Ucuntu n.72

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060410 www.ucuntu.org - [email protected] Adesso sono tre: una con l'apartheid, una con la mafia e una che si arrabatta ancora alla vecchia maniera. I mafiosi, dal Sud, vugliono conquistare anche il nord. I razzisti, dal Nord, vogliono dilagare anche al sud. Gl'italiani superstiti, stretti fra i due, si guardano fra di loro perplessi e bizzosi. A re gazzì, pensateci voi a salvare sto' paese, se no non lo fa nessuno. Elezioni: Benanti/ Biani/ dalla Chiesa/ Fava/ Gubitosa “PRIVATI DELL'ACQUA”: MERCOLEDÌ IL QUARTO DOSSIER DI LAVORI IN CORSO || 6 aprile 2010 || anno III n.72 || www.ucuntu.org || Italie

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il numero del 6 aprile 2010

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060410 www.ucuntu.org - [email protected]

Adesso sono tre: una con l'apartheid, una con la mafia e una che si arrabatta

ancora alla vecchia maniera. I mafiosi, dal Sud, vugliono conquistare anche

il nord. I razzisti, dal Nord, vogliono dilagare anche al sud. Gl'italiani

superstiti, stretti fra i due, si guardano fra di loro perplessi e bizzosi.

A regazzì, pensateci voi a salvare sto' paese, se no non lo fa nessuno.

Elezioni: Benanti/ Biani/ dalla Chiesa/ Fava/ Gubitosa

“PRIVATI DELL'ACQUA”: MERCOLEDÌ IL QUARTO DOSSIER DI LAVORI IN CORSO

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Italie

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Dopo le elezioni Dopo le elezioni

I Conducentidemocraticamente eletti

delle Repubbliche italiana e libica.

Le tre Italiedel dopo-voto

La cosa più inportante in queste elezioni è che per la prima volta la gente ha votato secondo criteri “etnici” e non politici: prima c'erano soprattutto una destra e una sinistra, ora c'è soprattutto un nord e un sud. Qualcosa del genere si era già verificato negli ultimi tempi della Jugoslavia.

La seconda cosa importante è che queste elezioni, che nessuno formalmente ha contestato, sono elezioni fino a un certo punto, falsate sia da irregolarità amministrative (la faccenda delle liste, ecc.) che dalla disparità, ormai ridicola, di propaganda. Entrambe queste caratteristiche sono ormai praticamente accettate. E' dubbio, da questo punto di vista, che l'Italia sia ancora un paese democratico nel senso occidentale.

Dal voto sono usciti tre Paesi distinti – il Nord, il Centro con la Puglia, il Sud – dei quali almeno due, come statuto di fatto, sono completamente fuori dalla vecchia Costituzione. Al nord è ormai riconosciuta quasi dappertutto l'apartheid, che nell'Italia classica non è mai esistita nè a destra nè a sinistra nè in alcun'altra formazione; al Sud, dopo i fatti di Rosarno (ma prima ancora di Napoli), è ormai indubbio che il reale governo del territorio è gestito spessissimo da mafia, 'ndrangheta e camorra (il Sistema). Neanche questo era

previsto dalla precedente Costituzione.* * *

La responsabilità delle varie sinistre, in tutto ciò, non è da poco. Il partito maggiore ha quella di aver lasciato crescere Berlusconi, con una tendenza all'inciucio (come ora in Sicilia) che sembra fare ormai parte del suo Dna. I minori quello di essersi colpevolmente divisi (Ferrero e Vendola), di aver navigato fra piazza e notabilato (Di Pietro), di aver trasformato giuste istanze in pasticci utili a nessuno (Grillo).

Se si dovesse sintetizzare, il vilain più emblematico risulterebbe Bassolino: accolto con entusiasmo da una popolazione ansiosa di cambiare, sostenuto con lealtà e coraggio dalla massa infelice ma fiera dei napoletani – e scivolato nel giro di pochi anni nell'arroganza, nel notabilato, nella corruzione e infine nel tradimento politico e sociale. Nessun segretario della sinistra sarà credibile se non farà piazza pulita, e pubblicamente, di tale gente.

Abbiamo perso il Lazio per pochi voti e il Piemonte per la coglionaggine (peraltro giustificata) dei grillini; ma la Campania e la Calabria li abbiamo persi perché abbiamo malgovernato, perché non siamo stati, come la gente ci aveva chiesto, antimafiosi.

* * *Non è elevatissimo, il dibattito post-

elezioni della sinistra: panico, accuse reciproche e ambizioni si sfogano liberamente e senza alcun senso di responsabilità. Tornano a farsi sentire i Veltroni, i D'Alema e gli altri affossatori del vecchio modello Pci, che pure organizzativamente (e purtroppo l'ha dimostrato Bossi) era quanto di più efficiente la sinistra italiana avesse mai prodotto. Negli apparati, i giovani non sembrano molto meglio dei vecchi, quanto a proclami apodittici gonfi di Io.

Alla base, per fortuna, il clima è differente. Rabbia (si è perso per pochissimo), volontà di lottare, patriottismo. Fra i giovani soprattutto c'è confusione, sconcerto, paura per l'avvenire ma non, o assai raramente, rassegnazione. E questo trasversalmente, senza gran distinzioni di partito. Chi spera in Vendola, chi in Bersani, ma in un Bersani o un Vendola visti non come grandi leader blairiani ma come servitori seri e modesti di noi tutti.

Il modello politico – lo ripetiamo ancora – per noi è quello dell'antimafia, libera, responsabile, combattiva e unita. Il progetto potrebbe ripartire dell'intervista estiva di Romano Prodi (qui a suo temo ripresa), autocritico, anti-blairiano, irriducibilmente anti-destra, e ottimista.

Riccardo Orioles

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Dopo Cuffaro Dopo Cuffaro

Mafiae Regione

Mafia e Regione Siciliana, binomio anti-co. Oggi si rinnova. Il più grande centro di Potere politico-mafioso di Sicilia, appunto la Regione, col suo fiume di denaro e di privilegi, è al centro dell’ennesima inchie-sta sul crinale dei rapporti –tutti da dimo-strare in un’aula di giustizia, il che è sem-pre complicato- fra Cosa Nostra-voti-favo-ri.

Dalle pagine del rapporto dei Ros verreb-be fuori il solito canovaccio di Sicilia: scambi di “cortesie”, voti di mafia, appalti, denari, elezioni. Il bene pubblico trasforma-to in un mercimonio continuo e sistemati-co: un quadro veritiero di una Sicilia meta-fora di quel che avviene in Italia. Poi, c’è Catania, dove accade di tutto e di più, un’autentica polveriera di misfatti che non esplode per clamorose responsabilità di chi amministra la cosa pubblica e la giustizia.

