Ucuntu n.111

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070611 www.ucuntu.org – [email protected] Quello che salva tutto all'ultimo momento. Chi è? De Magistris? No. Pisapia? Nemmeno. Vendola, Bersani... Beppe Grillo? No. Ma allora chi? Tu cittadino che voti, e solo tu a a ”A un collega” ”A un collega” - di Giambattista - di Giambattista Scidà Scidà a a Giovanni Caruso Massimiliano Nicosia Antonio Mazzeo || 7 giugno 2011 || anno IV n.111 || www.ucuntu.org || Superman

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il numero del 7 giugno 2011

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070611 www.ucuntu.org – [email protected]

Quello che salva tutto all'ultimo momento. Chi è?De Magistris? No. Pisapia? Nemmeno. Vendola, Bersani... Beppe Grillo? No. Ma allora chi? Tu cittadino che voti, e solo tua a ”A un collega” ”A un collega” - di Giambattista - di Giambattista Scidà Scidà aaGiovanni Caruso Massimiliano Nicosia Antonio Mazzeo

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Politica Politica

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Politica Politica

“Quattro sìper l'acqua pubblicae non solo”

Il gruppo del “Clandestino”, in pro-vincia di Ragusa, è nato pochi anni fa nelle scuole di Modica da una banda di ragazzi che volevano fare qualcosa con-tro la privatizzazione dell'acqua, arriva-ta anche lì come dappertutto. Hanno avuto successo perché, grazie alla lotta cominciata da loro e seguita da buona parte della popolazione, la provincia di Ragusa ha preso ufficialmente posizione – fra le prime d'Italia - contro la priva-zione dell'acqua.

Da allora i ragazzi hanno fatto molta strada, hanno fondato un giornale (che fra l'altro è in rete con noi), hanno aiuta-to gli immigrati, hanno diffuso notizie e libertà. Oggi sono impegnati nei referen-dum: stiamoli a sentire.

* * *12 e 13 giugno, giorni di votazione dei

referendum. Importanti, fondamentali per dare un segnale forte ad un potere politico che calpesta ogni forma di democrazia e di giustizia. Un voto per limitare i rischi e i pericoli di uno sviluppo energetico insoste-nibile. Un SI per ribadire il NO alla priva-tizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica, per impedire ai privati di fare profitti sul bene primario per eccellenza, l’acqua.

Un banco di prova importantissimo, a cui sono chiamati a partecipare in massa tutti i cittadini, per raggiungere il quorum, fissato a 25 milioni di votanti.

Un test molto importante che in provincia di Ragusa vedrà i riflettori puntati soprat-tutto su due dei quattro quesiti, sui due que-siti riguardanti la gestione delle risorse idri-che, visti gli anni di lotta e le battaglie por-tate avanti da movimenti, associazioni lai-che e non, forum, partiti, sindacati e liberi cittadini per mantenere pubblico il servizio idrico provinciale. Ecco i testi dei quesiti.

Quesito n° 1:“Volete voi che sia abrogato l’art. 23 bis

(Servizi pubblici locali di rilevanza econo-mica) del decreto legge 25 giugno 2008 n.112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competi-tività, la stabilizzazione della finanza pub-blica e la perequazione tributaria” converti-to, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n.133, come modificato dall’art.30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n.99 recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’in-ternazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” e dall’art.15 del de-creto legge 25 settembre 2009, n.135, re-cante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Co-munità europea” convertito, con modifica-zioni, in legge 20 novembre 2009, n.166, nel testo risultante a seguito della sentenza n.325 del 2010 della Corte costituzionale?”.

Quesito n° 2:“Volete voi che sia abrogato il comma 1,

dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico in-

tegrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambienta-le”, limitatamente alla seguente parte: “del-l’adeguatezza della remunerazione del ca-pitale investito”?”.

I cittadini iblei, dopo essere riusciti già negli anni passati a bloccare la gara d’ap-palto per l’affidamento del servizio idrico provinciale ad enti privati, in quella che fu definita una “Battaglia di Civiltà”, sono pronti a scendere nuovamente in campo per dimostrare il proprio dissenso nei confronti di una scelta incomprensibile che mira so-lamente a soddisfare interessi ed affari di pochi, i quali, con una scelta del genere, riuscirebbero a speculare su un bene inalie-nabile, a discapito della collettività.

Allora furono gli studenti a contribuire in maniera forte, riuscendo a coinvolgere pra-ticamente ogni classe sociale e trovando nella gran parte dei cittadini largo consen-so.

Oggi, a qualche anno di distanza, il tema acqua, insieme ai temi riguardanti il nuclea-re e il legittimo impedimento, torna ad es-sere di grande attualità. La gente è consape-vole di dover votare per il bene della collet-tività e non per il proprio tornaconto; è stu-fa di chi, per meri interessi personali è di-sposta a tutto. Dal risultato che ne verrà fuori potranno scaturirne scelte importanti per il futuro del Paese.

La redazionedel Clandestino

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Dalla scuola alla cittàDalla scuola alla cittàalla rete al Paese:alla rete al Paese:storia esemplarestoria esemplaredi un gruppodi un gruppodi ragazzi del sud di ragazzi del sud

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Politica Politica

Questo referendumè un'elezione

Napoli, Milano, referendum: tre fasi della stessa tornata elettoraleNapoli, Milano, referendum: tre fasi della stessa tornata elettorale

Le maggiori società industriali quotate in Borsa a Milano hanno chiuso il 2010 (ana-lisi R&S-Sole24Ore) con un aumento me-dio del margine operativo netto del 19 per cento, e dei profitti del 29 per cento. Il mar-gine della Fiat sale del 108 per cento ma la sua quota di mercato è scesa, in Italia, del 30 per cento. Marchionne, in altre parole, ha perso un terzo delle vendite, ma ha rad-doppiato i profitti.

Ecco: il dato della politica italiana è tutto qua. Questi diciassette anni non sono stati gli anni di Berlusconi (anche), sono stati principalmente gli anni degli imprenditori. Elegantemente col centrosinistra, rozza-mente con le varie destre, la Confindustria ha gestito il Paese ininterrottamente e a modo suo. L'industria (che rende meno del-la finanza) se n'è andata; il precariato ha sostituito il lavoro; è stato privatizzato, cioè regalato a privati, tutto il privatizzabile tranne (finora) i carabinieri. Le principali catastrofi sono state portate a compimento dalla destra ma cominciate, con le migliori intenzioni, da noialtri: la “riforma” dell'uni-versità comincia negli anni '90, e allora non c'era ancora la Gelmini.

* * *Gli italiani, a Milano e a Napoli, hanno

votato (o non sono andati a votare, come hanno fatto molti elettori di destra) soprat-tutto su questo. Hanno votato bene, perché i partiti e i politici non sono tutti uguali; c'è una gran differenza fra un teppista alla Bossi e un brav'uomo come Bersani. Ma di Fiat, nel complesso, non s'è parlato.

C'è nostalgia per la Repubblica, per tem-pi di minore ferocia e più civili; gli operai vanno trattati meglio, la mafia è una cosa brutta, l'Italia deve restare unita, non biso-gna portarsi a letto le ragazzine. Ma di pre-carietà e di fabbrica s'è parlato – concreta-mente – molto poco. A tutt'oggi nessuno ha preso concretamente posizione contro Mar-chionne e se qualcuno parlasse di naziona-lizzare la Fiat (cosa che in Germania sareb-be stata probabilmente presa in seria consi-derazione) verrebbe preso per matto o peg-gio per comunista.

Eppure, quello è il cuore di tutto. La Fiat, nel giro di pochi mesi, ha completamente distrutto il sistema industriale italiano, sia

nei diritti che nella produzione, e il suo esempio è stato entusiasticamente seguito da quasi tutti. La Bialetti, poche settimane fa, ha delocalizzato non più in Cina (cosa ormai ”normale”) ma in India: un'altra fe-rita che si apre, e che verrà allargata.

Secondo una della principali società di consulenza finanziaria,l'Italia sarà superata economicamente dall'India prima del 2030; e poco dopo dal Brasile, e molto prima dal-la Cina. Con le nostre industrie, col nostro know-how, con i nostri capitali. Noi ci ac-caniamo contro gli immigrati – falso pro-blema – e mostriamo molta e nuova ferocia in questo; ma fra una generazione o meno, continuando così, sui gommoni rischiamo di finirci noi.

* * *Questo referendum è una elezione politi-

ca, come le amministrative di Napoli e Mi-lano; è inutile nascondere la realtà con un dito. Si vota pro o contro il governo, in pri-mo luogo; si vota - ma solo indirettamente, per ora – pro o contro il mantenimento del catastrofico sistema attuale, che non è più capitalismo ma qualche altra cosa. Sarà una decisione difficile, e per prenderla ci vor-ranno degli anni; ma il processo, a mio pa-rere, è già cominciato e la gente, anche se non ha le parole, comincia ad averne la per-cezione e il sentimento.

La sinistra, per caso (per amore o per for-za, a Napoli e a Milano) ha raggiunto un assetto che a me sembra vincente, pur nella sua ambiguità sostanziale. Il Pd fa da ba-stoncino dello zucchero filato, e attorno gli si attorciglia la società: quella di Vendola, quella di Di Pietro, quella di Beppe Grillo (sì, anche quella, alla base). Tutti questi pezzi sono vari e rozzamente rappresentati (il personalismo dei tre suddetti, da solo, meriterebbe lunghe meditazioni) ma nel complesso funzionano. Bersani, persona seria e non gonfia di sé come Veltroni, ha capito il gioco e si lascia portare.

Questo significa la fine di Berlusconi, lo sfascio del suo asse sociale (nessun candi-dato leghista, a Milano, ha preso più di qualche decine di preferenze, tranne un paio di caporioni) e l'individuazione platea-le, non nascondibile, di una maggioranza nuova. Quest'altra maggioranza in parte è

di sinistra, in parte ha semplicemente pau-ra. Su questo giocherà la Confindustria per fare il suo governo (probabilmente Tre-monti), che sarà “d'unità nazionale”.

