Ucuntu n.88

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o31010 www.ucuntu.org - [email protected] In piazza contro Giovani calabresi in piazza contro la 'ndrangheta a Reggio Calabria. Le barzellette dell'ormai rimbambito Berlusconi, le furberie di Fini, i bluff di Bossi: ma davvero oramai la politica è questa? Dal sud – dai sud – del Paese arrivano altri segnali. Ma chi li ascolta? Dalla Calabria: AVAMPOSTO di Roberto Rossi e Roberta Mani Jack Daniel/ Carmen, mia adorata... PINO FINOCCHIARO SICILIA ADDIO PD ANTONIO MAZZEO LA GARA DEL PONTE MIRKO TOMASINO MARCIO E AIUOLE ALESSIO ARPAIA GUERRIGLIA A NAPOLI SARO VISICARO TRAGHETTI FUORILEGGE GIORGIO RUTA CACCIA AI GAY UMBERTO SANTINO NONVIOLENZA GIANCARLA CODRIGNANI LIBRO E MOSCHETTO NATALIA FERNÁNDEZ BARBIE || 3 ottobre 2010 || anno III n.88 || www.ucuntu.org || I tamburi di Reggio

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il numero del 3 ottobre 2010

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o31010 www.ucuntu.org - [email protected]

In piazzacontro

Giovani calabresi in piazza contro la

'ndrangheta a Reggio Calabria.

Le barzellette dell'ormai rimbambito Berlusconi, le furberie di Fini, i bluff di Bossi: ma davvero oramai la politica è questa? Dal sud – dai sud – del Paese arrivano altri segnali. Ma chi li ascolta?

Dalla Calabria: AVAMPOSTO di Roberto Rossi e Roberta ManiJack Daniel/ Carmen, mia adorata...

PINO FINOCCHIARO SICILIA ADDIO PD ANTONIO MAZZEO LA GARA DEL PONTE MIRKO TOMASINO MARCIO E AIUOLEALESSIO ARPAIA GUERRIGLIA A NAPOLI SARO VISICARO TRAGHETTI FUORILEGGE GIORGIO RUTA CACCIA AI GAY UMBERTO SANTINO NONVIOLENZA GIANCARLA CODRIGNANI LIBRO E MOSCHETTO NATALIA FERNÁNDEZ BARBIE

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I tamburi di Reggio

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Politica Politica E in Siciliahanno fondatol'Upd

Il senatore Anna Finocchiaro candidata dell'opposizione in Sicilia sostiene la scelta del Pd siciliano di votare all'ARS il gov-erno del suo ex avversario (giammai nemico) Raffaele Lombardo.

Il presidente dei senatori Pd a palazzo Madama, Anna Finocchiaro, attacca con fierezza il premier Silvio Berlusconi che il giorno prima a Montecitorio ha lucrato la fiducia con l'apporto determinate dei depu-tati dell'MPA di Raffaele Lombardo.

Anna Finocchiaro, ineluttabilmente, è la stessa persona. Il PD No. Mi si lasci dire NO. Sono due Pd diversi: A Montecitorio e palazzo Madama c'è il PD che vorrebbe creare l'alternativa. In Sicilia c'è il Pd che all'alternativa predilige l'opportunità.

A dirla con Ennio Flaiano, il Pd di Cra-colici, Lumia e Crocetta rappresenta al meglio quell'italiano che corre in soccorso del vincitore.

Sono due Pd profondamente diversi. Anna Finocchiaro, non appena avrà finito di abbracciare il presidente del Senato, Renato Schifani, e di sbracciarsi per difend-ere Raffaele Lombardo, potrà dedicarsi a ri-unire le due anime del partito neopro-gressista, potrà dedicarsi all'unificazione

delle due anime del "suo" Pd e potrà nas-cere così l'unione dei partiti democratici, ovvero l'UPD.

Non in mio nome, ovviamente.Non in nome dei ragazzi del Rita Express

che formarono un treno speciale per votare Rita Borsellino contro Totò dei cannoli Cuffaro ( e che si guardarono bene dall'or-ganizzare il medesimo treno speciale per Anna Finocchiaro, tanto per dire).

Non in nome di quelle leggi dell' Auto-nomia dei siciliani che in virtù del premio di minoranza (nato per garantire l'opposiz-ione, non l'immarcescibilità del governo) hanno assegnato nove seggi in più alla coalizione perdente capitanata giusto il tempo di una campagna elettorale dal sen-atore Anna Finocchiaro.

Non in nome di quei siciliani che gi-udicano politicamente inopportune le fre-quentazioni dei presidenti Schifani e Lom-bardo a prescindere dal fatto che ciò possa avere rilevanza penale.

Forse tutto questo alla senatrice Anna Finocchiaro non importa. A me e ai miei 50 e-lettori invece sì. Spiacenti, l'Upd non ci avrà.

Pino Finocchiaro

Catania Città ApertaFesta di stradaDomenica 24ottobre dalle 17 in piazza Carlo AlbertoCibi, video, animazione per bambini, danze tradizionali e musiche di African Ngewel e Sangeet groupAnpi, Arci Catania, Arci Melquiades, Geetanjali Circle (Mauritius), Ass. El Amel (Tunisia), Ass. Ghezà, Centro Astalli, Cobas, Convenzione per la Pace, Coordinamento Immigrati CGIL, Cope, Experia, Mani Tese, Officina Re-belde, Open Mind, Rete Antirazzista e immigrati da Senegal, Mauritius, Eritrea, Tunisia, Palestina, Marocco, Afghanistan, Nigeria, Sri LankaNoi non crediamo ai giornali, alle tv, ai politici che dipingono i migranti come criminali e producono leggi liberticide. NO alle leggi che disumanizzano i migranti, alla sanatoria-truffa, alle galere etniche, alle ronde, agli sgomberi dei campi rom, al pacchetto sicurezza, ai respingimenti, alle stragi di migranti.La paura genera il razzismo. Il razzismo genera guerre fra poveri.La Solidarietà unisce i popoli! Mai più clandestini, ma cittadini!

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Cioè l'Unione dei Partiti Democratici. Cioè Lombardo,Cioè l'Unione dei Partiti Democratici. Cioè Lombardo, più quella parte del Pd siciliano che stravede perpiù quella parte del Pd siciliano che stravede per Lombardo. Fantapolitica? Speriamo...Lombardo. Fantapolitica? Speriamo...

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Politica Politica Qua comandanoquelli dellaTrabant

La Trabant non si vende e il Partito accu-sa gli operai. “Dovete lavorare di più - dice il Partito - E' che siete abituati troppo bene. Ma d'ora in poi vi faremo vedere....”.

Tutti gli apparatnik, tutti i politici, tutti i giornali annuiscono gravemente.

Nessuno propone la soluzione più logica (nazionalizzare la Trabant e metterla in mano agli ingegneri) anche perché, in teo-ria, la fabbrica è già nazionalizzata: vive dei soldi pubblici, produce pessime mac-chine ed è gestita da gente che di partito s'intende forse, ma di automobili assai meno.

Gli unici rimedi che conoscono sono: uno, più sacrifici; due, più polizia.

Esattamente la situazione della Fiat. Cac-ciati gl'ingegneri dai vertici (qualcuno si ri-corda ancora di Ghidella?), sostituiti dagen-te fida del Partito (Romiti nell'88, adesso l'ineffabile Marchionne), le macchine ven-gono male e nessuno ne vuole.

Fra tutte le consolidate auto europee, la Fiat è quella (- 26 per cento) che va peggio. Non per colpa dei coreani o dei cinesi: sof-fre Psa, Volkswagen, le europee.

Buttare fuori a calci il compagno Mar-chionnov? Non se ne parla nemmeno. Sa-crifici, licenziamenti e, se qualcuno prote-sta, polizia. E siccome qui in Unione Sovie-tica c'è un partito solo, nessuno seriamente protesta (seriamente vuol dire vendita for-zata o nazionalizzazione).

* * *Che fa un capo dello Stato riformista anzi

semplicemente democratico anzi, mi voglio rovinare, addirittura conservatore e di de-stra se il sindaco di un paese propugna la superiorità della razza bianca locale e vuole insegnarla per forza ai bambini innocenti delle scuole? Manda messaggi? Si appella alla buona volontà di un minisstro? Lascia intendere che forse non va bene?

Manda direttamente la truppa, reparti del-le Forze armate, che disperde la folla razzi-sta a calcio di fucile e fa ala ai bambini neri.

Non l'ha fatto Di Pietro o Vendola e nem-meno Bersani. L'ha fatto un presidente de-gli Stati Uniti, il repubblicano Eisenhower,, a Little Rock nell'Arkansas nell'autunno del '57. Pochi anni dopo, nel '62, fu Kenne-dy a mandare quattrocento federali nel Mis-sissippi, dove i razzisti locali - governatore in testa – pretendevano di fare i razzisti nel-l'università.

Anche qui, le baionette spianate e qual-che buon spintone fecero un buon lavoro. Ad Adro, nel Quarto Reich di Brighella, il sindaco ribelle e razzista invece è ancora lì.

* * *«La vera notizia a me l'ha detta Eva, una

ragazza del Centro per disabili con cui la-voro» racconta Mauro Biani. «”Hai sentito? - mi ha detto - Sakineh non l'ammazzano più, la impiccano”. Unafrase che vale più di cento editoriali»

* * *Qua in Sicilia, a Catania i giudici non

hanno la tradizione di Palermo. Un modo

eufemistico per dire che negli anni 70 met-tevano in galera l'ingegnere Mignemi che denunciava scandali edilizi, negli anni '80 indagavano sui conti di Giuseppe Fava, ne-gli anni '90 coprivano i Cavalieri e un paio di anni fa non si accorgevano che i Santa-paola scrivevano editoriali sui giornali di Ciancio.

