Ucuntu n.103

18
120211 www.ucuntu.org – [email protected] Inchieste Sigonella la mafia e i Lombardo Ndrangheta 40 anni di sequestri CASO CATANIA ASSOLTO IL CRONISTA QUERELATO DA GENNARO Mubarak: e uno. Berlusca: e due. Manca pochissimo ormai. Solo l'ultima botta. Gliela dà Fini? Gliela dà Tremonti? O ci vuole uno strike, uno sciopero generale? Domani: le donne in piazza per cominciare e e Satira/ Jack Daniel e e Giustolisi Mazzeo Bonofiglio Gubitosa Bruno Nastasi Biani || 12 febbraio 2011 || anno IV n.103 || www.ucuntu.org || Strike!

description

il numero del 12 febbraio 2011

Transcript of Ucuntu n.103

Page 1: Ucuntu n.103

120211 www.ucuntu.org – [email protected]

InchiesteSigonellala mafia e iLombardoNdrangheta40 anni disequestri

CASO CATANIA ASSOLTO IL CRONISTA QUERELATO DA GENNARO

Xxxx

Mubarak: e uno. Berlusca: e due. Manca pochissimo ormai.Solo l'ultima botta. Gliela dà Fini? Gliela dà Tremonti?

O ci vuole uno strike, uno sciopero generale?Domani: le donne in piazza per cominciare

e e Satira/ Jack Daniel ee Giustolisi Mazzeo Bonofiglio Gubitosa Bruno Nastasi Biani

|| 12 febbraio 2011 || anno IV n.103 || www.ucuntu.org ||

Strike!

Page 2: Ucuntu n.103

Caso Catania Caso Catania

Quel Palazzodetto di giustizia

Assolto a Roma il cronista querelato dal giudice Gennaro Assolto a Roma il cronista querelato dal giudice Gennaro

Assolti. Mi suona strana come parola, perché presuppone un processo, le udienze, l’incubo di anni in cui in ti senti come cuo-cere a fuoco lento. E sei un potenziale dif-famatore. Per di più ti ha querelato un giu-dice e mica si scherza.

Strano parlare di se stessi. Non mi sento a mio agio in questi panni. Per molti è faci-lissimo coniugare in prima persona. E pro-muoversi: io, io e poi ancora io. Dicono che sia sapersi vendere. A me fa un po’ ri-dere. Ma stavolta ci sono i misteri del no-stro palazzaccio che superano gli accidenti privati del cronista. E non si ride per nien-te.

La storia è vecchia di vent’anni. Un giu-dice, Giuseppe Gennaro da Catania, che di lì a qualche anno sarebbe diventato Presi-dente di tutti i magistrati italiani, compra una casa, inizio anni novanta, costruita da un’impresa, la Di Stefano costruzioni, che ha dentro come socio la moglie di un pre-stanome del clan Laudani, il costruttore Carmelo Rizzo. Marco Travaglio ed io lo scriviamo su Micromega. Siamo gli unici a parlare di questa storia sulla stampa nazio-nale, svelandone tutti i particolari. E fu querela. Processati davanti al Tribunale di Roma.

In questi anni molti silenzi. Tace la politi-ca (a parte Sonia Alfano). La società civile è troppo impegnata a far le pulci ai bilanci di Stancanelli, (dimenticando le consulenze folli dell’era Bianco). “Ancora con questo Caso Catania?”. “Ma basta!”. Insomma un tabù. Un’eresia in terra fidelium. Un cosid-detto collega scrive nella sua Pravda d’ap-pendice che avevamo sparso fango per tor-naconto personale. Non vorremmo essere al suo posto in questo momento. Un altro cosiddetto ha scritto che sì, certo, la foto,

va bene, ma che dire dei trascorsi di Tine-bra? Come se uno che parla delle escort di Berlusconi, ogni volta dovesse ricordare i trans di Marrazzo.

Del resto Tinebra non fa forse il procura-tore generale a Catania (proveniente da Caltanissetta, su cui Catania ha competenza per fatti che riguardano magistrati) da quat-tro anni, nel silenzio di tutti e coi voti in Csm di destra, sinistra e centro? A proposi-to, che fine ha fatto in Procura generale il processo contro il boss Alfio Laudani per intestazione fittizia di beni? Tra questi beni c’era anche la Di Stefano costruzioni, per la quale Laudani è stato assolto in primo grado (e condannato per le altre società, tra cui la Rizzo costruzioni). Di questo proces-so ha parlato e ha scritto in lungo e in largo il presidente Scidà, in assoluta solitudine. Mai smentito da alcuno.

Intanto il processo di Roma contro di noi continua. Sfilano i testimoni. Nicolò Mari-no conferma tutto quello che abbiamo scrit-to. Ma nessuno ne parla. E anche noi stia-mo zitti. Non ci piacciono i martiri e i pia-gnistei. Poi salta fuori una foto, qualche mese fa. La foto ritrae Rizzo seduto accan-to a Gennaro, a una festa di cresima e risale ai primi anni novanta. Ne parla Pino Finoc-chiaro, in un convegno antimafia. La ri-prende Il Fatto quotidiano e Gennaro que-rela ancora. Querela chi da’ per primo la notizia? No, querela chi l’ha ripresa. Cioé il sottoscritto. Produciamo la foto al pro-cesso, ma per la cronaca il giudice non l’ammette. Non è la foto che ci farà assol-vere. Tony Zermo, sempre lui, dedica alla notizia dell’ennesima querela di Gennaro mezza pagina. E si fa riferimento anche al processo contro me e Travaglio.

Certo se Catania è ridotta in questo

modo lo si deve anche a chi non scrive le cose come stanno. Per viltà, per onor di portafoglio. O anche, semplicemente, per-ché se te la prendi con chi professa fede an-tiberlusconiana fai il gioco di Berlusconi. Storia vecchia anche questa.

E Catania è quella che è adesso. Una volta c’era la Sicilia da una parte e i Sicilia-ni dall’altra, l’unico vero giornalismo d’op-posizione che sia mai esistito in città, il re-sto son chiacchiere. C’erano da un lato i Cavalieri e dall’altra un sindacato mai domo. E una società civile che i Cavalieri li affrontava a brutto muso. Da un lato i giu-dici dell’ancien regime e dall’altra i pretori d’assalto. Adesso è tutta una marmellata in-distinta. Arrestano per mafia il milionario re dei supermercati Sebastiano Scuto e ad-dirittura il Procuratore dell’epoca in perso-na lo difende sul giornale. La Sicilia, ov-viamente. Scuto viene poi condannato, ma ai catanesi non interessa. I Siciliani di Fava non ci sono più. La Sicilia c’e’ ancora. Come quel magistrato che da quasi quaran-t’anni incarna la giustizia requirente a Cata-nia. E’ l’attuale procuratore (ancora per po-chi giorni) Enzo D’Agata.

Arriviamo al giorno della sentenza, 10 febbraio 2011: assolti perché il fatto non costituisce reato. Sei righe sulla Sicilia. “Non diffamarono Gennaro”. Il caso Cata-nia non è una follia. Un riconoscimento devo darlo ed è a un avvocato onesto e bra-vo. Il migliore che c’è su piazza. Si chiama Ugo Colonna. Ha preso in mano alle battu-te finali un processo diventato difficile, e con sapienza l’ha condotto in porto senza pathos di maniera. E’entrato in zona Cesa-rini, come il vecchio Altafini della mia Ju-ventus anni settanta, e ha messo in rete.

Giuseppe Giustolisi

|| 12 febbraio 2011 || pagina 02 || www.ucuntu.org ||

Page 3: Ucuntu n.103

Politica Politica

Il golpedi Berlusconie quellodi Marchionne

Stanno salvando l'Italia, ora mentre scri-viamo, e stanno preparando il dopoberlu-sconi. Dove? A Milano. Chi? i congressisti del nuovo partito di Fini, i “futuristi”. A loro l'Italia perbene, giornalisti e politici, si affida. Il capo, proprio a Milano, o almeno il portavoce, era quella Tiziana Maiolo che, dopo brillanti e varie carriere “di sinistra”, alla fine è approdata ai berlusconiani; e da questi ai finiani, sempre rispettatissima e ri-verita. E' quella che l'altro giorno, di fronte alla morte atroce di quattro zingarelli: “Più facile educare dei cani - ha commentato - che degli zingari bambini”.

* * *Si chiamavano Raul, Fernando, Patrizia e

Sebastian. Erano nella loro baracca, morti bruciati mentre si riparavano dal freddo. Quattro bare a via Appia Nuova. Quattro rom bambini. Attorno alle bare le famiglie. Soli da sempre. Campi zeppi di topi. Oggi come dieci anni fa a Casilino 700, nell'an-no del Giubileo, quando era vietato raccon-tare le stragi dei ragazzini nei ghetti, e quel-l'anno là ne morirono almeno dieci.

A Roma ci sono più case sfitte che in ogni altra città d'Europa: centomila alloggi, dieci milioni di metri cubi di case vuote, come mille stadi di serie A. Ma per i pove-ri, per i Rom non c'è posto. Ghetti, tendo-poli, miseria e spesso morte. Ma quale gior-nale, quale politico lo dice? Stiamo perse-guitando gli zingari esattamente come ieri perseguitavamo gli ebrei. Ma la “politica”, a quanto sembra, è un'altra cosa.

La “politica” si affida alle Maiolo e ai

Renzi, alle soluzioni indolori. ai dopoberlu-sconi tranquilli, con tutto che resta com'è salvo (forse) Berlusconi. Chi parla più della Fiat? Chi pensa più agli operai? Eppure è stato appena deciso (anche qui, esattamente come sotto il fascismo) che di diritti non ne hanno più, neanche uno. Ma la “politica”, a quanto pare, è un'altra cosa.

Il golpe è questo qua, ed è bilaterale. C'è il golpe di Berlusconi, vecchio imbecille vi-zioso, che minaccia e ricatta e mobilita i suoi puttani. Ma c'è anche quello di Mar-chionne e soci, che vogliono fare miliardi sulla pelle dei ragazzi. Nessuno, sotto i trent'anni, sa più come sarà il suo avvenire.

* * *Ma c'è un'altra politica, quella vera. La

politica che ha appena mandato via Muba-rak, senza violenza. La politica che non è affatto isolata (che dite, ora, di Obama?) e che sa cogliere le occasioni. “Qua bisogna puntare sui ragazzi di Ammazzateci Tutti” ha detto - secondo Wikileaks - l'uomo di Obama in Calabria. Chi se ne è accorto? Vorrà dire qualcosa, politicamente?

Sono momenti incredibili, in cui davvero è possibile il cambiamento. Purché sia cam-biamento vero – a cominciare dallo spazza-re via i mafiosi, che sono il cuore del Siste-ma – e purché si sia disposti a far sul serio e non solo balletti “politici”. Perché il mon-do è cambiato. I vecchi non se ne accorgo-no, ma i giovani sì. L'Egitto è un paese gio-vane. E ha vinto, alla faccia di tutti.

* * *Sicilia: qua tutto è lento. Ma si muove.

Catania: sono bastati pochi giornalisti e cit-tadini coraggiosi - ma al culmine di una ca-tena lunghissima, lunga trent'anni – per mettere in crisi la camera di compensazione del Sistema locale, a Palazzo di giustizia. Vorrà dire qualcosa, politicamente?

Informazione libera e movimenti, lavo-rando insieme, possono sperare di vincere, in questa città. E' già quasi successo una vita, coi Siciliani. Perché non riprovare?

Per l'informazione, in particolare, è arri-vato il momento della verità. Il caso Procu-ra di Catania ha fatto da cartina di tornaso-le: chi si è schierato e chi si è messo da par-te, chi ha detto la verità e chi l'ha nascosta. Chi se l'è presa coi funzionari infedeli e chi coi “dossieraggi” che li smascheravano. Adessso, bisogna scegliere. O da una parte o dall'altra.