Ma anche Badoglio lo era. Non durò a lungo perché la sinistra d'allora seppe met-tere insieme la massima unità e “modera-zione” ideologica con la massima radicalità nella lotta (“non aspettiamo più, diamo ad-dosso ai tedeschi”).

Allora la sinistra era semplice, concentra-ta quasi tutta in un solo (rudimentale) parti-to. La sinistra di ora (oh, se volete chiamar-la in qualche altro modo fate pure, è lo stesso) è complicata, è profonda, è difficile, e soprattutto non avrà mai più un unico partito – per fortuna. In compenso, ha l'in-ternet. E questo dovrebbe bastare.

* * *Fiat o non-Fiat, mafia o non-mafia, non

sono le fantasie di qualcuno, sono le do-mande profonde a cui ciascuno di noi gente comune deve ormai rispondere, nel corso della sua vita quotidiana. La politica è sem-pre nata da queste domande, in realtà. E così alla fine succederà anche ora.

Riccardo Orioles

ROUTINELETTERE PER TELEJATO

A conclusione dell’edizione del Telejato Noti-zie di sabato, come ogni giorno, ci siamo ap-prestati a lasciare la redazione per raggiungere ognuno la proprie abitazione, ma la nostra bra-mosia di riposo, dopo una giornata passata a ri-cercare informazioni, è stata turbata da un in-quietante scoperta: vicino all’automobile del nostro direttore Pino Maniaci c’era la carcassa di un gatto con la testa completamente fracas-sata. A caldo non gli abbiamo dato grande im-portanza, e dopo aver commiserato la triste fine del povero animale ce ne siamo andati.Purtroppo, alla luce di una lettera anonima re-capitata stamattina in redazione, ci siamo resi conto che il povero felino non era lì per caso.Vogliamo rivolgerci agli autori della lettera per informarli del fatto che non ci siamo lasciati intimidire neppure quando i mafiosetti paesani hanno avuto il coraggio di affrontarci a viso aperto, e che n ogni caso abbiamo provveduto a consegnare la missiva ai carabinieri.

La redazione di Telejato

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Giustizia Giustizia

A un collega“...nel loro strenuo mestiere di uomini”“...nel loro strenuo mestiere di uomini”

Al dott. Mariano Sciacca

Non dubito del Tuo ricordo. Portammo tutti e due la bara di Tuo padre; Tu mi vo-lesti testimonio alle Tue nozze. Mi dicesti, un giorno, che un libro, propostoti da me, Ti aveva segnato: narrava di un pugno d’uomini tutti intenti a contrastare il male, senza speranza di sconfiggerlo per sempre, in una città appestata. L’identità del nostro sentire, de re publica, parve intera.

Alla fine del 2000, venni assalito, pour avoir dit que deux et deux font quatre (chiedevo luce sul processo di viale Africa, e sopra un cert’altro processo, a suo tempo svoltosi a Roma, davanti alla VII sezione di quel Tribunale): ma la coscienza pubbli-ca insorse in favor mio, indignata: nella Commissione Antimafia, nel congresso na-zionale dei giudici minorili italiani, e sui giornali. A Catania, Tu fosti tra i primi, nella straripante assemblea di stima e di affetto, radunatasi per me.

Molto tempo è passato da allora. Io avanzo verso l’ultimo traguardo, nella fe-deltà all’impegno di servire la Giustizia e Catania, sinché la vita mi duri; tu siedi in CSM, e sei membro di quella V Commis-sione che da qui a qualche giorno farà pro-poste in ordine al destino della nostra città: ché di questo si tratta, quando si tratta del posto di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale.

Davanti a te sono gli interessi dei singoli candidati; davanti a te i diritti di Catania; davanti a te fatti non giovevoli ad uno degli aspiranti, che tra tutti è a te il più vicino: ma nessuno – né lui né altri per lui – può chiederTi, senza farti gravissima in-giuria, di ignorarli o negarli o scotomizzar-li.

Essi risultano, uno per uno- dalla esposizione a mia firma deposita-

ta il 14.12.2010 nella Segreteria del Consi-glio Giudiziario di Catania, e dagli atti pubblici in essa citati: tra gli altri il proces-so verbale di seduta plenaria del CSM, 20.3.2001;

- dalla sentenza 12.2.2011 del Tribunale di Roma, giudice Terranova, di assoluzio-ne dei giornalisti Travaglio e Giustolisi, querelati dal magistrato;

- dalla fotografia raffigurante tre uomini in gruppo, attorno ad un quarto sedile, fa-cente da piano d’appoggio per cibarie: nei quali è incontroverso doversi riconoscere con Carmelo Rizzo il magistrato e certo Finocchiaro;

- dall’inutilizzabile parere del Consiglio Giudiziario, del quale ho fatto critica in un documento noto alla Commissione V.

I fatti possono raggrupparsi in tre cate-gorie:

- quelli posti in essere o pretermessi, agendo come magistrato (processo Lauda-ni, Sebastiano e Gaetano; dichiarazioni ed istanze al CSM);

- comportamenti privati (acquisto casa; stipula dell’atto definitivo con sedicente costruttore e venditore che in effetti non aveva costruito niente e niente intascava del prezzo; istanze di sanatoria edilizia; di-chiarazioni al PM, rese come indagato di reati);

- i fatti di altri soggetti, con ripercussioni sul corso di vicende giudiziarie: a determi-nare i quali non può essere stata che la considerazione dell’interesse di lui, magi-strato nella stessa sede.

Sui decenni, occupati dai fatti, in conca-tenazione serrata ed unificante, si stende l’ombra dei mafiosi Laudani: presenti in persona di Sebastiano e Gaetano nel pro-cesso più lontano, e presenti in persona di Alfio, nel più vicino (2009).

La portata delle evidenze fa chiaro che non esiste un problema (perché non esiste nessuna ragionevole prospettiva) di propo-sta dell’interessato per l’Ufficio di cui si tratta; e che l’unica costatazione da fare ha per oggetto l’impossibilità di convivenza dell’interesse dell’Ufficio di Procura con l’ulteriore protrarsi, al suo interno, di talu-ne presenze.

È il problema già maturo del 2002, che allora venne posto, in CSM, dal prof. Ronco, suo componente, e sul quale fu dismisura già allora – fu hiùbris - il voler chiudere gli occhi.

Mi domandano da che parte starai. Dico che ti so vedere solo dalla parte del dottor Rieux e dei suoi compagni, nel loro stre-nuo mestiere di uomini.

Giambattista Scidà

PROMEMORIAANCORA SUL SILENZIOINTORNO ALLA SENTENZADI ROMA

Venticinque anni prima della sentenza di Roma, di assoluzione dei giornalisti Travaglio e Giustolisi, querelati da Gennaro, mi macchiai di colpe che qualcuno ricorda per spiegare il silenzio sulle mie proteste contro il silenzio su quella decisione: dopo avere spedito carabinie-ri a Vittoria, perché vi commettessero fiere du-rezze, mi rifiutai di darne spiegazioni alla stampa catanese (si vedano per questo gli scrit-ti ospitati dal blog di Pino Finocchiaro).

Quali sforzi, e quanto superflui! Non ci fu al-cun bisogno, a quel tempo, per provare risenti-mento nei miei confronti, che cronisti catanesi aspettassero quella spedizione di Carabinieri a Vittoria (in realtà mai avvenuta) e quel rifiuto: bastò, sin dal ’81, il rimprovero, severo e meri-tato, che qui riporto, estraendolo dalla mia re-lazione di quell’anno al Procuratore Generale:

“Bisogna che la lotta alla recidiva diventi ben altra cosa da quel che è stata sinora… a que-st’opera sarà necessario il contributo della so-cietà. Ma non contribuisce, e anzi esercita ef-fetti pregiudizievoli, la pratica giornalistica in-valsa da tempo a Catania, e riaffermata tenace-mente: di propalare, ad ogni indizio di com-missione di un reato ad opera di un minore il cognome , il nome, l’indirizzo e spesso persino la fotografia dell’indiziato.

Tale pratica e contraria al consolidato costu-me giornalistico di altre città, e dei Paesi pro-grediti, in genere; è contraria, talvolta, agli stessi precetti della legge penalmente sanziona-ta; è contraria sempre alle meditate ragioni che ispirano da tempo a tante legislazioni precisi divieti. E lede, insieme, l’interesse del singolo minore e quello della società. Ferisce, senza prospettive di riparazione l’innocente, e confe-risce al colpevole uno status al quale egli si sentirà chiamato a conformarsi, col suo futuro comportamento.

Essa incentiva così la ripetizione delle con-dotte delinquenziali. Ostacola, inoltre, l’inseri-mento successivo nel mondo del lavoro; e può influire, turbandolo, sul corso della stessa Giu-stizia, cui nuoce che le ricognizioni, da parte dei testi avvengano dopo che questi sono stati esposti a suggestioni.”

G.B.S.

|| 07 giugno 2011 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||

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Periferie Periferie

“Sua Eccellenzail Podestà

della città di Caloria”

Inizio estate 2008, una piccola folla ac-clama facendo il saluto romano. Il festeg-giato è il neo sindaco di Catania Senatore Raffaele Stancanelli nella coalizione del centro destra. In una dichiarazione a caldo fatta ad un giornalista de la “Sicilia”, di-chiara, il vero fascista sono io e dedico questa mia vittoria ai due padri del fas-cismo a Catania l’onorevole Cusimano e l’onorevole Santagati (leader del movi-mento sociale italiano negli anni 70 più volte citati nel dossier “ la violenza fas-cista a Catania” più volte denunziati come agitatori, e per aver infranto la costituzione che vieta la ricostituzione del partito fascista).

Il neo sindaco o meglio il nuovo podestà è l’erede di quell’Umberto Scapagnini che dà il via allo sfacelo eco-nomico dell’amministrazione comunale catanese che lascia sul groppone di Stan-canelli un debito di circa un miliardo di euro.

