morto suicida a tanti chilometri di distanza da Corleone e da Barcellona pozzo di Gotto, questo stato di allerta è inspiegabile.

Ma ricordiamolo di questo non si deve discutere in pubblico a Barcellona Pozzo di Gotto perché è solo un pretesto per « gettare fango sul paese», come affermano gli amici degli Amici, che presidiano - indisturbati - dibattiti pubblici in memoria di queste ed altre vittime di mafia. Peccato che intorno al Longano – come confermano le ultime due operazioni della Dda, “Pozzo e Vivaio” invece si snodano da decenni

un numero consistente di affari incastonati in un sistema che va dalla gestione di appalti a quello delle discariche, dal pizzo “a tappeto” (dal singolo fruttivendolo alle ditte di cemento) sino ai rapporti con la politica e alla gestione indiretta (tramite prestanome) di locali notturni a Milazzo (fatti smentiti dai diretti proprietari). Il tutto lo raccontano due collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni però non bastano a smantellare questo sistema che tiene in ginocchio una provincia grazie anche alla complicità di apparati statali locali e il silenzio delle vittime di usura e pizzo. Contro gli imputati in questione non ci sono sufficienti elementi d’ indagine, tanto che lo scorso 19 gennaio su 90 indagati solo per tredici sono scattate misure di custodia cautelare.

Ci possiamo anche credere che questa non si chiami mafia, ma per cortesia dopo più di trent’ anni di silenzi, complicità e morti, se questa non è mafia spiegateci cos’è.

Norma Ferrara,Libera Informazione

|| 20 febbraio 2009 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||

“Spero che la ricerca

non venga interrotta,

per continuare a vivere

nei miei successori.

Spero che qualcuno un giorno

possa trovare la verità,

per non vanificare me

e millenni

di generazioni umane”

Page 6: Ucuntu n.30

Lavoratori/ DirittiLavoratori/ Diritti

Se ancheil sindacatosi comportada padrone

L’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori consi-dera inefficace o nullo il licenziamento quan-do avviene senza giusta causa o giustificato motivo. Eppure la Cgil, la più grande orga-nizzazione dei lavoratori, sembra averlo di-menticato. Ciro Crescentini e Luigi Casti-glione, dopo aver lavorato per più di 20 anni nel sindacato, sono stati un bel giorno licen-ziati, ma entrambi si sono ribellati ricorrendo alle vie legali. Sebbene la Cassazione abbia ritenuto il licenziamento di Castiglione ille-gittimo e pretestuoso, la Cgil si è appellata sostenendo che le organizzazioni sindacali non sono tenute ad applicare l’art.18. Ed è vero, dato che l’art. 4 della legge 108 del 1990 esime dal meccanismo di reintegro i “datori di lavoro non imprenditori che svol-gono senza fini di lucro attività di natura po-litica, sindacale, culturale, di istruzione ovve-ro di religione o di culto”.

A Catania, un onesto lavoratore è al centro di un'altra storia di diritti calpestati da un sin-dacato. Si chiama Giovanni Sapienza e la sua vicenda è davvero complicata. Nato a San Cristoforo nel cortile Ariete, Giovanni vive da 25 anni in una piccola abitazione popolare a Librino. Nell’ ‘85 ha iniziato “a lavorare in nero alla Cgil di Catania svolgendo varie mansioni e anche incarichi di fiducia per il segretario. "Mi occupavo della manutenzione dell’edificio, ero responsabile dell’apertura e della chiusura dei locali e della loro

vigilanza, sbrigavo pratiche esterne e organizzavo persino cortei. Speravo di essere prima o poi regolarizzato, ma gli anni passavano e io restavo senza tutele e prospettive di cambiamento. A seguito delle mie continue pressioni per la regolarizzazione del rapporto lavorativo e dei 13 anni di oneri contributivi, nel 1998 la Confederazione trovò un éscamotage. Venni assunto dalla ditta di pulizie, Alizzi Grazia, poi divenuta Novalux, ma solo formalmente! Di fatto avevo le responsabilità di sempre e non mi occupavo certo di pulizie".

