Ucuntu n.23

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5 dicembre 2008

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Tutti fuoricorso

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Roma bagnataRoma bagnata

L'ondadel Teveree quelladi Berlusconi

Dopo l’Onda studentesca quella del Tevere. Una signora con la macchina fotografica scatta istantanee della piena del Tevere da Ponte Testaccio. L’acqua è alta una decina metri, gli alberi sem-brano cespugli, o isole nella corrente. Per tutto il pomeriggio il fiume ha tra-sportato di tutto, pneumatici, vestiti, addirittura baracche.

Là dove la domenica corrono maratoneti e ciclisti, oggi non potrebbero scivolare neppure gli atleti del canottaggio, perché rischierebbero di sbattere la testa contro il ponte. Terminato il lavoro di documentazione (pare fosse dal 1930 che il livello dell’acqua non salisse fino a questo punto) la signora si volta verso di me e mi dice: “Mi aspetto di veder passare Alemanno, Bondi e Berlusconi”.

È grave che l’affermazione non mi sorprenda (forse il solo Bondi), quasi me l’aspettavo, anche se sentire augurare la morte a qualcuno non è bello e, soprattutto, non è un buon segno. Le rispondo che sì, la giunta comunale qualcosa rischia. D’altronde l’unica soluzione proposta dal sindaco Alemanno è dire ai cittadini di non

uscire di casa, il che un po’ ricorda il Vaticano quando sostiene che l’unico rimedio contro l’Aids è l’astensione sessuale.

È inquietante che la battaglia po-litica si affidi oggi alle malattie, alle in-temperie e alle calamità naturali. Signi-fica che nessuno crede più nella capaci-tà di mobilitazione, di rinnovamento e di opposizione del centrosinistra. Non è il vecchio “piove, governo ladro”. È qualcosa che va più in là. Quell’espres-sione conteneva una sorta di indulgen-za (e dunque speranza) nei confronti dell’amministrazione pubblica, oggi c’è invece rassegnazione, frustrazione, rabbia anche.

Ma bisogna combattere a mani nude. I due anni dell’ultimo governo Prodi hanno fatto perdere credibilità alla sinistra, che aveva promesso la legge sul conflitto di interessi e, per la seconda volta, non ha mantenuto l’impegno nei confronti dei suoi eletto-ri. Ora i casi di Napoli, Firenze, dell’A-bruzzo, la “riabilitazione” delle inchie-ste di De Magistris in Calabria hanno sottratto qualunque arma dalle mani dell’opposizione.

La sinistra non ha saputo trarre alcuna nuova spinta propulsiva dalla vittoria di Obama negli Stati Uniti, se non nel ricorrere vanamente allo stesso slogan (“We can”), alla stessa frase elettorale (“la nazione è migliore di chi la governa”) e allo stesso strumento (Facebook). Alla fine ci ha provato Liberazione, sfiorando il ridicolo, con la vittoria di Vladimir Luxuria all’Isola dei Famosi. Per Sansonetti, infatti, le masse non vanno più educate con la lettura di Gramsci e Victor Hugo, ma con i reality.

L’abilità di Berlusconi è di porta-re gli avversari su falsi terreni di scon-tro. Questi ultimi non si fanno pregare, ci godono. Nel frattempo, lui prosegue con sempre maggiore decisione e sem-pre meno ostacoli il suo programma “piduista” per la normalizzazione delle rare sacche di resistenza nella Rai e nella carta stampata e per la riforma della giustizia contro i magistrati sco-modi. È drammatico, ma l’impressione è che nemmeno Giove pluvio e il Teve-re in piena potranno salvarci.

Riccardo De Gennaro

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Il Tevere? Tracima. La gente? Si rassegna.Il Tevere? Tracima. La gente? Si rassegna. Berlusconi? Governa. E l'opposizione?Berlusconi? Governa. E l'opposizione? Culturalmente parlando, gli corre dietro. FraCulturalmente parlando, gli corre dietro. Fra parole d'ordine (americane) copiate e isole (deiparole d'ordine (americane) copiate e isole (dei Famosi) conquistate, non si può dire che ciFamosi) conquistate, non si può dire che ci siano grandi idee alternative. A meno che... siano grandi idee alternative. A meno che...