Qualche giorno fa, fra la sorpresa genera-le, sono piombati sull'unico giornale non di Ciancio della Città, Sud, che - a quanto avevano sentito dire - aveva intenzione di parlar male del presidente Lombardo.

Sarebbe bellissimo se Catania prima o poi diventasse una città normale, a comin-ciare dal Palazzo di Giustizia e da coloro che l'abitano. Non sembra un momento vi-cino.

Ci sono magistrati borbonici (quelli cre-sciuti col vecchio Di Natale: il persecutore di Fava, per intenderci), ci sono magistrati liberal (quelli del caso Catania di qualche anno fa: i persecutori di Scidà, per inten-derci).

Tutt'e due, fra di loro, si fanno a quanto pare una gran guerra, dando notizie, negan-dole, incriminandosi – per interposta perso-na – a vicenda, ciascuno coi suoi notabili, i suoi amici, le sue bestie nere.

Noi (salva la solidarietà coi colleghi di Sud - solo i colleghi) noi non c'entriamo, siamo di un altro mondo, forse – ci pare a volte - di un altro pianeta.

r.o.

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Fare macchine che non siFare macchine che non sivendono,coi soldi dello Stato,vendono,coi soldi dello Stato,e alla fine accusare gli operaie alla fine accusare gli operai

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ROBERTO ROSSI E ROBERTA MANI Avamposto Avamposto

“Qui Reggio.Quando vi accorgerete

che noi qui resistiamo?”

Sabato 25 settembre 2010. Ci volevo es-sere. Ci dovevo essere. E mi ha fatto bene. Ho visto l’altra Reggio Calabria, quella che è pronta a ribellarsi, quella che sa cosa vuol dire, che ogni giorno respira la cappa, l’ar-roganza mafiosa. Ho visto l’altra Calabria. Quella che ha sfidato la ‘ndrangheta, che ha guardato in faccia chi, con la coscienza sporca, ha voluto esserci. Comunque. Mescolato tra i volti puliti di migliaia di giovanissimi, tra le madri che hanno portato i figli, tra le insegnanti che, nono-stante le scuole siano rimaste aperte, hanno voluto gli studenti in corteo. Come Melania, professoressa di Polistena. La in-contro vicino ai suoi ragazzi. Me li indica con orgoglio. Sorride. “Noi ci siamo” – mi dice.

Alle 10.00 il punto di ritrovo è già stracolmo. Piazzale della libertà. Un nome perfetto per cominciare. Alla fine saremo

venticinquemila. “No ‘ndrangheta”. Lo slo-gan è ovunque. Pende dai balconi, è stamp-ato sulle magliette, sui bandana, scritto a pennarello sulle braccia abbronzate delle adolescenti. Come il nome del fidanzato o dell’amica del cuore.

Se pensi a dove sei, in casa delle ‘ndrine più potenti , in casa della mafia più infida e ramificata, quella che decide la vita o la morte, gli affari, il traffico internazionale droga, quel “no” è un bel colpo d’occhio. Come lo sono le gerbere. Gialle. Macchie di colore nella giornata rovinata dal tem-porale.

Macchie di colore, nella zona grigia che soffoca questa città, questa regione, questo Paese. Fiori simbolo della lotta alla mafia, quella mafia che qui sfida amministratori, imprenditori, giornalisti e magistrati a suon di minacce. Che piazza tritolo, in pieno centro, sotto il portone del Procuratore

Generale Salvatore Di Landro, perché si avvicinano i processi d’appello, perché la si smetta di confiscare beni e milioni sporchi. Che svita i bulloni dell’auto blindata parcheggiata nel garage del tribunale.

Il corteo cresce. Corso Garibaldi si riempie. Per me che vengo da fuori, quel serpentone è un grande successo. Dopo gli scetticismi, le discussioni e i dibattiti sull’utilità della manifestazioni, dopo i rim-balzi di accuse di volersi fare pubblicità.

“Sì, certo c’è moltissima gente – mi dice un collega – ma vedi quello? Ecco quello è un politico locale eletto con i voti della mafia”. Lo guardo. Sarà la suggestione, ma sembra in imbarazzo. Davanti a lui passa uno striscione. “La ‘ndrangheta è viva e sfila insieme a noi..purtroppo”. I ragazzi che lo portano sono i più rumorosi. Grid-ano, si fermano di botto e poi scattano in una corsa improvvisa, attirano l’attenzione.

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In Calabria – ma chi pensa più alla Calabria? – sta cambiando qualcosa.In Calabria – ma chi pensa più alla Calabria? – sta cambiando qualcosa. La 'ndrangheta è sempre più potente e la politica ormai ne è quasi tuttaLa 'ndrangheta è sempre più potente e la politica ormai ne è quasi tutta conglobata. Ma nella società, per la prima volta dopo “Ammazzateci tutti”,conglobata. Ma nella società, per la prima volta dopo “Ammazzateci tutti”, è sorta finalmente un'opposizione. Frastagliata, confusa, con molti eleè sorta finalmente un'opposizione. Frastagliata, confusa, con molti ele--menti ambigui ai suoi confini, ma sostanzialmente decisa ad affrontare ilmenti ambigui ai suoi confini, ma sostanzialmente decisa ad affrontare il problema. Ne fanno parte molti giovani. Non torneranno indietroproblema. Ne fanno parte molti giovani. Non torneranno indietro

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Avamposto Avamposto ROBERTO ROSSI E ROBERTA MANI

Vogliono che quella frase si legga, vogli-ono che sia chiaro che sanno, che li vedono, che non hanno paura. “Sì ma dob-biamo fare i nomi – mi dice una ragazza che mi cammina di fianco . Avrà 18 anni, la gerbera gialla nei capelli. “Non basta sfil-are. I nomi ci vogliono. E li sappiamo tutti”.

In piazza Duomo è stato allestito il palco. E per la prima volta i politici non sono i protagonisti. Anche questo è un piccolo segnale. Parla chi ogni giorno sopporta la cappa, ogni giorno la combatte, ogni giorno fa i conti con i suoi morti ammazzati. Un imprenditore sotto scorta - ha denunciato-, , un prete in prima linea, e poi una madre.

Le hanno ucciso il figlio di 11 anni mentre giocava a calcetto a Crotone. Un proiettile l’ha centrato in pieno. Un regola-mento di conti interno al clan. E chi se ne importa se sulla traiettoria c’erano donne e bambini. Loro sono i padroni.

Dal microfono la voce del procuratore generale Salvatore Di Landro parla di lotta compatta, di interventi strutturali da compiere, di tre obiettivi da perseguire per liberarsi dal cancro ‘ndrangheta. Edu-cazione, prevenzione e repressione.

Si rivolge alla gente, alle istituzioni e alle

donne di mafia. «Convincete i vostri uomini e i vostri figli ad abbandonare la via del crimine, una strada che non paga.”

“Scusa Alfredo, mi fai avere qualche foto?” “Sì, ma non so come sono venute, ero troppo impegnato a gridare e a manife-stare”. “Silvia, basta una manifestazione?” . “No, è solo un piccolo passo. Si deve im-parare a combattere nelle piccole cose, nei gesti di ogni giorno. Prima o poi ce la si deve fare”. Pietro: “E’ la collusione da eliminare. Il grido di questo corteo deve ar-rivare fino ai piani alti della politica”

Ragazzi di Calabria. L’entusiasmo delle grandi battaglie. Loro ci sono. Senza se e senza ma. A gridare la ‘ndrangheta è merda. A far rivivere le parole di Peppino Im-pastato. A suonare, a fischiare, a cantare. Ci sono. Ognuno col suo gruppo, ognuno con il suo striscione. Associazioni, collettivi studenteschi. Divisi e uniti.

La lotta alla mafia deve ripartire da loro, da quelle facce pulite. Deve ripartire da loro. Dalla loro indignazione, dal loro voto, dal loro no. La scintilla c’è, si è vista a Reggio Calabria. SI deve superare la diffid-enza, si deve viaggiare insieme, ognuno col suo contributo, ognuno col suo bagaglio.

Si deve fare fronte comune, nelle forze

politiche, culturali, nel mondo delle asso-ciazioni. Mettere da parte parolai e denig-ratori. Continuare a denunciare minacce e atteggiamenti mafiosi. Rompere il silenzio. Perché l’emarginato diventi il mafioso nel corteo e non viceversa.

“Il Quotidiano della Calabria ha solo rac-colto un bisogno, il bisogno della gente perbene di dire basta”. Matteo Cosenza, il direttore che ha promosso con un’editoriale la manifestazione di sabato, non si sente un capopopolo. Ha scritto di quel vuoto, di quella voglia di riscatto che si respira. Ha fatto il suo mestiere, ne ha parlato. Ha in-nescato la scintilla. E la risposta c’è stata. Forte.

Non lasciamo che quella scintilla si spenga. Perché “No ‘ndrangheta” non rim-anga uno slogan, ma diventi uno stile di vita. Un appuntamento fisso, da costruire insieme

Perché la prossima volta il politico col-luso, l’amministratore compiacente, il galoppino delle cosche non abbiano nep-pure il coraggio di sfidare lo sguardo delle gerbere gialle. Perché si arrivi a una prossima volta in cui lo striscione sarà “Oggi la mafia non sfila insieme a noi”.

Roberta Mani

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Giovani calabresi in piazza contro la

'ndrangheta a Rreggio Calabria.

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Italia Italia

La gara del Pontemadre di tutte

le turbative

«Entro dicembre sarà pronto il progetto esecutivo, già molto avanzato, del Ponte di Messina», ha dichiarato Berlusconi. «Era stato dato anche l’appalto ad una cooper-ativa di imprese italiane dopo che eravamo riusciti, prodigando molti sforzi, ad evitare la partecipazione all’appalto di grandi imp-rese straniere, perché volevamo che quest’opera fosse un orgoglio tutto italiano.

