Ucuntu n.102

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280111 www.ucuntu.org - [email protected] Resistenze DOPO CUFFARO/ IL NOSTRO 25 APRILE PONTE E MAFIE/ RAPPORTO USA MODICA/ LA CRICCA DELL'ESTREMO SUD SARDEGNA/ ACQUA AMARA Palermo. Gli elettori di Cosa Nostra. Tunisi. Rivolta per il pane. Gli operai, i cittadini. L'antimafia, i diritti Berlusconi non se ne andrà con le chiacchiere. E non se ne andrà affatto del tutto ma cambierà solo nome. A meno che... e e Caso Catania/ Lettera all'Antimafia di G.B.Scidà Caso Catania/ Lettera all'Antimafia di G.B.Scidà e e Alessi De Gennaro Mazzeo Scolafurru Ruta || 28 gennaio 2011 || anno IV n.102 || www.ucuntu.org || Sciopero

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il numero del 28 gennaio 2011

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280111 www.ucuntu.org - [email protected]

Resistenze DOPO CUFFARO/ IL NOSTRO 25 APRILEPONTE E MAFIE/ RAPPORTO USAMODICA/ LA CRICCA DELL'ESTREMO SUDSARDEGNA/ ACQUA AMARA

Palermo. Gli elettoridi Cosa Nostra.

Tunisi. Rivoltaper il pane.

Gli operai, i cittadini. L'antimafia, i diritti

Berlusconi non se ne andrà con le chiacchiere. E non se ne andrà affatto del tutto ma cambierà solo nome.

A meno che... e e Caso Catania/ Lettera all'Antimafia di G.B.Scidà Caso Catania/ Lettera all'Antimafia di G.B.Scidà ee

Alessi De Gennaro Mazzeo Scolafurru Ruta

|| 28 gennaio 2011 || anno IV n.102 || www.ucuntu.org ||

Sciopero

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Dopo Cuffaro Dopo Cuffaro

“Il nostro25 aprile”

E’ finita. Salvatore Cuffaro è entrato nel carcere romano di Rebibbia. L'ex governa-tore della Sicilia deve scontare una pena di 7 anni dopo che la Cassazione ha confer-mato la condanna per favoreggiamento ag-gravato a Cosa nostra e violazione del se-greto istruttorio. In mattinata la Seconda Sezione Penale della Cassazione, presiedu-ta da Antonio Esposito, ha confermato la condanna a sette anni di reclusione inflitta in secondo grado all'ex presidente della Re-gione Sicilia. La sentenza per lui diventa quindi definitiva. Il senatore si e' costituito. Dieci anni. Tanti ne sono passati da quando il ciclone cuffariano si è abbattuto sulle no-stre vite. Un ciclone che portava con sé il puzzo del compromesso morale, della can-cellazione delle coscienze e dell’annulla-mento della diversità. Un mondo nel quale o ti vendevi o eri escluso, emarginato, “vin-to”.

Dieci anni sono passati da quel “no” sec-co gridato in faccia al potente nella sua Raffadali (Ag). A quel rifiuto di essere uguali agli altri, a quella rabbia sorda che ti permette le più grandi follie e a quell’arro-ganza di ventenni che non ti fa guardare al futuro. Otto anni sono invece trascorsi da quel giorno di febbraio in cui questa rabbia e passione s’incanalarono nell’unico mezzo che poteva mandare in tilt la macchina mastodontica del potente: AdESt, un giornale, la libera informazione.

Otto anni a scrivere, denunciare, a tenere alta una bandiera per troppo tempo lasciata a sventolare in solitudine. Con la stampa “ufficiale” a elemosinare prebende o a mascherarsi dietro un “garantismo” figlio di contiguità che è vi-gliaccheria. Otto anni di un infinito oggi, tra scherni, delusioni e servi schiocchi che per farsi belli agli occhi

del padrone minacciano, offendono, attac-cano chi ti è caro, torturano psicologicamente. Otto anni in cui siamo cresciuti troppo in fretta. Otto anni che si sentono tutti e che a furia di sconfitte hanno scavato un numero illimitato di ferite equamente distribuite tra corpo e anima.

Otto anni, un numero infinito di giorni, ore e minuti aggrappati ad una speranza, vivi grazie alla passione di chi ti è accanto, alla certezza che la gente con cui hai lavo-rato non mollerà mai, neanche un centime-tro. Mai. Otto anni e quella frase “vincerete ragazzi, vincerete” che ti da forza perché pronunciata da chi aveva sconfitto un buio più grande: quello del fascismo.

Otto anni in cui una generazione di uomi-ni e donne ha saldato con la storia il debito che i loro genitori, costruendo l’avvento del cuffarismo per opulenza o per noia,gli ave-vano lasciato.Otto anni a edificare futuro, a coinvolgere ragazzi, a rendere ogni angolo un terreno di scontro col potente. La certez-za che quelle sconfitte momentanee si sa-rebbero tramutate in vittorie. Abbiamo vin-to ed è finita. Per noi oggi è il 25 aprile. La nostra Liberazione.

Abbiamo lottato e sofferto per ottenerla e

per questo non infieriremo sul nemico. Lo lasceremo fare agli “avvoltoi”, a quelli che arrivano a cose fatte, quando tutto è finito. Noi Cuffaro l’abbiamo affrontato quando era potente, quando ci voleva coraggio, ora è scattata l’ora dei vigliacchi e non ci ap-partiene. Non festeggeremo. Perché non c’è niente da festeggiare. Con la sentenza di oggi si ratifica che per otto anni la Regione siciliana è stata un’emanazione di “cosa no-stra” e noi, uomini e donne che amiamo ogni angolo della nostra terra, non pensia-mo sia una notizia che può farci felici.

Lasceremo festeggiare chi fino ad ieri leccava il culo al clan Cuffaro per avere le briciole e che ora per rifarsi una verginità sputerà su Totò cercando di iscriversi al partito degli anticuffariani. Ci fate pietà e molto più schifo di un nemico che abbiamo sconfitto e a cui ora cediamo l’onore delle armi.

Dieci anni dopo siamo liberi. Liberi di tornare al nostro lavoro, alla nostra terra, alle nostre donne, alle nostre passioni. Sia-mo stati “partigiani” per troppo tempo, ora torniamo ad essere cittadini di una terra martoriata ma da oggi più libera, e si ha come l’impressione di poter finalmente re-

spirare la bellezza del fre-sco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, del-l'indifferenza, della conti-guità e quindi della compli-cità. AdEst per come l’ab-biamo conosciuta finisce qui. Domani ci sarà da rico-struire, con nuove idee, nuove forze, nuovo entusia-smo. Ma domani. Oggi è il 25 aprile si chiude una fase della nostra vita, come sarà la prossima non ne abbiamo idea ma, credetemi, è un’e-mozione bellissima.

Gaetano Alessi,AdEst

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“Liberi, dopo dieci anni di resistenza e di lotte”“Liberi, dopo dieci anni di resistenza e di lotte”

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Politica Politica

Gli operail'antimafiae la nostradignità

Non è una vittoria di tutti, l'arresto di Cuffaro. E' una vittoria per coloro che, se-guendo Falcone e Borsellino, hanno lottato anno dopo anno per la dignità e per il bene di tutti. Ma questa è stata una minoranza, anche se in certi momenti molto forte,.

Per la maggioranza del popolo siciliano, invece, l'arresto di Cuffaro è un giorno di vergogna e - auspicabilmente - di riflessio-ne. Per anni e anni, tradendo il ricordo dei morti e i valori della vecchia Sicilia conta-dina, abbiamo liberamente votato per un mafioso. Fra tutte le regioni italiane, siamo quella che ha peggio usato la propria libertà e democrazia, appoggiando gli assassini e i trafficanti di droga e chiamando “politica” ciò che era semplicemente vigliaccheria e servilismo.

Da qui bisogna partire, senza mezze pa-role, se vogliamo tornare - tutti, non solo alcuni - un popolo civile. Abbiamo una sto-ria altissima alle spalle - il movimento con-tadino, le rivolte, le centinaia di sindacali-sti, giudici e giornalisti ammazzati - e una gioventù che, a differenza della classe diri-gente, si è dimostrata spessissimo degna di stima. Ripartiamo da queste. Non perdiamo un istante a guardarci indietro, non regalia-mo un attimo alla vecchia “politica” cuffa-riana e lombardiana, di chiunque ci abbia a che fare. “Voi avete svergognato e distrutto la Sicilia. Noi giovani la ricostruiremo”.

* * *Questo impegno a Palermo può contare,

oltre che sui militanti civili, su una scuola di giudici al servizio di verità e giustizia da generazioni, presidio vitalissimo di demo-crazia e libertà. Non a Catania. Qui, nello strapotere di un Sistema contrastato solo dai ragazzi dei movimenti, il Palazzo di giustizia per decenni si è erto solitario e inutile a tutti se non ai potenti. E tuttora è così.

Travagliato da scontri interni, riconduci-bili più che ad ansie di giustizie alle contra-stanti ambizioni di poteri superiori, conteso fra screditati esponenti fra cui è impossibile

la scelta, esso urgentemente richiede un in-tervento preciso e duro dell'organo di auto-governo della Magistratura, fin qui efficien-te e attento altrove ma non sulle faccende catanesi.

Venga un buon giudice, venga finalmente un giudice a Catania; deciso d'autorità dal Csm, dato che i concorrenti attuali danno scandalo o sono inadeguati. Catania, coi suoi dolori e i suoi travagli, e i suoi movi-menti civili che durano da trent'anni, non merita un po' di giustizia, non merita alme-no questo? Si legga, alla fine di questo nu-mero, il drammatico e purtroppo attuale rapporto del più autorevole testimone cata-nese, e lo si prenda finalmente a pietra di paragone.

* * *Che differenza c'è fra obbligare un com-

merciante a “fare un regalo” minacciando-gli il negozio che è il suo posto di lavoro e obbligare un operaio a “fare un regalo” (il lavoro, i diritti, la rinuncia al sindacato) mi-nacciandogli la fabbrica in cui lavora?

Ricatti del genere, del resto, nel mondo industriale sono sempre esistiti: ma mai con una tale chiarezza, diciamo così, didascali-ca e insistita: “Devi pagare il pizzo, e si deve sapere in paese”. “Devi rinunciare al sindacato e lo devono sapere tutti”. Il pizzo, o il ricatto del lavoro, come gesto esempla-re, come manifesto. I brigatisti, più colti dei mafiosi ma meno sofisticati di Marchionne, riepilogavano rozzamente: “Colpisci uno per educarne cento”.

Così, due mesi dopo Pomigliano, non c'è fabbrica italiana in cui i lavoratori siano an-cora sicuri dei loro diritti: che anzi, dopo le cortesie di rito, sono praticamente spariti dall'agenda politica. Il proprietario indu-striale di Repubblica “Ha proprio ragione Marchionne!” ha detto. E subito il giornale liberal s'è adeguato.

Così, adesso gli operai sono soli, soli in mezzo alle chiacchiere come i ragazzi anti-mafiosi del sud.

Che però, in fondo in fondo, soli non

sono mai stati del tutto. Hanno avuto, in ta-luni momenti, la capacità e la fortuna di muoversi insieme con altri, di “fare rete”: la prepotenza e le minacce insegnano a molti la vigliaccheria, questo è vero, ma a molti insegnano anche la buona organizza-zione e il coraggio.

Così, dallo sciopero operaio di oggi, può benissimo nascere tutta una serie concreta di momenti unitari e civili - fino allo scio-pero generale, sindacale e antimafioso - da cui unicamente può sorgere la salvezza del-la Repubblica e la sconfitta profonda, non gattopardesca, dell'attuale regime.

Non è affatto casuale - scrivevamo pochi giorni fa su Casablanca - che questo gior-nale, nato come giornale antimafioso (e con radici non superficiali nè casuali) in questo numero sia dedicato prevalentemente ai problemi degli operai, ai diritti degli operai. E' lo stesso discorso. E quando riusciremo a profondamente comprendere, e non solo nei dibattiti ma nelle strade, il legame che esiste fa ingiustizia sociale e potere mafio-so, allora avremo già quasi vinto la nostra battaglia.

