Ucuntu n.60

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271209 www.ucuntu.org - [email protected] “Maltempu e bonutempu non dura tutt'u tempu”. Dalle voci che si raccolgo- no negli ambienti editoriali sembra che il tempo del monopolio in Sicilia cominci a dar segno d' esaurimento. Sopravviverà il gruppo Ciancio, nella sua forma attuale, alla fine del 2010? Molti giurano di no. Si aprono spazi, se ne siamo capaci e stiamo uniti. Il cinque gennaio sarà il giorno più adatto per parlarne, come un anno fa. Bilanci, lavori in corso, prospettive. E una nuova scommessa per i prossimi mesi COME SI MUORE NELLE CARCERI ITALIANE/ L'ELENCO DI TUTTI I CASI || 27 dicembre 2009 || anno II n.60 || www.ucuntu.org || Il dopoCiancio

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Il numero speciale del 27 dicembre 2009

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271209 www.ucuntu.org - [email protected]

“Maltempu e bonutempu non dura tutt'u tempu”. Dalle voci che si raccolgo-

no negli ambienti editoriali sembra che il tempo del monopolio in Sicilia

cominci a dar segno d'esaurimento. Sopravviverà il gruppo Ciancio, nella

sua forma attuale, alla fine del 2010? Molti giurano di no. Si aprono spazi,

se ne siamo capaci e stiamo uniti. Il cinque gennaio sarà il giorno più

adatto per parlarne, come un anno fa. Bilanci, lavori in corso, prospettive.

E una nuova scommessa per i prossimi mesi

COME SI MUORE NELLE CARCERI ITALIANE/ L'ELENCO DI TUTTI I CASI

|| 27 dicembre 2009 || anno II n.60 || www.ucuntu.org ||

Il dopoCiancio

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Promemoria Promemoria

Tre giorni a Palazzolo Acreide

2 gennaioore 15.30: Laboratorio dell'informazione- Fabio Chisari - Impaginazione e testi- Maurizio Parisi - Fotografia e immagini- Sonia Giardina - Realizzare un cortome-traggio- Gabriele Zaverio - Realizzare una radio streaming in casa con l'open source

ore 18.00: Giornali, informazione, opi-nione pubblica- Fabio Chisari, docente di Storia sociale dei media presso l’Università di Catania- Pino Maniaci, direttore di “Telejato”- Gaetano Liardo, giornalista di “Libera In-formazione”- Pippo Guerrieri, responsabile del mensile “Sicilia Libertaria”, La Fiaccola e Sicilia Punto L- Marco Benanti, direttore di “Catania Pos-sibile” e “Magma”- Fabio D'Urso, giornalista de “Ucuntu"- I Siciliani Giovani”- Massimiliano Perna, “Il Megafono”Coordina: Gianluca Floridia e Gabriella Galizia

ore 21:30: La mafia è un’ideaspettacolo di Massimo Tuccitto (Associa-zione Culturale Siracusa in Movimento)

3 gennaioore 16.30 - Interventi di Damiamo Chiara-monte (AssoStampa Siracusa), Franco Oddo ("La Civetta di Minerva") e Paolo Caligone (assoc.Antiracket "Pippo Fava")

ore 17:30 - Mafie, potere, informazione”- On. Benedetto Fabio Granata, v.pres. Commissione Parlamentare Antimafia- Sen. Giuseppe Lumia, componente Com-missione Antimafia,- Rosa Maria Di Natale, giornalista e do-cente di Giornalismo e nuovi media- Antonella Mascali, cronista Radio Popola-re il Fatto QuotidianoCoordina Pino Finocchiaro, di Rai News 24

ore 21.30 - Giulio Cavalli“Monologando: Giuseppe Fava, un uomo. 500 euro, tutto a posto. A 100 passi dal Duomo”

PALAZZOLO ACREIDE,SALA EX BIBLIOTECA

COMUNALE

4 gennaioore 16:30 – Scritture e immagini contro le mafie- Francesco Di Martino e Sebastiano Ader-nò - “U stissu Sangu"- Antonello Mangano - “Gli africani salve-ranno Rosarno"- Gigi Ermetto, di Canale 9- Lorenzo Tondo, collaboratore EspressoCoordina Nuccio Gibilisco

Ore 17.30 – IV° Premio G. FavaGiovani 2010: “Il Teatro della Verità” - Giulio Cavalli, attore, scrittore e regista- Mario Gelardi, direttore artistico di Festi-val teatro civile “Presente indicativo” e Teatri della Legalità- Luigi Marsano, direttore organizzativo di “Presente indicativo” e Teatri della Legalità - Claudio Fava, scrittore e giornalista- Dott. Carmelo Petralia, Procuratore Capo di RagusaCoordina Elena Fava

Premiazione dei vincitori del I° Concorso Scuole G. Fava: “La verità in immagini e scritti”. Consegna del IV° Premio G. Fava Giovani: “Scritture e immagini contro le mafie”

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Lavori in corso Lavori in corso

I nostriprogettiper l'annonuovo

A Catania qualcosa si muove. Tante per-sone sentono sempre viva l'esperienza di Pippo Fava, credono nell'informazione come forza indispensabile di una società democratica. Raccontano i misfatti della mafia, le vite di quartiere, il sottobosco di interessi economici che definiscono gli sce-nari politici. Non sono tutti “giornalisti pro-fessionisti” ma dimostrano ogni giorno, al di là dei tesserini, che cos'è il giornalismo fatto di verità.

I Cordai a San Cristoforo, La Periferica a Librino, Catania Possibile e testate online, come Ucuntu, Girodivite, Argo, Step1, sono le principali esperienze nate a Catania negli ultimi anni.

Il 5 gennaio 2009 abbiamo lanciato il progetto di lavorare assieme, di aggregare le forze positive del giornalismo castanese (e non solo) per combattere il monopolio della disinformazione e di quella pseudo-informazione che devia l'attenzione dai pro-blemi reali. È nata così l'Associazione “La-vori in corso”.

Da gennaio a oggi abbiamo lavorato as-sieme, ci siamo mossi in sinergia mettendo in campo e valorizzando le risorse di ogni realtà e le competenze di ciascuno. Abbia-mo creato una rete tra le testate di base

coinvolgendo chiunque fosse interessato alla costruzione di un'informazione libera.

Assieme abbiamo condotto tre inchieste sfociate in tre dossier: “Munnizzopoli” sul-la gestione dei rifiuti, “Toccata e fuga” sul-le band emergenti e adesso “Case” sul di-sagio abitativo.

L'informazione non può continuare ad es-sere controllata da pochi che la manipolano in tutti i modi pur di realizzare i propri inte-ressi. Questi meccanismi appartengono ai regimi autoritari e uccidono lo sviluppo de-mocratico della società.

* * *Continueremo quindi a lavorare assieme,

a raccogliere nuove forze, ad allargare la nostra rete a Catania e non solo. Continue-remo a raccontare ciò che la stampa ufficia-le omette, a fare inchieste e denunce, e so-prattutto lavoreremo alla creazione di un quotidiano indipendente fatto da chi vuole portare avanti quell'etica di giornalismo de-finita così da Pippo Fava quasi trent'anni fa:

“Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la crimi-nalità, accelera le opere pubbliche indi-spensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante at-tenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. Un giornalista incapace - per vigliaccheria o calcolo - della verità si porta sulla co-scienza tutti i dolori umani che avrebbe po-tuto evitare, e le sofferenze, le sopraffazio-ni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso falli-mento! La verità! Dove c’è verità, si può realizzare giustizia e difendere la libertà!”

Sonia Giardina

L'ANNO DEL DOPO-CIANCIO

L'esperimento di Ucuntu è andato avanti finora in modo soddisfacente: sessanta nu-meri, diversi dossier, una visibilità naziona-le e così via. Tutto questo lavoro vien fatto su base volontaria, comporta fatica e stan-chezza e dunque fisiologicamente l'istinto sarebbe di contentarsi di ciò che si fa, e ma-gari gloriarsene, non certo di accelerare; vi-sto che già è difficile tenere il ritmo di ora.

Ma ci sono tre dati precisi che ci spingo-no invece ad accelerare la corsa:1) il concept del prodotto (Pdf da Open Of-fice, pensato sia per web che per carta) è stato testato per quasi due anni e funziona;2) gli interlocutori nazionali ci sono: nel-l'area del giornalismo libero e altrove c'è interesse e persino voglia di coordinarsi;3) sono sempre più frequenti le voci di cambiamenti radicali nel monopolio in Si-cilia; l'anno che viene potrebbe anche esse-re il primo a terminare senza Ciancio.

Perciò dobbiamo muoverci. Fermi restan-do i concetti “politici” di base (centrare sul-le periferie e sui quartieri; nessun compro-messo coi poteri attuali; promozione dell'u-nità fra tutti i soggetti virtuosi, sia “mode-rati” che “radicali”), adesso cercheremo di fare un salto di qualità: essenzialmente una specie di “Ucuntu” quotidiano (ristilato in tal senso), lavorato ogni giorno con diversi altri siti e soggetti nazionali. Questo lavoro è già in corso e attualmente la scadenza operativa per il numero zero è il 21 marzo.

Ciò potrebbe avere anche ricadute speci-ficatamente catanesi: un web/paper legato al concept di cui sopra potebbe anche trovare un suo spazio di mercato. Al solito, non vogliamo lavorarci da soli.

Elogio dell'insufficienza, 'assemblamento delle risorse, impegno “politico” e tecnico per la progettazione comune, unità.

