Ucuntu n.22

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061208 www.ucuntu.org A Librino vogliono affondare La Periferica || 6 dicembre 2008 || anno I n.22 || www.ucuntu.org || Per chi suona la campanella

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6 dicembre 2008

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A Librino vogliono affondare La Periferica

|| 6 dicembre 2008 || anno I n.22 || www.ucuntu.org ||

Per chi suonala campanella

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Sud/ Informazione e società Sud/ Informazione e società

“Quel giornalettodeve chiudereSvegliail quartiere”

La Periferica è un piccolo giornale che esce in uno delle borgate più grosse e povere del Sud, Librino. E' nato fra gli scout ed ha rapidamente aggregato la meglio gioventù del quartiere, quelli che “un giorno anche Librino sarà un posto normale, senza mafia, col lavoro!”.

Bene. Questa storia dura oramai da più di un anno. I ragazzi della Periferi-ca, che secondo le buone regole avreb-bero dovuto sbandarsi dopo un paio di mesi, invece hanno tenuto duro. Il loro giornaletto, che secondo le regole sa-rebbe dovuto restare nel giro dei pochi studenti “colti” della città, invece s'è diffuso a sorpresa fra gli abitanti del quartiere. E questi, che secondo le re-gole avrebbero dovuto farsi i cazzi loro, invece l'hanno appoggiato: il giornale diffuso nei bar, un po' di pub-blicità – addirittura – dai piccoli com-mercianti del quartiere.

(In mezzo a questa storia c'è anche qualche intimidazione, per esempio al doposcuola aperto dai ragazzi nel quar-tiere. Ma non ce la metto perché altri-menti si va nelle emozioni da fiction, che agl'italiani piacciono tanto, e dun-que nel folklore. Questa è una storia di mafia, naturalmente. Ma di mafia reale,

mafia quotidiana, non da televisione).Dov'eravamo rimasti? Ah, già.

Dunque, i ragazzi hanno “avuto succes-so”, per quel che si poteva, e a un certo punto hanno anche messo su un'asso-ciazione apartitica (“Oltre la Periferica”) per la informe ma ben pro-mettente società civile del quartiere. E regolarmente ci si riunisce fra redatori, si fa il palinsesto, si distribuiscono i pezzi, si fa il giro dei negozi per la pubblicità... Insomma, una piccola ma efficiente routine.

Finché un bel giorno un barista sor-ride impacciato. “Beh, stavolta il vo-stro giornale qui non ve lo posso espor-re...”. E il negoziante: “Veramente la pubblicità me l'hanno già messa su quell'altro giornale...”. “Ehi – fa una ragazza – hai visto che oggi La Sicilia ha pubblicato una pagina straordinaria tutta su Librino?”.

Cos'è successo? Come mai l'unico (e grosso) quotidiano della città ha im-provvisamente scoperto il povero quar-tiere? Semplice: Librino è 40'mila voti. Li puoi comprare, vendere, mettere al-l'asta, contrattare. Se però questa gente comincia a pensare con la sua testa (a destra, a sinistra, al centro: ma con la

testa sua) non lo puoi fare più. Diventa-no voti liberi, da convincere. E come cavolo li convinci, se da vent'anni li lasci nella miseria più nera, con fogne di fortuna e senza luce? Maledetto giornale libero, maledetti ragazzi. E' quella fabbrica di uomini, quella Peri-ferica di pensatori, la fonte della di-sgrazia. Facciamole il vuoto attorno.

Così il barista smette di esporre, il negoziante di dare pubblicità e persino il parroco, nella sua chiesa, s'è messo a parlare male degli “aizzapopolo”. “Eh, bello quando stavano tutti zitti, che c'e-ra la miseria ma si stava in pace!”. Quei tempi, purtroppo per chi ci marciava, non torneranno più. Periferica resta ad uscire regolarmente, il comitato continua, la società pulsa ancora. Ma quei ragazzi - chiedetevi – che vita fanno?

Ecco, questa sarebbe una storia sull'informazione in Sicilia. Su Informazione E Mafia, addirittura. Emoziona nessuno? C'è qualche solidarietà? Qualche appello? Qualche intellettuale?