* * *Dunque, il lavoro è questo. Difendere i

diritti, la Costituzione, la legge e quelli che ora l'incarnano, i nostri Magistrati. Difen-dere la vita quotidiana delle persone “co-muni”, di quelli che non vanno nei giornali ma che, nel loro complesso, costituiscono la Nazione. Sfrondare d'ogni sovrastruttura ideologica (ma non politica) questa lotta.

“L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”: questo è il nostro pro-gramma, e non ci serve altro. Ma per queste poche parole siamo pronti a combattere, senza compromessi. Vedremo chi è dispo-sto a difenderle, e chi vorrà invece confon-derle in un abile e vano fumo di parole.

Facciamo rete, tutti insieme. Da soli (giornali e gruppi) siamo deboli. Insieme - ma insieme davvero, senza egoismi e ritro-sie - ce la possiamo fare.

Riccardo Orioles

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Dopo Cuffaro, dopo Berlusconi...Dopo Cuffaro, dopo Berlusconi...

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Ridi, ridi... Ridi, ridi...

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Italia Italia

Il “Contrattocon gli italiani”del cavalierMarchionne

Turni anche di dieci ore giornaliere su sei giorni, aumento dei ritmi produttivi, taglio delle pause, giorni di malattia non retribui-ti, più ore di straordinario non contrattate, rischio di licenziamento in caso di sciopero sui temi dell’accordo.

Il “sì” che approva la riduzione dei diritti e inasprisce le condizioni di lavoro ha prevalso nel referendum di Mirafiori, grazie agli impiegati, che non vengono toccati nei diritti e nelle prestazioni, anche se non è passato nelle linee di montaggio, dove la vita si farà difficile.

Il ricatto della Fiat di Marchionne ha fun-zionato: “O accettate o chiudiamo”. Nessu-na trattativa, nessun confronto, nessuna contropartita certa, nessun piano industriale serio ed esigibile. Solo promesse: un inve-stimento di un milione di euro per la produ-zione di un Suv della Jeep e di modelli non meglio identificati targati Alfa Romeo.

Quando? Non si sa. Sicuramente non pri-ma della seconda metà del 2012. Per ora l’unica certezza è che tutti i 5.500 lavorato-ri di Mirafiori saranno in cassa integrazione

starordinaria per un anno a partire dal 14 febbraio prossimo in attesa che il mercato si muova e il piano industriale che nessuno conosce si materializzi.

Nella sostanza, il 53 per cento dei lavora-tori di Mirafiori hanno firmato una cambia-le in bianco alla Fiat, che ora potrà utiliz-zarla come vorrà, senza dover rendere con-to in alcun modo delle sue decisioni produt-tive alla città, al sindacato, ai dipendenti. Mirafiori potrebbe addirittura rischiare di rimanere ferma per un anno, un evento mai accaduto nella sua storia.

Basta valutare, da un lato, il continuo calo di vendite di autovetture Fiat in Italia (vendite a lungo drogate dagli incentivi) e, dall’altro, che cosa sta accadendo a Pomi-gliano: qui, dopo sei mesi dal sì all’accor-do, i tempi di avvio della produzione della nuova Panda continuano ad allungarsi. La fabbrica è sostanzialmente ferma, la mag-gioranza dei lavoratori è in cassa integra-zione a 700-800 euro al mese dal luglio del 2010, quando è cessata la produzione del-l’Alfa 147.

E’ molto probabile dunque, se l’attuale produzione della Mito e dei monovolumi Fiat e Lancia non avranno un recupero di mercato a dispetto dell’età, che lo stesso clima di desolazione produttiva si determi-nerà anche a Mirafiori, nonostante il tappe-to rosso che il sindaco di Torino, Chiampa-rino, ha srotolato per Marchionne senza chiedergli conto e ragione delle sue pro-messe.

Nel frattempo il “manager dei due mon-di” ha buon gioco nel rilasciare dichiarazio-ni in libertà, come quelle contenute nell’in-tervista al direttore di Repubblica, Ezio Mauro: “Possiamo arrivare ai livelli salaria-li della Germania e della Francia” e “sì, ar-riveremo alla partecipazione dei lavoratori agli utili, voglio arrivarci”.

L’assenza di prospettive industriali con-crete e questa valanga di promesse ricorda-no i contratti con gli italiani di un altro lea-der nostrano che oggi naviga in pessime ac-que.

Riccardo De Gennaro

|| 28 gennaio 2011 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||

Il signor B. ha fatto scuola... Il signor B. ha fatto scuola...

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In questo Stato In questo Stato

Lo stileLombardo

Lo stile "Lombardo" è noto ed ampia-mente praticato. Non per nulla il presidente della Regione Siciliana, in quel di Palermo è sopranominato "Arraffaele". Nulla di nuovo sotto il sole. È il modo di fare politi-ca della vecchia DC. È lo stile dei partiti di governo e di opposizione che si dividono proporzionalmente la torta. È lo stile della Lega. E' lo stile della giunta Alemanno a Roma ed in ogni parte di Italia.

È lo stile della "clientela", della politica intesa come concessione di favori e grazie, non come tutela dei diritti. È usato per crea-re sudditi che tendono pietosamente la mano, piuttosto che cittadini capaci di pun-tare coraggiosamente il dito anche verso quelli che da loro sono stati eletti; è la poli-tica intesa come graziosa concessione di fa-vori ai singoli piuttosto che come difesa del bene comune.

Non è già mafia. Ma è il preludio, il cli-ma, il brodo, l'ambiente in cui la mafia af-fonda le sue radici, nasce e si rafforza.

Lo stile Lombardo è vecchio, uno stile che si riversa dal governo centrale al sotto-governo, alle regioni, alle province, ai co-muni fino a diventare la regola, pacifica-mente da tutti accettata, della politica.

È lo stile che ha contagiato il PD sicilia-no in nome della "governabilità" e che da Palermo, sopratutto in Sicilia, si va diffon-dendo, infettando, come un virus letale, la mente di tante persone oneste e disinteres-sate, sinceramente antimafiose, che otten-gono, da chi governa, assessorati, incarichi di sottogoverno, posti di responsabilità, prebende, sussidi e quanto permette loro di essere antimafiosi, antipizzo, antimafia... E la condizione sottintesa di questa elargizio-ne è che si crei, nella loro coscienza ed a loro insaputa, un blocco psicologico che faccia loro dire giustamente: "È un mio di-ritto chiedere alle istituzioni un sostegno per il mio impegno in favore della legalità" ma che impedirà loro in buona sostanza la considerazione che chi concede questo di-ritto sa di creare una resistenza alla denun-cia, un blocco alle parole, una remora al giudizio. E se da liberi ci si sarebbe indi-gnati davanti ad ogni sospetto di illegalità, ora non si avvertirà più lo stimolo della ri-volta...

Il meccanismo è diabolico e salva del tut-to la buona fede e la buona coscienza.

Ha salvato la buona fede dei preti che fa-cevano votare DC in cambio di denaro, allo scopo di fare del bene perché "i soldi sono lo sterco del diavolo con cui si concimano le opere di Dio"; salva la chiesa di oggi che

per difendere i principi "non negoziabili" e i sussidi governativi appoggia Berlusconi, così come favorirebbe qualsiasi governo si comportasse come il cavaliere; salva l'one-stà e la buona fede di coloro che, pur di continuare a fare antimafia, antipizzo e quant'altro, ricevono qualcosa che spegnerà la loro voglia di gridare quando sarà neces-sario.

Su tutto questo pericolo vorremmo porre l'attenzione e suscitare un dibattito.

CittaInsieme non solo non ha mai chiesto nulla, ma ha rifiutato spesso l'aiuto offerto da politici interessati solo a fagocitare la li-bertà di un movimento che può parlare o ta-cere, secondo i casi, ma che in ogni caso non lo fa mai per interesse.

Ci siamo anche procurati minacce di que-rela, ai tempi della giunta Bianco, da parte di alcuni assessori, perché abbiamo puntato il dito.

Una politica libera da clientele è proba-bilmente una pura utopia. Ma noi crediamo sia l'unico orizzonte possibile all'interno del quale si possa collocare chi si adopera per combattere la mafia, la corruzione e per il rispetto della legalità.

Città Insieme, Catania

Concorsie impunità

Quella che segue è la cronaca - dettaglia-ta e sostenuta da prove- dell’ennesimo con-corso pubblico truccato. Questa volta si tratta del comune di Catania. Dal Settembre 2002, mese dell’emanazione di 50 ordini di servizio per percorso professionale interno, ad oggi, la giustizia non ha fatto il suo cor-so. Dell’incartamento dei brogli si sono perse le tracce dal 2006, quando il TAR lo ha trasmesso alla Procura della Repubbli-ca.. Lo scandalo non ha ricevuto il giusto rilievo ma soprattutto, non vi è stata pro-nuncia da parte della Procura. Ci affidiamo a voi nella speranza di avere giustizia, o quantomeno, di sollecitare una qualunque reazione dei pubblici poteri prima che la prescrizione abbia la meglio.

Settembre 2002, l’amministrazione co-munale di Catania emana 50 ordini di servi-zio per Percorso professionale interno per titoli, prova tecnica e colloquio. La pro-gressione verticale è riservata solo al perso-nale interno per un totale di circa 1.800 po-sti.

Nel settembre 2002 l’assessore al perso-nale del comune di Catania è Raffaele Lombardo, attuale governatore della regio-ne Sicilia. Nei primi mesi del 2003 si di-mette da assessore per partecipare alla

competizione elettorale del 2003 come can-didato alla presidenza della Provincia di Catania.

Nell’aprile 2003 Lombardo viene eletto presidente della provincia.

Nel maggio 2005 si vota per le Comuna-li. Le quattro liste di Lombardo risultano determinanti per l’elezione del sindaco Umberto Scapagnini.

Nel dicembre 2004 si svolge la prova tec-nica nei locali della palestra piscina Plaia di Catania.

La prova scritta si compone di tre parti e si svolge nella più ampia collaborazione tra i vari gruppi di appartenenza alle diverse direzioni.

Nei primi mesi del 2005 vengono corretti i compiti. Si possono notare elaborati ugua-li valutati diversamente, voti e giudizi cor-retti, (la correzione è stata effettuata rical-cando il “nuovo” voto sopra quello vec-chio); ad alcuni candidati sono stati attribuiti voti che, complessivamente non arrivano a 28 (il minimo consentito per ac-cedere alle prove orali) ma ad esse nel ver-bale della Commissione viene assegnato il punteggio di 28. Si trovano anche alcune espressioni confidenzialmente amichevoli sia nei giudizi che nella prova, poco orto-dosse come “9 e zitto!”.

Ma naturalmente non è tutto.Il verbale nel quale venivano stabiliti i

criteri di valutazione è stato redatto succes-sivamente all'apertura delle buste contenen-ti i compiti. Pertanto si presume che i criteri di valutazione potrebbero essere stati defi-niti ad hoc.

E ancora, il presidente della commissione non è nelle funzioni dal 31 dicembre del 2004 al 21 gennaio 2005 poiché gli è sca-duto l’incarico. Per cui il verbale che stabi-liva i criteri di valutazione della prova, così come tutti gli altri atti emessi in questo arco di tempo, sono nulli.

Alcuni candidati ricorrono al T.A.R. ed in una delle udienze, il Tribunale Amministra-tivo Regionale, ravvisando dei rilievi penali sulle procedure del concorso, decide di tra-smettere tutto l’incartamento alla Procura delle Repubblica.

L'Amministrazione Comunale pur essen-do a conoscenza di tutti gli illeciti, conclu-de il concorso con l'emanazione di apposita delibera di approvazione della graduatoria e successiva nomina dei vincitori poco prima delle elezioni a sindaco del maggio 2005.

