ucuntu n.122

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131111 www.ucuntu.org – [email protected] Non saranno i cittadini italiani a decidere il dopo-Berlusconi: invece delle elezioni, un gruppo di super-tecnici deciderà che cosa è bene e che cosa è male per il popolo italiano. Questo si chiama “salvare l'Italia” e comprende Marchionne e la Gelmini nelle loro scelte essenziali. Berlusconi era democrazia? E il dopo-Berlusconi lo sarà? E E ”Siamo tutti Telejato”: a Roma per le libere tv ”Siamo tutti Telejato”: a Roma per le libere tv e e Finocchiaro / "Io so". Ma stavolta ho la foto || 13 novembre 2011 || anno IV n.122 || www.ucuntu.org || SOCIETA' CIVILE A Catania ha appena vin- to due importanti batta- glie istituzionali: quella per la credibilità della Procura e quella per i re- ferendum comunali. Ha vinto praticamente da sola, dimostrandosi mol- to più forte (e responsa- bile) di molti partiti. Vorrà dire qualcosa? L'Italia s'è desta E se si svegliano anche i precari?

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il numero del 13 novembre 2011

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131111 www.ucuntu.org – [email protected]

Non saranno i cittadini italiani a decidere il dopo-Berlusconi: invece delle elezioni, un gruppo di super-tecnici deciderà che cosa è bene e che cosa è male per il popolo italiano. Questo si chiama “salvare l'Italia” e comprende Marchionne e la Gelmini nelle loro scelte essenziali. Berlusconi era democrazia? E il dopo-Berlusconi lo sarà?

E E ”Siamo tutti Telejato”: a Roma per le libere tv”Siamo tutti Telejato”: a Roma per le libere tv ee Finocchiaro / "Io so". Ma stavolta ho la foto

|| 13 novembre 2011 || anno IV n.122 || www.ucuntu.org ||

SOCIETA' CIVILEA Catania ha appena vin-to due importanti batta-glie istituzionali: quella per la credibilità della Procura e quella per i re-ferendum comunali.Ha vinto praticamente da sola, dimostrandosi mol-to più forte (e responsa-bile) di molti partiti.Vorrà dire qualcosa?

L'Italias'è desta

E se si sveglianoanche i precari?

Società civile Società civile

Le formichine lavoranoe portano a casa i risultati

Intervista a Mirko Viola del “Comitato Noi Decidiamo” Intervista a Mirko Viola del “Comitato Noi Decidiamo”

- Nel 1995 il Consiglio Comunale di Ca-tania sancì lo Statuto Comunale, ma solo il 26 ottobre 2010 è stato approvato il re-golamento attuativo, grazie al “Comitato Noi Decidiamo” di cui fai parte. Quali vantaggi avranno i cittadini e le cittadine di Catania con questo atto tanto atteso?“Non rimarranno più inascoltati. I nostri concittadini potranno finalmente fare senti-re in modo forte e chiaro la loro voce, le loro richieste, le loro proposte. Avranno, anzi, hanno la possibilità di far pesare la loro opinione nella risoluzione dei problemi della città e di contribuire alle decisioni che li riguardano”.- Nel titolo IV dello Statuto si parla di diritti esercitabili da cittadine e cittadini, quali sono e quale riscontro concreto vanno a vantaggio della cittadinanza?“Il titolo IV dello Statuto comunale con-tiene la risposta al problema sempre più av-vertito da tutti: la mancanza di un’attiva e cosciente partecipazione del cittadino.Il nostro Statuto è stato uno dei primi in Italia ad avere previsto al suo interno una gamma molto ampia e diversificata di stru-menti attraverso i quali tutti i cittadini pos-sono partecipare attivamente alla vita della città. Si va dal diritto di udienza (secondo il quale tutti i cittadini hanno il diritto di essere ricevuti dagli amministratori e dagli uffici comunali ed a tal fine il Sindaco, gli assessori ed i dirigenti degli uffici sono tenuti a fissare ed a rendere pubblici i giorni e gli orari riservati al ricevimento del pubblico) al diritto di petizione (secondo cui cinquecento cittadini possono presentare una petizione al consiglio comunale per sollecitarne l’intervento in questioni d’interesse generale; tali petizioni devono essere esaminate in apposita seduta consiliare, da tenersi almeno ogni tre mesi; e qualora il consiglio comunale non ritenga di aderire all’indicazione contenuta nella petizione, la deliberazione conclusiva dell’esame deve essere espressamente motivata ed adeguatamente pubblicizzata), fino ad arrivare al più incisivo dei diritti che abbiamo: il diritto di referendum (il Comune ammette referendum abrogativi, consultivi e propositivi in ordine a

questioni d’interesse generale e relativamente alle materie di sua esclusiva competenza; il referendum abrogativo è indetto su richiesta di tre consigli di circoscrizione o del tre per cento dei cittadini iscritti nelle liste elettorali per l’elezione del consiglio comunale. Il risultato del referendum vincola l’amministrazione)”.- Oltre alla facoltà dei cittadini e cittadine ad esercitare tali diritti quali funzioni hanno nell’espletare questi diritti le associazioni di volontariato?“Il nostro Statuto consente l’esercizio di questi diritti non soltanto ai singoli cittadi-ni, ma anche alle associazioni. Per fare qualche esempio: 3 associazioni possono presentare una petizione al Consiglio co-munale per sollecitarne l'intervento su que-stioni di interesse generale, senza passare dalla raccolta di 500 firme; 5 associazioni hanno il diritto di proporre uno schema di deliberazione consiliare, evitando di raccogliere le 1000 firme richieste per l'e-sercizio del medesimo diritto da parte dei singoli cittadini”.- L’esercizio del diritto di referendum propositivo/consultivo/abrogativo, oltre al grande valore della partecipazione di-retta e democratica dei cittadini, può realmente cambiare in concretezza quel-le cose che non danno nessun vantag-gio alla città?“Il diritto di referendum è certamente lo ‘strumento di partecipazione’ più interes-sante poiché, rispetto agli altri, obbliga l’Amministrazione a dare corso alla volontà popolare emersa dalla consultazione refe-rendaria. Ed è questo principalmente il mo-tivo per il quale non tutte le materie di competenza comunale possono essere sot-toposte a referendum propositivo, consulti-vo o abrogativo. Le materie escluse sono: i provvedimenti nelle materie relative ad ele-zioni, nomine, designazioni, revoche, deca-denze ed alla disciplina giuridica del perso-nale; i provvedimenti relativi a tributi ed espropriazioni per pubblica utilità; i regola-menti interni; il bilancio preventivo ed il conto consuntivo; gli atti di mera esecuzio-ne di norme statali o regionali; gli atti ine-

renti la tutela di minoranze etniche o reli-giose; i quesiti che hanno formato oggetto di consultazione referendaria nel preceden-te triennio; ogni altro atto o provvedimento sottratto alla disponibilità per legge o per sua natura.Fatta eccezione per quelli rientranti nelle suddette materie, tutti i provvedimenti posti in essere dagli organi politici dell’Ammini-strazione cittadina (Giunta e Consiglio co-munale) possono essere messi in discussio-ne qualora il 3% dei cittadini iscritti nelle liste per l’elezione del Consiglio comunale decida di esercitare il diritto di referendum”.

Giovanni CarusoI Cordai

|| 13 novembre 2011 || pagina 02 || www.ucuntu.org ||

CHI VINCERA?FORMICHINEE GATTOPARDI

Una piccola storia esemplare: a Catania, una delle città peggio amministrate d'Italia, quattro anni fa un gruppo di giovani decide di sfruttare uno spiraglio legislativo per ot-tenere il diritto al referendum comunale, uno strumento notevole in mano ai cit-tadini. Lavoro lungo e minuto, portato av-anti con pazienza e serietà da un gruppo di assiciazioni e, al loro interno, di giovani “politici” emergenti. Che ovviamente non sanno d'esser tali: non hanno nulla a che vedere col Palazzo, né appartengono alla casta dei vari, giovani e vecchi, notabili locali.Eppure politici sono, e molto di più e più seriamente di quelli “ufficiali”. Lavorano per la “polis”, dimostrano competenza, non hanno ambizioni meschine, non ci guadag-nano niente.Pensate a tutta una classe di “politici” così, giovani, disinteressati, appoggiati dai mo-vimenti civili e dal giornalismo di base.Ce la farebbero a cambiare Catania? Noi pensiamo di sì. Sarebbero un esempio da seguire anche altrove? Noi pensiamo di sì.Intanto, nei corridoi del Palazzo, altri “giovani” si preparano (dei nomi? Pogliese e Berretta, destra e “sinistra”, uniti con la benedizione di Ciancio) a “rinnovare” tutto per non cambiare niente. Vediamo come andrà a finire, se vinceranno le formichine o i gattopardi. R.O.

Politica Politica

Un modellovincente

Zitta zitta, la società civile segna punti a Catania...Zitta zitta, la società civile segna punti a Catania...

(Angelino Alfano: "La mafiauccide d'estate". A Catania?)

Mi sarebbe piaciuto scrivere un bell'arti-colo di politica, sul governo di prima e su quello che verrà. Ma non posso farlo per-ché non sono più autorizzato. Sono infatti un cittadino, o meglio un consumatore, ita-liano ed è stato appena deciso che di fac-cende del genere non debbono occuparsi più i cittadini (troppo ignoranti e emotivi per occuparsene) ma degli esperti bravissi-mi, molto molto più bravi di me e di voi. Saranno loro a decidere per tutti.

Questo è già successo diverse volte nella storia. In Grecia, quando è finita la polis, a Roma, quando è arrivato Cesare, nel me-dioevo in Italia, quando dopo i Comuni sono arrivate le Signorie.

Non è che la gente fosse contraria, in questi casi. Troppa chiacchiera, troppi disordini, troppo poca abitudine - poco a poco - a uscir di casa. Meglio un governo tranquillo, un sovrano benevolo, che pensa per tutti.

Sta succedendo in Italia, e non so se è bene o male. Certo, dopo tutto quel Berlu-sconi qualcosa bisognava fare. E chi dice che gli abitanti italiani, dopo aver creato un Berlusconi, non ne creassero prima o poi qualche altro? Europa e Germania non si sono fidate. E noi, lavorando poco (preca-rio non è lavorare) dipendiamo da loro.

* * *Può darsi che vada bene così. Certo, non

è democrazia. Ma chi la vuole davvero? Il veneti? I commercialisti? I banchieri? I boss mafiosi? I calabresi, Catania? Gl'im-prenditori del Ponte, quelli dell'Expo, la Borsa? Nessuno di questi soggetti, che or-mai sono il baricentro della Nazione, ha mai avuto molto a che fare con la democra-zia. Ovvio che si sia sfaldata così, nell'in-differenza generale, senza problemi.

E nemmeno l'Europa, così com'è, ha mol-

to a che fare con la democrazia. E' sorta at-torno all'euro, e come primo passo andava bene. Ma è stato pure l'ultimo, purtroppo.

L'Europa, la nostra Europa, si suicidò traumaticamente nel '14, cent'anni fa. Sta-volta si sta suicidando piano, per avarizia e noia. Senza popolo, senza stato, con tante banche ma neanche una su maestra di scuo-la o un giardiniere.

