Ucuntu n.114

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190711 www.ucuntu.org – [email protected] Ma perché a Catania dev'essere proibito scrivere qualunque cosa che non sia sul giornale di Ciancio? Perché la stessa Università dev'essere al servizio di questo monopolio? E quando ci decideremo a unirci tutti insieme per dare un giornale vero a questa città? e e L'appello della società civile L'appello della società civile per il giudice Salvi a Catania per il giudice Salvi a Catania e e Giovanni Caruso Agata Pasqualino Carmen Valisano Sonia Giardina Upress Napoli Monitor Come gli antimafiosi ricordano - lavorando - Paolo Borsellino || 19 luglio 2011 || anno IV n.114 || www.ucuntu.org || L'unica voce ammessa, nell'Ateneo e fuori, è sempre e solo una sola: quella di Ciancio La città del bavaglio Il padre-padrone dell'informazione siciliana e massimo imprenditore catanese, Mario Ciancio. AVVISO “OGGI SU STEP1 TROVERETE MOLTI SPAZI BIANCHI PER L'IMPOSSI BILITA' DELLA RE DAZIONE DI SEGUIRE IL NORMA LE LAVO RO A SE GUITO DEL LE ULTIME DISPOSI ZIONI DELL'UNI- VERSI TÀ' DI CA TANIA” Con un pretesto qualunque il rettore Recca chiude il prestigioso giornale dell'Università

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il numero del 19 luglio 2011

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190711 www.ucuntu.org – [email protected]

Ma perché a Catania dev'essere proibito scrivere qualunque cosa che non sia sul giornale di Ciancio? Perché la stessa Università dev'essere al servizio di questo monopolio? E quando ci decideremo a unirci tutti insieme per dare un giornale vero a questa città?

e e L'appello della società civileL'appello della società civile per il giudice Salvi a Catania per il giudice Salvi a Catania ee Giovanni Caruso Agata Pasqualino Carmen Valisano Sonia Giardina Upress Napoli Monitor

Come gli antimafiosi ricordano - lavorando - Paolo Borsellino

|| 19 luglio 2011 || anno IV n.114 || www.ucuntu.org ||

L'unica voceammessa,

nell'Ateneoe fuori,

è sempree solo una

sola: quelladi Ciancio

La città delbavaglio

Il padre-padronedell'informazione

siciliana emassimo

imprenditorecatanese,

Mario Ciancio.

AVVISO “OGGI SU STEP1 TROVERETEMOLTI SPAZI BIANCHIPER L'IMPOSSIBILITA' DELLAREDAZIONE DI SEGUIRE ILNORMALE LAVOROA SEGUITO DELLE ULTIMEDISPOSIZIONI DELL'UNI-VERSITÀ' DI CATANIA”

Con un pretestoqualunqueil rettoreRecca chiudeil prestigiosogiornaledell'Università

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Libertà di stampa Libertà di stampa

Estatecatanese

Buttano giù le scuole, speculano sui terreni, e imbavagliano chi scrive la veritàButtano giù le scuole, speculano sui terreni, e imbavagliano chi scrive la verità

Seduto al tavolino del bar di piazza Duomo, guardava ammirato 'u Liotru.

"Buon giorno! ragioniere Falsaperla, come sta? E com'è elegante oggi!".

"Staiu bonu, e mi stau godendo questa magnifica città".

"Ma proprio magnifica questa città non mi pare, ha tanti di quei problemi".

"Ma quali problemi! ma che dice!""Come quali problemi, il traffico, la ce-

nere dell'Etna, i posteggi e il comune che non funziona, per non parlare della giusti-zia".

"Ma che dice, siete i soliti disfattisti, e macari comunisti!".

Per il ragioniere Falsaperla, ex impiega-to comunale, tutto andava bene, e ogni qual volta che si parlava di Catania la di-fendeva, e per finire dichiarava: "E poi lo dice il giornale!".

* * *Ma i Catanesi che conoscono la città

sanno bene che il ragioniere Farsaperla ha torto.

Infatti i Catanesi sanno bene che quel che dice l'unico quotidiano di Catania non è sempre la verità, e che esso usa l'infor-mazione per pilotare gli affari e la politica a proprio uso e consumo, e che va a destra o a sinistra secondo quel che decide il di-rettore-editore Mario Ciancio.

Ma è vero che molti Catanesi non vo-gliono sapere, e non sanno.

Non sanno che il sindaco vuole bucare le più belle piazze della città per farne centri commerciali, facendoli passare per posteggi sotterranei, mentre il buon senso suggerirebbe i posteggi scambiatori.

Non sanno che per costruire nuovi pa-lazzi, insicuri, così come vogliono i pa-droni e gli speculatori, butteranno giù una delle migliori scuole della città, e che que-sto accadrà in corso Martiri della libertà, con il consenso della destra e della "sini-stra", unico volto della stessa medaglia.

Non sanno che butteranno tanto di quel cemento dentro al nostro porto da non far-ci vedere e sentire il mare che ci appartie-ne da sempre, e senza consultarci, perchè sconoscono che cosa sia la democrazia partecipata.

* * *Potrei continuare con tante altre cose

che i Catanesi non sanno e non vogliono sapere, ma non voglio annoiarvi in questa calda estate. Ma prima di chiudere voglio raccontarvi un'ultima cosa.

I Catanesi non sanno che fino a qualche giorno fa c'era un giornale fatto da stu-denti liberi, che facevano libera stampa.

Il giornale online si chiamava "Step1", ha ricevuto tanti premi, ha tanto parlato delle morti sospette nella Facoltà di Far-macia. E questo ed altro dava, e dà, fasti-dio al magnifico rettore Antonio Recca, che ha ben pensato di imbavagliarlo.

Ma la cosa più grave è che i giovani stu-denti Catanesi, i professori del nostro ate-neo tacciono.

Meglio far finta di niente, e godiamoci questa magnifica estate catanese.

Giovanni CarusoGapa

Ucuntu.org/ supplemento telematico a “i Cordai”Direttore responsabile Riccardo OriolesReg. Trib. Catania 6/10/2006 nº26

19 LUGLIOGLI ANTIMAFIOSIDEL QUARTIERERICORDANO (LAVORANDO)PAOLO BORSELLINO

A: [email protected]: assemblea del 19 luglio

Hola, gapaQuesta assemblea sarà un po' particolare e meno canonica del solito, per due motivi.a) ricorderemo per qualche minuto il giudice Paolo Borsellino ucciso, insieme alla sua scorta, il 19 luglio 1992.Lo faremo leggendo un brano del libro prodot-to da noi "Il nostro sogno", che racconta i 70 giorni trascorsi nella vecchia sede del Gapa, che fu abitata da giugno ai primi di settembre, proprio per protestare e dare un segno di ri-bellione contro le stragi di mafie e contro la cattiva olitica, e lo facemmo iniziando un per-corso, che continua ancora oggi, di antimafia sociale.b) la prima parte dell'assemblea sarà occupat-a da questa celebrazione, con i ragazzi fran-cesi insieme ai nostri. Dopo la lettura e tradu-zione di questo momento di memoria, lo scambio Italia-Francia avrà inizio, e noi potre-mo iniziare la nostra assemblea.Inizio ore 20, 30 - rigorosamente puntuali.O.d.g.:1 - campo Gapa ed attività sul tema.2 - scambio con i francesi e turismo responsa-bile.Mi sembra che non ci sia altro, ma vi ricordo, se non lo avete gia fatto, di andare dalle fami-glie per invitare i bambini, che hanno seguito dopo scuola ed attività di questo anno, al campo gapa, che si terrà, a cava d'ispica dal 25 al 28 agosto.Che gli adulti ci facciano sapere chi viene al campo e chi può contribuire economicamente anche se non viene.

Con affetto e resistenza, Giò

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Ma il Rettorenon è l'Università

“Come una Città non è il suo sindaco e un Paese non è il suo Presidente del Consiglio...”“Come una Città non è il suo sindaco e un Paese non è il suo Presidente del Consiglio...”

Ho studiato alla facoltà di Lingue del-l’Università di Catania per più di quattro anni e mentre mi muovevo tra i corridoi del Monastero dei Benedettini, in quegli anni, non mi sono mai sentita parte di un’istituzione, né tassello importante e valorizzato di quel puzzle fatto di perso-ne, menti, che tra quelle mura si formano per andare incontro al loro futuro e contri-buire a quello della comunità. Invece, ri-cordo ancora lo stupore di fronte alla let-tera con cui l’università di Cardiff mi chiedeva di diventare membro dell’asso-ciazione dei suoi ex-studenti. C’ero stata neanche sei mesi a fare l’Erasmus eppure quell’Università, che non era la mia, mi scriveva per dirmi che in quei mesi si era creato un legame che, se avessi voluto, sa-rebbe potuto durare nel tempo. Un legame tra studente e ateneo, orgogliosi e grati l’uno all’altro. Il primo nei confronti del-l’istituzione che ha contribuito alla sua formazione e il secondo verso chi mette in pratica nella società quello che gli ha in-segnato. Ci penso adesso che i vertici del-la mia Università chiudono la porta alla sola esperienza che è riuscita a farmi pro-vare quell’orgoglio e quella gratitudine e lo fanno senza neanche avere il riguardo di rivolgermi la parola.

Con uno scambio di comunicazioni e re-lazioni in burocratese, la dirigenza dell’a-teneo ha decretato la chiusura dell’aula 24, una delle cellette dei Benedettini, l’u-nica che al momento hanno deciso debba essere messa a norma.

Quell’aula è da sette anni la sede del giornale Step1, per cui scrivo da quattro e

in cui ho imparato il mestiere di giornali-sta, quello che si fa con la schiena dritta. In quell’aula, in cui sono entrata già da laureata, mi sono sentita tassello impor-tante di un gruppo composto da brillanti studenti e da professori con la P maiusco-la. E questa possibilità mi è stata data dal-l’Università, da un Preside e da alcuni do-centi – primo fra tutti il Direttore Enrico Escher che ha fondato il nostro giornale – per i quali l’Università è un’istituzione che scommette sui suoi giovani e li forma, non un ente da spremere e su cui speculare per il proprio tornaconto.

Sono stati anni pieni di insegnamenti, crescita e successi. Faticosi e meraviglio-si. Ma mentre il gruppo maturava e alcuni di noi diventavano pubblicisti o entravano in prestigiose scuole di giornalismo, men-tre arrivavano i riconoscimenti (secondi al premio Ischia dopo Marco Travaglio, vin-citori del premio Eretici Digitali e men-zione speciale al premio Peppino Impasta-to al Festival Internazionale del Giornali-smo di Perugia), mentre Sofri chiamava in redazione per chiederci se poteva ripren-dere sul Post un nostro articolo, mentre Morrione pubblicava una nostra inchiesta su LiberaInformazione, ma soprattutto mentre raccontavamo la città e l’universi-tà ai catanesi e agli studenti, la Facoltà chiudeva i laboratori di giornalismo e l’U-niversità bloccava il bando con cui si pro-poneva di affiancare alla redazione un giornalista professionista, ci privava di qualsiasi tipo di supporto e sorda rimane-va alle nostre richieste.