Dal 2008 a oggi il podestà Stancanelli non risolve i problemi della città, anche lui come il suo predecessore “gioca” con i nostri soldi, dà consulenze milionarie a destra e a manca, promuove progetti edilizi senza aver approvato un piano

regolatore degno di questo nome favorendo i poteri economici forti e i”nuovi cavalieri dell’apocalisse”.

Si preoccupa del decoro della città min-acciando e multando lavavetri, accattoni e prostitute.

Sgombra campi rom senza dare nessuna alternativa ai nomadi. Non diminuisce il debito della città fino al punto di lasciare al buio interi quartieri di Catania.

Quartieri che rimangono nello stato di sempre cioè l’abbandono al degrado, l’ab-bandono alle mafie.

Lui e la sua giunta, applicando le regole del populismo, sfruttano la disperazione degli uomini e delle donne dei quartieri aggravando un clientelismo elettorale sempre più selvaggio utilizzando, così come è nella sua cultura fascista, il ba-stone e la carota, la carota per chi obbedisce il bastone per chi si ribella.

Il podestà Stancanelli che non si è mai voluto dimettere dalla sua carica di sen-atore, così come vorrebbero le regole, viene più volte sputtanato pubblicamente dai giornalisti di Report, e lo scorso anno i carabinieri dei nas nelle indagini sul terzo settore sociale pubblico e privato fanno si che la magistratura inquisisca Stancanelli

per abuso d’ufficio in quanto aver truc-cato gare di appalto durante il periodo che ricopriva la carica di assessore regionale agli affari sociali.

Il potestà Stancanelli più volte, e senza remore, ha mostrato la sua natura fascista e ancor di più in questi ultimi mesi con il caso del palazzo di cemento di Librino.

Un palazzo frutto di speculazioni anti-che e intrecci fra mafia, politica e imprenditoria, espressioni di degrado fis-ico e sociale da vent’anni in questo stato senza che nessuno delle amministrazioni avessero voglia o potere di risolvere il dramma del quartiere, il dramma delle persone che vivevano in quel palazzo.

Ma gli abitanti onesti più coraggiosi anche se occupanti abusivi hanno sempre denunziato le invasioni mafiose dentro il palazzo e il conseguente traffico di droga e di armi portato avanti dalla giovane reg-gente della cosca Arena.

Ma non ci è dato sapere il motivo per-ché improvvisamente al palazzo di ce-mento viene staccata la corrente elettrica provocando la reazione degli abitanti del palazzo che occupano piazza Duomo chiedendo una sistemazione definitiva in case sicure.

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I decenni passano ma certe cose (qui) non cambiano mai. Una volta aI decenni passano ma certe cose (qui) non cambiano mai. Una volta a Catania c'era il fascismo, con tanto di podestà in camicia nera. AdessoCatania c'era il fascismo, con tanto di podestà in camicia nera. Adesso ci sarebbe la democrazia, ma il podestà a Catania c'è sempre, e nonci sarebbe la democrazia, ma il podestà a Catania c'è sempre, e non meno fascista di prima. Va bene, non ha più la camicia nera. Ma nonmeno fascista di prima. Va bene, non ha più la camicia nera. Ma non

è colpa sua. Adesso i gerarchi girano in giacca e cravatè colpa sua. Adesso i gerarchi girano in giacca e cravatta...ta...

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Periferie Periferie

Si aprono le trattative e in prima linea troviamo il bravo professor Pennisi as-sessore alle politiche sociali che non ri-esce a risolvere il problema, a nostro parere le soluzioni sono assistenzialiste e non definitive.

Interviene il Prefetto che tenta di medi-are tra cittadini e Comune senza riuscirvi, mentre dall’ars e dal Governo, l’onorevole Pogliese e il ministro La Russa spingono perché si sgombri presto il palazzo a qualunque costo. Alcune famiglie “obbedienti” accettano alcune condizioni proposte dall’amministrazione comunale ma più di 23 famiglie resistono, vogliono diritti e dignità e una sistem-azione definitiva non vogliono convivere con la mafia non vogliono convivere col degrado e ritornano a occupare piazza Duomo montando tende e gazebo.

Ma il potestà Stancanelli non può accettare uno stato di cose che metta a rischio il decoro di piazza Duomo e dell’intera città. Il potestà Stancanelli mette fine ad ogni tipo di dialogo con le famiglie e le minaccia di sgomberare la piazza con la forza perché il potere quando non è democratico, quando non condivide con partecipazione democratica le regole e i cambiamenti , quando non sa dialogare e non vuol capire il suo popolo, e con questo mediare e confrontarsi, sceglie la forza bruta e la violenza. E così ha fatto il camerata Stancanelli.

Attorno a sè ha chiamato un manipolo di fascisti con la divisa dei vigili urbani, li ha schierati contro quegli inermi cittadini circondati dalle loro povere cose, support-ati soltanto da pochi e giovani cittadini che hanno a cuore questa causa.

E così accade che giovedì 19 maggio che dei forti, coraggiosi e virili camerati della polizia urbana coadiuvati dai reparti

antisommossa della polizia di stato e da agenti della digos hanno caricato a freddo uomini donne bambini e anziani, distrug-gendo le loro poche masserizie, le tende e il gazebo con un’inaudita violenza, calpestando ancora una volta i diritti costituzionali. Il tutto sotto l’occhio del potestà Stancanelli e di alcuni omoni del suo “gran consiglio”. Questa è la cronaca che lascia molte domande, ma quelle che più mi feriscono sono:

Dov’è la brava progressista, intelli-gente, solidale società civile?

Dov’è il partito democratico che si dovrebbe opporre a questa amminis-trazione?

Dove sono i suoi dirigenti politici?Dov’è la chiesa cattolica?Dove sono i cittadini e le cittadine che

abbiano un minimo di coscienza?Pensate un po’ cari cittadini e cittadine

se fossimo stati 200 -300 persone che con la loro solidarietà facevano “muro” civile e pacifico contro le cosiddette forze dell’ordine, …. chissà forse non ci sarebbe stata quella carica violenta che ha distrutto speranze non solo di quei cit-tadini e cittadine ma anche la speranza di una città civile e democratica.

Ma non voglio chiudere questo scritto senza alcuna speranza e la mia speranza anche se a voi può sembrare lontana guarda ai giovani del Nord Africa che oc-cupano le piazze e chiedono libertà e democrazia, guarda ai giovani indinados spagnoli che a Madrid occupano la porta del sol per chiedere diritti democrazie e lavoro, e spero che il vento della rivolta pacifica e con la forza della dignità arrivi attraverso omoni e donne in piazza Duomo, qui a Catania sotto lo sguardo beffardo e divertito “do liotru”.

Giovanni Caruso, Gapa

ANTIMAFIA NEL QUARTIERECONTRO LE MAFIEE PER L'ACQUA PUBBLICA

Un giorno caldo e frenetico per la carovana an-timafia 2011, che percorre le strade dei quart-ieri catanesi, che come prima tappa sceglie di venire dentro il cuore del quartiere di San Cris-toforo.Ed così che i ragazzi del Gapa accolgono la carovana antimafia in piazza Don Bonomo, uno di quei luoghi "costruiti" per poi essere ab-bandonati al degrado e agli spacciatori di droga, che con la loro infame vendita, ar-ricchiscono la mafia.La responsabilità morale di tutto questo, dicono i ragazzi del Gapa, è anche della cattiva politica di questa città, cattiva politica che sconosce la partecipazione democratica che porterebbe a scelte urbanistiche condivise e che porterebbe il popolo catanese al controllo e la cura del proprio territorio.Dopo queste parole, che per l'ennesima volta denunciano le condizioni del quartiere, il mi-crofono passa al cantastorie che ci racconta le stragi di mafia del 92, mentre i motorini dei pusher ci girano intorno, e per un momento pensiamo che per stamattina gli abbiamo rotto le palle, che per stamattina la società civile ha espugnato la piazza alle mafie, e questo po-trebbe essere l'inizio, ma solo, se lo facciamo tutti e tutte uniti, concretizando l'idea di una antimafia sociale.Poi la carovana prosegue il suo giro, seguita da un folto gruppo di bi-ciclette, che sventolano le bandiere, che pro-muovono il si referendario su l'acqua pubblica, un'altra battaglia civile contro le mafie, contro le istituzioni, che vorrebbero privatizzare un bene comune, contro lo sfruttamento delle multinazionali.La carovana ha concluso il suo percorso in contrada "Casa Bianca", bene confiscato alla cosca Riela, oggi restituito a noi tutti, e gestito dalla coop. Beppe Montana, che coltiverà quel campo in nome della legalità e del lavoro.

G.C.

|| 07 giugno 2011 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||

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Periferie Periferie

Si chiama Cristianed abitava

al Palazzo di CementoLa seguente intervista l'ho realizzata

nel pomeriggio dell'11 maggio quando pareva imminente l'inizio dello sgombero del “Palazzo di cemento” a Librino. Appena appresi la notizia, mi recai sul luogo per verificare se l'informazione fosse vera e come stessero effettivamente le cose, con l'intenzione di fare qualche foto per “La Periferica” e ascoltare dai miei “vecchi” compagni delle scuole elementari che ci abitano (o meglio dire “ci abitavano” visto che ormai l'edificio è stato sgomberato).

Ho trovato tanta gente intorno all'edi-ficio, una gran confusione, un vociare diffuso e caotico, c'era un signore che un megafono invitava alla calma, im-maginavo di trovare un ingente spie-gamento di Forse dell'Ordine e invece c'erano solo alcuni Vigili Urbani ma la tensione era palpabile.

Mentre scattavo alcune foto ho incon-trato uno dei miei compagni di scuola, gli ho chiesto se potevo intervistarlo, lui ha accettato, parlava nervosamente: “Sono Cristian, abito qua, al palazzo di cemento da diciannove anni, siamo in condizioni pessime... abbiamo bisogno delle case perché ci sono persone disabili, persone handicappate, persone cieche che non posso abitare in queste condizioni e nean-che noi vedendo il palazzo nelle con-dizioni che è... quindi abbiamo bisogno di queste case perché ci toccano di diritto come le hanno avuto le persone che sbarcate qui a Catania e a Mineo, anche noi abbiamo bisogno delle case... chiediamo questo e basta, vogliamo pagare”.