E nonostante tutti gli evidenti illeciti ai più “bravi” assegna delle P. O. (vedi geom. Giuseppe Catalano) e si accinge ad asse-gnarne altri a personaggi quantomeno di-scutibili (vedi geom. Salvatore Lo Giudice pregiudicato per reati contro l’amministra-zione) e quindi premiati.

Mario Nicotra, Catania

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In questo Stato In questo Stato

Se si unisserotutti questi No

Parecchi anni fa una ragazzina di 16 anni del quartiere S.Cristoforo arrivò contenta ad una riunione del Gapa: era stata assunta da un panettiere, era stata messa a regola! Sprizzava di felicità e ci raccontò che era riuscita a farsi dare realmente metà del compenso scritto in busta paga. Qualcuno di noi storse il naso e fece notare l'ingiusti-zia. La ragazzina ci guardò come per dire “ma chi siti scemi” e ci spiegò che era nor-male e che se voleva lavorare non poteva certo pretendere l'intera paga, c'erano file di ragazzine pronte a rimpiazzarla.

Ricordo anche tantissimi professori di scuole private che firmavano buste paga e non percepivano nulla: lo facevano solo per il punteggio scolastico e per avanzare in graduatoria. Tutte queste storie dovevano restare comunque segrete. Il ricatto era pri-vato, era una relazione tra datore e lavora-tore, e basta. Essere messo a regola già era un successo, un grande passo rispetto al la-voro in nero. Sono passati tanti anni e la si-tuazione è cambiata, si, è cambiata nel sen-so che il ricatto ormai non è più segreto, si è istituzionalizzato.

Alla Fiat di Pomigliano prima e poi a quella di Mirafiori il ricatto è diventato si-stema. Se ti sta bene, bene, se non ti sta bene noi portiamo il lavoro in un altro pae-se. E come se un proprietario di un basso fatiscente di S.Cristoforo dicesse all'affit-tuario senza contratto: o mi ristrutturi la casa e ti rifai il bagno o vai per strada; e come se il politico che può assumerti all'ae-roporto ti dicesse: o mi fai gratis la campa-gna elettorale e mi porti almeno trecento voti o ti farò stare sempre a spasso.

Viviamo dentro un ricatto, per noi al sud forse non è una novità, ma il fatto è che questo ricatto è stato ormai certificato dal nostro Stato. Non è più segreto. Quasi tutta la classe politica ha ufficializzato questa vergogna.

Speranze? Ripartiamo da tutti quei no che hanno il sapore della resistenza e della dignità, dal no al politico corrotto di turno al no al proprietario carogna, dal no degli operai Fiat di Pomigliano e Mirafiori al no di chi non è più disposto a elemosinare contratti precari dal barone di turno.

Ma attorno a questi "no" serve solidarie-tà, serve sostegno, serve stare insieme. Il ri-catto distrugge e fa sentire forte la solitudi-ne. Ma serve anche molta solidarietà e la-voro verso tutti quei “si” strappati per ne-cessità. Lavoriamo quindi, senza vittimismi e luoghi comuni, costruendo proposte alter-native e positive, insieme.

Toti Domina,i Cordai

Mi scusi,Presidente...

Mentana, Vespa e Padellaro. Tutti da Na-politano per ricevere un premio, esaltare il "prestigio della categoria" e autoincensarsi. Dimenticando lo sfruttamento e l`ipocrisia che regnano nel giornalismo. E che costrin-gono i migliori all`emigrazione. "Preferisco un contratto a un trofeo", dice Gabriele Del Grande. Era tra gli invitati al Quirinale. Ha preferito declinare l`invito. In questa lettera spiega perché al presidente.

* * *Mi scusi presidente, ma stamattina la mia

poltrona resterà vuota. Mi sembra il miglior modo per celebrare la giornata nazionale della stampa: essere altrove. I motivi sono tanti. Innanzitutto non mi sembra affatto un onore applaudire un paggio ormai vetusto come Bruno Vespa, che da trent`anni occu-pa le reti pubbliche a nostre salatissime spese con i suoi inconsistenti salottini. Né tantomeno mi sembra un onore ascoltare le parole della federazione nazionale della stampa italiana sullo stato del giornalismo in questo paese. Il suono dell`ipocrisia mi disturba l`udito. Soprattutto se penso a tutti quei quotidiani nazionali che non pagano il lavoro, e a tutti quei colleghi - molto più bravi delle cariatidi che oggi premiate - che hanno cambiato mestiere perché l`affitto e il mutuo non si pagano con la gloria di una firma pubblicata a gratis su un quotidiano nazionale.

Infine non mi sembra un onore stringere la mano a un signore incapace di spingere certi temi, se necessario anche fino allo scontro istituzionale. Perché è inutile cele-brare la libertà di stampa nei salotti, quando sappiamo bene quale sia la situazione del conflitto di interessi nel nostro paese, a de-stra con le proprietà di Berlusconi, a sini-stra con la dipendenza cronica dai finanzia-menti pubblici e le parentopoli varie, al

centro coi veti dei vescovi, e ultima della fila alla Rai, con le lunghe mani di tutti i partiti che se la sono sempre spartita.

E poi a dirla tutta, in questa Italietta non mi sembra nemmeno più un onore ricevere dei premi. Sinceramente preferirei una pro-posta di lavoro a un trofeo. Nel giugno del 2010 mi sono stati conferiti quattro premi al giornalismo. E mi sono trovato in diffi-coltà ad accettarli, per il semplice fatto che è difficile spiegare ai 250.000 lettori del mio blog Fortress Europe, che in Italia si premiano i disoccupati. Che in Italia uno che per le sue inchieste riceve tre premi na-zionali e uno internazionale, i cui libri sono tradotti in spagnolo e tedesco, per tirare a campare vende in nero collanine touareg mercanteggiate nelle oasi del deserto e gira l`Italia con valigie cariche di libri da vende-re durante le presentazioni per rientrare del-le spese dei suoi reportage.

È amaro girare il mondo presentando i miei libri, dal Marocco alla Germania, dalla Spagna alla Turchia, dal Belgio alla Grecia, e presentarmi come disoccupato. Perché nessun giornale in Italia è interessato a in-vestire sul giornalismo d`inchiesta, e che il massimo che ti sanno proporre è di curare una pagina gratuitamente su un sito. O che devi litigare ogni volta per farti pagare metà del minimo sindacale, e devi stare at-tento che non ti ripubblichino le foto senza dirtelo e senza pagartele. È amaro pensare che forse a trent`anni la scelta migliore sia ritirarsi in campagna a fare l`orto.

Sarà che io il mestiere l`ho imparato sul campo e non sui banchi delle scuole di giornalismo, ma a me sembra che il senso di questo mestiere si trovi altrove. Non sta nei salotti romani. Ma piuttosto per strada, nelle scarpe impolverate di chi ancora va incontro alle storie che raccontano il mon-do che cambia.

Presidente, facciamo che festeggiamo un`altra volta. Quando questo Paese sarà cambiato. Quando i migliori tra i miei ami-ci torneranno dall`estero dove sono emigra-ti. Facciamo che festeggiamo quando alle mie amiche ai colloqui di lavoro torneranno a guardare il curriculum anziché le tette. Facciamo che festeggiamo quando gli edi-tori inizieranno a pagare il lavoro per quel-lo che vale, in denari e non in pacche sulle spalle perché siamo compagni. Facciamo che festeggiamo quando ad amministrare questo bel paese saranno persone valide e meritevoli, e non zoccole, servi, parenti e loschi personaggi in aria di mafia. Faccia-mo che festeggiamo quando la vostra gene-razione di ottuagenari farà il suo dovere, to-gliendosi una volta per tutte di mezzo e passando il testimone.

Gabriele Del Grandewww.fortresseurope.blogspot.com

|| 28 gennaio 2011 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||

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Ponte e mafie:rapporto riservato

dagli Stati Uniti

Il 15 giugno 2009 mister Truhn invia un cablogramma alla Segreteria di Stato, ai Di-partimenti del Tesoro e della Giustizia, all’FBI, alla CIA, alla DEA, ai consolati USA di Firenze e Milano, ai Comandi mili-tari della VI Flotta e USNAVEUR Napoli e alla Missione USA presso la NATO. Titolo: “Sicily: Regional Government in Turmoil while the Mafia is down, but not out”. In verità, più che il potere criminale in sé, a preoccupare il diplomatico sono i problemi che i clan potrebbero arrecare alla sicurezza dei militari e dei civili statunitensi e agli af-fari delle grandi corporation presenti in Si-cilia. “Quale sede di un’importante base dell’US Navy, nonché luogo dove sono state scoperte di recente riserve di gas e risiedono 17.000 cittadini statunitensi, il fu-turo della Sicilia è di particolare interesse per gli Stati Uniti d’America”, scrive Patrick Truhn. “La Sicilia ospita la stazione aeronavale di Sigonella (la seconda stazi-one aerea militare più importante in Eu-ropa); diverse compagnie USA hanno im-portanti investimenti diretti nell’isola, tra cui IBM, Wyeth ed Exxon-Mobil”. C’è però un grande nemico dello sviluppo eco-nomico da affrontare, avverte il diplomati-co, “la Mafia, che potrebbe essere la princi-pale beneficiaria se il ponte sullo Stretto di Messina, di cui si dibatte da secoli, verrà eventualmente realizzato”. Il diplomatico riserva un intero paragrafo alle trame tes-sute dalle organizzazioni criminali. Il titolo è più che esplicito: “The Bridge to More Organized Crime”, il “Ponte ad un crimine più organizzato”. “Berlusconi ha annuncia-to la sua intenzione di rilanciare il ponte sullo Stretto di Messina di cui si è parlato a lungo, quale principale progetto di lavori

pubblici per creare posti di lavoro e potenziare le infrastrutture della Sicilia”, scrive il console. “Anche se i sondaggi indicano che il progetto gode del diffuso sostegno in Calabria ed in Sicilia, esiste un forte allarme che i contratti e i sub-contratti finiscano per arricchire le Mafie di ambedue le parti dello Stretto. Recentemente il prefetto di Reggio Calabria ha dichiarato al Console Generale che la gara di appalto dovrebbe essere “blindata”, ma che essa potrebbe essere mantenuta perfettamente pulita. Tuttavia il prefetto di Messina ha ammesso che il Ponte, che si suppone dovrebbe collegare la Sicilia “insulare” alla “sviluppata” terraferma, potrebbe avere alla fine l’effetto controproducente di riportare indietro la Sicilia, che ha fatto un lavoro migliore per contrastare il crimine organizzato rispetto alla Calabria, fisicamente e psicologicamente più vicina alla ‘Ndrangheta, il più pericoloso consorzio criminale in Europa. Dati gli infiniti ritardi che hanno tormentato la costruzione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, ancora non completata dopo diversi decenni, il Ponte sullo Stretto non sarà certamente costruito presto, e servirà poco allo scopo senza massicci investimenti a favore delle infrastrutture stradali e ferroviarie di Sicilia e Calabria, dove esse sono di valore scadente”.

Poca fiducia, dunque, sulla portata strate-gica dell’opera, a differenza di quanto in-vece espresso ufficialmente dai Comandi militari USA in Italia. “Il Ponte sullo Stret-to è un progetto assai ambizioso, di cui si è discusso per decenni”, si legge su Stars and Stripes, l’autorevole quotidiano delle forze

armate. “La realizzazione richiederà anni ma, una volta completato, il Ponte permet-terà di viaggiare tra le basi dell’US Navy di Sigonella e Napoli più velocemente. Attual-mente le auto devono affidarsi alle navi per attraversare lo stretto”. Mentre il console stigmatizza le gravi carenze delle reti viarie del Sud Italia, le forze armate USA sperano nel Ponte per “velocizzare” i collegamenti tra i due più importanti complessi militari del Mediterraneo, la stazione aeronavale di Sigonella e le basi di Napoli-Capodichino-Gaeta, veri e propri trampolini di lancio per le operazioni di guerra in Africa, Medio Oriente ed Afghanistan.