E', finito, fra l'altro, l'equivoco di Sud-press, diviso fra l'onesta ingenuità dei gior-nalisti e le grevi ambizioni dei proprietari. Ora è il momento di riprendere la strada dei Siciliani, tutti insieme. A questo sta serven-do, da tre anni in qua, questo nostro giorna-le, con tutto ciò – e non è poco – che gli vive attorno.

Non siamo, e non vorremmo essere, auto-sufficienti. Ma abbiamo una storia e delle idee chiarissime e decise, le uniche che nessuno qui potrà mai equivocare. E' un pa-trimonio per tutti, per tutta la comunità che ci appartiene: cerchiamo di usarlo bene, con decisione e tutti insieme ed essendone sempre degni.

Riccardo Orioles

|| 12 febbraio 2011 || pagina 03 || www.ucuntu.org ||

E l'uomo di Obama in Calabria ha detto...E l'uomo di Obama in Calabria ha detto...

Page 4: Ucuntu n.103

Società civile Società civile

Appelliper la giustiziaa Catania

Al Vicepresidente del CSMAlla Commissione Uffici Direttivi

p.c. al Presidente della Repubblica

Le associazioni sottoscritte, nel momento in cui vengono da più parti riportati episodi sconcertanti che coinvolgono fra l'altro aspiranti al posto di procuratore capo al Tri-bunale di Catania, manifestano la propria preoccupazione per la nomina prevista in conseguenza del pensionamento del Dott. Vincenzo D’Agata e sottolineano la neces-sità che chi assumerà l’incarico riesca final-mente a disvelare e a rendere pubblico l’in-treccio fra poteri economici, politici e ma-fiosi che, anche in campo nazionale, ormai è noto come il “ Caso Catania”.

Come cittadini abbiamo il diritto di spe-rare in un futuro di legalità e giustizia per la nostra città. A questo scopo le Associazioni firmatarie del presente appello, così come già richiesto, auspicano che la nomina a procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Catania ricada su una persona-lità di alto spessore che eserciti l'autonomia della magistratura rispetto al potere politi-co, che sia capace di operare al di fuori del-le logiche proprie del sistema politico-af-faristico della città, che possibilmente sia del tutto estranea all'ambiente cittadino, che provenga cioè da realtà lontane dall’humus siciliano e catanese in particolare, una per-sonalità che favorisca il riscatto civile della nostra città e che contribuisca a restituirle orgoglio e dignità.

Associazione Centro Astalli,AS.A.A.E., Associazione “CittàInsieme”, Assoc. Do-

menicani Giustizia e Pace, Laboratorio della Politica Onlus, La Città Felice, As-

soc. Studentesca e Culturale "Nike", Comi-tato NO-TRIV contro le trivellazioni gas-

petrolifere in Sicilia, Associazione Oltre la Periferica, Librino, Punto Pace Pax Chri-sti Catania, Sicilia e Futuro, Associazione

Talità Kum

* * *La Sicilia è la regione dove si trova la

maggior economia sommersa del paese, come recenti e qualificati studi hanno evi-denziato, e gran parte dell’imprenditoria cheopera nell’isola usufruisce di complicità o alleanze con le organizzazioni criminali.

La mafia ha esteso da tempo i suoi inte-ressi nell'economia “legale”, dove l'accu-mulazione della ricchezza avviene attraver-so relazioni e attività costruite sulla base del coinvolgimento diretto e dei favori

scambiati con potentati economici, politici, professionali.

Si è creato così uno spazio dove lecito e illecito finiscono per entrare in commistio-ne. L'epicentro di questa "area grigia", dove si intrecciano gli interessi di mafia ed eco-nomia, è oggi Catania, come ribadito anche dal Presidente di Confindustria Sicilia.

Una città dove, da anni, diversamente che a Palermo o Caltanissetta, l'azione di con-trasto della Procura è stata assolutamente inefficace. Emblematica, da questo punto di vista, è apparsa la gestione dell’inchiesta che ha coinvolto il governatore Lombardo e il fratello Angelo.

Gli inquirenti si sono divisi sui provvedi-menti da assumere in merito all'esito delle indagini sul Presidente della Regione e, il Procuratore D'Agata, nelle prese di posizio-ne pubbliche, ha dato l’impressione di un evidente imbarazzo e fastidio nei confronti dell’inchiesta. Inoltre nell'intervista rila-sciata a Zermo, sul quotidiano di Mario Ciancio (a sua volta indagato in altro proce-dimento), il Procuratore sembra esprimere contrarietà per le considerazioni espresse da Ivan Lo Bello sul peso della imprendito-ria mafiosa a Catania.

Infine, una fotografia di diversi anni fa pubblicata in questi giorni ha riacceso i ri-flettori sul cosiddetto “caso Catania”, una vicenda giudiziaria nata dalla denunzia di Giambattista Scidà che lanciò l’allarme di contiguità tra criminalità mafiosa e frange della magistratura etnea.

Alla luce di tutti questi fatti e alla vigilia della nomina del nuovo Procuratore della Repubblica, facciamo appello al Csm affin-ché la Procura di Catania abbia finalmente un Procuratore capo assolutamente estraneo ai giochi di Palazzo e all’intreccio delle poco chiare vicende catanesi. Un magistra-to che non subisca le forti interferenze esterne che hanno condizionato da decenni la direzione della Procura catanese.

Giolì Vindigni, Gabriele Centineo, Mim-mo Cosentino, Angela Faro, Santa Giunta, Vincenza Venezia, Salvatore Cuccia, Lucia-

no Carini, Giuseppe Di Filippo, Enrico Giuffrida, Lillo Venezia, Claudio Novem-bre, Massimo Blandini, Marzia Gelardi, Maria Concetta Siracusano, Francesco

Duro, Margherita Ragusa, Antonella Inser-ra, Mario Pugliese, Giovanni Caruso, Ele-na Maiorana, Tuccio Giuffrè, Rosa Spata-

ro, Paolo Parisi, Marcella Giammusso, Giuseppe Pappalardo, Raffaella Montalto,

Giovanni Grasso, Federico Di Fazio, Claudio Gibilisco, Riccardo Orioles, Elio

Impellizzeri, Ignazio Grima, Angelo Mora-les, Pippo Lamartina, Andrea Alba, Matteo Iannitti, Valerio Marletta, Marcello Failla, Alberto Rotondo, Riccardo Gentile, Barba-

ra Crivelli,Massimo Malerba, Enrico Mi-

rabella, Maria Lucia Battiato, Mauro Vi-scuso, Sebastiano Gulisano, Aldo Toscano,

Anna Bonforte, Grazia Loria, Pierpaolo Montalto, Toti Domina, Fabio Gaudioso,

Giovanni Puglisi, Titta Prato, Maria Rosa-ria Boscotrecase, Lucia Aliffi, Fausta La

Monica, Salvatore Pelligra, Anna Interdo-nato, Lucia Sardella, Federica Ragusa, Al-fio Ferrara, Federico Urso, Paolo Castori-na, Giusi Viglianisi, Laura Parisi, Gaetano Pace, Luigi Izzo, Alberta Dionisi, Carmelo

Urzì, Pina De Gaetani, Giusi Mascali, Marcello Tringali, Daniela Carcò, Giulia D’Angelo, Alessandro Veroux, Ionella Pa-

terniti, Francesco Schillirò, Francesco Fa-zio, Tony Fede, Antonio Presti, Luigi Savo-ca, Salvatore D’Antoni, Alessandro Barbe-ra, Vito Fichera, Stefano Veneziano, Pinel-

da Garozzo, Francesca Scardino, Irina Cassaro, Carmelo Russo, Franco Barbuto, Maria Luisa Barcellona, Nicola Musumar-ra, Angela Maria Inferrera, Michele Spata-ro, Giuseppe Foti Rossitto, Irene Cummau-

do, Carla Maria Puglisi, Milena Pizzo, Ada Mollica, Maria Ficara, Rosanna Aiel-lo, Rosamaria Costanzo, Mario Iraci, Giu-seppe Strazzulla, M. C. Pagana, Vincenzo Tedeschi, Nunzio Cinquemani, Francesco

Giuffrida, Maria Concetta Tringali, Maria Laura Sultana, Giovanni Repetto, Giusi

Santonocito, Marco Sciuto, Tiziana Cosen-tino, Emma Baeri, Renato Scifo, Luca Can-gemi, Elisa Russo, Angela Ciccia, Alfio Fi-chera, Giampiero Gobbi, Domenico Stimo-lo, Piero Cannistraci, Roberto Visalli, Ma-rio Bonica, Claudio Fava, Giancarlo Con-soli, Maria Giovanna Italia, Riccardo Oc-

chipinti, Giuseppe Gambera, Orazio Aloisi, Antonio Napoli, Giovanni Maria Consoli,

Elsa Monteleone, Francesco Minnella, An-tonia Cosentino, Sigismonda Bertini, Giusi

D’Angelo, Lucia Coco, Fabrizio Frixa, Santina Sconza, Felice Rappazzo, Concetto

De Luca, Maria Luisa Nocerino, Alessio Leonardi, Renato Camarda, Angelo Borzì,

Chiara Arena, Alberto Frosina, Gianfranco Faillaci, Daniela Scalia, Lucia Lorella

Lombardo, Pippo Impellizzeri, Giuseppe Malaponte, Antonio Mazzeo, Marco Luppi, Ezio Tancini, Aldo Cirmi, Luca Lecardane, Rocco Ministeri, Gabriele Savoca, Fulvia

Privitera, Daniela Trombetta, Vanessa Marchese, Edoardo Boi, Stefano Leonardi,

Ivano Luca, Maria Crivelli, Guglielmo Rappoccio, Grazia Rannisi, Elio Camilleri,

Rosanna Fiume, Alfio Furnari, Claudia Urzi, Luigi Zaccaro, Daniela Di Dio, Gigi Cascone, Ettore Palazzolo, Nunzio Cosen-

tino, Matilde Mangano, Andrea D'Urso, Daniela Pagana, Stefania Zingale, Concet-ta Calcerano, Luana Vita, Maria Scaccia-

noce, Costantino Laureanti, Pierangelo Spadaro, Paola Sardella, Luisa Gentile,

Antonio Salemi, Antonino Sgroi…

|| 12 febbraio 2011 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||

Page 5: Ucuntu n.103

Chi si ribella e chi no Chi si ribella e chi no

Siamo più schiavi di quelliche hanno fatto le piramidi

Vent'anni di teleberlusconismo ci hanno ridotto cosìVent'anni di teleberlusconismo ci hanno ridotto così

Grecia, Tunisia e ora l'Egitto si ribellano a questo titanic dell'economia, dove la terza classe affoga senza scialuppe mentre in pri-ma classe l'orchestrina dei media suona le trombe della propaganda. Cosa ci vuole per farci reagire?

Il teatrino della finta democrazia sta get-tando la maschera: i nostri sistemi di gover-no sono più simili alle aristocrazie dell'800 che all'ideale di "governo del popolo" del-l'antica Grecia.

E sono stati proprio i Greci i primi a ri-bellarsi, seguiti a ruota dai tunisini e ora anche dagli egiziani, che stanno rialzando la testa dopo anni di regime, registrando nell'intellighenzia ribelle nostrana solo un tiepido sostegno, a conferma che l'unica ri-voluzione popolare accettabile per l'antisi-stema è quella fatta con garbo e buona edu-cazione, senza scalmanarsi troppo e possi-bilmente passando per le procure e i talk-show televisivi.

Ma oggi più che mai è ben chiaro chi è il nemico che abbiamo davanti, e non si tratta di un nano pelato mafioso e massone con evidenti disturbi del comportamento a li-vello sessuale e relazionale. Il vero bersa-glio per chiunque abbia a cuore la propria sopravvivenza e il proprio futuro è quell'in-treccio trasversale e bipartisan di cricche, lobby, micropotentati e gruppi di potere che stanno spolpando l'Italia dall'interno, e get-tano le basi per un probabile collasso socia-le ed economico che ci porterebbe a scan-narci tra di noi in una situazione simile a quella della Yugoslavia, dove altri cacicchi e signori della guerra hanno camminato sui cadaveri dei loro connazionali per costruire i propri personalissimi potentati economici.