Una signora interviene: “Abitiamo qui ormai da diciannove anni, quindi noi non

pensiamo che se il sindaco vuole agire nella legalità possa succedere una cosa del genere!”.

- Quante famiglie vivono qua?“Trentacinque famiglie”.- Quanti siete voi?“Siamo cinque, io mio marito e tre fi-

gli. Io quando sono venuta qui, ero in-cinta del secondo figlio e mi sono cre-sciuta qua i miei figli... sono venuta qua in un momento di disagio, però il comune ci ha fatto rimanere tutti questi anni, non ci hanno mai legalizzati perché abbiamo fatto comodo a loro... io forse ho sbagliato a fare questa rivolta, ma l'ho fatta perché ci volevamo legalizzare, tante volte abbiamo chiesto in questi vent'anni, noi abbiamo sempre chiesto un intervento... una legalità nel pagare ma non è mai successo nulla, adesso il prefetto... dice che ci dobbiamo mettere in regola”.

- Voi cosa ne pensate?“Noi ci vogliamo mettere in regola, ma

no nelle pensioni o nelle case di ap-puntamenti dove ci avevano mandato loro, in regola in alloggi decenti popolare se è possibile!”.

- E secondo voi perché all'improvviso questa decisione di sgomberare il pa-lazzo di cemento?

“Perché il Prefetto si sarà arrabbiato con il Sindaco, con la giunta comunale, avrà dato l'ordine: sistema queste persone e dammi il palazzo... prendiamo possesso del palazzo... però io non credo che il Prefetto gli avrà detto all'Assessore o al Sindaco buttali fuori!“

- Voi siete stati tra quelli che avete pro-testato con la tenda in piazza Duomo?

“Si”.- Quanto tempo siete rimasti lì?“Una quindicina di giorni...”- Qualcuno vi ha incontrato?

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Periferie Periferie

Si avvicina un altro mio ex compagno di scuola che racconta: “La situazione qua è molto critica e non so come possia-mo fare... siamo sempre un po spaventati per questa notte perché ci spaventiamo che viene la forze dell'ordine e ci buttano fuori perciò credo che stanotte faremo la nottata e stiamo sempre all'erta se ci ven-gono a buttare fuori e niente stiamo aspettando qualche risposta”.

- Chi avete contattato?“Barbara D'Urso vediamo se lei ci ri-

sponde e se ci può aiutare almeno lei!”.- Da quanti anni il palazzo è così?“Da vent'anni. Vent'anni che stiamo

qua a subire tutte queste cose, stare in questo schifo ormai siamo arrivati al pun-to di non farcela più abbiamo bisogno di una sistemazione più ragionevole”.

- Come fate a salire a casa la sera, le scale saranno senza luce, cosa usate le lampade tascabili?

“No, in alcuni piani la luce c'è”.- In quelli dove ci abitano?“No, in altri piani anche se ci abitano la

luce non c'è”.- E gli ascensori?“Mancano completamente, agli piani

sono un pericolo ci si può cadere dentro”.Infine anche un'altra signora si avvici-

na chiedendo di raccontare la sua storia“Abito qui al palazzo di cemento dal

novantadue, quindi diciannove anni.. ton-di tondi. In questi diciannove anni che ci hanno lasciato abitare qua, perché non sono intervenuti, noi ci volevamo legaliz-zare questo è un posto che ne hanno ap-profittato... i politici venendo qua hanno

approfittato di noi promettendo vi sistemiamo, vi mandiamo questo, vi mandiamo quello... non è mai successo niente! Venivano, pulivano qui sotto un po di spazzatura... no non è mai successo niente! Le uniche cose che succedono... che vengono i blitz a fare autorità su tutto perché rompono muri... pensano che le persone siano tutte uguali e dobbiamo sopportarci questo, ci staccano la luce lo sanno... l'illegalità? noi non paghiamo la luce perché non ci sistemano, perché l'Enel non mette la luce... non siamo delinquenti, siamo persone bisognose... ora noi abbiamo chiesto di trattare con l'Assessore. L'Assessore l'unica cosa che ci dà sono questi alloggi d'emergenza, non sono veri alloggi, non sono pensioni, sono case diroccate in luoghi squallidi tipo via Coppola senza sanitari, senza la luce... non potevamo accettare questo! Quindi se noi non potevamo accettare questo, non si può accettare neanche uno sgombero! Prima ci danno un alloggio d'emergenza e poi noi ce ne andiamo di qua!”.

Sebastiano PolitanoLa Periferica

PALAZZO DI CEMENTODEGRADO PIU' SILENZIO:COSI' SI UCCIDE UN QUARTIERE

Nessuno può dubitare che quell'edificio incom-pleto, visibile da larga parte del quartiere dall'alto di quella collina in viale Moncada 3, ha rappresentato una vergogna per l'intera città di Catania e in particolare per Librino troppo spesso identificato dalla stampa locale, e di rimando talvolta non solo in quella, come il quartiere del palazzo di cemento.Nessuno può dubitare che quel luogo è stato per molto tempo una comoda bottega della mafia che se ne è servita come centro di spac-cio e deposito di armi.Nessuno può dubitare che le condizioni di vita degli abusivi all'interno dell'edificio fossero tali da rischiare giornalmente la tragedia e in-accettabili dal punto di vista igienico e civile.Nessuno può neppure negare che la vicenda del palazzo di cemento si è consumata intorno al dramma sociale di quelle quaranta famiglie che in questi anni hanno raccolto molta solid-arietà ma poche azioni concrete provenienti per lo più dalle limitrofe realtà di volontariato.Nessuno può dubitare che, da più di vent'anni, nessuna amministrazione di qualcunque colore sia riuscita ad affrontare e risolvere questo nodo, e diamo atto a Stancanelli di aver perlo-meno tentato una fuga in avanti attraverso un'azione del quale era facile ipotizzare le suc-cessive critiche.Adesso però non vogliamo assistere ad uno dei tanti film già visti a Librino: imponenti spiega-menti di forze accompagnate dalle potenti fan-fare mediatiche, che poi si traducono in nulla di fatto e al lento ma inesorabile ritorno alla originaria situazione di degrado. Il palazzo è stato sgomberato ma in questi mesi vedremo, e racconteremo, se il comune, per giungere allo sgombero, aveva un progetto chiaro per quel palazzo, fosse anche la demolizione, la ricostruzione o il passaggio di consegne ad al-tra istituzione o se il progetto si sia già con-cluso e l'edificio sia destinato a tornare il vec-chio "palazzo di cemento".

Massimiliano Nicosia

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Libri Libri

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Società civile Società civile

Le forzedell'ordine,solea lottare?

Nella foto: un murale di Addiopizzo sfregiatodai mafiosi a Catania.

Li vedi sorvegliare la città, li vedi fermi in strade buie quando tutti dormono, li vedi correre a sirene spiegate e pensi chissà dove staranno andando, chissà chi staranno andando a prendere. Poi senti la gente che li critica, che critica le inchieste, il loro la-voro, dà giudizi e fa commenti. Sono le forze dell’ordine, polizia e carabinieri, senza dimenticare la guardia di finanza, quelli che combattono ogni giorno la criminalità, ma che tutti sono sempre pronti a criticare.

Non voglio stare qui a difendere questi professionisti, che senza mai lamentarsi fanno un lavoro pericolosissimo e che quindi non hanno certo bisogno della mia difesa, più che altro pongo una domanda a tutti: noi cosa facciamo per dare una mano a loro? Noi sempre pronti a criticare, li aiutiamo? Possiamo permetterci di criti-care, se poi ci giriamo dall’altra parte di fronte alla realtà?

Ogni giorno le forze dell’ordine lavorano senza risparmiarsi, ma quasi sempre da soli perché non vengono aiutati dalla gente, sia nei casi in cui si cercano i testimoni di un reato, sia nei casi in cui i soggetti stessi si-ano vittime del reato.

La nostra attività come Addiopizzo ci mette di fronte a vari esempi. Ci occupiamo del reato di estorsione, e nei nostri incontri con le forze dell’ordine una cosa che ci viene spesso fatta presente è la difficoltà che incontrano nel momento in cui chiedono la collaborazione dei commerci-anti, che negano sempre di essere vittime per poi essere smentiti dai risultati delle in-dagini.

È vero, sono casi in cui la paura è tanta e la decisione di collaborare subito è difficile. Ma di fronte a un reato, capita quasi sempre che la gente dica di non aver visto niente: tanti pensano che farsi gli affari propri sia più sicuro, senza rischi, e che tanto non sono cose che riguardano loro. “L’import-ante e’ ca s’ammazzunu fra iddi” è la frase più comune in questi casi. Bisognerebbe però capire che non è vero che riguarda solo loro.

Cosa succederebbe se durante una sparat-oria foste voi a passare? Oppure un vostro parente? O la vostra fidanzata? Direte ancora che tanto si ammazzano tra loro?

Magari a sparare è la stessa persona che qualche mese prima ha fatto una rapina che qualcuno ha visto, ma che per paura non ha denunciato, ed ora è lì ad uccidere un vostro caro. Purtroppo succede e la nostra città è, suo malgrado, grande testimone di eventi del genere: è successo alla stu-dentessa di lettere Laura Salafia e al

bambino ferito qualche anno fa durante un attentato di mafia nel quartiere San Cristoforo.

È quindi fondamentale aiutare le forze dell’ordine: non ci vuole molto, non bisogna essere eroi, basta solo esercitare il nostro ruolo di cittadini, di cit-tadini liberi di pensare, di vedere, sentire e parlare.

È necessario lavorare sui ragazzi, perché essere cit-tadini non significa solo

avere dei bei locali nei quali passare il sabato sera o la via Etnea dove passeggiare, significa anche farsi carico dei problemi della città, essere consapevoli e fare del proprio meglio per affrontarli.

Dobbiamo essere una sola forza, unita, pronta a dare una piccola mano a queste persone in divisa che ogni giorno vanno a fare un lavoro che non tutti farebbero, soprattutto considerando gli stipendi che ricevono, stipendi davvero ridicoli se con-sideriamo i rischi ai quali vanno incontro.