Riccardo Orioles

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Beh, questo sarebbe il numero 60. Festeggiare? Mah: coiBeh, questo sarebbe il numero 60. Festeggiare? Mah: coi bicchieri di plastica, magari. Ma poi considerarlo solo unabicchieri di plastica, magari. Ma poi considerarlo solo una fase riuscita di un esperimento, che ci autorizza (prudentefase riuscita di un esperimento, che ci autorizza (prudente--mente) a passare alla fase successiva. Al solito, non da soli mente) a passare alla fase successiva. Al solito, non da soli

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Ridi, ridi...Ridi, ridi...

www.maurobiani.splinder.com

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Mafia e affari a Catania Mafia e affari a Catania

Processo al redei supermercatie (secondo il Pm)di molte altre cose

Nove anni e sei mesi di reclusione per as-sociazione mafiosa all’imprenditore Seba-stiano Scuto, 68 anni, il “re dei supermerca-ti siciliani”, finora professatosi innocente e vittima di estorsione da parte del clan ma-fioso dei Laudani: è la richiesta del pm Gaetano Siscaro alla seconda sezione del Tribunale di Catania. Secondo l’accusa Scuto sarebbe un imprenditore «organico al clan mafioso dei Laudani» e «ministro del-l’economia nella gestione degli investimen-ti che il clan aveva deciso di fare sui super-mercati Despar» .

Il Pm ha chiesto anche quattro anni e sei mesi di reclusione per concorso esterno ad associazione mafiosa per l’ex maresciallo dei carabinieri Orazio Castro, 58 anni, ex comandante della stazione di Aci Sant’ An-tonio, accusato di avere avuto rapporti con affiliati alla cosca Laudani.

Il pm sostiene tra l'altro che Scuto avreb-be intessuto rapporti con tutti i vertici della mafia a Catania e a Palermo citando tra gli altri, anche Benedetto Santapaola, Piddu Madonia, Gaetano Laudani ed ha sottoli-neato il rapporto che si era creato tra Scuto e il clan dei Laudani, i«Muss’i Ficurinia», che proteggevano l'imprenditore, sino a rei-nestire nei supermercati gli introiti del clan.

Secondo l'accusa “Scuto aveva consape-volezza di aver in mano il Comune di San Giovanni la Punta, base storica del gruppo dei Laudani con i quali aveva un intenso le-game associativo che esercitava dall’in-ter-no. Permeare il tessuto economico e politi-co di un territorio è il dna stesso della ma-fiosità e a San Giovanni la Punta in quegli anni –(anni '90, ndr) - si ritrova per intero».

I pentiti sentiti nel corso del processo, ap-

partengono a diversi clan tra cui i Laudani, Santapaola e Sciuto-Tigna, di area catanese, e i Madonia, di area palermitana. In parti-colare il pg Siscaro, si è soffermato su al-cuni di loro, tutti di “area Laudani”, perchè da lui ritenuti altamente attendibili sulla base di attenti riscontri: Basile, Catalano, Di Stefanoa, Giuffrida, Testa, Troina, Castro, Andronico.

Anche l'ultimo pentito ascoltato, Giusep-pe Maria di Giacomo, ex boss dei Luadni e braccio armato dei Santapaola, pur non es-sendo ritenuto tra i più affidabili, nella de-posizione resa in aula il 18 dicembre scorso ha comunque riferito che la protezione del clan dei Laudani c'era e non era per nulla subita da Scuto: “Perché noi prestavamo un servizio allo Scuto: - Signor Scuto, lei qual-siasi cosa accade deve dirlo a noi organiz-zazione perché noi la stiamo proteggendo, per cui se le fanno una telefonata estortiva, se avviene una rapina, se avviene un furto, se le rubano la macchina, se le insultano un figlio...-, per dirle, una cosa più banale, più assurda, perché noi dovevamo in qualche modo prestarci per avere assicurato, come una cosa alla buona”

* * *Il processo nei confronti di Sebastiano

Scuto, ex “re dei supermercati” in Sicilia, ex proprietario delle catene Despar e Ali-group, era iniziato nel 2005, ed è entrato nel vivo nel luglio di quest'anno. L’ipotesi di fondo dell'accusa è che Scuto non sia stato una vittima del del pizzo ma un so-cio in affari del clan Laudani.

Il reato sarebbe dunque, sempre secondo l'accusa, di associazione mafiosa, e anche estorsione a danno di altri imprenditori,

perchè Scuto non si sarebbe limitato ad appoggiare la cosca dei Laudani riciclando denaro sporco ma si sarebbe pure avvalso della forza intimidatoria del clan per aprire nuovi centri Despar a Palermo e in provincia, “gestiti in comune con il clan di appartenenza dei Laudani e con quelli alleati di Benedetto Santapaola, di Bernardo Provenzano, Sandro e Salvatore Lo Piccolo”. Ciò sarebbe scaturito dall’analisi delle intercettazioni.

Il 18 Dicembre 2008 la Corte d'appello ha assolto Scuto, con formula piena, dal-l’accusa di omicidio di Salvatore Aiello, trovato carbonizzato nelle campagne di Valverde nel 1993. Aiello aveva chiesto e ottenuto dei soldi, per estorsione, a Scuto.

Questi secondo l’accusa, e secondo un pentito, aveva denunciato tutto al clan Lau-dani che lo "proteggeva". Secondo l’accu-sa, Scuto sapeva che Aiello così sarebbe stato punito dai Laudani per avere, come si dice in gergo mafioso, “saltato il fosso”.

Cosa che puntualmente accadde ma la nuova sentenza ha ribaltato tutto: Scuto non era a conoscenza del sequestro e dell’omi-cidio, e il pentito sulla base delle cui di-chiarazioni si era costruito questo capo d’accusa è stato giudicato inattendibile.

Scuto è libero, ma ha il divieto di accede-re alle sue imprese, che sono in ammini-strazione giudiziaria. L’accusa ha pure pre-sentato alcuni pizzini sequestrati nel covo del boss Bernardo Provenzano e alcune del-le lettere trovate a Sandro e Salvatore Lo Piccolo il giorno del loro arresto, lettere che farebbero riferimento all’imprenditore sotto processo.

G.S.

|| 27 dicembre 2009 || pagina o5 || www.ucuntu.org ||

Verso la conclusione il processo all'imprenditore SebaVerso la conclusione il processo all'imprenditore Seba--stiano Scuto. “Costretto a sottomettermi, pagavo ilstiano Scuto. “Costretto a sottomettermi, pagavo il pizzo”. “Amico dei mafiosi e loro socio in affari”. Fra pocopizzo”. “Amico dei mafiosi e loro socio in affari”. Fra poco si saprà quale delle due ipotesi è quella vera si saprà quale delle due ipotesi è quella vera

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Ordine a Catania Ordine a Catania

Vigili, immigrati, abusivi, cortei, Buon Natale e manganelli

Ore 18. Siamo in piazza Carlo Alberto, la piazza della fera catanese, ed un corteo di alcune centinaia di persone si muove verso la via Etnea, la strada principale dove stan-no facendo su e giù migliaia di catanesi ca-richi di pacchetti natalizi. A guidare il cor-teo ci sono decine di senegalesi, algerini e marocchini, che in arabo incitano i conna-zionali a unirsi alla marcia.

E’ quasi Natale - il 22 dicembre - e si muove il corteo del "Natale di Solidarietà" promosso da quasi tutte le associazioni e te-state giornalistiche cittadine. A guidare il corteo ci sono decine di senegalesi, algerini e marocchini, che in arabo incitano i conna-zionali a unirsi alla marcia. quelli stanno vendendo borse, scarpe, cinture, cd. Alcuni si uniscono ai manifestanti, molti altri de-vono restare a vendere: sono giorni caldi, il commercio va forte, la gente compra di più, cercando prezzi facili e bassi.

Un carabiniere nel frattempo, lontano dal corteo, e sul marciapiede della via Etnea, di fronte alla villa Bellini, cammina rapida-mente intimando agli stranieri di smontare le bancarelle e andare via. Molti extraco-munitari, come al solito, tirano sù la roba col lenzuolo, si fanno un sacco e aspettano che il carabiniere vada via per ricominciare e approfittare degli ultimi giorni giusti per vendere di più. Il carabiniere prosegue la sua marcia, è fuori di sè, i piccoli banchetti

con cd, borse e quant’altro scompaiono ai suoi passi, svanendo nei vicoli e nei portoni aperti.

Il carabiniere fa un secco dietrofront da-vanti a un ambulante che vende la medesi-ma merce. E’ un bianco, di sicuro catanese. Dunque, a quanto pare, non colpevole. Una ragazza, con due pacchi in mano, passa vi-cino a uno striscione e commenta "E’ Nata-le, perchè non andate a fare regali piuttosto che stare qua?".

Proprio questo delle feste è il periodo in cui a Catania i vigili hanno perseguitato maggiormente gli extracomunitari. La mag-gior parte di questi è clandestina, e l’unica possibilità che ha di fronte al vigile che in-tima il sequestro è di consegnare la roba o provare a scappare via.

Di solito lui, senegalese, arrivato qui con un barcone o con un treno, scappa. Sa che se reagisce la legge Bossi-Fini lo vuole su-bito fuori, rimpatriato, senza passare da casa. I vigili urbani catanesi lo sanno pure e molti di loro ne traggono forza e coraggio. Sono stati quasi tutti promossi al rango di maresciallo dall’ex sindaco Scapagnini, e dunque spostati in ufficio, lasciando così le strade cittadine nella totale anarchia.

L’economia catanese si muove in gran parte, oltre che sui traffici di droga e armi dei clan locali, sui finanziamenti pubblici e sull’edilizia. Ma un altra fetta grossa vive

di vendita abusiva e ambulante di qualun-que oggetto e prodotto, dal dvd piratato, alla polpetta di cavallo alla cassetta di frut-ta, esposta sul cofano di un auto su cui hai appena aperto un lenzuolo per improvvisare una bancarella. Ovviamenta senza alcuna licenza di vendita ambulante. I catanesi abusivi godono dell’immunità tacita delle forze dell’ordine. Qualcuno dice perchè sono cittadini catanesi a tutti gli effetti, e dunque elettori di oggi e di domani, e il loro voto un valore ce l’ha. E poi i vigili ci hanno famiglia, e gli abusivi sono genta-glia, così dicono. E’ certo più rischiso se-questrare la merce a un catanese, dirgli che se beccato una seconda volta finisce in ga-lera, fargli un verbale. I catanesi reagisco-no. Loro sono “spacchiusi”. E’ uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo.