Su tutto questo si staglia la figura di Raf-faele Lombardo, un’espressione della “poli-tica” della Prima Repubblica, arrivato ai vertici siciliani provenendo della provincia di Catania, da Grammichele: una volontà di ferro, un’ambizione senza fine, in linea con la descrizione che dei borghesi di provincia faceva Pippo Fava nelle sue pagine sulla Sicilia degli anni Sessanta e Settanta. Ne ha

viste quattro “Raffaele”, come lo chiamano i suoi amici: l’ascesa dall’organizzazione giovanile della Dc, il “cursus honorum” a Catania negli enti locali, fino al salto regionale, deputato e assessore regionale dietro la stella di Rino Nicolosi.

Poi, la “caduta”, gli anni bui di Tangento-poli: due volte arrestato, due volte assolto. Ad un certo punto, sembra finito: torna in sella, difende i cavalieri del lavoro e arriva nella Sicilia che non cambia mai davvero, ai vertici della Regione con la sua creatura l’ Mpa. Aggrega tanto, qualcuno dice tutto e il contrario di tutto, professionisti e de-scamisados, impiegati e sottoproletari, uo-mini d’impresa e di sindacato.

L’ Mpa travolge, fa accordi trasversali negli enti locali: con Firrarello e il suo gruppo di potere è un duello rusticano al giorno. Il potere del senatore e dei suoi uo-mini cala; lui, invece, no. Don Raffaè vin-ce. Fino all’ultima inchiesta? Si parla di possibili richieste d’arresto per lui e il fra-tello Angelo: lui è sprezzante sulle accuse e tira dritto. Chi ha bisogno di lui lo difende, sempre: nella palude siciliana sembra che tutto sia consentito, anche e soprattutto ve-nire meno alla propria dignità.

Marco Benanti

GLI ANTENATILA MADRE DI TUTTIGLI INCIUCI: IL “MILAZZISMO”DI CINQUANT'ANNI FA

Silvio Milazzo (1903-1982) è stato un poli-tico italiano, presente all'Assemblea Regio-nale Siciliana dal 1947 al 1958 con la De-mocrazia Cristiana e dal 1959 al 196 con l'Unione Siciliana Cristiano Sociale, partito di cui fu fondatore e leader. Dal 1958 al 1960 fu Presidente della Regione Siciliana con un'originale coalizione fra la sua Unio-ne Siciliana Cristiano Sociale, il PSDI, il PLI, il PRI e il Movimento Sociale Italiano, con l'appoggio del PSI e del PCI (Paolo D'Antoni, Vice presidente) allora guidato da Emanuele Macaluso.L'importanza della sua attività politica è tale che si parla di "milazzismo" per desi-gnare alleanze politiche fra destra e sinistra.Paolo D'Antoni (1895-1982) venne eletto all'Ars nel 1947nelle liste della DC, da cui uscì nel 1951 per fondare la Concentrazio-ne Autonomista. Rieletto nel 1955 come in-dipendente con il Pci, fu uno dei protagoni-sti dell'elezione a presidente della Regione di Silvio Milazzo, di cui fu vicepresidente.

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Mentre in Italia lo scontro fra destra e centrosinistra siMentre in Italia lo scontro fra destra e centrosinistra si acuisce, in Sicilia un politico come Lombardo - decisamenacuisce, in Sicilia un politico come Lombardo - decisamen--te di destra, già alleato strettissimo di Cuffaro e della Legate di destra, già alleato strettissimo di Cuffaro e della Lega – trova l'appoggio di una parte del Partito Democratico in– trova l'appoggio di una parte del Partito Democratico in nome delle riforme. Non è la prima volta che accadenome delle riforme. Non è la prima volta che accade qualcosa del genere in Sicilia. E intanto la Magistraturaqualcosa del genere in Sicilia. E intanto la Magistratura indaga: un altro presidente siciliano sotto accusaindaga: un altro presidente siciliano sotto accusa

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Ridi, ridi... Ridi, ridi...

Dai giornidi Rosarno...

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Politica Politica

“Ricostruire subito.Cinque cose da fare”

Punto numero uno. Occorre ricostruire. Le macerie sono dappertutto e guai a non vederle. Il Paese va ricostruito in profondità sul piano culturale, etico e civile. Con il massimo di valori, di passione e di lungimi-ranza; e il minimo di ideologia. Il radicali-smo civile è vivo, quello ideologico è mor-to e guai a chi lo resuscita, ha già fatto ab-bastanza danni. Occorre un grande Piano Marshall morale, capace di investire in pie-no il senso della politica.

Punto numero due. Occorre ricordare che il popolo che ha bocciato in tante regioni il centrosinistra è lo stesso che lo aveva fatto vincere nel 2005 (anche allora talvolta di misura). Nessun elettorato da maledire. Prendersela invece con chi, dal governo na-zionale o da quelli regionali, ha dato spetta-coli indigeribili anche da stomaci forti.

Punto numero tre. I movimenti, le prote-ste, i dissensi esistono e bisogna dialogarci. Sono stati la benzina delle vittorie ininter-rotte del centrosinistra dal 2002 al 2006. Disprezzarli da allora in poi è stato suicida. Suicida pure la censura consumata nei loro confronti dalla stampa “amica”. Non ha fat-to che radicalizzare il dissenso. Verso i gril-lini e verso l’astensione.

Punto numero quattro. I nomi e i volti in politica contano, eccome. Vendola parla per tutti. Ma anche Massimo Rossi nelle Mar-che. Solo che i nomi e i volti non si inven-tano all’ultimo momento, piuttosto certifi-cano lunghe storie di sfide e di battaglie. Siano loro, dunque, a tonificare diffusa-mente la politica; e facciano un passo indie-tro i signori nessuno d’apparato.

Punto numero cinque. Sfogliare l’album delle figurine di leader e mezzi leader, ri-passare la loro storia e chiedere a chi non ci azzecca con questi quattro punti di farsi gentilmente da parte. Meglio che lo chie-diamo noi a loro prima che loro lo richie-dano a Vendola...

Nando dalla Chiesa

Un paese allo specchio e la sua immagine responsabile contrapposta a quella logora e trasandata delle cronache preelettorali.

Non servirà solo a sapere come finirà, quante regioni a noi e quante regioni a loro: il voto del 28 e 29 marzo servirà a mettere questo Paese davanti allo specchio per capire quanto sia affezionato all’immagine un po’ logora, un po’ trasandata che gli restituisce la cronaca di questi giorni.

Un’immagine sdoppiata, come se dentro lo stesso grembo stessero crescendo due Italie diverse. C’è quella di Milano, di sa-bato 20, una giornata di memorie e di re-sponsabilità, il repertorio dei morti di mafia ricordato e raccontato per continuare a vigilare sul presente, su una nazione in cui le cosche e le mafie continuano ad essere una presenza avida, un chiodo conficcato sui pensieri e le vite di milioni di italiani. E poi c’è l’Italia napoletana, della manife-stazione del PdL, che dà il benvenuto al capo del governo e alla sua compagnia di giro affidandosi a un maestro di cerimonia d’eccezione come Nicola Cosentino, un notabile della politica locale che i magistrati vorrebbero in galera per l’amicizia con i camorristi, e che i parlamentari vogliono al suo posto nel governo del paese.