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Catania, Messina...Catania, Messina...

Che finehanno fatto quila Scienzae l'Informazione

A Messina, tanto per cambiare, hanno rinviato a giudizio il rettore. In margine all'inchiesta telefonate minatorie del tipo "Sono soltanto un messaggero del Ma-gnifico e con questo concorso sta scop-piando una bomba. Questo concorso lo deve vincere Macrì". A Catania, una vitti-ma, o forse due, o forse dieci, o forse an-che di più, per le terrificanti condizioni di inquinamento dei laboratori di Farmacia.

Ma stiamo parlando ancora di Univer-sità? E' giusto dare ancora lo status di istituto scientifico a luoghi in cui si per-petrano delitti così gravi?

Sui giornali ufficiali sia di Messina che di Catania è già uscita (sempre con grande evidenza) più d'una lettera di stu-denti e studentesse che dichiarano di sen-tirsi vittime della stampa del nord. “Ci criminalizzano perché siamo siciliani”, “Cercano lo scoop a tutti i costi”, “Perché non parlano delle cose buone che faccia-mo qui?”. Lettere vittimistiche, giustifi-cazionistiche, omertose.

Ecco: la lunga agonia delle università di Messina e Catania sta producendo ef-fetti gravissimi non solo materialmente, ma anche in quello che dovrebbe essere il principale terreno dell'università, la for-

mazione umana.Avremo laureati bestie (avendo studia-

to con professori raccomandati), irre-sponsabili, queruli, omertosi. Certamente non tutti (ci mancherebbe!) ma una parte sì, sul modello preciso della classe diri-gente attuale. E allora?

Forse sarebbe il caso di dare un segnale forte, di sospendere i corsi per un anno. Oppure di avere, per un intero anno acca-demico, una presenza fortissima della contestazione studentesca nelle facoltà. Nell'uno e nell'altro caso, non sarebbe – e non dovrebbe essere – un anno accademi-co normale. Perché “normale”, qua al sud, oramai vuol dire un'altra cosa. Ed è ipocrita entusiasmarsi sul libro di Savia-no se poi si accetta, anche in minima par-te, questa normalità.

* * *“Com'è finita con la Periferica?” ci

chiedono, non solo dalla Sicilia, in tanti. Bene, direi. Continua a lavorare, il nume-ro nuovo è in edicola, il 5 gennaio – pro-babilmente – sarà al centro di un evento che coinvolgerà non solo le testate di base siciliane (che stiamo invitando fin d'ora, sulla tradizione di “Sbavaglio”) ma anche organismi nazionali come Libera

Informazione. E' tutt'altro che isolata, insomma, e rischia anzi di diventare un modello esemplare per tutti gli altri ragazzi – che non son pochi – che vogliono far cose utili per il quartiere o la borgata in cui stanno.

Attorno alla Periferica, però, continua-no ad accadere cose strane. Per esempio, la Caritas di Catania ha appena annuncia-to l'apertura di un “giornale di strada” an-che qui. Nel farlo, però:- ha ignorato completamente i redattori della Periferica, che sono tecnicamente i più preparati nel settore (non fosse che per l'esperienza fatta finora così bene e a lungo, e proprio a fianco della Caritas);- ha invece invitato in prima fila un gros-so politico locale, Castiglione, la cui va-lutazione da parte dell'opinione pubblica (e siamo in Sicilia) non è precisamente entusiastica o cristallina. Sembra che Castiglione, che è presi-dente della Provincia, stanzierà una gros-sa somma a favore della Caritas catanese. Va bene: tutto ciò qui è normale. Mi chiedo però che cosa ne avrebbero detto, per esempio, padre Greco o don Milani.

–Riccardo Orioles

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A Messina indagano il Rettore. A Catania non si saA Messina indagano il Rettore. A Catania non si sa ancora quanti giovani ricercatori sono stati uccisi daiancora quanti giovani ricercatori sono stati uccisi dai veleni chimici a Farmacia. Sono ancora Università, oveleni chimici a Farmacia. Sono ancora Università, o sono un'altra cosa? Chi provvederà a risanarle, lesono un'altra cosa? Chi provvederà a risanarle, le autorità o gli studenti? L'informazione ufficiale,autorità o gli studenti? L'informazione ufficiale, intanto, continua a essere se stessa. Cioè omertosaintanto, continua a essere se stessa. Cioè omertosa

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StudentiStudenti

“Grecia Italiastessa facciastessa razza”

Atene. Quartiere universitario Exar-chia. Giorno 6 dicembre. Alexis è stato ucciso da un colpo di pistola sparato dai reparti speciali di polizia durante la dura repressione di una manifestazione studentesca.