Con l’intervento del Governo della sinistra il piano è stato accantonato. Avevo personalmente, con il sottosegretario Letta, partecipato a 32 riunioni per il varo di questo piano, sino a giungere all’appalto, che è stato dato. In cinque minuti il Governo della sinistra ha accantonato il progetto. Cinque anni per costruire e cinque minuti per distruggere».

Un’esternazione shock che ha spinto due senatori del Partito Radicale, Donatella Poretti e Marco Perduca, a presentare un’interpellanza urgente alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

«Il presidente Berlusconi si è autodenunciato per avere diretto la gara d’appalto per il Ponte di Messina», scrivono i parlamentari.

«Non solo ha candidamente ammesso di avere fatto di tutto per evitare che alcune imprese partecipassero solo perchè straniere, ma anche che vincesse una italiana. Berlusconi dovrà spiegare in aula in cosa sono consistiti i suoi “molti sforzi” e se le 32 riunioni citate erano state fatte per la realizzazione del piano per arrivare

ad un appalto realizzato su misura per la cooperativa di imprese».

In verità, non scorre nulla di nuovo sotto il Ponte. Berlusconi, infatti, ha ripetuto in Parlamento quanto aveva impunemente di-chiarato nel corso di un comizio tenuto nel novembre 2008 durante la campagna elet-torale per l’elezione del Governatore della regione Abruzzo.

«Sapete com’è andata col Ponte sullo Stretto?», aveva esordito il premier a L’Aquila. «Avevamo impiegato cinque anni a metter d’accordo le imprese italiane perché non si presentassero separate alla gara d’appalto ma in consorzio... Eravamo andati dai nostri colleghi chiedendo che le imprese non si presentassero in modo molto aggressivo, proprio perché volevamo una realizzazione di mano italiana, e poi avremmo saputo ricompensarli con altre opere pubbliche».

L’ammissione di aver blindato (o turbato?) la gara del Ponte giungeva dopo che parlamentari, ambientalisti e ricercatori avevano denunciato anomalie ed evidenti conflitti d’interesse nell’espletamento dei bandi. Tra le carte dell’inchiesta della pro-cura di Monza su presunti reati societari in ambito Impregilo (la società di costruzione che guida l’associazione general contractor del Ponte), conclusasi con il rinvio a giud-izio dei vecchi amministratori Paolo Savona e Pier Giorgio Romiti, uscì fuori un’intercettazione telefonica dove l’economista Carlo Pelanda, rivolgendosi al

Savona, si dichiarava sicuro che «la gara per il Ponte sullo Stretto la vincerà Impregilo». Nel corso della stessa telefonata, avvenuta alla vigilia dell’apertura delle offerte, Pelanda sosteneva di avere avuto assicurazioni del probabile esito della gara «dal senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri».

Incuriositi dalla singolare vocazione pro-fetica dell’interlocutore, i magistrati lom-bardi interrogarono l’ex presidente d’Im-pregilo.

«Era una legittima previsione», rispose Paolo Savona. «Il professor Pelanda mi stava spiegando che noi eravamo obiet-tivamente il concorrente più forte». Carlo Pelanda, editorialista del Foglio e del Giornale, ricopriva al tempo l’incarico di consulente del ministro della difesa Anto-nio Martino, origini messinesi e uomo di vertice di Forza Italia.

Pelanda era pure un intimo amico di Marcello Dell’Utri, al punto di aver ricoperto l’incarico di presidente dell’associazione “Il Buongoverno”, fondata proprio dal senatore su cui pesa una condanna in appello a sette anni di reclu-sione per concorso esterno in associazione mafiosa.

Ad interessarsi al possibile esito della gara del Ponte c’era pure Francesco Cossiga (recentemente scomparso), di cui proprio il Pelanda era stato consigliere dur-ante il settennato trascorso da Presidente della Repubblica.

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“L’apologia dell’illegalità”. Potrebbe essere intitolato così uno dei“L’apologia dell’illegalità”. Potrebbe essere intitolato così uno dei passaggi chiave dell’intervento del Presidente del Consiglio, Silviopassaggi chiave dell’intervento del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il 30 settembre 2010, a Palazzo Madama. Una fiduciaBerlusconi, il 30 settembre 2010, a Palazzo Madama. Una fiducia conquistata dopo una lunga auto-celebrazione: lui, l’uomo dellaconquistata dopo una lunga auto-celebrazione: lui, l’uomo della

provvidenza, artefice unico dello sblocco dei lavori del Ponte sulloprovvidenza, artefice unico dello sblocco dei lavori del Ponte sullo Stretto, padre-madre di tutte le Grandi OpereStretto, padre-madre di tutte le Grandi Opere

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Italia Italia

Nel corso di una puntata di Porta a Porta dedicata alle intercettazioni telefoniche, in onda il 5 ottobre 2005, fu lo stesso Cossiga a dire: «Sono stato intercettato mentre parlavo con un mio amico, un imprenditore che brigava pesantemente per ottenere gli appalti del ponte». Poi l’ex Presidente si rivolse all’avvocata Giulia Buongiorno (oggi parlamentare di Futuro e Libertà), presente in studio: «Avvocato che faccio? Lo sputtano questo Pm o mi consiglia di lasciar perdere?». «Presidente, io difendo quell’imprenditore e il Pm mi ha garantito che il suo nome non comparirà. Stia tranquillo», rispose con imbarazzo la Buongiorno. Nell’inchiesta di Monza non c’è traccia del nome dell’amico di Cossiga che «brigava» per gli appalti nello Stretto.

«Quella che è stata una delle gare d’ap-palto più rilevanti della storia d’Italia, presenta pesanti ombre ed anomalie», scrivono i ricercatori di Terrelibere.org, che agli interessi criminali del Mostro sullo Stretto hanno dedicato inchieste e un libro-dossier. «Si sono registrati, ad esempio, un impressionante ribasso d’asta di 500 milioni di euro, una controversa penale che impegnerebbe le istituzioni alla prosec-uzione dei lavori, ed infine la misteriosa defezione delle grandi imprese estere. A questo si aggiungono i conflitti di interesse tra finanziatori e finanziati, controllori e controllati e soprattutto gli incroci, le ricorrenze di nomi e società, le partecipazioni multiple che fanno pensare

ad una maxi lobby che da anni sponsorizza e promuove le grandi opere».

Terrelibere.org ha denunciato, in particol-are, come nella speciale commissione gi-udicatrice istituita dalla Società Stretto di Messina che ha assegnato l’appalto alla cordata Impregilo, ha partecipato l’ingegn-ere danese Niels J. Gimsing. «Oltre ad es-sere stato membro (dal 1986-1993) della commissione internazionale di valutazione del progetto di massima del Ponte, risulta aver lavorato nella realizzazione dello Stor-belt East Brigde, progettato dalla società di consulenza Cowi di Copenaghen a cui il raggruppamento temporaneo d’imprese guidato da Impregilo ha affidato “in esclu-siva” l’elaborazione progettuale del Ponte sullo Stretto».

«Tra i più stridenti conflitti d’interesse nella gara per il general contractor del Ponte – aggiungono i ricercatori di Ter-relibere - c’è quello legato alla parte-cipazione delle Coop “rosse”, su schiera-menti contrapposti, con i due gioielli più rappresentativi del settore costruzioni, il CCC Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna (in associazione con Astaldi) e la CMC Cooperativa Muratori & Cementisti di Ravenna (in associazione con Impregilo). Con l’“anomalia”, sempre tutta italiana, che proprio la CMC di Ravenna risulta essere una delle 240 associate, la più importante, della cooperativa “madre”, CCC di Bologna. Ciò avrebbe comportato la violazione delle normative europee e

italiane in materia di appalti pubblici, le quali escludono espressamente la partecipazione ad una gara di imprese che “si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo”, ovverosia di società tra esse “collegate o controllate”». L’ipotesi di violazione di queste norme da parte delle coop durante la gara per il Ponte è stata pure sollevata dal WWF Italia e dalla parlamentare Anna Donati. Il WWF è anche ricorso davanti all’Autorità per i Lavori Pubblici e alla Commissione Europea per chiedere, inutilmente, l’annullamento della gara.

Nonostante i pesanti rilievi, la Società Stretto di Messina scelse di non intervenire, ma alla vigilia dell’apertura delle buste, il Consorzio Cooperative Costruzioni di Bo-logna scomparì provvidenzialmente dalla lista delle società della cordata Astaldi. La coop “madre” lasciò il campo libero alla coop “figlia” che si aggiudicò con Impre-gilo il bando di gara. Forse era a queste “cooperative d’imprese” che si è riferito er-roneamente il Presidente del Consiglio nel suo ultimo intervento in Senato. In realtà la vincitrice della più che sospetta gara del Ponte è “Eurolink”, l’associazione tempor-anea costituita da Impregilo con una quota del 45%, Sacyr (18,7%), Società italiana per condotte d’acqua (15%), CMC di Ravenna (13%), Ishikawajima- Harima Heavy industries (6,3%) e Consorzio sta-bile Aci (2%).

Antonio Mazzeo

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Cronache Cronache

Boscoreale/Un'altranottedi guerriglia

Boscoreale, ancora non è giunta la mez-zanotte di martedì 28 settembre. La rotonda di via Panoramica come sempre è occupata: oltre mille persone di sicuro, solo alcune a volto semi-coperto. Gira voce che ci siano tante telecamere in giro. Di autocompatta-tori diretti verso la discarica di Terzigno an-cora neanche l’ombra: dopo l’ordinanza del prefetto che li autorizza a sversare per tutto il giorno, le società di smaltimento rifiuti hanno capito di dover attendere che passi la notte e scaricare durante il giorno, quando la gente è a lavoro.