Riccardo Orioles

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Della Periferica, a Librino, abbiamo già parlato.Della Periferica, a Librino, abbiamo già parlato. Funziona, smuove la gente. Perciò le daranno unFunziona, smuove la gente. Perciò le daranno un premio... Momento: in Sicilia, alle cose così, nonpremio... Momento: in Sicilia, alle cose così, non gli danno premi ma legnate. O perlomeno cercanogli danno premi ma legnate. O perlomeno cercano d'imbavagliarle. Come? Facendogli il vuotod'imbavagliarle. Come? Facendogli il vuoto intorno, mandando una corazzata contro laintorno, mandando una corazzata contro la barchetta...barchetta...

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A scuolaA scuola

Oggi a scuola è arrivata

la Carovana antimafia

Nella nostra città si è scelto di organizzare la tavola rotonda “La scuola che verrà” sui problemi delle scuole a rischio di chiusura, dato che l’amministrazione comunale, in deficit, non paga gli affitti e ha venduto a privati la sede di via De Nicola, dove studiano 550 alunni della Vespucci, della Sante Giuffrida e della Campanula.

Noi ragazzi abbiamo seguito con grande interesse il dibattito, al quale hanno partecipato vari relatori, primo fra tutti Rita Borsellino, seguita da don Roberto Sardelli, fondatore della Scuola 725, i presidi della Vespucci e della Doria, alcuni professori e rappresentanti dei comitati dei

genitori, oltre ad associazioni di volontariato come il Gapa ed infine il regista Fabio Grimaldi, autore di un documentario sull’esperienza di don Sardelli. Tornati in classe abbiamo riflettuto sul significato della

Carovana, ripercorrendone i mo-menti salienti. “Entrate in carovana e non sarete mai soli!". Mi ha colpito quest’invito che ha lanciato la Borsellino aprendo l’incontro” esordisce Marzia, “per noi questa è una tappa del percorso didattico iniziato due anni fa, proprio con l’incontro degli animatori della Carovana che tramite giochi e discussioni ci hanno reso più consapevoli delle nostre scel-te e della nostra storia.”

“Nessuno meglio di noi siciliani conosce le vicissitudini della propria terra e le sofferenze che ha patito e continua a patire” interviene Jessica; “la Borsellino ci ha raccontato che nel

primo viaggio della Carovana, a Corleone, i bambini delle elementari con la loro vivace cu-riosità sono stati i primi protagonisti, mentre la gente guardava con paura ma con curiosità dietro gli scuri delle finestre e sotto le coppole. Corleone adesso è cambiata grazie alla Carovana Antimafie e ad altre manifestazioni di sensibilizzazione svolte nelle scuole e questo ci ha trasmesso tanta speranza.”

“Mi ha colpito molto” continua Sonia, “il fatto che la Carovana abbia come scopo il con-fronto e il contatto con le scuole di tutta l’Italia e che perciò cerchi un linguaggio semplice, adatto ad aiutare i ragazzi di oggi a crescere nella legalità.”

“A me invece è piaciuta molto la frase della nostra preside, Carmela Pittera, a proposito della vendita della sede succursale della nostra scuola” precisa Valeria, “considerata un atto mafioso. Ma soprattutto... che emozione stringere la mano a Rita Borsellino!” >>>>

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Parte insieme a noi da Catania la prima tappa siciliana della Carovana antimafie,Parte insieme a noi da Catania la prima tappa siciliana della Carovana antimafie,

una manifestazione organizzata da Libera, Arci ed Avviso Pubblico che dal ’94una manifestazione organizzata da Libera, Arci ed Avviso Pubblico che dal ’94

percorre l’Italia organizzando dibattiti e proiezioni di documentari, perpercorre l’Italia organizzando dibattiti e proiezioni di documentari, per

sensibilizzare la gente alla lotta alle mafie e alla corruzione.Quest’anno la Carovanasensibilizzare la gente alla lotta alle mafie e alla corruzione.Quest’anno la Carovana

è dedicata alla Costituzione e alla Dichia-razione universale dei diritti umani eè dedicata alla Costituzione e alla Dichia-razione universale dei diritti umani e

promuove un appello che si può sottoscrivere nel sito www.avvisopubblico.it.promuove un appello che si può sottoscrivere nel sito www.avvisopubblico.it.