Siamo riusciti ad andare avanti, grazie

alla tenacia e al lavoro del gruppo, alla sempre presente Direttora, volontaria pro-fessionista, a chi ci ha guidato e ci ha fat-to da maestro, ai docenti che hanno ag-giunto nuovi insegnamenti e idee. Per supplire alle mancanze dell’ateneo abbia-mo fondato Upress, l’associazione di stu-denti e docenti che sostiene la stampa uni-versitaria. Neanche questo è servito a ren-dere più facile il rapporto con chi dirige l’Università. Upress dall’aula 24 è stata sfrattata ancor prima d'avere il diritto di starci e, anzi, l’assegnazione dell’aula al-l’associazione è stata usata come pretesto per chiudere la porta anche al giornale.

Noi della redazione siamo nel frattempo diventati quasi tutti ex studenti. Stanchi di togliere tempo al giornale per dedicarlo ad affrontare con regolarità i problemi causati dalle troppo poche o, quando pre-senti, troppo sgradevoli attenzioni del ret-tore, prendiamo atto che per il nostro giornale è impossibile continuare così. Ma non abbiamo nessuna intenzione di chiudere con l’Università. L’Università non è il rettore, così come una Città non è il suo sindaco e un Paese non è il suo pre-sidente del consiglio.

Upress è nata per accogliere tutti coloro che lavorano per poter essere fieri di far parte dell’Università di Catania, di quel-l’istituzione che ci appartiene, e continue-rà a sostenere la stampa libera fatta da giovani e studenti dell’Università, anche se questa sarà prodotta fuori dalle sue mura.

Agata PasqualinoStep1

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Perché non tutti insieme?Rete, tecnologie e unità

“Aiutati che Dio t'aiuta”. E certo non ci aiuteranno, in Sicilia, gli imprenditori o i rettori...“Aiutati che Dio t'aiuta”. E certo non ci aiuteranno, in Sicilia, gli imprenditori o i rettori...

Omen nomen: si chiamava Recca l'edito-re che licenziò Giuseppe Fava (e poi me) dal Giornale del Sud, giusto trent'anni fa, in una bella estate catanese come questa. Era un brav'uomo, tutto sommato; ma aveva a che fare con gli uomini di Graci.

Anche il Recca di adesso, quello che come magnifico rettore ha imbavagliato d'autorità i suoi studenti sarà una brava per-sona, sicuramente; ma “il coraggio, monsi-gnore, uno non se lo può dare”; e nel caso del Recca contemporaneo non ce ne vor-rebbe di meno, perché in mancanza d'un Graci qua c'è da fare i conti con Ciancio; che è sempre un bell'affare.

Ma lasciamo andare. Annotiamo rapida-mente che l'imbavagliata di Recca è deplo-revole non solo per il pessimo esempio ai discenti in tema di democrazia, ma anche per la caduta d'immagine dell'università a lui affidata. Che già prima non mancava di suscitare pettegolezzi sull'illustre cattedrati-co famoso per aver pubblicato un libro di assoluzione della mafia subito dopo l'assas-sinio di Fava, o su quello - non meno illu-stre - sputtanato in tv mentre cercava di “esaminare” a modo suo una studentessa.

Adesso l'università di Catania non ha bi-sogno d'altro: dopo don Corleone e don Giovanni, può mettere don Basilio fra i suoi luminari.

In questo declassamento dell'Ateneo Recca peraltro non è solo, facendogli buo-na compagnia i colleghi donabbondi (la quasi totalità del corpo accademico) che

non hanno ritenuto di esprimersi pubblica-mente e personalmente su un episodio che sarebbe stato assolutamente normale all'u-niversità dell'Uzbekistan o del Kalahari.

Catania, come sapete, ha avuto un gior-nalista (che era poi siracusano e non cata-nese) assassinato dai padroni della città. Ne ha avuto alcuni altri minacciati, più o meno pubblicamente. Ne ha avuti non uno o due, ma decine e decine emarginati, ridotti al la-strico, privati dei loro giornali, strozzati in tutti i modi; costretti a lasciar la Sicilia o diversamente a accettare - prezzo di libertà - una vita di durissimi sacrifici.

Non parlo per sentito dire. Per quasi tren-t'anni ho dovuto reclutare e gettare nella fornace giovani coraggiosissimi e bravi, ai quali sapevo benissimo di non poter pro-mettere altro - finché fossero rimasti a Ca-tania - che onore e stenti.

Un vero genocidio professionale, di cui non si ama parlare: logica conseguenza del monopolio, spietatamente esercitato, che nessuno seriamente contrasta se non qual-che veterano superstite e spesso, grazie a Dio, una generazione di ragazzi.

La forza dell'antimafia catanese, quanto all'informazione, è insomma tutta di volon-tari e poveri, e lo è sempre stata.

Né sulle istituzioni “colte” qui si può contare (il caso Step1 ne è la prova), né su imprenditori privati, ora come ora; anche quelli che hanno deciso di non star più con la mafia, quando si tratta d'informazione preferiscono quella tranquilla e complice, quella ufficiale.

Giornali al di fuori di Ciancio, editori illuminati? Chiacchiere, e fin troppo interessate. S'è visto nel caso Sudpress, con l'e-ditore “illuminato” risultato alla fine un politicante qualsiasi, con interessi con-cretissimi e grevi.

* * *Ma allora non c'è niente da fare? Ce n'è

moltissimo invece, e da fare in fretta. Ab-biamo un'occasione irripetibile, la seconda generazione delle nuove tecnologie (ebook, Pdf, iPad, kindle) che acquistano sempre più terreno, e sono relativamente economi-che, o almeno non comportano la maggior parte dei costi vivi, tipografici.

Sostituiranno la carta stampata? No: ne sostituiranno solo una parte. Ma s'integre-ranno perfettamente, in un sistema misto e articolato, con la restante parte di essa.

Staranno sul mercato? Ancora no (in Ita-lia: ma nei paesi anglosassoni cominciano già a superare la carta stampata), ma ci sta-ranno benissimo fra due o tre anni, man mano che si allargheranno i target e si svi-lupperanno i sistemi (vedi Ucuntu 113) si-stemi di pagamento elettronici.

Siamo in grado di farli? Da soli, noi di Ucuntu, no; ma tutti insieme sì, benissimo e ad alto livello. Non sono le competenze che ci mancano - ci mancano l'organizzazione e i quattrini.

Di questi, nel settore elettronico, non ce ne vogliono ora poi tanti; e possiamo tener duro da volontari ancora un anno.

E un'organizzazione seria e professionale si può fare benissimo (non sono le espe-rienze che ci mancano) se ci decidiamo a lavorare tutti insieme, senza mezze misure e senza riserve.

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Siamo ripetitivi, d'accordo. Ma il proget-to, l'unico che può salvarci come giornalisti liberi, è questo. Tecnologie e unità. Rete e giornali elettronici. Un giro di prodotti mo-dernissimi ma anche (dove servono), di “vecchi” giornali di quartiere. E poi tutti insieme, a maturità conseguita, sul mercato.

Non è una faccenda semplice, non lo è professionalmente ma non lo è soprattutto sul piano diciamo così “politico”. In altre parti d'Italia si può giocare con le parole, essere educati e gentili. Qui, per essere ap-pena appena dei conservatori perbene, bi-sogna essere subito dei “pazzi scatenati” e degli “estremisti”, o almeno acconciarsi a venir trattati come tali.

Qui non ci sono spazi di mediazione con il potere, ché qui il potere è Sistema. E qui il nostro mestiere diventa una cosa male-dettamente complicata.

Ma facciamo un esempio, tanto per capir-ci. Ci sono due giudici in lizza per un posto in Procura. Dei due, uno è platealmente go-vernativo, e non può ispirare fiducia a chiunque non sia del suo partito. L'altro, meno estremista, ha tuttavia la disgrazia di essersi fatto beccare a cena con un mafioso.

Senza grida, senza urla, senza pretese di scoop e senza mai ingiuriare nessuno, noi e pochi altri (all'inizio, fra i colleghi, solo Pino Finocchiaro e Giuseppe Giustolisi) abbiamo portato avanti l'idea che ci sem-brava più logica: scegliere un terzo giudice, fuori dalla città. Apriti cielo! Siamo “cattivi maestri”, siamo “amici di Ciancio”, siamo “intellettuali fuori dalla realtà”.

Quel che è peggio, sono stati violente-mente aggrediti i ragazzi del Coordina-mento Fava che ci avevano ospitati (“anti-mafiosi da strapazzo”) e il vecchio giudice Scidà, che questa tesi portava avanti in so-litudine da molti anni. Su di lui si sono accaniti in modo particolare.

Alla fine, com'era ovvio, la logica ha avuto ragione. Un giudice “continentale”, non chiacchierato da nessuno, verrà molto probabilmente nominato. Gli stessi che pri-ma difendevano (secondo le rispettive ideo-logie) questo o quel candidato, adesso si di-chiarano d'accordissimo sul giudice “di fuori”. Tutti aderiscono a gara alla buona battaglia, ora che è quasi vinta.

Va bene. Le novantanove pecorelle, il vi-tello grasso e così via. L'importante è che ora siamo tutti d'accordo, chi ci credeva da subito (e ne ha pagato i prezzi) e chi si è convinto dopo.

* * *

Dopo queste esperienze (e tenendo conto che non solo di Procura si tratta, e che è già in agenda la madre di tutte le speculazioni edilizie catanesi, corso Martiri), a un pove-raccio vien voglia di mandare tutti quanti a quel paese, e di fidarsi d'ora in poi solo ed esclusivamente dei ragazzi. Da quelli di Step1 a quelli (che ora stanno organizzando il loro jamboree a Modica) del Clandestino, ai nostri di Lavori in corso, passando per Periferica e Cordai.

Saremo insufficienti allo scopo, saremo “troppo giovani”, saremo anche buffi se volete , ma almeno abbiamo le idee chiare su chi comanda in Sicilia e sul perché deve smettere di comandare.

“Quando i giochi si fanno duri - ricordate il collega Belushi? Gran bravo ragazzo, il Belushi - i duri cominciano a giocare”.

Bene, noi ora cominciamo a giocare sul serio. Prima che finisca l'estate: lavori in corso. Alla prossima puntata.

Riccardo Orioles

SCHEDAL'ASSOCIAZIONE“LAVORIIN CORSO”

Dallo Statutodell'Associazione

Art. 2 - Scopi e attività

L’Associazione persegue l'obiettivo di aggre-gare le forze positive del giornalismo catanese e non solo per ricostituire un'informazione li-bera secondo lo spirito del giornalista Giuseppe Fava ammazzato dalla mafia il 5 gennaio 1984.

1. L' associazione persegue i seguenti scopi:

- Costruire una rete tra le testate di base;- Formare nuovi giornalisti;- Fare informazione indipendente offrendo un'alternativa ai messaggi proposti dai grandi gruppi editoriali e televisivi.- Promuovere e svolgere ogni iniziativa intesa allo sviluppo delle attività di cui sotto.