Non è ancora mezzanotte, dunque, ma c’è tensione: troppa. Da alcuni gruppi di ra-gazzi partono le prime pietre verso il cordo-ne di carabinieri, alcuni petardi. La sassaio-la a tratti sembra inasprirsi, poi si ferma. L’unica luce che illumina la zona si accen-de e si spegne, sembra quasi telecomandata ad arte per spegnersi quando iniziano a par-tire dalle forze dell’ordine degli strani lacri-mogeni che, arrivati in cielo, si aprono in quattro parti per poi cadere fra la folla.

Urla, spinte, sassi, lacrimogeni e bombe

carta. È una surreale scena di guerriglia in cui, in fondo, i carabinieri non hanno anco-ra deciso di reagire davvero. Quando è l’o-ra, infatti, basta un attimo e assieme alle ca-riche inizia a correre lungo la rotonda un blindato dei carabinieri che disperde la fol-la. La gente corre ovunque per perdersi nel-le terre ai lati di via Panoramica, mamme e figli terrorizzate urlano e inveiscono sia contro le forze dell’ordine sia contro i ma-nifestanti più accesi, autori della sassaiola e dello scoppio dei petardi.

Alla fine delle cariche c’è un uomo a terra con degli strani bossoli accanto a sé. La gente intorno sostiene che siano stati sparati dai carabinieri colpendogli la gamba, ma che tipo di proiettili siano non si riesce ancora a capirlo.

È stata una battaglia, a Terzigno, l’ultima notte e a farne le spese ovviamente sono le persone comuni, quelle che vanno a mani-festare senza immaginare di tornarne feriti. Per oggi, mercoledì 29, è prevista la marcia silenziosa del vescovo di Nola verso la cava, mentre il 30 settembre sarà la volta del lutto cittadino per i comuni del vesuvia-no. L’appuntamento con tutte le forze re-gionali di protesta è previsto, infine, per il primo ottobre alle sette di sera a Terzigno, anche se il clima è ormai diventato davvero troppo, troppo teso.

Alessio ArpaiaNapoli Monitor

Messina/L'illegalitàdel traghettoprivato

A Messina c'è un approdo, quello della Rada S.Francesco, che è fuorilegge perchè mancante di regolare concessione. La tratta è stata creata illegalmente nel 1967 grazie all' abusivo abbassamento del sottopasso ferroviario di Villa S.Giovanni. Nasceva così il monopolio privato che decretava il fallimento ( voluto ) dei mezzi RFI. Tutto ciò non sarebbe potuto avvenire se i re-sponsabili della Navigazione delle Ferrovie non si fossero lasciati convincere al silen-zio,alle omissioni di denunzia. Tutto ciò non sarebbe potuto avvenire se le Procure di Reggio e Messina non fossero state di-stratte.Diciamo così. Questa è la grande il-legalità che governa ancora oggi, dopo oltre 40 anni, i trasporti nello Stretto di Messina. E allora non c'era al governo Berlusconi.

Immaginare soltanto quelli che possono essere i profitti di una tale attività, sostan-zialmente fuorilegge,è impossibile quantifi-care. Alla fonte di tanta ricchezza si sono nutriti schiere di politicanti. Non solo quelli che detengono quote societarie (Genovese & C) ma anche tutti quelli, di quasi tutti gli schieramenti politici, che in Calabria e in

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Cronache Cronache

Sicilia hanno tratto benefici dalle società di traghettamento, pagandosi campagne elettorali (soltanto l'ex sindaco di Messina Leonardi lo ammise)e facendosi assumere mozzi e comandanti.

Oggi succede ancora che la Polizia muni-cipale e non svolga, in queste ore di esodo e controesodo, un servizio di assistenza e indirizzo degli automobilisti in vacanza verso gli approdi privati.Uomini in divisa che spalettano indicando le corsie da segui-re. Amministratori della viabilità che pena-lizzano i cittadini residenti pur di "fluidifi-care" il traffico dei traghettati. Strade urba-ne bloccate dalle code. Il solito maledetto inferno di sempre.

Nel silenzio di quasi tutti (solo il Comi-tato La Nostra Città continua a mobilitarsi e a produrre esposti regolarmente insabbiati dalla magistratura) il nuovissimo approdo di Tremestieri resta chiuso. Ufficialmente per "manutenzione". Nella realtà perchè quell'approdo, a sud di Messina, allunga la percorrenza a mare e non conviene ai tirchi azionisti di Tourist & Caronte.

Da anni il direttore dell'Autorità Portuale Lo Bosco (già promosso a dirigere le Ferrovie) è riuscito a far fallire dei bandi regolari di gara che garantissero la concorrenza per la concessione della Rada S.Francesco. Favorendo Tourist & Caronte che continuano così a gestire fuori dalla legge quell'approdo nel cuore della città.

Questa è la prassi accettata da tutti. I po-litici di ogni colore, i prefetti, i procuratori della Repubblica, e via via attraversando le istituzioni.

Saro Visicaro

Ragusa/Scene di cacciaai gay

Un ragazzo omosessuale è stato vittima di un gesto che ha dell’incredibile. Mentre Vincenzo - questo il nome della vittima - si trovava nella sua macchina ad ascoltare musica, in un luogo solitamente frequentato da omosessuali, cinque ventenni si sono af-fiancati alla sua automobile ed gli hanno gettato un secchio pieno di urine.

Vincenzo, 25 anni, è rimasto lucido, ha messo in moto la vettura e ha seguito i balordi fino ad identificare l’automobile dei cinque. Dopo di che si è recato in questura dove ha sporto denuncia verso ignoti.

La polizia locale, grazie al numero di targa, è riuscita prontamente ad identificare il quintetto che è stato portato in questura. Alle domande delle forze dell’ordine sull’insano gesto i balordi hanno riposto giustificandosi: “È stata solo una bravata. Siamo dispiaciuti”. Scuse di circostanza che non alleggeriscono le loro posizioni, come non placano la rabbia suscitata.

Tra i cori di indignazione spicca quello

dell’Arcigay che esprime preoccupazione verso l’accaduto e sincera solidarietà verso la vittima. Per il presidente dell’Arcigay Ragusa, Salvatore Milana, bisogna concen-trarsi sul problema del sommerso, ovvero la quantità di casi che non vengono denunciati per paura.

Vincenzo, studenteall'università di Catania, racconta come già sei anni fa era stato vittima di un altro episodio di

intolleranza. Infatti, mentre andava con un amico in motorino una macchina gli si affiancò ingiuriandoli. “Noi rispondem-mo alla

provocazione – racconta Vincenzo - loro scesero dalla macchina e ci pestarono. Io fui ricoverato in ospedale con le costole rotte ed ebbi un mese di prognosi. Feci denuncia ma non si riuscì a scoprire chi fossero”. Vincenzo dice che a Ragusa si trova bene, sono casi isolati questi, ma il capoluogo ibleo sembra una piccola città che sta stretta ad un futuro normale.

Intanto il presidente nazionale dell’Arci-gay, Paolo Patanè, ricorda che è in atto in Commissione giustizia l’iter legislativo per una legge volta a prevenire fenomeni di omofobia e transfobia. Fenomeni che negli ultimi anni sono diventati più numerosi.

Giorgio RutaIl Clandestino

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Catania Catania

Villa Bellini:il marcio

dietro le aiuole

“A villa rapiu”. Con queste parole molti cittadini increduli hanno salutato l’apertura del giardino Bellini a Catania, quello chi-uso per un paio di anni alla cittadinanza e per i quali sono stati spesi vagoni di milioni di euro, tre dei quali raccattati in zona cesarini per non fare sfigurare del tutto la città di fronte all’Unione Europea.

Ma cosa è accaduto in questi tribolati anni di chiusura del giardino in cui tutte le operazioni sono state svolte nei segreti di Palazzo e non nella trasparenza con i cit-tadini? Di tutto e di più. Andiamo a vedere la cronistoria dei fatti.

Tutto inizia quel brutto giorno del 16 maggio 2007, allorquando la Commissione Europea chiede al Comune di Catania mag-giori dettagli sulla modifica dei costi iner-enti il progetto di ricostruzione della villa. Il Comune risponde che le variazioni dei costi del progetto sono avvenute in base al nuovo listino dei prezzi regionali recente-mente modificato.

Ma l'Unione Europea non si fida dei catanesi e nel 2009 effettua una revisione dei progetti facenti parte del programma Por per la Sicilia 2000-2006 in cui rientra il progetto dei lavori della villa. E qui iniz-iano le comiche, perché la Commissione pretende massimo rigore e trasparenza nelle

gare d’appalto e richiede maggiori informazioni dal Comune sulla pubblicazione della gara presso la gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, sulla parità di trattamento per i candidati e relativa pubblicazione dei risultati sulla gazzetta.

Il tempo trascorre e mentre i lavori prose-guono a rilento nel 2009 viene riaperta parte della villa acclamata come se fosse un evento straordinario dopo due anni di inter-minabili lavori.

Ma non è finita. Sorgono dei comitati spontanei di cittadini i quali richiedono trasparenza e legalità nell’esecuzione dei lavori oltre a conoscere quanti milioni di euro di fondi Por siano stati sperperati per la realizzazione del restauro.

Sempre nel 2009, in sede di Consiglio comunale, si crea una commissione di inchiesta voluta da quindici consiglieri per capire che fine hanno fatto i soldi e perché i tempi di realizzazione dell’opera a due anni di distanza non sono ancora terminati.