Altra storia per gli abusivi extracomuni-tari. Loro sono disperati, non hanno docu-menti italiani, possono essere subito rimpa-triati secondo quanto scrive la legge: e allo-ra giù con gli insulti, gli inseguimenti, il se-questro della merce senza uno stralcio di verbale che metta per iscritto cosa e quanto è stato sequestrato, con tutti rischi di un se-questro di merce appetitosa senza un docu-mento che ne dimostri il sequestro ufficiale. Il funzionario, insomma, non deve rispon-dere a nessuno di quanto ha sequestrato e poi caricato nella camionetta.

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Tutti gli uomini sono uguali, ma poi ci sono quelli più bianchi e quelli piùTutti gli uomini sono uguali, ma poi ci sono quelli più bianchi e quelli più neri. I primi fronteggiano i vigili e continuano a vendere le loro merci. Ineri. I primi fronteggiano i vigili e continuano a vendere le loro merci. I secondi scappano spaventati o si vedono portare via la bancarella. Asecondi scappano spaventati o si vedono portare via la bancarella. A volte, in un bel giorno di festa, i “neri” e i loro amici cercano per una voltavolte, in un bel giorno di festa, i “neri” e i loro amici cercano per una volta di dire la loro, con un bel corteo. Cronaca di una giornata quasi comedi dire la loro, con un bel corteo. Cronaca di una giornata quasi come tutte le altre, nel centro di Catania, fra bancarelle e varia umanitàtutte le altre, nel centro di Catania, fra bancarelle e varia umanità

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Ordine a Catania Ordine a Catania

L’atteggiamento delle forze dell’ordine è equivalente a quello utilizzato nel recente sgombero del centro sociale Experia del quartiere Antico Corso, al centro di Cata-nia. Con caschi e manganelli, caricano una trentina di ragazzi disarmati che vorrebbero difendere il luogo dove loro fanno dopo-scuola, concerti.

Il corteo nel frattempo scende per via Et-nea, seguito da un dispiegamento di forze dell’ordine apparentemente eccessivo: un centinaio di poliziotti per due centinai di manifestanti. Un rapporto 1:2 che è assolu-tamente insolito per un civile e pacifico corteo. La scena diviene ancora più surreale in piazza Università, lì dove si ferma il cor-teo. Dopo una mezzoretta restano pochi ra-gazzi, in cerchio e seduti per terra, il corteo è terminato, ma di fronte a loro ci sono vo-lanti della polizia, camionette e gipponi delle forze dell’ordine a presidiare la piaz-za. Sarebbero nel numero giusto per bloc-care e arrestare un centinaio di criminali che operano indisturbati pochi metri dietro, in via Plebiscito o a Librino. Invece le forze delle’ordine si scambiano gli auguri e tor-nano a casa.

Una delegazione del corteo incontra il presidente del consiglio comunale, Marco Consoli, al quale si un clima più pacifico da parte dei vigili urbani. Consoli propone uno spazio riservato agli extracomunitari perchè

possano vendere la loro merce legalmente. e ricorda che i vigili urbani comunque gra-ziano gli extracomunitari clandestini, per-chè piuttosto che portarli in questura, si li-mitano a farli scappare via o a sequestrare la merce. Rimane però il dubbio del perchè questo atteggiamento sia riservato solo agli extracomunitari. Il consigliere del Pd, Saro D’Agata, sottolinea che per opera sua il consiglio il comunale discuterà la possibili-tà di un consigliere comunale extracomuni-tario in rappresentanza dei diritti dei non catanesi. In seguito, nella sede dell’Arci, un gruppo residuo del corteo discute su quanto accaduto: l’idea di un mercato per gli extra-comunitari sa di ghetto ed escluderebbe la maggior parte di loro, clandestini. La pro-posta di D’Agata sembra irrealizzabile allo stadio attuale e rischia di diventare uno specchietto per le allodole, incapace dal-l’alto di variare il clima di odio e intolle-ranza cresciuto a Catania. La soluzione mo-mentaneamente maturata è quella di sensi-bilizzare la cittadinanza al problema della clandestinità e della persecuzione finora fatta, senza risparmio di energie, da molti vigili urbani, e di verificare se il clima di pace promesso dal presidente del consiglio comunale si stenderà sui marciapiedi e sul-le piazze cittadine, o se al contrario prose-guirà testardamente.

Giuseppe Scatà

REALTA' E PROMESSEDOMANI IL PONTE, OGGINEMMENO L’AMBULANZAL'altro giorno a Villa San Giovanni negozi chiusi, strade transennate e tanta tanta polizia. Mare cielo e strade invasi da elicot-teri, pattuglie e motovedette per assicurare l’ordine pubblico nel corso della manifesta-zione nazionale contro il ponte sullo stretto. In corteo migliaia di manifestanti hanno sfilato per le vie cittadine fino a raggiunge-re località Cannitello.Qui uno degli oratori, Franco Nisticò, mentre interveniva sul palco ha accusato un malore, ma non era presente nessun presidio sanitario per soccorrerlo, solo un camioncino della Polizia di Stato sprovvisto degli strumenti per prestare le cure necessarie. Troppo tardi è stato portato agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, dopo un’ora è giunta infatti la notizia della sua morte.Com’è possibile che a un tale spiegamento di forze dell’ordine corrisponda l’assenza dei presidi sanitari necessari per la sicurezza e l’incolumità dei manifestanti? Intanto la Rete No Ponte, nel chiedere che vengano avviate le adeguate misure per l’accertamento delle responsabilità di quanto accaduto, ha deciso di affidarsi ad un pool di legali per andare in fondo a questa intollerabile vicenda.

Sonia Giardina

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Sgomberi e interessi a CataniaSgomberi e interessi a Cataniaarchitettato

«Ridateciil nostrocentropopolare»

«Lo sgombero è stato architettato dalla magistratura (dott. Serpotta), dal Sovrinten-dente ai beni culturali di Catania (arch. Campo) e da Alleanza Nazionale ora Parti-to Della Libertà (on. Salvo Pogliese, consi-glieri Bellavia e Messina). La necessità del-la disponibilità dell’immobile, le motiva-zioni espresse prima e dopo lo sgombero si sono dimostrate infondate.

Lo sgombero è stato un atto politico. Ed ecco le reali motivazioni.

An-Pogliese. Sono i rampolli del nuovo fascismo catanese. In particolare, l’on. Po-gliese è di una famiglia politica che in pro-vincia è portavoce di grandi interessi: lo “Studio Pogliese del Dott. Antonio Pogliese - consulenza amministrativa, contabile e societaria” che vanta legami con il gruppo Abate (grande distribuzione), è membro di diversi C.d.A. (Università di Catania, Cre-dito Siciliano, Etnambiente, Etnapolis). ed è promotrice sia di nuovi modelli di consu-mo (format centri commerciali) che della ormai famosa finanza di progetto applicata ad opere pubbliche e non solo.

Dott. Serpotta. Non particolarmente di-stintosi nell'attività antimafia, è da sempre pronto a seguire e inseguire i volontari del Centro Popolare Experia.

Arch. Campo. Sovrintendente capo a Ca-tania, alla spasmodica ricerca di un salto qualitativo e professionale. Politicamente in seno al Mpa di Lombardo aspira, in vista della famosa ristrutturazione dell’organi-smo regionale per la tutela dei beni cultura-li, ad una carica regionale precedentemente negata dallo stesso Lombardo. Negli ultimi mesi ha proceduto sia allo sfratto dell’Isti-tuto d’Arte in via Crociferi sia allo sgombe-ro del Centro Popolare, strategici sial per posizione e per valore immobiliare.

L’edificio infatti comprende anche la Scuola Manzoni, una vasta area esterna in cui è inclusa l’area della chiesa della Purità che già nel 1999 aveva dato in uso alla fa-coltà di Giurisprudenza per la costruzione di aule, non tutelando i resti archeologici presenti nell’area.. Quei lavori sono stati bloccati dalle proteste degli abitanti del

quartiere mosse insieme al Comitato Antico Corso e all'Experia.

Dopo lo sgombero Campo ha affermato che l’edificio sgomberato sarà destinato al-l’Ersu e utilizzato perservizi universitari. Tuttavia, dopo il nostro incontro con l’Ersu (ente commissariato e in crisi finanziaria) abbiamo constatato che: nonostante il de-creto del 1985 disponesse l’affidamento al-l’Ersu dell’immobile e di tutta l’area con il ruolo di tutelatore da parte della Sovrinten-denza, l’ente non è mai rientrato in posses-so di alcun immobile; e che l’Ersu non ha nessun progetto o progettualità futura sul-l’area in questione.

* * * Da più di 17 anni la nostra attività è stata una risposta concreta all'indifferenza e al-l'abbandono da parte delle amministrazioni in un quartiere popolare dove non esiste una piazza, un angolo di verde, una bambi-nopoli, uno spazio di aggregazione sociale, un parcheggio, servizi alle famiglie degni di una città. Con la scusa del ripristino della legalità hanno motivato lo sgombero. Una illegalità che si chiama occupazione, forma di lotta finalizzata al ripristino di una vita dignitosa che molti quartieri popolari a Ca-tania si vedono negata!

Da più di dodici anni lo stesso ceto politi-co e gli stessi partiti amministrano questa città, non hanno scuse o pretesti per giusti-ficare la loro assenza sul territorio e soprat-tutto il loro silenzio sullo sgombero, visto che, da noi invitati ad un confronto cittadi-no, non vi hanno partecipato.