* * *La crisi, come tutte le crisi, si può risol-

vere. Ma c'è bisogno di della politica per farlo, per fare le svolte drastiche (in termini di sistema) che ogni crisi richiede. Ma qui di politica non ce n'è più.

Non c'è una politica di destra contrappo-sta a una di sinistra, o più moderata. C'è semplicemente il rifiuto della politica, la sua abolizione in quanto pericolosa per le idee che, en passant, potrebbe mettere in testa ai consumatori. Niente referendum in Grecia, niente elezioni qui da noi.

Le elezioni, in Italia, sarebbero state vin-te con largo margine non dal “centrosini-stra” ma (di fatto) da una vera e propria si-nistra, ancorché moderata, quella di Bersa-ni e soci.

Avrebbe un tale governo trovato il corag-gio di resistere ai precari, di imporre ai sa-crificati altri sacrifici, di lasciar mano libera per altri diciassette anni agli imprenditori? Nel dubbio, meglio non correre il rischio e non far votare.

* * *E noi? In che cosa si traduce, qui e ora, il

“pensa globalmente, agisci localmente”? Abbiamo due esempi interessanti, qua a Catania. Il primo, quello della mobilitazio-ne della società civile sul tema importantis-simo, e prettamente istituzionale, di una credibile Procura; e abbiamo vinto.

Il secondo, quello della campagna – sem-pre delle associazioni della società civile - per l'istituzione dei referendum comunali; e anche qui abbiamo vinto. In entrambi i

casi, senza spaccare vetrine, senza alzare la voce, con una larga componente “moderata” (specie nel secondo caso) ma con una carica alternativa e democratica assolutamente evidenti. E - lo ripetiamo per la terza volta - vincenti. E' un modello.

E' il nostro modello politico, non di parti-to o ideologico ma civile. E' quello cui noi ci affidiamo perché sia salvato - ma vera-mente - il Paese.

Esso ha una ricaduta giornalistica, di giornalismo rigorosissimo ma impegnato. Anche qui il caso Catania fa da testo: da una parte polemica serrata ma civile, senza urlare; dall'altra mobilitazione dei media di destra, e anche di sedicente “sinistra” , senza remore né di verità né di stile: qual-cuno è arrivato a nascondere ai lettori l'esi-stenza stessa della sconfitta di Gennaro, abolendone semplicemente il nome. E han-no vinto i civili.

Andiamo avanti così, con le forze di base, senza aspettarci regali (qualcuno a Catania si è lamentato che il grande Santo-ro qui si sia appoggiato, per la sua tv, al lo-sco Ciancio...) perché chi può fare regali di solito ha anche i suoi interessi. Con calma, con convinzione, senza mai entusiasmarci ma senza mai rallentare. Il lavoro ben fatto alla fine vince. Specie quando ha alle spalle un nome come i Siciliani.

* * *Sarebbe bello pensare che - nel 2014, per

esempio: cent'anni dopo – i popoli potreb-bero risvegliarsi, abbattere il muro di Bru-xelles come già quello di Berlino. Un'Euro-pa democratica! Un'Italia europea! Una Si-cilia italiana! Una Catania senza cavalieri! Ci pensate?

Sembra impossibile, certo. Ma anche l'Urss di Breznev sembrava eterna. La no-stra nomenklatura farà la stessa fine entro pochi anni. Riccardo Orioles

|| 13 novembre 2011 || pagina 03 || www.ucuntu.org ||Ucuntu.org/ supplemento telematico a “i Cordai”/ Dir.respons. Riccardo Orioles/ Reg. Trib. Catania 6/10/2006 nº26/ Progetto grafico: Luca Salici e R.Orioles da un'idea di Piergiorgio Maoloni

Giornalismo Giornalismo

“Io so”,ma stavoltaho la foto

“Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi." Scrive ancora Pasolini nei suoi “Scritti corsari”. E’ il tormento del-l’intellettuale di fronte ad una verità nota a tutti ma “impronunciabile”. In questi tren-tasei anni provo molte volte quel tormento. Tante, troppe volte, non scrivo. Pur sapen-do. In trentasei anni ne accadono di cose. Alcune proprio in quei giorni.

Novembre 1975. A Roma per un conve-gno sui movimenti di Solidarietà della chie-sa cattolica. Diciottenne. Conosco un gio-vane prete. Da nove anni ha come parroc-chia la strada. Quel giovane sacerdote con-forta i suoi parrocchiani là dove finiscono più di frequente, le carceri. Don Luigi con quel sorriso aperto, mi parla del gruppo Abele e degli sforzi per salvare tanti ragaz-zi dal flagello della droga. Giovane e inso-lente, scuoto la testa. Dico a quel parroco dei marciapiedi di Torino: “Sino a quando i traffici internazionali restano sotto control-lo di Cosa Nostra. Sin quando la mafia de-cide chi e come spaccia a Catania come a Torino… non si risolve il problema”.

Anni dopo nasce Libera. Con Libera, l’antimafia sociale ottiene udienza sui me-dia e nei Palazzi. Grazie a don Luigi, pos-siamo distinguere l’antimafia politica dal-

l’antimafia sociale.La politica travisa, omette, mente pur di

sopravvivere a se stessa. La Società Civile no. Vive solo di verità. Al di fuori della ve-rità, semplicemente, non esiste.

“Io so. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore…” scrive ancora Pasolini. Pri-ma che lo uccidano.

Adesso, sappiamo, al di là di ogni ragio-nevole dubbio: sul luogo del delitto, oltre al poeta e al suo presunto carnefice, l’allora minorenne Pino Pelosi, c’è un terzo uomo. I carabinieri del Ris hanno isolato il suo dna. Qualcuno rispolvera le dichiarazioni di Pelosi, unico condannato in via definitiva per l’assassinio del narratore, sulla presen-za dei veri autori dell’omicidio. Sul loro ac-cento siciliano o calabrese. Su quell’auto targata CT.

Forse. Forse, tocca alla procura diretta da Gianni Salvi offrire un contributo impor-tante all’identificazione dei veri assassini della migliore e più trasgressiva penna ita-liana della seconda metà del secolo breve.

Negli ultimi trentasei anni le nomine al palazzo di Giustizia di Catania si decidono nelle fumose sacrestie dei palazzi del pote-re. Inclusi quelli dell’informazione. Anni ’70. Muovo i primi passi nel giornalismo.

Incontro Salvatore Nicolosi, capocronista del quotidiano La Sicilia. “Se domani non pubblico questa notizia. Semplicemente, a Catania, questo fatto non sarà mai accaduto. Se ne faccia una ragione”.

Be’. No. Non me ne sono mai fatto una ragione. Con me moltissimi altri. Così, a trentasei anni dall’incontro tra un prete di strada e un aspirante cronista, le cose cam-biano.

Il 4 gennaio 2011, dopo giorni e giorni di tormento intellettuale, decido di rendere pubblica sul mio blog e nel corso delle ce-lebrazioni per l’anniversario dell’omicidio del direttore dei Siciliani, Pippo Fava, una foto che ritrae il candidato favorito alla no-mina di procuratore nella città dove è morto Fava, in compagnia di un imprenditore al servizio della cosca Laudani “mussi i ficu-rinia”, poi ucciso dai vertici dello stesso so-dalizio mafioso.

Siedono a un rinfresco a casa di un socio (ombra) dell’imprenditore “grigio”. La loro società ha costruito la villa di San Giovanni La Punta dove vive l’aspirante capo della Procura etnea.

Perché la pubblico? “Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio me-stiere”, potrei scrivere citando Pasolini.

|| 13 novembre 2011 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||

“Io so”. Scrive Pier Paolo Pasolini prima che lo uccidano all’Idroscalo di “Io so”. Scrive Pier Paolo Pasolini prima che lo uccidano all’Idroscalo di Ostia. E’ il 2 novembre del 1975, mi trovo a Roma. Trentasei anni: il filoOstia. E’ il 2 novembre del 1975, mi trovo a Roma. Trentasei anni: il filo rosso di una storia personale si riannoda con il 2 novembre 2011. Arosso di una storia personale si riannoda con il 2 novembre 2011. A Roma, il Csm, nomina procuratore presso il tribunale di Catania, GianniRoma, il Csm, nomina procuratore presso il tribunale di Catania, Gianni Salvi. Per la prima volta da molto più di trentasei anni la scelta cade su unSalvi. Per la prima volta da molto più di trentasei anni la scelta cade su un procuratore estraneo agli equilibri di potere della città etneaprocuratore estraneo agli equilibri di potere della città etnea

Giornalismo Giornalismo

No, sono certo che la foto (notizia) è vera. E’ rilevante ai fini dell’opinione pub-blica. Non esprimo un giudizio.

Non esprimo un commento. Almeno sino ad oggi. L’unico commento che sento di esprimere, lo rubo. Lo rubo ad una confe-renza organizzata negli anni ’90 dal movi-mento di Cittainsieme. C’era un pm, ex pretore d’assalto. Ricordo che disse, parola più parola meno, “la sanzione sociale deve anticipare l’azione penale”. Bene.

Perché quella foto andava pubblicata? “E' chiaro che la verità urgeva”. Suggerisce Pa-solini. Già, ma perché una foto inviata in centinaia di copie ad autorità, testate e gior-nalisti locali, appare sul blog di un cronista tv catanese domiciliato nella Capitale?

Ancora Pasolini: “A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col pote-re, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale”.

La verità disturba i Palazzi, gli appalti, le mani sulla città. In particolare, quel bel pezzo di città da ricostruire in Corso Marti-ri della Libertà. L’affare del secolo greve.

Ciò non ferma gli attivisti della società civile catanese. Se ne parla il 5 gennaio a

Cittainsieme. Con don Salvatore Resca sono tutti d’accordo. Catania merita di più che un sostituto procuratore a colazione con l’imprenditore dei “mussi”. Catania merita di più dell’ex procuratore di Calta-nissetta che sbaglia tutto nelle indagini sul-la strage di via D’Amelio.

L’Antimafia sociale ha le idee chiare. Dice e scrive basta agli equilibrismi corren-tizi. Basta alle intese surrettizie nel tentati-vo - sino al 4 gennaio 2011, ben riuscito - di collocare in piazza Verga vertici graditi a Palazzi e Palazzinari.

Conoscono la solitudine intellettuale e materiale. Non li spaventa. Non sono soli in questa battaglia di verità. Agli assordanti si-lenzi di chi non prende posizione subito dopo quel 4 gennaio 2011, fanno da con-traltare l’indignazione mai più rassegnata di molti movimenti di Società civile. Scrivono note di fuoco, si danno convegno, celebra-no sit in sul sagrato del palazzo di giustizia.

Tra tutti si staglia la figura epica di Titta Scidà, giudice integerrimo, implacabile ac-cusatore del patto scellerato che ruba il fu-turo ai suoi giovani. La determinazione di Riccardo Orioles trasforma la rabbia in pa-role: rifacciamo i Siciliani con Scidà, Ca-selli e Dalla Chiesa a far da garanti. La Cit-

tà deve tanto a questi Siciliani.Non dimentichiamo Roberto Morrione.