2. L’Associazione perseguirà le finalità sopra elencate attraverso le seguenti attività:

- Condivisione dei palinsesti delle testate di base collegate all'associazione;- Riunioni di redazione periodiche;- Sviluppo in sinergia di alcune tematiche/in-chieste concordate;- Organizzazione di laboratori e momenti di formazione e ricerca;- Promozione, progettazione, e realizzazione di attività di edizione, informazione, produzio-ne, studio, ricerca e quant'altro necessario a diffondere la cultura e l'informazione anche con ogni mezzo esistente o che la tecnologia creerà in futuro.- Organizzazione di convegni, confronti pub-blici, dibattiti, eventi e tutto quanto l'Associa-zione ritenga utile al fine di far conoscere la propria attività e tutto quanto possa portare beneficio agli ideali e agli scopi dell'associa-zione.

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“I Suoi silenzi,le nostre parole”

Lettera aperta al Magnifico RettoreLettera aperta al Magnifico Rettore

Magnifico Rettore,con amarezza, ma senza alcuna sorpresa,

abbiamo appreso della decisione dell'Ate-neo di sbarrare la porta dell'aula 24, da sempre sede della redazione di Step1 e, fino a poche settimane fa, di Radio Zam-mù. Non è questo il luogo per commentare le motivazioni addotte dal Direttore ammi-nistrativo dell’Università per spiegare la chiusura dell’aula: esse, del resto, si com-mentano da sole. Più importante ci sembra ricostruire pubblicamente l'atteggiamento che in questi anni i vertici dell'Ateneo, per Sua volontà, hanno tenuto nei confronti delle esperienze di giornalismo universita-rio nate dentro l’Ateneo. Sta qui infatti, come ognuno può facilmente vedere, il mo-tivo sottaciuto ma evidente di ciò che in questi mesi sta accadendo. A Upress, a Ra-dio Zammù, a Step. Ma anche a molti altri.

La testata giornalistica Step1 è stata fon-data nel 2004, su iniziativa del giornalista Enrico Escher, allora docente a contratto nella nostra università. Essa è stata pensata come un modello avanzato di formazione universitaria al giornalismo: una formazio-ne realizzata sul campo, praticando l’infor-mazione secondo principi deontologici di indipendenza e di libertà.

I risultati di questa palestra di giornali-smo possono misurarsi da dati oggettivi. Le produzioni di Step1 hanno ricevuto presti-giosi premi e menzioni in contesti di rile-vanza nazionale (Festival del Giornalismo di Perugia, Premio Ischia ecc).

Analoghi riconoscimenti nazionali sono stati ottenuti da Radio Zammù, l’ultimo proprio mentre i ragazzi della radio si pre-paravano a lasciare l’aula 24. Numerosi studenti – per limitarsi alla formazione in senso stretto – sono stati iscritti, grazie a Step1 e a Radio Zammù, all’albo dei gior-nalisti pubblicisti. Alcuni di essi sono stati anche ammessi a selettive scuole post-lau-rea che danno l’accesso al titolo di giornali-sta professionista. E l’elenco potrebbe con-tinuare.

A supporto di questa feconda esperienza, alla fine del 2008 la Facoltà di Lingue pro-pose un bando pubblico per affiancare agli studenti-redattori, con un contratto part-ti-me, un giornalista professionista, per svi-luppare ulteriormente, con un modestissim-o investimento, il modello di una formazio-ne moderna e innovativa, costruita sul cam-po dell’informazione indipendente grazie

agli spazi aperti dai nuovi media. Quel ban-do fu bloccato per scelta dei vertici dell’A-teneo. Da tali vertici venne invece la pro-posta che l’intera attività giornalistica di Step1 venisse sistematicamente sottoposta al visto dell’ufficio stampa d’Ateneo.

Si aprì allora, sulle pagine di Step1, un pubblico dibattito su cosa si debba inten-dere per “giornalismo universitario”. Di-versi docenti di questo e di altri Atenei in-tervennero per spiegare che il giornalismo universitario non può essere in alcun modo assimilato alla comunicazione istituzionale, che non si può insegnare il mestiere di giornalista prescindendo dai principi deon-tologici che, di questo mestiere, sono l’ani-ma. Non una voce si levò, da Lei o dal mondo accademico a Lei vicino, a difesa della Sua particolare visione dell’informa-zione. Al pubblico dibattito da noi avviato, Lei ha solo opposto un silenzio sordo e pri-vo di argomenti.

La questione Step1, negli stessi mesi, fu anche sottoposta a una commissione di se-natori accademici di Sua nomina. Anche tale commissione, presieduta dal prof. Vin-cenzo Di Cataldo, preside della Facoltà di Giurisprudenza, escluse categoricamente l’idea di sottoporre la testata giornalistica all’ufficio stampa di Ateneo. A questa scon-fessione della Sua visione, che avrebbe do-vuto preludere al concreto avvio di iniziati-ve a sostegno del progetto Step1, Lei conti-nuò tuttavia a opporre la medesima sordità e il medesimo silenzio.

Frattanto, nella primavera del 2009, era arrivato il momento dell’elezione del Ret-tore. In quel contesto di pubblico confronto Lei giudicò utile dichiarare che anche una voce indipendente, come quella di Step1, andava salvaguardata. Nel discorso imme-diatamente successivo alla Sua rielezione Lei giunse a ringraziare Radio Zammù e Step1, dichiarando che le due testate erano “risorse da proteggere”.

Su Sua iniziativa, al principio dell’estate 2009, fu convocata in Rettorato una riunio-ne di tutti i docenti responsabili dell’attività di Radio Zammù e di Step1 e fu Lei stesso a suggerire che, in difetto di disponibilità economiche dell’Ateneo, la proprietà di Step1 venisse trasferita a un’associazione di studenti e docenti in modo da garantire la massima autonomia editoriale e risorse aggiuntive provenienti da entrate pubblici-tarie e dall’apporto di altre Istituzioni.

Nel 2009 fu costituita l’Associazione “Upress CTA onlus”. Tra i suoi obiettivi c’era quello di rilevare la titolarità della te-stata. Ciò avrebbe sollevato l’Università dal ruolo di editore, impossibile da esercitare ove - per scelta o per necessità - non si in-tenda investire un quattrino nell’attività editoriale e di formazione al giornalismo. Al tempo stesso, ciò avrebbe troncato i ti-mori - che venivano talora manifestati - cir-ca eventuali rischi legali per l’Ateneo in caso di querele. La Facoltà di Lingue ha di-chiarato la sua disponibilità a cedere a Upress la testata Step1. Ma tale decisione non ha mai ricevuto il via libera dai vertici d’Ateneo. Anche stavolta, non una sola pa-rola è stata spesa per motivare il diniego.

Nel frattempo, l’associazione Upress ha richiesto alla Facoltà l’uso dell’aula 24 per l’esercizio delle proprie attività sociali. Tale richiesta è stata accolta dalla Facoltà di Lingue ma - prima ancora che la relativa convenzione potesse essere formalizzata - i vertici d’Ateneo, con inconsueta sollecitu-dine, si sono attivati per impedire che ciò avvenisse, disponendo l'immediata chiusu-ra dell’aula stessa.

Poiché l’atto obbligava, per una volta, a far ricorso a qualche parola, si è scelto di adottare un moderno surrogato del latino-rum di don Abbondio. Si è scelto il lessico polveroso della burocrazia, si sono scomo-date norme di sicurezza che - a quanto pare - varrebbero solo per l’aula 24 e non per tutti gli altri locali dell’Università.

Nelle comunicazioni scritte relative alla vicenda sono sempre state omesse le parole “Step1” e “Upress”: il nome della redazio-ne che anima quell’aula da quasi sette anni e quello dell’associazione nata per sostene-re i media universitari supplendo alle man-canze dell’Ateneo. Certi silenzi, a volte, si-gnificano più delle parole.

Il filo che lega i fatti sopra elencati non è difficile da seguire. C’è un Rettore che non accetta l’esistenza di qualsivoglia spazio di dibattito libero dentro l’Università; non ac-cetta spazi indipendenti di informazione, in cui possano trovar voce anche critiche e dissensi; non accetta che l’Università pro-muova un modello di formazione al giorna-lismo che sappia guardare oltre le angustie e le clientele del panorama editoriale citta-dino.

Ciò che non si accetta è, forse, la stessa idea che l’Università sia un insieme plurale

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Libertà di stampa Libertà di stampa

“Non sare“Non saremo riverenti:mo riverenti:con niente e con nessuno”con niente e con nessuno”

di voci - universitas, appunto - piuttosto che un bene di cui il Rettore possa disporre come di cosa propria. Che essa sia luogo di scambio, di discussione anche aspra, ma fi-nalizzata a un obiettivo comune: l’avanzamento della conoscenza.

Se questo è il punto, la vicenda dell’aula 24 non concerne semplicemente Step1 e Upress, ma investe, così come altre vicende che si stanno sviluppando in questi mesi, la sostanza della vita accademica. Più precisa-mente, la sostanza della sua democrazia.

Dire che siamo di fronte a un modello autoritario, però, non esaurisce a nostro av-viso il problema. Ci pare anzi – se teniamo d’occhio le vicende che più da vicino ci ri-guardano – di essere di fronte, anzitutto, a una visione ristretta, provinciale e cultural-mente miope dell’Università (oltre che del-l’informazione). Non riusciamo a non pen-sarlo, di fronte a un’amministrazione che sa argomentare le proprie decisioni soltanto con il silenzio o con scuse risibili.

E tuttavia, Magnifico Rettore, se ci sarà un silenzio che Lei potrà continuare a go-dersi, questo silenzio sarà soltanto il Suo. Non certo il nostro. Lei potrà metterci alla porta dell’aula 24, se così ha deciso di fare. Ma non potrà toglierci la parola, né potrà impedire che questa sia usata per dar voce all’universitas. La quale, che Le piaccia o no, non s’identifica con la Sua Persona.

Non è comunque dei Suoi silenzi che im-porta adesso parlare. Né dello stile con cui Lei ha in questi giorni saputo manifestarci la Sua attenzione. Tutto ciò appartiene alla Sua responsabilità, nell’alto compito di le-gale rappresentante dell'Ateneo e di garante del rispetto della libertà di ricerca e di inse-gnamento.

Noi di Upress ce ne assumiamo un'altra: quella di stare a fianco di ogni iniziativa di informazione che dia spazio agli studenti, ai docenti, al personale, alle forze cultural-mente vive di questa università. Di suppor-tare chi continuerà a parlare liberamente di essa come di un pezzo della città, e della città come di un pezzo del mondo. Di dar voce a chi non accetta che questa comunità si rinchiuda nel ristretto orizzonte in cui viene ogni giorno di più trascinata. Ci assu-miamo questa responsabilità, assieme a quella di non essere mai riverenti con nes-suno. Proprio come ci ha insegnato il prof. Enrico Escher.