"Dopo altri cinque anni - continua Sapienza - nel settembre 2003 decisi di rifiutare lo sti-pendio in segno di protesta. Il mio vero dato-re di lavoro era la Cgil e volevo che la mia situazione lavorativa - spiega Giovanni - di-ventasse chiara senza ditte fantoccio in mez-zo. Così chiesi alla Cgil di rispettare i miei diritti assumendomi e coprendo gli anni con-tributivi trascorsi. Da quel momento venni allontanato dai rapporti di fiducia, molti col-leghi non mi parlarono più e fui confinato al centralino, fino a quando nel dicembre 2003 la sostituzione della serratura della porta d’ingresso non mi consentì di entrare. Capii che la situazione sarebbe precipitata di lì a poco. E infatti prima delle festività natalizie ricevetti la lettera di licenziamento”.

Fallito nel marzo 2004 il tentativo di conci-liazione per mancata comparizione della

Cgil, Giovanni decide di rivolgersi alla magi-stratura per difendere i suoi diritti. Le udien-ze si susseguono lentamente, dilazionate ed estenuanti. La Cgil sostiene che Giovanni “prima del ‘98 era conosciuto solo come aspirante attivista sindacale che frequentava, saltuariamente ed occasionalmente, i locali della Camera del lavoro della Cgil”.

Tra un’udienza e l’altra almeno sei mesi d’intervallo. “Intanto io cado in depressione e mi rivolgo all’Istituto d’igiene mentale dove vengo seguito per due anni dalla dotto-ressa Gulisano. La mia vita familiare diventa un inferno, incerta e senza prospettive: chi mi assumerebbe, alla mia età? Resto senza lavoro, senza soldi e senza alcuna tutela previdenziale. Le mie figlie sono costrette a cercare lavoro a Firenze e mio figlio si trasferisce a Pistoia. I debiti aumentano”.

“Orra aspetto l’udienza di aprile, ma io non mollo, continuerò a lottare per i miei dirittii. Voglio essere riassunto, voglio riprendere il mio posto di lavoro. Devo ritornare a vivere, risalire da questo inferno!”.

Da giornalista sento il bisogno di sentire l’altra campana. Mi reco alla Camera del La-voro in Via Crociferi. Nessuno dei dirigenti sembra sapere nulla, qualcuno dice solo che Sapienza lavorava per una ditta di pulizie, nient’altro. Chi è delegato a seguire il pro-cesso non vuole neppure ricevermi.

Sonia Giardina

|| 20 febbraio 2009 || pagina 06 || www.ucuntu.org ||

Il sindacato, che di solito difende i lavoratori, a CataIl sindacato, che di solito difende i lavoratori, a Cata--nia si trova in causa con uno di loro. Per anni e anni,nia si trova in causa con uno di loro. Per anni e anni, Giovanni Sapienza ha lavorato alla sede – aprire,Giovanni Sapienza ha lavorato alla sede – aprire, chiudire, vigilare, sbrigare pratichiudire, vigilare, sbrigare pratiche, organizzare – mache, organizzare – ma senza contratto. C'è un buco nella legge. Ma approfitsenza contratto. C'è un buco nella legge. Ma approfit--tarne è giusto, per un sindacato?tarne è giusto, per un sindacato?

Page 7: Ucuntu n.30

“Maledetti! Vanno sgomberati!”“Maledetti! Vanno sgomberati!”

Quei centri socialitroppo scomodiper i valenti politicicatanesi

Dopo l' intervista a Giacomo Bellavia ("Auro ed Experia vanno sgomberati"), in cui l'esponente di Azione Giovani defini-va i centri sociali come portatori di valori sbagliati, colloquio con Valerio Marletta del Centro sociale Auro: “Non abbiamo deciso noi di essere abusivi, è il centrode-stra catanese ad attuare una ben precisa scelta politica nei nostri confronti”

* * *- Cos'è l'Auro e come viene gestito?"L'Auro è uno spazio sociale che esiste

da ben 17 anni dove è possibile acquisire un senso d'appartenenza ad una collettivi-tà, dove è possibile esprimere la propria arte, organizzare eventi che si sentono propri e che sono fuori dal circuito inter-nazionale, così come è possibile produrre o ascoltare musica fuori dallo stesso cir-cuito: il tutto senza bisogno di avere soldi in tasca. È guidato da un Comitato di ge-stione che si riunisce in assemblee pubbli-che ed è formato da un gruppo di occu-panti storici, persone oltre i 40 anni che fanno parte della fondazione Aiello, alcu-ni giovani dei collettivi di varie realtà stu-dentesche e alcuni giovani di Rifondazio-ne Comunista".