Spezzato ma non piegato dalla malattia sin nei suoi ultimi giorni, Roberto pubblica su Liberainformazione il resoconto sull’evento del 4 gennaio a Palazzolo Acreide, città na-tale di Pippo Fava. Morrione sdogana la vi-cenda dal localismo, la rende di dominio nazionale, legittima l’intervento di Giusep-pe Giustolisi sul Fatto Quotidiano e il servi-zio tv di cronaca sul TG di Rai News di cui era stato direttore. Libertà da cronisti gua-dagnata sul campo grazie al via libera di quel vecchio capocronista di Roberto.

Incontro tanti aspiranti rivoluzionari. In piazza, in aula, per strada. Molti, sono gior-nalisti. Rivoluzionano le coscienze. Sanno che la notizia esiste sul web a dispetto del quotidiano potente o del canale nazionale televisivo che l’ignora per non urtare Palaz-zi e Palazzinari, ormai traballanti. Puntano tutto su metodo, rigore, verità. Sanno che un uomo fa la differenza. Il buon giornali-smo vince. Ribalta coscienze, governi, ve-scovi e vescovadi. “Questo sarebbe in defi-nitiva il vero Colpo di Stato”.

Pasolini, trentasei anni dopo. Ricomin-ciamo da qui.

Pino Finocchiaro

|| 13 novembre 2011 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||

Sicilia Sicilia

La Russa, Lombardoe il MUOStro di Niscemi

Una gara a chi la spara più grossaUna gara a chi la spara più grossa

Testa a testa tra il ministro della Difesa (uscente), Ignazio la Russa, e il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombar-do, a chi la spara più grossa sul MUOS, il nuovo sistema di telecomunicazioni satelli-tari che le forze armate degli Stati Uniti d’America stanno per installare a Niscemi (Caltanissetta).

Per il primo si tratta di un sistema che emette microonde del tutto innocue per l’uomo e per l’ambiente. Il secondo giura che le potentissime antenne mitigheranno miracolosamente l’impatto elettromagneti-co generato dalla stazione di trasmissione che l’US Navy possiede all’interno della Riserva naturale orientata “Sughereta” del comune siciliano.

Su una cosa però concordano perfetta-mente: questo MUOS s'ha da fare con o senza il consenso popolare, perché allo zio Sam non si può dire “no”, anche quando benefici e guadagni restano a Washington e per la Sicilia ci sono solo i danni e poi le beffe.

A Vicenza, Aviano, Napoli e Sigonella con i militari USA arrivano sempre un bel po’ di dollari da investire in infrastrutture e alloggi e qualche briciola finisce pure a co-struttori e faccendieri locali. Per il MUOS, un progetto che arriverà a costare oltre 6 miliardi di dollari, nulla da fare. L’asso pi-gliatutto lo fa Lockheed Martin, corpora-tion USA.

Per Niscemi, una delle quattro sedi pla-netarie per i terminali del sistema satellitar-e, non ci sarà neanche qualche spicciolo per le opere complementari o compensative an-che perché, assicurano La Russa e Lombardo, non c’è nulla da compensare.

Salvo, i due, incontrarsi segretamente a Roma l’1 giugno 2011 per firmare un “pro-tocollo d’intesa” con cui ministero e gover-no siciliano “definiscono termini, modalità e impegni volti a garantire che l’installazio-ne delle antenne del MUOS avvenga nel ri-spetto irrinunciabile della salvaguardia del-

la salute della popolazione, della sicurezza dell’area, della tutela dell’ambiente, della conversazione della biocenesi e della fruizione e della valorizzazione della Riser-va Naturale di Niscemi”.

Sembra il gioco delle parti. Lombardo s’impegna a “concludere positivamente” l’iter di approvazione dei lavori per il MUOS (con inusuale e sorprendente velo-cità lo fa lo stesso giorno della firma del protocollo grazie ad un’autorizzazione del dirigente generale dell’assessorato regiona-le al territorio e ambiente, Giovanni Arno-ne); il ministro La Russa, promette in cam-bio di adottare le “necessarie misure di mi-tigazione, a breve termine, dell’esposizione ai campi elettromagnetici generati dagli ap-parati di trasmissione già esistenti”.

In che modo? Installando “entro 3 mesi” a Niscemi un sistema interrato a fibre otti-che che “ridurrà le emissioni a radiofre-quenza”. Peccato che una linea a fibre otti-che era stata installata un paio d’anni fa da Telecom, con autorizzazione del Comune di Niscemi e della provincia di Caltanissetta.

Certo non aveva contribuito a ridurre i li-velli d’inquinamento elettromagnetico al-l’interno della zona protetta e nelle aree abitate confinanti con la base militare. Sta-volta però c’è un piano B di mitigazione, nel medio e lungo termine, “ricorrendo, ove possibile, alla eliminazione degli apparati trasmittenti esistenti non più necessari e/o privilegiando tecnologie di trasmissione al-ternative ed innovative e tali da ridurre i consumi energetici e le emissioni”.

Una vocazione verde-ambientalista quel-la del ministro della Difesa che si scontra però con il dettato dei trattati bilaterali Ita-lia-USA sulle installazioni militari.

La stazione di telecomunicazioni dell’US Navy di Niscemi, nonostante per La Russa ospiti “numerosi impianti con lo scopo di fornire un servizio a supporto delle attività militari NATO in Europa e nel Mediterra-neo”, è un’infrastruttura ad uso esclusivo

delle forze armate statunitensi, su cui non c’è modo di esercitare la sovranità e alcun controllo da parte delle autorità nazionali.

È scritto nero su bianco nell’Accordo tec-nico tra il Ministero della Difesa italiano e il Dipartimento della difesa degli Stati Uni-ti d’America riguardante le installazioni in uso alle forze USA di Sigonella, firmato a Roma il 6 aprile del 2006 dall’ammiraglio N. G. Preston, comandante US Navy per la regione europea e dal generale Mario Ma-rioli dell’esercito italiano.

L’“uso esclusivo” ricade su un’area di 1.660.000 metri quadri e, come si legge nell’accordo, “significa l’utilizzazione del-l’infrastruttura da parte della forza armata di una singola Nazione, per la realizzazione di attività relative alla missione e/o a com-piti assegnati a detta forza dallo Stato che l’ha inviata”.

A esplicitare ulteriormente la piena so-vranità di Washington, la tabella annessa al-l’accordo con le facility di “proprietà ed uso esclusivo” USA a Niscemi: “il sito di trasmissione e l’antenna a microonde; l’He-lix House e l’antenna a bassa frequenza LF; un magazzino di stoccaggio; un edificio per la protezione antincendio; un serbatoio d’acqua; un’officina di manutenzione elet-tronica; 37 antenne ad alta frequenza HF”. Proprio quei trasmettitori che La Russa dice di voler smantellare.

Fortunatamente il ministro prometta ben più colorati e realistici interventi di “miti-gazione”. Come ad esempio la mimetizza-zione delle nuove installazioni del MUOS (tre grandi antenne circolari di 18,4 metri di diametro e due torri radio di 149 metri d’al-tezza), mediante “una opportuna verniciatu-ra delle superfici e l’impianto di alberi” o la fornitura della strumentazione necessaria ad effettuare il “monitoraggio continuo” dei campi elettromagnetici, da integrare nella rete regionale dell’ARPA Sicilia che ne “curerà la gestione e l’elaborazione dei dati”.

|| 13 novembre 2011 || pagina 06 || www.ucuntu.org ||

Sicilia Sicilia

Il generoso La Russa s’impegna pure ad attrezzare l’area naturalistica della Sughe-reta, “entro sei mesi dall’inizio dei lavori del MUOS”, con una “infrastruttura eco-compatibile per il controllo, la gestione ed accoglienza della Riserva, adeguata a sup-portare l’attività di unità ippomontate e di sistemi per la vivibilità del parco”.

In concorso con la Presidenza del consi-glio dei ministri (quella di Berlusconi, di-missionario), la Difesa supporterà le azioni per la “promozione del prodotto agro-ali-mentare dell’area di Niscemi sul territorio nazionale ed internazionale” (forse è pronta l’etichettatura per il carciofo con le stellette dop o, per lo status giuridico USA dell’a-rea, a stelle e strisce).

Onde sigillare l’americanizzazione del comprensorio niscemese, vengono promes-si “rapporti diretti di collaborazione, anche attraverso specifici gemellaggi, con gli Enti gestori di uno o più parchi naturali degli Stati Uniti d’America”; scambi culturali “continui” tra i giovani locali e i coetanei fruitori delle aree protette degli States; l’i-stituzione di summer schools con centri d’eccellenza americani e borse di studio e di ricerca all’estero; l’“attrazione” di esper-ti USA per “supportare il territorio nella fase di avvio della gestione innovativa del Parco della Sughereta, anche attraverso specifiche azioni innovative”.

Dulcis in fundo l’immancabile bufala dell’occupazione per tutti: con il protocollo con la Regione siciliana, La Russa impegna il dicastero a promuove “ogni iniziativa di-plomatica necessaria a favorire l’inserimen-to lavorativo della popolazione locale nel personale amministrativo in carico presso al base USA di Sigonella nel caso di nuove assunzioni”. Solo che nella stazione aero-navale siciliana si susseguono i licenzia-menti dei dipendenti italiani, prontamente sostituiti da personale e contractor statuni-tensi. Ma forse questo La Russa non lo sa.

Null’altro per una popolazione che subirà uno dei più costosi e devastanti processi di riarmo e militarizzazione delle forze armate USA. Nemmeno lo sforzo a rivedere il pia-no sanitario della Regione Siciliana che ha imposto la chiusura del punto nascite del-l’ospedale di Niscemi, costringendo le don-ne in gravidanza a faticosi pellegrinaggi per

la provincia di Caltanissetta e di Catania. O a sbloccare i fondi FAS per realizzare le strade provinciali dissestate.

Queste erano due “compensazioni” che il presidente Lombardo aveva timidamente prospettato agli amministratori locali in cambio di una loro disponibilità ad acco-gliere senza troppi indugi il nuovo MUO-Stro di Niscemi.

La Regione non farà comunque mancare il suo apporto alla grande sagra del nulla: bilancio permettendo, potrebbero essere ef-fettuate campagne di monitoraggio delle emissioni elettromagnetiche “con cadenze almeno quadrimestrale, mediante mezzi mobili di ultima generazione allestite per misure georiferite” o indagini di natura epi-demiologica e in “tema di emissioni tossi-che” nell'area Gela-Niscemi. Forse perfino l’invio della polizia forestale a cavallo presso l’area naturalistica della Sughereta.

“In considerazione della riduzione del numero di impianti trasmittenti conseguenti all’attivazione del sistema MUOS è ragio-nevole attendersi una riduzione degli attuali valori di campo elettromagnetico di fondo nelle aree circostanti la stazione NRTF”, annuncia trionfale il protocollo d’intesa Lombardo – La Russa.