Il Presidente di Upress

LA STORIA DI STEP1 “SETTE ANNI E MAI UN INCHINO”

Nel secondo anniversario della sua morte, al Monastero dei Benedettini di Catania, è stato consegnato il premio per tesi di laurea intitolato alla memoria di Enrico Escher, fondatore nel 2004 di Ste-p1 e primo direttore. Davanti ai colleghi della stampa e alle istituzioni, la redazio-ne ha voluto ricordarlo con una promessa: non sarà uno sfratto a fermarci

* * *Quando due anni fa abbiamo saputo che

Enrico Escher, il primo Direttore del no-stro giornale, non c’era più, è stato come se una parte magnifica delle nostre vite al-l’interno dell’università fosse esplosa, li-berando nelle nostre menti frammenti di ricordi che il tempo aveva accantonato. Le riunioni all’aperto, con le sedie in cir-colo attorno al Prof. La maratona per le elezioni politiche, la prima volta che ab-biamo giocato a fare i giornalisti seri e ab-biamo vinto contro le testate nazionali che arrancavano dietro di noi. In molti si sa-ranno ricordati della prima visita nell’aula 24: finalmente una stanza dove incontrar-si, dei computer per scrivere pezzi e ag-giornare il sito, un telefono per fare la chiamata mattutina al Direttore.

In questi anni, anche dopo le dimissioni del professor Escher, Step1 si è guadagna-to una fama locale e nazionale che nessu-no di noi avrebbe immaginato sette anni fa. Una decina di giornalisti pubblicisti e due praticanti, la partecipazione ogni anno al Festival del giornalismo di Peru-gia, il secondo posto al premio Ischia, la vittoria del premio Eretici digitali, la men-zione speciale al premio Impastato. E nel frattempo siamo diventati delle fonti, sia-mo giudicati attendibili.

Oggi ci sarebbe piaciuto ricordare il professor Escher attraverso i suoi progetti e i successi dei suoi ragazzi. Oggi, invece, vi dobbiamo raccontare di come stiamo assistendo alla morte di quell’ambizioso piano editoriale.

Negli ultimi mesi Radio Zammù è stata

messa all’angolo e costretta a scegliere tra la continuità del solo nome della testata e la correttezza, la professionalità, la pro-gettualità. Nascondendosi dietro un assor-dante silenzio, l’Università non ha spiega-to, non ha parlato, non ha mostrato inte-resse.

Adesso, l’Ateneo ha rivolto il suo sguardo accusatorio su Step1.Ha chiesto l’immediata chiusura dell’aula 24, la no-stra aula, adducendo problematiche di ca-rattere strutturale. L’aula era stata chiesta in gestione da Upress, l’associazione che unisce Step1 e Radio Zammù e che ha come obiettivo la tutela del giornalismo universitario. Conta tra i suoi iscritti mol-tissimi docenti e studenti dell’università, ha ricevuto un contributo dallo stesso Ate-neo... Ma ora alla facoltà di Lingue, no-stro editore, è arrivata una richiesta di sfratto per i suoi studenti.

Oggi, purtroppo, vi dobbiamo comuni-care che non abbiamo certezze sul nostro futuro. La necessità di un luogo fisico non è solo legata alla “palestra di giornalismo” ma più in generale alla fattura quotidiana di un giornale vero, non una fanzine o un portalino di studenti. Step1 è un luogo dove si impara, ci si confronta e solo in un secondo momento si scrive. Ma è an-che un vero giornale che ha un suo ruolo, un suo pubblico, una sua autorevolezza.

Chi ha il compito di insegnare, di creare un ambiente nel quale il dialogo costante è supremo, ci sta dimostrando che al mo-mento non c’è spazio per le parole.

Al silenzio di chi guida il nostro Ateneo rispondiamo con il silenzio del nostro giornale. Ma non chinando il capo, quello i nostri direttori e i nostri tutor non ce l’hanno insegnato. Nel suo editoriale del 2005, dopo aver annunciato la nuova re-lease del sito e la registrazione della testa-ta, Enrico Escher lascia un avvertimento: “non saremo riverenti: con niente e con nessuno”. E qualsiasi cosa ci riservi il fu-turo, che questa città si ricordi quel moni-to. Non basterà mandarci via dal luogo nel quale siamo nati.

I ragazzi di Step1 non se ne andranno facilmente.

Carmen Valisano, Step1

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Caso Catania Caso Catania

Le associazioni sottoscritte,nel momento in cui vengono da più

parti riportati episodi sconcertanti che coinvolgono fra l'altro aspiranti al posto di procuratore capo al Tribunale di Ca-tania, manifestano la propria preoccupa-zione per la nomina prevista in conse-guenza del pensionamento del Dott. Vin-cenzo D’Agata e sottolineano la necessità che chi assumerà l’incarico riesca final-mente a disvelare e a rendere pubblico l’intreccio fra poteri economici, politici e mafiosi che, anche in campo nazionale, ormai è noto come il “ Caso Catania”.

Come cittadini abbiamo il diritto di spe-rare in un futuro di legalità e giustizia per la nostra città. A questo scopo le Associazioni firmatarie del presente appello, così come già richiesto, auspicano che la nomina a procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Catania ricada su una persona-lità di alto spessore che eserciti l'autonomia della magistratura rispetto al potere politi-co, che sia capace di operare al di fuori del-le logiche proprie del sistema politico-affa-ristico della città, che possibilmente sia del tutto estranea all'ambiente cittadino, che provenga cioè da realtà lontane dall’humus siciliano e catanese in particolare, una per-sonalità che favorisca il riscatto civile della nostra città e che contribuisca a restituirle orgoglio e dignità.

Associazione Centro Astalli, AS.A.A.E., Assoc.CittàInsieme”, Assoc. Domenicani Giustizia e Pace, Laboratorio della Poli-tica Onlus, La Città Felice, Assoc. Stu-dentesca e Culturale "Nike", Comitato NO-TRIV, Assoc. Oltre la Periferica, Li-brino, Punto Pace Pax Christi Catania, Sicilia e Futuro, Associazione Talità Kum

* * *

La Sicilia è la regione dove si trova la maggior economia sommersa del paese, come recenti e qualificati studi hanno evi-denziato, e gran parte dell’imprenditoria cheopera nell’isola usufruisce di complicità o alleanze con le organizzazioni criminali.

La mafia ha esteso da tempo i suoi inte-ressi nell'economia “legale”, dove l'accu-mulazione della ricchezza avviene attraver-so relazioni e attività costruite sulla base del coinvolgimento diretto e dei favori scambiati con potentati economici, politici, professionali.

Si è creato così uno spazio dove lecito e illecito finiscono per entrare in commistio-ne. L'epicentro di questa "area grigia", dove si intrecciano gli interessi di mafia ed eco-nomia, è oggi Catania, come ribadito anche dal Presidente di Confindustria Sicilia.

Una città dove, da anni, diversamente che a Palermo o Caltanissetta, l'azione di con-trasto della Procura è stata assolutamente inefficace. Emblematica, da questo punto di vista, è apparsa la gestione dell’inchiesta che ha coinvolto il governatore Lombardo e il fratello Angelo.

Gli inquirenti si sono divisi sui provvedi-menti da assumere in merito all'esito delle indagini sul Presidente della Regione. Il Procuratore D'Agata, nelle prese di posizio-ne pubbliche, ha dato l’impressione di un evidente imbarazzo e fastidio nei confronti dell’inchiesta; in un'intervista rilasciata a Zermo, sul quotidiano di Ciancio (a sua volta indagato in altro procedimento), sem-bra esprimere contrarietà per le considera-zioni espresse da Ivan Lo Bello sul peso dell'imprenditoria mafiosa a Catania.

Infine, una fotografia pubblicata in questi giorni ha riacceso i riflettori sul “caso Catania”, una vicenda giudiziaria nata dalla denunzia di Giambattista Scidà che lanciò l’allarme di contiguità tra criminalità mafiosa e frange della magistratura etnea.

Alla luce di tutti questi fatti e alla vigilia della nomina del nuovo Procuratore della Repubblica, facciamo appello al Csm affin-ché la Procura di Catania abbia finalmente un Procuratore capo assolutamente estraneo ai giochi di Palazzo e all’intreccio delle poco chiare vicende catanesi. Un magistra-to che non subisca le forti interferenze esterne che hanno condizionato da decenni la direzione della Procura catanese.

Giolì Vindigni, Gabriele Centineo, Mimmo Cosentino, Angela Faro, Santa Giunta, Vincenza Venezia, Salvatore Cuccia, Lucia-no Carini, Giuseppe Di Filippo, Enrico Giuffrida, Lillo Venezia, Claudio No-vembre, Massimo Blandini, Marzia Ge-lardi, Maria Concetta Siracusano, Fran-cesco Duro, Margherita Ragusa, Antonella Inserra, Mario Pugliese, Giovanni Caruso, Elena Maiorana, Tuccio Giuffrè, Rosa Spataro, Paolo Parisi, Marcella Giammusso, Giuseppe Pappalardo, Raf-faella Montalto, Giovanni Grasso, Fede-rico Di Fazio, Claudio Gibilisco, Riccardo Orioles, Elio Impellizzeri, Ignazio Grima, Angelo Morales, Pippo Lamartina, Andrea Alba, Matteo Iannitti, Valerio Marletta,