Pensate davvero che gente pronta a tra-sformare i lavoratori in schiavi per il pro-prio tornaconto avrebbe scrupoli a farli di-ventare carne da cannone? Siete ancora così illusi sulla bontà, nobiltà, civiltà ed educazione di una casta che ha tenuto per le palle un'intera nazione a cavallo di due millenni?

Non sentite echeggiare nell'aria la voce di Fantozzi che dice "com'è umano lei..." ad ogni ossequio riservato a queste bande di malfattori?

I traditori della patria che vanno messi in condizione di non nuocere prima di trasci-narci in una guerra civile sono gli esponenti di quella nobiltà capitalista che vuole ru-barci i soldi di tasca in mille modi, suc-chiando ogni centesimo prodotto dal nostro lavoro.

Sono i banchieri ladri che ci hanno rubato i risparmi vendendoci carta straccia certificata da consulenti prezzolati e spacciata per investimenti sicuri, sono gli strozzini che mettono il cappio dei mutui al collo di chiunque sogni di dare un tetto alla propria famiglia, sono i padroncini di turno e le loro marionette piazzate in parlamento, che rubano i soldi delle nostre tasse e pre-dicano il libero mercato attaccandosi alla tetta delle provvidenze statali, sono i poten-tati mercantili, quelli che ci truffano con i loro prodotti fuffa ogni volta che compria-mo cose inutili, usiamo cellulari a tariffe demenziali, compriamo biglietti carissimi per trasporti scadenti, facciamo benzina a prezzi gonfiati, assicuriamo per cifre assur-de macchine di cui non riusciremo mai a completare le rate.

E sono anche i finti intellettuali antisistema che nel sistema ci sguazzano e

ci vivono alla grande, pronti a storcere il naso col loro perbenismo ipocrita appena qualcuno si fa scappare un fischio, una pernacchia, un fumogeno, un graffito sui muri o un atto di ribellione non controllabile dalla retorica del ribellismo al caviale.

Li avete davanti agli occhi, sono tutti lì: Confindustria, massoneria, cartelli bancari e assicurativi, grandi capitali, partiti di go-verno e di finta opposizione, sindacati gialli e giallorossi, capi e capetti della finta alter-nativa, borghesucci a pancia piena incistiti nelle loro rendite di posizione. Li trovate dovunque, e li riconoscete facilmente per-ché sono vecchi, hanno il culo parato, non hanno mai avuto problemi di soldi e osta-colano con tutti gli strumenti a loro disposi-zione ogni possibile iniziativa dal basso.

Dopo aver spinto pietroni per secoli, e in-ghiottito bile durante l'oppressione, oggi gli egiziani si stanno finalmente ribellando a chiunque voglia negare il loro diritto di co-struire liberamente il propro destino. E noi, che da rincoglioniti o da indignati restiamo comunque zitti e buoni davanti alla TV e ben lontani da piazze troppo rumorose e maleducate per i nostri gusti, stiamo dimo-strando di essere mentalmente e cultural-mente più schiavi dei loro antenati.

Non cercate ricette da proporre, ognuno faccia del suo senza aspettare guru, capi, leader o condottieri. Noi stiamo facendo una rivista dove abbiamo cacciato via a cal-ci in culo i padroni, le banche, i partiti e la pubblicità, per un'editoria di alto profilo a dispetto della bassa tiratura. Voi rimbocca-tevi le maniche e fate anche voi ciò che sa-pete fare meglio. Poi scriveteci e noi lo rac-contiamo.

Se proprio non sapete che fare, abbonate-vi a Mamma! (www.mamma.am/abbonati) e magari leggendoci vi verranno in mente idee meravigliose. A me, per esempio, l'i-dea di questo articolo è venuta in mente guardando una vignetta di Mauro Biani.

Carlo Gubitosa

|| 12 febbraio 2011 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||

Page 6: Ucuntu n.103

Inchieste Inchieste

La mafia, Sigonellae i Lombardo Brothers

Affari nella base americanaAffari nella base americana

Un affare da centinaia di milioni di euro, la realizzazione a Belpasso, in provincia di Catania, di un nuovo villaggio per i militari della base di Sigonella. In pista ci sono pro-prio tutti: una grande impresa edile che ha fatto della Sicilia il suo Eldorado, il profes-sionista-cerniera tra legale e illegale, il boss di una cosca mafiosa, l’intero stato maggio-re del movimento politico del governatore dell’isola, Raffaele Lombardo. Il progetto, però, incide su un terreno ad alto rischio idrogeologico e qualche funzionario locale storce il muso. Ma da Palazzo dei Norman-ni arriva un suggerimento: “Ci pensi l’ami-co di Catania a risolvere ‘sta storia!”.

All’ennesimo scempio edilizio ordito per accaparrarsi l’oro americano di Sigonella è dedicato uno dei capitoli dell’ultima inchie-sta su mafia e appalti in Sicilia orientale (Operazione Iblis), che nel novembre 2010 ha visto la procura distrettuale antimafia di Catania emettere 48 mandati di custodia cautelare contro politici, amministratori, imprenditori e boss mafiosi. A predisporre il progetto, la SAFAB - Società Appalti e Forniture per Acquedotti e Bonifiche, Spa con sede a Roma e un invidiabile portafo-glio lavori in Sicilia, dal parcheggio multi-piano del Palazzo di Giustizia di Palermo all’ampliamento della strada Gela-Aragona, dai lavori di costruzione della diga Desueri di Gela e delle reti irrigue dell’invaso di Lentini alla realizzazione di un termovalo-rizzatore e due discariche rifiuti a Bello-lampo (Palermo).

In vista dei lavori per il complesso USA, la SAFAB aveva costituito due società, la Volcano Housing e la Volcano Inn , nelle quali aveva una partecipazione Paolo Ciar-rocca, ex membro del consiglio d’ammini-strazione e direttore tecnico dell’azienda madre. “Fatte le società con i proprietari dei terreni - ha raccontato Ciarrocca – il progetto però si era arenato presso l’ufficio del Genio civile di Catania perché vi era un conflitto di competenza con l’Assessorato regionale territorio ed ambiente anche in relazione al mutamento di destinazione d’u-so dei terreni”. L’ufficio del Genio civile non aveva rilasciato le necessarie autorizza-zioni in quanto il terreno in cui doveva sor-gere il residence risultava particolarmente predisposto a dissesto idrogeologico, iden-

tificato a “pericolosità P2”, cioè a “probabi-lità elevata di riattivazione dei fenomeni franosi quiescenti e inattivi”.

Al fine di agevolare la SAFAB nel porta-re a termine l’affaire di Sigonella fu chiesto l’intervento del geologo di Aci Castello, Giovanni Barbagallo, militante dell’Mpa (il Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo) e, secondo gli inquirenti, perso-naggio legato agli “esponenti di primo pia-no della criminalità organizzata catanese e, specialmente, con Vincenzo Aiello, reggen-te provinciale di Cosa Nostra”.

Tramite Barbagallo, gli amministratori della SAFAB entravano in contatto con i dirigenti dell’ufficio del Genio civile di Ca-tania e con alcuni uomini politici, “quali l’on. Angelo Lombardo o il presidente della Regione Raffaele Lombardo”. “Il dottor Barbagallo si è occupato di seguire la prati-ca presso il Genio civile, anzi ricordo che mi disse che l’ingegnere capo, in quanto iscritto all’MPA, era particolarmente sensi-bile alle indicazioni dei suoi politici di rife-rimento”, ha spiegato Paolo Ciarrocca. “Barbagallo mi disse che sarebbe stato op-portuno prendere contatti con un politico e poiché all’opera era comunque interessata l’amministrazione regionale siciliana, mi suggerì di prendere contatti con Angelo Lombardo dal momento che, mi disse, che parlare con lui era come parlare con suo fratello Raffaele, che invece era molto im-pegnato essendo stato eletto da pochissimo tempo ed era sostanzialmente irraggiungi-bile”. L’on. Angelo Lombardo aveva appe-na assunto l’incarico di segretario di Presi-denza della Camera e di membro della Commissione parlamentare difesa.

Fu lo stesso Barbagallo a procurare al di-rettore tecnico della società di costruzioni un primo appuntamento con il parlamenta-re, subito dopo le elezioni del 2008. “An-dammo presso la segreteria di Catania, ma non riuscimmo a parlare con Lombardo per l’eccessiva confusione”, ha raccontato Ciarrocca. “Ricordo che Barbagallo entrò da solo nella stanza dell’onorevole e che subito dopo uscì e mi disse che sarebbe sta-to meglio incontrarlo con più calma a Roma. In effetti qualche giorno dopo presi appuntamento con la sua segreteria romana, ed ebbi l’incontro. Spiegai al Lombardo i

termini della questione ma non ottenni altro se non generiche assicurazioni di disponibilità e la promessa di parlarne con il fratello e di farmi incontrare il capo del Genio civile di Catania, ingegnere Ragusa. Incontrai il Lombardo in altra occasione, sempre presso la sua segreteria romana. Mi suggerì di presentarmi ad un convegno del partito che si sarebbe tenuto presso l’hotel Marriot a Roma qualche tempo dopo. Nel febbraio 2009, andai al convegno, parlai con l’ingegner Ragusa alla presenza di An-gelo Lombardo, ma il Ragusa mi disse che non sarebbe stato possibile in alcun modo autorizzare il cambio di destinazione urba-nistica dell’area perché si trattava di zona a rischio esondazione. Il rischio paventato dall’ingegnere capo del Genio civile era del tutto inesistente e peraltro nel luogo esiste un altro villaggio degli americani”.

Prima ancora d’incontrarsi con Lombar-do, Paolo Ciarrocca aveva tentato di risol-vere il problema relativo ai terreni di Bel-passo con l’allora assessore regionale al territorio e ambiente, Rosanna Interlandi, segretaria provinciale dell’MPA a Caltanis-setta. “ La Interlandi mi fece incontrare il suo capo di Gabinetto che mi confermò che la competenza era effettivamente del Genio civile di Catania”, ha aggiunto Ciarrocca. Intanto si facevano più “frequenti” i contat-ti tra l’assessore regionale, tale Salvatore Cavaleri (persona di sua stretta fiducia), il geologo Barbagallo e i dirigenti della SA-FAB.

Il 16 maggio 2008 Giovanni Barbagallo comunicava telefonicamente all’ingegnere Fabio Vargiu, direttore dei cantieri della società romana, di essere riuscito a fissare un appuntamento a Catania con Angelo Lombardo. “Ho anche parlato con un mio amico, il geologo Placido, funzionario del Genio civile, proprio colui che sta istruendo la pratica per la realizzazione del villaggio a Belpasso”, aggiungeva Barbagallo. Il professionista si premurava di tenere costantemente aggiornato su tutti gli sviluppi dell’affare pure il “reggente” loca-le di Cosa nostra, Vincenzo Aiello. In parti-colare, nel week-end del 24 e 25 maggio, Barbagallo ospitava nella sua casa di cam-pagna l’Aiello per informarlo sui contatti presi con gli amministratori della SAFAB.

|| 12 febbraio 2011 || pagina 06 || www.ucuntu.org ||

Page 7: Ucuntu n.103

Inchieste Inchieste

“Posso parlare sia con Angelo (Lombar-do) che con l’ex assessore Interlandi, quella di Niscemi”, affermava Barbagallo. “ La Interlandi mi ha mandato una grossa impre-sa di Roma, si chiama SAFAB, è venuto l’amministratore per parlargli, perché deb-bono fare un villaggio per gli americani... Loro sono venuti da me perchè hanno diffi-coltà con il Genio civile e con l’Assessora-to territorio e ambiente e l’Interlandi come assessore non gliel’ha potuti risolvere. Gli ha detto però all’amministratore, l’unico che ti può risolvere questa storia ... una per-sona che è vicina a Raffaele, è Giovanni Barbagallo… E lui mi dice: di lei ci hanno parlato molto bene, cerchiamo una paterni-tà politica.... Una paternità politica ve la do io, non vi preoccupate, gli ho detto. Tanto è vero che io ho parlato con Angelo, gli ho detto: “Angelo vedi che sono venuti quelli, ti interessa la discussione?” Dice: “Sì!...”.