Come si faccia a dirlo è un mistero, con-siderato che in nessun documento ufficiale delle Marina militare USA si afferma che l’installazione del nuovo sistema satellitare comporterà tagli alle emissioni delle anten-ne a bassa ed alta frequenza della stazione di Niscemi. C’è invece da supporre che il MUOS si sommerà agli impianti esistenti. Nel bilancio di previsione per il 2012 del Dipartimento della difesa è previsto un fi-nanziamento di 280.000 dollari (NCTS Si-cily Microwave), per “progettare, realizza-re, installare e testare le componenti elettro-niche necessarie all’interconnessione con le principali installazioni di NAS Sigonella, in modo di assicurare circuiti affidabili a sup-porto VLF, HF, MUOS e di altre missioni tattiche strategiche operate da NCTS Sici-ly”.

Ministro della difesa e presidente della regione confidano nella bontà del MUOS forti del parere “scientifico” di due esperti

della facoltà d’Ingegneria dell’Università degli Studi di Palermo. Secondo loro “il si-stema presenta, nelle aree antropizzate, va-lori di scambio elettromagnetico di gran lunga inferiori a quelli generati dal sistema di comunicazioni attualmente esistente”. Per gli ingegneri, il MUOS sarebbe quindi “migliorativo sia dal punto di vista di pro-getto elettronico sia in termini di valore di campo elettromagnetico cui può essere sot-toposta la popolazione e non comporta con-dizioni di rischio per la salute dell’uomo”.

Conclusioni respinte dal professore Mas-simo Zucchetti, ordinario di Impianti nu-cleari del Politecnico di Torino e dal dotto-re Massimo Coraddu, consulente esterno del dipartimento di Energetica del Politec-nico. In una recentissima “analisi dei rischi” del sistema satellitare USA, i due studiosi rilevano che con la realizzazione delle nuove antenne “si verificherà un in-cremento medio dell’intensità del campo in prossimità delle abitazioni più vicine pari a qualche volt per metro rispetto al livello esistente, con la possibilità del verificarsi di punti caldi, con un incremento del campo nettamente superiore”.

Con il rapporto del Politecnico, a disposi-zione dell’amministrazione comunale di Niscemi, si spera di ribaltare la sentenza del Tar di Palermo che, un mese fa, ha le-gittimato la Marina degli Stati Uniti a con-tinuare i lavori d’installazione del terminale terrestre.

“Siamo venuti a conoscenza del protocol-lo d’intesa tra la regione e il ministero della Difesa molto tempo dopo la sua firma”, commenta il sindaco del centro siciliano, Giovanni Di Martino. “Nessuno ha sentito il dovere di consultare preventivamente questa amministrazione. Abbiamo scelto di non entrare in merito sui contenuti dell’ac-cordo, almeno fino a quando non si conclu-derà l’iter dei lavori alla stazione militare che vedono l’opposizione nostra e quella dei cittadini”. I No MUOS però non demor-dono. Venerdì 25 novembre si daranno ap-puntamento davanti alla sede del governo regionale a Palermo. Per essere finalmente ascoltati da un presidente che parla di “au-tonomismo” da Roma forse perché sogna una Sicilia colonia nordamericana.

Antonio Mazzeo

|| 13 novembre 2011 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||

Catania Catania

Vecchia DoganaCome hanno

abolito il mare“Noi siamo favorevoli a tutto quello

che può portare ricchezza e benesserealla città, non a quello che invece presuppone

il sacco e la spoliazione delle risorseai danni dei cittadini ed a vantaggio

dei sempre soliti pochi noti ed interessati” (Francesco Puleo,

pm processo parcheggio Europa)

L'Autorità portuale catanese ci ha messo 600.000 euro. Ma del mare nemmeno l'om-bra. Tanto che sul sito web ufficiale è defi-nita “Città del gusto”. Nasce dalla ristruttu-razione dell'edificio dell'ex dogana del por-to di Catania. Il risultato è eccellente. Una costruzione vecchia più di cinquant'anni, di autore ignoto, ora rimaneggiata in vetro e colone d'acciaio, con due grandi cortili in-terni per gli eventi culturali, e pure i pupi siciliani di Orlando e Rinaldo, in formato gigante, che pendono dal tetto.

E l'edificio apparirebbe pure secondo leg-ge: in verità l’art. 18 comma 1 della legge 84/94 – in riordino della legislazione in ma-niera portuale – specifica chiaramente che l'utilizzo degli immobili portuali deve avere funzioni attinenti ad attività marittime e portuali. Ma in Sicilia le leggi nazionali si incrociano con quelle regionali, e la n.15 del 2005, all'art 1, dice che gli edifici del demanio marittimo possono avere attività ricreative, sportive, diportische, sportive e ristoranti a tinchitè. Se per promozione turi-stica, ancora meglio. E così oggi Catania, nelle sale dell'ex dogana, lì dove si racco-glievano le merci che giungevano per barca dallo Ionio, e dove inizialmente si progetta-va di fare una 'Città del Mare', ha una cen-tralissima Città del gusto. Niente acquari, musei del mare per visite guidate, esposi-zioni di biologia marina, o di costruzioni e tecnica navale, in un porto che ancora oggi non ha un vero approdo al mare per i pesca-tori e i turisti che sbarcano nelle banchine antistanti.

No, nulla di tutto ciò, ma: sushi bar, bi-strot, wine bar, 3 bar tradizionali (all'inter-no del porto già ce n'è cinque), due pizzerie

(una terza, e su una banchina, c'è da almeno quindici anni) - tra cui una famosa catena napoletana - ristoranti con servizio catering per l'esterno o con nouvelle cucine, una famosa catena londinese specializzata nella vendita di hamburger e hot dog, og-gettistica, una rivendita di succhi di frutta freschi, una libreria, comune alle numerose librerie appena aperte in città, una salagiochi stracolma di videopoker e videoroulette, un negozio di biscotti, una sala cinematografica in 5d, una parafarmacia, e dulcis in fundo il tanto decantato ristorante del Gambero Rosso. Nemmeno una trattoria tipica a base di pesce, giusto per dare quantomeno la sensazione del mare che lì, attraverso lunghe e ampie vetrate, si estende dentro le dighe del porto catanese, tra vele e barconi di legno, argani e container. Solo il cinema sembrerebbe non contemplato nella legge siciliana.

A tagliare il nastro non poteva mancare il nostro presidente Raffaele Lombardo, e così Santo Castiglione, presidente stavolta dell'Autorità Portuale, che esalta l'opera come parte del progetto Waterfront del por-to di Catania e come accoglienza innovati-va dei turisti che sbarcano dalle navi da crociera.

Per accogliere i turisti, all'ingresso della Vecchia Dogana ci sono ben due uffici del-la Provincia di Catania, due agenzie private di noleggio auto e una sfilza di bar. Beh certo, gli stessi turisti, prima di arrivare a prendere un caffè devono gincanare tra gru arrugginite, container ammassati sulla ban-china, un camioncino che vende il tipico “sangeli”, cani randagi poco raccomandabi-li, una strada interna al porto battuta da sfil-ze di camion, auto e motorini provenienti dall'esterno a tutta velocità... Un percorso degno di giochi senza frontiere, tanto da costringere i turisti delle navi da crociera a bypassare il porto, salendo già allo sbarco su autobus privati o su gipponi per fuggire su percorsi organizzati in giornata.

Gli unici davvero sfigati, senza bus sal-vezza, sono i turisti che arrivano da Malta con gli aliscafi della Virtus Ferries: armati

di trolley e zaini attraversano la banchina infilandosi tra i traini dei camion posteggiati, i carrelli, le reti dei pescatori e gli argani, e provano a superare incolumi la strada interna priva di strisce pedonali. Poi ci sarebbero i catanesi che vogliono magari fare una passeggiata al porto. Ma i catanesi che c'entrano!

Eppure, nel gennaio del 2008, il presi-dente del cda Vecchia Dogana, Andrea Maccarone, al comitato Porto del Sole, che già denunciava la costruzione di un centro commerciale al posto della Vecchia Doga-na, dovette rispondere sulle pagine del quo-tidiano La Sicilia per smentire tutto: “Si tratta di un centro polifunzionale a servizio del porto caratterizzato da attività culturali e mostre aventi come tematica il mare, uffi-ci a servizio del porto, aree per pubbliche manifestazioni, biglietterie e uffici dogana-li. Appare priva di fondamento la definizio-ne di tale struttura come centro commercia-le”. Oggi è una “Città del gusto”. Beh, avrà cambiato idea. Il commercio si sa, è schizofrenico. Figuriamoci le imprese.

La stessa università di Catania fu coin-volta, giorni prima dell'inaugurazione, a settembre del 2011, come organizzatrice del seminario internazionale “La rete dei sapori e degli odori in Sicilia”.

Non, dunque, un seminario sul mare...* * *

Sempre tre anni fa il comitato “Porto del Sole” aveva denunciato la mancata tutela della planimetria originaria, e il presidente del cda Maccarrone aveva ancora smentito dicendo che non ci sarebbe stata stata alcu-na modifica, e che anzi la nuova sovrastrut-tura in acciaio e vetro, futuristica, seguiva la ristrutturazione di edifici antichi di New York, Lisbona, Rouen. Arte internazionale e moderna. Qui non s'è cambiata idea. E la Sovraintendenza ai Beni Culturali ha dato l'ok. Confrontando la facciata con delle foto precedenti alla ristrutturazione, sembrerebbe che ci sia il sollevamento di un metro o due del secondo piano, per rica-vare, da quelli che erano dei sottotetti usati come deposito, sei spaziosi vani con fine-stre sull'esterno.

|| 13 novembre 2011 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||

Polo enogastronomico, Città del gusto, Centro polifunPolo enogastronomico, Città del gusto, Centro polifunzionale, agroalimentazionale, agroalimentare per eccellenza, re per eccellenza, show-room del gusto. L'hanno chiamata in tutti modi. Ma non c'è traccia del mare. show-room del gusto. L'hanno chiamata in tutti modi. Ma non c'è traccia del mare.

Catania Catania

secondo piano, per ricavare, da quelli che erano dei sotto-tetti usati come deposito, sei spaziosi vani con finestre sul-l'esterno. Ma i pescatori dico-no che non è cambiato nulla. Tra questi, due bei ristoranti fronte mare, uno con cocktail bar e l'altro gestito dal Gam-bero Rosso. Se variante c'è stata, è stata sempre col beneplacito della Sovrinten-denza, s'intende. Certo, di marino per ora c'è solo la pa-rola “Gambero”, anche se di un marchio che non ha nulla di siciliano.

* * *La società appaltatrice del

progetto risulta essere la Evirfin R.T.I del cavaliere del lavoro Ennio Virlinzi, che ha lavorato alla ristrutturazione e tuttora avrebbe la gestio-ne e manutenzione del progetto, ovvero l'affitto dei locali, affitto sicuramente non economico vista la posizione centrale della ex vecchia dogana.

Il progetto è in project financing e il fon-do P.I.T 'Città Metropolitana' (soldi euro-pei) ha dato ben tre milioni di euro, mentre l'Autorità Portuale (con le casse vuote dal 2008 perchè i guadagni non coprivano nemmeno gli stipendi del cda – il Ministero dei Trasporti dovette intervenire con 5 mi-lioni di euro per risanare il bilancio - ) ha messo sul piatto 600.000 euro.