Il Centro Popolare è uno spazio politico di confronto con una sua identità; noi non siamo riconducibili a nessuna forma di ri-catto elettorale, siamo liberi e vogliamo re-starlo. Abbiamo ridato la speranza nel più totale vuoto istituzionale e nella mancanza assoluta di servizi, abbiamo costruito qual-cosa che nessuno ha mai fatto in questa cit-tà. E l'abbiamo fatto senza mai nascondere la nostra storia politica.

Il Centro Popolare è uno spazio a dispo-sizione di tutto il quartiere dove il dopo-scuola (organizzato e gestito con le fami-

glie), la palestra, la ciclofficina e i vari la-boratori erano un momento di valorizzazio-ne di rapporti sociali senza fini di lucro. So-lidarietà, rispetto e partecipazione: questo pretendiamo da chi partecipa e frequenta.

Il Centro Popolare, infine, è l’unico spa-zio a disposizione in quartiere per i bambi-ni.

Ecco perché continuiamo ad affermare che lo sgombero violento del Centro Popo-lare è stato pretestuoso e compiuto in mala-fede, con l’unico obiettivo di mettere in scena una reazione violenta che potesse cri-minalizzare il nostro progetto. E oggi, con il senno del poi, di fronte agli ultimi fatti di cronaca, pensiamo che questa classe politi-ca usi forme legalizzate di violenza coqme risposta alle contraddizioni sociali, perché non ha altri strumenti politici o semplice-mente perché fa parte della sua sottocultura della sopraffazione.

Abbiamo accolto l’invito del Presidente del Consiglio Comunale a partecipare a questo incontro con i capigruppo consiliari per avanzare le seguenti richieste:

a) richiedere un Consiglio Comunale straordinario in merito all'emergenza, alle modalità e motivazioni dello sgombero ef-fettuato il 30 ottobre scorso in via Plebisci-to 782;

b) richiedere una dichiarazione ufficiale della Giunta Comunale in merito allo sgombero e ai progetti di riqualificazione del quartiere Antico Corso, visto lo stato di degrado in cui versa il quartiere e le conse-guenti condizioni precarie cui sono costretti gli abitanti;

c) richiedere la riapertura immediata del portone del Centro Popolare attraverso una richiesta ufficiale del Comune di disponibi-lità da parte della Regione e la relativa con-segna al Centro Popolare senza alcuna re-strizione di identità politica, perché qualsia-si proposta che svalorizzi o impedisca ai compagni del Centro Popolare di esistere e esprimere la propria progettualità politica in città, verrà rifiutata».

Centro Popolare Experiawww.senzapadroni.org

|| 27 dicembre 2009 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||

Parlano i volontari sociali:« Sappiamo con certezza, dopo gli incontri con gli or-gani istituzionali, che lo sgombero dell'Experia servi-va solo a cancellare la nostra esperienza di aggregazione giovanile, politica e sociale»

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L'inquinamento a Catania L'inquinamento a Catania

Teste sotto la sabbia(gli assessori)Teste sotto lo smog(i cittadini)

s

L’Assessore all’Ecologia di Catania forse non sa o forse si rifiuta di voler vedere la realtà in faccia. Dimentica nella sua vaga risposta, pubblicata su La Sicilia, alla mia denuncia pubblica di fare riferimento in primis ai dati resi pubblici dal CNR e condotto dall’OMS (Organizzazione Mon-diale sulla Sanità) in merito agli 8220 morti (189 morti solo per cancro per non parlare delle malattie gravi come quelle a danno del cuore e dei polmoni) a causa del PM10 riscontrati in tredici delle più grandi città italiane nel periodo che va dal 2002 al 2004.

Non dice, ovviamente, che tra queste tredici città vi è anche Catania con il suo carico di morti e di ammalati (ben 848 per infarto, 1443 per malattie cardiovascolari e 175 per cause respiratorie) a causa proprio dell’inquinamento da PM 10 ovvero delle polveri sottili da 10 micro ( per non parlare dei PM più sottili che peraltro sono ancora più micidiali perché più piccoli e dunque si infiltrano meglio nell’organismo umano).

Non parla poi del superamento dei 35 giorni previsti dalla legge proprio per i PM 10 che avvelenano la nostra città assieme agli altri componenti dello smog, scaricando la responsabilità ad altre fonti quando invece parliamo da polveri da smog.

Non parla ancora, così come da me denunciato pubblicamente, della scomparsa di ben tredici centraline su diciassette di cui è dotata da anni la città andando sapendo in tal modo di non ottemperare alla legge vigente. Non parla poi delle decine se non centinaia di dati non pervenuti e senza alcuna giustificazione tecnica (come a novembre, ma basterebbe andare al sito del Comune per poterlo verificarlo direttamente) e proprio in quei giorni a seguire quelli in cui i rilevamenti delle centraline sopravvissute hanno misurato livelli di PM 10 quasi il doppio di quelli considerati dalla legge normali ( che sono peraltro la media giornaliera dunque possiamo immaginare quali livelli di inquinamento si superino a Catania in certe ore della giornata!).Per non paralare del contributo negativo all’effetto serra e al conseguente surriscaldamento del pianeta che colpisce tutti. E poi cosa centra la festa di S. Agata con l’inquinamento giornaliero della città? L’ Assessore all’Ecologia invece di difendere l’indifendibile dovrebbe preoccuparsi della salute dei cittadini e non solo del posto che occupa a qualsiasi costo! E se invece insiste a negare se ne occupi direttamente il Sindaco della salute dei suoi cittadini!

Alfio Lisi

E IL MONITORAGGIO?TREDICI CENTRALINESCOMPARSE COSI'

Come reso noto dal Cnr, secondo lo stu-dio dell' Organizzazione mondiale della Sanità "Health impact of PM10 and ozone in 13 italian cities" condotto sulla popola-zione residente delle tredici maggiori città italiane Torino, Genova, Milano, Trieste, Padova, Venezia, Verona, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Catania, Palermo (circa 9 milioni di italiani, pari al 16% della popolazione) tra il 2002 e il 2004 una media di 8.220 morti l'anno è da attribuirsi agli effetti a lungo termine delle concentrazioni di PM10 superiori ai 20 µg/m3.

A Catania, tredici centraline si rilevamento dell'inquinamento sono scomparse senza che la cittadinanza ne sia stata avvisata. Eccone l'elenco:- Via Cristallo- Piazza Europa- Viale Felice Fontana- Tondo Gioieni- Piazza Giovanni XXIII- Via Passo Gravina- Via Vincenzo Giuffrida- Zona Industriale- Via Messina- Piazza Michelangelo- Viale della Regione- Piazza Risorgimento

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Stando ai dati del Cnr, Catania è diventata unaStando ai dati del Cnr, Catania è diventata una delle città più inquinate d'Italia.Le polveri sottilidelle città più inquinate d'Italia.Le polveri sottili da 10 micro producono centinaia d'infartida 10 micro producono centinaia d'infarti cardiovascolari; per non contare il PM 10 checardiovascolari; per non contare il PM 10 che produce i tumori. E le autorità? Negano tutto, aproduce i tumori. E le autorità? Negano tutto, a cominciare dall'assessore all'ecologiacominciare dall'assessore all'ecologia

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Mafia e giovani/ Un' inchiesta Mafia e giovani/ Un' inchiesta

Io, le paure, gli ideali, il potere mafioso

e i miei diciassette anni

Tra le attività più importanti svolte da Addiopizzo Catania si collocano sicura-mente gli incontri organizzati nelle scuole della città. Da qui l’idea di somministrare ai ragazzi un questionario per sondare le conoscenze sull’antimafia e la propensione alla legalità, distribuito in sedici medie su-periori di Catania e provincia a più di mille studenti del quarto e quinto anno, età media 17 anni. Interessanti i dati emersi, dai quali si evince, per esempio, la percezione reali-stica che i ragazzi hanno del tasso di crimi-nalità cittadino (alto per il 52%) e la volon-tà di collaborare alla crescita della legalità (l’81% si impegnerebbe per una “scuola della legalità”), ma anche che più del 50% sarebbe disposto a chiedere raccomanda-zioni. Ne abbiamo parlato col presidente di Addiopizzo Catania, Chiara Barone.

- Che dati vi hanno colpito di più?"Probabilmente le risposte relative alla

(non)conoscenza da parte dei ragazzi di chi la lotta alla mafia l'ha fatta nel passato e che per questo ha dato la vita (più del 60% dei ragazzi non sa chi siano Pio La Torre e Libero Grassi). I ragazzi non hanno più me-moria storica, o comunque non ne hanno a sufficienza, e questo ha inevitabili conse-guenze anche sul presente.

L'altro dato che colpisce è la percentuale di studenti per cui la mafia ha più potere dello Stato ( 63,5%). Non so se i ragazzi lo

pensano sul serio o sentono, anche incon-sciamente, che è più "comodo" pensare così, ma la rassegnazione non va bene: il potere la mafia ce l'ha perché qualcuno gliel'ha dato e perché la rassegnazione con-tribuisce a mantenerlo costante.

Insomma,è l'atteggiamento psicologico che deve cambiare. Per questo crediamo cosi fortemente nel progetto scuole. Andare a parlare con gli studenti insieme a un ma-gistrato e a un imprenditore che ha alle spalle un'esperienza di denuncia è per noi il modo più corretto per comunicare con i ra-gazzi. Fatti, non parole e luoghi comuni".

- Cosa ha imparato Addiopizzo Catania da questi questionari e dagli incontri nelle scuole? Ne terrà conto per intraprendere azioni future o perfezionare quelle già in-traprese?