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A scuolaA scuola

“ La nostra succursale non si vende! Giù le mani dalla scuola!". Queste parole della nostra preside mi hanno toccato” dice Oscar, “sì, perché non è giusto svendere una scuo-la. E’ davvero una forma di mafia!” “Come ci ha detto la nostra Preside, la scuola non frutta, perché produce cultura e non soldi!” interviene Orazio accalorandosi; “e la legalità è un problema culturale. Mi sono ri-maste in mente anche le parole di Don Sardelli quando dice che la Gelmini non riflette quando parla di tagli alla scuola... Ci sarà sicuramente

qualcuno dietro di lei... E anche la professoressa Claudia Urzì ha detto che, in seguito alla riforma Gelmini, si prospetta una netta distinzione tra scuole per ricchi e scuole per poveri.”

Alla fine della nostra discussione, tutti siamo stati concordi con le parole di Don Sardelli, che ci ha invitato a non prendere esempio dai ricchi ma da persone, come la Borsellino, che siano interessate alla giustizia e alla legalità.

Classe IIIBI.C. “A. Vespucci” Catania

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SudSud

Quei fortiniassediatichiamatiscuole

A settembre apprendono la notizia dal giornale: la scuola di via De Nicola, sede dell’I.C. “A. Vespucci” e del C.D. “S. Giuffrida”, è stata venduta a maggio dal-l’amministrazione comunale per dieci milioni 400mila euro a quattro società private che hanno in mano il Piano di risanamento di San Berillo, un progetto degli anni ‘50 che da poco si sta rimettendo in movimento. Le mamme de-gli alunni sono subito preoccupate e co-minciano a parlarsi, a riunirsi. Nasce il Comitato spontaneo in difesa del plesso scolastico di via De Nicola.

Cercano informazioni ufficiali, con la speranza che siano più rassicuranti di ciò che si dice in giro nel quartiere e cioè che nell’area devono sorgere centri commer-ciali, palazzi futuristi per uffici. Più di si-curo si sa che dovrebbero sorgere un cen-tro dove sarà trasferito il mercato di Piaz-za Carlo Alberto e un palazzo per la Que-stura. Il dott. Galletta si offre per dare una mano e coordinare il comitato che vuole a tutti i costi difendere questa scuola. Una delle poche che risponde ai requisiti di sicurezza e possiede palestra e teatro ampi e funzionali.

Per le mamme la scuola non è soltanto

un edificio o dei metri quadrati da barattare, ma è il punto di riferimento per la crescita dei figli, il luogo dove sono offerte tante attività e opportunità di formazione non solo per i ragazzi ma per tutta la vita del quartiere. Ad ottobre chiamano due reti tv per cercare di interessare l’opinione pubblica. Arriva anche Rai3. I giornalisti si stupiscono di trovare una scuola piena di alunni e in ot-timo stato. Credevano di trovare una struttura fatiscente e vuota. Fanno riprese ed interviste che manderanno su Report.

A novembre il comitato avvia una rac-colta di firme per sottoscrivere una peti-zione da presentare al sindaco per avere risposte ufficiali sul destino della scuola. Già sono quasi a 500. E intanto le mam-me si dichiarano pronte a tutto, anche ad occupare la scuola se dovesse essere ne-cessario per difenderla.

Intanto a scuola si aspettano a breve le nuove iscrizioni. Il Dirigente scolastico Pittera esprime la sua preoccupazione perché in giro sono state messe delle voci sull’incertezza della sopravvivenza della scuola che cercano di dirottare altrove le iscrizioni. Voci che indeboliscono così la struttura. Le iscrizioni invece andrebbero

incrementate il più possibile per rendere più solida e certa la vita della scuola, di importanza fondamentale nel quartiere. Così come ha espresso il Direttore delle politiche scolastiche Arch. Manuele in una lettera di giugno in cui afferma la peculiarità e la necessità di questa struttura nel quartiere, quale “risposta concreta in termini di adempimenti dell’obbligo scolastico e di risposta alle esigenze del territorio per contribuire a migliorarne la qualità della vita, incidendo positivamente anche sul fenomeno della dispersione scolastica e del recupero minorile”.

Nel frattempo la mattina dell’1 dicem-bre la Carovana antimafie, organizzata da Libera, Arci ed Avviso pubblico, ha fatto tappa proprio nella scuola di via De Ni-cola dove s'è tenuto l’incontro «La scuola che verrà. Diritto allo studio e antimafia sociale», sulla scuola come presidio de-mocratico nei nostri quartieri e sulle scuole di Catania a rischio di chiusura.