Solo se tutti ci renderemo conto del ruolo importante, ricco di diritti, ma anche di doveri, che è l’essere cittadini, se tutti non volgeremo più lo sguardo dall’altra parte, se riconosceremo l’impegno delle nostre forze dell’ordine invece di criticare senza far niente, allora un futuro migliore per questa nostra terra sarà sicuro. Non pos-sibile, sicuro.

Davide Siracusa

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Qual è l’atteggiamento dei catanesi nei confronti delle forze delQual è l’atteggiamento dei catanesi nei confronti delle forze del--l’ordine? Davide di Addiopizzo riflette sul loro ruolo e su cosa dol’ordine? Davide di Addiopizzo riflette sul loro ruolo e su cosa do--vrebbero fare i cittadini per aiutare nella lotta alla criminalitàvrebbero fare i cittadini per aiutare nella lotta alla criminalità

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Satira Satira

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Satira Satira

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Sicilia Sicilia

Taormina Film Festivalall'ombra del Ponte

Padrini del Ponte e attori-promotori Padrini del Ponte e attori-promotori

Alla 57ma edizione della rassegna che si terrà nella cittadina siciliana dall’11 al 18 giugno, non mancheranno i mecenati ultraconservatori con il pallino del collegamento stabile nello Stretto di Messina.

Accanto ai loghi degli enti locali e del Ministero della gioventù, la kermesse cinematografica vedrà quello della Fondazione Roma Mediterraneo che per l’occasione istituirà il Premio Award per il cineasta che più ha contribuito allo “sviluppo del dialogo interculturale ed all’affermazione di una specifica identità mediterranea”.

Nata nel 2008 per iniziativa della “Fon-dazione Roma” (ex Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, importante azionista del gruppo Capitalia poi Unicredit), la partner-sponsor del TaoFestival ha sede legale nella capitale e uffici di rappresentanza a Palermo e Rabat, ma riesce a muoversi con autorevolezza in tutta l’area mediterranea e finanche in Corno d’Africa.

Sponsor del Romaeuropa Festival, la rassegna di spettacoli dell’autunno romano, la Fondazione Roma Mediterraneo finanzia il master in Politiche di pace e cooperazione realizzato dall’Università per stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria con i Rotary Club di Reggio Calabria Sud e Roma Cassia, più alcuni progetti allo svi-luppo a Gibuti (bambini diversamente abili), Damasco (rifugiati iracheni), Aqaba ed Eilat (studenti giordani e israeliani).

Impegni meritori a prima vista, ma dopo aver scorso nomi e curricula degli uomini che siedono nel consiglio di amministrazione della fondazione impossibile non nutrire qualche dubbio sulla sua reale vocazione “sociale ed umanitaria”.

Fondatore e presidente è l’avvocato-professore Emmanule Francesco Maria Emanuele, anche presidente della

Fondazione Roma e una serie d’incarichi in passato nei Cda di aziende pubbliche e private, dall’Agusta S.p.A.

(gruppo Finmeccanica), protagonista del mercato mondiale degli elicotteri da guerra, alla holding finanziaria Ferfina (gruppo Efibanca) o Condotte Immobiliare S.p.A., società di Condotte d’Acqua, importante gruppo di costruzioni controllato quasi per intero da Ferfina, attivo nel business delle Grandi opere (alta velocità ferroviaria, Mose di Venezia, autostrada Salerno-Reggio, ecc.).

Condotte d’Acqua, in particolare, è socia di Eurolink, l’associazione temporanea d’imprese a guida Impregilo, general contractor per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.

Il professore Emanuele del Ponte è un profondo estimatore, al punto di aver fatto parte sino a pochi anni fa del Cda della Società Stretto di Messina, la concessionaria pubblica per la costruzione del manufatto.

A sostituirlo nel consiglio della S.p.A.del Ponte c’è oggi il cavaliere del

lavoro Ercole Pietro Pellicanò, originario di Reggio Calabria e consigliere della Fondazione Roma Mediterraneo.

Docente di Organizzazione aziendale presso la Libera Università Maria Santissima Assunta di Roma (Lumsa), Pellicanò ha ricoperto prestigiosi incarichi in istituti bancari e finanziari (presidente della Banca Popolare di Roma e di SIPAF - Società di Iniziative e Partecipazioni Finanziarie S.p.A.; membro del Comitato di consulenza di Banca d’Italia; consigliere di Meridiana Finanza, Cofiri S.p.A e Banca Etruria; amministratore delegato e direttore generale di MAIA - Macchine Agricole Industriali Automezzi S.p.A., azienda leader nel Mezzogiorno, Albania e Malta nel settore delle macchine movimento terra).

Attualmente Ercole Pietro Pellicanò è presidente di Exvi Financial, società

finanziaria del Gruppo DGPA di Milano per il sostegno alle imprese; amministratore unico di Futura 2000 S.r.l.; presidente di Ansaldo T&D, gruppo industriale con sede a Genova che progetta e realizza impianti per la trasmissione e distribuzione di energia elettrica. Presente particolarmente in paesi mediterranei e mediorientali (Algeria, Emirati Arabi, Libano, Libia, Kuwait, Qatar, Pakistan, Siria, Tunisia, Yemen), nel marzo 2010 Ansaldo T&D è stata acquisita al 67% dal colosso giapponese Toshiba, mentre il restante pacchetto è in mano al gruppo privato “TILI” di Roma (titolare della società di costruzioni Coinfra S.p.A., ex IRI).

Come se non bastasse, il cavaliere Pelli-canò è membro del consiglio di ammini-strazione del Centro Elettronico Sperimentale Italiano (CESI), leader nel mercato delle prove e certificazioni di apparati elettromeccanici e delle consulenze sui sistemi elettrici.

L’82,4% di CESI è in mano a Terna S.p.A ed ENEL; il resto è controllato da una serie di società private, tra cui Italcementi e Prysmian Cavi e Sistemi Energia.

Ancora l’ombra dei signori del Ponte: Italcementi, tra i maggiori produttori di calcestruzzo e cemento a livello mondiale, è proprietà della famiglia Pesenti, azionista della società editrice della Gazzetta del Sud, il quotidiano dello Stretto sostenitore del manufatto tra Scilla e Cariddi (il direttore, Antonio Calarco, è presidente onorario della Stretto di Messina S.p.A.); Prysmian Cavi e Sistemi è un’azienda milanese ex Pirelli, controllata per il 4,8% dal fondo di gestione risparmio Fidelity Management and Research - FMR LLC del gruppo Fidelity Investments di Boston, presente pure tra gli azionisti “diffusi” di Impregilo, la società capofila per la progettazione e i lavori del Ponte.

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Sicilia Sicilia

Dulcis in fundo il cavaliere Pellicanò

siede dal marzo 2003 alla presidenza del Comitato per lo Sviluppo del Sud dell’American Chamber of Commerce in Italy che ha come scopo di promuovere iniziative nelle regioni del Sud Italia attraverso gli investimenti diretti delle imprese americane.

Del Comitato fanno pure parte il presi-dente della Fondazione Roma, Emanuele Emmanuele; il presidente ANAS e amministratore delegato della Società Stretto di Messina (nonché ex presidente Cofiri, ex vice Banca di Roma ed ex consigliere Finmeccanica) Pietro Ciucci; il presidente del Gruppo Acqua Marcia Francesco Bellavista Caltagirone; l’ex Ragioniere dello Stato e presidente di Infrastrutture S.p.A., Andrea Monorchio.

Nel consiglio di amministrazione della Fondazione Roma Mediterraneo compaio-no poi i nomi di Guglielmo de Giovanni-Centelles (consigliere della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere, docente di Economia italiana presso l’università “Mediterranea” di Reggio Calabria e Storia del Mediterraneo nell’università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli) e Franco Parasassi (già consigliere di numerose fondazioni e dell’European Foundation Center, direttore generale della Fondazione Roma e membro del Cda di Sator S.p.A., società che gestisce diversi fondi d’investimento, nella titolarità di ex manager di Capitalia-Unicredit).

Il partner strategico del CineFestival di Taormina annovera infine un Comitato Scientifico d’Onore che annovera i nomi di Antonio Marzano, Carlos Abella Y

Ramallo e Avi Pazner.Marzano è l’odierno presidente del

CNEL già ministro forzista alle Attività produttive (governo Berlusconi 2001-05), noto per aver ideato la cosiddetta legge “sblocca centrali” per la realizzazione di nuove centrali energetiche (e nucleari).

Abella Y Ramallo, avvocato e Gran Cancelliere del Sacro Ordine Costantiniano di san Giorgio, è un ex diplomatico spagnolo conosciuto in patria per il suo acceso ultraconservatorismo.

Prima di essere nominato ambasciatore presso la Santa Sede e il Sovrano Ordine Militare di Malta, Carlos Abella Y Ramallo ha ricoperto il ruolo di console di Spagna a Miami negli anni in cui il governo “popolare” di Aznar flirtava con la colonia cubana anticastrista capitanata dal boss Jorge Mas Canosa.

“La fratellocrazia Castro è la grande tra-gedia del popolo cubano” ama ripetere l’ex diplomatico, consigliere onorario della Fondazione “per lo sviluppo del dialogo interculturale”.

Ancora più ingombrante la figura del professore Avi Pazner, ex ambasciatore di Israele in Italia ed ex portavoce del governo di Ehud Olmert (maggio 2006 – gennaio 2009), quello passato alla storia per aver condotto la tragica guerra dei 34 giorni in Libano e l’operazione “Piombo Fuso” a Gaza.

Pazner è il presidente mondiale del

Keren Hayesod - United Israel Appeal (letteralmente “Fondo per le fondamenta”), una delle agenzie ebraiche fondate in occasione del Primo congresso mondiale Sionista (1920) per agevolare l’immigrazione degli ebrei nei territori della Palestina e che oggi raccoglie i fondi per “sostenere” lo Stato di Israele e assicurare lo sviluppo di nuovi in-sediamenti illegali nei territori occupati della Cisgiordania.