Agli aspetti criminogeni del Ponte, J. Patrick Truhn aveva dedicato pure un pas-saggio del report trasmesso il 6 giugno 2008, in cui veniva abbozzato uno studio comparato delle organizzazioni criminali operative nel Mezzogiorno.

A ricevere il cablogramma, insieme ai comandi delle forze armate USA in Italia e alle agenzie d’intelligence di Washington, c’erano stavolta i generali USAREUR delle basi tedesche di Heidelberg e Vaihingen, il comando dell’US Air Force di Ramstein e le ambasciate USA a Bogotà (Colombia) e Kabul (Afghanistan). Soffermandosi sui business “legali” ed “illegali” e sulle modalità di riciclaggio del crimine, il diplomatico sottolineava la propensione della Mafia ad operare imprenditorialmente nel settore delle opere pubbliche e dell’edilizia. “Nel caso di Cosa Nostra - scrive Truhn – i gruppi criminali utilizzano il denaro proveniente da altre attività illegali come l’estorsione per trasformare le società immobiliari in monopoli a controllo mafioso”.

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Il Ponte sullo Stretto? Un grande affare per i mafiosi. Parola di uno dei responsabili delIl Ponte sullo Stretto? Un grande affare per i mafiosi. Parola di uno dei responsabili del corpo diplomatico statunitense in Italia, J. Patrick Truhn, che ne parla in due distinti dicorpo diplomatico statunitense in Italia, J. Patrick Truhn, che ne parla in due distinti di--spacci (giugno 2008.giugno 2009) usciti ora su Wikileaks. Il punto “strettamente confispacci (giugno 2008.giugno 2009) usciti ora su Wikileaks. Il punto “strettamente confi--denziale” sui maggiori business di mafia, camorra e ‘ndrangheta e delle possibili azioni didenziale” sui maggiori business di mafia, camorra e ‘ndrangheta e delle possibili azioni di contrasto. Truhn ce la mette tutta per tentare di capire le odierne dinamiche crimicontrasto. Truhn ce la mette tutta per tentare di capire le odierne dinamiche criminali, manali, ma complice forse il poco rigore scientifico di alcune delle fonti, le analisi restano superficialicomplice forse il poco rigore scientifico di alcune delle fonti, le analisi restano superficiali

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Wikileaks Wikileaks

“Grazie ad un sistema di rotazione programmata, a tutte le società controllate dalla Mafia sono garantiti contratti anche se esse offrono solo sconti minimi; i profitti lucrativi permettono ai vincitori degli ap-palti di distribuire tangenti più grandi alla Mafia e ai politici corrotti e ai pubblici uffi-ciali che li aiutano. Attraverso queste transazioni, miliardi di euro provenienti dal governo centrale o dai fondi per lo sviluppo dell’Unione europea sono finiti nelle mani del crimine organizzato. Lorenzo Diana, ex senatore ed ex capo dell’unità antimafia del Partito democratico è certo che la maggior parte del tracciato autostradale tra Napoli e Reggio Calabria è stato costruito – utilizzando materiali e mezzi scadenti – dai clan della Camorra e della ‘Ndrangheta”. Poi una pesante stoccata alla megaopera che si vorrebbe realizzare tra Scilla e Cariddi. “Secondo Vincenzo Macrì, viceprocuratore antimafia, il progettato Ponte sullo Stretto di Messina è un’altra miniera d’oro nell’orizzonte del crimine organizzato. Anche se i gruppi criminali sarebbero solo marginalmente coinvolti nella progettazione, la fase realizzativa offrirà miliardi di euro in contratti e sub-contratti per la costruzione, i materiali, i servizi ed altro”.

Per il console, dunque, il coinvolgimento criminale nella fase progettuale sarebbe “marginale”. Una lettura riduzionista, poco giustificabile alla luce delle diverse inchi-este che in nord America e in Italia avevano individuato già nel 2004 il tentativo di una delle maggiori organizzazioni mafiose tran-snazionali, il clan Rizzuto di Montreal (Canada), di finanziare con 6 milioni di dollari la progettazione ed esecuzione

dell’opera. I Rizzuto, grazie ad un interme-diario italo-canadese che aveva concorso alla costruzione delle basi USA in Medio oriente, erano persino entrati in contatto con il governo italiano, con alcuni manager della Società Stretto di Messina e con alcune società internazionali che hanno poi partecipato alla gara d’appalto. Meglio nota come “The Sixth Family”, la famiglia Rizzuto è stata legata ai grandi padrini del crimine USA, personaggi tutt’altro che ignoti al mondo politico e giudiziario degli States. Ma della spinosa connection Ponte - mafie nord americane, l’“Operazione Brooklin” secondo la definizione della procura di Roma, non c’è traccia nei cablogrammi del consolato USA di Napoli.

Sulle strategie di ’ndrangheta e mafia per accaparrarsi i lavori del Ponte non ha parla-to poi solo il giudice Macrì. Altri magistra-ti, commissioni parlamentari d’inchiesta, organi di polizia, servizi segreti, studiosi ed esperti hanno infatti posto ripetutamente l’accento sugli interessi criminali per l’opera.

Tra le dichiarazioni più allarmanti quella dell’allora procuratore capo di Messina, Luigi Croce (oggi a Palermo), che nel dicembre 2000 ipotizzava “un’alleanza ancor più stretta tra Cosa Nostra e ’ndrang-heta in vista della possibile costruzione dell’infrastruttura, per cui la crisi delle or-ganizzazioni locali potrebbe semplicemente aprire la strada a un’invasione da parte delle organizzazioni mafiose esogene”. Nel luglio 2002, il magistrato Alberto Cisterna, sostituto procuratore della Direzione Nazi-onale Antimafia, aveva parlato di “elementi concreti sotto il profilo investigativo per af-fermare che la ’ndrangheta si sta preparan-

do ad approfittare dell’affare miliardario”. “Molte cosche calabresi starebbero per en-trare in cordate di impresa che potranno avere parte negli appalti al momento in cui saranno chiamate dal general contractor”, aggiungeva Cisterna. “Tra queste, quelle che si occupano di attività legate all’edilizia: gli Alvaro, gli Iamonte, i Latel-la, i Libri, i Molè, gli Araniti, i Garonfolo ma anche i Raso–Gullace–Albanese, i Bel-locco, i Serraino e i Rosmini, oltre alla po-tente cosca dei Piromalli. Queste potrebbe-ro comprare o entrare in società pulite già costituite nel Centronord e in particolar modo nei grandi distretti industriali del nord Italia. Un modello comportamentale aggiornato alle esigenze di una grande op-era infrastrutturale, che porterà le cosche a trovare un accordo per guadagnare tutte del grande affare”. Altrettanto grave l’allarme lanciato nel 2006 dal Presidente della Corte d’Appello di Messina: “è concreta la pros-pettiva di una recrudescenza, ancora più cruenta che per il passato, del fenomeno mafioso nel caso maturino condizioni ad esso particolarmente favorevoli, come nella ipotesi di effettiva realizzazione del ponte sullo Stretto, data la prevedibile convergen-za, su entrambe le sponde, di agguerrite avanguardie della mafia siciliana e della ’ndrangheta calabrese…”.

Allarmi sino ad oggi del tutto inascoltati. “Il Ponte s’ha da fare!” è l’ordine dei pa-drini e dei signori dell’acciaio e del cemen-to. E se a realizzare il Ponte ci dovesse poi essere la mafia, “benvenga la mafia!”, come ebbe a dire incautamente nel corso di una popolare trasmissione tv l’allora presidente della “Stretto di Messina Spa”.

Antonio Mazzeo

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Promemoria Promemoria Foto di Giordano Pennisi

Operaiitaliani

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Promemoria Promemoria Foto di Giordano Pennisi

QUEL GIORNO CHESO' ANDATOA SETTENTRIONE

Quel giorno che so’ andato a Settentrionel’hai maledetto tanto, o moglie mia;è stato per la disoccupazioneche ho dovuto lasciare la terra mia.La Svizzera ci accoglie a braccia chiuse,ci inette il pane duro dentro in bocca;tre anni l’ho inghiottito questo pane,tre anni carcerato alle baracche.Lo sfruttamento è calcolato bene,ci carica fatica ogni minuto;è un orologio di gran precisionela Svizzera cammina col nostro fiato. (Pio Baldelli, 1972)

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Modica Modica

La criccadella Siciliadel sud

Un’altra mannaia giudiziaria si abbatte sull’ex amministrazione Torchi. La Tenenza della Guardia di Finanza di Modica, del-egata dal procuratore capo di Modica, Francesco Puleio, ha indagato su alcune de-termine dirigenziali della passata amminis-trazione. A seguito di ciò, il procuratore ha contestato a 17 soggetti il reato di abuso d’ufficio continuato. Gli indagati sono l’ex sindaco di Modica, Piero Torchi, il fratello dell’ex parlamentare Peppe Drago, Car-melo, ai tempi assessore al bilancio e al personale; l’ex segretario generale, Car-melo Colombo e 14 dirigenti: Giuseppe Castagnetta; Ignazio Cavallo; Miriam Dell’Ali; Carmelo Denaro; Stefano Indelic-ato; Giorgio Muriana Triberio; Maria Nero; Francesco Paolino; Giuseppe Patti; Anita Portelli; Valerio Ragusa; Salvatore Roccas-alva; Angelo Sammito; Vincenzo Terran-ova.

Secondo la Procura gli indagati avrebbero commesso il reato nel periodo compreso tra il 2006 e il 2008, e in partic-olar modo nell’arco di tempo concomitante con la tornata elettorale dell’aprile 2007. Gli inquirenti hanno verificato, nel corso dell’indagini, che numerosi incarichi venivano indebitamente assegnati al per-sonale dipendente mediante emissione di determine dirigenziali a firma dei re-sponsabili di settore senza rispettare le pro-cedure previste. L’ipotesi che sembra esser stata lanciata è quella di un sistema clien-telare spicciolo all’interno del comune: la classe politica promuoveva e gli impiegati beneficiari votavano a chi di dovere.

Il dato allarmante è che ad essere coin-volta nell’inchiesta, anche nel ruolo di be-neficiario, è mezza Modica. Il clientelismo dilaga. Ad essere promossi senza la proced-

ura prescritta sono numerosi dipendenti di svariati settori. Il caso più interessante è quello dei vigili urbani. Gli agenti, nella quasi totalità, hanno ricevuto incarichi con mansioni superiori alle loro normali possib-ilità ricevendo un notevole beneficio da tale azione. Ma ad esser toccati sono tutti i set-tori: dall’ufficio stampa all’ufficio del Sin-daco.

L’indagine partì da un’ispezione al Comune di un funzionario Ministeriale. Quest’ultimo in una corposa relazione con-testava comportamenti illegittimi all’am-ministrazione Torchi. Da qui le indagini e la successiva apertura dell’inchiesta, resa nota in questi giorni.

Piero Torchi e Carmelo Drago non l’han-no presa bene. Infatti, i due hanno dato mandato di procedere contro il colonnello della Finanza, Francesco Fallica, colpevole – a loro dire – di averli diffamati nel comu-nicato stampa che annunciava l’inchiesta. Oggetto dell’azione legale è la frase “sis-tema truffaldino” usata dalla Finanza per definire il sistema probabilmente messo in atto all’interno dell’ex amministrazione. In-somma, ci si arrampica sugli specchi.

A stupire è pure lo stretto collegamento con altre inchiesta: una vera e propria cricca. Piero Torchi e Carmelo Drago ri-sultano infatti iscritti nel registro degli ind-agati nell’inchiesta “Modica bene”. Oltre a loro la Procura di Modica sta facendo luce, nello stesso procedimento, su Peppe Drago, Giancarlo Floriddia, Giorgio Aprile, Nzuliddu Pitino, Marcello Sarta, Gabriele Giannone e altri 11 soggetti. Il Procuratore Puleio li accusa di riciclaggio, concussione, abuso d’ufficio e associazione a delinquere.