Noi faremo di tutto affinché la “scuola che verrà” a Catania non diventi la “scuola che era”.

Giuseppe Vinci, "I Cordai"

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La carovana antimafia (quella che si fa unaLa carovana antimafia (quella che si fa una volta all'anno, e quella degli altri 365 giorni) avolta all'anno, e quella degli altri 365 giorni) a Catania passa per le scuole dei quartieri poveri.Catania passa per le scuole dei quartieri poveri. Sono esse il presidio civile contro il dominioSono esse il presidio civile contro il dominio della violenza e della paura. Eppure, voglionodella violenza e della paura. Eppure, vogliono chiuderle. Chi, i mafiosi? Anche, ma non solochiuderle. Chi, i mafiosi? Anche, ma non solo

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Mestiere di giornalistaMestiere di giornalista

“Prima precariaPoi mobbizzata

E infine, a casa”

Vi racconto una storia, una come tante. Non ho l’esclusiva, lo so bene.

Ho cominciato a fare la giornalista più di vent’anni fa. Trafila di quasi tutti (a parte i fortunati che già allora avevano fatto la scuola di giornalismo e arrivavano da altre strade): qualcu-no ti presenta al direttore, cominci a collaborare, solita gavetta, settemila lire ad articolo – praticamente un rim-borso spese -, la domenica mattina presto ti spediscono a fare cose che i giornalisti assunti non farebbero mai ma ti pagano la stessa cifra, aspetti i due anni per diventare pubblicista, aspetti secoli per il riconoscimento dell’avvenuto praticantato perché come praticante non ti hanno mai as-sunta e comunque ti hanno fatto pas-sare davanti schiere di figli di qualcu-no, studi per gli esami (e i colleghi che ti telefonano e ti trovano sempre sui libri ti sfottono, perché tanto – ti spiegano – poi lì ci sarà qualcuno che ti passa le risposte), li superi da sola; nel frattempo uno straccio di contratto te l’hanno fatto, non al giornale ma per la radio e come impiegato del set-tore metalmeccanico e chiedendoti di

firmare contestualmente una lettera di dimissioni. A un certo punto, per loro vicende aziendali interne, ti licenziano e ti riassumono da un’altra parte. Non contratto Fnsi: quello te lo sogni.

L’impero economico afferisce a una sola persona, ma ufficialmente si tratta di una miriade di piccole azien-de e dunque, come i piccoli veri - che altrimenti non ce la farebbero a sop-portare il costo di due giornalisti -, ti assumono con contratto Frt. Lo subi-sci, non hai scelta.

Poi un giorno scoprono che sei co-munista e comincia il mobbing. Non importa che tu sia brava, che la gente quando scrivevi al giornale ti mandas-se le lettere per ringraziarti e compli-mentarsi, che altri accendano la loro radio discotecara soltanto per ascolta-re il mio gr, che io sia una che va a la-vorare anche con la febbre e quando va via spegne la luce per evitare spre-chi. Tutto questo è assolutamente ininfluente di fronte alla grave colpa di essere comunista. Tre anni di mob-bing, messi in atto da un tangentista che è stato pure in galera. Perché in

questo mondo alla rovescia i delinquenti vanno a testa alta e le persone per bene curvano la schiena. Dopo tre anni mi hanno detto che mi mandavano via e li ho quasi ringraziati. Perché anche se hai le spalle quadrate, tre anni di vessazioni quotidiane non li reggi più.

No, non gli ho fatto causa, né per il mobbing né per il licenziamento. Non c’era partita. Nella mia città i magistrati vanno a cena col padrone, il sindacato è stato a lungo diretta emanazione del padrone, non avrei trovato nessuno disposto a testimoniare (e non gliel’avrei mai chiesto, sapendo a cosa andavano in-contro) perché se lavori in un’azienda matrioska, ognuno dipendente di una società diversa, non puoi essere soli-dale con i compagni di lavoro e ri-schiare il tuo posto e il futuro dei tuoi figli. E poi, appunto, loro il giochetto lo conoscono bene: piccola società, elimini il posto di lavoro chiudendo la redazione, licenziamento per giusta causa. Ineccepibile.