- Come rispondi alla accuse di discrimi-

nazione e violenza di Bellavia?"Devo ammetterlo, in parte siamo disci-

minatori, perché abbiamo fatto dell'antifa-scismo la nostra bandiera e quindi osteg-giamo qualsiasi propaganda fascista. Chiunque non sia fascista o vuol sponso-rizzare iniziative non fasciste è benvenu-to. Associazioni come Manitese, Arci, Gi-rodivite hanno utilizzato i locali dell'Auro per loro iniziative, ad esempio. La violen-za è pura falsità. Non c'è mai stato in 17 anni un intervento delle forze dell'ordine per sedare delle risse all'Auro e non c'è un solo arrestato per fatti politici tra chi ge-stisce il comitato. Anche nel quartiere la gente è tranquilla e non ci sono mai state delle denunce o azioni giuridiche di qual-siasi genere contro l'Auro".

- Bellavia afferma che proponete un mo-dello sbagliato alla città per la cattiva abi-tudine di consumare droghe leggere e pe-santi. Come rispondete?

"È ben nota la nostra posizione nei con-fronti delle droghe leggere. Abbiamo sem-pre sostenuto che "giusto o sbagliato non può essere reato". La linea di gestione del Comitato però invita a non fumare dentro i locali del centro proprio perché non vogliamo rappresentare un modello

sbagliato. Per quel che riguarda le droghe pesanti, invece, siamo proprio contro"

- Parliamo di illegalità. Quando era sin-daco, Enzo Bianco aveva concesso alla fondazione Aiello una convenzione per farvi rimanere in quei locali. Da anni però è scaduta e non è mai stata più rinnovata. Siete occupanti abusivi di un palazzo co-munale, quindi.

"Si, effettivamente è così. È un bene pubblico, ma è anche gestito dal pubblico, noi non siamo un ente privato. Era abban-donato, impossibile da utilizzare per i cit-tadini e noi lo abbiamo reso fruibile a sco-pi sociali. Non volevamo per forza l'ille-galità, anzi, ma siamo stati obbligati a questa situazione perché né Scapagnini prima, né Stancanelli adesso hanno voluto rinnovare la convenzione e francamente non ne capiamo il perché. Chiedevamo solo continuità nella legalità, invece sem-bra esserci nel centrodestra una scelta po-litica ben precisa nei nostri confronti, aiz-zata anche da atteggiamenti come quelli del consigliere Bellavia. Esistono, inoltre, altri palazzi dati in gestione per servizi alla città, alla Cgil, per esempio, o alla Caritas. Perché a noi no?"

Desirée Miranda, Step1

|| 20 febbraio 2009 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||

Bel mestiere, il politico: non lavori, fai i soldi e teBel mestiere, il politico: non lavori, fai i soldi e te ne vai in giro tutto pimpante a giudicare quelli chene vai in giro tutto pimpante a giudicare quelli che ininvece si fanno un mazzo così per rendere un po'vece si fanno un mazzo così per rendere un po' meno invivibile la città. Che ritrovi ci sono (spacmeno invivibile la città. Che ritrovi ci sono (spac--ciatori a parte) nei quartieri catanesi? Quei pochi,ciatori a parte) nei quartieri catanesi? Quei pochi, li vogliono chiudere. Per fare un favore a chi?li vogliono chiudere. Per fare un favore a chi?

Page 8: Ucuntu n.30

PromemoriaPromemoria

|| 20 febbraio 2009 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||

(Magari non ve ne ricordate più dei precari, quelli della ricerca, quelli dell'università. Queste sono le foto-ricordo

dell'ultima assemblea che hanno fatto, a bordo del traghetto Sicilia-Calabria – per traghettare rivolte, o forse

fare un ponte, chissà)