Cosa vedremo quando ci guarderemo allo

specchio domenica e lunedi? La piazza di Milano o gli amici napoletani? Conteremo solo voti, consiglieri e governatori o proveremo a scommettere su un’idea della politica che si riprenda tutte le parole che le sono state rapinate? Clandestini, ci dice la corte di Cassazione, sono i figli italiani dei marocchini col permesso di soggiorno scaduto; clandestini, diciamo noi, sono i mafiosi che abitano le istituzioni. Si esce dalla crisi, dice questo governo, regalando all’impresa italiana più arbitrio sulla sorte (e sul licenziamento) dei lavoratori; si esce dalla crisi, diciamo noi, pretendendo che la più grande impresa italiana si impegni a non raddoppiare la produzione licenziando cinquemila operai.

Potremmo continuare. Invece ci fermia-mo qui, ai primi titoli delle cose che ci aspettano. E che ci riguardano tutti, a sini-stra. Non so come la pensiate voi sulle ele-zioni francesi: a me piace soprattutto quella foto che racconta la vittoria della gauche con l’immagine di tre donne sorridenti, al-legre, risolte. Sono le segretarie dei tre par-titi della coalizione. Al di là delle cose condivise, in quel modo pudico e rispettoso di stare insieme, e di stare bene insieme, senza ospiti né padroni di casa, c’è molto da imparare per il centrosinistra italiano.

Claudio Fava

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“Mafie o speranze.Si sfidano due Italie”Si sfidano due Italie”

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In libreriaAntonio MazzeoI Padrini del Ponte.Affari di mafiasullo strettodi MessinaPrefazione diUmberto Santino

Dall’Introduzione:Speculatori locali o d’oltreoceano; faccendieri di tutte le latitudini; piccoli, medi e grandi trafficanti; sovrani o aspiranti tali; amanti incalliti del gioco d’azzardo; accumulatori e dilapidatori di insperate fortune; frammassoni e cavalieri d’ogni ordine e grado; conservatori, liberali e finanche ex comunisti; banchieri, ingegneri ed editori; traghettatori di anime e costruttori di nefandezze. I portavoce del progresso, i signori dell’acciaio e del cemento, mantengono intatta la loro furia devastatrice di territori e ambiente. Manifestazioni di protesta, indagini e processi non sono serviti a vanificarne sogni e aspirazioni di grandezza. I padrini del Ponte, i mille affari di cosche e ’ndrine, animeranno ancora gli incubi di coloro che credono sia possibile comunicare senza cementificare, vivere senza distruggere, condividere senza dividere.Agli artefici più o meno occulti del

pluridecennale piano di trasformazione territoriale, urbana, ambientale e paesaggistica dello Stretto di Messina, abbiamo dedicato questo volume che, ne siamo consapevoli, esce con eccessivo ritardo. Ricostruire le trame e gli interessi, le alleanze e le complicità dei più chiacchierati fautori della megaopera, ci è sembrato tuttavia doveroso anche perché l’oblio genera mostri e di ecomostri nello Stretto ce ne sono già abbastanza. E perché non è possibile dimenticare che in vista dei flussi finanziari promessi ad una delle aree più fragili del pianeta, si sono potuti riorganizzare segmenti

strategici della borghesia mafiosa in Calabria, Sicilia e nord America. Forse perché speriamo ancora, ingenuamente, che alla fine qualcuno avvii una vera inchiesta sull’intero iter

del Ponte, ricostruendo innanzitutto le trame criminali che l’opera ha alimentato. Chiarendo, inoltre, l’entità degli sprechi perpetrati dalla società Stretto di Messina. Esaminando, infine, i gravi conflitti d’interesse nelle gare d’appalto ed i condizionamenti ideologici, leciti ed illeciti, esercitati dalle due-tre famiglie che governano le opere pubbliche in Italia.Forse il recuperare alla memoria vicende complesse, più o meno lontane, potrà contribuire a fornire ulteriori spunti di riflessione a chi è chiamato a difendere il territorio dai saccheggi ricorrenti. Forse permetterà

di comprendere meglio l’identità e la forza degli avversari e scoprire, magari, che dietro certi sponsor di dissennate cattedrali nel deserto troppo spesso si nascondono mercanti d’armi e condottieri delle guerre che insanguinano il mondo. È il volto moderno del capitale. Ribellarsi non è solo giusto. È una chance di sopravvivenza.

Scheda autoreAntonio Mazzeo, militante ecopacifista ed antimilitarista, ha pubblicato alcuni saggi sui temi della pace e della militarizzazione del territorio, sulla presenza mafiosa in Sicilia e sulle lotte internazionali a difesa dell’ambiente e dei diritti umani. Ha inoltre scritto numerose inchieste sull’interesse suscitato dal Ponte in Cosa Nostra, ricostruendo pure i gravi conflitti d’interesse che hanno caratterizzato l’intero iter

progettuale. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa).

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Politica Politica

Manifesto leghista.

Dio non ha votato BerlusconiVabbè ha vinto la destra, ma non provate

a dire che ha vinto Gesù Cristo...Non credo di essere l'unico appassionato

del cristianesimo ad essere deluso da questi risultati elettorali. E allora proverò a far uscire dalle catacombe il pensiero di chi come me non accetta che credere in Gesù Cristo e votare Berlusconi siano due azioni inevitabilmente collegate da un rapporto di causa ed effetto.

Io credo nel valore della vita, e mi chiedo se questo valore sarebbe stato difeso meglio da forze politiche disponibili a migliorare l'educazione sessuale nelle scuole, e cosa potrà fare al riguardo una destra che non ha la minima intenzione di cambiare la legge 194 e al tempo stesso è più interessata a favorire l'oscurantismo delle scuole confessionali che la sessualità consapevole degli adolescenti.

Mi chiedo anche chi difenderà il valore della vita dei popoli che continueremo ad occupare con i nostri eserciti, mettendo a rischio le loro vite e quelle dei nostri soldati. Da cristiano apro il Vangelo e leggo "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio", poi apro il televisore e assisto alle consolidate prassi anticristiane di vescovi e pastori che mescolano fede privata e politica pubblica per orientare il voto del loro gregge.

Io credo nel valore della famiglia,

quell'energia buona che circola in casa quando un lavoro dignitoso può garantire un futuro sereno a persone che hanno deciso di condividere la vita. E mi stupisco nel vedere le gerarchie cattoliche lanciare anatemi contro certi candidati per le loro vecchie battaglie di principio, solo per premiare forze politiche che oggi fanno nuove devastazioni sociali negando nei fatti un lavoro dignitoso a tutta la mia generazione e alle famiglie che stiamo cercando di costruire con fatica.

Io credo nel valore della verità, e mi chiedo in che misura quei 77693 voti che in Lazio hanno fatto la differenza tra destra e sinistra siano il frutto delle menzogne sparse durante l'incursione del premier nelle reti televisive un attimo prima del voto, una pesca a strascico dove si mente a masse di milioni per raccogliere la credulità di decisive migliaia.