Marcello Failla, Alberto Rotondo, Riccardo Gentile, Barbara Crivelli,Massimo Malerba, Enrico Mira-bella, Maria Lucia Battiato, Mauro Viscu-so, Sebastiano Gulisano, Aldo Toscano, Anna Bonforte, Grazia Loria, Pierpaolo Montalto, Toti Domina, Fabio Gaudioso, Giovanni Puglisi, Titta Prato, Maria Ro-saria Boscotrecase, Lucia Aliffi, Fausta La Monica, Salvatore Pelligra, Anna In-terdonato, Lucia Sardella, Federica Ra-gusa, Alfio Ferrara, Federico Urso, Paolo Castorina, Giusi Viglianisi, Laura Parisi, Gaetano Pace, Luigi Izzo, Alberta Dionisi, Carmelo Urzì, Pina De Gaetani, Giusi Mascali, Marcello Tringali, Daniela Carcò, Giulia D’Angelo, Alessandro Veroux, Ionella Paterniti, Francesco Schillirò, Francesco Fazio, Tony Fede, Antonio Presti, Luigi Savoca, Salvatore D’Antoni, Alessandro Barbera, Vito Fi-chera, Stefano Veneziano, Pinelda Garoz-zo, Francesca Scardino, Irina Cassaro, Carmelo Russo, Franco Barbuto, Maria Luisa Barcellona, Nicola Musumarra, Angela Maria Inferrera, Michele Spataro, Giuseppe Foti Rossitto, Irene Cummaudo, Carla Maria Puglisi, Milena Pizzo, Ada Mollica, Maria Ficara, Rosanna Aiello, Rosamaria Costanzo, Mario Iraci, Giu-seppe Strazzulla, M. C. Pagana, Vincenzo Tedeschi, Nunzio Cinquemani, Francesco Giuffrida, Maria Concetta Tringali, Maria Laura Sultana, Giovanni Repetto, Giusi Santonocito, Marco Sciuto, Tiziana Cosen-tino, Emma Baeri, Renato Scifo, Luca Can-gemi, Elisa Russo, Angela Ciccia, Alfio Fi-chera, Giampiero Gobbi, Domenico Stimo-lo, Piero Cannistraci, Roberto Visalli, Ma-rio Bonica, Claudio Fava, Giancarlo Con-soli, Maria Giovanna Italia, Riccardo Oc-chipinti, Giuseppe Gambera, Orazio Aloisi, Antonio Napoli, Giovanni Maria Consoli, Elsa Monteleone, Francesco Minnella, An-tonia Cosentino, Sigismonda Bertini, Giusi D’Angelo, Lucia Coco, Fabrizio Frixa, Santina Sconza, Felice Rappazzo, Concetto De Luca, Maria Luisa Nocerino, Alessio Leonardi, Renato Camarda, Angelo Borzì, Chiara Arena, Alberto Frosina, Gianfranco Faillaci, Daniela Scalia, Lucia Lorella Lombardo, Pippo Impellizzeri, Giuseppe Malaponte, Antonio Mazzeo, Marco Luppi, Ezio Tancini, Aldo Cirmi, Luca Lecardane, Rocco Ministeri, Gabriele Savoca, Fulvia Privitera, Daniela Trombetta, Vanessa Marchese, Edoardo Boi, Stefano Leonardi, Ivano Luca, Maria Crivelli, Guglielmo Rappoccio, Grazia Rannisi, Elio Camilleri, Rosanna Fiume, Alfio Furnari, Claudia Urzi, Luigi Zaccaro, Daniela Di Dio, Gigi Cascone, Ettore Palazzolo, Nunzio Cosen-tino, Matilde Mangano, Andrea D'Urso, Daniela Pagana, Stefania Zingale, Concet-ta Calcerano, Luana Vita, Maria Scaccia-noce, Costantino Laureanti, Pierangelo Spadaro, Paola Sardella, Luisa Gentile, Antonio Salemi, Antonino Sgroi...

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APPELLI

PER LA GIUSTIZIA

A CATANIAAl Vicepresidente del CSM

Alla Commissione Uffici Direttivie p.c.

Al Presidente della Repubblica

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In questo Stato In questo Stato

Operazione Corso Martiri: fermarla ora

Egregio sig. Sindaco,Le sottoscritte associazioni, con riferi-

mento al progetto di ricostruzione sulle aree intorno al Corso Martiri della Libertà, ritengono che la mancata sottoscrizione dell’accordo operativo da parte della pro-prietà comporti per l’Amministrazione co-munale l’obbligo di ripensare le scelte di pianificazione di quelle aree nell’ambito del più ampio contesto del nuovo Piano Re-golatore Generale in corso di redazione.

Come potrebbe pensarsi, infatti, di piani-ficare ex novo l’intero territorio comunale, lasciando ancora valide le scelte, vecchie di quarant’anni, per una piccola area della cit-tà, ma centrale e determinante per tutto l’intorno?

Come è noto il Comune di Catania è ob-bligato per legge alla revisione del PRG di Piccinato, approvato nel 1969. Non si vede quindi come si possa considerare ancora valido il Piano di Ricostruzione di San Be-rillo, approvato nel 1973, e non si vede so-prattutto come si possa redigere un nuovo Piano Regolatore Generale, accettando come intoccabili soltanto le prescrizioni su quest’area: perché su tutto il territorio sa-rebbe necessario rivedere le norme urbani-stiche e soltanto su quell’area no?

Il rifiuto dei proprietari a realizzare il completamento secondo il vecchio Piano autorizza, anzi, a nostro vedere, obbliga l’Amministrazione a ripensare a questa par-te di città nel contesto di una nuova pianifi-cazione generale, che tenga conto di tutti i nuovi fabbisogni, a partire dal decongestio-namento delle aree centrali, dalla riqualifi-cazione del centro storico che gli sta intor-no, dalle esigenze di spazi aperti per la pre-venzione antisismica e di aree verdi per la

fruizione pubblica, anziché di nuovi centri commerciali e direzionali, che rischierebbe-ro anzi di essere controproducenti.

Come abbiamo già scritto, riteniamo che il completamento di corso Martiri della Li-bertà rappresenti innanzitutto un’occasione imperdibile per la città per garantire un re-cupero di vivibilità al centro storico, ed in particolare per garantire la realizzazione di adeguate aree verdi e spazi pubblici di pre-venzione antisismica e di fruizione, con particolare attenzione alle esigenze dei bambini e degli anziani.

Vista l’importanza e la vastità dell’area, riteniamo anche indispensabile che tale atto non passi da un accordo riservato con i pri-vati, ma passi da un serio e aperto dibattito sulla destinazione dell’area e su come ri-qualificarla con l’intera cittadinanza attra-verso incontri, dibattiti, e infine attraverso lo stesso Consiglio Comunale.

Dopo l’approvazione del PRG, in attua-zione delle nuove scelte urbanistiche, si po-trà procedere alla progettazione sull’area in questione, che, per puntare alla massima qualità dell’intervento, sarebbe bene che avesse carattere unitario e che venisse affi-data in esito alle risultanze di un concorso di architettura di rilievo internazionale.

Cittainsieme, Cispa, Italia Nostra,Legambiente, Wwf, Lipu, ComitatoPorto

Del Sole, Rifiuti Zero - Catania

Caso Catania/ Anche Libera fa appello al Csm

Infiltrazioni mafiose nell’economia, cor-

ruzione diffusa, alto tasso di illegalità: di fronte a questa realtà la Procura di Catania appare, anche dopo il pensionamento del Procuratore D'Agata, divisa e lacerata da conflitti interni.

Il Coordinamento provinciale catanese di Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, rivolge un appello al CSM: senza voler esprimere alcuna valutazione sulla professionalità dei catanesi concorrenti per la nomina del Procuratore della Repubbli-ca, chiediamo che, stavolta, sia scelto un candidato estraneo alla città.

In occasione dell'ultima nomina era stato rivolto un analogo appello, rimasto, pur-troppo, inascoltato e vicende successive ci hanno dato ragione: Catania ha vissuto e vive un'ennesima stagione di veleni.

La Procura è il cuore pulsante dell'ammi-nistrazione della Giustizia, solo un capo li-bero da legami con la città e lontano dalle storie che hanno infangato la magistratura catanese potrà ridare l'autorevolezza indi-spensabile all'imparziale esercizio dell'azio-ne penale cui Catania ha diritto.

Il Coordinamento provincialedi Libera, Catania

AVVISO PER GIORNALISTI (E GRAFICI) AMBIZIOSI

Il 4 agosto scade la domanda per il Ma-ster di II livello in Grafica Digitale per il Giornalismo organizzato dall'Accademia di Belle Arti Palermo.

Il Master, della durata di 1500 ore (fre-quenza obbligatoria), comprende: Teoria e tecnica della comunicazione e dell’infor-mazione; Linguaggio del giornalismo; Sto-ria dei mass media; Analisi e linguaggio della fotografia giornalistica; Organizzazio-ne redazionale; Fatto, notizia e notiziabili-tà; Graphic design per giornalismo; Web design; Analisi e progettazione dei caratteri tipografici; Tecniche di illustrazione ed ela-borazione digitale dell’immagine.

Sono ammessi i laureati nei gruppi di laurea letterario, architettura, politico-so-ciale nonché presso le Accademie di Belle Arti. Sono previste 20 borse di studio da € 6.000,00 cadauna).

(Nota: il Master è tenuto da Renato Galasso, uno dei vecchi responsabili del settore grafico di Avvenimenti. Per chi conosce la storia di Avve-nimenti, e del suo direttore artistico Piergiorgio Maoloni, non occorrono altre precisazioni - r.o.)Info: www.altaformazioneinrete.ito redazione di Ucuntu.

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Immigrati Immigrati

L'accoglienzanegataSicilia, il CARAdi Mineo

Il mega CARA di Mineo più che un centro di accoglienza è un cen-tro di detenzione in cui circa 2000 richiedenti asilo di diversi paesi vivono segregati tra le montagne.

Tre minuti di telefonate al mese e cinque minuti di connessione in-ternet, senza tv né giornali.

Nessuna attività ricreativa e cul-turale, pochi corsi d'italiano, so-vraffollati e male organizzati. I mediatori culturali si contano sulla punta delle dita, mancano del tutto percorsi di integrazione.

Fuori dal mondo, per gli immi-grati il contatto più vicino con la popolazione locale è a 11 km dal CARA, cioè a Mineo. 22 km a piedi - andata e ritorno - o, per i più “abbienti”, con la navetta a 2 euro. Peccato che soldi gli immi-grati non ne hanno e per quasi tutti

la scarpinata è troppo pesante, e allora non gli resta che ammazzare il tempo nel centro dove le lunghe file per i pasti scandiscono le monotone giornate.

Nel frattempo cresce l'ango-sciante attesa da cui dipende il loro avvenire, quella del permesso di soggiorno.

* * *Fino a un mese fa questa attesa

sembrava davvero infinita a causa dei tempi lentissimi della Com-missione territoriale per il ricono-scimento della protezione interna-zionale. Al ritmo di dieci audizio-ni alla settimana, la permanenza nel CARA sarebbe potuta durare persino tre anni.

Grazie alle proteste degli immi-grati (tra cui tre blocchi stradali della Catania-Gela) e alle denunce

della Rete antirazzista catanese, la situazione sembra oggi finalmente sbloccata.

Le richieste d'asilo esaminate settimanalmente sono passate da 10 a 60-80.

Una vera svolta! Purtroppo però, insieme ai nuovi ritmi galoppanti, i dinieghi si sono moltiplicati ver-tiginosamente.

A detta dei migranti, più del 50% delle domande sono state ad oggi bocciate e molti rifiuti non trovano per loro una reale giustifi-cazione. A volte, concernono in blocco tutti coloro che provengo-no da una stessa regione, come se non esistessero i singoli casi.

Perché quasi tutti i pakistani provenienti dal Punjab hanno avu-to il rigetto? Eppure il Punjab, a cavallo tra l'India e il Pakistan, è

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Circa 2000 immigrati vivono nell'angoscia delCirca 2000 immigrati vivono nell'angoscia del rigetto della domanda d'asilo. Cosa starigetto della domanda d'asilo. Cosa sta succedendo nel Centro di Accoglieza persuccedendo nel Centro di Accoglieza per richiedenti asilo di Mineo? Come vivono e qualirichiedenti asilo di Mineo? Come vivono e quali aspettative hanno gli ospiti del centro?aspettative hanno gli ospiti del centro?

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Immigrati Immigrati

una regione calda, scossa da vio-lente agitazioni e attentati. Basti pensare che lo scorso gennaio il governatore del Punjab pakistano, Salman Taseer, è stato assassinato per la sua politica liberale, invisa soprattutto ai musulmani. Quali ri-schi per la loro vita comporterebbe il rimpatrio?

Dal Pakistan spostiamoci in Africa...

Per esempio... quale potrebbe essere la sorte di Diatou, di origi-ne senegalese, se la commissione dovesse rifiutare la sua domanda?