Secondo l’accusa sarebbe stato messo in atto un sistema secondo il quale grazie a in-

genti somme di danaro pagate da imprend-itori, sarebbero stati pilotati i meccanismi di assegnazione degli appalti e inoltre, in cambio della rinuncia a una parte dei crediti vantati verso il Comune di Modica, che era in stato di dissesto finanziario, alcuni im-prenditori e professionisti avrebbero otten-uto una corsia preferenziale nel percepire le spettanze. I reati contestati sarebbero stati commessi a Modica dall’ottobre del 2003 al settembre 2007. Il capo e organizzatore – secondo l’accusa – era l’On. Peppe Drago che aveva anche l’importante ruolo di proc-acciatore di tangenti.

Tra i numeri dell’inchiesta saltano agli occhi due imprese. La prima fu profetica-mente svelata in un comizio di alcuni anni fa dal deputato regionale Mpa Riccardo Minardo. Il politico parlò di una certa soci-età di Peppe Drago con sede in Via Pan-theon a Roma e disse di sapere molto sugli oscuri affari che si celavano dietro questa. E dall’inchiesta “Modica bene” sbuca fuori una società precedentemente domiciliata in Via Pantheon, attualmente in Piazza Campo dei Fiori, 8, a Roma. La società è la Im-mobil D s.r.l. e i gli unici due soci sono Peppe Drago e Carmelo Drago. Quest’ul-timo possiede una quota di 100 euro, mentre il fratello maggiore i restanti 9.900 euro di capitale sociale. La società – secondo l’accusa – sarebbe stata utilizzata per riciclare il denaro proveniente dalle tan-genti. L’immobil D sembra non avere una notevole attività tant’è che chiude il bilan-cio di esercizio del 2007 con una irrisoria perdita di 997 euro e un giro di affari scarno. Secondo Puleio dalla Immobil D sono passate cifre considerevoli pari a 5.106.000,61 euro. La società è sorta con l’unico scopo di riciclare?

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Piero Torchi e Carmelo Drago accusati di abuso d’ufficioPiero Torchi e Carmelo Drago accusati di abuso d’ufficio continuato. E da Ragusa parte un’altra inchiesta continuato. E da Ragusa parte un’altra inchiesta

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Modica Modica

L’altra società che salta all’occhio è la Ideamente di Marcello Sarta e Gabriele Gi-annone. La ditta ha curato vari servizi di comunicazione per il comune di Modica negli anni della giunta Torchi.

Da ricordare la copertura della facciata del palazzo delle poste in Corso Umberto I. Secondo l’accusa Gabriele Giannone, attualmente addetto stampa del vicepresidente del consiglio provinciale, Sebastiano Failla, avrebbe percepito illegalmente 3.050.996,06 e li avrebbe riciclati, in parte, tramite la Ideamente, con il probabile consenso di Marcello Sarta.

Il presunto sistema messo in atto dai protagonisti di questa vicenda ha creato un giro d’affari pari a 14 milioni di euro. Una girandola di assegni e contanti che forse non è tutta proveniente dalle tangenti.

Infatti, possiamo svelarvi in esclusiva la presenza di un’indagine della Procura di Ragusa che starebbe facendo luce su un giro di gioco d’azzardo che coinvolgerebbe alcuni personaggi imputati nell’inchiesta “Modica bene”.

Secondo alcune ipotesi alcuni assegni al centro dell’indagine modicana proverrebbero dal gioco d’azzardo. Sotto torchio anche alcuni viaggi in Romania, a Bucarest, sede di grossi casinò. Se le voci provenienti da Ragusa si rivelassero vere potrebbe ritenersi che parte delle somme sottolineate dalla Procura di Modica sono somme fruttate dal gioco d’azzardo, da debiti e prestiti tra giocatori.

La storia si ingarbuglia ma la cricca ci re-galerà ancora tanti colpi di scena. Possiamo giurarci.

Francesco Rutae Giorgio RutaIl Clandestino

LIBERASOLIDARIETA' A“IL CLANDESTINO”

Con grande preoccupazione constatiamo l’atteggiamento di vera e propria minaccia con cui i vertici dell’Asp di Ragusa inten-dono predisporre formale querela nei con-fronti del mensile “Il Clandestino” per le recenti inchieste giornalistiche sulla sanità modicana.

Invece che rispondere nel merito delle domande poste dai giovani cronisti sulle seguenti e importanti questioni quali:

- il grado di sicurezza con cui si lavora all’ospedale di Modica, in quanto è stato infatti dimostrato dall’inchiesta video che chiunque poteva accedere ai locali interni senza violare nessun accesso;

- lo stato di decadenza degli stessi locali, che certamente non fanno pensare alla or-dinaria manutenzione di un nosocomio.

Invece che la chiarezza e serenità tipiche di chi non ha nulla da temere nel di-mostrare le proprie tesi, i vertici dell’ Asp di Ragusa non rispondono alle domande dei giornalisti. Anzi, decidono di portare questi giovanissimi in tribunale perché, cosa rara, qualcuno osa fare delle domande vere e anche scomode.

Anziché avviare un confronto dialettico, tipico di qualsiasi paese democratico, con chi, come la redazione de Il Clandestino, impegna giovani volontari a vivere il

giornalismo come concetto etico e con la schiena diritta, ci si rifugia nello strumento giuridico per spaventare e impedire di eser-citare i più elementari diritti di cittadinanza e costituzionali come l’art. 21 della nostra Carta fondamentale.

Il tutto a dispetto del normale esercizio di cronaca su una delle questioni amministrat-ive più spinose, come nel caso della Sanità siciliana, le cui ferite recano alla collettività il dolore che purtroppo conosciamo e che è sotto gli occhi di tutti.

Invitiamo pertanto i querelanti a desistere da tali pratiche intimidatorie e a con-frontarsi democraticamente nel merito.

Sappiano, i giovani de “Il Clandestino” che Libera, la quale ha come statuto la Costituzione e di cui il Clandestino fa parte, si troverà sempre accanto a loro nelle battaglie per la libertà di informazione e di cittadinanza attiva e responsabile.

Gianluca Floridia coordinatore provinciale di Libera

Associazioni Nomi e Numericontro le mafie, Ragusa

Umberto Di Maggio coordinatore regionale Libera

Associazioni Nomi e Numericontro le mafie, Sicilia

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Sardagna Sardagna

Se non paghientro 30 giorni

ti chiudiamo l'acqua

Il colosso dei rubinetti dell'acqua della Sardegna, Abbanoa S.p.a., sta facendo la voce grossa e inviando agli utenti solleciti di pagamento con preavviso di sospensione della fornitura entro 30 giorni. Per il recupero crediti Abbanoa ha incaricato la RECUS srl, dei professionisti nel settore, come spiegano chiaramente nel loro sito web ( www.recus.it ) " Recus Italia utilizza "onde d'urto" molto efficaci ",.. e su questo

non ci piove, è stata un' "onda l'urto" traumatica per tutti noi leggere che o paghi entro 30 giorni o ti staccano l'acqua!

Ho fatto un giro del quartiere dove vivo a raccogliere più dati possibili sui solleciti arrivati e sulle fatturazioni e ne ho raccolto. Le spese di depurazione sono quelle più elevate. Prendiamo ad esempio una tra le tante bollette inviate di recente da Abbanoa, la data della fattura è 11 settembre 2010 e l'importo totale da pagare richiesto all'utente è di 774 euro. Di questi 774euro, 330euro, quasi la metà, sono le spese per la DEPURAZIONE.

Ma con tutti questi euri che si pretendono, agli utenti cosa arriverà mai? Ci domandiamo. Come minimo si potrà bere un bicchiere d'acqua del rubinetto? Invece NO! Niente da fare...cornuti e mazziati, zitti e pagate l'acqua!... anche se non è potabile e non la beve nessuno come da 20 anni a questa parte è oramai la normalità.

A rinfrescare la memoria ci sono oltre 140 sentenze del Giudice di Pace, riguardanti le bollette dell’acqua, che il Comune di La Maddalena ha perso con condanna alle

spese di risarcimento danni per inadempimento contrattuale. Sentenze incontestabili che fotografano perfettamente la disastrosa situazione del servizio idrico maddalenino, ne sanciscono "la dichiarata illegittimità ed inesigibilità delle somme pretese a titolo di canoni di depurazione e fognatura", e ne stabiliscono "la ineccepibile operata riduzione al 50%, del costo dell’acqua erogata, per la sua comprovata non potabilità."

Vale la pena ricordare che anche la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il canone di depurazione delle acque se il servizio non viene prestato, lo scorso 10 ottobre 2008, con la sentenza n. 335. Questa sentenza ha cancellato la norma (art. 14, comma 1, della c.d. Legge Galli) che permetteva agli enti di far pagare impunemente agli utenti canoni relativi alla depurazione anche quando il servizio non veniva effettivamente prestato.

...e parlando...e parlando

di depurazionedi depurazione

e fognatura...e fognatura...

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La Maddalena - Acqua - Abbanoa S.p.a e solleciti, la RECUS srl eLa Maddalena - Acqua - Abbanoa S.p.a e solleciti, la RECUS srl e l'interruzione del servizio. Questa è la situazione a grandi linee, lal'interruzione del servizio. Questa è la situazione a grandi linee, la gente continua a comprare l'acqua nei supermercati per bere egente continua a comprare l'acqua nei supermercati per bere e cucinare mentre l'idromostro ricorre alle Società di recupero crediticucinare mentre l'idromostro ricorre alle Società di recupero crediti con la mannaia della sospensione del servizio e noi ci domandiamocon la mannaia della sospensione del servizio e noi ci domandiamo nuovamente e solamente a quale servizio si riferiscononuovamente e solamente a quale servizio si riferiscono

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Sardegna Sardegna

Solleciti inviati dalla RECUS srl per conto di Abbanoa. Ecco come si presentano :

e perfettamente funzionante, ma che funzioni 24 ore su 24. [ La Sentenza: http://www.desaparecidos.it/Pdf/Incostituzionale-tariffa-servizio-depurazione.pdf ]E parlando di DEPURAZIONE E parlando di DEPURAZIONE e FOGNATURA...e FOGNATURA...Come non ricordare l' "ORDINANZA CONTINGIBILE ED URGENTE" emessa lo scorso 6 settembre 2010 dal Sindaco di La Maddalena ANGELO COMITI, che, " nella sua qualità di Autorità Comunale di Protezione Civile, Sanitaria e di pubblica sicurezza" … "CONSIDERATO che, nonostante la corrispondenza sopra richiamata, e le interlocuzioni con i legali rappresentanti di Abbanoa S.p.a., allo stato attuale la stessa Società non ha ancora preso in carico la gestione dell'impianto di depurazione; RAVVISATA pertanto la necessità impellente di garantire il corretto esercizio dell'impianto di depurazione Comunale in conformità alla normativa vigente in materia, a salvaguardia dell'igiene e della salute pubblica della locale collettività; ORDINA Alla Società Abbanoa S.p.a. di provvedere con immediatezza alla gestione dell'impianto di depurazione cittadino ~ [ Ordinanza: http://www.desaparecidos.it/Pdf/LA-

MADDALENA-ORDINANZA-SINDACO-CONTINGIBILE-URGENTE-ABBANOA-N.14-6-sett-2010.PDF ]

IL SISTEMA ~ IL SISTEMA ~ Affidamento gestione "in house providing", che significa "gestione in proprio" ed è regolata da due soggetti: uno è l’Autorità d’ambito che assegna il servizio e controlla procedure e modalità con cui viene erogato; l’altro è la S.p.a controllata e si occupa appunto della gestione, come fa Abbanoa. Col sistema "in house providing" non è necessaria la gara d’appalto, l' affidamento del servizio è diretto, e permette di scavalcare le regole del libero mercato.