"I questionari, con i dibattiti che nascono in questi incontri, ci hanno dato un quadro generale della situazione. Abbiamo capito ancora di più quanto sia fondamentale il la-voro di informazione che facciamo. Per esempio, fornire un’adeguata informazione sui mezzi e gli strumenti legislativi ed am-ministrativi messi a disposizione dagli or-gani dello Stato è necessario per smentire la convinzione errata che il 45 % dei ragazzi ha sul fatto che il commerciante vittima del pizzo non sia adeguatamente protetto.

Ai professori e ai presidi diciamo che il

lavoro di educazione alla legalità andrebbe fatto non solo in queste giornate, ma anche e soprattutto nelle piccole occasioni quoti-diane della scuola. Dai giornali letti in clas-se allo studio della storia, tutto dovrebbe rientrare in questo percorso.

Ai ragazzi vorremmo dire di non rasse-gnarsi e di essere più curiosi, leggere e in-formarsi sul nostro, sul loro passato. Per combattere la mafia dobbiamo avere a di-sposizione tutti i mezzi necessari, a partire dalla memoria storica. E' questa che, anche in una prima fase, può creare consapevolez-za, può dare una motivazione in più per non arrendersi e proseguire questo percorso ini-ziato da persone come Libero Grassi, Pio La Torre, Borsellino... Se vogliamo cam-biare le cose dobbiamo sapere cosa è stato fatto e cosa va cambiato, cosa non deve più succedere e cosa dobbiamo migliorare.

Addiopizzo darà sempre il massimo per cercare di essere presente e vicina agli stu-denti e alle scuole, per collaborare insieme e fortificarci, tutti, dai presidi agli studenti e agli insegnanti stessi, nella conoscenza di questi argomenti, per aumentare la sensibi-lità nei confronti di queste tematiche e per passare subito dopo dalla voglia di cambia-re le cose, a cambiarle. O quanto meno a provarci".

Agata PasqualinoStep 1

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La lotta alla mafia comincia dalla scuola: chi vuol fare antimafia sul serioLa lotta alla mafia comincia dalla scuola: chi vuol fare antimafia sul serio alla fine deve rivolgersi principalmente ai giovani, battersi per una nuovaalla fine deve rivolgersi principalmente ai giovani, battersi per una nuova cultura. E anche quelli di Addiopizzo Catania non hanno fatto eccezione:cultura. E anche quelli di Addiopizzo Catania non hanno fatto eccezione: decine di assemblee nei vari istituti, e alla fine un questionario per capiredecine di assemblee nei vari istituti, e alla fine un questionario per capire come il ragazzo medio s'impatta col potere mafioso. La mafia ai ragazzi noncome il ragazzo medio s'impatta col potere mafioso. La mafia ai ragazzi non piace. Ma mettercisi contro gli fa ancora paura piace. Ma mettercisi contro gli fa ancora paura

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Mafia e giovani/ Un' inchiesta Mafia e giovani/ Un' inchiesta

I RISULTATIDELL'INCHIESTADI ADDIOPIZZONELLE SCUOLEDI CATANIA

Scuole: 16Età media: 17 anni

Totale partecipanti: 1094Maschi: 36,5%

Femmine:63,5%

1. Ti impegneresti a costruire una "Scuo-la di legalità" con la partecipazione atti-va della comunità scolastica?- Si: 81%- No: 16%- Non sa: 3%

2. Hai mai assistito ad episodi di bulli-smo nella tua scuola?- Si: 54%- No: 45%Non risponde: 1%

3. Hai mai chiesto raccomandazioni per superare esami?- Si: 6%- No: 93%- Non risponde: 1%

4. Le chiederesti per un posto di lavoro?- Si: 53,5%- No: 44,5%- Non sa: 2%

5. Chiedere la raccomandazione o conce-derla è un atteggiamento:- Mafioso: 49%- Amicizia: 32%- Solidarietà verso i meno fortunati: 15%- Non sa: 4%

6. Ti rubano il motorino e ti vengono chiesti dei soldi per riaverlo, cosa fai?- Denunci alle forze dell'ordine: 71,5%

- Paghi e ti riprendi il motorino: 24,5%- Non sa: 4%

7. Chi è Andrea Vecchio?

- Un politico: 10,5%- Un pregiudicato: 17,5%- Un imprenditore: 51%- Non sa: 21%- Risposte corrette: 51%- Risposte non corrette: 49%

8. Come giudichi il tasso di criminalità della tua città?- Basso: 4%- Medio: 43%- Alto: 52%- Non sa: 1%

9. Cos'è la Mafia?- Uno stile di vita: 5,5%- Un fenomeno umano: 4%- Una organizzazione illegale di persone che vive sfruttando i cittadini onesti: 88,5%- Non sa: 2%

10. Cos'è il Pizzo o Racket?- Protezione da atti vandalici: 6%- Controllo del territorio da parte di orga-nizzazioni criminali: 88,5%- Non lo so: 5,5%

11. Chi è Pio La Torre?- Un imprenditore: 12%- Un pregiudicato: 26%- Un politico: 38%- Non sa: 24%- Risposte corrette: 38%- Risposte non corrette: 62%

12. Apriresti un'attività commerciale nel-la tua città?- Si: 44%- No: 19%- Si, ma non mi sentirei sicuro: 33,5%

- Non risponde: 3,5%

13. L'imprenditore che denuncia racket: - E' protetto dallo stato: 39,5%- Viene lasciato solo: 45%- E' un incosciente: 9,5%- Non risponde: 6%

14. Chi è Libero Grassi?- Un politico: 18,5%- Un imprenditore: 36%- Un pregiudicato: 15%- Non sa: 30,5%- Risposte corrette: 36%- Risposte non corrette: 64%

15. Conosci il Comitato Addio Pizzo?- Si: 27,5%- No: 72,5%

16. Se è si, lo sosterresti?- Si: 47%- No: 12%- Non sa/non risponde: 41% (tra coloro che hanno risposto; si: 80%, no: 20% )

17. Sei testimone di una rapina o un fur-to e hai elementi utili all' individuazione del responsabile: cosa fai?- Denunci alle forze dell'ordine: 63%- Fai finta di nulla: 13,5%- Non denunci per paura ma ti senti in colpa per non averlo fatto: 20,5%- Non risponde: 3%

18. Secondo te ha più potere:- La mafia: 63,5%- Lo stato: 13,5%- Il popolo: 18,5%- Non sa: 4,5%

19. Dopo l'uccisione dell'ispettore Raciti, la squalifica del campo di calcio è stata:- Necessaria: 62,5%- Eccessiva: 19,5%- Ingiusta: 15,5%- Non sa: 2,5%

20. In quali di queste espressioni ti rico-nosci?- Il fine giustifica i mezzi: 26%- L'importante non è vincere ma partecipa-re: 46,5%- La migliore parola è quella che non si dice: 22,5%

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Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

C'era una volta i boss, e i minatori,

e i garibaldini...

I FRATELLI COMAIANNI

A Corleone nell’estate 1944 la guardia campestre Calogero Comaianni arrestò in flagranza di reato Luciano Leggio, detto Liggio, e un suo complice mentre stavano rubando del grano appena mietuto.

Liggio meditò da subito la vendetta che si consumò fredda, gelida dopo che ebbe scontato tre mesi di galera.

Calogero Comaianni allungò il passo quando si accorse di essere inseguito da due individui incappucciati e riuscì a sal-varsi, quella sera. Ma l’indomani mattina per lui non ci fu scampo: liggio ed il suo complice Giovanni Pasqua lo attesero nei pressi della sua casa, lui cercò di rientrarvi precipitosamente non appena si accorse del pericolo. Ebbe il tempo di riconoscere gli assassini, di vedere il ghigno di Liggio e di urlare il nome di Giovanni Pasqua che gli stava sparando addosso.

La moglie Maddalena Ribaldo vide tutto e denunciò i due ai carabinieri e alla poli-zia, testimoniò in tribunale contro Liggio ed il suo complice.

A Corleone un anno e mezzo dopo nac-quero due bambine: Maria e Gina. Maria era figlia di Carmelo, primogenito di Calo-gero Comaianni, Gina era figlia di Giovan-ni Pasqua. La mamma di Gina non poteva allattare e la piccola sarebbe morta se Carmelo non avesse accolto la richiesta di

alcuni vicini di casa di fare allattare al seno di sua moglie la piccola Gina.

E così Carmelo Comaianni salvò la vita della figlia dell’assassino di suo padre.

LE BOMBE DI VILLALBA

Sedici settembre 1944. Nella piazza di Villalba c’era solo un uomo con un bastone in mano ad aspettare che Li Causi comin-ciasse a parlare. Era don Calogero Vizzini, padrone assoluto di Villalba e dei suoi abi-tanti e grande proprietario terriero, aveva impedito a tutti di entrare in piazza e ad ascoltare Li Causi erano quelli che lo ave-vano accompagnato per il comizio.

Don Calò ritenne di ordinare a Li Causi di non parlare, durante il comizio, di pro-blemi come “mafia”, come “ terre ai conta-dini”, come “di politica”, insomma.

Li Causi non poté ubbidire e quando le sue parole contro la mafia, contro gli sfrut-tatori calamitarono nella piazza i contadini di Villalba e aprirono le finestre e riempiro-no i balconi sulla piazza di donne e uomini che esprimevano chiaramente consenso, don Calò, allora, scatenò l’attacco.

Contro Li Causi e la gente che si strinse intorno furono lanciate cinque bombe a mano, una delle quali colpì Li Causi ad un ginocchio. “Quel giorno il leader comunista poté constatare direttamente con quale fero-ce determinazione gli agrari e la mafia era-

no disposti a difendere i loro privilegi”. (Paternostro, 2007)

Vizzini e Farina, nipote di Don Calò, ol-tre che Sindaco di Villalba e segretario del-la sezione della Democrazia Cristiana, fu-rono rinviati a giudizio e poi condannati a cinque anni di reclusione, ma nessuno dei due fece un giorno di carcere: non fu ese-guito l’arresto, don Calò si dette latitante e morì, nel 1954, nel suo letto. Poi per tutti i partecipanti alla strage arrivò, nel 1958, la grazia del Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi.