Sono passati dieci anni da quando Diatou abbandonò insieme al padre il villaggio natale, Nguer, a causa di una faida politico-fami-liare che aveva portato all'assassi-nio di sua madre. Si spostò quindi a Darou Salam, ma anche qui fu costretto a scappare; si rifugiò in Mali dove restò tre anni e poi altri tre li passò in Algeria dove, a se-guito di un attentato in cui rischiò la vita, decise di andare in Europa passando per il Marocco, ma non ci riuscì.

Dopo Settat fu la volta della Li-bia, ma nel 2011, come tanti, scap-pa in Italia. Quale si può conside-rare il suo paese?

Diatou vive nell'angoscia del ri-getto della sua domanda e infatti termina così il suo racconto: “Io non ho più nulla dietro di me, sono senegalese solo sulla carta, non saprei dove andare... Là dove sono cresciuto non ci posso torna-re perché non sono tollerato da chi comanda. Il problema non sono le difficoltà economiche, ho bisogno di una vita libera senza l'angoscia di essere picchiato o torturato. Questa libertà non l'ho mai cono-sciuta. Se mi rispediscono in Se-negal per me è finita”.

Sonia Giardina I Cordai

SCHEDAI CENTRIDELL'IMMIGRAZIONE

Le strutture che accolgono e assisto-no gli immigrati irregolari sono distin-guibili nelle seguenti tipologie:1) Centri di primo soccorso ed assi-stenza (CSPA) – strutture localizzate in prossimità dei luoghi di sbarco destinate all’accoglienza degli immigrati per il tempo strettamente occorrente al loro trasferi-mento presso altri centri (indicativamente 24/48 ore);2) Centri di accoglienza (CDA) – struttu-re destinate all’accoglienza degli immigrati per il periodo necessario alla definizione dei provvedimenti amministrativi relativi alla posizione degli stessi sul territorio na-zionale;

3) Centri di accoglienza per Richiedenti asilo (CARA) – strutture destinate all’ac-coglienza dei richiedenti asilo per il perio-do necessario alla loro identificazione o all’esame della domanda d’asilo da parte della Commissione territoriale;4) Centri di identificazione ed espulsione (CIE) – strutture destinate al trattenimento dell’immigrato irregolare per il tempo necessario alle forze dell’ordine per eseguire il provvedimento di espulsione.

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Eserciti Eserciti

Radar anti-emigrantiE inquina pure

In guerra (contro i poveri) tutti i mezzi son buoni In guerra (contro i poveri) tutti i mezzi son buoni

Cortei, sit-in, presidi permanenti, interro-gazioni parlamentari, petizioni popolari, esposti e ricorsi al Tar. Cresce la protesta di cittadini e associazioni ambientaliste contro l’installazione in alcune riserve naturali di Puglia, Sardegna e Sicilia dei famigerati ra-dar anti-migranti EL/M-2226 ACSR pro-dotti dall’azienda israeliana Elta System.

I potenti sensori sono stati acquistati dal-la Guardia di finanza grazie alle risorse del “Fondo europeo per le frontiere esterne”, programma quadro 2007-08 contro i flussi migratori, e costituiranno l’ossatura della nuova Rete di sensori radar di profondità per la sorveglianza costiera che sarà inte-grata al sistema di comando, controllo, co-municazioni, computer ed informazioni della forza armata per individuare e respin-gere le imbarcazioni di migranti di piccole dimensioni. Un affare di decine e decine di milioni di euro per il complesso militare in-dustriale israeliano e per la società romana Almaviva (già Finsiel), scelta d’imperio dal Comando della Gdf per approntare i siti e posare i tralicci radar.

La lista delle località prescelte per gli im-pianti si fa ogni giorno sempre più fitta e comprende zone costiere del sud Italia sot-toposte a vincoli ambientali e archeologici. La regione più colpita è senza dubbio la Sardegna: le località individuate per inse-diare i mostri a microonde sono l’isola di Sant’Antioco, Capo Pecora a Fluminimag-giore, Punta Foghe a Tresnuraghes, Capo Falcone a Stintino, Punta Scomunica all’A-sinara e Capo Argentiera nel comune di Sassari.

Nel caso di Sant’Antioco, l’installazione radar dovrebbe sorgere presso l’ex stazione militare di Capo Sperone - Su Monti de su Semaforu, sull’altura di Tinnias, splendida area oggi di proprietà della Regione Sarde-

gna, ricadente nel parco naturale di “Carbonia ed Isole Sulcitane”, dove sono presenti pure fabbricati particolarmente si-gnificativi dal punto di vista storico-cultur-ale ed architettonico.

L’impianto di Punta Foghe a Tresnura-ghes incide invece in un territorio classifi-cato come “Zona di Protezione Speciale”, sottoposto a rigidi vincoli di natura ambien-tale per consentire il ripopolamento della fauna selvatica. Ciononostante, la Regione Sardegna è giunta ad autorizzare Almaviva ad eseguire lavori “in deroga” alle norme di tutela. A Capo Pecora – Fluminimaggiore, le ruspe hanno deturpato l’arenile di Porti-xeddu, area SIC (sito di interesse comunita-rio), grattando via in particolare il cucuzzo-lo di Murru Biancu, la collina che domina-va il litorale roccioso.

In Puglia, nelle mire della Guardia di fi-nanza ed Almaviva, c’è invece un terreno di 300 mq ubicato tra le località “Sciuranti” e “Salanare”, all’interno del perimetro del parco naturale Otranto – Santa Maria di Leuca – Bosco di Tricase. In questo caso, tuttavia, lo scorso 17 giugno il Tribunale amministrativo regionale di Lecce ha accol-to la richiesta di sospensiva dei lavori d’in-stallazione del radar presentata dal Comita-to regionale di Legambiente Puglia, invali-dando il parere favorevole reso dalla So-printendenza dei Beni Architettonici e Pae-saggistici per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto e dal comune di Gagliano del Capo.

Per quanto riguarda invece la Sicilia, il radar è stato già montato da diversi mesi a Capo Murro di Porco presso la stazione di sollevamento fognario del Comune di Sira-cusa, zona sottoposta a vincolo paesaggisti-co ed archeologico e prospiciente l’oasi marina protetta del Plemmirio, istituita nel

2005. A seguito delle proteste dei residenti dell’area, dei no war e dell’Associazione Plemmyrion, il 16 aprile 2011 la ministra dell’ambiente Stefania Prestigiacomo (sira-cusana) aveva strappato al Comando della Guardia di finanza l’impegno ad “indivi-duare in tempi brevi un sito alternativo per eliminare un traliccio che deturpa l’ambien-te in una zona di pregio e sottoposta a tute-la”, ma sino ad oggi non è stato fatto alcun intervento per rimuovere da Capo Murro di Porco le infrastrutture realizzate.

“L’installazione dei radar potrebbe com-portare rischi per la salute dei cittadini, ol-tre che creare delle servitù militari perma-nenti e aggiuntive che in Sardegna, in parti-colare, andrebbero ad aggiungersi alle ser-vitù già esistenti, le quali hanno prodotto per la popolazione residente già gravi con-seguenze”, denuncia con un’interrogazione presentata ai ministri dell’Interno, dell’Eco-nomia e delle Finanze, della Difesa e del-l’Ambiente, l’onorevole Francesco Ferrante (Pd).

“Assolutamente insufficienti appaiono al riguardo le rassicurazioni del direttore ge-nerale di Almaviva, dott. Antonio Amati, secondo il quale i radar verranno installati su colline, lontane 300 metri dalle coste se-guendo le procedure senza imboccare scor-ciatoie militari. E le emissioni elettroma-gnetiche saranno inferiori a quelle delle an-tenne dei telefonini”, riporta Ferrante.

“Appare viceversa più attuale il rischio che si crei uno scempio ambientale, urbani-stico e paesaggistico, denuncia invece Le-gambiente Sardegna, che ha chiesto su que-sti temi l’immediato avvio di un confronto a livello nazionale”. Il parlamentare ha chiesto di conoscere “le procedure di asse-gnazione dell’appalto alla società Almaviv-a; l’iter amministrativo che ha condotto al

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Eserciti Eserciti

rilascio delle autorizzazioni ad installare i radar in zone incontaminate delle coste ita-liane; se, e con quale decreto, siano state ri-conosciute tali strutture “opere di difesa militare”; se non si ritiene improcrastinabil-e adoperarsi per tutelare le aree interessate dalle installazioni, nonché opportuno avvia-re un monitoraggio in modo che sia garanti-ta l’assenza di pericolo di inquinamento elettromagnetico”.

Sul pericolo elettromagnetico rappresen-tato dall’ultima generazione di radar anti-immigrati, è intervenuto Massimo Coraddu dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Cagliari. Il fisico ha analizzato lo studio di impatto elettromagnetico prodotto dagli in-gegneri Antonio Casinotti e Giampaolo Macigno per conto della società Almaviva, relativo all’installazione dei radar a Gaglia-no del Capo e Siracusa. “Gli EL/M2226 ACSR sono trasmettitori Linear Frequency Modulated Continuous Wave (LFMCW) in X-band (dagli 8 ai 12.5 GHz di frequenza), con una potenza di 50 W e onde molto cor-te comprese tra i 300MHz e i 300 GHz”, esordisce Coraddu per poi denunciare come le due analisi “appaiano gravemente carenti sotto molteplici aspetti”, mentre i “risultati vengono riportati in modo poco trasparente e di difficile lettura”. “Esistono notevoli in-certezze e imprecisioni riguardo le caratte-ristiche tecniche e l’esatta modalità di fun-zionamento del radar, dovute all’incomple-tezza di quanto riportato nell’analisi d’im-patto e a incoerenza con quanto riportato dal costruttore”, scrive il fisico.

“La procedura di calcolo adottata nello studio di Almaviva non è chiara (non è spe-cificato quali strumenti software sono stati utilizzati e come); parte delle formule ri-portate sono erronee o inadeguate alla si-tuazione (adozione di una approssimazione di “campo lontano” a distanze inferiori al limite che lo consente); non si è tenuto con-to di tutti i contributi alle emissioni”.

Fra le “incongruenze” delle caratter-istiche tecniche del sistema radar, Massimo Coraddu individua quella relativa alla sua presunta velocità di rotazione costante.

“Nella sua documentazione, la casa pro-duttrice Elta-System vanta la grande capac-ità di risoluzione di questo radar, a loro dire capace di individuare il periscopio di un sommergibile tra i flutti a decine di Km di distanza, valutare direzione, velocità e nu-mero di persone a bordo di una piccola im-barcazione a 20 Km di distanza. Sembra poco probabile che tali prestazioni si possa-no raggiungere semplicemente scansionan-do a velocità costante il tratto di mare anti-stante. È verosimile invece che la velocità di rotazione sia costante solo in fase di sor-veglianza, mentre nel momento in cui un bersaglio viene individuato, il dispositivo possa essere bloccato e il fascio diretto sul bersaglio sino alla sua completa definizio-ne. In questo caso, nella valutazione del possibile danno alle persone, deve essere individuato come peggior incidente possi-bile quello in cui il radar viene puntato e ri-mane fisso sul soggetto”.