Il 29 maggio 2008 Barbagallo si recava personalmente dal deputato MPA, ottenen-do un appuntamento per i dirigenti SAFAB per il successivo 2 giugno nella segreteria politica di Viale Africa a Catania. All’in-contro, come accertato dai magistrati, avrebbero poi partecipato il geologo, l’on. Lombardo, Paolo Ciarrocca e “forse, altre persone”.I rapporti tra il factotum e i diri-genti della società romana sarebbero poi proseguiti nei giorni successivi. Il 23 giu-gno Barbagallo si incontrava con l’ingegne-re Vargiu nel distributore AGIP che sorge nei pressi della base di Sigonella per poi re-carsi a visitare i terreni destinati ad ospitare il residence per i militari. Undici giorni dopo, in una conversazione telefonica con il geologo, Paolo Ciarrocca ribadiva ancora una volta che “l’interesse primario della SAFAB era risolvere i problemi insorti con il Genio civile” e che “aveva fissato un ap-puntamento a Roma con Angelo Lombar-do”. Nel corso della telefonata, Barbagallo consigliava di ricordare al parlamentare di far prima una telefonata all’ingegnere capo del Genio civile, in modo che poi, andando lui stesso a parlare con i funzionari, “si sarebbe trovato la strada un poco spianata”.

In realtà, l’iter per l’approvazione del progetto si arenava anche a seguito delle gravi vicende giudiziarie che avrebbero colpito da lì a poco la società edile e i suoi

due amministratori-titolari, i fratelli Luigi e Ferdinando Masciotta. A seguito di un’ispe-zione della Prefettura de L’Aquila, il 14 no-vembre 2009, nel cantiere sito sull’altopia-no delle Rocche, veniva ritirato alla SA-FAB il certificato antimafia. A Palermo, in-vece, la società era finita sotto inchiesta per una presunta tangente versata a un funzio-nario dei vigili del fuoco per un collaudo al parcheggio del Tribunale. Nell’agosto 2009 l’ingegnere Fabio Vargiu, Paolo Ciarrocca e i due fratelli Masciotta venivano raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare per il reato di corruzione nei confronti di due fun-zionari del Genio civile di Caltanissetta, de-stinatari di una tangente da 110 mila euro per sovrastimare la cifra che il Consorzio di bonifica di Gela avrebbe dovuto versare alla SAFAB a seguito di un contenzioso ex-tragiudiziale per i lavori alla diga di Disue-ri. Il GIP, nel motivare le esigenze cautela-ri, sottolineava che i Masciotta “cercano pure di accreditarsi con importanti espo-nenti dell'MPA e in particolare col presi-dente della Regione, Lombardo Raffaele”.

Ad allarmare particolarmente gli inqui-renti erano però i “rapporti di natura sinal-lagmatica mantenuti dalla SAFAB con l’or-ganizzazione mafiosa, “tramite Angelo Santapaola prima e Enzo Aiello poi”, i qua-li curavano “da un lato la messa a posto dell’impresa non solo nel catanese ma forse anche a Palermo e, dall’altro, operando af-finché la stessa potesse aggiudicarsi impor-tanti affari, per poi concedere in subappalto vari lavori ad imprenditori organici o co-munque vicini all’associazione medesima”. In un interrogatorio del maggio 1998, an-che l’ex ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra, Angelo Siino, aveva ammesso di aver curato personalmente la “messa a posto” della SAFAB “su incarico del noto mafioso Cataldo Farinella, imprenditore di Gangi”. Gli inquirenti hanno pure accertato che l’impresa romana aveva mantenuto contatti con le associazioni criminali “competenti” per territorio, tramite il costruttore gelese Sandro Missuto. A partire del 2000, le ditte del Missuto erano state impegnate in quasi tutti i lavori effettuati in Sicilia dall’azienda romana. Sandro Missuto si era pure aggiudicato il subappalto per la realizzazione del

termovalorizzatore di Bellolampo e i lavori di scavo nella vicina discarica dove la SAFAB smaltiva illegalmente residui di amianto. In proposito, il collaboratore di giustizia Gaspare Pulizzi, nell’interrogatorio reso il 15 febbraio 2008, riferiva che per i lavori di Bellolampo, l’imprenditore di Gela si era “messo a posto” con la famiglia mafiosa dei Lo Piccolo “tramite Angelo Santapaola”.

Nel luglio 2009 Sandro Missuto veniva arrestato su provvedimento del GIP di Cal-tanissetta per aver “fatto parte dell’associa-zione mafiosa operante in Gela e diretta da Daniele Emmanuello, deceduto il 3 dicem-bre 2007 a seguito di un conflitto a fuoco con la Polizia ”. Particolarmente rilevante per le indagini fu il ritrovamento nell’eso-fago di Emmanuello, durante l’autopsia, di un pezzino che lo stesso aveva ingoiato mentre tentava di sfuggire alle forze del-l’ordine, in cui si faceva riferimento a “Sandro”, identificato proprio in Sandro Missuto, ed a dei lavori per una condotta della rete idrica collegata alla diga di De-sueri (altra opera targata SAFAB). Nel cor-so delle indagini è tuttavia emerso che la società romana, prima di “affidarsi” a San-dro Missuto, curava la “messa a posto” dei lavori in Sicilia direttamente tramite il suo amministratore, l’ingegnere Luigi Masciot-ta che - come racconta Missuto al padre in una conversazione ambientale del 2004 - “andava da solo a parlare con i boss di Ca-tania, ai quali portava ingenti somme di de-naro”. In una nota della DIA di Caltanisset-ta, richiamata nell’ordinanza nei confronti di Missuto, compare però un particolare ancora più inquietante. A seguito dell’omicidio del giudice Paolo Borsellino e del personale della sua scorta, veniva accertato che “ la SAFAB aveva affittato, circa dieci giorni prima della strage, un appartamento proprio nella stesso stabile in cui abitava la madre del magistrato in via D’Amelio, avanti al quale fu fatta scoppiare una potente auto-bomba nel 1992”. E non solo. Qualche giorno prima dell’eccidio, scrivono gli inquirenti, “in quell’ appartamento furono attivate due linee telefoniche che, forse, furono utili agli attentatori”.

Antonio Mazzeo

|| 12 febbraio 2011 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||

Page 8: Ucuntu n.103

Inchieste Inchieste

“Hanno sequestrato Paul Getty”“Qui 'ndrangheta Anno Uno”

I primi miliardi della 'ndrangheta in quell'estate del Settantatrè...I primi miliardi della 'ndrangheta in quell'estate del Settantatrè...

Paul Getty III è morto a 54 anni. Rimarrà nella storia il suo sequestro che, nel 1973, segnò l'inzio della trasformazione della 'ndrangheta in una potente holding crimina-le a livello mondiale. Erano i primi anni settanta. Gli anni del decennio nero, delle stragi, del Boia chi molla, del sequestro Moro. E anche gli anni in cui la già poten-tissima organizzazione criminale della 'ndrangheta avvia una nuova industria ed un nuovo metodo per accumulare denaro da investire nel traffico di droga e negli appal-ti, segnando l'avvio di quel processo di in-filtrazione di capitali illegali nell'economia legale che determinerà il fenomeno ancora oggi sottovalutato dell'economafia.

La nuova industria è quella dell'anonima sequestri, che per anni sarà l'artefice di de-cine e decine di sequestri effettuati nell'in-tero territorio nazionale con molti dei se-questrati che, nonostante il riscatto pagato, non ritorneranno più nelle loro case la-sciando affranti per sempre i loro cari.

È la notte fonda del 10 luglio del 1973, una bella notte con un cielo estivo stellato che rende ancora più belle le piazze roma-ne stracolme di giovani “figli dei fiori”, che amano e sognano la libertà, il libero amore, contro le caste e la ricchezza.

Fra questi giovani di Piazza Navona, che si dilettavano a disegnare e vendere piccoli quadretti alla giovanissima età di soli sedici anni, vi era anche Paul Getty III, che vive-va a Roma con la madre, proprietaria di una boutique a Piazza di Spagna. Un giovane che aveva un nome altisonante, era infatti, uno dei quattordici nipoti di Paul Getty I, il magnate del petrolio, l'uomo, nel 1973, più ricco del mondo.

Quella notte il giovane Paul Getty III scompare misteriosamente da Piazza Farne-se, a due passi da Piazza Navona e Campo dei Fiori nel centro storico della città eter-na.. Della scomparsa i giornali dell'epoca ne pubblicano solo qualche riga pensando , inizialmente, ad uno scherzo o ad un tenta-tivo messo in atto dallo stesso giovane con lo scopo di estorcere qualche soldo al ric-chissimo quanto spilorcio nonno. Inizia, in-vece, in realtà, un triste destino di un giova-ne che ha avuto solo la colpa di essere il ni-pote dell'uomo più ricco del mondo e la cui vita è stata solo una immane somma di atroci sofferenze ed immensi dolori.

Da quella notte inizia il sequestro di Paul

Getty III che rimarrà nelle mani dei suoi aguzzini per 158 lunghi ed interminabili giorni.

Esperienza dalla quale il giovane Paul non uscirà mai più. Paul venne rilasciato al-l'alba del 15 dicembre del 1973 sull'auto-strada del Sole all'altezza dello svincolo di Lauria all'esatto confine fra la Calabria e la Basilicata, nella zona del Monte Pollino. Il camionista Antonio Tedesco, che, casual-mente, incontrò il giovane Paul nei pressi dell'autostrada nello stesso posto nel quale qualche giorno prima venne consegnato il riscatto, e che accompagnò il giovane pres-so la locale stazione di polizia, venne inter-vistato dai cronisti di mezzo mondo.

Paul, figlio di genitori seperati, aspettò che la mamma, Gail Harris, con la quale vi-veva arrivasse da Roma per venirlo a pren-dere. Venne rilasciato in pessime condizioni di salute dopo aver subito la mutilazione di un orecchio che venne spedito in una busta alla redazione romana del Messaggero in-sieme a delle ciocche di capelli per dare la prova che il giovane fosse nelle mani dei sequestratori disposti a tutto pur di ottenere il riscatto richiesto direttamente al nonno. Riscatto che inizialmente venne fissato nel-la cifra di due miliardi di lira per poi giun-gere, nel tempo, alla richiesta astronomica per quei tempi di ben dieci miliardi.

Memorabile l'affermazione di Paul Getty senior che appena ricevuta la richiesta del riscatto affermò “Ho ben quattordici nipoti, se pago per uno prima o poi mi rapiscono anche tutti gli altri”.

La prima richiesta di riscatto giunse ai fa-miliari di Paul il 26 luglio, dopo soli 16 giorni dal sequestro, e venne quantificata in due miliardi di lire. A tale richiesta seguì il netto rifiuto di pagare. Seguirono due mesi di apparente silenzio da parte dei sequestra-tori anche se le successive indagini accerte-ranno che nel frattempo vi furono contatti tra emissari dei rapitori con i legali della fa-miglia e si registrò anche l'arrivo a Roma di detective privati e di uomini dell'FBI.

La domenica dell'11 novembre del 1973 l'intera prima pagina de “Il Messaggero” ti-tolava “Il macabro plico arrivato ieri al Messaggero”. Articolo nel quale si docu-mentava minuziosamente l'orrenda decisio-ne presa dai rapitori di mutilare Paul di un orecchio e di spedirlo in una busta insieme a delle ciocche di capelli. Gesto eclatante e

che fece il giro del mondo anche perché era la prima volta in assoluto che si adottava un simile messaggio. Sistema che venne poi emulato e adottato i tanti altri sequestri di persona. Per ironia della sorte ed anche per la nota lentezza dei servizi postali italiani la busta contenente l'orecchio mozzo di Paul che venne spedita da Napoli impiegò ben venti giorni per giungere a Roma. “Se dopo questa lettera non succederà nulla, aspette-rò la morte a soli 17 anni”, scriveva lucida-mente e con una fortissima angoscia il gio-vane Paul costretto a vivere in una lurida e fredda prigione che venne poi ritrovata dal-le forze dell'ordine qualche anno più tardi.