***E il cavaliere Virlinzi, che anche con

l'imprenditore Mario Ciancio, cominciò anni fa a costruire un parcheggio con botte-ghe per negozi, in project financing, in una piazza centralissima di Catania – piazza Europa - (il parcheggio fu sequestrato dalla magistratura, al posto del parcheggio resta adesso una grande fossa, e gli imputati sono stati totalmente assolti) – ha messo al-tri 3 milioni e mezzo e oggi possiederebbe un centro “polifunzionale” ultimato e fronte mare.

Secondo la requisitoria finale del pm Pu-leo, al processo sul parcheggio di piazza Europa, il centro commerciale che doveva sorgere interrato in quella piazza aveva alle spalle l'idea “geniale” di sorgere al centro della città, lì dove comincia il Waterfront catanese. Il centro polifunzionale dell'ex dogana – questo per nulla bloccato dalla magistratura – si trova non a caso esatta-mente dall'altra parte della linea del Water-front catanese, e sempre nel centro della città. Utilizzando molti soldi pubblici. Tut-

to secondo la legge, per carità, e con l'ok della conferenza dei servizi riunitasi ad hoc prima di aggiudicare l'appalto.Nulla che scavalchi la legge.Non siamo mica nel vecchio Western americano.

Sempre sulle pagine de La Sicilia, il ca-valiere del lavoro Virlinzi ha detto che avrebbe ceduto l'intero appalto – ad ecce-zione dell'0,1% - all'ingegnere Luca Veno-ra, il quale a quanto pare lavorerebbe però a sua volta presso la società "ponteggi tubo-lari spa" che risulterebbe essere un ramo d'azienda della Virlinzi spa.

* * *E ai pescatori senza lavoro che non rie-

scono a pagarsi il mantenimento della bar-ca, ai bottegai che lavorano intorno al porto strozzati dalla crisi, alle trattorie che si af-facciano sull'ingresso del porto? Nemmeno il becco di un quattrino. Loro sono il passa-to.

Però ce le hanno un po' girate.“E' meglio che se ne va”, dice un vecchio

armatore, davanti alla sua barca di legno ormeggiata al porto di Catania, “perchè se comincio a parlare e a sfogarmi con lei, lei passa guai. Mio padre aveva una di quelle barche da pesca a vela che si usavano quan-do l'acqua arrivava oltre gli archi della ma-rina. E di guai e cose grosse ne succedeva-no già a loro”.

“A Catania si dice che il porto se lo sono venduto. Vede ad esempio quelle barche?”, e indica degli yacht in secca sulla banchina, “lì non possono stare. E invece rimangono lì. Mentre a noi fanno delle multe salatissi-me se lasciamo le reti sulla banchina” - “Perchè?” - “Perchè dicono che rovinano l'immagine del Porto! Ma si guardi intorno e veda lei l'immagine del porto”. Container abbandonati, rimorchi di camion, yacht in

secca difesi da recinti metallici improvvisati, basole in pietra della banchina spaccate dagli autoarticolati e parte della banchina stessa che ogni tanto sprofonda, perchè priva di manutenzione. In fondo al molo di levante tre navi arrugginite e abbandonate ormeggiano lì da anni, semi affondate.

“Qui danno i soldi solo per questo centro com-merciale - che secondo me fallirà - per gli yacht, per le banchine private”, sbotta un altro pescatore, “ma per i lavoratori anti-chi del porto non c'è nul-la: non c'è l'argano per

sollevare le barche e fare il rimessaggio, tanto che dobbiamo andare negli altri porti per pulirle e sistemarle. Non ci sono depo-siti sovvenzionati per conservare le nostre reti, come invece hanno fatto ad esempio a Mazzara del Vallo. E molto altro...”.

“Qui hanno ucciso tutto”, mi ripete il vecchio armatore, “se ne vada, davvero. Danno i soldi e i permessi a chi dicono loro. Se ne vada, prima che parlo ancora. E' meglio per lei”.

Prima di andare via, rientro nella Vecchia Dogana. E' stata inaugurata da poco, ancora molte botteghe devono aprire e gli operai lavorano sodo. Nessuno porta l'elmetto. Ma chi lo porta ormai? Un finanziere, che si è allontanato dalla casupola che sta all'ingres-so del porto e proprio davanti alla nuova “Città del gusto”, passeggia, chiacchera e ride nel primo cortile, sotto le gambe del pupo di Orlando, che invece guarda dritto davanti a sé, immobile, con l'arma in pu-gno, incrociando lo sguardo di Rinaldo, che tiene ben saldo lo scudo, ignorandolo. De-gli uomini fanno delle pulizie. Su una scala antincendio, attraverso una delle porte la-sciate aperte dell'edificio, due ragazzi di pelle nera salgono i gradini. Una donna li ferma e dice loro di tornare indietro. “La-voro oggi?”, chiedono, “No, oggi no. Anda-te via. Mi dispiace”. Escono. Li seguo. Mi dicono che hanno lavorato negli scorsi giorni. Si toccano la pancia. Hanno fame e mi chiedono del lavoro. “Tornate domani. Chissà”, dico.Fuori dal porto dei manifesti colorati, con un leone che mostra due enormi incisivi, annunciano che il Circo delle Meraviglie è appena arrivato in città.

Giuseppe Scatà

|| 13 novembre 2011 || pagina 09 || www.ucuntu.org ||

Università Università

Catania: ancoraallarme sicurezza

Disastro fognature alla Cittadella. Nuovo scandalo a Farmacia Disastro fognature alla Cittadella. Nuovo scandalo a Farmacia

Quando nel 2008 venne sequestrato l'edi-ficio 2 della facoltà di Farmacia ed iniziò l'indagine su morti e tumori sospetti, tutti rimasero stupiti dal fatto che nessuno aveva avuto il coraggio di parlare e denunciare l'insicurezza dei locali dell'Ateneo. Da oggi il Movimento Studentesco Catanese esce dal silenzio e pubblica agghiaccianti infor-mazioni sulla sicurezza nell'Università di Catania, con la speranza che si intervenga per mettere, da subito, fine a nuovi poten-ziali “Casi Farmacia”.

Durante l'ultimo anno il Movimento Stu-dentesco Catanese ha avuto modo di incon-trare gli RLS (Responsabili dei Lavoratori per la Sicurezza) dell'Ateneo.

Grazie a questi incontri abbiamo avuto modo di “indagare” sulla sicurezza degli edifici dell'Università di Catania.

L'intenzione iniziale era quella di com-prendere il reale stato degli immobili della nostra Università. Anche se nei mesi prece-denti agli incontri avevamo ipotizzato che ci fossero problemi, mai però avremmo po-tuto pensare di imbatterci in una situazione simile e mai avremmo potuto pensare di ar-

rivare a diffondere informazioni e docu-menti di tale gravità.

Da poco meno di un anno ci siamo quindi occupati di gestire una mole incredibile di informazioni tra loro collegate.

Nonostante le possibili “ripercussioni” a cui individualmente (e come gruppo) ci stiamo esponendo, abbiamo deciso che tut-to ciò non può rimanere nascosto da un omertoso silenzio; d'altronde siamo convin-ti che se vogliamo cambiare la realtà in cui siamo quotidianamente coinvolti, è proprio con essa che dobbiamo confrontarci e, se necessario, scontrarci.

Per questi motivi chiediamo, anche a te che stai leggendo, di contribuire alla diffu-sione di questi post condividendoli ed eventualmente copiandone i contenuti in modo da renderli reperibili anche nel caso in cui il sito che stai visitando possa diven-tare improvvisamente inaccessibile.

* * *

La storia delle fognaturedella Cittadella

Dal primo incontro con il Responsabile Lavoratori per la Sicurezza dell’Università di Catania è emerso che il progetto origina-rio delle fognature, risalente alla metà degli anni ’60, era molto all’avanguardia rispetto agli standard dei tempi. Infatti, erano previ-ste due condotte, riservate rispettivamente alle cosiddette “acque bianche” (acque di falda e acque meteoriche) e alle “acque nere” (rifiuti provenienti da servizi igienici, laboratori…), che raccolgono gli scarichi partendo dalla Facoltà di Agraria, passando per il Policlinico e per tutta la Cittadella, fino ad arrivare al depuratore accanto ad uno degli edifici di Chimica. Molto avanza-to per l’epoca, il depuratore rappresentava il fiore all’occhiello del progetto: una strut-tura che garantiva standard perfino superio-ri alle attuali normative in tema ambientale.

Però negli anni il depuratore "è stato smantellato". Alla nostra domanda all’RLS sul motivo dello “smantellamento” ci è sta-

to risposto con un esempio molto concreto: "Poniamo il caso che acquisto una Ferrari e intanto esce una legge che abbassa i limiti di velocità… tolgo i pistoni così da abbas-sare la velocità e diminuire la cilindrata… tu hai un gioiello ma siccome vai oltre certi parametri e poiché una Ferrari costa, decidi di depotenziarla… e si depotenzia così tan-to da renderla del tutto inefficiente". Il de-puratore quindi ha smesso di fare il suo la-voro in questi ultimi anni, riversando, di fatto, nella rete fognaria della città acque nere (scarichi provenienti dai laboratori, dai servizi igienici, dal Policlinico…) non de-purate. Tale condizione è stata verificata dalla nuova gestione dell’Area Prevenzione e Sicurezza dell’Ateneo (APS) circa due anni fa. Ma c’è di più: la condizione di inattività dell’attuale depuratore non è risa-nabile, e nessuno degli interventi effettuati è stato risolutivo; l’Ateneo ha quindi deciso di costruire un nuovo depuratore (previsto nel piano triennale di opere pubbliche), che costerà all’Università circa un milione di euro.

L’edificio di Farmacia. Nel 2008 scoppia il cosiddetto “caso Farmacia” e l’Ateneo tenta di provvedere alla messa in sicurezza dell’edificio. Gli RLS, in una nota inviata all’amministrazione dell’Ateneo, chiedono, prima della riapertura dell’edificio 2 di Far-macia, di effettuare ulteriori verifiche "per-ché non si era ancora ben definito cosa fos-se accaduto"; nonostante ciò la Facoltà ri-prende le sue regolari attività.