Inoltre, in entrambe le analisi di impatto elettromagnetico, le uniche misure sul cam-po riportate sono quelle relative al livello di fondo dei campi presenti. “Una scelta im-mediatamente incongrua” scrive Coraddu. “Le misure sono state effettuate infatti con la sonda isotropa EP330, fabbricata dalla Narda S.r.l., che registra campi sino alla frequenza massima di 3 GHz, mentre il ra-dar anti-migranti emetterà a frequenze mol-to superiori (oltre 9 GHz), alle quali la son-da non è sensibile, e il cui fondo quindi non può essere rilevato”.

Finanche “erronee” appaiono poi le pro-cedure di calcolo dell’intensità delle onde irradiate negli impianti di Gagliano del

Capo e Siracusa. Nello specifico, il calcolo del cosiddetto “campo vicino” - i cui effetti elettromagnetici vengono definiti “trascura-bili” - è stato effettuato adoperando le for-mule adottate per la zona di “campo lonta-no”, non ottemperando a quanto previsto dalla norma CEI 211-7, per cui “ il limite di campo vicino deve essere posto alla mag-giore delle due distanze, e dunque le for-mule approssimate per il campo lontano si potranno usare solo a distanze maggiori o uguali a 470 mt, e non a pochi metri dal si-stema radiante, come specificato nella rela-zione”.

A conclusione del suo studio, Massimo Coraddu individua un’altra grave incon-gruenza nelle procedure di calcolo dell’e-lettromagnetismo dei sistemi made in Israe-le. “Tutte le stazioni radar di sorveglianza prevedono anche un dispositivo di teleco-municazione, un ponte radio per inviare i dati, in tempo reale, al centro di Comando, Controllo, Comunicazioni, Computing ed Informazioni C4I del Comparto Aeronavale della Guardia di Finanza”, scrive il fisico.

“Come specificato dall’Ingegner Ferri dell’impresa Almaviva spa, in sede di con-ferenza dei servizi, per quanto riguarda l’installazione radar di Capo Sperone (Sar-degna), ad esempio, il ponte radio è realiz-zato con un sistema radiante fisso di 120 cm di diametro operante nella banda di 8 GHz. Le emissioni di questo sistema di te-lecomunicazioni devono quindi essere va-lutate, mentre invece in entrambe le analisi di impatto elettromagnetico viene invece misurata, in modo scorretto, solo la compo-nente di fondo, mentre non si tiene conto in alcun modo del contributo del ponte radio. Possiamo pertanto affermare che è stata ap-plicata una procedura inconsistente e inade-guata per la valutazione delle emissioni nella zona circostante il radar”.

I nuovi radar della Guardia di finanza, prima ancora di scatenare la loro guerra ai migranti, hanno già fatto le prime vittime: l’ambiente, il paesaggio e la salute delle popolazioni residenti.

Antonio Mazzeo

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Società Società

L'Italiadivisa

dai leghisti

Le parole non contano, le parole sono pietre: e io mi sono rotto le palle del leghismo di sinistra. Dopo anni di soprusi verbali e ideologici, da parte di un gruppo scalmanato di illetterati, confinati nella pianura piadina della loro mente, la parte “sana” del paese ha deciso di reagire. Ma non è facile, si sa, in tempo di crisi eco-nomica e identitaria, argomentare contro le sparate populiste. Si finisce così a giocare a chi la spara più grossa: le parole non contano, le parole sono pietre. Dicono che perfino gli operai che votavano comunista e gli immigrati votano Lega: il leghismo, dunque, è una necessità storica, che nasce come costola della sinistra stessa. Il tentativo è quello di tagliare il cordone ombelicale tra lo strato popolare-produttivo e quella supposta intellighenzia che nella difesa di tale strato dovrebbe trovare la propria ragione d’essere. Così l’intellighenzia, sparuta e deprivata, os-taggio di carriere personali e ansia di rappresentanza, matura l’idea malata che due torti (o tre, o quattro) facciano un pezzo di ragione: le intuizioni brillanti di un Pd del nord o del revanchismo neo-borbonico ne sono un patetico esempio. Il leghismo di sinistra è questa reazione al padanismo dilagante che si realizza nel momento in cui si accetta la dicotomia nord e sud come punto di partenza di una narrazione alternativa a quella dei Bossi-Maroni-Calderoli-Borghezio. E che non si accorge che, una volta accolta, la categor-ia sud reca già in sé, per effetto di rapp-resentazioni centenarie, il virus del rap-

porto di dominio (Moe, The view from Vesuvius, Univ. of California Press, 2002).

Il leghismo di sinistra prende a totem una dinastia, che aveva reso la capitale Napoli una città «asfittica e bigotta», in cui «il disinteresse del cittadino per la politica era un preciso presupposto del re-gime» (Galasso, Intervista sulla storia di Napoli, Laterza, 1978), e che aveva li-quidato nel sangue le rivendicazioni liber-ali della sua parte borghese (Cuoco, Sag-gio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, Laterza 1913). Descrive il regno Borbone come l’Eldorado, nonostante la sua polizia politica e i suoi baroni e car-dinali abbiano fomentato la genesi della criminalità organizzata nei mercati, nelle carceri e nelle conche d’oro (Sales-Ravve-duto, Le strade della violenza, L’Ancora, 2006, p. 42)

«Sarebbe sicuramente ingiusto, oltre che storicamente infondato, sostenere (…) che il Nord si industrializzò a spese del Sud. Né è tanto meno sostenibile che al-lora si sia realizzata nei confronti delle re-gioni meridionali una sorta di politica co-loniale (…). Le cose sono alquanto più complicate» (Bevilacqua, Breve storia dell’Italia meridionale, Donzelli, 1993, p. 66). Il leghismo di sinistra racconta del saccheggio del Banco di Napoli, ad opera dei Savoia che volevano rifarsi della “Re-conquista”, senza chiedersi sulla pelle di chi si fosse accumulato tutto quell’oro, prendendo la ricchezza di una parte per la ricchezza di tutti, ignorando cioè

l’aforisma di Brecht, secondo cui il crimine non è tanto rapinare una banca, quanto fondarla. Le cose sono alquanto più complicate, appunto.

Le auto-rappresentazioni retoriche, in cui i leghisti di sinistra si ghettizzano, concepiscono due Italie – di cui una forse a nord, l’altra sicuramente a sud di Roma -, due realtà politicamente e socialmente omogenee (Petraccone, Le due Italie, Laterza, 2005), in cui però non è dato sapere cos’abbia a che spartire il ventenne fattorino inchiodato a Secondigliano con lo studente del Vomero in Erasmus a Bar-cellona, che non possa piuttosto condi-videre col pari età di Tor Bella Monaca, di Begato, o di Molino Dorino. I liguri chiamano “bauscia” i milanesi che d’estate piombano sulle spiagge ponentine e levantine: «se guida come uno stronzo, è per forza targato Milano». Pazienza se i “bauscia” hanno per anni foraggiato l’economia locale: ogni nord crea un suo sud, e viceversa. «Il vero problema è il mancato incontro», mi raccontava Gio-vanni Z. di una struttura educativa di Scampia, a proposito delle reciproche an-titetiche narrazioni dei ragazzi napoletani dell’area del Vomero e di Secondigliano.

Nel 1878, con le sue Lettere meridion-ali, Pasquale Villari inaugura quella che passerà alla storia italiana come «Ques-tione meridionale».

Negli anni successivi una mole enorme di energie mentali e politiche vengono but ate nell’agone, dai vari Nitti, Sonnino, Forunato, Salvemini, Dorso, Rossi Doria.

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Anche a sinistra talvolta si gioca con concetti non troppo dissimili daAnche a sinistra talvolta si gioca con concetti non troppo dissimili da quelli portati avanti – contro l'Italia come insieme – dalla Lega. E inquelli portati avanti – contro l'Italia come insieme – dalla Lega. E in tv ogni tanto compaiono strani apparentamenti. Per esempio...tv ogni tanto compaiono strani apparentamenti. Per esempio...

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Società Società Disegno di Ciop&Kaf,Napoli Monitor

Hanno estrazioni sociali, geo-grafiche e politiche differenti, spesso inconciliabili. Un solo tratto sembra accomunare questi vari pensatori, storici, sociologi, ingegneri, economisti: la differ-enza. Vogliono capire come fun-ziona una comunità politica e perché non funziona. Quella meridionale è una questione, appunto: aperta, dinamica, definita dalla sua parzialità, dai suoi tratti ed esiti incerti. Nel suo profilarsi, la questione me-ridionale, la questione della dif-ferenza, si afferma paradossal-mente come la prima vera rif-lessione nazionale, come sarà l’antifas-cismo a seconda guerra mondiale con-clusa.

A partire dagli anni Settanta, e fino ai giorni nostri, una nuova leva di analisti comincia a mettere in radicale discussione sia la riflessione (Bevilacqua, Critica dell’ideologia meridionalista, Marsilio Ed., 1972), sia la gestione politica (Gribaudi, I mediatori, Rosenberg & Selli-er, 1981) ed economica (Trigilia, Sviluppo senza autonomia, Il Mulino, 1992) della questione meridionale, una lotta scienti-fica nei confronti delle visioni stereotip-ate, antiempiriche e conformiste della dif-ficile questione (Carmosino, Uccidiamo la luna a marechiaro, Donzelli, 2009; Cas-sano, Tre modi di vedere il Sud, Il Mulino, 2009), in opposizione alle ricostruzioni storico-sensazionalistiche di dubbio valore (Aprile, Terroni, Ed. Piemme, 2010).

Lo spirito però rimane fedele: discutere, decostruire, far sì che la questione rimanga tale, ossia l’assenza di una facile risposta, di un nord vs sud, di un bianco e nero. Purtroppo, ammesso e non concesso che i libri potessero esercitare una qualche influenza sul senso comune, oggi questa funzione è assolutamente assorbita dalle rappresentazioni assolutiste della televisione generalista e generalizzatrice.

Il successo di Vieni via con me di Fazio-Saviano non è frutto di casualità: è il successo riflesso del dilagare del leghismo di sinistra.

I leghismi di destra e sinistra hanno questo in comune: definiscono l’origine di tutti i problemi propri e dei propri figli in un sovvertimento morale da cui sentirsi del tutto immuni, in quanto opera di quell’inferno che sono “gli altri”. E che facilita l’autoassoluzione (Panebianco, Le tante bugie tra Nord e Sud, in “Il Corriere della Sera” del 10 Luglio 2010).

Nella terza puntata di Vieni via con me Saviano parla di rifiuti in Campania, introducendo la versione aggiornata del blocco storico gramsciano, assai cara all’immaginario leghista di sinistra, quella del patto oscuro tra gli industriali del nord e i mafiosi del sud, colletti bianchi e criminali di strada, 7e40 e calibro 9. Il male è una categoria assoluta: o sei dentro o fuori dal calderone, ogni inferenza logica (i contadini “costretti” dal mercato a vendere le loro terre alle ecomafie) o storica (la legge borbonica sulla raccolta differenziata) è funzionale alla causa.