Io credo nella libertà di coscienza, e ogni tanto qualche autoproclamato portavoce di Dio in terra prova a negarmela assieme alla libertà di voto. Io credo nel valore della fratellanza tra tutti gli esseri umani, uguali in dignità e diritti indipendentemente dal passaporto, ma assisto alla benedizione di uomini e partiti che negano dignità e diritti a chi ha un passaporto diverso dal loro, solo perché ai padroncini lo schiavismo sommerso conviene più del lavoro tutelato.

Io credo nell'anatema lanciato da Gesù Cristo contro i ricchi e i farisei, ma mi sento ripetere che per essere buoni cristiani bisogna premiare nelle urne l'ipocrisia farisaica di chi si è arricchito a spese dell'Italia riempiendosi la bocca di slogan cattolici solo per conquistare il potere.

Io credo in tutte queste cose, e fino ad ora ho vissuto queste convinzioni in forma intima e privata, come se fossi il solo a pensarla così. Ma oggi faccio outing, ed esco allo scoperto: se sono amareggiato per questa tornata elettorale è perché prevedo l'avvento di politiche profondamente anticristiane, e temo che da oggi la cultura della morte e della guerra, la distruzione della famiglia a partire dall'economia e la ricerca spasmodica dell'arricchimento attraverso la corruzione sistematica e sfacciata troveranno nuovi spazi per esprimersi grazie al potere regalato a forze secolarizzate, materialiste e oscurantiste con un voto distorto da ingerenze mediatiche e clericali.

Il primo passo per combattere tutto questo è far sentire con più coraggio la voce dei cristiani convinti che Gesù non avrebbe mai votato Berlusconi: al massimo gli avrebbe chiesto di seguirlo gettando via tutte le sue ricchezze.

Carlo Gubitosawww.mamma.am

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Nord Nord

Voi vietate il kebabe la mafia intanto

si mangia la Padania

Nessun politico “padano” parla di emer-genza ‘ndrangheta. Il pericolo vero – per i leghisti e i loro imitatori - sono i venditori di cibo etnico. Letizia Moratti ha chiesto al ministro Maroni un decreto legge per permettere di perquisire le case dei migranti. Anche senza mandato, per individuare i “clandestini”. Siamo ritornati a un clima da nazifascismo e alle leggi razziali che creano ghetti e schiavi. L’ordinanza “antidegrado” per via Padova prevede la chiusura alle 22 per le rivendite di kebab e i phone center, cioè luoghi in cui si comunica con i paesi d’origine, di diverso fuso orario, e che spesso stanno aperti a qualunque ora. Per i “centri massaggi” il coprifuoco scatta alle 20, alle 2 per le discoteche, alle 24 per i ristoranti. Norme da tempo di guerra, ma anche gli ultimi di una lunga serie di provvedimenti e proposte di stampo nazista. Autisti ATM italiani. Vagoni del metro riservati agli stranieri. Autobus con le grate ai finestrini usati per rinchiudere migranti senza documenti.Curiosamente, il sindaco di Milano, come il ministro Maroni e il presidente della re-gione Formigoni, non si preoccupa mini-mamente delle mafie che in “Padania” or-mai sono entrate negli appalti e nelle forni-ture pubbliche e che hanno preso residenza nei comuni attorno a Milano, Varese, Bre-scia. Che spesso impongono il pizzo ai ne-gozianti, senza che siano nate associazioni antiracket. Anzi, si risponde che la mafia non esiste al Nord. Il problema mafioso

non è entrato nella campagna elettorale delle elezioni regionali. E’ chiaro che al Sud il problema è gigantesco, ma non bisogna sottovalutare le candidature e la pulizia delle liste in nessuna parte d’Italia.A Legnano, roccaforte della Lega Nord, nel 2008 è stato ucciso con un colpo alla nuca e abbandonato nelle campagne Catal-do Aloiso, genero di Giuseppe Farao della cosca Farao-Marincola di Cirò Marina, in Calabria. Il 25 aprile del 2007 viene ucciso a Tagliuno (Bergamo) Leone Signorelli, raffinatore di cocaina colombiana che ri-vendeva alla ‘ndrangheta. Cinque mesi dopo i killer aspettano davanti casa Giu-seppe Realini, artigiano del legno berga-masco. “Si ammazzano tra loro?”.Non è così semplice. Secondo la Procura Realini sarebbe stato ucciso perché unico testimone del delitto Signorelli, a cui erano legati altri due morti ammazzati: Cataldo Murano e Giuseppe Russo, a loro volta connessi al clan Filippelli, alleati ai Rispo-li che controllano proprio Legnano.Il cerchio si chiude proprio dove fu ucciso Aloisio: il suo cadavere fu fatto ritrovare di fronte al cimitero dove è sepolto Carmelo Novella, esponente dell’omonimo clan catanzarese di Guardavalle, ucciso al bar in un pomeriggio d’estate a San Vittore Olona, a metà strada tra Milano e Varese. Tutto ciò è avvenuto, non alle falde dell’Aspromonte o sulle coste calabresi, ma nel cuore della “Padania”. L’Espresso ha recentemente ricostruito ben 25 omicidi di mafia compiuti nel Nord negli ultimi 10

anni. Questi fatti non hanno provocato nessuna ordinanza comunale, riunioni straordinarie in Prefettura e nemmeno decreti d’urgenza. Nessuna emergenza sicurezza.La commissione antimafia presieduta da Francesco Forgione, quella della legislatu-ra del secondo governo Prodi (2006/2008), è riuscita a mappare le famiglie mafiose operanti in Italia e ha prodotto una detta-gliata relazione in meno di due anni di la-voro. L’attuale commissione deve ancora battere un colpo per capire se è in vita. Se-condo l’ente presieduto da Forgione, dun-que, in Lombardia operano, con tutta pro-babilità, le famiglie De Stefano, Morabito-Bruzzaniti-Palamara, Farao-Marincola, Sergi, Mancuso, Iamonte, Falzea, Arena, Mazzafferro, Facchineri, Bellocco, Mam-moliti, Imerti-Condello-Fontana, Paviglia-niti, Piromalli, Ursini-Macrì, Papalia-Bar-baro, Trovato, Latella, Versace, Morabito-Mollica.Il paese dove si sono insediati i Papalia-Barbaro - Buccinasco - viene chiamato la Platì del nord. Al sindaco di centro-sini-stra, Maurizio Carbonera, è stata incendia-ta la macchina tre volte, tra il marzo del 2003 e il novembre 2005, mentre era im-pegnato nell’approvazione del nuovo pia-no regolatore, non gradito alla cosca. Per tutta risposta, la regione Lombardia ha promulgato una legge che impedisce di cu-cinare kebab nei centri storici.Ad Adro (Brescia), c`è una taglia di 500 euro che verrà versata a ogni vigile che