La richiesta di maggiori approfondimenti è verificabile dal “Documento da allegare al verbale della riunione di giorno 27 Gen-naio 2009 ai sensi dell’Art. 35 L.81/2008” (pagina 1 [4], pagina 2 [5]), un documento che "non è mai ritornato firmato". Questo documento, segnala come “le RLS, i sinda-cati e le RSU sono state tenute all’oscuro di quanto sia accaduto e cosa ben più grave lo siano ancora oggi su quanto sta ancora ac-cadendo.” e prosegue dicendo “Ciò venen-do meno, l’Amministrazione, ai doveri cui essa è tenuta a rispondere secondo la nor-mativa vigente del T.U. 81/2008”.

|| 13 novembre 2011 || pagina 10 || www.ucuntu.org ||

MODICA“IL CLANDESTINO”Il mensile "Il Clandestino" è in edicola e on line. Nel nuovo numero numerose inchieste, stralci del processo "Modica bene" e un inserto satirico che racconta la città.La seconda moglie dell’ex parlamentare Peppe Drago, già condannato per peculato, lavora al Ministero dell’Agricoltura di Saverio Romano? Un’inchiesta risponde a questa domanda sul nuovo numero de "Il Clandestino" in edicola a Modica e disponibile sul portale www.ilclandestino.info. E poi a seguire, stralci del verbale delle dichiarazioni di Bruno Arrabito con le accuse ai big del processo "Modica bene" che sta facendo tremare l’ex stato maggiore dell’Udc.Infine tanti interrogativi. Il Tribunale chiude? Il presidente della struttura Tamburini, in un’in-tervista, garantisce le barricate. Nel mensile leggerete anche un articolo sullo stato del nuovo parco di S. Giuseppe U’ Timpuni. E poi anche molte storie interessanti e curiosità: le avventure del paninaro Paolino, i successi di Giorgio Avola. Infine, recensioni, racconti, viaggi e l’inserto satirico Grisù.

Università Università

Gli RLS nei mesi successivi eseguono dei controlli e verificano come il tentativo di messa in sicurezza sia stato effettuato. Dal precedente sistema composto da un in-sieme di saie, canali di raccolta delle acque nere situati proprio sotto il pavimento del-l’edificio e causa del possibile inquina-mento nella Facoltà, si è passati ad un siste-ma di tubi esterni all’edificio.

Questi ultimi, però, convogliano le acque nere nella rete principale delle acque bian-che che quindi sfocia direttamente nel siste-ma fognario del Comune, senza passare dal depuratore.

Viceversa alcune acque di falda (acque bianche) giungono nelle tubazioni delle ac-que nere e quindi al depuratore.

Inoltre, durante questi ultimi lavori, non è stata disabilitata la saia sotto lo stabulario (stanza dove vengono tenute le cavie usate per la sperimentazione di nuovi farmaci), che raccoglie gli scarichi dello stesso e di alcuni servici igienici, confluendo poi, come sola condotta dell’edificio, nella rete delle acque nere.

Nell’edificio che dovrebbe essere già sta-to messo tutto in sicurezza, persiste quindi ancora il rischio,lo stesso del “Caso Farma-cia”, di inquinamento interno, dovuto alla saia ancora in funzione.

Alla nostra domanda se la messa in sicu-rezza fosse, per altri aspetti, una messa in “insicurezza” l’RLS ha risposto: "Si, di fat-to. "Ma, anche in questo caso, c’è di più: l’immissione delle acque bianche nella rete delle acque nere sta causando dei danni alle tubature perché "un tubo quando viene to-talmente utilizzato in tutto il suo volume, facilmente si danneggia... le tubazioni ven-gono costruite per portare al massimo metà della portata, altrimenti la condotta entra in pressione, l’acqua è spinta a maggiore velo-cità con tutti i detriti che essa trascina, le superfici si corrodono, i giunti vengono sol-lecitati e significa che perdono il liquame".

"Da quando è risaputo questo problema?".

"L’amministrazione ne è a conoscenza dal 2003".

Sostanzialmente, a causa di questi errori nei progetti, al momento la Cittadella sta diluendo e riversando sostanze nocive per la salute e l’ambiente nel sistema fognario comunale (che sfocia al porto e che non ha un depuratore) e allo stesso tempo sta cau-sando delle perdite di cui nessuno ha mai rilevato l’intensità e che rischiano di inqui-nare il sottosuolo, non solo della Cittadella Universitaria ma della città.

Nuovo ampliamento Farmacia. Alla que-stione Farmacia si aggiungono i problemi relativi al nuovo ampliamento della Facol-tà, inaugurato nel luglio 2011 tra l’orgoglio dell’Amministrazione dell’Ateneo per il la-voro ben fatto e il plauso del Prefetto.

Già a pochi mesi dall’apertura, però, si notano le prime avvisaglie che qualcosa non va per il verso giusto.

Tra le prime crepe sui muri, rivelate dal Movimento Studentesco poco tempo fa [6], e la mancanza del certificato prevenzione incendi, senza il quale l’edificio non è a norma e non potrebbe essere aperto, il si-stema fognario è lo stesso utilizzato nell’e-dificio vecchio dopo i lavori.

Anche qui dunque le acque nere dell’ edi-ficio confluiscono nella rete delle acque bianche della città, senza passare da nessun depuratore.

Riassumendo. Il depuratore della Citta-della, più che efficiente all’epoca del pro-getto originario, negli ultimi anni è stato smantellato, pezzo dopo pezzo, fino a che non si è reso del tutto inefficiente.

Nel vecchio edificio di Farmacia il siste-ma originario delle saie viene eliminato perché insicuro per l’interno.

Adesso gli scarichi si raccolgono in poz-zetti esterni ma collegati alla rete principale delle acque bianche, che arrivano in città senza passare da nessun depuratore.

Durante i lavori viene dimenticata la saia sotto lo stabulario, permanendo parte del vecchio sistema che ha portato al “Caso Farmacia”.

L’ampliamento della Facoltà di Farmacia manca del certificato prevenzione incendi e, pur essendo un edificio appena inaugura-to, ha un sistema fognario che porta le sue acque nere nella rete principale delle acque bianche, aggravando l‘inquinamento della città..

Noi usciamo dal silenzio.Adesso tocca all’università intervenire.

Il Movimento Studentesco

www.movimentostudentesco.org

|| 13 novembre 2011 || pagina 11 || www.ucuntu.org ||

Altri Sud Altri Sud

Marsiglia, crescerenei quartieri nord

Bambini “pericolosi”... Bambini “pericolosi”...

Dalle finestre della scuola elementare Ré-volution si spazia su una lunga serie di pa-lazzine bianche da venti piani ciascuna. Gli altri edifici a blocchi formano un quadrato che volge le spalle all’esterno. Da una parte c’è il mare, le nuove costruzioni, un centro commerciale, le banche e i palazzi di vetro, dall’altra queste città dormitorio concepite soprattutto per le famiglie di nuovi e vecchi immigrati provenienti dal Maghreb, dalle isole Comore e dalle ex colonie francesi.

Tutti i bambini della scuola elementare provengono da là dentro. I pochi adulti che ho conosciuto non hanno troppa voglia di parlare. Ne incontro qualcuno nel bar a due passi dalla scuola. Scommettono sulle par-tite di calcio, parlano di soldi e della quali-ficazione alla coppa d’Africa dell’Algeria, vivono con il sussidio di disoccupazione, giocano ai videopoker. Dopo aver rotto la barriera di diffidenza gli ho detto da dove vengo e loro automaticamente hanno inizia-to a parlarmi di affari.

La scuola – Le bidelle mi hanno elencato i bambini pericolosi e l’educatrice che so-stituisco era felicissima di cambiare aria. Ho il compito di organizzare attività di ani-mazione teatrale durante la lunga ricreazio-ne che precede il momento della mensa. «L’importante è tenerli a bada», mi ha detto il preside. «Cerca di fare il possibile, prova a distrarli. Soprattutto nessun contatto fisi-co!». Sul muro d’ingresso, come in qualsia-si altra scuola francese, sono scritte le tre parole d’ordine della repubblica.Prima del-la ricreazione nei corridoi non vola una mo-sca. All’improvviso un suono irrompe nel silenzio totale e in un attimo esplodono le urla liberatorie nel cortile. Tutti fuori, come i cani sciolti, con il sole o con la pioggia. Le bidelle provano a mantenere l’ordine ma non serve a niente. È una specie di assalto. Dopo un paio d’ore rimbomba nuovamente quel suono greve e gli alunni rientrano im-mediatamente in classe. Si ricompone il si-lenzio.

Li osservo in disparte mentre giocano nel cortile. I bambini parlano una lingua diver-sa da quella che studiano, le bambine han-no le mani dipinte di ghirigori. I giochi non sono diversi da quelli che facevamo nel cortile della nostra scuola da piccoli. Chi si rincorre, chi si picchia, chi tira calci a un pallone di gommapiuma inzuppato d’acqua,

chi salta con la corda. Altri maneggiano pi-stole di cartone e distintivi malamente dise-gnati, rincorrono i ladri con le tasche piene di fogli che dovrebbero essere soldi, dicono che da grandi vogliono entrare nelle brigate anticrimine. Altri ancora formano gruppetti, corrono all’impazzata per il cortile, avanti e indietro senza sosta, sorridono prima di iniziare a piangere, poi si fermano. Quelli più curiosi si avvicinano, inizialmente con prudenza, vogliono sapere chi sono e da dove vengo. Gli rispondo. Loro, sempre con prudenza, iniziano a spiccicare parole inglesi buttate lì a caso, mentre altri se la ridono e mi sfottono per via del mio accento e la mia erre per niente moscia. Dopodiché si prendono il dito con tutta la mano e qualcuno mi prende a calci alle spalle. Sono circondato. Si crea una ressa intorno che mi impedisce di scovare il re-sponsabile…

Mi piace pensare che siamo complici, ma non riesco ad afferrare ancora di cosa. Re-sta irrisolto il problema della comunicazio-ne mutilata da questo accento maledetto. Faccio tesoro delle situazioni che si creano spontaneamente nel tempo e tendo a provo-carli attraverso gesti e azioni prive di paro-le, considerando l’idea che l’occhio capisce meglio, più a fondo. Mi affido all’intuizio-ne facendo perno sull’insolita posizione di straniero in mezzo a bambini estraniati, dentro a una scuola in un quartiere definito dalla burocrazia statale con le lettere punta-te Z.U.P. (zone urbaine prioritaire).

Hanno tutti dei nomi difficili da ricorda-re. Con alcuni domina la diffidenza, non vogliono saperne di teatro e di mimo. Pas-sano il tempo a pestarsi tra loro per attirare l’attenzione. Fatumata e Aisha, una di ori-gini comoriane e l’altra dell’isola di Capo Verde, non parlano mai. Entrambe sono nella cliss, una classe speciale in cui vengo-no raggruppati gli alunni con problemi di apprendimento, o con problemi familiari e difficoltà nelle materie principali. Per loro c’è una maestra di sostegno che li segue dalla mattina fino al pomeriggio inoltrato. La maggior parte degli alunni delle cliss è sbarcata a Marsiglia da poco, molti sono di origini nordafricane. Hanno vergogna e qualcuno mette il dito nella piaga prenden-doli in giro.

Fatumata e Aisha vengono nella sala dei

laboratori e cominciano a disegnare senza dire una parola. Abdulwahid, dieci anni, di origini comoriane, entra nella sala sbatten-do forte la porta. Prende in giro Sonia e dice che Diego puzza di merda. Diego è un rom con due occhi grandi, attento a tutto quello che gli accade intorno, scaltro ed emarginato dagli altri perché dicono che è un ladro. Ibrahim è tanto quieto quanto enigmatico, ti fa pensare a una serenità lontana. L’altro giorno se n’è stato tutto il tempo in disparte, poi si è avvicinato sorridendo, mi ha dato un foglio in mano prima di sgattaiolare in classe: un pellicano colorato con i colori della bandiera della Guinea Bissau, il suo paese d’origine.