LE DUE ITALIE

Dopo che fu proclamato il Regno d’Italia, Garibaldi tornò in Sicilia per completare con la presa di Roma la liberazione della capitale ancora in mano della Chiesa e del Papa Pio IX.

Non si sa bene se fu a Marsala o a Paler-mo che si udì per la prima volta tra i volon-tari garibaldini il grido “o Roma o morte” ma si sa bene che questo grido fu strozzato dalle parti dell’Aspromonte.

Ma la storia che voglio raccontare è un’altra: è una storia quasi sconosciuta, di-menticata che si consumò dentro la spedi-zione “dell’Aspromonte”. Va ricordato, al-lora, che molti volontari non trovarono po-sto nelle due imbarcazioni che partirono da Catania dirette verso la Calabria.

|| 27 dicembre 2009 || pagina 12 || www.ucuntu.org ||

”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che laavrò il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva e la cronaca è morta, e aveva ragione. La cronaca vale un giorno, mentreStoria è viva e la cronaca è morta, e aveva ragione. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento antila storia vale sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento anti--mafia: ma forse non siamo d'accordo. La storia è un insieme di cronache di tante persomafia: ma forse non siamo d'accordo. La storia è un insieme di cronache di tante perso--ne comuni. E tutte le cose diventano anch'esse storia, prima o poi. Comunne comuni. E tutte le cose diventano anch'esse storia, prima o poi. Comunque, ecco leque, ecco le storie che Elio Camilleri sta facendo girare per l'internet. Antiche e attualisstorie che Elio Camilleri sta facendo girare per l'internet. Antiche e attualissime, siciliane sime, siciliane

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Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

Dalle parti di Fantina, in provincia di Messina, un gruppo di garibaldini sbandati ed affamati fu intercettato dal maggiore dell’Esercito Regio Giuseppe de Villata: erano in quattro, poi se ne aggiunsero altri tre. Furono regolarmente interrogati, rego-larmente considerati come nemici, regolar-mente condannati a morte e regolarmente giustiziati. Era il 2 settembre 1862.

Fu una strage assolutamente ingiustifica-ta, ma che risultò utile solo al maggiore per guadagnarsi il grado di tenente colonnello. Uabria.dato, allora, che molti volontari non trovarono posto nelle due imbarcazioni che partirono da Catania dirette verso la C

Volevano un’Italia repubblicana, demo-cratica e tutta unita con capitale Roma e fu-rono massacrati dal Regio Esercito Italiano. Anche allora, come oggi, convivevano due Italie: una dentro l’altra, una contro l’altra.

IL SEGGIO DEL BOSS

Sull’autostrada per Palermo, dopo le gal-lerie di Termini Imerese, s’incomincia a ve-dere a destra la rocca di Solunto e a sinistra quella di Caccamo. Ecco, proprio lì, a Cac-camo, negli anni ‘50 imperava Peppino Panzeca.

Lui era davvero un “pezzo da 90” e per un certo periodo fu pure il capo della Com-missione provinciale di Cosa nostra. Suo fratello, pure lui mafioso, era l’arciprete del paese.

Lì a Caccamo lo Stato democratico non era ancora arrivato: il Consiglio comunale c’era, ma presentava una particolarità dav-vero speciale perché accanto alla poltrona

del Sindaco c’era quella di Peppino Panze-ca perché era lui che poteva dire l’ultima parola su tutto.

Niente, o quasi, da dire se non fosse che il boss non era stato mai candidato in nes-suna lista, né, quindi, risultava eletto.

Solo nel 1962, l’elezione in Consiglio co-munale di quattro consiglieri comunisti per-mise la rimozione del “seggio del boss”.

Si potrebbe solo riderci su se quella di Peppino Panzeca fosse stata solo la goliar-dia di una volta e non, invece, la dimostra-zione più lampante dello strapotere agrario-mafioso sul territorio.

Ricordare che il 7 agosto 1952 il contadi-no comunista Filippo Intile, nel volere ap-plicare il Decreto Gullo sulla spartizione 60 a 40 tra contadino e proprietario del prodot-to della terra, per avere osato, così, ribellar-si a Peppino Panzeca, fu massacrato a colpi di accetta, allora significa cominciare a ca-pire cosa significò nel secondo dopoguerra in Sicilia il rapporto triangolare tra DC, Vaticano e mafia contro le sinistre.

I BAMBINI DI TERRAPELATA

La Sicilia è stata anche terra di miniere di zolfo e di lotte durissime contro lo sfrutta-mento soprattutto minorile dei “carusi” che venivano letteralmente venduti dai genitori ai “gabelloti di zolfara”. Poi ci volevano anni ed anni per riscattare la libertà ed il possesso delle proprie braccia.

Gli anni del secondo dopoguerra videro i minatori in lotta per ottenere il rispetto dei diritti sindacali fondamentali: orario di la-voro, aumenti salariali, adeguamento del

fondo pensione e sicurezza nelle miniere. Nel 1952 la lotta, data l’assoluta indisponi-bilità padronale, prese la forma dello scio-pero ad oltranza e dell’occupazione delle miniere.

Le donne e i minatori rimasti in superfi-cie, giorno dopo giorno, fecero di tutto per resistere alle difficoltà progressivamente più gravi per le famiglie e soprattutto per quelli laggiù nelle miniere che gonfiavano per la polmonite. Da ricordare una delle tante manifestazioni: quella del 25 febbraio che vide protagonisti i bambini, così come è stata raccontata da Enrichetta Casanova Infuso nel suo diario.

“Siamo al sessantesimo giorno di lotta, i padroni sempre più caparbi e il freddo sem-pre più intenso Abbiamo fatto esperienze d’ogni genere, tutto il popolo è coi minato-ri, ma ogni giorno che passa se ne va come gli altri (…) Il 25 febbraio 1952 come tanti soldatini cominciarono ad arrivare decine di bambini da ogni strada, da ogni villag-gio, anche da quello più lontano di Torrepe-lata (…) Il corteo verso la Prefettura è lun-ghissimo e lo accompagnano solo due don-ne. Da tutte le finestre e i balconi la gente si affaccia e piange. Nella piazza centrale un brigadiere ci sbarra il passo e grida: tornate indietro se non volete guai. L’ufficiale è di-ventato furioso al punto di perdere la testa e di ordinare ai celerini la carica. Ce li vedia-mo piombare addosso come bestie feroci”.

Malgrado i celerini di Scelba, alla fine, i minatori vinsero la loro battaglia, grazie an-che ai bambini di Terrapelata.

Elio Camillerihttp://camilleri19.spaces.live.com

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Violenza, prepotenze, società Violenza, prepotenze, società

Caro Calabresi, ne parlo con te

che ne capisci

Il paese va verso uno scontro tra due bande che camminano con cinismo su morti e feriti, pronte a usare il sangue del premier per giustificare le violenze sui poveri, e il sangue dei poveri per giustificare le violenze sul premier.

Gentile Dott. Calabresi,Ho avuto modo di leggere il suo articolo

"gli indignati a senso unico", nel quale si parla delle persone che "mostrano di essere solidali con gli immigrati e i più deboli, sconvolte per gli attacchi di Berlusconi ai magistrati e preoccupate per la democra-zia, ma non toccate da ciò che è accaduto ieri sera". Vorrei richiamare la sua atten-zione sull'altra metà del problema, e cioè sulle persone che sono state sconvolte per la violenza esercitata ai danni del premier e preoccupate per una degenerazione vio-lenta del clima politico, ma non toccate dalla violenza esercitata sugli ultimi e sui poveri nè interessati a fare qualcosa per combatterla".

A mio avviso questa seconda categoria di persone va tenuta sotto osservazione tanto quanto la prima, anzi forse di più, perché comprende persone che rivestono alti incarichi di governo e che non solo

non fanno niente per ridurre la violenza ai danni di soggetti deboli come migranti o carcerati, ma promuovono e dispongono misure che la aggravano: interventi militari all'estero, respingimenti forzati che forza-no anche il diritto internazionale, ronde di vigilantes, lager di stato.

I "sensi unici" nel codice della strada sono due, perché lei ne condanna uno sol-tanto? Se vogliamo affermare il principio di civiltà di una "nonviolenza a doppio senso di marcia" che condanna con la stes-sa fermezza le aggressioni ai potenti e quelle contro i poveri, dobbiamo stare at-tenti anche a quelli che minimizzano alcu-ne forme di violenza solo perché rivestono una parvenza di legalità, e sono approvate dal senso comune anche se le loro conse-guenze ricadono su tantissime persone e non su un solo capo di governo.

* * *Cito testualmente del suo articolo: "que-

sto modo di ragionare mi fa paura: come è possibile mostrare sensibilità a senso uni-co, battersi contro le violenze e poi giusti-ficare un’aggressione, essere democratici e pacifisti e provare soddisfazione per il vol-to tumefatto di Berlusconi. Significa che l’ideologia continua a inquinare le coscien-

ze, ad oscurare le menti".Le confesso che mi fa paura anche lo

speculare ragionamento a senso unico: come è possibile battersi contro la violenza di una mano nuda che sfigura un uomo e poi chiudere gli occhi di fronte alla violen-za degli eserciti che aggrediscono altri po-poli e nazioni, delle polizie che reprimono proteste legittime a colpi di manganello, delle carceri dove i detenuti vengono pe-stati spesso e volentieri, delle ronde razzi-ste, delle speculazioni economiche che di-struggono e violentano aziende, famiglie e l'intero paese?