La commissione si rivela un bluff nono-stante sia voluta da quindici “coraggiosi” consiglieri comunali i quali hanno cercato di fare un po di luce sulla vicenda. Ricor-diamo qui di seguito i loro nomi per cor-rettezza istituzionale. Manlio Messina (Pdl), Puccio La Rosa (Pdl Sicilia), Car-

mencita Santagati (Pdl), Andrea Barresi (Udc), Vincenzo Li Volsi (Pdl), Vincenzo Castelli (Pdl Sicilia), Carmelo Giustolisi (Pdl), Gemma Lo Presti (La Destra), Francesco Montemagno (Misto), Rosario D’Agata (Pd).

La commissione, abortita sul nascere, sarà ripudiata fin dal primo momento dal Pdl (ancora non si era scisso).

Sulla vicenda, frattanto, interviene anche la Procura della Repubblica di Catania (quella che ultimamente si è interessata anche a “Sud”) la quale richiede gli atti uf-ficiali al sindaco Stancanelli.

E qui avviene l’impensabile, per la serie “il bagaglino a Palazzo degli Elefanti”. Raffaele Stancanelli trasmette la docu-mentazione necessaria in Procura, e per farlo chiede il tutto all’avvocatura comun-ale la quale risponde che gli atti sono in procura già da un anno, dopo l’intervento della guardia di Finanza che ha sequestrato tutto il materiale riguardante la villa.

Sembra un barzelletta eppure non lo è. In città, giornalisti, addetti ai lavori e soprat-tutto i cittadini si pongono alcune domande: perché il sindaco non ne sapeva nulla? Chi era a conoscenza di questo trasferimento di atti? Chi sapeva perché non ha riferito in Consiglio comunale?

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“Ha riaperto la Villa...”. Dopo anni di chiusura e un numero imprecisato di“Ha riaperto la Villa...”. Dopo anni di chiusura e un numero imprecisato di milioni, i catanesi sono finalmente riammessi al loro giardino pubblico, damilioni, i catanesi sono finalmente riammessi al loro giardino pubblico, da sempre l'orgoglio di Catania. Ma com'è andato il restauro, e quanto (e disempre l'orgoglio di Catania. Ma com'è andato il restauro, e quanto (e di chi) è stato speso? Mistero. Nemmeno la Cia o il Kag hanno mai difesochi) è stato speso? Mistero. Nemmeno la Cia o il Kag hanno mai difeso con tanta determinazione un segreto. Perché? Che cosa c'è da nascondecon tanta determinazione un segreto. Perché? Che cosa c'è da nasconde--re? Per caso, qualche uso creativo dei fondi europei?re? Per caso, qualche uso creativo dei fondi europei?

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Catania Catania

La farsa non è ancora finita. Proseguono le lamentele per la mancata commissione di inchiesta e se di ciò se ne fa portavoce la consigliera dell’Udc Valeria Sudano, la quale ammette nauseata: “Siamo re-sponsabili del nostro operato innanzi ai cit-tadini che ci hanno accordato il loro voto”. Da apprezzare la sana autocritica.

L’ultimo atto di questa scena patetica è la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale dell’Unione Europea degli avvenuti lavori di restauro della villa. Il Comune omette di pubblicare il bando dei lavori sulla gazzetta ufficiale italiana (figuriamoci su quella europea) in cui dovevano comparire le ditte che avevano partecipato alla gara d’ap-palto. Non avviene ciò. La Commissione Europea se ne accorge e richiede gli atti uf-ficiali.

Trascorrono i mesi e mentre il Comune si giustifica dicendo di avere le carte in regola, l’Unione Europea non riceve un fico secco da Catania.

Spazientita, la Commissione intima Catania a inviare gli atti. Volete sapere la scusa inventata dal Comune di Catania? La stampante risultava rotta e il materiale non poteva essere stampato e inviato.

Già, la stampante. Quello strumento che possiede ciascuno di noi dentro ogni casa

era divenuto il limite invalicabile tra Catania e la Commissione Europea.

La “barzelletta”, come già predetto, si chiude con l’apertura del giardino al pub-blico il 23 settembre. Qualcuno chiede dove siano stati reperiti i soldi per il com-pletamento (fuori tempo massimo) dei la-vori. Gli assessori rispondono in coro che sono stati reperiti dai mutui residui dell’amministrazione.

Bella consolazione. Tre anni di lavori, milioni di euro buttati al vento, e una figur-accia incredibile con l’Unione Europea. Cosa si vuole di più dalla vita?

Mirko Tomasino

SCHEDAQUANDO I CITTADINISI MOBILITANO:IL COMITATO SOS VILLA

La società civile, in occasione dei lavori del giardino Bellini, ha messo a segno un bel colpo con l’attività, intensa e senza esclusione di colpi, messa in atto dal Comitato Sos Villa Bellini.

Vi riportiamo qui di seguito, solo per mo-tivi di spazio, cinque delle undici domande poste dal Comitato al nostro sindaco il

quale non ha mai risposto.1) Il bando di gara “nazionale” di aggi-

udicazione dei lavori di recupero e val-orizzazione della Villa Bellini, aggiudicato dopo ricorso per un importo complessivo definitivo di 12 milioni di euro (24 miliardi di lire), ovvero con un ribasso del 26,037 % sulla base d’asta di 14 milioni e mezzo, è valido?

2) La Commissione Europea sui POR si è espressa già in tal senso visto, sem-brerebbe, il mancato rispetto delle direttive della stessa in quanto il bando doveva es-sere pubblicato a livello di Unione europea?

3) Perché i lavori alla fine dell’ottobre del 2008, così come imposto dalla Com-missione Europea, pena la perdita dei fin-anziamenti, non sono stati completati e quanti i milioni utilizzati fino ad allora?

4) La Commissione Europea si è espressa anche sul mancato rispetto della fine dei la-vori e della loro rendicontazione che doveva avvenire entro il 2008, nel rispetto del POR 2000-2006?

5) La proroga della fine dei lavori a gi-ugno 2009, che sembrerebbe essere stata concessa dalla Regione, con quali finalità è stata data e ha avuto l’assenso formale da parte della Commissione Europea oltre che della Sovrintendenza ai Beni Culturali di Catania?

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Le armi a scuola Le armi a scuola

Libro e moschetto

Libro e moschetto: non sono lombrosiana ma credo di capire con quale nostalgia il ministro La Russa mescola scuole e caser-me (Gelmini adorante)

200 mila insegnanti «inutili» e sullo sci-volo, mentre il governo trova 20 milioni per militarizzare i banchi. Il servizio civile sta sparendo e la solidarietà del volontaria-to sopravvive come può

Una delle caratteristiche più gravi della leva era quella dell’educazione alla disci-plina: potevi non essere idiota, ma lo diven-tavi se un qualunque superiore-per -defini-zione ti imponeva di buttare a terra e racco-gliere di nuovo le foglie cadute nel cortile della caserma che avevi appena ramazzato e chiuse negli appositi sacchi.

Era anche in uso nei licei l’apparizione prima della maturità di inviati delle FFAA per propagandare la vita militare, ma il co-stume decadde per la totale improduttività dell’impresa.

Ignazio La Russa – che, dio mi perdoni, ma mi fa diventare lombrosiana, perché quando lo vedo non posso evitare di pensa-re che il connotato fascista sia genetico – si è inventato la mininaja, un piano di inseri-mento nelle strutture militari di quattromila

ragazzi per brevi stages “formativi” nelle caserme.

Per mantenere il progetto – bocciato in Parlamento come parte del decreto sulle “missioni” all’estero – il ministro ha reperi-to venti milioni di finanziamento inseren-dolo nella manovra finanziaria. Io sono an-timilitarista, ma comprendo le lagnanze dei militari che sentono quei venti milioni sottratti alle loro esigenze. Inoltre, come ulteriore intervento democratico, ha tagliato il bilancio, già magro, della protezione civile.

Non tutti sanno che cinque anni fa, quan-do finì il servizio militare obbligatorio, i giovani che prestavano servizio civile erano 56.000, mentre oggi non arrivano alle dieci migliaia.

L’indifferenza di fronte a questi dati è do-vuta anche alla scarsa conoscenza diffusa circa ciò che rappresenta il volontariato che, come dice la parola, è proprio di chi sa che il bisogno sociale è illimitato e che le strutture sociali non lo esauriscono, mentre il Terzo settore e il No-profit (dietro cui spesso c’è il “profit”), sono sussidiarietà, cioè precariato sostitutivo di quei servizi che lo stato non è (più) in grado di dare.

Sono distinzioni note almeno da quando mons. Giovanni Nervo dirigeva la Caritas italiana e prevedeva le conseguenze di que-sti equivoci. Infatti per il volontariato non ci sono più soldi, perché, non sostituendo l’intervento sociale ed educando alla re-sponsabilità individuale di tutti nella gratui-tà, è scomodo.

Oggi diventa educativo non l’accompa-gnare i nonvedenti, far conoscere la cono-scenza storica della nonviolenza, dare com-pagnia agli anziani soli o vitalizzare i loro centri sociali, ma “prepararsi, come dicono i documenti, alla vita” attraverso la compe-tizione e i conflitti.

Ci si è messa anche la Lombardia che, dopo aver visto lo scempio della scuola di Adro, fondata sugli emblemi di un partito politico, si trova i militari o gli ex-militari a far concorrenza ai maestri.

Ragazzi, la naja non c’è più (e non c’è più nemmeno l’obiezione di coscienza, an-che se il problema di cui stiamo parlando dovrebbe agitare almeno gli ex-obiettori) e la legge è legge: i soldati sono impiegati statali. Se quella militare è una professione come un’altra, vorremmo nelle scuole anche i medici, gli ingegneri o i muratori.

Se, invece, non è un mestiere come un al-tro, lasciamo gli insegnanti a insegnare che, allo stato attuale dell’evoluzione, la guerra, anche difensiva e anche preventiva (per l’a-mor di dio non “umanitaria”) può essere una dura necessità o un aiuto alla ricostru-zione dopo disastri, ma non è assolutamen-te un valore più patriottico del civile.