Non possiamo che cominciare vol-gendo il nostro pensiero a lui, ai ragaz-zi e lavoratori che in Grecia, e ovun-que, continuano a lottare, a chi ha per-so la vita manifestando le proprie idee, a Carlo.

Catania. 11 dicembre. Il movimento studentesco, in risposta ai terribili fatti di Atene, ha occupato simbolicamente il consolato greco in viale Ionio, per esprimere massima solidarietà a chi, ancora in queste ore, lotta per i propri diritti e viene brutalmente represso. Al-l'appuntamento in piazza Galatea era-vamo circa una quarantina di studenti universitari del movimento studentesco catanese. Alle 16, sotto una pioggia in-cessante, ci siamo mossi verso il con-solato. Otto ragazzi, tra cui una ragazza greca, si sono assunti l'onere e la re-

sponsabilità di salire al terzo piano del palazzo e comunicare al personale la nostra volontà di srotolare dalle fine-stre del consolato uno striscione di soli-darietà con gli studenti ed il popolo greco dopo i fatti che tutti conosciamo.

Si è trattato di un gesto simbolico condotto con modalità pacifica mentre il resto dei ragazzi rimaneva all'ingres-so con megafono e striscione. Dopo tre minuti esatti dall'ingresso degli otto ra-gazzi al consolato è arrivata la polizia che ci ha messo alcuni minuti per farsi largo a spintoni, e sottolineo che men-tre a volere entrare erano uomini ner-boruti ad impedire l'accesso c'erano an-che ragazze che non ricorderanno que-sto come il più cortese degli approcci.

Dalle quattro e mezza alle sei del pomeriggio l'anonimo consolato greco dove "nun ci veni mai nuddu", sottoli-nea un negoziante ai ragazzi che tengo-no lo striscione accanto all'ingresso, è stato meta di vero e proprio pellegri-naggio da parte delle forze dell'ordine, mancavano solo Montalbano ed il cane

Rex per essere al completo. Coppie di poliziotti piantonavano ogni pianerot-tolo mentre funzionari continuavano a salire le scale.In quest'intervallo di tempo giù al portone si è tenuto un pre-sidio con un giro di interventi al mega-fono, si è attesa anche la stampa "ufficiale", avvisata in tempo reale tramite comunicati, ma invano.

L'evidente empasse diplomatica si è risolta intorno alle 18:30 quando gli otto sono stati fatti scendere e accomodare sulle volanti dirette in questura.

In via Manzoni abbiamo atteso fino alle 20, e sempre sotto una pioggia insistente, il rilascio dei sette ragazzi in stato di fermo; al momento non si parla di denunce ma non c'è estrema chiarezza su questo punto.

da: L'Onda Catanese,giornale deglistudenti in lotta. Per collaborare:

[email protected]

|| 15 dicembre 2008 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||

E' un modo di dire che sentite frequentementeE' un modo di dire che sentite frequentemente quando siete in vacanza in Grecia e risale aiquando siete in vacanza in Grecia e risale ai tempi delle grandi emigrazioni affontatetempi delle grandi emigrazioni affontate insieme. Quaggiù in Sicilia siamo tutti un po'insieme. Quaggiù in Sicilia siamo tutti un po' Greci. Specialmente quando c'è bisogno diGreci. Specialmente quando c'è bisogno di solidarietà. Cronaca di una giornata amicasolidarietà. Cronaca di una giornata amica

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StudentiStudenti

Morire di“normalità”Il prezzodi che cosa?