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Dopo il trionfo elettorale della Lega, proseguirà al Nord il delirio securitario, già avviaDopo il trionfo elettorale della Lega, proseguirà al Nord il delirio securitario, già avvia--to con ordinanze anticostituzionali e provvedimenti da tempo di guerra. Ma anche norto con ordinanze anticostituzionali e provvedimenti da tempo di guerra. Ma anche nor--me ridicole - come quelle sulle panchine - o assurdamente razziste. Nel frattempo, leme ridicole - come quelle sulle panchine - o assurdamente razziste. Nel frattempo, le organizzazioni criminali di tipo mafioso si sono installate stabilmente: non si limitanoorganizzazioni criminali di tipo mafioso si sono installate stabilmente: non si limitano

al riciclaggio ma puntano a controllare il territorio, gli appalti, gli enti localial riciclaggio ma puntano a controllare il territorio, gli appalti, gli enti locali

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Nord Nord

catturerà un clandestino. A Voghera, si è deciso che non si ci può sedere sulle pan-chine in più di tre persone, per evitare as-sembramenti di stranieri. In altre regioni del Nord, afflitte comunque dal problema mafia, tutta l’attenzione è sulle panchine: a Vicenza devi avere almeno 70 anni se vuoi sederti, se no stai in piedi. A Sanremo, devi avere tra 0 e 12 anni oppure più di sessanta. Si potrebbe continuare con l’e-lenco di queste soluzioni per la sicurezza: ad esempio il “White Christmas” di Boc-caglio, comune a sindacatura leghista, dove entro Natale 2008 si volevano stana-re i migranti per cacciarli dal paese. Per sfuggire a questo clima razzista, spesso gli stranieri scappano verso sud. Dove trova-no, ancora una volta, la ferocia italiana, fatta di mafia e sfruttamento.

* * *Secondo Libera, che ha tenuto a Milano la propria giornata nazionale antimafia 2010, sono 665 gli immobili e 165 le aziende confiscate in Lombardia, che la collocano al quinto posto tra le regioni italiane, pre-ceduta solo da Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. Nel rapporto “Ombre nella neb-bia”, Libera sottolinea che occorre supera-re il vecchio luogo comune delle aree non tradizionali come zone di riciclaggio. Or-mai anche lì si punta al controllo del terri-torio: ci sono clan insediati stabilmente da decenni e la reattività antimafiosa dei citta-dini locali è spesso pari a zero.Nel giugno 2008, trecento poliziotti ap-poggiati da un elicottero hanno circondato i palazzi di Quarto Oggiaro, periferia mila-

nese, all’alba. L’operazione ha messo in evidenza una situazione gravissima. Piazze-roccaforti e squadre di giovanissimi spacciatori con turni di lavoro precisi. Un “mercato a cielo aperto” con un giro d’affari di 800 mila euro al mese. Ma non a Scampia, bensì nella capitale della “Padania”, la terra che ha scatenato una guerra ideologica contro il pericolo islamico ma che non sa nulla dei potentissimi clan crotonesi (quelli che investivano i proventi del crimine in Fastweb, per intendersi).Le “profezie” sulla presenza mafiosa nei prossimi cantieri milanesi nell’Expo non hanno generato alcun provvedimento, anzi la tendenza è la riduzione nei controlli su-gli appalti legati ai “grandi eventi”. Le co-siddette “infiltrazioni” mafiose nei cantieri TAV del settentrione non hanno prodotto neppure un editoriale sdegnato.

* * *E’ facile diventare “clandestino” al tempo della crisi. Basta un licenziamento. Le set-timane passano inesorabili verso lo scivo-lamento nell’irregolarità, ovvero uno sta-tus che è diventato reato col pacchetto si-curezza. Anche se rimani onesto, comun-que rischi di finire dentro. Alla fine, una regola nata col pretesto della sicurezza po-trebbe trascinare tante persone nell’illega-lità e creare maggiore insicurezza.La Bossi-Fini impedisce, nei fatti, l’arrivo in forme regolari. Nessun imprenditore as-sume un lavoratore dall’altra parte del mondo, senza averlo mai visto. E chi lo fa non può; adattarsi ai tempi lunghi della bu-

rocrazia. Dunque si parte sempre più spes-so con falsi contratti di lavoro, su cui ha già messo le mani la mafia. Nel salernitano, dove tanti marocchini sono stati fatti arrivare così e poi resi irregolari da imprenditori che si sono volatilizzati. A Reggio Calabria, dove le cosche Iamonte e Cordì hanno fatto entrare centinaia di indiani per poi condannarli alla condizione di invisibili.La mafia ingrassa, la Lega costruisce im-meritate carriere politiche. Il reato non è etnico, e non avrebbe senso sostituire alle campagna contro i migranti quella contro i meridionali, che segnarono gli esordi dei leghisti. L’unica lotta è quella contro il cri-mine organizzato e lo sfruttamento, come dimostrano le rivolte di Castel Volturno e Rosarno fatte dagli africani. Al contrario, la mancata reazione contro il crimine orga-nizzato è la cartina di tornasole di società malsane, che non vogliono sicurezza ma semplicemente scaricare – con viltà – pau-re e incertezze sui più deboli.Oltre che clan italiani, nelle città del Nord ci sono gruppi stranieri sempre più forti: albanesi e soprattutto nigeriani. Ma a que-sti si sono opposti eroicamente solo le cen-tinaia di donne – quasi sempre ex prostitu-te – che hanno denunciato i loro aguzzini nell’ambito dei programmi dell’articolo 18, rischiando la pelle. E che non hanno mai ottenuto un ringraziamento, una meda-glia, un titolo in cronaca, una stretta di mano.

Claudio Metallo e Antonello Manganowww.terrelibere.org

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Sicilia Sicilia

Terra di gattopardi

Da oltre un decennio, il mio impegno professionale e civico è spesso dedicato al-l’analisi ed alla denuncia del degrado ma-fioso del circondario di Barcellona Pozzo di Gotto.

Cominciai ad occuparmene allorché ini-ziai ad assistere Piero Campagna e gli altri familiari di Graziella, nel processo a carico di Gerlando Alberti junior e Giovanni Sute-ra, definitosi con la condanna degli imputa-ti solo un anno fa. Approfondii l’impegno, fisiologicamente, assumendo la difesa di Sonia Alfano, dei suoi fratelli e di sua mamma nel processo per l’assassinio del più coraggioso giornalista mai capitato in provincia di Messina.

Da cosa nasce cosa, in materia di mafia, come ci insegna Alfio Caruso, ma anche in materia di antimafia. È la vita ad essere così: ed ecco, allora, che dopo la famiglia Campagna e la famiglia Alfano, spesi e continuo a spendere le mie energie per i fa-miliari di Attilio Manca, così come feci per il padre di Roberto Amato e come feci in altre vicende giudiziarie.

Nel denunciare il sistema mafioso barcel-lonese e le sue impressionanti protezioni istituzionali non incontrai troppi volentero-si: qualcuno esterno al territorio barcellone-se, primo fra tutti il sen. Giuseppe Lumia; pochissimi, fatta eccezione per i familiari delle vittime, nell’area barcellonese, primo fra tutti Adolfo Parmaliana.

Anni di impegno ma anche di solitudine: a questo pensavo l'altra settimana assisten-

do, proprio a Barcellona Pozzo di Gotto, proprio insieme ai familiari di Graziella Campagna, di Beppe Alfano, di Attilio Manca e di Adolfo Parmaliana, alla rappre-sentazione teatrale di (P)resa di coscienza, una sorta di autobiografia collettiva di un territorio che finalmente urla la ribellione al Tiranno.