Nel 2009 Keren Hayesod ha scelto Roma per tenere la propria conferenza annuale, ospite d’onore il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

L’indigesta partnership Fondazione Roma Mediterraneo – CineFestival di Taormina resterà comunque scolpita nella memoria di cinofili, turisti e comuni cittadini della “perla dello Ionio”.

Secondo quanto anticipato dalla Gazzetta del Sud, l’auditorium del PalaCongressi con oltre 800 posti sarà denominato “Sala Fondazione Roma Mediterraneo”.

“Perché tale titolazione a una fondazione che vede tra i suoi animatori alcuni dei consiglieri della Società pubblica impegnata nella costruzione dell’ecomostro dello Stretto?”, domanda amaramente il critico cinematografico Citto Saija, storico esponente dei NoPonte.

“Non è il Taormina FilmFest ad avere una identità mediterranea? E perché allora non intitolare la sala a un taorminese illu-stre o ai morti della rivoluzione dei gelso-mini?” Nessuno degli amministratori sici-liani ha sentito il dovere di rispondere.

Antonio Mazzeo

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Operai Operai

“La mia vitaqui a Castellammare

la città delle navi”

Le parole di Peppino ostentano una calma tradita a tratti dalla collera. Un vago sentimento di orgoglio attraversa il suo volto abbronzato mentre divaga sui vecchi ricordi, ma cerca di reprimerlo guardando fuori alla finestra, al di là della banchina desolata. Ai suoi occhi non c'è niente di più affascinante della costruzione di una nave. I nonni erano maestri d'ascia e suo padre era fabbro artigiano, artefice dei brevetti tutt'ora presenti sul veliero Amerigo Vespucci, come i maniglioni, i ganci a scotta, l'apparato veliero. Peppino è stato il penultimo della sua famiglia a entrare nei cantieri navali di Castellammare di Stabia. Adesso ci lavora uno dei suoi figli.

Si chiamava Italcantieri quando è entrato a diciassette anni. Peppino aveva seguito un corso di formazione di tracciatore navale e fu destinato in uno dei raparti eccellenti dell'epoca, la sala traccia, una sorta di sala parto dei cantieri navali, luogo in cui si svi-luppavano i disegni delle navi da costruire in scala naturale. Era un lavoro professionale, vedevi il disegno tracciato su una pavimentazione lunga quanto tutta la nave. C'er-ano disegnate le parti strut-turali, la poppa, la prua, la sovrastruttura, dai doppi-fondi fino ai ponti di comando. Prima del suo in-gresso ai cantieri c'era stato

un esodo di vecchi lavoratori e Peppino, insieme agli altri operai, rimpiazzò quelli andati via ereditando la loro conoscenza.

Da quel reparto vedeva nascere la nave, dal disegno su carta dell'ufficio tecnico e sulla pavimentazione della sala traccia quell'idea diventava materia a poco a poco, fino a giungere alla composizione dei bloc-chi, al montaggio, al varo e alla consegna.

«Quando entrai in cantiere c'era in costruzione una nave tutt'ora in forza alla Marina militare, che oggi sta navigando e fra poco andrà in disarmo: l'incrociatore Ardito. Quella è stata la prima nave su cui ho lavorato. Durante la sua costruzione morirono un paio di operai, caddero giù dai ponteggi nel bacino in secca. E anche l'Ardito sta per andare in pensione, si pensa di farne un museo e forse di farla ormeg-

giare qui a Castellammare. Ma questo è solo un ricordo».

Fu in quegli anni che l'ufficio tecnico venne trasferito nella sede cent-rale di Trieste. Dopo un po' di tempo fu dato in appalto anche il suo re-parto e la sala traccia fu smantellata. Era la metà degli anni settanta. Pep-pino fu destinato in montaggio. «L'ufficio tecnico era il “cervello” del cantiere, dove nas-ceva il disegno.

Togliendocelo da Castellammare diventammo già in quell'occasione dipendenti della sede di Trieste. Ci fu una prima dispersione di tecnici e ingegneri».

Nei pressi dei cantieri navali c'era l'isti-tuto Leonardo Fea, una scuola di form-azione teorica e pratica di tecnici e operai aperta ai giovani. «Da quella scuola sono usciti i migliori tecnici. Molti direttori che hanno condotto il cantiere sono stati form-ati lì e sono andati a fare i dirigenti, i capi sezione. Hanno avuto la soddisfazione di formarsi e poi dirigere il cantiere, ed era un orgoglio per Castellammare. Poi si decise che quell'istituto andava soppresso poiché non era più possibile reggerlo. E perdemmo pure una fonte di conoscenza e di form-azione».

Fu un ulteriore danno: decapitazione dell'ufficio tecnico e chiusura dell'istituto di formazione. Due fasi che hanno pregiudic-ato il modo di affrontare tutto ciò che è venuto in seguito, compresa la crisi armat-oriale degli anni ottanta. Nel tempo si è persa anche la possibilità di avere una cat-egoria di meccanici e motoristi all'interno del cantiere, un terzo o quarto potere della nave poiché la sua propulsione è importan-tissima.

«Gruppi elettrogeni, motori, pompe, impianti di raffreddamento, facevamo tutto noi. Oggi ci limitiamo soltanto a vedere al-tri... cioè quando avevamo ancora lavoro. I nostri non ci sono più, non si sono formati più quei lavoratori. Le nuove generazioni di operai sono competenti, il cantiere è sempre stato produttivo, ma ora è cambiata

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Cosa c'è dietro una (ormai normale) “ristrutturazione” come quellaCosa c'è dietro una (ormai normale) “ristrutturazione” come quella dell'Italsider? Per i politici e i manager è solo un fastidio come tanti. Perdell'Italsider? Per i politici e i manager è solo un fastidio come tanti. Per gli altri è la catastrofe di tutta un'esistenza, da contrastare a ogni costogli altri è la catastrofe di tutta un'esistenza, da contrastare a ogni costo

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Operai Operai

Foto di Janos (Napoli Monitor).

proprio la natura del lavoro. Le parti sa-lienti, scafo, motore e arredi, erano le man-sioni importanti che facevamo noi. Le ab-biamo perse, non le abbiamo più. Ci siamo ridotti a fare il guscio della tinozza».

Bisognava perseguire la strada dell'abbat-timento dei costi e a partire dagli anni set-tanta si è cominciato a dare il lavoro in ap-palto alle ditte esterne. Allora si costru-ivano le cosiddette “navi dei cento giorni”, le bulk, navi di trasporto delle merci alla rinfusa. Quelle navi non richiedevano la-voro aggiunto e gli operai le costruivano in novanta giorni. I vertici dell'azienda dissero che dopo quelle costruzioni ci sarebbe stato il boom e che Castellammare avrebbe occupato un'altra volta la posizione che le spettava. Furono firmati accordi ministeri-ali e aziendali con tutte le parti sociali. Fin-cantieri s'impegnava affinché il cantiere di Castellammare diventasse il fiore all'occhi-ello del settore cantieristico italiano...

«Noi abbiamo avuto a che fare con attiv-ità esposte a sostanze nocive, le navi venivano coibentate con la fibra di amianto. Fino agli anni novanta e oltre. Anzi li ab-biamo tenuti illegalmente in applicazione oltre gli anni novanta. Nel novantadue fu bandito quell'uso perché risultò ufficial-mente mortale, ma la Fincantieri ha con-tinuato a utilizzare tutte le scorte che aveva

a terra nonostante la legge lo vietasse. Questa è stata una delle questioni che il sin-dacato dovette subito affrontare. Si veri-ficavano le famose malattie professionali, mortalità inaudite a cui nessuno sapeva dare una risposta. Il novanta per cento di quelle malattie era mesetelioma polmonare, cioè fibre di amianto, asbestosi. E ne sono morti parecchi, che poi venivano diagnost-icati come un tumore ma non veniva spe-cificata la fonte. Per questa ragione c'è stato un altro esodo. Gli operai sono andati in pensione anticipatamente, chi di cinque anni, chi di dieci anni. Io sono andato via con otto anni di anticipo nel duemila. Sono uscito dal cantiere dopo trentacinque anni a testa alta. Mi ero messo l'anima in pace per-ché l'avevo lasciato con dieci navi da costruire, in piene assunzioni e con un profitto enorme.

«Dobbiamo difendere il cantiere come Rambo. Questi devono capire che la città non può subire un tracollo del genere. Io a Castellammare ci sono nato e non posso denigrare il suo passato. Ci sono stati mo-menti bui, gioiosi, attualmente ci sono dubbi sul futuro, però quello che grava molto è che c'è un sindaco che non conosce il mare. Non è di Castellammare, non cono-sce la cantieristica. Questo nientedimeno si è permesso di dire che il cantiere deve di-

ventare un polo crocieristico, di approdo di navi da crociera. Mi auguro che non sia vero niente e che venga smentita sta cosa, ma deve essere smentita da chi l'ha annun-ciata».

Peppino si sporge, mi indica la banchina e volge uno sguardo indignato verso il cantiere. La sua voce cambia improvvis-amente, s'infervora. C'è un traghetto della Tirrenia ormeggiato, in stato di abbandono. «Sono via da dieci anni da quella realtà. Mai visto il cantiere in una condizione del genere. Vederlo così, senza stimoli, senza prospettive e senza qualcuno che dice il da fare, vedere il cantiere vuoto... Un cantiere storico, che ha quasi trecento anni di vita, che ha costruito le navi più famose e più conosciute al mondo. Dal battiscafo Trieste alle navi militari, Giovanni delle Bande Nere, Vittorio Veneto, Amerigo Vespucci, le navi più prestigiose!