"Quello che descrivo è un caso dannoso e ignobile di smaltimento di rifiuti tossici e l'utilizzo di sostanze e reattivi chimici potenzialmente tossici e nocivi in un edificio non idoneo a tale scopo e sprovvisto dei minimi requisiti di sicurezza […] Non c'era un sistema idoneo di aspirazione e filtrazione, c'erano odori e fumi tossici molto fastidiosi e spesso eravamo costretti ad aprire le porte in modo da fare ventilare l'ambiente […] C'erano due cappe di aspirazione antiquate, quindi lavorare lì sotto era lo stesso che lavorare al di fuori di esse […] Le sostanze chimiche, i reattivi ed i solventi erano con-servati sulle mensole, sui banconi, in un armadio sprovvisto di sistemazione di aspirazione e dentro due frigoriferi per uso domestico tutti arrugginiti in una stanza di 120 metri quadri, tre porte e tre finestre non apribili, due sole cappe di aspirazione antiche e inadeguate e tutte le sostanze killer lasciate lì sui banconi, nei secchi, in due frigoriferi arrugginiti, con vapori e fumi nauseabondi e reflui smaltiti a mano.[…] avvertivo spesso mal di testa, astenia ed un sapore strano nel palato come se fossi intossicato […] una situazione di grave e dannoso inquinamento del dipartimento e sicuramente non sono da imputare ad una fatale coincidenza. La mancata accortezza nello smaltimento dei rifiuti tossici e l'utilizzo di sostanze e reagenti chimici in assenza dei minimi requisiti di sicurezza ha nuociuto e potrà ancora nuocere

se non verranno presi solerti provvedimenti".

L’incubo, in questa circostanza, ha le sembianze invisibili, ma ferocemente mortali, di metalli pesanti come mercurio, zinco, antimonio, arsenico, cadmio, cromo, piombo, rame, nichel e stagno che hanno inquinato il sottosuolo, e solventi organici come acetato d'etile, cloroformio, acetonitrile, dicloro-metano, metanolo e poi idrocarburi come il benzene, che coi loro vapori hanno reso irrespirabile l’aria di molti locali interni.

* * *La vicenda Farmacia ha le connotazioni

tipiche di un racconto dell’orrore, invece si tratta di vicende realmente accadute, sul cui telaio tentare di imbastire una qualche trama teorica per capire come si sia potuti arrivare a questo punto. Omertà, sicuramente tanta. In molti sapevano, ma come nel migliore copione di stampo siciliano, si viveva in un silenzio assordante. Quello che è successo a Farmacia è qualcosa di talmente grave da non poter arrestare una riflessione su di una mostruosità che ha spezzato così tante vite. Vite di chi lavorava per mantenersi o mantenere la propria famiglia. Non si tratta solo di incidenti sul lavoro, ma di una strage continua che non ha un apparente perché e forse poteva essere evitata. Una strage che vede uomini e donne trasformate in vittime sacrificali da un sistema universitario assurdo, sottratti agli affetti di madri, padri,

figli, mogli, amici che si chiederanno sempre come tutto ciò sia potuto accadere. Risposte che non verranno dalle istituzioni, ma forse dalla magistratura, che ha aperto diversi fascicoli per individuare e colpire i responsabili.

La facoltà faceva lavorare i suoi dipendenti e studiare i suoi allievi senza le condizioni minime di sicurezza, un insieme gravissimo di violazioni che ledono fortemente i diritti di studenti e lavoratori. Una istituzione universitaria sana avrebbe dovuto intervenire prima, imponendo standard di sicurezza, verificandone l’efficienza e mettendo sotto torchio i vertici. Invece proprio in quei corridoi da anni si è sempre parlato sottovoce, tra un caffè e un altro, dei lampanti problemi di sicurezza sotto gli occhi di tutti. I fatti venivano bisbigliati con paura e circospezione, perché si sa come vanno certe cose qui da noi, possono ritorcersi contro il “rompicoglioni” di turno.

Almeno quindici sono i casi di decessi sospetti registrati nell’inferno di Farmacia. Decessi che la magistratura riconsidererà alla luce dei fatti emersi da più di un mese. Non sarà facile dimostrare la concatenazione tra questi due fenomeni, ma è pur vero che vivere in un ambiente dai livelli di inquina-mento ambientale superiore anche centinaia di volte rispetto siti come Gela e Priolo, non può considerarsi una passeggiata di salute.