Vedere per la prima volta il consenso so-ciale e direi quasi l’affetto per i familiari delle vittime a Barcellona Pozzo di Gotto, con la presenza perfino del nuovo Procura-tore della Repubblica e dei suoi due prege-voli sostituti, mi aveva fatto sentire più lie-ve il peso di un decennio di solitudine.

Sono passati pochi giorni e le vicende di Barcellona Pozzo di Gotto mi si sono pre-sentate di nuovo con sfumature non troppo gradevoli, che forse è bene non confinare alla dimensione della mia vita privata.

Il prossimo 19 aprile comparirò davanti al Gip presso il Tribunale di Barcellona P.G. come indagato per diffamazione. A querelarmi era stato niente meno che un frate, tale Salvatore Massimo Ferro – figlio, nipote e fratello di mafiosi legati a Bernar-do Provenzano – il quale, assistito dall’avv. Fausto Maria Amato, si è sentito leso da mie dichiarazioni sul fatto che alcuni anni fa, a causa sua, il convento dei Frati Minori di Barcellona P.G. fosse stato oggetto delle attenzioni investigative dei carabinieri del R.o.s.

La Procura di Barcellona P.G., accertato che effettivamente il R.o.s. aveva svolto in-

dagini su quel convento e che il frate Ferro è figlio, nipote e fratello di mafiosi proven-zaniani, aveva richiesto l’archiviazione. Sennonché Salvatore Massimo Ferro, sem-pre assistito dall’avv. Fausto Maria Amato, si è opposto alla richiesta di archiviazione.

E quindi il prossimo 19 aprile innanzi al Gip di Barcellona io (che della presenza nel barcellonese di Provenzano mi sono occu-pato soprattutto nell’interesse dei familiari di Attilio Manca) comparirò in veste di in-dagato e frate Ferro (il parente stretto, stret-tissimo, di tutti quei mafiosi provenzaniani) comparirà in veste di persona offesa dal reato. Pazienza, supererò anche questa. Anzi, me l’appunterò moralmente al petto come una medaglia al valore.

Alcuni giorni fa, poi, ho scoperto che in realtà a Barcellona Pozzo di Gotto sono un pluriindagato. Ho infatti appreso di una querela, sempre per diffamazione, sporta contro di me da un imprenditore di Terme Vigliatore, tale Sebastiano Buglisi, per al-cune affermazioni che ho fatto il 2 ottobre scorso, in risposta ad alcuni disturbatori della manifestazione in ricordo di Adolfo Parmaliana nel primo anniversario della sua morte.

Evito di farne un’interpretazione sogget-tiva e trascrivo invece alla lettera la conte-stazione del reato di diffamazione riportata nel documento notificatomi: “perché nel corso di un intervento pubblico, successi-vamente pubblicato sul sito internet www.illume.it offendeva la reputazione di

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Da anni l'avvocato Fabio Repici impegna la sua vita professionale a denunDa anni l'avvocato Fabio Repici impegna la sua vita professionale a denun--ciare la mafia di Barcellona, la città del messinese che è ormai una piccolaciare la mafia di Barcellona, la città del messinese che è ormai una piccola capitale di Cosa Nostra. Come si vive una situazione del genere? In pienacapitale di Cosa Nostra. Come si vive una situazione del genere? In piena solitudine, normalmente. Ci sono momenti in cui pare che un consenso sosolitudine, normalmente. Ci sono momenti in cui pare che un consenso so--ciale alle battaglie dell'antimafia cominci a manifestarsi. Ma sono momenticiale alle battaglie dell'antimafia cominci a manifestarsi. Ma sono momenti brevi. Poi torna a stringersi l'isolamento. E intanto l'”antimafia” di facciata...brevi. Poi torna a stringersi l'isolamento. E intanto l'”antimafia” di facciata...

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Sicilia Sicilia

Buglisi Sebastiano, proferendo le seguenti frasi: ‘Quando ero bambino mi fu insegnato un detto, che tradotto in italiano più o meno fa “quando piove alle lumache spuntano le corna”, oggi è giornata di pioggia e a molte lumache sono spuntate le corna’; ‘Io ho buona memoria e sicuramente ho memoria migliore di certi imprenditori che sono pronti a denunciare gli estortori di Tortorici, ma non fanno la stessa cosa quando gli estortori si chiamano Lo Piccolo’. Fatto aggravato perché consistito nell’attribuzione di un fatto determinato e mediante mezzo di pubblicità”.

Pazienza, ho pensato, supererò anche

questa ed anche in questo caso mi è venuta voglia di appuntarmi moralmente al petto una medaglia.

Sennonché, dal sito ufficiale del Ministe-ro dell’Interno ho appreso che il prossimo 12 aprile 2010 Barcellona Pozzo di Gotto ospiterà un’importante manifestazione alla quale parteciperà niente di meno che un sottosegretario del governo più antimafioso degli ultimi 150 anni (e forse più), l’on. Al-fredo Mantovano, per la (riprendo testual-mente dal sito ministeriale) “presentazione della locale associazione antiracket”. Ma-gari ci sarà il mio querelante, l’imprendito-re Buglisi.

E magari ci sarà un altro imprenditore

dell’antiracket barcellonese (o forse sareb-be meglio dire “alla barcellonese”), Mauri-zio Marchetta, tanto più che egli ormai è li-bero dagli impegni che lo affliggevano anni fa come vicepresidente del consiglio comu-nale di Barcellona P.G. (quello che il mini-stro Amato graziò dallo scioglimento per mafia) e come quotidiano frequentatore (perfino in crociera insieme ai propri par-goli) del capomafia barcellonese Salvatore Di Salvo.

Ecco, ho pensato, che il gattopardo bar-cellonese tenta di inghiottire il risveglio so-ciale fin dai suoi primi vagiti in culla.

Fabio Repici

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Paìs Paìs

C'era una voltal'Italia

L'Italia comincia a Formia e finisce a Sassuolo. Prima di Formia, sei in terra di camorra (o di 'ndrangheta o mafia, secon-do i casi). Dopo Sassuolo, Parma ormai americana (coi sikh col turbante che lavo-rano il parmigiano) e poi Piacenza, il Po, la Padania.

Padania parta est in partes tres, di cui la prima l'abitano i Padani (anticamente Lombardi), l'altra è il Nordest (un tempo Veneto) e la terza il Piemonte, unico ad aver conservato il vecchio nome. L'Italia, in queste terre, conserva Genova, Susa, Spezia, Mantova e Aosta. Un tempo questa regione era costellata di fabbriche (a ove-st) e chiese (a est).

Queste ultime esistono ancora, per quanto vi sia cambiata la religione; ma le fabbriche sono state quasi tutte trasferite in Cina, lasciando al loro posto vasti buchi neri. Le autorità periodicamente li riempiono di veline, stilisti, finanzieri d'as-salto e faccendieri per evitare che gl'in-digeni si accorgano che lì manca qualcosa. Per la stessa ragione aizzano, quando lo ri-tengono il caso, pogrom contro gli zingari, i miscredenti, i mori o anche i semplici stranieri.