La patria la si serve con il rispetto delle regole di giustizia, dell’uguaglianza e della democrazia nonviolenta; che è quello che vorremo fosse il comune senso dello stato di noi italiani.

Giancarla Codrignani

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Le armi a scuola Le armi a scuola

Riscoprire la Quei seinonviolenza amici

Temo che l'insegnamento e la testimo-

nianza di Gandhi si riducano sempre di più a uno spot telematico in cui si vede uno strano personaggio seminudo e a un'icona per arredare un ambiente sempre più squal-lido e violento.

Oggi chi lo studia seriamente? Anche il tentativo di Rifondazione di qualche anno fa è stato un buco nell'acqua, ben presto ri-chiuso.

Penso che la nonviolenza dev'essere ri-scoperta e rifondata alla luce della contem-poraneità, in cui le pulsioni violente e raz-ziste si nutrono delle contraddizioni e delle profonde discriminazioni indotte dai pro-cessi di globalizzazione.

Finora la nonviolenza è stata il vangelo di lotte di liberazione nazionale ed etniche o il percorso di singoli come Capitini e Dolci, la cui attività ha lasciato qualche segno ma in gran parte è morta con loro.

A Palermo qualche anno fa abbiamo ten-tato di fare una riflessione legandola a un'a-nalisi e a un progetto di lotta antimafia ma purtroppo anche il nostro tentativo è presto abortito.

In ogni caso avremmo bisogno di un non-violenza laica, sganciata da fedi religiose, e di un progetto praticabile nel contesto con-creto in cui viviamo, mettendo in discussio-ne anche i "testi sacri" e i personaggi a cui si fa riferimento, se non vogliamo ridurli a santi di una religione fallita.

Umberto Santino

Il dottore Nastasi, veterinario, s'era fatto tutta la ritirata di Russia a piedi, con gli al-pini. Mio padre aveva la rotula sinistra di metallo, completamente ricostruita, e varie schegge non estraibili in corpo. L'altro Na-stasi, quello che insegnava ginnastica, s'era fatto Grecia, Libia e Albania. Idem Alfano e Ruvolo, tutti in fanteria. Ghetti, un anno e mezzo nei sommergibili: ne tornarono una decina, dei sottomarini atlantici, e "alla pa-rata di Napoli eravamo ottantuno". Di que-sti sei amici non ce n'era uno che non be-stemmiasse quando sentiva "gerarchi" e "mussolini".

Nessuno di loro era pacifista, nel senso che s'intende adesso. Ma odiavano la guerra e chiunque ne parlasse bene. "La guerra, la guerra...". "Eh. Non potete capire, voi gio-vani, quant'è bella la pace". Uno sospirava, l'altro tirava un colpo di toscano.

Non si sono mai fatti guardare, da me bambino, come eroi. Stavano anzi molto at-tenti a non farlo. Di tutta la guerra, l'unica racconto che ho di mio padre è delle siga-rette che s'erano scambiati, sotto la tenda dell'ospedale da campo, con il maggiore in-glese che forse l'aveva ferito. E un'altra vol-ta in cui, con tutti noi bambini a naso in su davanti ai premi del tiro a segno, dopo lun-ga esitazione e vergognandosi prese la cara-bina ad ariacompressa e a uno a uno li buttò giu tutti. "Ero tiratore scelto" mormorò come scusandosi, distribuendo le bambole e gli orsacchiotti di pezza.

Non so quante ferite e medaglie avessero quei sei amici, tutti insieme. Ma mi hanno insegnato la pace, poiché erano dei soldati.

Oggigiorno un politico - culomolle, ge-rarca, mai stato al fuoco, mai rischiata la pelle per il suo paese - vorrebbe insegnare la guerra (peggio: giocare alla guerra) ai ra-gazzini. Ma mio padre e i suoi amici, nelle loro varie e diverse idee politiche, concor-demente avrebbero avuto orrore di lui.

Riccardo Orioles

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Modernità Modernità

Il giornoche Barbie

non potè morire

Molti anni fa, cosí tanti che guardare in-dietro mi provoca vertigine, la mia nonna materna mi regalò una Cindy, una prede-cessora della Barbie che tutti noi conoscia-mo: un gesto familiare che cercava di in-dottrinarci, noi le bambine di allora, in un'estetica che non capivamo, forse perché Hollywood ronzava intorno alle nostre vite ma non osava ancora assalirle.

Cindy esibiva lunghe gambe ed un corpi-cino stretto, sebbene molto meno androgino dell'insulsa Barbie. Vestiva abiti da nonna che oggi qualsiasi bambina respinge per principio –una maglietta nera di lana e pan-taloni molto scipiti. Credo che oggi i bam-bini debbano avere subito un mutamento genetico che fa loro rigettare qualsiasi veste che non venga firmata da un disegnatore di fama.

Le bambole non mi piacevano, perciò non mi ero presa l’incomodo di dissimulare la mia smorfia di dispiacere e Cindy morì e fu sepolta - nella maniera migliore in cui si può sotterrare una bambola: accomodando-la in un discreto angolo di un mobile, parte

del paesaggio e del colore locale- lo stesso giorno che me la regalarono.

Ormai le bambine crescono con la Bar-bie, ma non la sotterrano mai: prima le con-verte in super-star disposte ad essere il cen-tro di attenzione di tutti e di tutto, poi le trasforma in adolescenti schiave del fisico e delle tirannie delle mode, dell'apparenza e delle passerelle.

E noi, gli adulti, non induciamo a crescere quella popolazione di giovani disorientate; quel che facciamo è diventare come loro: adesso Hollywood abita tra noi, e ci ha convinti che il mondo è Disneyland e le droghe sintetiche il suo profeta.

In poche parole, hanno finalmente trion-fato tutti quelli elementi che, strategica-mente, ci distraggono della realità. E di tutto ciò che viene accopiatto alla realità: la responsabilità, lo sforzo o il compromesso.

Siamo una società improduttiva, di ozio, in cui la solidarietà è un gioco di ricchi de-siderosi di sperimentare i limiti o di salvare la propria anima, secondo il livello delle difese religiose, e di dimostrata docilità

verso lo spettacolo in qualsiasi formato che ci allontani da noi stessi: molti viaggi esotici, indebitamento per credere che siamo padroni della casa che la banca ci presta in cambio del nostro sangue, e l'orgoglioso numero uno mondiale in consumo di cocaina [la Spagna], che non è che ti distragga della realità, ma ti fa volare sopra di lei fino ad annientarla.

Ma torniamo ai bambini. Mai prima d’ora sono stati tanto fragili. Vittime molte volte di violenze quando sono assolutamente in-difesi, appena hanno un'età minima di au-tonomia si trasformano in torturatori dei loro genitori. Hanno rivoluzionato l'idea di violenza: un tempo la violenza era un atto di terrore che si esercitava nell'intimità.

Adesso il dio Hollywood, onnipresente, esige lo stesso che esigeva imperativamente il dio biblico: “crescete, moltiplicatevi”. Cioè, che la violenza cresca, che si diffon-da, che arrivi per qualsiasi mezzo. E la vio-lenza gira, si fa immortale sui piccolissimi schermi dei cellulari, che poi arrivano all'umanità intera grazie a You Tube.

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“Adesso il dio Hollywood, onni“Adesso il dio Hollywood, onnipresente, esige lo stesso che esigevapresente, esige lo stesso che esigeva imperimperativamente il dio biblico: crescete, moltiativamente il dio biblico: crescete, moltiplicatevi. Che la violenzaplicatevi. Che la violenza cresca, che si diffoncresca, che si diffonda, che arrivi per qualsiasi mezzo. E la vioda, che arrivi per qualsiasi mezzo. E la violenzalenza gira, si fa immortale sui piccolissigira, si fa immortale sui piccolissimi schermi dei cellulari...”. Unami schermi dei cellulari...”. Una bambola (di plastica) metafora di un'umanità sembre più aliebambola (di plastica) metafora di un'umanità sembre più alienatanata

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Modernità Modernità

I bambini e gli adolescenti sono stati gli inventori del terzo occhio della violenza: se non ci sono spettatori, la violenza gratuita, ludica, non serve.

Poi c’e un altro aspetto. Il potere ama i bambini e chiede loro di avvicinarsi a lui, come Gesù Cristo.

Fate attenzione alla devozione mostrata dai militari argentini, che hanno portato via velocissimamente i figli delle torturate - quelli che crescevano nel ventre delle madri dolenti- affinché si sviluppassero in una famiglia irrobustita da valori cristiani e il senso di una giustizia che non nasconde-va che la carità comincia a casa propria

Ricordo anche un avvenimento recente, due nonni derelitti ai quali l’assitenza so-ciale ha portato via il nipote sotto la loro tu-tela.Il male fatto da questi nonni? Dare da mangiare al bambino in eccesso (la madre della creatura, la loro figlia, era morta di anoressia ed il bambino in questione si trovava in una situazione di notevole sov-rappeso).

Le autorità decisero subito di portare via il minore per assicurarsi che avrebbe perso chili. Mi domando se avrebbero agito con identica severità se l’obiettivo fosse stato fare ingrassare il bambino. Continuano ad esserci casi di denutrizione per abbandono, ma lì le autorità non mettono naso.

I governi e i loro responsabili ci hanno fatto credere che la denutrizione è un prob-lema individuale e l'obesità un problema collettivo.

Alle litanie che ci arrivano del ministero della Sanità dobbiamo aggiungere gli insidiosi discorsi dell’esteta e di quelli che vivono dell'industria del glamour e che lan-ciano improperi contro la grassezza e accla-mano gli scheletrici corpi che sfilano, spet-trali, per le passerelle.