Di ben 1000 miliardi era il patrimonio dei Getty nel 1973 ed il valore della compagnia petrolifera di famiglia raggiungeva quota tremila miliardi, ma , nonostante ciò, molte furono le titubanze nel pagare il riscatto ed addirittura il nono pretese dal nipote la re-stituzione di quanto consegnato con rate a cedenza annuale con l'interesse del 4%.

Ma al di là della vicenda personale di Paul Getty III morto a 54 anni per l'aggra-varsi del suo già grave quadro di salute, qualche giorno fa in Inghilterra nella resi-denza di famiglia nella campagna di Buc-kinghamshire, dopo aver vissuto per ben trent'anni su una sedia a rotelle completa-mente paralizzato e quasi cieco, sordo e non in grado di parlare correttamente, in se-guito ad una overdose di eroina che nel 1981, a 24 anni, gli procurò un ictus deva-stante, a riprova di come non riuscì a supe-rare il trauma del sequestro abbinato al fat-to di aver vissuto in una famiglia dove sia il nono che il padre hanno dimostrato ben poco affetto nei confronti del loro sfortuna-to congiunto, il sequestro di Paul Getty III rappresentò il vero e primo colpo grosso della 'ndrangheta che riuscì ad incamerare ben un milardo e settecento milioni che rappresentarono il primo enorme tesoro dal quale partì la scalata imprenditoriale del-l'organizzazione stessa.

La leggenda metropolitana narra di un in-tero quartiere a sud di Bovalino, paese del-l'entroterra aspromontano, che gli abitanti del tempo, oggi anziani, ricordano e chia-mano ancora “Polghettopoli”.

Un intero quartiere, un'intera via denomi-nata “Via degli Oleandri”, le cui abitazioni , si narra, sembra siano state costruite con i proventi del sequestro.

|| 12 febbraio 2011 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||

Page 9: Ucuntu n.103

Inchieste Inchieste

E non solo le case ma anche l'acquisto di

decine e decine di automezzi pesanti adibiti al trasporto terra con i quali si partecipo' al-l'appalto pubblico di sbancamento per l'al-lora costruenda centrale a carbone che non venne mai costruita. Progetto che poi venne sostituito dalla costruzione del porto di Gioia Tauro che oggi rappresenta uno dei porti commerciali per containers fra i più importanti e strategici d'Europa.

Un duplice obiettivo quello legato al se-questro del secolo dell'hippy d'oro. Quello di reinvestire il denaro per avviare una lu-crosa attività di gestione del traffico di stu-pefacenti che nel 1973 era ancora monopo-lio della mafia siciliana, mentre oggi è mo-nopolio della 'ndrangheta e introdursi nel-l'economia legale creando una economia parallela in grado di dare sollievo a quella popolazione oberata dalla fame, dalla crisi e dall'assoluta mancanza di opportunità di lavoro.

E non di rado gli investigatori hanno po-tuto notare che una buona parte della popo-lazione interessata non solo non ha mai for-nito alcuna collaborazione per cercare di individuare dove fosse tenuto nascosto l'o-staggio, ma si instaurò un fenomeno di fiancheggiamento collettivo che invece era fondamentale per la 'ndrangheta che godeva del consenso popolare. Fiancheggiamento che risultò utile e prezioso anche per i tanti altri sequestri che l'anonima sequestri cala-brese continuò ad organizzare per tutti gli anni settanta.

Una 'ndrangheta in ascesa che godeva del consenso popolare e che poteva contare an-che con una scarsa incisività delle indagine e dell'azione giudiziaria. Non esistevano al-lora né pentiti , né collaboratori di giustizia ed i processi erano spesso dei processi – farsa dove le assoluzioni per insufficienza di prove fioccavano.

Il processo per il rapimento si tenne pres-so il Tribunale di Lagonegro, sede di com-petenza del luogo dove venne ritrovato Paul Getty III e si concluse, nel suo primo grado, nel luglio del 1976. Due furono i condannati, due figure minori, Antonio Mancuso, proprietario dell'auto che traspor-tò materialmente il riscatto e Giuseppe la Manna, guardiano notturno, al quale venne-ro ritrovate alcune delle banconote facenti parte del riscatto. Vennero assolti per insuf-ficienza di prove i veri boss della 'ndran-

gheta calabrese. Personaggi del calibro di Girolamo Piromalli detto “Don Mommo” e Saverio Mammoliti detto “Saro”, che ne hanno fatto la storia. In appello le pene vennero ridimensionate. Il processo ebbe anche una coda a Milano, per decisione della Cassazione ed uno dei due rapitori, per altre vicende criminali, finì internato per un periodo in un famigerato manicomio criminale. Tranne poche banconote il ri-scatto non venne mai più ritrovato.

Paul Getty III dopo solo un anno dal suo rilascio incontra una giovane e bellissima modella tedesca, Gisela Zacher, che spose-rà. Matrimonio che gli costerà il fatto di es-sere diseredato dal nonno che aveva stabili-to che, qualora i suoi nipoti si fossero spo-sati in una età inferiore ai 25 anni, avrebbe-ro perso ogni diritto ereditario. Dal matri-monio nasce un figlio, Balthazar Getty, che vive e lavora ad Hollywood con una discre-ta carriera di attore alle spalle.

Un processo, quello sul sequestro di Paul Getty III che ben dimostra la realtà del tem-po. Una Italia impegnata a fronteggiare al-tre esigenze, come quella del terrorismo. Una nazione che non disdegna il mantenere rapporti occulti con le organizzazioni cri-minali come la mafia siciliana, la banda della Magliana che controlla la città di Roma, ed ovviamente, anche la 'ndrangheta calabrese.

Rapporti che servono da corollario a quella strategia della tensione che negli anni settanta vede coinvolti pezzi deviati dello Stato che sull'altare della ragion di Stato basato sull'anticomunismo nell'ottica della guerra fredda ha tollerato l'espansione di un potere forte sommerso e pericolo come la 'ndrangheta che , comunque, pote-va in alcune situazioni ed operazioni, addi-rittura essere utile alla causa comune.

E fra i personaggi coinvolti nel sequestro che segnò l'avvio della mafia imprenditrice e determinò il salto di qualità da una mafia campestre e rurale in una criminalità eco-nomica organizzata e con forti mire espan-sionistiche di natura economica in tutti e cinque i continenti marita particolare atten-zione Don Saro Mammoliti, da ben nove anni dissociato dall'onorata società.

Figura centrale dell'universo 'ndrangheti-sta insieme a Mommo e Peppino Piromalli, Peppino Pesce, Mico Rugolo e Teodoro Crea determinò l'avvio della nuova fase

espansiva della 'ndrangheta nel controllo del mercato mondiale degli stupefacenti. Sempre circondato da belle donne al punto tale di meritarsi il soprannome di “Playboy della 'ndrangheta” ed appassionato di fiammanti auto sportive amava frequentare i night club più in voga nelle roventi notti romane senza disdegnare qualche capatina nei locali milanesi di Francis Turatello.

Nel 1975, da latitante si sposò. Due agen-ti della Cia lo avvicinarono fingendosi traf-ficanti di eroina e cocaina per acquistare un ingente quantitativo di droga. Don Saro ri-spose che per portare a termine l'operazione era necessario ottenere l'assenso di Don Mommo Piromalli, capo della 'ndrangheta tirrenica, di Don Antonio Macrì, capo della 'ndrangheta ionica e di Paolo Violi capoma-fia a Toronto.

L'ipotesi più accreditata è che il sequestro venne ideato e concepito nell'ambito della federazione dei capi che gestiva l'organiz-zazione nella Piana di Gioia Tauro per la necessità in quel 1973 di reperire fondi da investire soprattutto negli appalti per le grandi opere che stavano sopraggiungendo. Erano gli anni del pacchetto Colombo che approvò per incentivare l'industrializzazio-ne calabrese il grande sogno del quinto cen-tro siderurgico, proprio quando i grandi co-lossi della chimica stavano per vivere la loro più grande crisi

In realtà una buona scusa per far arrivare in Calabria tanti soldi pubblici che serviva-no anche a finanziare in modo occulto par-titi e segreterie politiche dei partiti allora al potere. Occorrevano centinaia di milioni per compre ruspe, mezzi edili e quant'altro per accaparrarsi i lucrosi appalti anche con la complicità dei colletti bianchi della poli-tica dell'epoca. La 'ndrangheta che, allora per la prima volta , diventa impresa.

E tutto ciò legato al destino di un povero giovane, ricco solo per il cognome che portava, che dalla vita non ha avuto nulla, se non sofferenza. Al suo nome e ai soldi del suo avarissimo nonno si legherà per sempre il primo grande processo di trasformazione e di crescita di una potenza economica che, denominata 'ndrangheta, rappresenta oggi, nonostante la perseveran-za nel sottovalutarla, la più grande e temi-bile holding globalizzata del crimine mon-diale.

Gianfranco Bonofiglio

|| 12 febbraio 2011 || pagina 09 || www.ucuntu.org ||

Page 10: Ucuntu n.103

Italiani Italiani

I VOLTI DEL PRIMO MARZOVoci da un'altra ItaliaMarotta&Cafiero editori

Un lunedì di marzo, tiepido perché riscal-dato da un raggiante solo siciliano: uomini, donne, bambini, studenti, lavoratori, corpi che si muovono tra le strade dell'isola, da Siracusa a Catania. E' una manifestazione... è il primo marzo dei mi-granti che vivono e lavorano in Italia.

Lo sciopero, il grido di protesta e di aiuto, le storie, la quotidianità, raccontati nell'arco di ventiquattro ore, dalle prime luci dell'alba alla notte.

Francesco Di Martino, Giuseppe Portuesi, Giorgio Ruta, Massimiliano Perna e Rosario Cauchi descrivono, tra le parole e immagini di questo lavoro, una giornata dedicata al-l'altra Italia: quella che non occupa gli spazi televisivi, quella che si muove con discre-zione, quella che accetta “i lavori che gli ita-liani non vogliono più fare”, quella che si sveglia di notte per 20 o trenta euro.

Una manifestazione illustrata andando an-che oltre le strade che ha attraversato, con approfondimenti generati dalla cronaca e dalle inchieste che interessano o hanno in-teressato, direttamente e indirettamente, i migranti che continuano a scegliere la Sici-lia per rifarsi un'esistenza, per avere un la-voro, per conquistare uno stipendio.

Il tentativo di ricostruire una dimensione, troppo spesso occultata da una penombra talmente opprimente da imporre il silenzio a chi decide di dire basta e di richiedere gli stessi diritti riconosciuti agli altri italiani.

Il testo, insieme al progetto che ne sta alla base e che voi stessi potete sostenere di-ventandone co-produttori, contiene la cro-naca, narrata e fotografata, di quel primo marzo del 2010 e di tante altre storie d'im-migrazione...

L'altra Italia, quella che non viene raccon-tata ma che esiste e chiede dignità.

La produzione dal basso è partita:www.produzionidalbasso.com/pdb_562.htmlwww.ilclandestino.info/primomarzo/

|| 12 febbraio 2011 || pagina 10 || www.ucuntu.org ||

Page 11: Ucuntu n.103

Ragazzi di quartiere Ragazzi di quartiere

Il carcere coi murie quello senza

Una difficile liberazioneUna difficile liberazione

Un pomeriggio di gennaio, Benedetto, un volontario dell'associazione Kerea, mi tele-fona:

“Ci vediamo all'Arci, a Piazza Carlo Al-berto?”

“Si, perché?”. Mi domando.Cammino lungo la strada per arrivarci,

che passa anche da via Etnea (ci troviamo a Catania), quando arrivo sulla Piazza, guar-do i ragazzini che giocano a pallone, e pro-cedo pensieroso.