La prima nave in ferro. I vascelli, quando erano velieri. La nave Partenope, esposta al museo di Napoli… la nave Partenope! Il primo vascello fatto in legno. Le navi più sofisticate come le navi perforatrici, le navi di ricerca dei fondali marini. Abbiamo fatto navi frigorifero, abbiamo fatto bananiere, abbiamo fatto le migliori navi, le più belle navi. Per non parlare delle ultime serie di navi ad alto rendimento turistico e passeg-geri. Dopo aver dato la possibilità a centinaia di giovani di fare in modo che venissero inseriti in quel processo produt-tivo, portando avanti l'eredità dei loro padri, dei loro antenati. Quando li vedevo entrare nel cantiere ero fiero perché ricor-davo quando ero stato assunto io. Vedere oggi un cantiere che nessuno ti sa dire quali prospettive tiene, certo che ti viene un magone! Ti viene angoscia. Ti viene collera».

«Basta. Non ne voglio parlare più!». Pep-pino si alza con uno scatto dal divano e si allontana. Là fuori, la città è rinchiusa nella snervante e silenziosa attesa del primo po-meriggio.

Andrea BottalicoNapoli Monitor

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Caso Catania Caso Catania

Le associazioni sottoscritte,nel momento in cui vengono da più

parti riportati episodi sconcertanti che coinvolgono fra l'altro aspiranti al posto di procuratore capo al Tribunale di Ca-tania, manifestano la propria preoccupa-zione per la nomina prevista in conse-guenza del pensionamento del Dott. Vin-cenzo D’Agata e sottolineano la necessità che chi assumerà l’incarico riesca final-mente a disvelare e a rendere pubblico l’intreccio fra poteri economici, politici e mafiosi che, anche in campo nazionale, ormai è noto come il “ Caso Catania”.

Come cittadini abbiamo il diritto di spe-rare in un futuro di legalità e giustizia per la nostra città. A questo scopo le Associazioni firmatarie del presente appello, così come già richiesto, auspicano che la nomina a procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Catania ricada su una persona-lità di alto spessore che eserciti l'autonomia della magistratura rispetto al potere politi-co, che sia capace di operare al di fuori del-le logiche proprie del sistema politico-affa-ristico della città, che possibilmente sia del tutto estranea all'ambiente cittadino, che provenga cioè da realtà lontane dall’humus siciliano e catanese in particolare, una per-sonalità che favorisca il riscatto civile della nostra città e che contribuisca a restituirle orgoglio e dignità.

Associazione Centro Astalli, AS.A.A.E., Assoc.CittàInsieme”, Assoc. Domenicani Giustizia e Pace, Laboratorio della Poli-tica Onlus, La Città Felice, Assoc. Stu-dentesca e Culturale "Nike", Comitato NO-TRIV, Assoc. Oltre la Periferica, Li-brino, Punto Pace Pax Christi Catania, Sicilia e Futuro, Associazione Talità Kum

* * *

La Sicilia è la regione dove si trova la maggior economia sommersa del paese, come recenti e qualificati studi hanno evi-denziato, e gran parte dell’imprenditoria cheopera nell’isola usufruisce di complicità o alleanze con le organizzazioni criminali.

La mafia ha esteso da tempo i suoi inte-ressi nell'economia “legale”, dove l'accu-mulazione della ricchezza avviene attraver-so relazioni e attività costruite sulla base del coinvolgimento diretto e dei favori scambiati con potentati economici, politici, professionali.

Si è creato così uno spazio dove lecito e illecito finiscono per entrare in commistio-ne. L'epicentro di questa "area grigia", dove si intrecciano gli interessi di mafia ed eco-nomia, è oggi Catania, come ribadito anche dal Presidente di Confindustria Sicilia.

Una città dove, da anni, diversamente che a Palermo o Caltanissetta, l'azione di con-trasto della Procura è stata assolutamente inefficace. Emblematica, da questo punto di vista, è apparsa la gestione dell’inchiesta che ha coinvolto il governatore Lombardo e il fratello Angelo.

Gli inquirenti si sono divisi sui provvedi-menti da assumere in merito all'esito delle indagini sul Presidente della Regione. Il Procuratore D'Agata, nelle prese di posizio-ne pubbliche, ha dato l’impressione di un evidente imbarazzo e fastidio nei confronti dell’inchiesta; in un'intervista rilasciata a Zermo, sul quotidiano di Ciancio (a sua volta indagato in altro procedimento), sem-bra esprimere contrarietà per le considera-zioni espresse da Ivan Lo Bello sul peso dell'imprenditoria mafiosa a Catania.

Infine, una fotografia pubblicata in questi giorni ha riacceso i riflettori sul “caso Catania”, una vicenda giudiziaria nata dalla denunzia di Giambattista Scidà che lanciò l’allarme di contiguità tra criminalità mafiosa e frange della magistratura etnea.

Alla luce di tutti questi fatti e alla vigilia della nomina del nuovo Procuratore della Repubblica, facciamo appello al Csm affin-ché la Procura di Catania abbia finalmente un Procuratore capo assolutamente estraneo ai giochi di Palazzo e all’intreccio delle poco chiare vicende catanesi. Un magistra-to che non subisca le forti interferenze esterne che hanno condizionato da decenni la direzione della Procura catanese.

Giolì Vindigni, Gabriele Centineo, Mimmo Cosentino, Angela Faro, Santa Giunta, Vincenza Venezia, Salvatore Cuccia, Lucia-no Carini, Giuseppe Di Filippo, Enrico Giuffrida, Lillo Venezia, Claudio No-vembre, Massimo Blandini, Marzia Ge-lardi, Maria Concetta Siracusano, Fran-cesco Duro, Margherita Ragusa, Antonella Inserra, Mario Pugliese, Giovanni Caruso, Elena Maiorana, Tuccio Giuffrè, Rosa Spataro, Paolo Parisi, Marcella Giammusso, Giuseppe Pappalardo, Raf-faella Montalto, Giovanni Grasso, Fede-rico Di Fazio, Claudio Gibilisco, Riccardo Orioles, Elio Impellizzeri, Ignazio Grima, Angelo Morales, Pippo Lamartina, Andrea Alba, Matteo Iannitti, Valerio Marletta,

Marcello Failla, Alberto Rotondo, Riccardo Gentile, Barbara Crivelli,Massimo Malerba, Enrico Mira-bella, Maria Lucia Battiato, Mauro Viscu-so, Sebastiano Gulisano, Aldo Toscano, Anna Bonforte, Grazia Loria, Pierpaolo Montalto, Toti Domina, Fabio Gaudioso, Giovanni Puglisi, Titta Prato, Maria Ro-saria Boscotrecase, Lucia Aliffi, Fausta La Monica, Salvatore Pelligra, Anna In-terdonato, Lucia Sardella, Federica Ra-gusa, Alfio Ferrara, Federico Urso, Paolo Castorina, Giusi Viglianisi, Laura Parisi, Gaetano Pace, Luigi Izzo, Alberta Dionisi, Carmelo Urzì, Pina De Gaetani, Giusi Mascali, Marcello Tringali, Daniela Carcò, Giulia D’Angelo, Alessandro Veroux, Ionella Paterniti, Francesco Schillirò, Francesco Fazio, Tony Fede, Antonio Presti, Luigi Savoca, Salvatore D’Antoni, Alessandro Barbera, Vito Fi-chera, Stefano Veneziano, Pinelda Garoz-zo, Francesca Scardino, Irina Cassaro, Carmelo Russo, Franco Barbuto, Maria Luisa Barcellona, Nicola Musumarra, Angela Maria Inferrera, Michele Spataro, Giuseppe Foti Rossitto, Irene Cummaudo, Carla Maria Puglisi, Milena Pizzo, Ada Mollica, Maria Ficara, Rosanna Aiello, Rosamaria Costanzo, Mario Iraci, Giu-seppe Strazzulla, M. C. Pagana, Vincenzo Tedeschi, Nunzio Cinquemani, Francesco Giuffrida, Maria Concetta Tringali, Maria Laura Sultana, Giovanni Repetto, Giusi Santonocito, Marco Sciuto, Tiziana Cosen-tino, Emma Baeri, Renato Scifo, Luca Can-gemi, Elisa Russo, Angela Ciccia, Alfio Fi-chera, Giampiero Gobbi, Domenico Stimo-lo, Piero Cannistraci, Roberto Visalli, Ma-rio Bonica, Claudio Fava, Giancarlo Con-soli, Maria Giovanna Italia, Riccardo Oc-chipinti, Giuseppe Gambera, Orazio Aloisi, Antonio Napoli, Giovanni Maria Consoli, Elsa Monteleone, Francesco Minnella, An-tonia Cosentino, Sigismonda Bertini, Giusi D’Angelo, Lucia Coco, Fabrizio Frixa, Santina Sconza, Felice Rappazzo, Concetto De Luca, Maria Luisa Nocerino, Alessio Leonardi, Renato Camarda, Angelo Borzì, Chiara Arena, Alberto Frosina, Gianfranco Faillaci, Daniela Scalia, Lucia Lorella Lombardo, Pippo Impellizzeri, Giuseppe Malaponte, Antonio Mazzeo, Marco Luppi, Ezio Tancini, Aldo Cirmi, Luca Lecardane, Rocco Ministeri, Gabriele Savoca, Fulvia Privitera, Daniela Trombetta, Vanessa Marchese, Edoardo Boi, Stefano Leonardi, Ivano Luca, Maria Crivelli, Guglielmo Rappoccio, Grazia Rannisi, Elio Camilleri, Rosanna Fiume, Alfio Furnari, Claudia Urzi, Luigi Zaccaro, Daniela Di Dio, Gigi Cascone, Ettore Palazzolo, Nunzio Cosen-tino, Matilde Mangano, Andrea D'Urso, Daniela Pagana, Stefania Zingale, Concet-ta Calcerano, Luana Vita, Maria Scaccia-noce, Costantino Laureanti, Pierangelo Spadaro, Paola Sardella, Luisa Gentile, Antonio Salemi, Antonino Sgroi...

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APPELLIPER LA

GIUSTIZIAA CATANIA

Al Vicepresidente del CSMAlla Commissione Uffici Direttivi

e p.c. Al Presidente della Repubblica

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In questo Stato In questo Stato

Procuradi Saigon/Gennaro conta su Unicost

Roma, 2 giugno - Giovanni Salvi candi-dato in pole position per la Procura di Cata-nia. Salvi rinuncia di fatto a correre per il posto di procuratore aggiunto a Milano e il plenum del Csm rinvia in V commissione l'attribuzione dell'incarico ambrosiano.