Francesco Marino

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Il diario di Emanuele Patanè, il giovane ricercaIl diario di Emanuele Patanè, il giovane ricerca--tore ucciso dai veleni della Facoltà di Farmacia,tore ucciso dai veleni della Facoltà di Farmacia, è lo squarcio orrendo di una “normalità” cheè lo squarcio orrendo di una “normalità” che nessuno contesta se non a tragedia già avnessuno contesta se non a tragedia già av--venuta. Che società è mai questa, che città? Evenuta. Che società è mai questa, che città? E questa, è ancora una Università? questa, è ancora una Università?

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Catania/ Omicidi eccellentiCatania/ Omicidi eccellenti

La guerra dei clannella capitale

della droga

Non è uno qualunque, l'uomo che alle 9. 58 del quattordici novembre attraversa via Medaglie D'Oro a bordo del suo scooter, un Liberty 500, il brand dei mafiosi di rango. Ad attendere il suo passaggio, quella matti-na, ci sono due uomini: uno tiene il mi-nimo di una grossa moto e l'altro, die-tro di lui, bisbiglia qualcosa al walkie-talkie: “Spoletta...”. Giacomo Spalletta li vede, conosce bene l'assetto dei “fal-chi” in agguato da cui per tanto tempo si è dovuto guardare. Un brivido, un'occhiata allo specchietto retrovisore e poi via verso l'imbocco che porta in via Santa Maria della Catena.

L'incrocio, come al solito, è un in-trico di auto che si sfidano, un coro di clacson sguaiati, di pedoni che fendono la cortina di fumo che fuoriesce dalla fornace del castagnaro abusivo, all'an-golo opposto dell'ingresso della strada. Lì, altri due uomini aspettano “Spolet-ta”, reggente di un clan, gli Sciuto-Ti-gna, che a Catania gode di un pericolo-so primato, ossia quello di avere il maggior numero di pistole puntate con-tro la nuca dei propri affiliati.

Come la calibro 7.65 che ha abbat-

tuto ad agosto – a quattrocentro metri di distanza da via Santa Maria della Catena - l'emergente Sebastiano Fiche-ra, 37 anni, specializzato in estorsioni e molto attivo nella zona di San Giorgio-Librino, il cui epicentro criminale, il Palazzo di Cemento, pare fosse oggetto delle sue più attenzioni. Gli ronzava attorno, ne bramava il controllo al punto da averlo persino ribattezzato: la Fabbrica. Fichera parlava spesso della Fabbrica e spesso lo faceva con la gente sbagliata e nel posto sbagliato.

Un giorno di luglio -si racconta nel-la zona- verso mezzogiorno, dopo aver ordinato due Martini al bar di San Giorgio, Fichera intavola una discus-sione con un “operaio” della Fabbrica davanti ad una platea di sguardi inde-moniati e di orecchie attente che, pare, di quel colloquio riescono a cogliere soltanto la fine: “Si fanno il dio dei sol-di e ti danno la minuzzaglia”. Un con-cetto ostile, destabilizzante che nutre l'ossessione di Fichera per quella mac-china perfetta che muove la Fabbrica: alle sei del mattino, i “carusi” sospen-dono i turni di distribuzione nel tunnel posto sotto al palazzo, scaricano i sac-

chi neri dai furgoni e, attraverso un si-stema di montacarichi, li trasportano su, ai piani alti del palazzo, tra i corri-doi bui e oltre le tende di carta stagnola o le porte blindate che proteggono gli arsenali murati.

Almeno cinquecento persone, giurano nel quartiere, traggono il loro reddito dai proventi della Fabbrica. Duemila euro di stipendio fisso per i “cavallini”, ossia i fattorini che distribuiscono la merce nei quartieri, nelle strade, nelle abitazioni della città. Un turno di cinque ore, per i “carusi” che consegnano le “stecche” ai clienti del tunnel, ad ogni ora del giorno e della notte, vale dai 300 ai 350 euro.

Alle vedette, molto spesso bambini appostati sui ballatoi di cemento che costeggiano i palazzi, vengono offerte provvigioni legate al tempo prestato al-l'attività di vigilanza. Soldi a fiumi, un business più adeguato -di quello degli appalti e delle estorsioni- per uno che vantava, nel suo curriculum, un ruolo di primo piano nel tavolo in cui i ma-fiosi si spartivano la città nel 2001.