Ed ecco lì tutta quella legione di adoles-centi che, senza avere sotterrato la Barbie, si ossessionano con i chili, con il suo aspet-to e con l’opinione degli altri. Perché il cor-po riduce in schiavitù tanto quanto i com-menti che suscita.

Una compagnia aerea nazionale indiana ha espulso dai suoi elenchi le donne con sovrappeso. Neppure grassi: semplicemente al di là del discutibile canone di bellezza che manda al macello dietetico ed esisten-ziale le adolescenti.

Frattanto, cose della vita, in Mauritania le donne obese sono l'ideale della bellezza, e da piccole le ingrassano come si ingrassa in Francia le oche per farne un magnifico foie. Io penso che tra l'uno e l'altro probabil-mente ci sia un spazio per la ragione, o per qualcosa di più semplice, il senso comune.

Uno spazio dove né Hollywood né Bolly-wood si sono ancora installati distribuendo le loro paschianate, dove si accettano le persone per il fatto di essere persone, dove non si ha bisogno di chiedere scusa per esistere ed ancora meno per esistere in modo diverso, e sopratutto, dove Barbie, e tutto quello che significa, è morta. E sotterrata mille metri sotto la nostra coscienza.

Natalia Fernández Díaz

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Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

I carusi,la mafia,

l'otto settembre

I “CARUSI” DELLE ZOLFARE

I padroni della terra, in Sicilia, ritennero di riservare a se stessi non solo ciò che era coltivato, ma anche ciò che era nascosto tra le viscere del sottosuolo. In Sicilia lo zolfo era appunto lì, sottoterra, in enorme ed in-credibile quantità, bisognava scavare, biso-gnava portarlo su e portarlo via, in giro per il mondo.Si riprodussero così, per l’estrazione dello zolfo, rapporti analoghi a quelli dell’econo-mia aziendale latifondistica. Anche qui una struttura verticistica che, nella forma, inclu-deva il proprietario del latifondo, ma che, nella sostanza, poneva a svolgere le funzio-ni specifiche di “gabelloto di zolfara” quel-la stessa persona che aveva preso in gabella la gestione del terreno.A supporto organizzativo ed operativo si muovevano le società concessionarie e “in-dustriali” per modo di dire, che con molta parsimonia si servivano di consulenti tecni-ci minerari. Riguardo al lavoro effettivo di estrazione dello zolfo e di trasporto in su-perficie, era organizzato e diretto dal “pic-coniere”, figura centrale e fondamentale nella gerarchia delle funzioni.Il picconiere era, in genere, l’operaio spe-cializzato che, in forza delle sue competen-ze, disponeva il reclutamento della forza la-voro, nonché i tempi del lavoro e il salario.“In quanto datore di lavoro, si atteggiava a piccolo impresario ed infliggeva ai dipen-denti le quotidiane torture di una pratica di

sfruttamento la cui implacabile brutalità era pari a quella dei suoi personali bisogni di miserabile: gli aiutanti sui quali si esercitava il suo tirannico dominio erano, in genere, quegli adolescenti, quei “carusi”, che era solito reclutare ottenendoli in affidamento dai rispettivi genitori in cambio di un esborso di denaro – il cosiddetto soccorso morto – con un’operazione d’investimento a lunga scadenza che, di fatto, era molto simile all’acquisto di uno schiavo”. (Marino. Storia della mafia, Newton Compton),

8 SETTEMBRE E DINTORNI

Nei dintorni siciliani l’armistizio firmato dalle parti di Siracusa tra il governo Bado-glio e gli anglo-americani formalizzava ciò che nell’isola si era già consolidato: i nemi-ci tedeschi erano stati già cacciati, l’isola era stata “liberata” e la Resistenza al nazi-fascismo stava diventando un problema or-mai da Napoli in su.Se è vero questo, è anche vero, però, che in Sicilia si combatté una Resistenza durissi-ma contro gli antichi nemici latifondisti, contro quei fascisti locali e arrivati in mol-titudine dal nord, pronti ad ubbidire ad un altro Duce, in un contesto internazionale in cui gli USA mostravano di combattere “esplicitamente” il fascismo, ma che “se-gretamente” stabilivano contatti ed alleanze con i fascisti per debellare il comunismo.“Non erano solo la sconfitta di Hitler e di

Mussolini [ … ], ma l’avvio di una strate-gia di contenimento delle spinte popolari e progressiste che lasciavano temere un’in-controllabile penetrazione sovietica sotto la guida dei partiti di sinistra” ( G. Casarubea. Storia segreta della Sicilia, Bompiani)Ai padroni del latifondo, antichi nemici di classe delle masse contadine, gli USA for-nirono la formidabile macchina terroristica della mafia che si presentò nelle istituzioni e nella lupara.Ecco allora la Resistenza siciliana contro i fascisti e i mafiosi nelle lotte contadine per l’attuazione dei Decreti del Ministro del-l’Agricoltura, il comunista Fausto Gullo, per una più equa divisione del raccolto tra padrone del fondo e mezzadro e per la di-stribuzione ai contadini delle terre incolte o mal coltivate.Questa Resistenza andò oltre il 25 aprile 1945: in quel giorno si celebrò la Libera-zione “politica” dal nazifascismo, ma, in Sicilia, la Liberazione dalla miseria e dallo sfruttamento non era ancora stata conqui-stata a causa della feroce repressione degli agrari.Si scrisse una lunga lista di “incidenti”, (così furono definiti nelle carte dei servi se-greti) che causarono decine di vittime tra i contadini, tra sindacalisti e dirigenti sociali-sti e comunisti, fino a Portella della gine-stra, l’“incidente” che avrebbe dovuto pro-vocare una rivolta di massa giustificatrice di un intervento autoritario e definitivo di uno Stato per niente libero, né sovrano.

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”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò

il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia èil piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è

viva e la cronaca è morta, e aveva ragione. La cronaca vale un giorno, mentre la storia valeviva e la cronaca è morta, e aveva ragione. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale

sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento antisempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento antimafia: ma forse nonmafia: ma forse non

siamo d'accorsiamo d'accordo. La storia è un insieme di cronache di tante persodo. La storia è un insieme di cronache di tante persone comuni. E tutte le cosene comuni. E tutte le cose

diventano andiventano anch'esse storia, prima o poi. Comunch'esse storia, prima o poi. Comunque, ecco le storie che Elio Camilleri staque, ecco le storie che Elio Camilleri sta

facendo girare per l'internet. Antiche e attualisfacendo girare per l'internet. Antiche e attualissime, sicilianesime, siciliane

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Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

IL “LIBERATORE” PATTON

Il mio illustre omonimo Andrea Camilleri, per definire l’espressione “cosa fitusa”, si ricordò del generale George Patton che, alla testa delle sue truppe di “liberazione” ed alla vista di una sepoltura sul ciglio della strada, ordinò l’alt, scese dalla sua jeep, tirò via la croce, la fece a pezzi che lanciò lontano: il nemico tedesco gli faceva paura anche da morto! (cfr. Andrea Camilleri. Il gioco della mosca. Sellerio.)George Patton non sapeva nulla della Sici-lia e dei siciliani e per farsene un’idea non trovò di meglio che leggere il Corano dato che, in verità, siamo anche un po’ arabi, ol-tre che normanni, greci, bizantini, latini e, naturalmente, indigeni.In ogni caso, per lui, eravamo e restavamo gente che andava conquistata ed ammazza-ta senza indugio nel caso di una qualsiasi forma di resistenza o di ostilità.Non valeva la pena di civilizzare quella gente la cui vita domestica apparve “strana”:“cucinavano per strada e usavano i bidoni di olio lubrificante da cinque galloni delle truppe come utensili da cucina.Ma non era solo questo il loro difetto perché – scriveva il il generale Patton – “si siedono per strada e, quel che è più fastidioso, cantano a tutte le ore del giorno e della notte.Poiché sono dei grandi mangiatori di aglio, che viene venduto da vecchi recanti serti di aglio sulle spalle,il

loro canto all’aperto affligge non solo l’udito, ma anche l’odorato”." (G.S. Patton. jr. Patton generale d’acciaio. Rizzoli. 2002 in G. Casarrubea. Storia segreta della Sicilia, Bompiani)Da un personaggio del genere non c’era d’aspettarsi niente di buono perché già dai mesi precedenti lo sbarco in Sicilia aveva trasmesso ai suoi ufficiali l’ossessivo, terri-bile ordine di uccidere; un ordine che destò imbarazzo tra i soldati ed anche a livello politico.Sul piano storico produsse silenzio, censura ed un deficit di verità non più tollerabile che qualcuna delle mie “schegge” tenta di colmare: vedi la “scheggia” n. 1 Due stragi dimenticate e la n 29 Piano Stella.