Abbanoa è un enorme carrozzone politico, nata dall'unione di società come Esaf, Gavosai, Sinos, Uniacque etc. Una nuova S.p.a quindi, una nuova immagine di facciata ma con ai posti di comando gran parte di quella stessa vecchia dirigenza a cui non fregava niente di progettare impianti efficienti, a cui bastava giusto spendere i finanziamenti incassati, quella stessa che ha scavato voragini di bilancio spaventose nella storia della gestione dell'acqua della Sardegna. Ma la Regione, a differenza di quanto accadeva ai tempi del vecchio ente gestore Esaf, che ogni anno presentava 30 milioni di euro di deficit, non copre più le voragini di bilancio e allora non resta che il ricorso all'indebitamento con le banche. Banche che pretendono interessi salati e che alla fine diventano proprietarie dell'acqua e la gestiscono con un unico obiettivo, quello del proprio profitto. L'interesse primario di Abbanoa è quello di far quadrare i conti. E come al solito tocca al cittadino l'ingrato compito.Questa è la situazione a grandi linee, la gente continua a comprare l'acqua nei supermercati per bere e cucinare mentre l'idromostro ricorre alle Società di recupero crediti con la mannaia della sospensione del servizio e noi ci domandiamo nuovamente e solamente a quale servizio si riferiscono.

Andrea Scolafurru

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Sociertà civile Sociertà civile

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Società civile Società civile

La rivoluzionedei commercianti:il coraggioe il reciproco aiuto

Parlando del nostro progetto del Consu-mo Critico parliamo spesso dei consumato-ri, del loro impegno, del nostro, e poi ricor-diamo a tutti la famosa lista dei commer-cianti, di quei 50 esercenti (ora’di più) che sono il motore della nostra iniziativa.

Dietro ad ogni volto c’è una storia, una storia di coraggio, un coraggio di gente normale, che con la forza delle loro scelte hanno dimostrato a tutti che ribellarsi è possibile.

Quando conobbi i primi commercianti, restai stupito dalla loro voglia di cambiare, dalla forza delle loro parole, dalla grinta con la quale guardavano la gente e raccon-tavano la loro storia, con quel “fresco pro-fumo di libertà” che ora si sono conquistati davvero.

Ricordo la rabbia nel racconto delle mi-nacce alla famiglia, ai bambini, minacce che creano terrore, che fanno capire che in pericolo c’è tutto ciò a cui tieni, ma che hanno creato in queste persone uno scatto di orgoglio, che li ha portati a riflettere e a dire “ se io pago tolgo soldi ai miei figli, perdo credibilità e la mia dignità”, e quindi proprio per liberare la loro famiglia, per far sì che il futuro dei loro figli fosse migliore, hanno scelto di dire no, di dire che loro il pizzo non lo pagheranno più.

Si sono affidati alle istituzioni, ci hanno creduto, e dalle istituzioni sono stati ricom-pensati, i loro aguzzini sono stati arrestati ed ora possono camminare a testa alta, libe-ri, senza paura, perché tutti quei codardi che andavano a chiedere loro il pizzo con atteggiamenti da sbruffoni ora sono dietro le sbarre. E se chiedi loro se hanno paura del fatto che magari un giorno se li potreb-bero ritrovare davanti, ti rispondono tran-

quillamente di no, che non torneranno, per-ché ora sono gli estorsori ad avere paura, perché troveranno di nuovo chi li denuncia e torneranno dietro le sbarre.

Durante le ultime riunioni dei commer-cianti, che periodicamente facciamo, sono rimasto colpito ancora di più dal loro atteg-giamento, si aiutano tra loro, si danno con-sigli e spingono altri ad aderire alla nostra lista. Molte delle ultime richieste di adesio-ne sono nate dal passaparola, commercianti che invitano altri a partecipare, a ribellarsi, e li vedi darsi coraggio, ridere, ed appog-giare e proporre iniziative.

Mi hanno dato tanta gioia i loro volti, tanta forza e la consapevolezza che ciò che stiamo facendo è forse più grande di quanto pensavamo, che questa gente ha davvero grazie a noi smesso di nascondersi, di cre-dere che niente può cambiare ed ha comin-ciato a capire che un cambiamento deve partire da tutti, dalla società civile, che la ribellione, se fatta con forza, è inarrestabile.

Li ho visti capire finalmente una volta per tutte che non è normale, non è giusto che una persona debba lavorare 8-10 ore al giorno per poi mantenere con i suoi soldi della gente ignorante e senza futuro, to-gliendo magari alla loro famiglia pezzi di futuro.

Ho visto nei nostri commercianti rabbia, coraggio, forza, speranza, tutto ciò che spe-ro di vedere col tempo in ogni cittadino ita-liano ed in ogni esercente, perché qualcosa è cambiato, qualcosa cambia ogni giorno, perché la rivoluzione dei commercianti e dei liberi professionisti è cominciata! Noi, cittadini onesti e commercianti liberi, sia-mo molti più di loro.

Davide Siracusa

Libri al “GAPAnnone rosso”Lunedì 31 gennaio alle ore 17,30Via Cordai 47, CataniaPresentazione del libroUN TAGLIO AL FUTUROL'istruzione ai tempi della Gelminidi Sebastiano GulisanoSarà presente l’autoreDibattito con studenti medi e universitari del movimento studentesco, precari della scuo-la e dell’università e un’insegnante della scuola “A.Doria”Un'inchiesta sul futuro dell'Italia. Un mega-fono aperto per quanti, tra studenti, docenti e ricercatori italiani, non hanno avuto modo di confrontarsi sulle riforme del ministro Gelmini e sui tagli del collega Tremonti.Cosa rimane dell'istruzione pubblica nell'e-ra del berlusconismo? Sebastiano Gulisano, con scrupolo giornalistico d'altri tempi, ha incontrato i protagonisti del mon-do scolastico e universitario cui è stata tolta la possibilità di replica, in nome della ragion di Stato e della governabilità. E ha messo in evidenza, con crudezza, ciò che molti de-nunciavano da anni: strutture fatiscenti, classi sovraffollate, lavoro precarizzato e giovani senza speranza, costretti a emigra-re verso altri paesi. Fino ai casi più tragici di chi si è tolto la vita, non riconoscendo più alcun futuro di fronte a sé. La scuola della Gelmini risulta essere, così, un modello molto, troppo lontano dai nostri stessi detta-mi costituzionali. Dalla rimozione degli osta-coli che limitano lo sviluppo di ogni cittadi-no, si è passati in poche e rapide mosse alla loro certificazione per legge.Sebastiano Gulisano, giornalista e scrittore, ha collaborato con numerose testate e ha fatto parte delle redazioni de I Siciliani e Av-venimenti.

Editore: Editore Riuniti - Collana:Report - Data di Pubblicazione: Giugno 2010

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Dietro a ogni volto c'è una storia, una esperienza diDietro a ogni volto c'è una storia, una esperienza di vita. Per questo è così “speciele” il rapporto travita. Per questo è così “speciele” il rapporto tra Addiopizzo e i suoi commercianti è speAddiopizzo e i suoi commercianti è speciale. Davide lociale. Davide lo racconta attraverso la sua esperienzaracconta attraverso la sua esperienza

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LETTERA APERTAALLA COMMISSIONE ANTIMAFIADI UN MAGISTRATO CATANESE

Questa lettera aperta venne inviata il 30 marzo del 2007 da Giambattista Sci-dà, Presidente emerito delTribunale per i Minori di Catania, al Presidente pro-tempore della Commissione Parlamenta-reAntimafia, onorevole Francesco For-gione.

E' opportuno riproporla ai lettori per-ché costituisce un completo – e dramma-tico riepilogo delle circostanze in cui ne-gli ultimi anni si è consumata la crisi del Palazzo di giustizia catanese. E' un servi-zio giornalistico per i lettori, ma anche promemoria per le Istituzioni, che oggi, a quattro anni di distanza, possono e dob-bono intervenire per resistuire la fiducia nella Giustizia ai cittadini catanesi.

* * *Lettera aperta di Giambattista Scidà, ca-

tanese, al Presidente della Commissione Antimafia, on. Forgione.

Mi rivolgo a Lei, che presiede la Com-missione Parlamentare d’inchiesta sulla mafia, per esporLe ancora ciò che con ripe-tute comunicazioni non pubbliche Le ho se-gnalato come cosa inconfutabilmente ne-cessaria: che Ella provochi sospensione di certo provvedimento dell’Ufficio di Presi-denza, e sollecito accesso della Commissio-ne a Catania.

I fatti locali Le sono presenti: quelli, in particolare, successivi alla uccisione di Carmelo Rizzo, imprenditore di San Gio-vanni La Punta da lungo tempo affiliato ad una temibile cosca. Costui venne ucciso in febbraio del ’97, per mandato del vertice di quel clan, perché non potesse pentirsi, come si riteneva che stesse per fare. Quali cose avrebbe rivelato il Rizzo? lui che di molte, e di grande rilievo, era certo a cono-scenza (composizione della squadra; omici-di; riciclaggi; connessioni con imprenditori e pubblici funzionari; favori fatti dal clan a chi non doveva accettarne, e favori venuti, al clan, da persone che non avrebbero do-vuto farne a nessuno)?

Certo è che dopo averlo fatto uccidere, il mandante fu più forte di prima, nei con-fronti delle persone che Rizzo avrebbe po-tuto coinvolgere: sapeva tutto ciò che Rizzo sapeva, e poteva asserire, in aggiunta, al fine di perdere quanti, in posizione social-mente qualificata, lo frustrassero nelle sue

attese di compiacenze e di benefici, di aver-lo fatto uccidere proprio per loro, per sal-varli dalle sue propalazioni. La loro rovina sarebbe stata, in tal caso, intera: corrispon-dessero o no, quelle vendicative asserzioni, a verità.

Dieci anni sono trascorsi da quel delitto, e in dieci anni la Procura della Repubblica di Catania, sempre in mano alle stesse per-sone, non ha fatto, contro il mandante, sin-chè non costrettavi da ineludibili circostan-ze, ciò che la legge le imponeva, di volta in volta, di fare; ed ha fatto molto, con van-taggio di lui, in via di disobbedienza alla legge. Ha cercato di evitare che procedi-menti insorgessero, a suo carico, e quando non ha più potuto scongiurarne l’insorgere, ha preso a traversarne il corso.

Mi limito ad evocare, come saltando di cima in cima, i comportamenti di maggiore rilievo, quasi tutti posti in essere da uno stesso gruppo di Sostituti (una triade, ridottasi a diade dopo il 2000, per passaggio di uno dei membri ad altro settore giudiziario) e dal Procuratore Capo, andato in pensione recentemente.

La notizia del delitto Rizzo venne man-data in archivio dopo più di un anno, senza che nessuna indagine fosse stata iniziata; e a chiederlo fu un candido Sostituto, ignaro di affari mafiosi, al quale era stata lasciata in mano, e al quale non furono comunicate propalazioni che sarebbero bastate a dissua-derlo dal porre termine alla pendenza.

Avvenne poi che altre dichiarazioni di pentiti, i quali accusavano il mandante di altri omicidi, e accusavano di collusione con lui un ricchissimo operatore economico, particolarmente attivo nella sua San Giovanni La Punta, fossero tenute da canto, per anni, senza séguito; che se ne rifiutasse comunicazione, con protervo ed invitto silenzio, al magistrato (estraneo alla triade) che nel 2000 la richiedeva, legittimamente e con insistenza; e che infine si tentasse di provocarne archiviazione, per fortuna rifiutata dal Gip

Intanto erano state stroncate, prete-stuosamente, indagini intraprese dai C.C., previa autorizzazione, in ordine a riciclag-gio di capitali di esso mandante, ad opera del suaccennato opulento imprenditore. Trascurate furono altre dichiarazioni di col-laboratori, uno dei quali, esecutore confes-so dell’omicidio Rizzo, chiamava in correi-tà quell’intoccabile boss: sino a quando il

pericolo che la Procura Generale, avocato altro affare, avocasse per connessione an-che quello, non ebbe resa necessaria la messa in moto di un procedimento. È diffi-cile trovare aggettivi per ciò che venne osa-to, subito dopo.