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Giornalista per vent'anni, sempre aspettando un contratto giornalisticoGiornalista per vent'anni, sempre aspettando un contratto giornalistico che non arriva mai, in un impero editoriale appartenente a una personache non arriva mai, in un impero editoriale appartenente a una persona precisa ma con una miriade di aziende “collegate” e prestanome. E vaiprecisa ma con una miriade di aziende “collegate” e prestanome. E vai avanti così, giorno dopo giorno. Poi scoprono che sei “comunista”,eavanti così, giorno dopo giorno. Poi scoprono che sei “comunista”,e cominciano i dolori. Mesi e mesi di mobbing. Poi ti buttano fuori. Farglicominciano i dolori. Mesi e mesi di mobbing. Poi ti buttano fuori. Fargli causa? Ma dove sto io magistrati e padroni vanno a cena insieme...causa? Ma dove sto io magistrati e padroni vanno a cena insieme...

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Mestiere di giornalistaMestiere di giornalista

Dopo circa un anno dal licenzia-mento mi è capitata un’occasione: un ufficio stampa di prestigio nella capitale. L’ho accettato, ma non ho retto, e questa forse è l’unica mia colpa: non essere riuscita, dopo 50 anni che ci vivevo, a stare lontana dalla mia terra e dai miei affetti. Sono tornata, nel frattempo ho ottenuto una collaborazione fissa con un piccolo giornale nazionale: meno di mezzo stipendio, ma ci campavo.

Se vivi in una zona depressa i co-sti sono più bassi. Aggiungeteci che mangio il minimo indispensabile, mi vesto al mercato, faccio la spesa in un supermercato dove c’è una sola marca di latte mozzarella yogurt formaggio che sembra di stare in Unione sovieti-ca (e le cose costano un quarto che al-trove), non telefono a mia madre e aspetto che sia lei a farlo, non vado in vacanza, non vado a prendere la pizza con gli amici, anzi amici non ne ho più perché – nonostante il mio amore persino incosciente per le persone – l’amicizia vuol dire anche una sera a cena, una al cinema, la pizza, i regali...è un lusso che non posso per-

mettermi.Ma mi andava bene anche così:

facevo un lavoro che mi piace da mo-rire e mi andava bene. Ho cercato al-tro per arrotondare, dai call center alle agenzie di vendita libri: colloquio ot-timo, ma poi gli lasciavo il mio curri-culum, da cui emergeva chiaramente – per i giornali in cui ho scritto e per gli uffici stampa – che sono comuni-sta e non mi chiamavano più. Per non parlare dei tanti giornali a cui ho mandato il curriculum e che si sono guardati bene persino dal risponder-mi.

Lo ha fatto un altro piccolo gior-nale di una città vicina alla mia: co-pertura regionale, le cose non devono andargli poi tanto male visti i chilo-metri quadrati di cartelloni pubblicita-ri con cui hanno rivestito le città. Ho cominciato una collaborazione anche con loro, ma ho commesso un errore: non ho badato a chiedere quanto pa-gassero. E, con l’entusiasmo di chi ama il proprio lavoro e in più guada-gna milioni e la meticolosità di chi cerca di dare il meglio (studiandosi montagne di carte, andando a parlare

con la gente da intervistare come si faceva una volta), ho cominciato setti-manalmente a inviare i miei servizi.

Poi, nella stessa giornata, l’ammi-nistratore del piccolo giornale nazio-nale (vittima come altri dei tagli alla piccola editoria voluti dal regime ber-lusconiano) mi ha telefonato per co-municarmi che le collaborazioni era-no dimezzate (da 660 euro netti... fate voi il conto) mentre io chiamavo il piccolo giornale regionale da cui non avevo ancora avuto un centesimo dopo mesi e scoprivo che quei servizi da oltre 5.000 battute (quelli che in base al tariffario nazionale varrebbero oltre cento euro ciascuno) mi sarebbe-ro stati pagati 10 euro lordi. Ho inter-rotto la collaborazione. E sarebbe me-glio interrompere anche la vita quan-do diventa anche quella un lusso che non puoi permetterti.

P.S.: Scusate se non firmo la mia lettera e non vi do elementi per indi-viduarmi, ma non posso rischiare – per di più – che qualcuno mi accusi di fare la vittima. Ma vorrei che qualcu-no facesse qualcosa. Non per me: per tutti.

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Ridi, ridi...Ridi, ridi...

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