Per quanto le nobili intenzioni di Saviano consistano nel demolire il becero teorema che relega, in una società glob-alizzata, la criminalità in una singola area del paese, l’effetto perverso rischia di es-

sere quello di cristallizzare, da sinistra, l’esistenza di due Italie diverse tra loro, omogenee al loro interno, inevitabilmente in contrapposizione.

Non è un caso a che a fine puntata intervenga il leghista ministro degli interni, Roberto Maroni: «le mafie si combattono eliminando gli storici squilibri strutturali tra nord e sud. (…) I meccanismi ci sono, sono quelli propri dei moderni sistemi federali». E cita a spro-posito il povero Salvemini. Ecco come il leghismo di sinistra, nel tentativo di con-trastarla, spiana la via alla peste leghista.

Il ferro, si sa, si batte finché è caldo, e se non è caldo, si soffia sul fuoco finché non lo diventa. Un unico esito sembra es-sere scontato: anche se non porterà il paese sull’orlo di una guerra civile, anche se non produrrà ufficialmente sangue e morti, il leghismo, a sinistra come a destra, ucciderà, in nome della differenza, la differenza stessa. E con la differenza morirà, a ben voler credere il Levi di Cristo si è fermato a Eboli (Einaudi, 1952) e Le parole sono pietre (Einaudi, 1955), una delle poche certezze per cui valga la pena vivere, in questa sciagurata idea chiamata Italia.

Alessandro CozzuttoNapoli Monitor

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Satira Satira

L'Italia al tempodel Titanic

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Satira Satira

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Satira Satira

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Satira Satira

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Antimafia sociale Antimafia sociale

L'ultima foto alle mafie i finalisti del concorso

in mostra a Roma

Centinaia le foto giunte da ogni parte d’Italia, per partecipare al concorso e raccontare la criminalità organizzata in tutte le sue forme, le lotte antimafia e le storie di resistenza. Sul sito del premio del concorso fotografico lanciato dall'associazione daSud è stata pubblicata nei giorni scorsi la gallery con i migliori 50 scatti: una mappa che narra le attività dei clan in tutta Italia, e traccia un mosaico con un punto di vista creativo e inedito. Domenica scorsa sono stati annunciati i 15 finalisti. I tre vincitori saranno premiati a Bovalino (Rc), il 22 luglio, dopo l’annuale camminata verso la cima di Pietra Cappa, in Aspromonte, luogo dove fu ritrovato il corpo di Lollò Cartisano, fotografo ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1993. L’evento chiuderà l’edizione 2011 della “Lunga Marcia della Memoria” organizzata dall’associazione daSud. La giuria del concorso è stata presieduta dal fotoreporter Tano D'Amico.

Le quindici foto finaliste sono in mostra fino al 24 luglio presso lo

stand della libreria l’Eternauta alla festa dell'Unità a Roma,. Accanto alle foto finaliste del premio, gli scatti dei professionisti che negli anni hanno raccontato storie di mafia e antimafia.

Alla presentazione della mostra fotografica hanno partecipato anche il fotoreporter del Corriere della Sera Mario Proto, che ha esposto i suoi scatti ai boss della Banda della Magliana, e il fotoreporter del Secolo XIX Davide Pambianchi, minacciato dalla ‘ndrangheta a Genova per aver svolto il suo lavoro con passione e serietà. Giovanni Caruso, Franco Cufari e Luciano Ferrara completano la sezione “fuori concorso” del premio fotografico.

Gli scatti selezionati hanno un chiaro valore giornalistico, altri più artistico, in alcuni casi i due elementi sono abilmente dosati. Le foto disegnano tante storie, volti, luoghi e idee. Come quelle che riguardano le buone pratiche dell'antimafia, l'utilizzo dei beni confiscati e i campi di lavoro nei terreni dei boss. O raccontano le periferie italiane, dallo Zen ai quartieri dormitorio di Milano,

dove la mafia cresce e si alimenta nell'isolamento e nel degrado. Una foto immortala anche il silenzio delle istituzioni e gli occhi sbarrati di chi non vuol vedere, al Sud come al Nord. E ancora le ecomafie, gli scheletri e le incompiute del nostro Paese. Il business dell'accoglienza, dove giovani immigrati scappano dai Cai, e scendono in piazza per rivendicare un permesso di soggiorno e diritti per i loro lavori nell'agricoltura.

La storia bellissima del murale antimafia che ricorda le vittime della strage di Capaci, realizzato da Addiopizzo lungo la circonvallazione di Catania, che viene sfregiato con della vernice color sangue. Un'unica risposta possibile: ripassare il bianco su tutto e ricominciare a disegnarlo, daccapo.

E poi le testimonianze fotografiche della forza dei clan a Scampia, dell'emergenza cronica dei rifiuti in Campania, degli effetti della legge Bossi-Fini e del decreto sicurezza sulle vite dei più deboli.

premiodasud.wordpress.com

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Tantissime le foto ricevute per prendere parte al racconto delle nuoveTantissime le foto ricevute per prendere parte al racconto delle nuove forme di criminalità in Italia, delle vittime di violenze e sfruttamento, delleforme di criminalità in Italia, delle vittime di violenze e sfruttamento, delle emergenze ambientali, dei diritti negati. Ma anche lotte antimafia, storieemergenze ambientali, dei diritti negati. Ma anche lotte antimafia, storie esemplari di resistenza e di speranza. In mostra a Roma i quindici scattiesemplari di resistenza e di speranza. In mostra a Roma i quindici scatti finalisti del concorso, selezionati dal fotoreporter Tano D'Amico. finalisti del concorso, selezionati dal fotoreporter Tano D'Amico. I vincitori saranno premiati a Bovalino (Rc) il 22 luglioI vincitori saranno premiati a Bovalino (Rc) il 22 luglio

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Antimafia socialeAntimafia sociale

Le 15 foto finaliste

La sezione fuori concorso

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Antimafia sociale Antimafia sociale

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Nel giorno di Borsellino Nel giorno di Borsellino

Lettera a dei giovani di destra

Cari ragazzi,

è bello che voi vi ricordiate di Paolo Borsellino, e che vogliate ricordarlo agli altri. Non è bello invece che vo-gliate farlo sotto bandiere e simboli di partito. Ho conosciuto Borsellino, e non credo che gli avrebbe fatto piacere.

La politica è una cosa importante, certamente: ognuno difende le pro-prie idee, e se ci crede fa bene. Ma ci sono cose più importanti della "poli-tica". L'antimafia è una di queste. L'antimafia l'abbiamo fatta tutti in-sieme, appartiene alla nazione nel suo complesso e non ad un partito.

Né Borsellino né Falcone, né il giu-dice Costa né Chinnici - magistrati del popolo italiano - si sono mai so-gnati di rivendicare la propria appar-tenenza a un partito, e gli sarebbe sembrato molto strano pensare che un giorno, fra i vari simboli di parti-to, qualcuno ci avrebbe messo anche loro. Loro hanno servito l'Italia e ba-sta, tutta e sempre.

* * *Ma poiché voi l'avete buttata in politica, allora, tanto per dire, la but-to per un momento in politica pure io. L'antimafia è nata di sinistra, de-cisamente di sinistra: noi "socialco-munisti" - come ci chiamavano allo-ra - abbiamo perso oltre cento com-pagni (sindacalisti, giornalisti, capi-lega) negli anni Quaranta, Cinquan-ta, Sessanta e Settanta; e allora era-vamo solo noi. La Chiesa diceva che la mafia era un'invenzione dei co munisti per diffamare la Sicilia (car-dinal Ruffini) e la destra semplice-mente se ne fregava.

Negli anni Ottanta arrivarono, gra-

zie a Dio, anche i cattolici: Orlando, il cardinale Pappalardo, la Primavera di Palermo. Fecero ottima prova, e da allora l'antimafia cominciò ad essere più di tutti. La destra continuava a latitare, eccettuati dei singoli (alcuni erano miei amici) che, pur di destra, fecero contro la mafia il loro dovere di italiani.

Infine, ecco i giovani di destra: li ho visti pochi anni fa, nei giorni del-la caduta di Cuffaro. L'intera Azione Giovani di Palermo (dunque, un'or-ganizzazione ufficiale), disobbeden-do agli ordini del partito, si schierò apertamente contro Cuffaro. Scese in piazza con noi dell'antimafia, gridò chiaro e forte "Cuffaro se ne deve andare", invitò formalmente i propri capi (fra cui Fini) a riceverli e ascol-tare le loro ragioni.

* * *Fini o non Fini, furono emarginati. Pagarono il loro coraggio con la car-riera (che fine hanno fatto? Tocche-rebbe a voi, di saperlo) ma in com-penso poterono affermare che da quel momento nell'antimafia c'era una componente di destra. Un'altra che può dire una cosa del genere è Angela Napoli, parlamentare di de-stra, coraggiosissima contro la 'ndrangheta calabrese - e non molto seguita dal suo partito.

A questi amici, o se volete a questi "camerati", io da antimafioso posso dire: "Detesto le vostre idee politi-che, e le combatterò fino in fondo. Ma, sull'antimafia, debbo stringervi la mano perché qui non fate giochini politici ma rischiate con me, pagate come me, e quindi a modo vostro siete al mio fianco".

E voi, da che parte state? Siete de-gli antimafiosi veri, politicamente diversi da me, o siete qualcuno dei tanti politicanti che sostengono di volta in volta Garibaldi o i Borboni, Borsellino o Dell'Utri, senza far tan-ta differenza?

Io non vi dico di cambiare le vostre idee, vi chiedo solo di scegliere - su mafia e antimafia - una parte precisa. Non è gratis, perché se attaccate Dell'Utri non fate carriera nel vostro partito. E neanche per me è stato fa-cile attaccare, per esempio, un Crisa-fulli. Ma, come compagno antima-fioso, era il mio dovere. E il vostro, "camerati"?

* * *Infine. Nella vostra città, nel vostro paese, c'è o non c'è un po' di mafia, nomi e cognomi? Chi l'ha denunciata finora? Non che grandi politici, ma che umili persone? Perché anche qui c'è stato chi ha parlato in piazza con-tro i mafiosi di qui: gli avete dato una mano? O avete - come la mag-gioranza - fatto finta di niente?Viene prima il partito, nella vostra testa (e non importa che partito sia) o ven-gono l'antimafia e i suoi ideali?

Vi faccio queste domande non da politici, e meno che mai da "nemici", ma semplicemente da giovani com'e-ro giovane io un tempo.

Non giocate con gli ideali, per cui degli esseri umani sono morti. Pen-satela come volete, ma siate capaci da fare le vostre scelte autonome, in-dividuali. A costo di pagarle con la carriera, di essere considerati "pazzi" e "impopolari".

Vostro

Riccardo Orioles

(FOT.IN PROPRIO CATANIA LUG.2011) || 19 luglio 2011 || pagina 23 || www.ucuntu.org ||

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Appuntamenti Appuntamenti

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