Un protagonismo che era costato caro, all'appena trentenne Sebastiano

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E' caccia al clan Sciuto-Tigna. Dopo quello di Sebastiano Fichera, uccisoE' caccia al clan Sciuto-Tigna. Dopo quello di Sebastiano Fichera, ucciso ad agosto, queste settimane sono state segnate da un altro omicidioad agosto, queste settimane sono state segnate da un altro omicidio molto significativo, quello del boss Giacomo Spalletta. Una nuova guerramolto significativo, quello del boss Giacomo Spalletta. Una nuova guerra di mafia? Pare proprio di sì. Uno scontro durissimo per il controllo deldi mafia? Pare proprio di sì. Uno scontro durissimo per il controllo del business-droga nella “piazza” più importante della Sicilia: Catania business-droga nella “piazza” più importante della Sicilia: Catania

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Catania/ Omicidi eccellentiCatania/ Omicidi eccellenti

Fichera, e che gli era valso l'arresto nel corso di un blitz effettuato nell'ambito dell'operazione “Game Over”. La sera del 27 agosto Fichera monta sul suo Liberty 500 e si reca ad un appuntamento. Conosce già le persone che incontra, è tranquillo, non porta armi con sé. In via Cairoli spegne il motore e tira su il cavalletto dello scooter. Più in là, a bordo di un auto, qualcuno spara a palla una canzone di Gianni Celeste che non basta, però, a coprire il fragore dei tre colpi che colpiscono alla testa Sebastiano Fi-chera. Prima i curiosi, poi i familiari ed infine un'ambulanza mettono fine alla vicenda di uno che, come dicono i ma-fiosi, non “deve vedere l'anno nuovo”.

“Le famiglie – dice un investigatore - vogliono cancellare questo clan”. E nulla è più auspicabile in certi ambienti politici – commenta qualcuno - di una faida che distragga l'opinione pubblica dai problemi della città.

Giacomo Spalletta sa bene come di-stricarsi nell'ingorgo micidiale di via Medaglie d'Oro: soprattutto quando ha fretta, come quella mattina, di arrivare alla “Fiera” per chiudere degli affari.

Fa slalom tra le macchine e lancia oc-chiate, dallo specchietto retrovisore, verso i “Falchi” che sembrano seguirlo e che ad un certo punto, in via Santa Maria della Catena, gli chiedono di ac-costarsi. “Spoletta” scorge le pistole.

Uno dei due “falchi” l'ha già incontrato da qualche parte. Ma dove? Quando? Chi è l'uomo che gli punta contro la canna della pistola? Che cosa cerca da lui? Se vuole i documenti non c'è problema, sono nel bauletto. L'importante è sbrigarsi perché ha degli impegni alla “Fiera”. Un commando di almeno quattro persone -secondo gli inquirenti- scaraventa su “Spoletta” sette colpi di calibro 9 -di cui due alla testa- più uno che va a finire contro l'insegna di un'autoscuola.

Il teatro dell'esecuzione è su una delle strade più trafficate della zona, a dispetto dei giornalisti che, alle 10.04, hanno meno di due ore per montare il servizio. L., fotografo, quando riceve la notizia dell' omicidio sta ancora fotografando il corteo studentesco che sfila a poche centinaia di metri dal luogo dell'agguato, in via Plebiscito. L. ha i suoi tempi: “Mi muovo con calma,

quando arrivo i colleghi sono già andati via, il cadavere viene mosso, la folla si dirada. E' il momento migliore per fare qualche scatto. Ma questa volta...”.

Questa volta cosa? “Guarda qui, la foto del giornale, lo vedi il palo, lo vedi che c'è dietro?” Certo, si vede il palo, il corpo senza vita del boss. E Allora? “Non si vede la testa, il morto non aveva più la testa. Mi ha fatto impressione”. Simbologia mafiosa, sostiene qualcuno. Sì, perché a Spalletta – come spiega un analista di pratiche mafiose- non hanno dato semplicemente un colpo di grazia, quello che serve normalmente a finire la vittima, ma hanno voluto “scippargli la testa”. Letteralmente. E il messaggio è stato recepito: per le strade di San Cristoforo, dei Cappuccini e del Corso Indipendenza, in questi giorni, è raro vedere un Liberty 500. Al massimo qualche 150, roba da scippatori. Gli squadrioti, per il momento, se ne stanno chiusi in casa, cercando di capire da quale parte di questa guerra conviene stare per continuare a tenere la testa sul collo.