Alla Procura Generale, impegnata in procedimento per mafia, a carico del cennato imprenditore, che era stato in rapporti col Rizzo: alla Procura Generale che perciò domandava in visione il fascico-lo dell’omicidio: a quel superiore Ufficio, certamente in diritto di esaminare gli atti, fu opposto rifiuto: per esigenze, si disse, di segretezza delle indagini.

Ci fu poi recesso, ma non sappiamo quali carte vennero allora comunicate, e se tutte, Dubbi al riguardo derivano anche dal fatto che il procedimento aveva carattere di alte-rità e novità rispetto a quello che era stato chiuso con archiviazione.

Chi non ha accesso ai fascicoli non può né superare la incertezza né verificare l’ordine nel quale sono qui collocati gli eventi – avvio del procedimento; richiesta della Procura Generale; diniego – piuttosto che in altro: richiesta; pretestuoso rifiuto; messa in movimento degli atti.

* * *Ciò che fu fatto e ciò che fu pretermesso,

relativamente all’omicidio Rizzo, pare con-forme ad un graduato disegno: lasciar tutto nel buio (omettendo, per questo fine, inda-gini e provocando archiviazioni); non dar séguito, sino a quando possibile, ad infor-mazioni pervenute dall’esterno, a dispetto di quella inerzia; impedire che la Procura Generale vedesse le carte, a costo di oppor-le, per impedirglielo, i cennati stupefacenti motivi; e infine controllare strettamente il corso del processo, anche in dibattimento, evitando approfondimenti che concernesse-ro magistrati (il magistrato, al quale il Riz-zo si vantava di aver venduto una villetta; il giudice di Roma che egli malediceva, per aver preteso, in cambio di soffiate, in ordi-ne a provvedimenti de libertate, centinaia di milioni di lire), o relativi alla “Società Di Stefano”, sotto il cui nome il Rizzo aveva fabbricato, appunto, villette, e per la quale si era ricevuti acconti, qualificandosene amministratore.

Un siffatto, serrato governo della vicenda processuale, da parte degli stessi magistrati, lungamente prodigatisi nei massicci deplorevoli precedenti, era nell’aria già

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LETTERA APERTA

all’inizio del 2002, se qualcuno sentì il bisogno di deprecarlo, nel giorno di inaugurazione di quell’anno giudiziario: “Ci aspettiamo – fu allora detto, con riferimento alla soppressione di Rizzo – “uno sforzo intransigente di recupero della verità; e una Giustizia senza riguardi, fatta da mani che non tremano: per la salute della Catania di oggi e della Catania di domani, e non di essa soltanto…”

* * *L’uomo, sulla tragica fine del quale non

furon fatte indagini, in tutto l’anno che la seguì, era molto più che un comune com-partecipe di una comune associazione ma-fiosa. Era, nel sistema di potere costituitosi in San Giovanni La Punta, un personaggio di rilievo. Nella G.U. del ’93 si diceva di lui diffusamente, in motivazione del decre-to di scioglimento, per mafia, di quell’Am-ministrazione Comunale. In quello stesso tempo, il Questore ne aveva proposto sotto-posizione a misure: e proprio nello sfuggire a quella richiesta il personaggio aveva dato prova di poter contare sopra avanzate con-nessioni, anche nell’ambiente giudiziario: non erano in fascicolo, quando la Corte d’Appello si pronunciò, documenti decisi-vi, pur tempestivamente inviati dalla Que-stura a certissima prova di una già antica immedesimazione di lui con il clan locale. Omettendo dunque tutte le indagini sull’omicidio che le circostanze imponeva-no (perquisizioni, sequestri di carte, accer-tamenti bancari, accertamenti sulle società, intestate a lui, ma paravento del capo del clan, come era ritenuta la “Società Di Ste-fano Costruzioni” di tre soli soci, uno dei quali la moglie di esso Rizzo), la Giustizia si negava l’acquisizione di un sapere com-plessivo, avente ad oggetto, oltre che l’identità del mandante, tutto l’universo mafioso di San Giovanni La Punta. Il veni-re in luce, di anello in anello, delle concate-nazioni proprie della realtà locale, avrebbe potuto render visibile legami tra malavita ed imprese, e persino l’acquisto di casa, fat-to da quel tale magistrato, e forse anche la circostanza, fra tutte incresciosa che in tem-po non lontano dall’acquisto, per atto nota-rile definitivo, e ancor meno lontano dal preliminare, egli aveva atteso come P.M. ad un processo a carico di stretti congiunti (il padre e un fratello) del ripetuto capo mafia. Ma sviluppi del genere la chiusura del caso, senza alcun principio di indagine,

esorcizzava per intanto, e rendeva improbabili per l’avvenire, esponendo a dispersione le prove.

Non meno severo dovrebbe essere il giu-dizio sul processo che infine fu reso inevi-tabile dall’irrompere di prove non cercate. Se l’archiviazione del ‘94 prevenne l’affio-rare di relazioni tra magistrati e ambienti mafiosi, nulla fu introdotto nel processo, di parecchi anni dopo, degli elementi che in materia erano frattanto emersi, anche cla-morosamente.

Era esploso, nel dicembre del 2000, il “caso Catania”, con al centro dello scandalo l’affare della villetta; si sapeva ormai, oltre che dell’acquisto, del modo tenuto dall’acquirente nel discolparsene, dando a credere al CSM – mediante produzione di un atto mendace – di aver comprato non già da mafiosi ma da persona non sospetta; ed era noto lo smascheramen-to che di quell’inganno avevan fatto i C.C., riferendo le dichiarazioni, conformi al vero, dell’apparente venditore. Il dibattimento era un terreno minato, indipendentemente dal fatto che esso si svolgesse solo nei con-fronti dei concorrenti, e non anche del capo mafia, asseritamente infermo; ma la gestio-ne ne fu avveduta.

* * *Si sa quale fosse, in tutto quel tempo, la

posizione, all’interno dell’Ufficio requiren-te, del magistrato compratore; e quale la composizione del gruppo di magistrati, che condusse le indagini, e da chi fu sostenuta l’accusa.

Si legge in sentenza una peregrina “asso-luzione” del PM dall’addebito, che nessuno aveva formulato, di inerzia nella fase delle indagini. “Non petita”, essa rivela, senza poterlo soddisfare, il bisogno di giustifica-zione nel quale versava e versa, senza rime-dio, la Procura della Repubblica.

* * *Ho accennato, illustre Onorevole, agli

espedienti cui si fece ricorso, quando più non si poté evitare che a carico del man-dante altri procedimenti e processi insor-gessero, per bloccarne lo svolgimento. Una strenua, molteplice, indefessa attività è sta-ta svolta, mille volte superando, per zelo, la stessa difesa, perché il boss, simulatore fla-grante per coloro che lo osservavano giorno e notte, nel centro clinico di Parma, venisse detto incapace di partecipare coscientemente alle udienze. In un caso (un

caso speciale, in verità, per i privati interessi che vi erano indirettamente coinvolti) tutti i limiti furono varcati.

Perché il Gip non potesse tenere l’udienza preliminare che aveva fissata, il Procuratore Capo chiese al Presidente di quell’Ufficio di impedirla, negando autorizzazione alla “inutile” trasferta, e per indurlo ad impedirla prospettò che in caso contrario avrebbe scelto, lui, tra il renderla impossibile, ordinando al Sostituto suo di non parteciparvi, e il denunciare la spesa, come non giustificata, alla magistratura contabile.

E’ nota – per la pubblicazione fattane da un quotidiano – la risposta del Presidente: “Egregio Procuratore, mi meraviglia quantomeno la richiesta di revoca dell’udienza preliminare e della trasferta, situazione mai verificatasi nella mia ultraquarantennale esperienza di giudice penale, avanzata da una parte processuale prima dell’udienza e diretta a coartare la volontà del libero giudice (…). Non intendo, pertanto, disporre alcuna revoca” della trasferta e delle udienze “disposte dai giudicanti che hanno speso la loro vita per l’accertamento della verità, sempre con sprezzo del pericolo, al solo scopo di definire i procedimenti penali e di rendere giustizia, senza nulla temere né dalle parti processuali né da altra magistratura. In caso di intervento, su sua richiesta, della magistratura erariale, pur di assicurare il giusto corso della Giustizia penale, correrò anche il rischio, senza alcuna preoccupazione, di avere addebitato l’importo della trasferta, che (…) dedurrò in tempi spero non brevi, dalla somma di denaro che dovrò lasciare in eredità.”

Si trattava, ho detto, di un caso speciale. Al capo del clan si era dovuto contestare, per conseguenza di propalazioni di pentiti e di un rapporto della G.d.F., il reato di falsa intestazione di beni suoi (edifici di nuova costruzione) a società portanti il nome del Rizzo, o alla “Società Di Stefano”. Tra quei beni sarebbe dunque potuta rientrare anche la villa acquistata dal magistrato (la finzio-ne che a vendergliela fosse stato un tale Ar-cidiacono, invece che detta “Di Stefano”, era infatti irrimediabilmente caduta, come accennato, già nel 2001). Il rumore del pro-cesso avrebbe nuociuto, di per sé, a parec-chi acquirenti; la condanna avrebbe potuto importare confisca degli immobili.

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LETTERA APERTA

Maggiore che il danno economico, di pur grande rilevanza, sarebbe stato il pregiudizio morale: grave per tutti, catastrofico per qualcuno. Da temere erano anche, per il caso di condanna, le reazioni dell’imputato.

* * *Nel quadro gremito dalle gesta, riguar-

danti la mafia di San Giovanni La Punta, hanno trovato posto altre mafie. Secondo il quotidiano “La Stampa” del 25/10/2006, la Procura utilizza, per intercettazioni, un’azienda di soggetti nei confronti dei quali sono state fatte iscrizioni, nella stessa Catania o a Caltanissetta, per ipotesi di concorso in famigerata strage di mafia. L’articolo Le è ben noto; ed Ella se ne è tanto allarmata da rivolgere, quale deputa-to, prima della sua elezione a Presidente della Commissione Antimafia, interroga-zione al Ministro. Anche in questa vicenda entra, per qualche verso, taluno dei Sostitu-ti della triade, occupatasi nel modo che ho detto della mafia di San Giovanni.

* * *Questa la situazione della Giustizia inqui-

rente, a Catania – senza eguali, crediamo, in nessun’altra parte del Paese – quando all’Ufficio di Presidenza dell’Antimafia è stata richiesta, da componenti della Com-missione, la nomina a consulente dell’orga-no di un magistrato in servizio a Catania; di un magistrato della Procura della Repubbli-ca: del Sostituto Procuratore al quale do-vrebbero esser chieste spiegazioni (a lui e ad altri, ma a lui forse più che ad altri) in ordine a ciò che è stato fatto in Procura, o a ciò che è stato omesso o ritardato, con van-taggio di quella cosca, nel corso di un de-cennio, in offesa al normale funzionamento dell’Ufficio.

Purtroppo, il fatto è stato seguito da altro, più sorprendente, dell’Ufficio di Presiden-za: che oltre ad accogliere la segnalazione, sùbito procedendo alla nomina (il che po-trebbe esser messo a carico di un’ancora inadeguata conoscenza dei fatti) la nomina stessa ha tenuto ferma, senza neanche so-spenderla, pur dopo essere stato informato di tutto con varie comunicazioni, tra le qua-li una circostanziata memoria. Secondo ogni apparenza, l’Ufficio tiene a che il CSM, richiesto di collocare fuori ruolo l’interessato, abbia il tempo di annuire, come di prassi; e il fatto compiuto travolga i tentativi, diretti a scongiurarne il

compimento.Nessuno può impedire che la S.V. e gli

altri membri dell’Ufficio mandino ad effet-to, così, la presa deliberazione; ma nessuno può pretendere che le circostanze, ad onta delle quali viene intransigentemente perse-guita la scelta, e le conseguenze che essa non può mancar di produrre, restino in om-bra. L’interesse pubblico vuole che di esse si dia conoscenza; vuole che il silenzio pro-tervo dei media, intorno alla vita giudiziaria di Catania, venga rotto dai cittadini che, come me, sono al corrente dei fatti. Tento perciò un elenco delle conseguenze, più ri-levanti.