A sud di Roma (di cui estremo avampo-sto è Formia) si stendono gli Stati Crimi-nali, cosìddetti non perché la criminalità vi sia particolarmente elevata (lo è) ma per-ché vi governa. Da secoli colà pacifica-mente conviveva con re, duchi, repubbli-che e chiese locali. Negli ultimi vent'anni, tuttavia, ha ritenuto di non aver più biso-gno di loro e di poter prendere direttamen-te nelle proprie mani le cure dello Stato; ciò che è avvenuto rapidamente e con uno spargimento di sangue relativamente con-tenuto. E' stato tuttavia mantenuta, nella

maggioranza dei casi, un'apparenza di con-tinuità (in molte cittadine della Calabria esistono ancora le caserme dei Carabinieri), soprattutto per riguardo ai cittadini più anziani.

Ciascuna di queste organizzazioni ha un nome pubblico (Camorra, Cosa Nostra, 'Ndrina) che si richiama agli antichi tempi; con esso è conosciuta all'esterno del paese; fra loro, tuttavia, si chiamano semplice-mente "il Sistema", termine più moderno e molto più adeguato alla situazione.

Da tutte queste terre l'Italia fu espulsa fra il 1982 e il 1993; nessuno dei tentativi di riconquista attuati (ma sempre con forze insufficienti e per così dire all'avventura) da questo o quel funzionario italiano ha avuto successo; pertanto i maggiorenti ita-liani decisero, dopo matura meditazione, di riconoscere il fatto compiuto e di conce-dere a quei baroni, se non il nome, almeno la sostanza della libertà. Quelli tuttavia non se ne contentano ma muovono ardita-mente, e non senza successi, alla conquista del rimanente d'Italia. Il che se otterranno, lo vedranno i nostri nipoti.

Si eccettuano, a questo regime, alcune terre che, con gran difficoltà ma tenendo fede, mantengono per via di mare i legami con Roma. Ed esse sono Stromboli, Filicu-di, Alicudi, le Puglie, Siracusa in Sicilia e la Basilicata. Quanto a lungo potranno re-sistere, Dio lo sa. Si aggiungano, molto più lungi, i Sardi, divisi tuttavia dall'Italia da lingua, mare e costumi. Va tuttavia ri-cordato, a loro onore, che il Sistema da loro non attecchisce. Fieri e gelosi della loro isola, ne hanno respinto mafia, camor-ra, 'ndrangheta e americani.

Tale lo stato della penisola italica ai no-stri tempi. Dalla mia giovinezza, come tut-

to è cambiato! Allora - e parlo della tarda metà dell'altro secolo, quando le lucciole e i filobus c'erano ancora - l'Italia era un luo-go incantevole, unito dal nord al sud, divi-so in tantissimi popoli che però, per alchi-mia dello spirito, si completavano fra loro. Così al napoletano cialtrone ma intelligen-tissimo faceva contrappunto il buon torine-se serio e quadrato; il corridore veneto ("Mama son contènto di esser arivado uno!") era congenere del picciotto paler-mitano ("Bedda matri e che ffu?"); volti e dialetti si mescolavano nel crogiolo della Fabbrica, koiné non essendo il pidgin itali-sh di ora ma un veneto-turìn-sicilianu comprensibile a tutti, da tutti amato. Ces-sava dopo un millennio il latinorum dei preti; l'italo-romanesco della Rai, ben più popolare, ne prendeva il posto ed alfabe-tizzava tutta quanta l'Italia - da Nicolò Ca-rosio al maestro Manzi - per la prima volta nella sua lunga storia.

* * *Adesso, cammini ingrugnato per piazza

Maggiore. Le foto dei duemila partigiani (modeste fototessere in bianco/nero) nella bacheca di vetro, sopra i gradini; e frotte di ragazze e ragazzi che chiacchierano alle-gramente sotto di esse. E il sindaco - il no-stro sindaco - che tre anni fa faceva accor-di col fascio per "mantenere l'ordine" e te-nere lontani i lavavetri. E sei ancora a Bo-logna, città civile; non sei a Verona dove il sindaco appena insediato ha dichiarato guerra, in un'unica dichiarazione, agli zin-gari e alla Sovrintendenza alle Belle Arti o a Catania dove ammazzano i poliziotti allo stadio e ridono il giorno dopo. Non sei a Milano né a Napoli - capitali antichissime, testa e cuore - dove scacciano i mendicanti e fanno spacciar droga ai bambini.

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L'Italia, che per la maggior parte della sua storia è stata un' “espressione geografica”L'Italia, che per la maggior parte della sua storia è stata un' “espressione geografica” politicamente disgregata, è stata tuttavia sempre unitissimapoliticamente disgregata, è stata tuttavia sempre unitissima

sul piano della cultura e, diciamo così, sentimentale. Lo è ancora? sul piano della cultura e, diciamo così, sentimentale. Lo è ancora?

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Paìs Paìs

L'Italia è sempre stata le Italie. Italian macaroni, mandolino. Abbiamo sempre avuto un Nord e un Sud, e ciò ci faceva più belli. Anche Milano, per Stendhal, era una città meridionale. Anche Napoli - Cuoco, Amendola - era illuminismo. C'era un grandissimo poeta cattolico, Pasolini, c'era un immenso rivoluzionario comuni-sta, don Milani. C'era papa Giovanni e Peppone. C'era Gassmann, Mina, le Kes-sler, Alberto Sordi: chi di questi era nord e chi era sud, chi non era semplicemente ita-liano?

C'era la grande Inter. State a sentire: Sar-ti, Burgnich, Facchetti, Guarneri, Picchi... cioè Giuliano, Tarcisio, Giacinto, Aristide, Armando... Avete visto che nomi? Nobili, densi di storia, popolari. Nomi italiani.

Di che paese sarà la mia nipotina? Certo, sarà europea. Ma poi? Sarà semplicemente siciliana - o nordestina, o bolognese - o sarà italiana? Ha ancora un senso pensar-lo? Altre nazioni sono sparite, o per trau-ma o per noia. Non si è più austroungarici, non si è più jugoslavi. O ateniesi, o cheyenne o polinesiani. Così sta sparendo l'Italia, o e già sparita; non già politica-mente ma proprio nel profondo, come na-zione.

Di solito, quando parliamo di nazioni, pensiamo ai bei discorsi, alla patria im-mortale. Roba di destra, insomma. Invece, la nazione è una cosa di sinistra. E' ciò che sopravvive. E' popolare.