* * *Magari è vero quello che lei dice: l'ideo-

logia continua a inquinare le coscienze. Ma le ideologie inquinanti non sono solo quelle pseudorivoluzionarie che illudono la gente di poter cambiare le cose in me-glio a colpi di cazzotti o pallottole. A "in-quinare le coscienze e ad oscurare le men-ti" c'è anche l'ideologia del potere, una pe-ricolosa ideologia classista pronta a con-vincerci che due denti rotti di un uomo di potere sono un problema più importante dei poveri che muoiono affogati nell'adria-tico, suicidi in un lager di stato, deportati in Libia o ammazzati di botte in caserma.

|| 27 dicembre 2009 || pagina 14 || www.ucuntu.org ||

Ma è giusto prendere a colpi in testa un altro essere umano, per quantoMa è giusto prendere a colpi in testa un altro essere umano, per quanto “nemico” sia? No, diremmo proprio di no. E lo scriviamo autorevolmente“nemico” sia? No, diremmo proprio di no. E lo scriviamo autorevolmente sui giornali. Sempre? No, solo quando il picchiato è una persona imporsui giornali. Sempre? No, solo quando il picchiato è una persona impor--tante, un simbolo d'autorità, “uno di noi”. Quando il picchiato è un povetante, un simbolo d'autorità, “uno di noi”. Quando il picchiato è un pove--ro, un diverso, un “contestatore”, i colpi in testa piovono senza che nesro, un diverso, un “contestatore”, i colpi in testa piovono senza che nes--suno ci faccia gran caso (soprattutto sui giornali). Ne vogliamo parlare? suno ci faccia gran caso (soprattutto sui giornali). Ne vogliamo parlare?

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Violenza, prepotenze, società Violenza, prepotenze, società

Come è possibile dirsi nemici della vio-lenza senza riconoscere che i denti, il san-gue e la vita dei poveri sono uguali a quelli dei capi di stato e di governo? Chi oggi di-fende (giustamente e con ragione) Berlu-sconi aggredito, soprattutto se riveste inca-richi di governo, domani dovrebbe impe-gnarsi a combattere anche la violenza con-tro gli sconosciuti, i poveri e i dimenticati per dare dignità e coerenza alle proprie af-fermazioni.

* * *Tanto per fare un esempio, quanti denti

rotti e quanto sangue versato si potrebbero evitare se il ministro La Russa di fronte al sangue del suo leader di partito decidesse di disporre il ritiro delle truppe italiane al-l'estero dirottando sulla cooperazione e sulle agenzie umanitarie dell'Onu quello che oggi viene speso per far rischiare la vita a migliaia di soldati italiani? Perché oggi chi fa questi ragionamenti viene chia-mato terrorista, comunista o coglione nella migliore delle ipotesi, e si ritrova reclutato a forza tra le fila di chi ha esultato per l'ag-

gressione al premier? Non è anche questa una forma di violenza?

Lei ha pieno titolo e piena autorità mora-le per parlare di violenza, visto che l'ha su-bita, e non solo quella armata, ma anche la violenza verbale, ideologica e politica esercitata da più parti contro lei e la sua fa-miglia.

Ma io mi auguro per il bene di tanta gen-te che non ha potere nè giornalisti pronti a difenderli che domani lei sia pronto a par-lare e scrivere con altrettanta forza anche dopo il prossimo suicidio in carcere, rim-patrio forzato di migranti, manifestazione repressa con violenza, cittadino ammazza-to di botte dalle forze di polizia.

* * *Mi auguro che lei sia pronto a mettere al

servizio degli ultimi il suo coraggio di af-fermare verità scomode anche quando i rappresentanti delle istituzioni giustifiche-ranno queste violenze dicendo che si tratta di "episodi isolati" (quando i suicidi in car-cere sono sempre più frequenti), "immigra-ti clandestini" (quando spesso si tratta di richiedenti asilo che hanno uno status giu-ridico ben diverso) o "ragazzi drogati" (quando in realtà sono stati ammazzati di botte come Stefano Cucchi o Federico Al-drovandi).

Quello che la gente di buon senso chiede

a lei e a tutti gli intellettuali, giornalisti, scrittori, politici, pensatori e opinionisti, è che la lotta contro la violenza avvenga sempre, con coerenza e onestà intellettua-le, indipendentemente da chi è l'oggetto della violenza. Sarete capaci di questo compito così importante?

L'alternativa è quella di osservare il paese che precipita verso uno scontro tra due bande che camminano con cinismo su morti e feriti, pronte a usare il sangue del premier per giustificare le violenze sui poveri, e il sangue dei poveri per giustificare le violenze sul premier. Nessuna di queste violenze è giustificabile, ma entrambe vanno comprese, capite e denunciate senza vergogna per poterle combattere.

Immagino che la violenza contro il premier verrà combattuta con il miglior trattamento clinico di cui si possa umanamente disporre e con rafforzate misure di sicurezza per tutelarne l'incolumità. Che cosa faremo io e lei domani per combattere la violenza contro i poveri e gli sconosciuti? Lascio a lei la risposta a questo interrogativo.

Carlo Gubitosawww.mamma.am

|| 27 dicembre 2009 || pagina 15 || www.ucuntu.org ||

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Teatro popular Teatro popular

Se la mafiaimbavagliaun attoree tutti tacciono

Com'è che i giornali, tranne rare eccezioni, non parlano di questa storia, dell'attore lodigiano Giulio Cavalli minacciato di morte dalla mafia per aver preso in giro Bernardo Provenzano in alcuni spettacoli in piazza in Sicilia e in Lombardia?

Come mai il mondo del teatro non dice una parola su un attore minacciato di morte dalla mafia e da un anno costretto a girare con la scorta armata?

Com'é che a Lodi e a Milano, città gelose della propria libertà, i cittadini, i circoli e le istituzioni hanno lasciato correre una cosa così grave? Cosa significa questo silenzio assordante?

Temo che significhi nient'altro che paura e rassegnazione. E' grave che non si riesca a reagire altrimenti e che tutto ciò, invece di produrre solidarietà, sostegno, protezione collettiva di una voce libera e coraggiosa, produca l'isolamento della vittima di un'ingiustizia.

Fatti come questo devono farci riflettere sul punto a cui siamo arrivati, con il condizionamento mafioso, anche nel Nord un tempo tanto orgoglioso di

essere immune dagli spregevoli effetti della violenza mafiosa.

Anche nel Nord siamo andati molto avanti nel senso dell'acquiescenza e del contagio. Questo silenzio, questa disattenzione possono esserci solo perché, purtroppo, molti italiani, (ma soprattutto molti giornalisti, anche del Nord) pensano che in questa storia se c'è uno che ha sbagliato, questi è Giulio Cavalli, il quale, secondo questo modo di pensare e una formula molto usata "se l'è cercata".

Non avrebbe dovuto prendere in giro Bernardo Provenzano, non avrebbe dovuto violare la tacita convenzione del silenzio e dell'autocensura che vige nel nostro libero paese! Che gli costava?

La convenzione non scritta, come sappiamo, vale più delle leggi e delle convenzioni universali ed europee dei diritti dell'uomo; stabilisce che un attore, uno scrittore, un giornalista per vivere tranquillo non deve mai comportarsi come Giulio, né come quell'altro matto di Roberto Saviano, né come quei cronisti scriteriati alla Lirio Abbate, Rosaria Capacchione e via

elencando..No, chi vuole vivere senza minacce di

morte o di altre rappresaglie può farlo semplicemente attenendosi alla regola di parlar d'altro, di fingere che la mafia e i mafiosi non esistono, e se proprio non può fare a meno di parlare dei boss, dei loro amici corrotti e intrallazisti, deve parlarne con molto rispetto e senza turbare lo svolgimento dei loro affari.

E' facile, che ci vuole? Ci riescono (quasi) tutti. E' comodo e fin troppo facile.

Proprio per questo noi ammiriamo chi non ci riesce, e perciò io abbraccio forte Giulio Cavalli, Roberto Saviano e tutti i matti come loro che pagano un caro prezzo per dimostrarci che la regola del quieto vivere si può rifiutare, e che l'autocensura è proprio il contrario della libertà di espressione

Alberto SpampinatoOssigeno per l'informazione

osservatorio Fnsi-OdGsui cronisti minacciati

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Giulio Cavalli, che è lombardo, è fra gli artisti più impeGiulio Cavalli, che è lombardo, è fra gli artisti più impe--gnati oggigiorno sul fronte dell'antimafia. Riprende consagnati oggigiorno sul fronte dell'antimafia. Riprende consa--pevolmente la strategia culturale di Peppino Impastato:pevolmente la strategia culturale di Peppino Impastato: mettere in ridicolo i boss, sputtanarli come dei ferocimettere in ridicolo i boss, sputtanarli come dei feroci quacquaracquà. Questo comporta dei rischi, a volte anchequacquaracquà. Questo comporta dei rischi, a volte anche grossi. Ma lo difendono i suoi colleghi attori, voigrossi. Ma lo difendono i suoi colleghi attori, voi penserete, il mondo dello spettacolo. Beh, magari...penserete, il mondo dello spettacolo. Beh, magari...

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Memoria Memoria

Elenco dei detenuti deceduti nelle carceri italiane

nell'anno 2009

I nomi che seguono sono di detenuti mor-ti nelle carceri italiane durante l'anno 2009. I decessi sono stati causati da: suicidio, mancata o insufficiente assistenza sanitaria, episodi di overdose, altre cause non defini-tivamente chiarite. I decessi qui elencati ammontano al numero di 81. Per molti dei detenuti, specie stranieri, non è stata possi-bile alcuna identificazione. Essi vengono qui indicati col generico termine “de-tenuto”. L'elenco è incompleto, fermandosi al 28 ottobre 2009.