Appena arrivato, trovo Benedetto, con cui avevo già fatto la festa del Teatro a Li-brino, insieme ad altri compagni, qualche tempo fa.

Mi dice subito:“Il 27 gennaio, la giornata della memoria faresti lo spettacolo “Libri-no”, al carcere minorile di Bicocca?”

“...”. Resto senza parole, ma lo ascolto. Poi, una mezz'ora dopo arriva Silvana Leonforte, che lavora con l'associazione Euro dentro al carcere.

Mi spiegano tutto quello che c'era da sa-pere. Penso subito di avvertire Orazio Con-dorelli e Pippo Scata e Domenico Gugliel-mino; perché con loro, nei mesi scorsi, ho condiviso la responsabilità di testimoniare la mia vita con questo spettacolo.

Ad un certo momento, qualche mese fa, eravamo stati d'accordo nel dire:“Basta Li-brino per adesso”. perché ci erano quasi mancate le forze. Adesso, adesso era il mo-

mento di trovare una motivazione. "Pronto Orazio"!. "Pronto Pippo?". "Ciao

Domenico!Siamo tutti concordi: “Librino é uno

spettacolo per i ragazzini, gli stessi minori che stanno in carcere, si fa, si fa!”.

Dopo una settimana sono arrivate le au-torizzazioni per farci entrare all'interno, vi-sto che il Bicocca é anche un carcere di massima sicurezza, dove c'é un ala riserva-ta ai detenuti maggiorenni sotto il 41 bis.

Il giorno che siamo entrati dentro per fare un sopralluogo, la prima cosa che ci ha col-pito é stato l'ottimo campo da calcio in erba che c'é all'interno del carcere.

Pensando alle strutture fatiscenti che ci sono nei quartieri di periferia, dove la mag-gior parte dei ragazzini detenuti ha vissuto, penso come questo sia un paradosso fortu-nato di questa città: il campo da calcio dove giocare appunto dentro al carcere.

Il campo da costruirsi e il gioco nella strada é poi anche una parte della storia che raccontiamo nella sceneggiatura di Pippo Scatà.

Questi ragazzini sfortunati quello che non hanno trovano fuori, l'hanno trovato qui, all'interno di questa struttura peniten-ziaria, dove stanno scontando la pena per la legge infranta.

Orazio, che é il regista, ed io siamo anda-ti a vedere il teatro, dove viene fatto lo

spettacolo, e siamo rimasti senza parole, perché é un teatro bellissimo e funzionale; a me viene in mente il Teatro Moncada ri-dotto in macerie e scordato dall'amministra-zione comunale.

La mattina dello spettacolo sono emozio-nato. Insieme a Orazio entriamo all'interno per andare verso il teatro; sistemiamo le luci, gonfiamo i palloncini, facciamo quello che si deve fare.

E aspettiamo per qualche minuto intermi-nabile loro, i protagonisti veri, ragazzini dai quindici anni in su, a cui abbiamo il do-vere di raccontare che ci può essere una se-conda possibilità nella vita e anche una ter-za.

“Qui, nascosto, va bene!”. Vado a metter-mi dietro a “quel pilastro” (lo vedete anche voi?) in modo che i ragazzini non mi veda-no da subito, e quando Alessia, una educa-trice del carcere, da il via, loro entrano ad uno ad uno da una scala; e nella platea del teatro, mi guardano con attenzione.

Subitissimamente arrivano i loro com-menti: “ E cu é chistu. Chi voli? ”.

Si accendono le luci del teatro ed inizia la musica di sottofondo (in genere questo é il ruolo di Domenico).Passano i minuti. E questi ragazzini (la maggior parte dei quali sono del mio stesso quartiere, appunto Li-brino) con i loro volti e i loro sguardi, ora in silenzio, ora sorridenti, diventano parte integrante della “nostra” memoria.

Ma sopratutto della mia. Ora andiamo avanti con lo spettacolo; e loro, con i loro commenti li, sento come se fossero sul pal-co con me. Sento, ancora oggi, i loro ap-plausi i loro sorrisi, i loro sguardi, e ritorno con la memoria a tantissimi anni fa, quando anch'io ero un ragazzino ed ero chiuso in un colleggio.

Non mi era mai successo di entrare in un carcere; e per un giorno quei ragazzini mi hanno fatto sentire uno di loro.

Durante la scena della collina, dove dico "Aurora Talia che bellu Librinu di sira. Chiuri l'occhi e pi' n'attumu chiuritili maca-ri voi autri", anche i ragazzini hanno chiuso gli occhi per immaginare un quartiere, che non hanno avuto la fortuna di vedere, con gli aranceti, i vigneti, gli uliveti. Perché non sono andati mai a giocare su quella collina.

Luciano Bruno

|| 12 febbraio 2011 || pagina 11 || www.ucuntu.org ||

Page 12: Ucuntu n.103

Movimenti Movimenti

“Alloranon sapevamodi essere giàcompagni...”

Cominciò così. Quasi otto anni fa, nella provincia siciliana. Con degli amici, allora non sapevamo di essere già compagni, ri-apriamo la sezione cittadina della Sinistra Giovanile, un po’ per curiosità un po’ per diventare grandi. Fare politica era per noi un modo per segnare una differenza rispetto alla quotidianità.

Alla fine, nel 2006, eravamo novanta ragazzi. Nel mezzo ci sono state tante cose: partite a Risiko, la colla per i manifesti , cene a mezzanotte. Erano state grandi emozioni, amici persi, adulti che ci vol-evano emarginare, vittorie e sconfitte. Siamo cresciuti così.

La nascita del Pd, per noi, prima di tutto la conclusione della Sinistra Giovanile è stata dolorosa. Percepivamo stesse finendo qualcosa di grande, sapevamo di andare verso qualcosa di al-trettanto importante. Avevamo paura e abbiamo accettato la sfida.

Dopo qualche anno i Giovani De-mocratici comincia-no ad assomigliare all’idea che abbiamo di politica. Attorno a noi sfidiamo ogni giorno il disinteresse o il riflusso in co-mode nicchie, cer-cando di parlare del-la nostra generazio-ne, andando nei luo-

ghi dove i giovani vivono, studiano e pro-vano a lavorare.

A Pomigliano e Mirafiori abbiamo detto guardate che qui cambia tutto, non è pro-gresso la cancellazione dei diritti, compito della sinistra è stare con i lavoratori. Siamo stati a L’Aquila, Rosarno e Lampedusa, quando i giornali avevano ripreso ad occu-parsi di Montecarlo e ballerine. Le estati passate a spillare birre alle feste dell’Unità, la notte prima del congresso cittadino a scrivere documenti rileggendo Foa e Don Milani, le collaborazioni con l’Arci e le partite di calcetto con i nuovi italiani.

L’autunno studentesco siamo stati in piazza, discutendo con chi giocava a fare l’autonomo e con i deputati per scrivere le mozioni, poi a sentire Bersani, la Camusso

al comizio a Piazza S. Giovanni e Napolita-no il 31 dicembre. All’occupazione del ci-nema Vicari a Palermo, con le tende da campeggio in centro a Torino.

Ci scontriamo con il concetto comune di politica come desiderio di privilegi o di un uomo che da solo risolva i problemi. Muri duri da buttare giù. Anche per questo mal sopportiamo l’idea che rottamare significhi rimozione scientifica, volontaria, del passa-to, della nostra storia.

Nessuno ci ha ancora convinto che sputa-re sul sindacato o sul partito, su chi è venu-to prima di noi, sia segno di modernità. Ab-biamo provato ad affermare militanza e ap-partenenza in un partito che dall’inizio si è immaginato riunione estemporanea di citta-dini, riflesso di una società liquida e senza conflitti.

Ci abbiamo provato: oggi quel partito di fronte alle dure repliche della realtà è co-stretto a ripensare se stesso; noi abbiamo più di mille sezioni e cinquantamila iscritti. Una comunità politica, questo stiamo pro-vando a costruire. Questo, l’ha spiegato meglio di me un altro compagno: “La pa-rola compagno fa parte del nostro vocabo-lario. Rappresenta il senso che abbiamo della comunità, soprattutto se c’è un paese intorno dove chi lavora va incontro al licen-ziamento ed è costretto a rinunciare ai dirit-ti. Compagno esprime quella cultura di si-nistra in grado di tenere insieme i problemi quotidiani e quelli del mondo, le questioni del proprio quartiere e i conflitti globali. Compagni sono quelle persone capaci di far questo”.

Federico Nastasi

|| 12 febbraio 2011 || pagina 12 || www.ucuntu.org ||

“Cominciò così, nella provincia siciliana...”. La scoperta“Cominciò così, nella provincia siciliana...”. La scoperta della politica nella storia di un giovane militante del Pddella politica nella storia di un giovane militante del Pd

Page 13: Ucuntu n.103

In questo Stato In questo Stato

Ospedaledi ModicaImmondiziee silenzi

Al Presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo

All'Assessore alla Salute della RegioneMassimo Russo

Al Direttore Generale dell'Asp 7di Ragusa Ettore Gilotta

Al Direttore Sanitario dell'Ospedale Maggiore di Modica Piero Bonomo

Alla Procura della Repubblica di Modica

Gentile Assessore Massimo Russo,non pensavamo di doverci rivolgere a Lei

per una questione riguardante la nostra Pro-vincia, quella di Ragusa, ma, nonostante le richieste e le domande avanzate nell’ultimo mese a chi di dovere, ci preme particolar-mente portare alla sua attenzione un fatto veramente increscioso, di cui forse è già a conoscenza tramite altri media. La nostra inchiesta sull’Ospedale Maggiore di Modi-ca, sulla mancanza di sicurezza e sulla pre-senza di rifiuti di ogni genere nei sotterra-nei del nosocomio modicano, ha suscitato numerose polemiche. Tantissimi cittadini, organizzazioni e istituzioni politiche si sono interrogati sull’igiene dell’Ospedale: abbiamo documentato con foto e video le condizioni fatiscenti di alcuni locali sanita-ri, la possibilità di manomettere i quadri elettrici di tutta la struttura, la presenza di rifiuti tossici abbandonati e non dismessi o ancora di apparecchiature elettroniche la-sciate per mesi in un corridoio, con la non curanza dei relativi protocolli di smaltimen-to. Insieme ai tanti cittadini che hanno ma-nifestato il loro disappunto in merito, ab-biamo chiesto delle risposte ai vertici sani-tari, a coloro che hanno il dovere di gestire quello che concerne la sanità ragusana. Il direttore generale dell’Asp di Ragusa, dott. Ettore Gilotta e il direttore sanitario del no-socomio modicano, dott. Piero Bonomo, però, invece di rispondere agli interrogativi posti dalla nostra inchiesta e soddisfare i sani dubbi della cittadinanza, hanno prefe-rito dar “mandato di predisporre un esposto – querela” per violazione di domicilio e procurato allarme. Delle accuse mosse nei nostri confronti risponderemo, eventual-mente, in Tribunale, ma dobbiamo comun-

que affermare, in nome di una corretta in-formazione, che non abbiamo forzato nes-suna porta né infranto alcun divieto, come sostiene invece l’Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa. Il vero problema, in-vece, rimane un altro. Pensiamo infatti sia doveroso e d’obbligo dare delle risposte in merito. La presenza di rifiuti di vario tipo in quella parte di ospedale rispetta i proto-colli previsti per lo smaltimento dei rifiuti? La presenza di rifiuti speciali abbandonati è consona all’ambiente in questione? Come si giustifica la presenza, tra l’immondizia, di apparecchi ancora imballati? Si può par-lare di sicurezza guardando lo stato di de-grado in cui versano le tubature? Le infil-trazioni d’acqua che abbiamo rinvenuto in gran parte della struttura potrebbero signifi-care che i lavori di manutenzione, in questi ultimi mesi/anni, non sono stati fatti nella maniera più opportuna?