* * *La nazione è il porto di Messina, con la

nave che va in Australia pronta a partire, i contadini di Caltanissetta e Favara sul ponte e i parenti sulla banchina, tutti ridan-ciani e chiassosi, per dare coraggio a chi parte. Sciolgono gli ormeggi, e la nave si stacca. E in quel preciso momento, cogli

emigranti tutti aggrumati a poppa e i pa-renti sulla punta del molo, che ormai pian-gono liberamente perchè tanto da lontano non si vede, la banda, che fino allora ave-va suonato canzonette allegre, comincia a suonare l'inno: il primo e l'ultimo, per la maggior parte di loro, della loro vita. Que-sto non succedeva nell'Ottocento: succede-va vent'anni fa. Ci sono duemila emigranti, nella città di Sidney, di Santa Marina Sali-na; a Santa Marina, ne saranno rimasti for-se mille. C'era il consolato australiano a Messina, fatto apposta per loro. E prima quello del Belgio, per le miniere. E prima quello argentino, quello americano...

C'è un poeta veronese, Barbarani, di cui i veneti si sono ormai dimenticati da un pezzo; e io non ne ricordo che un verso, ma che è tutto un mondo; siamo fra gli emigranti veneti, "seradi" all'osteria, la sera prima della partenza: "Porca Italia!, i biastema, andemo via".

Ci sono i genovesi, in Argentina, e i lombardi, e un intero quartiere che si chia-na Palermo. Ci sono gli italiani d'America, fisici nucleari e mafiosi. Ci sono i berga-maschi, che andavano a lavorare in Fran-cia; e una volta la popolazione di un'intera provincia scatenò il pogrom contro di loro e ne fece strage. C'è Bologna (il sogno di noi siciliani di sinistra, un tempo, era che Palermo diventasse un'altra Bologna) dove se vai a fare due passi alla Montagnola ti trovi esattamente nel posto dove una volta c'era la fortezza papalina che controllava la città. Quattro volte la distrussero, i bolo-gnesi, e quattro volte il papa la ricostruì; la quinta, restarono a vincere loro e ne fecero terra e ci fecero su i giardinetti. Tutti insie-me, questi erano gli italiani.

Ci sono pochi paesi al mondo che abbia-no avuto tanto kitsch di generali e politici

come l'Italia; ma pochi che abbiano avuto, nella grandissima parte dei cittadini, tanta storia di vita e tanta umanità. Il nostro, molto più che uno stato, è - o era - una cul-tura, un modo d'esserci; un software. Faci-le da sfasciare pestando a casaccio sul computer; difficilissimo, e probabilmente impossibile, da rimettere insieme.

* * *Non so se ci sarà ancora un'Italia fra die-

ci anni, o solo una specie di Belgio o un'A-labama. In quest'ultimo caso, sarà un pec-cato per tutti: perchè non sono molti i posti del mondo dove si sia riusciti, per tanti se-coli, ad essere poveri e tuttavia signori, e dove si sarebbe potuto essere finalmente ricchi restando umani.Avremmo potuto in-segnare ai poveri del mondo come si fa ad uscire dalla miseria e ai ricchi come si pos-sono usare dignitosamente i denari. Invece stiamo preferendo imitare pacchianamente e maldestramente i ricchi di più antica data, e scalciare ferocemente contro i po-veri che ancora si dibattono indietro.

I tempi delle nazioni non sono quelli della cronaca, e dunque quello attuale, chissà, potrebbe essere solo un involgari-mento passeggero. Ma potrebbe anche es-sere la fine definitiva di una storia che dura da più di duemila anni. Noi non ab-biamo una hispanidad sparsa nel mondo né un commonwealth né una cultura illumini-stica che comunque coinvolga altri paesi. Siamo solo noi italiani d'Italia, con la no-stra lingua parlata solo da noi stessi, con la nostra identità sofisticatissima ma delicata, con i nostri meccanismi etologici quasi im-possibili da analizzare - e tutto questo può sparire, per incultura, demagogia e rozzez-za, nel giro di una generazione.

R.O.

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Scuola Scuola

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Lettere Lettere

“Amo l'Italia ma...Come si fa alavorare così?”

“HO SCRITTOA TUTTI MA NESSUNORISPONDE”

Francese di nascita ma Italiana di adozione, amo questo paese che difendo da tante accuse, però devo dire che dopo quello che mi è successo nell'ambito lavorativo, ho perso fede in tutto. destra, sinistra, per me, purtroppo tutto uguale.

Ho scritto a tutti i giornali, di destra, di sinistra, di opposizione, a Comandanti, a Procuratori...Tutto tacce, neanche l'ombra di una risposta .

Lei dirà cosa è successo ?!Ho partecipato indirettamente ad

una gara d'appalto per una fornitura alla Marina Militare di La Spezia, in quanto fornitori stranieri non sono autorizzati; dopo essere stati squalificati, benché il ns prodotto corrispondesse del tutto ai requisiti e dopo attento esame del bando, mi sono accorta che c'era un'errore madonale nel bando, che faceva che neanche il prodotto di riferimento non sarebbe stato giudicato idoneo.

Via fax, telefonate, raccomandate con R/R al Comandante della Base

stesso, alla Procura di la Spezia, le altre ditta che hanno preso parte all'appalto ma che per paura di ritorsioni non si muovono, messaggi ai vari giornali di destra, di sinistra, dell'opposizione, ho denunciato il fatto con documenti in appoggio di quello che affermavo.

Avessi ricevuto una sola risposta, sì, quella del Comandante che mi diceva, cito: " si garantisce un attento riesame di quanto segnalato, nell'ottica della massima trasparenza e serietà, elementi cardine su cui si basa l'azione di Comando dello scrivente".

Intanto so, per essere stata informata dalla ditta vincitrice dell'appalto, che consegna o ha già consegnato tutto il materiale questa settimana.

Materiale tra l'altro neanche idoneo per un totale di quasi mezzo milione di euro.

So anche di essere stata qualificata di "persona non grata" preso la base militare.

Ecco, scusi se mi sono sfogata ma nella politica, nell'onestà di chi ci deve proteggere, nelle notizie pubblicate sui giornali, non ci credo più da quel giorno.

(lettera firmata)

SCHEDA/L'APPALTO

Oggetto: Gara d'appalto o C.T. (consultazione Tecnica) presso Comsubin -

Raggrupamento Teseo Tesei - Base militare di la Spezia.

Bando emesso inizio Agosto 2009 con scadenza 8 o 9 Settembre 2009

Prodotto: n.3 minirov - veicoli subacquei filoguidati muniti di sonar e generatore, allargati poi a 8 pezzi.

Budget: 50.000 euro Iva inclusa a sistema, cioè in totale: 400.000 euro

Rimproveri:- 1) modifiche al bando inviate

consecutivamente alla sua emissione e poco prima della scadenza.

- 2) incongruità tra caratteristiche tecniche richieste e tabella utilizzata per attribuzione dei punti. Il prodotto descritto nella C.T. (bando) non otterebbe il punteggio minimo di 36/60 e sarebbe dunque squalificato.

- 3) presenza in questa tabella di elementi non menzionati nel bando, con solo ed unico scopo l'attribuzione di maggiore punteggio al prodotto presentato dalla ditta vincente.

- 4) prodotto vincente e consegnato, non corrispondente al bando.

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Un caso di mala amministrazione nelle fornitureUn caso di mala amministrazione nelle forniture per la Marina? per la Marina?

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Società civile Società civile

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