Elenco dei detenuti:

Aziz. Marocchino. 34 anni. 03 gennaio 2009. Suicidio. Spoleto. Salvatore Migno-ne. 37 anni. 04 gennaio 2009. Omicidio. Secondigliano (Na). Edward Ugwoj Osuag-wu. 35 anni. 17 gennaio 2009. Suicidio. Alessandria. Rocco Lo Presti. 72 anni. 24 gennaio 2009. Da accertare. Torino. Dete-nuto croato. 37 anni. 26 gennaio 2009. Sui-cidio. Poggioreale (Na). Francesco Lo Bianco. 28 anni. 27 gennaio 2009. Da ac-certare. Ucciardone (Pa). M. B. , detenuto italiano. 60 anni. 30 gennaio 2009. Suici-dio. Sollicciano (Fi). Gaetano Sorice. 38 anni. 31 gennaio 2009. Overdose. Teramo.

Vincenzo Sepe. 54 anni. 01 marzo 2009. Suicidio. Bellizzi Irpino (Av). Mohamed.

Marocchino. 26 anni. 06 marzo 2009. Sui-cidio. SM Maggiore (Ve). Leonardo Di Modugno. 25 anni. 08 marzo 2009. Suici-dio. Foggia. Giuliano D., italiano. 24 anni. 08 marzo 2009. Suicidio. Velletri (Rm). Giancarlo Monni. 35 anni. 09 marzo 2009. Malattia. Cagliari. Detenuto italiano. 37 anni.

16 marzo 2009. Suicidio. Poggioreale (Na). Jed Zarog. 30 anni. 17 marzo 2009. Suicidio. C. C. di Padova. Detenuto algeri-no. 42 anni. 19 marzo 2009. Da accertare. C. I. E. di Roma. Marcello Russo. 38 anni. 22 marzo 2009. Suicidio. Voghera (Pv). Francesco Esposito. 27 anni. 27 marzo 2009. Suicidio. Poggioreale (NA). Carmelo Castro. 20 anni. 27 marzo 2009. Suicidio. Piazza Lanza (Ct). Gianclaudio Arbola. 43 anni. 31 marzo 2009. Suicidio. Marsala (Tp).

Detenuto tunisino. 28 anni. 13 aprile 2009. Suicidio. Pisa. Andrei Zgonnikov. 47 anni. 16 aprile 2009. Suicidio. Salerno. An-tonino Saladino. 57 anni. 20 aprile 2009. Suicidio. Viterbo. Daniele Topi. 37 anni. 21 aprile 2009. Suicidio. Rimini. Ihssane Fa-khreddine. 30 anni. 24 aprile 2009. Da ac-certare. Firenze. Franco Fuschi. 63 anni. 26 aprile 2009. Suicidio. Alessandria.

Graziano Iorio. 41 anni. 1 maggio 2009. Suicidio. Poggioreale (Na). Ion Vassiliu. 21

anni. 1 maggio 2009. Suicidio. Pisa. Nabru-ka Mimuni. 44 anni. 7 maggio 2009. Suici-dio. Roma (C.I.E.). L.P. , detenuto italiano. 27 anni. 15 maggio 2009. Da accertare. Campobasso. Detenuto marocchino. 30 anni. 15 maggio 2009. Da accertare. C.C. Padova. Detenuto marocchino. 25 anni. 19 maggio 2009. Suicidio. Bergamo. Samir Mesbah. 36 anni. 27 maggio 2009. Suici-dio. Firenze. Detenuto italiano. 40 anni. 30 maggio 2009. Malattia. Terni.

Vincenzo Nappo. 43 anni. 09 giugno 2009. Suicidio. Opg Aversa (Ce). Detenuto italiano. 79 anni. 09 giugno 2009. Malattia. Secondigliano (Na). Antonio Chiaranza. 32 anni. 10 giugno 2009. Suicidio. Crotone. Anna Nuvoloni. 40 anni. 11 giugno 2009. Da accertare. Sollicciano (Fi). Charles Omofowan. 32 anni. 14 giugno 2009. Ma-lattia. Lanciano (Ch).

Rino Gerardi. 38 anni. 16 giugno 2009. Da accertare. Venezia S.M.M. Detenuto marocchino 30 anni. 18 giugno 2009. Suicidio. Brindisi (Caserma). Detenuta italiana. 35 anni. 21 giugno 2009. Suicidio. Civitavecchia (Rm). Detenuto indiano. 30 anni. 21 giugno 2009. Suicidio. Vercelli. Khalid Husayn79 anni. 21 giugno 2009. Malattia. Benevento.

Detenuta italiana. 28 anni. 06 luglio 2009. Da accertare. Sollicciano (Fi).

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Dei nomi che diamo in queste pagine alcuni hanno avuto una breve menzione in qualcheDei nomi che diamo in queste pagine alcuni hanno avuto una breve menzione in qualche

pezzo di cronaca al momento dell'arresto, altri nemmeno questo. Altri ancora sonopezzo di cronaca al momento dell'arresto, altri nemmeno questo. Altri ancora sono

rimasti, in morte come in vita, sconosciuti del tutto alle istituzioni come ai cittadini.rimasti, in morte come in vita, sconosciuti del tutto alle istituzioni come ai cittadini.

Li elenchiamo qui, in queste ultime nostre pagine dell'anno, per pietà e per vergogna.Li elenchiamo qui, in queste ultime nostre pagine dell'anno, per pietà e per vergogna.

Fortunato o meno che sia in Italia l'anno che viene, di destra o di sinistra, più povero oFortunato o meno che sia in Italia l'anno che viene, di destra o di sinistra, più povero o

più ricco, che almeno non debba terminare con un altro elenco come questopiù ricco, che almeno non debba terminare con un altro elenco come questo

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Memoria Memoria

Sami Mbarka Ben Gargi. 41 anni. 05 set-tembre 2009. Suicidio. Pavia. Cole Abib. 32 anni. 08 settembre 2009. Suicidio. Tera-mo. Detenuto cileno. 19 anni. 10 settembre 2009. Suicidio. Castrovillari (Cs). Detenuto italiano. 44 anni. 11 settembre 2009. Suici-dio. Ucciardone (Pa). Fersi Walid. 30 anni. 12 settembre 2009. Suicidio. Prato. Rosario Vollaro. 38 anni. 12 settembre 2009. Suici-dio. Lecce. Antonino Patafi. 89 anni. 19 settembre 2009. Malattia. Roma (det.dom.). Nevio Porreca. 55 anni. 19 settembre 2009. Malattia. Opera (Mi). Detenuto italiano. 40 anni. 26 settembre 2009. Suicidio. Firenze. C.N., detenuto italiano. 39 anni. 27 settem-bre 2009. Suicidio. Castrovillari (Cs). Da-niele Salvatori. 26 anni. 28 settembre 2009. Da accertare. Sulmona (Aq).

Roberto Capri. 31 anni. 04 ottobre 2009. Suicidio. Poggioreale (Na). Gennaro Cer-bone. 41 anni. 11 ottobre 2009. Malattia. Lanciano (Ch). Elio O., detenuto italiano. 35 anni. 13 ottobre 2009. Da accertare. Fro-sinone. Detenuto romeno. 24 anni. 17 otto-bre 2009. Suicidio. Tolmezzo (Ud). Stefano Cucchi. 31 anni. 22 ottobre 2009. Da accer-tare. Regina Coeli (Rm). Rahmoni Wissem. 30 anni. 26 ottobre 2009. Malattia. Isernia. Francesco Gozzi. 52 anni. 27 ottobre 2009. Suicidio. Parma. Marcello Calì. 50 anni. 28 ottobre 2009. Malattia. Poggioreale (Na).

MANUEL E GLI ALTRI/MORIRE DENTRO

Manuel Eliantonio, ventidue anni, è morto in una cella del carcere di Genova Marassi il 25 luglio del 2008: non rientra duque nelle statistiche del 2009,che segnano il record di questo decennio. Il suo corpo era stato rinvenuto pieno di ferite e sul suo volto irriconoscibile. Tuttavia, all'inizio di questo mese, il pubblico ministero della procura di Genova, ha chiesto l'archiviazione delle indagini sulla sua morte. Nessuna verità ufficiale se non quella di decesso per soffocamento per butano.Cadono nel vuoto le parole di Maria, sua madre. “L'ho trovato gonfio di tutte le sfumature di colori, nero, marrone, ver-de... Il naso rotto, le dita rotte, il volto e il collo gonfio, le unghie blu. Non mi è sta-ta data nessuna altra dichiarazione. Ma-nuel era terrorizzato dal butano...”.( http://blog.libero.it/manuelEliantonio/ )

Nel 2008 i morti in carcere, compreso il giovane Manuel Eliantonio, erano stati quarantasei. Secondo le rilevazioni del Dipartimento organizzazione

penitenziaria, fra il 2000 e il 2009 nelle carceri italiane si sono tolti la vita 559 detenuti. Quest'anno il numero è salito di molto.“Con i due suicidi registrati ieri a Vicenza e oggi a Roma – ha dichiarato pochi giorni fa il Garante dei detenuti - i detenuti che si sono tolti la vita nel 2009 nelle carceri italiane sono 71, cifra che supera la precedente soglia massima di 69, fatta registrare nel 2001''.

Se ne parla poco. C'è solo un'informazio-ne dal basso a raccontare le cronache di queste morti nere, come quella di Manuel o quella di Uzoma Emeka, testimone del pestaggio nel carcere di Teramo del 22 settembre scorso e ritrovato senza vita due settimane fa.In Italia ci sono circa settantamila dete-nuti, il 65 per cento dei quali è in carcere per pene inferiori ai tre anni. Questo era il caso di Manuel, che sarebbe dovuto uscire esattamente un mese dopo quel 25 luglio 2008.Suicidi e morti aumentano. Ammalati la-sciati morire, giovani pestati. Ci sono dei testimoni, ma hanno paura.

Fabio D'Urso

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Movimento Movimento

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