Ma soprattutto, può non essere pericolosa la presenza di acqua sotto i quadri elettrici e la possibilità, per chiunque, di poter entrare e manometterli, arrecando un danno enorme alla salute degli utenti? Ad oggi non abbiamo nessuna notizia sullo stato attuale dell’ambiente sanitario in questione: nessun comunicato né tantomeno alcuna dichiarazione è stata fatta in merito nelle ultime settimane, quindi è lecito domandarsi se, dopo le polemiche sollevate, l’area sia stata ripulita, sistemata e accuratamente chiusa.

Gli interrogativi, come può ben leggere, assessore Russo, sono davvero tanti e im-portanti. La questione è rilevante per tutta la collettività e, mostrare poca attenzione a tutto ciò, non può che andare a scapito della salute dei cittadini.

Certi di un Suo riscontro sul caso, Le porgiamo i nostri distinti saluti

La redazione deIl Clandestino

Lo scempio diParco Falconemetaforadella cittàLo scempio di Parco Falcone è metafora

della nostra città.Ci siamo battuti negli anni '90 per strap-

pare quel terreno a Santapaola e alla mafia, e quel po' di verde, in mezzo al caotico traf-fico cittadino, era diventato il simbolo della rinascita di Catania.

Ora tutto sta per essere distrutto dalla sfrontatezza dei vandali, dalla incuria dei cittadini, dal disinteresse dell’Amministra-zione.

Come vent'anni fa, lanciamo un appello agli abitanti di viale Raffaello Sanzio, di via Giuffrida e delle vie adiacenti, ad uscire dalle proprie case per difendere i beni di tutti.

Città InsiemeCatania

“Dormitranquillo,popolo italiano...”

(Tovata l'altra mattina sullastatua di Pasquino a Roma)

Mentre ch'er Ber Paese se sprofonnatra frane, teremoti, innondazzionimentre che so' finiti li mijionipe turà un deficì de la Madonna

Mentre scole e musei cadeno a pezzie l'atenei nun c'hanno più quadrinipe' la ricerca, e i cervelli ppiù finivanno in artre nazzioni a cercà i mezzi

Mentre li fessi pagheno le tassee se rubba e se imbrojia a tutto spianoe le pensioni so' sempre ppiù basse

Una luce s'è accesa nella notte.Dormi tranquillo, popolo itajiano,A noi ce sarveranno le mignotte.

|| 12 febbraio 2011 || pagina 13 || www.ucuntu.org ||

Page 14: Ucuntu n.103

Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

La Dc in Siciliadal milazzismoa Ciancimino

SILVIO MILAZZOOPERAZIONE SICILIA

Il 23 ottobre 1958 l’ARS elesse Silvio Milazzo Presidente della Regione con il concorso dei voti comunisti, neofascisti e con il sostegno dei dissidenti della DC co-stituitisi in raggruppamento autonomo con la denominazione di Unione Siciliana Cri-stiano Sociale.

Si tentò di riprendere lo slancio autono-mistico e di contrastare l’invadenza sempre più soffocante del capitale del Nord. Per realizzare tale progetto era necessario

“favorire la formazione di un largo fronte autonomistico alternativo, senza esitare a stabilire rapporti di alleanza sia con i catto-lici siciliani in rotta con le posizioni della Segreteria nazionale del loro partito, sia con le forze di opposizione di destra guida-te dai neofascisti del MSI e dei monarchici”. (G. C. Marino. Storia della mafia. Roma.Newton Compton. 1998. pag. 230)

Si voleva, altresì, incoraggiare l’impren-ditoria siciliana finanziata dalla Regione stessa, denunciando la DC siciliana di esse-re succube e al servizio del capitale del Nord ed il principale ostacolo al consolida-mento dell’istituto autonomistico.

Macaluso e Milazzo videro in Domenico La Cavera e nella Sicindustria, antagonista

della Confindustria e dei monopoli del Nord l’interlocutore privilegiato.

I metodi utilizzati, però, per conseguire gli ambiziosi obiettivi della rinascita eco-nomica e politica della Sicilia non furono per nulla adeguati, né condivisibili.

In sostanza Milazzo non si accorse di es-sere un burattino nelle mani della mafia (Concetto Gallo), della massoneria (Vito Guarrasi), dei cugini Nino e Ignazio Salvo, esattori delle imposte per conto della Re-gione e del trio fanfaniano Lima – Gioia –Ciancimino pronto, ormai, a dare il via al “sacco di Palermo”.

Fenomeni di clientelismo, corruzione, spartizione e mercato di poltrone negli ap-parati burocratici fecero affondare in meno di due anni l’ “operazione Sicilia”. Scom-parve l’antimafia politica e ogni differenza tra destra e sinistra, tra mafiosi e antimafio-si, tra liberali e socialisti, Emersero trasfor-misti e opportunisti, ruffiani e portaborse, voltagabbana e accattoni d'alto borgo; le “ragioni” dei centralisti e dei monopoli del nord la ebbero vinta ancora una volta...

L'IMPOSSIBILE ANTIMAFIADEMOCRISTIANA

Monarchici e fascisti nostalgici, mafiosi e massoni, comunisti e capitalisti, ciascuno con un proprio ruolo e copione, avevano

rappresentato nel teatro della politica l’“operazione Sicilia” con tutto il suo tragi-co squallore e non fu facile, per così dire, rimettere tutto a posto.

Ci si ricordò, allora, che la DC era un partito anticomunista e che una protesta, anche se solo morale, contro la mafia pote-va essere opportuna ed utile per rifarsi un’immagine di pulizia e di legalità, per ri-farsi “il trucco”, insomma.

Ecco, allora, il buon Giuseppe D’Angelo da Calascibetta, avversario di Milazzo, dei cugini Nino ed Ignazio Salvo, del trio fan-faniano Lima – Gioia Ciancimino.

Nel 1962 fu eletto Presidente della Re-gione con i voti dei socialisti guidati da Salvatore Lauricella, anche lui avversario di Silvio Milazzo. Il buon D’Angelo pensa-va che la mafia si sarebbe potuta vincere con le buone intenzioni ed azioni di ammi-nistratori e politici onesti, con il coinvolgi-mento morale dell’opinione pubblica, non capì, insomma, che per liberarsi della ma-fia, doveva liberarsi della sua stessa DC.

Il suo astratto moralismo contro la mafia valeva come l’aspirina contro il cancro, cioè nulla.

Il buon D’Angelo era anche un tenace ed irriducibile anticomunista e ciò gli impedì di andare oltre i socialisti, di cercare nelle masse popolari consensi e sponde nella lot-ta contro la mafia.

|| 12 febbraio 2011 || pagina 14 || www.ucuntu.org ||

”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva epiacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva e la cronaca è morta. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore,la cronaca è morta. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento antiche è un vecchio militante del movimento antimafia: ma forse non siamo d'accormafia: ma forse non siamo d'accordo. La storia èdo. La storia è un insieme di cronache di tante persoun insieme di cronache di tante persone comuni. E tutte diventano anne comuni. E tutte diventano anch'esse storia, prima o poi.ch'esse storia, prima o poi. ComunComunque, ecco le storie che Elio Camilleri fa girare su internet. Antiche e attualisque, ecco le storie che Elio Camilleri fa girare su internet. Antiche e attualissime, sicilianesime, siciliane

<< Mi piacerebbe tanto tanto che i destinatari "adulti" delle mie scheggele facessero leggere ai giovani e che i destinatari "giovani” le facessero leggere agli adulti >>

[email protected]

Page 15: Ucuntu n.103

Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

Non si poteva essere, contemporanea-mente, antimafiosi ed anticomunisti, ciò serviva solo a produrre contro di lui un’op-posizione mafiosa ed una comunista.

L’alleanza con i socialisti gli procurò, in-fine, l’opposizione delle destre ostili al cen-trosinistra.

Stretto in un angolo dalle opposizioni ed isolato nel suo stesso partito, riuscì, co-munque, a far votare, all’unanimità, dal-l’ARS una mozione per chiedere l’istituzio-ne di una Commissione parlamentare d’in-chiesta sulla mafia.

Erano ancora in molti a dire che la mafia era un’invenzione dei comunisti per deni-grare la Sicilia e fu così che il buon Giu-seppe D’Angelo da Calascibetta non fu neanche rieletto.

I TERRIBILIANNI SESSANTA

Gli anni sessanta saranno pure rimasti, nell’immaginario collettivo dei ragazzi di

allora, i “favolosi anni sessanta”, ma in Si-cilia tanto “favolosi” non furono di certo per quei 624 mila siciliani che, tra il 1961 ed il 1971, lasciarono le loro case, la fami-glia, il paese per andare a lavorare al Nord o in Germania o in Belgio o in Svizzera.

Già nel decennio precedente altri 386 mila siciliani avevano affollato le periferie delle città del Nord e allora si può dire che la Sicilia degli anni sessanta non era più la stessa perché ad essa mancarono un milio-ne di abitanti, il 25% del totale.

Fu la più radicale riforma sociale mai effettuata, una riforma “passiva”, si capisce bene, un “miracolo economico” a rovescio.

Né furono “favolosi” dal punto di vista della qualità e dell’efficienza della classe politica di governo; dal settembre del 1961 al giugno del 1971 si susseguirono, infatti, ben 17 governi: sei guidati da D’Angelo, tre da Coniglio, uno da Giummarra che durò solo 40 giorni, due da Carollo e cin-que da Fasino.

Nello stesso periodo la politica dovette

gestire ben sei tornate elettorali, di cui tre regionali e tre nazionali e se si pensa che le crisi di governo e le campagna elettorale rallentano e, talvolta, bloccano l’attività po-litica, si capisce bene che per dieci anni mancò un’azione di governo che fosse ef-fettiva, coerente ed efficace.

Negli anni sessanta cessò il terrorismo mafioso contro i contadini anche perché il latifondo non esisteva più, i contadini se ne erano andati e gabelloti, campieri e sovra-stanti si erano trasferiti in città nel nuovo ed attraente “affare” del cemento.

I poliziotti, tranne che ad Avola, non spa-rarono più sugli scioperanti perché anche in Sicilia fu riconosciuto Lo Statuto dei lavo-ratori.

“Nella Sicilia degli anni sessanta tutto non era cambiato e non tutto era rimasto quello di prima”. (Francesco Renda. Storia della Sicilia. Palermo. Sellerio. Vol. III. Pag. 473)

|| 12 febbraio 2011 || pagina 15 || www.ucuntu.org ||

Page 16: Ucuntu n.103

Agenda Agenda

PremioreportageNapoli Monitor

“Napoli Monitor” è un mensile indipen-dente che esce con regolarità dal gennaio del 2007. È distribuito tra Napoli e provin-cia, e in alcune librerie delle principali città italiane. Ha una redazione nei Quartieri Spagnoli a Napoli, in via Concordia 72, e un blog (www.napolimonitor.it). Il giornale si finanzia con le vendite, gli abbonamenti, la pubblicità e l’appoggio dei sostenitori. Sul giornale di carta ci sono molti disegni, su quello in rete anche molte fotografie.

Il reportage è il genere che pratichiamo più assiduamente. Per chi dispone di pochi mezzi il modo migliore per raccontare una storia è quello di fidarsi dei propri sensi: andare a vedere con i propri occhi, ascolta-re con le proprie orecchie, toccare con mano. Per noi il reportage è quella cosa a metà tra giornalismo e letteratura che ci consente di descrivere la realtà con suffi-ciente libertà e ci chiede in cambio respon-sabilità, precisione e profondità. Con que-sto bando vogliamo condividere la nostra ricerca e promuovere la conoscenza critica del mondo che ci circonda.

Il concorso è per tre diverse forme di re-portage: scritto, fotografico, disegnato.

Termine invio elaborati: 4 marzo 2011.Ogni partecipante potrà concorrere in una

sola delle tre sezioni, con un solo elaborato per sezione. Ammessi anche lavori non ine-diti e candidature collettive.

- Per la sezione “reportage scritto”, testi fra 12mila e 20mila battute (spazi inclusi).

- Per la sezione “reportage fotografico”, 20 foto a colori o bianco/nero, jpg, con bre-ve testo introduttivo (max 3mila battute).

- Per la sezione “reportage disegnato” sono ammesse opere in formato A4 da un minimo di 8 a un massimo di 30 pagine.