L’atto introduce all’interno della Com-missione interessi non compatibili con l’in-teresse pubblico all’accertamento dei fatti. Pone l’organo nella condizione di non po-terli constatare e riferire, senza attirarsi rimprovero di estrema imprudenza, per quanto viene ora voluto.

Ma già prima, non appena uscita dal riserbo che la circonda, la scelta di adesso avrà pregiudicato l’immagine della Commissione. In quest’ultima, la coscienza pubblica sarà tentata di vedere un organo che tiene a concludere, e in modo inatteso, ancor prima di aver cominciato a cercare; che si avventura in avalli anticipati; che invece di impegnarsi nell’accertamento dei fatti, tenendo seduta a Catania, ne rende difficile, a sé stesso, la libera ricognizione. La nomina inibirà gli apporti che, senza di essa, molti darebbero, con fiducia; ma sarà a tutti difficile, dopo, prestare col-laborazioni che essa fa credere non gradite, e sfidare, per prestarle, sia la mafia che i magistrati, storicamente in possesso del po-tente apparato repressivo locale. Si tratta, infatti, di un gruppo compatto, cementato dalla diuturna milizia di corrente e dalle frequenti congiunture elettorali, che è in sella da lunghissimo tempo: se il Procurato-re della Repubblica (tale per 10 anni, e Pro-curatore Aggiunto, prima, per altri 10) è stato collocato in pensione, tutti e cinque gli Aggiunti han trascorso tra Pretura e Pro-cura, o solo in quest’ultima, un quarto di secolo. Nelle condizioni che la Commissio-ne ora crea, nessuno oserà provocare quel poderoso insieme, offendendone, senza alcuna speranza di ottener cambiamenti, il carismatico leader. Un tale Calì (stato a suo tempo collaboratore del Rizzo), che davanti ad un Tribunale in udienza, in Catania,

diceva di saper tutto in ordine agli acquisti di case, fatti da magistrati e politici, da potere del suo principale, con isconti di centinaia di milioni, ha preferito, davanti al PM di Messina, tacere, avvalendosi dell’art.210 c.p.p.: “Sono potenti – ha spiegato, in sostanza – ed io son troppo piccolo…”. Chi oserebbe parlare, da ora in poi, in una situazione resa tanto più difficile, per tutti i “piccoli”, dalla stessa Commissione Antimafia? dall’aver questa voluto per suo consulente proprio un magistrato della Procura, proprio uno di coloro che dell’Ufficio hanno determinato la rotta, negli affari riguardanti la mafia di San Giovanni La Punta? Se Catania è un “vaso di Pandora”, il provvedimento, di cui non si ritiene di sospendere il corso, graverà sul suo coperchio come un gran masso: di per sé, senza che i magistrati interessati, o altri, abbiano da far qualcosa per tenerlo fermo.

Tutte le conseguenze anzidette Le sono state rassegnate, illustre Presidente, con un fax del 10 febbraio, con una diffusa memo-ria dello stesso mese, e con altri scritti. Ma l’Ufficio di Presidenza fa palese, evitando di prender provvedimenti, di fortissima-mente volere, sebbene al corrente dei fatti, quanto voluto prima di averne ricevuto de-nuncia. Non sembra che del problema, gra-ve, sia stata informata la Commissione; non sembra che un’adunanza plenaria abbia of-ferto a ciascuno dei componenti la possibi-lità di discuterne, in tempo, con tutti gli al-tri.

* * *Riaffermo la convinzione, sinora non

confutata, e nemmeno contraddetta, che per il raggiungimento dei fini assegnati a code-sta onorevole Commissione, è necessario che essa, sospeso il provvedimento in paro-la, apra inchiesta su Catania. Grandi sforzi e possenti saranno qui compiuti per scon-giurarla (come fu fatto, con pieno successo, per tutta la durata della XIV Legislatura) o per il fine di renderla inoffensiva, e persino giovevole, mediante schivamento di tutte le audizioni pericolose, in favore di altre, che inneggino alla locale Giustizia inquirente (non mancano, tra i politici catanesi, panegiristi puntuali, in servizio da lustri e lustri). Per dissuadere dall’accesso si metterà avanti, prevedo, che tutto è stato chiarito a Messina, dall’archiviazione di certi atti.

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LETTERA APERTA

La sfrontatezza sarebbe in tal caso osce-na. Gli Uffici di Messina non si sono mai occupati di ciò che è stato fatto, nella Pro-cura di Catania, con vantaggio della mafia di San Giovanni La Punta in dieci anni, dal giorno dell’omicidio al giorno di ieri. Il nome del capomafia non ricorre, in quei documenti, nemmeno una volta.

Una moltitudine di cittadini si aspetta che inchiesta ci sia, e che si svolga come l’ono-re del Parlamento prescrive. Essa è di estre-ma impellenza.

Solo la Commissione può ricomporre il quadro di San Giovanni La Punta, frantu-mato, in sede giudiziaria, in tanti disiecta membra (il processo, per concorso in asso-ciazione mafiosa, a carico del più volte ac-cennato imprenditore: il quale è condotto, a séguito di avocazione degli atti, dalla Pro-cura Generale; il processo per l’omicidio Rizzo, sospeso, nella parte riguardante il capo del clan, per asserita infermità menta-le di lui; il processo per intestazione fittizia di beni, del pari sospeso per la parte riguar-dante lo stesso soggetto; i procedimenti ar-chiviati); e solo su di essa si può contare perché il silenzio cessi intorno alla mo-struosa reciprocità di competenze penali – tra Uffici di Catania e Uffici di Messina – per cui indagini su magistrati della Procura etnea, anche per reati di mafia, o sopra altri, qui in servizio, si sono svolte, a Messina, mentre magistrati di Messina erano sotto procedimento o processo (come tuttora), anche per mafia, a Catania.

Ma il profilo più vistoso, di necessità e di urgenza, si connette al procedimento in cor-so, di nomina del nuovo Procuratore della Repubblica. Occorre, perché la scelta cada sopra certo aspirante, che codesta Commis-sione si sottragga agli imperativi della si-tuazione : al dovere, mi permetto di dire, di promuovere, venendo a Catania, l’emersio-ne dei fatti. Nel concetto di chi lavora per questa riuscita, il resto sarebbe fatto dalla leva generale delle solidarietà e dallo scam-bio tra correnti.

La congiuntura è cruciale. Non si tratta soltanto del destino di un individuo o di un posto direttivo o di un Ufficio (del posto più importante, nel più incisivo degli Uffi-ci). La posta, la vera posta, è Catania. E’ il permanere in vita o la caduta del “regime materiale” della città. Quale ordinamento dovrà aver vigore, in questi luoghi: quello ufficiale, o l’altro, sinora vivo nella realtà,

al cui montaggio, con varietà di mezzi, dai più sottili ai più drastici e persino violenti, hanno lavorato i decenni? Questa, signor Presidente della Commissione Antimafia, è la questione che si pretende venga risolta, giusto dalla Commissione, nel senso più contrario alla sua natura e funzione.

* * *Se poi nulla, di ciò che affermo necessa-

rio, all’unisono con catanesi senza numero, Le paia realmente tale, allora accetti, Ono-revole Presidente, una pubblica discussione sul tema Catania. Al dibattito che così Le propongo, verrebbe invitato un rappresen-tante, in campo nazionale, dello schiera-mento politico dal quale è venuta la segna-lazione. Se essa è stata fatta in nome de “L’Ulivo”, destinataria dell’invito sarebbe, fin troppo ovviamente, la senatrice Anna Finocchiaro, catanese, magistrato, stata in servizio come tale, prima dei fatti, proprio presso la Procura Repubblica di Catania, e parlamentare già per venti anni, sempre eletta in queste circoscrizioni, e in vari tem-pi ministra, o Presidente della Commissio-ne Giustizia della Camera, o incaricata del suo partito per il settore giudiziario. E chi, meglio di don Luigi Ciotti, potrebbe fare da moderatore?

* * *Non voglio, a questo punto, né ignorare

la domanda che potrà venirle alle labbra – chi sia mai, io che Le scrivo, per pretendere tanto – né sottrarmi alla risposta. Sono, illu-stre Onorevole, quasi nessuno (dove lo stesso “quasi” forse riflette, evitando l’as-solutezza della negazione, l’amor di sé che sempre è in ognuno).

Sono solo un italiano di Catania, di già 77 anni, che nessun ruolo pubblico riveste, cessato da cinque il suo servizio di magistrato; sono un senza-partito; un estraneo a tutte le logge; uno del quale potrebbe presumersi inutile l’ascolto, non fosse per il silenzio che su cose essenziali, concernenti Catania e la sua Giustizia, e il dramma di entrambe, tenacemente han serbato e serbano, per indifferenza o viltà o calcolo o gusto di complicità con i forti, mentre egli ne ha parlato, e parla, i tanti che saprebbero farlo, volendo, infinitamente meglio di lui.

Nessuno di costoro gli fu compagno, nel ’96, quand’egli, Presidente del TM, invocò, motivatamente, la nomina di un Procurato-re della Repubblica estraneo all’ambiente

(l’immane criminalità minorile e la crimi-nalità adulta, comune e mafiosa, rimanda-vano come a loro causa comune, alla de-vianza amministrativa; e questa, egli soste-neva, trovava presupposti e condizioni nel-le disfunzioni della Giustizia requirente); nessuno concorse con lui, nel ’98, nel de-precare la consegna, che pareva imminente, della Procura della Repubblica di Messina a magistrati della Procura catanese (compe-tente, la prima, per ogni indagine sopra il Capo della seconda, e i suoi Sostituti); e tutti si sono guardati sia dal proporre all’at-tenzione del CSM il tema tabù del processo per il grande appalto di Viale Africa, sia dal lacerare il sipario davanti la scena di San Giovanni La Punta. Non essi reclamarono il riarmo della città, che l’allontanamento di troppa parte delle forze dell’ordine aveva ceduto alla malavita; non essi protestarono, in faccia a ministri, contro la mancata cat-tura del capo della mafia catanese, latitante fatato per dodici anni.

Se il tacere di pubblici ufficiali, di politi-ci, di giornalisti, di intellettuali, non avesse fatto il vuoto attorno alla voce dei pochi che tacere non abbiamo voluto, Catania sa-rebbe oggi assai diversa da com’è, triste-mente: con i suoi primati di frequenza degli arresti di minorenni e di insuccesso della scolarizzazione obbligatoria, e di bassa qualità della vita; con lo scempio delle sue risorse; con la divisione che la sfregia tra parti fortunate e quartieri derelitti; e con i processi economici in corso, di rapidissima moltiplicazione, promossa con atti ammini-strativi dalla incerta legalità, di già ingenti ricchezze, e di sempre maggiore immiseri-mento dei poveri: privati, questi ultimi, di servizi buoni e costretti a pagare, per i non buoni che stentatamente ottengono, esosi corrispettivi.

Senza quel corale mutismo, e senza il patto di censura, in ordine alle vicende del-la magistratura catanese, che sembra vinco-lare tutta la stampa nazionale, anche lo sta-to della Giustizia sarebbe altro. Della di-scussione che Le propongo mancherebbe, forse la stessa materia: sappiamo tutti quan-to tragicamente copiosa.

Che Ella accetti, potrà dunque giovare (gioverà, ne sono convinto) ad impedire di questa trista materia, malignamente fecon-da, la crescita ulteriore.

Giambattista Scidàscida.wordpress.com

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