ATTO DI NASCITA DELLA MAFIA

Il primo documento ufficiale in cui furono indicati i caratteri organizzativi, sociali, economici e culturali della mafia fu scritto da Pietro Ulloa, Procuratore Generale pres-so la Gran Corte Criminale di Trapani ed inviato, il 3 agosto 1838 al Ministro di Giu-stizia, Parisio.Malgrado l’offensiva antimafia abbia vinto tante battaglie, qualche altra battaglia resta ancora da vincere.“La venalità e la sommessione ai potenti ha lordato le toghe di uomini posti nei più alti uffici della magistratura.Non vi ha impiegato che non sia prostrato

al cenno ed al capriccio di un prepotente e che non abbia pensato al tempo stesso a trar profitto dal suo Uffizio.Questa generale corruzione ha fatto ricorre-re il popolo a rimedi oltremodo strani e pe-ricolosi.Vi ha in molti paesi delle Fratellanze, spe-cie di sette che dicono partiti, senza colore o scopo politico, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arci-prete.Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario, ora di di-fenderlo, ora di difendere un imputato, ora di incolpare un innocente.Sono tante specie di Governi nel Governo.Il popolo è venuto a tacita convenzione con i rei. Come accadono i furti escono i me-diatori ad offrire transazioni pel recupera-mento degli oggetti involati.Il numero di tali accordi è infinito. Molti possidenti hanno creduto meglio divenire oppressori che oppressi, e s’iscrivono nei partiti.Molti magistrati li coprono di un’egida impenetrabile.” (Calà Ulloa. Considerazioni sullo stato economico e politico della Sicilia. In E. Pontieri. Il trasformismo borbonico nella Sicilia del Settecento e Ottocento. Roma. 1945, pp 222-225) [email protected]

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Web Web I dieci annidi un sitoun po' speciale

Mi sembra ieri che siamo nati, dieci anni fa. Sono successe tante cose nuove, alcune stanno per succedere, e ci sentiamo fortuna-ti per aver capito che la strada che abbiamo seguito finora è stata quella giusta. Attac-cammo Mastella mentre era al potere, per il suo disinteresse sul caso Graziella Cam-pagna (e poi è finito male).

Abbiamo parlato degli inciuci dell’inceneritore di Acerra (e adesso sono sotto processo insieme a Bassolino le ditte che trafficavano nell’affare).

Abbiamo sostenuto un povero indio nell’isola della Maddalena perseguitato da un maresciallo (che poi è stato arrestato e tutt’ora è sotto processo per associazione a delinquere estorsione ecc ecc), abbiamo sostenuto il capitano Ultimo prima durante e dopo il processo (e poi è stato assolto con formula piena), perché non saliamo sul car-ro del vincitore a vittoria avvenuta, ma sia-mo al fianco di chi riteniamo viva una per-secuzione giudiziaria.

Abbiamo attaccato Samuele Landi e famiglia per aver mandato in rovina tutti i

lavoratori dell’ex-Eutelia (e ora è latitante e condannato per truffa). Abbiamo fatto la guerra ad autorevoli pennivendoli che per molte persone rappresentano una sorta di mediatori di Dio in terra , riuscendo a non cadere MAI.

Abbiamo sostenuto come potevamo, in-sieme al gruppo Capitano Ultimo, la rivista Casablanca di Graziella Proto, che per colpa di un malcelato disinteresse delle is-tituzioni e di boicottaggi da parte di amici degli amici degli amici di persone colpite nei coraggiosi servizi antimafia del giornale, rischiava di chiudere.

Ma abbiamo preferito, andando fuori moda, di rimanere al fianco di chi rischia la vita mentre è ancora vivo.

Abbiamo scelto di non stare a guardare. E adesso siamo al fianco di Enrico Taglia-ferro contro Massimo Ciancimino. Secondo voi come andrà a finire la telenovela?

Siamo stati al fianco di chi era attaccato e aveva tutti contro... e abbiamo vinto in-sieme.

Abbiamo attaccato chi abusava del prop-rio potere mentre era al pieno delle sue fun-zioni, e abbiamo vinto. Non siamo nessuno, ma siamo felici di aver fatto questo percor-so.

Perché, come diceva Falcone, il tempo è galantuomo e ci darà ragione.

Il motivo vero per cui siamo cresciuti, però, è che siamo tutti bellissimi e simpati-ci. E siamo anche un po' sfigatelli, perché festeggiare il compleanno insieme a berlus-coni non è stato proprio il massimo.

Antonella Serafiniwww.censurati.it

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Per molti anni Censurati (www.censurati.it), il sito dellaPer molti anni Censurati (www.censurati.it), il sito della giornalista Antonella Serafini, è stato l'ultima spiaggia digiornalista Antonella Serafini, è stato l'ultima spiaggia di chi aveva un sopruso da far conoscere, un'ingiustizia dachi aveva un sopruso da far conoscere, un'ingiustizia da denunciare. E lei non si è mai tirata indietrodenunciare. E lei non si è mai tirata indietro

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Ridi, ridi... Ridi, ridi...

La papamobile del futuroAlla fumetteria Altroquando in Corso Vittorio Emanuele 143 a

Palermo è stata inaugurata la mostra “La papamobile del futuro”.Comprende tavole inedite di molti disegnatori e illustratori

satirici da anni attivi nella scena editoriale italiana: da Vincino a Gianni Allegra, da Roberto Perini a Filippo Ricca, da Mauro Bi-ani a Bicio Fabbri, da Simon Frosini a Marco Pinna, da Massimo Gariano a Marco Tonus, da Manlio Truscia ad Alfonso Leto.

Sono tanti gli interrogativi in gioco: anche il mercato della papamobile attraverserà delle crisi? Come saranno le nuove papamobili? Ecologiche? A pedalata assistita dallo Spirito Santo? A idrogeno purché alimentate da acqua santa che rilascerà solo santo ossigeno? E gli stabilimenti abbandonati dalla Fiat po-trebbero essere riconvertiti in fabbrica di papamobili e car-

damobili? Si potranno pagare a rate? Un papa ha diritto alla Findomestic? Saranno antisismiche? Ci sarà spazio per dei bambini a bordo? Voleranno?

Le risposte sono state a dir poco sorprendenti. La papamobile si è dimostrata in grado di riflettere i cambiamenti e le ansie che at-traversano il potere del Vaticano e i suoi rapporti con una società sempre più laicamente devota.

La mostra, organizzata dal gruppo “Tutti pazzi per il Papa”, (at-tivo su facebook sotto la voce “La barca di Cammarata per il fest-ino”) e curata da Gianpiero Caldarella e Leonardo Vaccaro si in-serisce nell'ambito delle manifestazioni per la visita del Santo Padre a Palermo.

Info: 338.7034770, www.scomunicazione.it

|| 3 ottobre 2010 || pagina 19 || www.ucuntu.org ||

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IsoleIsole

“Al mio unicoamore”http://dajackdaniel.blogspot.com/

Mia cara Anna, sono certo che il piccolo Matteo non abbia nulla di serio: nei bambini è normale accusare, ai cambi di stagione, dei piccoli malanni. Il nostro caro amico, il Dr. Alberti ti ha già confortato: non c’è nulla da temere. E come si po-trebbe mai temere qualcosa con una Mamma premurosa e amorevole come te? Tesoro mio, maledico la lontananza, non perché nutra chissà quale preoccupazione per la salute di Matteo, ma per non poterti essere vicino a rincuorarti e rassicurarti. In-dovino, anche se nelle tue lettere non ne fai menzione, notti insonni accanto al lettino del nostro piccolo. Vedo, come se fossi lì, il tuo volto sussultare ad ogni suo colpo di tosse, ad ogni starnuto. Tesoro, già molte volte l’ho detto, ma lasciamelo ripetere ancora: sei la moglie migliore che mai potessi sognare. Non mi sbagliavo, quella sera di dieci anni fa quando, scorgendo il tuo volto nella moltitudine di ragazze presenti a quella festa, trovai il coraggio, vincendo la tua dolce timidezza e suscit-ando quel rossore sul tuo viso che mi fece

subito innamorare di te, di invitarti a pren-dere un gelato e poi di lasciarti il mio nu-mero di telefono. Tesoro, presto sarò lì con te e rideremo insieme di queste piccole pre-occupazioni.

Dolce Rebecca, i tuoi versi appena giunti mi hanno commosso come non mi capitava da tempo o, forse, non è mai capitato nella mia vita. Mi chiedo quale uomo possa definirsi fortunato se non io, destinatario modesto se non indegno della tua arte e, ciò che conta maggiormente, del tuo amore. La stima e l’ammirazione che provo per te ce-dono il passo solo alla gioia di saperti mia per sempre. Il mio cuore è tuo, dolce Rebecca. Non potrò mai ricambiare come vorrei la tua poesia con pari moneta ma, di certo, posso rassicurarti che il mio amore per te non teme, e non temerà mai, modestie e tentennamenti. Resto in trepida attesa del tuo nuovo poema a me dedicato del quale mi hai accennato nella tua ultima. Conto i giorni, mi dicesti che sarebbe pronto entro la settimana: mi sarà meno penoso trattenere il respiro che sopportare l’attesa. A presto, mia Cara, a prestissimo. Tuo per sempre.

Adorata Carmen, ripenso a ieri sera e mi chiedo come possa attendere ancora una settimana senza morire, senza impazzire. Rivivo il tuo profumo, i tuoi occhi che si socchiudono mentre le tue labbra si avvi-cinano alle mie, le tue mani che mi ac-carezzano, e le mie che ricercano affamate i preziosi tesori che mi riserbi; la passione sfrenata segue la tenerezza, come il tem-porale che, fragoroso, segue le prime goc-

cioline di pioggia. E, consumata la notte, l’arcobaleno del mattino, la luce e la serenità dei sentimenti dopo la tempesta de-gli abbracci. Ti amo, mia adorata. Morirò, sì, morirò! prima di mercoledì. Ma per quest’oggi, che io possa ancora pensare ai tuoi capelli e ai tuoi occhi…

* * *L’acqua gli lambiva i piedi. Era già il tra-

monto, la marea tornava ancora a salire e di lì a poco avrebbe cancellato i nuovi amori, nati quel giorno e narrati con uno stec-chetto sulla sabbia appena umida. Da quando era naufragato, vent’anni prima, su quell’isolotto sperduto nel Pacifico, unico superstite di una bagnarola al suo ultimo viaggio, aveva via via esaurito la carta, e le penne e anche le bottiglie.

Rimaneva lo stecchetto, e la sabbia, un’immensa lavagna che, al ritmo delle onde, ogni sera dimenticava, e ogni mattina immaginava.

Jack Daniel

|| 3 ottobre 2010 || pagina 20 || www.ucuntu.org ||