Le opere devono essere inviate via e-mail all’indirizzo [email protected] in formato Pdf per i testi e jpg (provvisoria-mente anche in bassa risoluzione) per le fotografie e i disegni, riportando nell’og-getto la dicitura “PARTECIPAZIONE PRE-MIO REPORTAGE NAPOLI MONITOR”.

Va allegata una scheda di presentazione autore con: nome e cognome/ data e luogo di nascita/ brevi notizie autobiografiche/ domicilio/ recapito telefonico/ indirizzo e-mail/ dichiarazione con cui si attesti: la pie-na paternità dell’opera, l’assenza di diritti detenuti da terzi e di vincoli di copyright, il consenso al trattamento e alla comunicazio-ne dei propri dati personali unicamente per gli scopi inerenti al concorso.

I promotori si riservano il diritto di usare

articoli, foto e disegni pervenuti per la co-stituzione di un archivio e per la realizza-zione di materiale illustrativo per promuo-vere il premio e le iniziative collegate. Il materiale inviato non sarà restituito.

La giuria è composta da tre giurati, uno per sezione. La redazione di “Napoli Moni-tor” procederà a una preselezione , sottopo-nendo ai giurati tre opere per ogni sezione. Tra queste, ciascun giurato sceglierà il vin-citore. I giurati sono: per i testi Riccardo Orioles, per la fotografia Antonio Biasiucci, per i disegni Oreste Zevola.

Premi: Sezione reportage scritto: Un buo-no libro da 300 euro da spendere nelle li-brerie “Il Punto”, “Librido” e “Perditempo” nel centro storico di Napoli; la pubblicazio-ne in un inserto speciale di Napoli Monitor;

Sezione reportage fotografico: Una mo-stra di sette giorni presso la galleria “Over-foto” di piazza Bellini, Napoli.

Sezione reportage disegnato: Una mostra di sette giorni presso la galleria “Hde” di piazzetta Nilo, Napoli.

La premiazione avverrà a Napoli nell’am-bito di una settimana di incontri, proiezioni e dibattiti su “Chi racconta la città”, che si svolgerà a marzo 2011. I nomi dei vincitori saranno resi noti entro il 10 marzo sul sito di Napoli Monitor e tramite comunicazione personale via e-mail.http://napolimonitor.wordpress.com/2010/12/06/premio-reportage-napoli-monitor/

WorkshopDocumentarioSocialeScrittura, realizzazione e tecnicheConduce l'evento: Pietro Orsatti

L’immagine e il racconto non sono oggetti neutri. La narrazione di un processo socia-le, la descrizione dei luoghi, della memoria e delle persone non si possono fermare a un, seppur complesso, processo estetico.

Un documentario che intenda essere nar-razione sociale, rappresentazione della real-tà, diventa inevitabilmente politico.

“Perché la politica è tutto, è quello stru-mento che vi permette oggi di essere qui. Ora”. (Frei Betto nel documentario Utopia Luar di P. Orsatti)

Il workshopIl wokshop intende fornire una base di la-

voro, su un progetto produttivo pratico, che unische tecniche di ripresa, scrittura e mon-taggio fondendo il mezzo visivo con il lin-guaggio giornalistico e una scrittura lettera-ria. Con grande attenzione ai nuovi mezzi di ripresa e documentazione. Non solo vi-deo.

Il workshop si svolgerà in due fine setti-mana. Si baserà su interventi pratici e la co-struzione di un progetto di documentario.

La realizzazione di un breve lavoro docu-mentaristico collettivo sarà destinata a una distribuzione sulla testata Gliitaliani.it e a presentazioni e proiezioni pubbliche.

ProgrammaIntroduzione teoricaRacconto, reportage,e inchiestaL’intervistaL’immagine e il linguaggioLa preparazioneLa produzioneTecniche di ripresaTecniche di scritturaI nuovi mezzi e la costruzione di un lin-

guaggio ibridoLe ripreseL’audioIl montaggioRealizzazione di un progetto collettivo

dalla scrittura alle riprese fino al montaggio e all’editing finale

Dove, quando, quantoSede del Workshop: Roma - c/o L’Isola

che c’è - via Efeso 2/a (metro S. Paolo)Orari (totale 20 ore):sabato 12 marzo: ore 15.00-19.00domenica 13: 10.00-13.00 e 14.30-17.30sabato 26: 15.00-19.00domenica 27: 10.00-13.00 e 14.30-17.30Costo: 150 euroOrganizzazione e prenotazioniAssociazione Culturale EleMentiConTorti

http://elementicontorti.blogspot.com [email protected]

Scheda/ Pietro OrsattiRegista, giornalista, scrittore e autore

teatrale. Ha lavorato per numerose testate giornalistiche italiane e estere. Ha lavora-to presso il gruppo parlamentare verde e in associazioni ambientaliste come Legam-biente e Friends of the Earth. Ha realizzato progetti web e campagne per ActionAid, ANCI, Un ponte per…, Ricerca e Coopera-zione. Impegnato per anni come collabora-tore e redattore di numerose testate giorna-listiche su ambiente, società e esteri. Ha pubblicato, fra gli altri, per: Diario, Il Ma-nifesto, Ag. Dire, L’Unità, Editoriale la Re-pubblica, Carta, La Nuova Ecologia, Aran-cia Blu, Modus, Liberazione. Ha collabo-rato con la Rai, Telesur, RedeBras e Radio-Pop. Collabora con Liberazione, PeaceRe-porter, Avvenimenti, ANTIMAFIADuemila, Dazebao, PeaceLink e Arcoiris.tv. E’ stato redattore di Left, collaboratore di Terra, EcoTv, TeleJato, AntimafiaDuemila, Ago-ravox.it. E’ fondatore del progetto editoria-le de Gli Italiani – www.gliitaliani.it - di cui è anche coordinatore.

|| 12 febbraio 2011 || pagina 16 || www.ucuntu.org ||

Page 17: Ucuntu n.103

SatiraSatira

L'ultimabottiglia

“E le lasagne sono finite, e il vino è finito... Per non parlaredel resto. E come mai? Un tempo, di questa roba, c'era abbondanza...”

http://dajackdaniel.blogspot.com/

«Ne è rimasta ancora, di quella lasagna?».

«Sì una teglia. Ma hai ancora fame? Ab-biamo appena finito il gelato.».

«Portala, portala, prima dell’amaro ci sta benissimo.»

«Non so se è il caso, è l’ultima: poi non ne resterà più niente per chi arriva più tar-di.».

«S’arrangeranno, ne cucineranno un’al-tra.».

«E come? La pasta è finita, e mancano anche molti altri ingredienti.».

«Vuol dire che mangeranno qualcos’al-tro. Non di sola lasagna vive l’uomo. Dai, portala.».

«Non mi sembra giusto, dovremmo pen-sare a quelli che vengono dopo.».

«Sono in grado di pensarci da soli, hanno tutto il tempo per farlo. Ma, prima dell’a-maro, ora che ci penso, c’è ancora un po’ di vino?»

«Una bottiglia, solo una.».«Ce la faremo bastare.».«Così rimarranno anche senza vino!».«Berranno birra, si vive anche senza

vino.».«Si vive, sì, ma si vive peggio».«Inventeranno qualcosa, s’arrangeranno,

sono giovani.».«Non dovremmo fare così, non possiamo

finire tutto».«E perché no? È roba nostra, in fondo.».«A dire il vero molte cose le abbiamo

trovate quando siamo arrivati qui.».«Appunto: ora sono nostre.».«Certo, ma forse potremmo anche noi la-

sciare qualcosa a chi sta per arrivare.».

«Ci manca solo questo. Già prendo una miseria di stipendio, almeno mi tolgo qual-che soddisfazione.».

«Sarà un miseria, ma lo stipendio ce l’hai, così come la pensione assicurata. ».

«E allora? Ho rubato, forse?».«No, ma questi che stanno per arrivare

nemmeno sanno cosa sia uno stipendio, e la pensione forse non l’avranno proprio, ne-anche a 75 anni.».

«Con tutti i problemi che ho io, non è certo il caso di affliggermi con quelli degli altri. E poi, hanno vent’anni, trent’anni, beati loro. Sai cosa darei, io, per poter ave-re quell’età? E dovrei compatirli? E dovrei rattristarmi per loro? Ma figurati! Buona questa lasagna, peccato che sia finita. Non trovi che faccia un po’ freddo? Aumenta un po’ il riscaldamento.».

«Ci credo che hai freddo , con le finestre spalancate.».

«Non mi piace l’aria viziata. Per piacere, alza la temperatura.».

«Mi sembra uno spreco, e non saremo noi che pagheremo la bolletta.».

«E allora? Devo morire di freddo?».«Ma se accostassimo le finestre?»«E poi morire soffocato?».«Esageri sempre. Non possiamo esaurire

il combustibile solo perché hai paura di morire soffocato».

«Come? Sta finendo il carburante?».«Temo di sì, non ne rimane più per mol-

to, ormai.».«E che fine ha fatto?».«L’abbiamo consumato.».«Ma ne rimarrà fino a che resteremo

qua?».«Sì, forse. Ma poco oltre.».«Questo è l’importante. Dai, alza la tem-

peratura, sto morendo di freddo.».«Così finirà prima e non ne resterà

nulla…».«E le lasagne sono finite, e il vino è fini-

to, e il carburante sta per finire. Per non parlare di tutto quello che è terminato pri-ma. E come mai? Un tempo, di questa roba, ce n’era in abbondanza. Te lo dico io cosa è successo: sono stati i cinesi del piano di sotto. Prima che arrivassero avevamo di tutto.».

«I cinesi del piano di sotto? Ma se cam-pano con una ciotola di riso a testa , e d’in-verno sigillano le finestre e vanno in giro in casa vestiti come dei babbi Natale!».

«Sono stati i cinesi, te lo dico io. E ora alza un po’ la temperatura, l’aria che viene da fuori stasera è fredda e rischio di amma-larmi. Comincio ad avere un’età.».

Jack Daniel

|| 12 febbraio 2011 || pagina 17 || www.ucuntu.org ||

Page 18: Ucuntu n.103

Italien Italien

I volenterosi carneficidi Bossi & C.

Ci viene segnalata questa significativa lettera, "sdoganata" da Beppe Severgnini sul suo spazio "Italians". (c.g.)www.settimanasportiva.it/data/news/severgniniGrn_foglia.jpg

“I rom e i social-progressisti-buonisti”Quattro bambini Rom sono morti carbonizzati nel solito incidente della baracca che prende fuoco a causa della solita stufetta.Le migliaia di potenziali vittime dei loro borseggi se ne rallegrano assai insieme alle potenziali vittime dei loro furti, stupri e violenze cui queste "povere creature" che la società non capisce e non aiuta sono solite dedicarsi quando diventano adulteFa eccezione, come di regola, qualche imbecille che crede alle panzane di sinistra che questa gente sia, per lo piu', brava ed onesta e si guadagni da vivere facendo umili ed antichi mestieri Fino a quando al mondo ci saranno questi social- progressisti-

buonisti che credono nella redistribuzione equa della ricchezza e nella solidarietà umana verso il mondo che "soffre", questa gente continuerà a delinquere costringendo a farlo anche i loro bambini.La società premia questa gente costruendogli case. Cosi’ potranno continuare a viaggiare di casa in casa, trovando comodi ed at-trezzati campeggi dove parcheggiare le loro Mercedes, continuando a vivere come vuole la tradizione. E quando saranno stufi di un campeggio si potranno trasferire in un altro, sempre viaggiando in comode Mercedes. Finirà che avranno case fisse in accampamenti fissi in tutta Europa, cosi’ potranno viaggiare per il mondo come turisti milionari, senza bisogno di prenotare l'albergo. E continueranno a fare otto figli per coppia per avere sempre più case e più campi attrezzati da cui spostarsi a piacere seguendo la loro bella e romantica tradizione tzigana.

Alessandra Vicentini, [email protected]

|| 12 febbraio 2011 || pagina 18 || www.ucuntu.org ||