Un pagliaccio ripetente – Enzo è gitano, ha i capelli biondissimi. Ha disegnato una perfetta macchina della polizia e sopra ci ha scritto tre lettere, N.L.P. (Nique la police). Gli ho detto che potevamo appenderlo al muro ma non ha voluto saperne e me l’ha impedito.

Certi bambini non sanno ancora l’inno nazionale a memoria e imparano a menadito le rime facinorose dei rapper di periferia. Taslim, dodici anni, bocciato due volte, anche lui di origini comoriane, la te-stolina rasata sempre coperta dal cappuccio della felpa, imita i suoi idoli, non fa altro che rappare e gesticolare alla loro maniera. Marwane, undici anni, di origini tunisine, ha ripetuto la quinta elementare. È un pa-gliaccio e come tutti i pagliacci coagula tri-stezza, malinconia, ironia. Fa ridere chiun-que, Marwane. Abbiamo guardato insieme alcuni Buster Keaton e Marcel Marceau, di nascosto nella sala di informatica. Tutti dicono che è un demonio, le maestre non lo sopportano, ha dei pessimi voti. Le bidelle avevano espresso una smorfia di disgusto quando gli avevo parlato del suo interesse per le attività di animazione teatrale.

Non riesco a non pensare al futuro. Nean-che il tempo di conoscerci, di fidarci l’uno dell’altro, e dovrò andare via da questo po-sto. Nel frattempo li guardo mentre se la ri-dono beatamente, con le mani sulla pancia, quando vedono le imitazioni di quel pa-gliaccio insolente ed estroso di Marwane, che fa la voce stridula della sua maestra quando si arrabbia. La risata è contagiosa.

Andrea BottalicoNapoli Monitor

|| 13 novembre 2011 || pagina 12 || www.ucuntu.org ||

Altri Sud Altri Sud

Incontria Lampedusa

Fra le due rive del Mediterraneo passa il mondo...Fra le due rive del Mediterraneo passa il mondo...

«Mi chiamo Marouen e sono tunisino, di Garca. Sono arrivato a Lampedusa dopo ventiquattr’ore di mare, su un barcone.

Ho pagato il viaggio ottocento euro. È la seconda volta che lo faccio, la prima dalla Libia a Lampedusa nel 2008.

Era novembre, il mare era grosso, c’era-no quasi trecento persone, la guardia costie-ra ci ha salvato, eravamo persi in mare... Quando sono arrivato la prima volta a Lam-pedusa c’erano duemila persone, ma si mangiava, c’era da dormire per tutti. Sta-volta niente, si dormiva tutti a terra. Fortu-natamente sono rimasto solo sette giorni, poi mi hanno trasferito in aereo a Crotone. Lì a dormire ci avevano messo in un con-tainer, con un materasso e una coperta. Il giorno dopo ho saltato il muro. Ho saltato da solo, verso l’ora di cena, col buio.

Quando sei con altri compagni, e la poli-zia ti incrocia per la strada, è più facile che ti fermino.

Ho fatto una ventina di chilometri a piedi per arrivare a Palmi, poi bus per Cosenza e il treno per Napoli. Conoscevo Sara, l’ave-vo incontrata a Lampedusa, mi aveva detto: “Se vieni a Napoli, chiamami"».

«Mi chiamo Sara, sono partita per Lam-pedusa con un gruppo di attivisti. Quando siamo arrivati c’erano quattromila tunisini sistemati nel centro di accoglienza storico che sta in centro, e alla stazione marittima. Dormivano per terra, sotto i camion, per strada.

Molti minori, nonostante ci fossero orga-nizzazioni tipo Save the children, girovaga-vano per l’isola. Soltanto l’ultimo giorno avevano allestito in una sala del comune uno spazio per i minori, ma senza letti. I pasti venivano distribuiti una volta al gior-no e con file lunghissime.

Se ne occupava una società che si chiama “Lampedusa accoglienza”. Molti lamenta-vano un effetto soporifero dopo i pasti. Con noi c’erano tre avvocati. Abbiamo dormito in una casa presa in affitto da un lampedu-sano».

«In Tunisia lavoravo in una sala di feste, facevo le pulizie e lavavo i piatti. A Napoli se c’è lavoro si sta bene, la vita non è cara. Aspetto il permesso, ho presentato la do-

manda, ho diritto al permesso perché sono arrivato prima del 5 aprile. Sono andato in questura accompagnato da un avvocato con le impronte che mi avevano preso a Lampe-dusa. Se non fossi arrivato lì non avrei avu-to diritto.

Ho un amico algerino, gli hanno detto che non aveva le impronte prese a Lampe-dusa e non poteva avere il permesso.

Io ho lavorato sempre al nero: in Francia sono stato due anni sempre sans papier e mi hanno arrestato dieci volte. Mi portavano in un centro di detenzione, il massimo è stato trentadue giorni. L’ultima volta a Tolosa, era a settembre 2010, e mi hanno rimpatria-to».

«A Lampedusa molti immigrati parlava-no italiano perché in Tunisia avevano lavo-rato col turismo. L’età media era tra i venti e i trent’anni. Un gruppo di lampedusani voleva bloccare l’arrivo di un barcone, poi dirottato altrove. C’è stata una barricata per non far arrivare da Porto Empedocle la nave con la tendopoli, dato che gli isolani temevano che avrebbe trasformato l’isola in un bivacco. Le autorità dicevano che se non scendeva la tendopoli, non sarebbe salito il carico del pesce. Alla fine hanno fatto scen-dere la tendopoli ma non è stata usata. Il giorno dopo c’è stata una manifestazione di tunisini che con degli striscioni dicevano: “Grazie Lampedusa, ma vogliamo andare via”. Non immaginavano di arrivare su quest’isola dove nessuno dava risposte. Avevano pagato mille euro».

«I tunisini che arrivano a Lampedusa vo-

gliono tutti andare in Francia per via della lingua. Io ho un cugino a Parigi, appena ho il permesso vado a trovarlo, poi in Belgio. Penso di trovare lavoro in qualche ristoran-te, o di fare la pittura, l’edilizia. Sono anda-to nel centro di Santa Maria Capua Vetere, ho accompagnato gli avvocati per tradurre, ci sono rinchiusi i tunisini che saranno rim-patriati. Quelli che saltano il muro si rom-pono tutti qualcosa cadendo. Camminano piano e raggiungono l’ospedale: sette metri sono tanti».

«Abbiamo conosciuto un ragazzino in un bar, ci ha avvicinato perché ci ha visti al computer e voleva usare Facebook.

Voleva farci vedere un amico che era par-tito su una barca ed era morto. Lui stava con un amico, poi sono stati divisi: uno è stato mandato in una casa-famiglia in Sici-lia e l’altro a Bergamo. Ci ha detto che ve-niva da una città dell’interno, era scappato di casa, e aveva chiamato la mamma per dirle che stava in Italia. L’associazione “Ascavza”, sia a pranzo che a cena cucina-va, poi il pomeriggio c’erano dei corsi d’i-taliano, e ha cominciato a offrire un servi-zio doccia e a fare le lavatrici».

«Fortunatamente dopo due mesi che ero stato rimpatriato è iniziata la rivolta. Ho partecipato alle manifestazioni, ho visto tre persone che si davano fuoco. Uno abitava vicino casa mia, ma non è morto. La polizia sparava sulla gente, ci sono stati parecchi morti, la gente dava fuoco alle caserme. Adesso c’è solo l’esercito. Per due settima-ne il paese era fermo, tutto chiuso, anche i panettieri, così gli appuntamenti venivano dati su Facebook. Ora il governo non è me-glio, Ben Alì non c’è più ma gli altri resta-no.

Ben Alì era un ladro, la sua famiglia co-manda tutta la Tunisia.

Hanno una squadra di calcio, come Ber-lusconi. La gente vuole vedere l’Europa: c’è libertà, e possibilità di guadagnare dei soldi. Io ho due fratelli e quattro sorelle in Tunisia. Una studia, un’altra lavora a Djer-ba in un albergo, ma per lavorare col turi-smo ci vuole il diploma»

A.C.Napoli Monitor

|| 13 novembre 2011 || pagina 13 || www.ucuntu.org ||

Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

Il partigianoil Siciliano

e l'ammazzafalcone

LA SCELTADI JACCO

Jacco era il nome di battaglia del parti-giano Giovanni Ortoleva di Isnello, micro-scopico paesino in provincia di Palermo, dalle parti delle colline che preparano la sa-lita verso le Madonie.

Mentre l’inverno del 1945 se ne stava an-dando, Jacco fu sorpreso dai nazifascisti, di notte, mentre dormiva in una cascina con i suoi compagni della 109^ Brigata Garibaldi e fu riconosciuto dal loro comandante che era del suo paese, un siciliano come lui.-Quello lo chiamò in disparte e offrì ad Jac-co di non essere fucilato se avesse deciso di lasciare i compagni e di passare dall’altra parte, dalla parte dei fascisti e ribadì l’of-ferte diverse volte e con insistenza. Morire a 24 anni era dura e il destino aveva voluto che incontrasse, tra i nemici, uno che gli poteva salvare la vita e Jacco doveva capire se quanto gli stava accadendo era il massi-mo della sventura o della fortuna, doveva decidere se tornare con i compagni o passa-re con i fascisti, doveva scegliere tra la vita e la morte.

I compagni di Jacco lo videro tornare ed ascoltarono, sbalorditi, il suo racconto e nessuno ebbe il coraggio di dire nulla, il si-lenzio assoluto li aveva tutti come imbava-gliati.

D’improvviso Jacco lacerò il silenzio e in

pianto infinito volle dire che aveva scelto di restare con loro, con i suoi compagni della Brigata Garibaldi, che avrebbe condi-viso con loro la stessa sorte, qualunque essa fosse stata. Lo abbracciarono tutti e tutti piansero con lui.

Li portarono via con un camion e li mas-sacrarono in una stanza che si riempì di ge-miti, le pareti si tinsero di sangue e sul pa-vimento ne morirono una dozzina, dissan-guati.

Quelli che rimasero vivi, il giorno dopo, furono fucilati da un plotone di esecuzione comandato da un sergente che si lamentava del fatto che ne erano rimasti pochi da fuci-lare. Jacco era tra questi quella mattina del 9 marzo 1945 a Salussola con l’inverno che andava via perché stava arrivando quella primavera che Jacco non vide mai.

Adesso Jacco è tornato al suo microsco-pico paese e la piazza più grande si chiama come lui.

IL "SICILIANO"GIUSEPPE FAVA

Mi piace mettere “il siciliano” prima del suo nome e cognome, perché, così, lo sento più vicino a me, che sono pure io siciliano come lui.

Pippo Fava ha scritto pagine di storia si-ciliana che in tanti hanno già letto e che tut-ti dovrebbero leggere, perché servono, ser-

vono a crescere nella determinazione ad es-sere liberi, a guardare in faccia la realtà e a volerla cambiare.