Massimo Malerba, Cataniapossibile

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PeriferiePeriferie

Vietatolo sporta LibrinoEcco perché

Dopo aver atteso invano per mesi che almeno alcuni degli impegni assunti nei nostri confronti si trasformassero in realtà, crediamo opportuno che la città in cui cerchiamo di portare avanti un progetto di sport sociale sappia in che condizioni siamo costretti ad operare.

Ad oggi, i nostri ragazzi (un centinaio i tesserati tra under 9, under 11, under 13 e serie C) beneficiano per appena novanta minuti settimanali degli impianti pubblici. O meglio, disponiamo di un turno serale - in pratica inaccessibile ai piccoli, dato l'orario - che dividiamo con un'altra squadra di rugby, il San Gregorio, turno che paghiamo anticipatamente per intero, spesso senza poter usufruire neanche della doccia per mancanza di gasolio per il riscaldamento. Le nostre under (i ragazzini che con grande difficoltà cerchiamo di "distogliere" da altre meno nobili attività) non hanno un campo sul quale allenarsi e giocare. I tecnici volontari il pomeriggio radunano i ragazzi e partono alla ricerca di uno spazio sul quale correre e giocare, una volta in un parcheggio, un'altra in un cortile di una scuola, un'altra ancora nell'impianto San Teodoro, qualora

questo non sia già occupato.Questo poichè la vergogna

dell'impianto San Teodoro - che dovrebbe essere una risorsa per tutto il quartiere! - è da mesi sotto gli occhi di tutti, soprattutto dei nostri amministratori, che non riescono a reperire le due lirette necessarie per coprire le spese di un dipendente che apra l'impianto almeno i pomeriggio, in modo che torni ad essere pubblica proprietà e non terra di nessuno dove i teppisti la fanno da padrone.

Al riguardo le belle intenzioni dell'assessore Antonio Scalia e della presidente della municipalità Loredana Gioia, più volte paventateci, restano fiato nel vento e così l'impianto rimane chiuso ed i ragazzini restano per strada. Ci domandiamo quanto il non avere alle spalle apparati politici o di potere influisca su questo modo così incom-prensibile di rispodere alle nostre ri-chieste e di gestire le risorse pubbliche.

Problema che non riguarda soltanto noi briganti rugby, ma un intero quartiere che viene una volta di più umiliato e dimenticato, insieme a tutti quelli che come noi al "si dovrebbe fare" preferi-scono rispondere con il "fare quotidiano".

Non possiamo poi che essere addolorati dal fatto che molti dei ragazzi che avevano intrapreso un percorso sportivo e di aggregazione con il nostro gruppo negli scorsi anni, oggi di fronte alla precarietà dell'offerta che giocoforza possiamo mettere in campo vada via e ritorni ad un vivere quotidiano fatto di certezze negative e di strade segnate. Chi pagherà per questo crimine?

La domenica la squadra dei briganti rugby di serie C va in giro per la Sicilia portando con fierezza il nome di Catania e di Librino raccontando un'esperienza di aggregazione sportiva che lotta quotidianamente per l'emancipazione di un territorio così difficile; nessuno potrebbe immaginare quanto, purtroppo, questo progetto venga ostacolato da chi invece dovrebbe proteggerlo e sostenerlo.

I Briganti di Librino: il presidente Stefano Curcuruto, il Direttivo, gli

allenatori, i giocatori piccoli e grandi

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|| 15 dicembre 2008 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||

Sommario Sono più di cento fra bambini, ragazSommario Sono più di cento fra bambini, ragaz--zini e giocatori veri e propri. Ogni domenicazini e giocatori veri e propri. Ogni domenica portano ingiro per la Sicilia un'immagine bellaportano ingiro per la Sicilia un'immagine bella di Catania e del suo quartiere più povero. Sonodi Catania e del suo quartiere più povero. Sono i Briganti, la squadra di rugbydi Librino. E ii Briganti, la squadra di rugbydi Librino. E i politici? Non se ne accorgono nemmenopolitici? Non se ne accorgono nemmeno