Servono per rintracciare la bellezza delle anime, la direzione della speranza, l’origine della volontà ed il piacere di assecondarla. I suoi “ragazzi” de “I siciliani” hanno avuto la fortuna di frequentare la più affascinante scuola di vita e di giornalismo. Noi abbia-mo, oggi, la fortuna di rileggere, tra le tante altre, alcune righe tratte da un suo delizioso romanzo “La ragazza di luglio. Il girasole edizioni, Valverde” in cui Pippo Fava rac-conta di Angelo Pitorru quando stavano ar-rivando gli Alleati, nel 1943, per liberarci.

“Angelo Pitorru è l’uomo più piccolo del paese, così piccolo che non lo hanno voluto nemmeno per fare il soldato … hanno pre-so anche gli orbi e gli sciancati ma Pitorru non poteva proprio servire a niente. Fa tutti i lavori più umili della campagna, come una bestia, miete, semina, raccoglie le oli-ve, le fascine, il letame. Non sa leggere e scrivere, è proprio come un animale. (Il ca-pitano Belcore) ogni sera si divertiva anche lui con Pitorru. Diceva che quella bestia umana era l’essere umano più intelligente del paese. – Pitorru … e qual è la cosa più bella della vita? Ogni sera gli chiedeva la stessa cosa per avere la stessa risposta e in-fatti il minuscolo contadino fece con il pu-gno chiuso un piccolo gesto, per significare l’amore.

|| 13 novembre 2011 || pagina 14 || www.ucuntu.org ||

”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva epiacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva e la cronaca è morta. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore,la cronaca è morta. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento antiche è un vecchio militante del movimento antimafia: ma forse non siamo d'accormafia: ma forse non siamo d'accordo. La storia èdo. La storia è un insieme di cronache di tante persoun insieme di cronache di tante persone comuni. E tutte diventano anne comuni. E tutte diventano anch'esse storia, prima o poi.ch'esse storia, prima o poi. ComunComunque, ecco le storie che Elio Camilleri fa girare su internet. Antiche e attualisque, ecco le storie che Elio Camilleri fa girare su internet. Antiche e attualissime, sicilianesime, siciliane

<< Mi piacerebbe tanto tanto che i destinatari "adulti" delle mie scheggele facessero leggere ai giovani e che i destinatari "giovani” le facessero leggere agli adulti >>

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Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

Ma con quel riso il suo gesto non era volgare, anzi stranamente pieno di tenerezza. E dimmi – Pitorru – tu sai fare all’amore? - Signorsì capitano! Ogni sera prima di dormire! La domenica anche quando mi sveglio! – E tua moglie che dice? – Mia moglie è contenta … - Ma tu a chi vuoi bene più di tutti? – Io voglio bene prima a mia moglie, poi ai miei figli Paolo e Turiddu e poi alla casa … E poi a chi vuoi bene? – Poi voglio più bene ai muli! E poi? E poi al duce”. [ … ] Una bomba pol-verizzò la casa di Angelo Pitorru e in lam-po morirono la moglie, i due figli e i due muli. [ … ] Il carro armato continuava a corrergli incontro e Angelo Pitorru conti-nuò ad andare incontro al carro armato, alzò il fucile ed esplose insieme i due colpi, l’ufficiale restò con le braccia spalancate in cima alla torretta, col petto ed il viso sfon-dati dalla lupara e quasi nello stesso attimo il carro armato travolse Angelo Pitorru e lo schiacciò”.

IL PELO NELL'UOVO

Il pelo nell’uovo da cercare e da trovare come imperativo categorico per annullare le sentenze che presentavano “vizi di for-ma” e per liberare dalla galera centinaia di persone perseguitate da quel “cretino” di Falcone e dal pool antimafia che davano retta a quella squallida schiera di “pentiti”.

Corrado Carnevale la pensava proprio così e per i “picciotti” in carcere in attesa di giudizio o già condannati era “come papa Giovanni”. Per tutti, avvocati e giudici, fe-lici o disperati, era “l’ammazzasentenze”.

Ed eccola, sommariamente, la sistematica opera di demolizione dell’impianto investi-gativo e giudiziario condotta dal Presidente della prima sezione della Cassazione:

“Dieci anni fa aveva polverizzato l’in-chiesta di Giovanni Falcone sulle rivelazio-ni del pentito Calderone, distribuendola “per competenza” a 12 Procure della Re-pubblica. La Cupola, per lui, era una favo-la, la mafia un insieme di bande senza co-mando” (Bolzoni, Repubblica, 23.6.88).

Nel 1981 furono scarcerati 43 mafiosi

per decorrenza dei termini di custodia cau-telare. Rispetto alle 360 condanne, ai 19 er-gastoli e ai 2.665 anni di carcere della sen-tenza del 16 dicembre 1987 del maxi pro-cesso celebrato nell’aula bunker annessa al carcere dell’Ucciardone, ne restavano in carcere una sessantina con annullamenti di pena per centinaia di anni.

Falcone e Borsellino cercarono di blocca-re il massacro della sentenza, respingendo i ricorsi, annullando le richieste già accolte, sicché numerosi mafiosi tornarono in car-cere. Nel 1990 Falcone fu chiamato dal Mi-nistro della Giustizia Claudio Martelli a di-rigere la sezione Affari Penali del Ministero e adottò il criterio della rotazione dei Presi-denti di sezione in Corte di Cassazione. Carnevale fu così “neutralizzato” e boss e picciotti in galera persero il loro “papa Gio-vanni” e la speranza di ottenere la libertà.

La vendetta di Riina non si fece attendere e Salvo Lima, ben noto tramite tra Palermo e Roma, fu ucciso a Mondello nei pressi della sua villa il 12 marzo 1992, Falcone saltò in aria con la moglie e la scorta a Ca-paci il 23 maggio e Borsellino con la scorta in Via d’Amelio il 19 luglio.

|| 13 novembre 2011 || pagina 15 || www.ucuntu.org ||

Satira Satira

Su quei monti...

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SatiraSatira

|| 13 novembre 2011 || pagina 17 || www.ucuntu.org ||

Satira Satira

|| 13 novembre 2011 || pagina 18 || www.ucuntu.org ||

Satira Satira

www.mamma.am/libri

|| 13 novembre 2011 || pagina 19 || www.ucuntu.org ||

Giuseppe Gatì,ragazzo

di Kanjano & Gubi

La r-esistenzadei precaridi Nicola

Infografica Infografica

Interessi in conflitto:i nostri e i loro

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Libera informazione Libera informazione

“Siamo tutti Telejato”A Roma il 22 per le libere tv

Minacciati dalla mafia ma anche dalla legge sul digitale terrestreMinacciati dalla mafia ma anche dalla legge sul digitale terrestre

Con la Finanziaria 2011 (articoli 8,9,10) sono state di fatto abolite le televisioni comunitarie (250 in tutta Italia), e il Ministero dello sviluppo economico si è riservato il diritto di assegnare, a pagamento, tutte le lun-ghezze d’onda del digita-le terrestre, eccetto che per le tre reti RAI, per La 7, per Sky cui le frequen-ze sono state assegnate gratis.

Le altre utenze saranno assegnate dietro esborso di ingenti somme di denaro, attra-verso graduatorie regionali formulate sul numero dei dipendenti e sulle proprietà immobili. E’ la fine quindi del volontaria-to anche in questo campo. Il tutto natural-mente nel silenzio tombale e il disinteres-se di tutti i partiti politici. Le restanti tele-visioni locali, altre 250 realtà, saranno in gran parte liquidate entro il 30 giugno 2012 per lasciare il posto alle grandi reti nazionali che trasmetteranno gratuitamen-te, e a pochi canali regionali che otterran-no le frequenze pagandole fior di quattri-ni. Per chi ha accumulato proprietà immo-biliari, audience e spinte politiche, è pos-sibile permetterselo.

Alla base di questa scelta ci sono solo obiettivi di carattere economico e com-merciale, farcite da programmi demenziali per promuovere televendite, telegiornali pilotati dalle segreterie di partito, pubbli-cità a fiumi, mentre viene ignorata la qua-lità di ciò che è trasmesso e la capacità di sapere stare sul territorio per leggerne la storia e documentarne i problemi.

Niente più spazi liberi e libera espres-sione delle idee, niente rispetto per l’art.21 della Costituzione, perché man-cheranno gli strumenti per poterlo fare. La sopravvivenza di Telejato, con la sua sto-ria, le sue battaglie, la sua valenza cultura-le, nel segno di Danilo Dolci, di Peppino

Impastato, di Mauro Rostagno e di Giuseppe Fava è un segnale importante per la garanzia dell’esistenza di una libera informazione in un panorama controllato dalle mafie mediatiche.

Il comitato SALVIAMO TELEJATO, nato il 24 settembre 2011 a Partinico, si prefigge di unire nella protesta tutte le voci dei territori in pericolo di oscuramen-to; affinché le televisioni comunitarie e locali possano continuare a trasmettere e conservare il loro ruolo di strumento in-formativo locale; affinché sulle ultime re-dazioni libere, in particolare quelle impe-gnate in terra di mafia, non cali il silenzio e l’indifferenza, ovvero la certezza di es-sere eliminate fisicamente dalle mafie.

Durante la conferenza stampa il comita-to presenterà un documento politico che verrà consegnato a tutti i gruppi parla-mentari, al Ministro dello Sviluppo Eco-nomico, al Presidente del Consiglio e al Presidente della Repubblica.

22 novembre 2011ore 11.00, sede

Ordine dei Giornalistivia Parigi 11, Roma

Conferenza-stampadel Comitato

“Salviamo Telejato”

|| 13 novembre 2011 || pagina 21 || www.ucuntu.org ||

STRUMENTIL'ASSOCIAZIONE“LAVORI IN CORSO”

Dallo StatutoArt. 2 - Scopi e attivitàL’Associazione persegue l'obiettivo di aggregare le forze positive del giornalismo catanese e non solo per ricostituire un'informazione libera secondo lo spirito del giornalista Giuseppe Fava ammazzato dalla mafia il 5 gennaio 1984.1. L' associazione persegue i seguenti scopi:- Costruire una rete tra le testate di base;- Formare nuovi giornalisti;- Fare informazione indipendente offrendo un'alternativa ai messaggi proposti dai grandi gruppi editoriali e televisivi.- Promuovere e svolgere ogni iniziativa intesa allo sviluppo delle attività di cui sotto.2. L’Associazione perseguirà le finalità sopra elencate attraverso le seguenti attività:- Condivisione dei palinsesti delle testate di base collegate all'associazione;- Riunioni di redazione periodiche;- Sviluppo in sinergia di alcune tematiche/in-chieste concordate;- Organizzazione di laboratori e momenti di formazione e ricerca;- Promozione, progettazione, e realizzazione di attività di edizione, informazione, produzione, studio, ricerca e quant'altro ne-cessario a diffondere la cultura e l'informazio-ne anche con ogni mezzo esistente o che la tecnologia creerà in futuro.- Organizzazione di convegni, confronti, dibattiti, eventi e tutto quanto l'Associazione ritenga utile al fine di far conoscere la propria attività e tutto quanto possa portare beneficio agli ideali e agli scopi dell'associazione.

Siciliani Siciliani

A DICEMBRE

“A che serve essere vivi,

se non c'èil coraggio di

lottare?”

|| 13 novembre 2011 || pagina 22 || www.ucuntu.org ||