Vittorio Borraccetti, Magistratura demo-cratica, annuncia che voterà Giovanni Salvi a Catania.

Mariano Sciacca (Unicost) dichiara che voterà per il compagno di corrente Giusep-pe Gennaro alla guida della procura etnea e lamenta l'esistenza di un accordo per la no-mina di Salvi a Catania di cui avrebbe già riferito l'edizione palermitana di Repubbli-ca.

Insomma, si ridimensiona la candidatura di Italo Ghitti, il gip di Mani Pulite, mentre rientrano in gioco l'ex direttore del Dap e procuratore generale a Catania, Gianni Ti-nebra e l'ex aggiunto a Catania, Giovanni Gennaro.

Gennaro appare in una foto insieme ad un imprenditore prestanome di boss che gli ha costruito la villa dove abita. L'imprenditore è stato poi ucciso dallo stesso clan dei mus-si.

Nonostante le denunce della società civi-le e del presidente emerito del Tribunale per i Minori, Giambattista Scidà, quella foto, nei fatti (ma, speriamo, non di fatto), è considerata "ininfluente" dalla V commis-sione e dal Plenum del Csm.

Salvi potrebbe contare sulla convergenza di altre correnti delle toghe bruciando in volata gli altri concorrenti. Giovanni Salvi, fine intellettuale e giurista, gode dell'ap-prezzamento di molti colleghi che non ap-partengono a Md. La nomina rappresente-rebbe una sanzione sociale per Gennaro e un forte elemento di discontinuità nei crite-ri di nomina che hanno caratterizzato l'asse-gnazione dell'incarico ai vertici della procu-ra etnea negli ultimi trent'anni.

Pino Finocchiaro

Gli emigrantiafricanirivendicanoi loro diritti

Catania, 6 giugno - A Mineo i diritti dei migranti richiedenti asilo vengono sempre più calpestati e per qu esto motivo stanno manifestando. Da stamattina alcune centi-naia di richiedenti asilo, buona parte di ori-gine africana, hanno bloccato la statale Ca-tania-Gela, di fronte al cosiddetto villaggio della “solidarietà”.Motivi della protesta sono i tempi lunghi per l’esame della ri-chiesta d’asilo , la pessima qualità e la scar-sa quantità del cibo.

A nulla sono serviti la manifestazione ed il blocco della Catania-Gela del 10 maggio ed un Consiglio territoriale sull’immigrazione in Prefettura sul “Cara” del villaggio degli aranci, tenutosi il 25/5 (a cui tra l’altro è stata negata la parte-cipazione ad associazioni che da mesi inter-vengono a Mineo): le condizioni di vivibili-tà sono pessime e la commissione per l’esa-me delle richieste d’asilo procede a rallen-tatore (in 3 settimane sono state esaminate solo poche decine di domande).

A monte, la scellerata decisione di depor-tare da altri Cara in Italia centinaia di ri-chiedenti (che così sono costretti a ripartire da zero nell’attesa e nei percorsi d’inseri-mento), di trattenervi immotivatamente quasi 50 minori, di trasferire da Lampedusa centinaia di migranti che dopo settimane ancora non hanno formalizzato la domanda d’asilo; non ci voleva molto ad intuire che il megaCara di Mineo sarebbe diventato un business per dilapidare ingenti risorse pub-bliche e un laboratorio di pratiche segrega-zioniste per ridurre drasticamente i diritti e la libera circolazione dei richiedenti asilo.

Rete Antirazzista Catanese

“Noi emigrantiitaliani e un governo che non ci appartiene”

Noi, italiani residenti in Messico, espri-miamo con fermezza la nostra indignazione per la grave situazione in cui versa il nostro paese: l’Italia è logorata dal decadimento del sistema politico e dai continui conflitti istituzionali che ne compromettono la vita democratica.

La pochezza ideologica, culturale ed eti-ca del governo Berlusconi non può rappre-sentare il nostro essere italiani. Non accet-tiamo la politica di un governo che non sa garantire la dignità sociale ai cittadini, mio-pe e ottuso nel gestire le dinamiche migra-torie e incapace di favorire il dialogo neces-sario tra Europa e Mediterraneo. Un gover-no che mortifica la ricerca e la cultura, investe preziose energie in guerre ingiuste e non affronta il problema del precariato.

Sosteniamo con forza i referendum del 12 e 13 giugno e ci uniamo a quella parte di paese che non accetta più una democrazia simulata, facendo nostro lo stato d’animo delle tante persone che da mesi riempiono le piazze delle città d’Italia.

Anna Maria Satta, Rosalba Piazza, Rossella Bergamaschi, Luisa Montoni, Maria Teresa Trentin, Gabriele Ciapparella, Clara Ferri, Raffaele Cesana, Diego Barboni, Fabrizio Lorusso, Brando Torri, Stefania Zoccatelli, Luisa Rossi, Alessandra Masserotti, Paolo Pagliai, Alessandro Raveggi, Chiara Donà, Andrea Mutolo, Luciano Valentinotti, Bruna Ghidoni, Francesca Gargallo, Sabina Longhitano, Marinella Miano, Diego Lucifreddi, Paola Giovine, Larrier Giovine, Roberto Benini, Claudio Albertani, Donatella Di Benedetto, Armando Volterrani, Maddalena Forcella, Guillermo Almeyra, Federico Ma-strogiovanni, Cinzia Battista, Paola Capon, Laura Lascialfare, Gianni Cannata, Manuela Loi, Raffaella De Antonellis, Marina Piazzi, Nina Caldarella, Manuela Derosas, Carlo Al-meyra, Pablo Moya Rossi, Patrizia Romani, Franco Grasso, Dianora Zagato, Andrea Alì, Isabella Spagnuolo ,Giovanna Serredi, Anna Lucia Coppa, Rossella Bergamaschi, Francesca Caregnato, Marco Persiani, Guido Persiani, Maria Luisa Scuri, Franca Bizzoni, Stefano Milano, Corina Giacomello, Gianfran-co Marano, Alessio Zanier, Eleonora Biasin, Annunziata Rossi, Andrea Cirelli, Andrea Spotti, Alessandro Lanzetta, Matteo Dean, Giovanna Cavasola

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Bavaglio 1/L'Università di Catania

chiude d'autoritàRadio Zammù

Il 28 marzo scorso, dopo esser venuti a conoscenza di un bando per il cambio di gestione di Radio Zammù, abbiamo chiesto chiarimenti ai vertici dell’ateneo per conoscere il futuro di noi studenti.

Abbiamo atteso una risposta che non è mai arrivata. Al posto dei chiarimenti, martedì 17 maggio, abbiamo ricevuto la visita di sette impiegati dell’amministrazione dell’università che hanno controllato le attrezzature tecniche senza però sciogliere i dubbi dello staff di Radio Zammù. Per cercare di avere maggiori informazioni abbiamo chiamato alcune emittenti locali e siamo riusciti così a sapere che il vincitore del bando è il gruppo Rmb che entrerà in carica dal primo giugno. Gli studi dell’emittente saranno trasferiti dall’attuale sede nell’aula 24 dell’ex Monastero dei Benedettini a dei locali dell’università in via Umberto. Tutte queste informazioni non ci sono state comunicate né dall’ateneo né dai nuovi gestori che fino a questo momento ci hanno ignorati. Troviamo senza senso disperdere il patrimonio di competenze che in questi sei anni sono maturate all’interno della radio universitaria, credevamo fosse logico coinvolgere l’attuale staff nel nuovo progetto ma attualmente non è così. In questo momento Radio Zammù, in questa forma e con questi speaker, è destinata a fermare le trasmissioni il 31 maggio.

Gli studenti di Radio Zammù

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Libertà di stampa Libertà di stampa

Bavaglio 2/“I blog sono stampa clandestina”

E addio al sito antimafiadi Carlo Ruta

La condanna in appello per il reato di stampa clandestina del giornalista e blogger Carlo Ruta, a cui va la solidarietà di Ossigeno per l'Informazione, e' un campanello d'allarme per tutti i blogger italiani: gran parte dei loro siti potrebbero essere oscurati e i loro curatori condannati se prevalesse anche in Cassazione l'interpretazione oscurantista della legge sulla stampa data dalla Corte d'Appello di Catania.

Siamo fiduciosi che non finirà cosi'. Ma un paese democratico non si può confidare solo sulla apertura mentale dei giudici di Palazzo della Consulta. Occorre una normativa più moderna e liberale, in linea con la legislazione europea. E' perciò urgente la riforma di questa arcaica legge sulla stampa che risale al 1948 e consente questa ed altre interpretazioni illiberali (in particolare in materia di diffamazione e risarcimento danni). La legge del '48 deve essere cambiata perché consente vari abusi in totale contraddizione con la lettera e lo spirito dell'articolo 21 della Costituzione e mette l'Italia fra i paesi in cui la nor-mativa sulla stampa è più restrittiva.

C'è una contraddizione evidente fra la sentenza di Catania e ciò che ogni giorno ci fa inneggiare al grande potenziale liberatorio di Internet e al vento rinnovatore della ''primavera araba'', ci fa parteggiare per i blogger dei paesi arabi che, proprio pubblicando notiziari liberi, non autorizzati, stanno

contribuendo a rovesciare regimi totali-tari ed autocratici. E' paradossale che in Italia si possa considerare reato ciò che in nome della libertà si ritiene giusto in Libia o in Siria. Di fronte a una così palese distanza fra l'orientamento dell'opinione pubblica quello di alcuni giudici e bene che sia il Parlamento a dire una parola chiara.

Alberto SpampinatoOsssigeno per l’Informazione

SCHEDAUNA SENTENZA “CINESE”CHE MINACCIA TUTTI I BLOG

Al blogger Carlo Ruta di Ragusa è stata inflitta un'ammenda di 150 euro dalla Corte d'Appello di Catania, confermando la condanna del 9 maggio 2008 per “stampa clandestina” del blog Accadeinsicilia che docu-mentava connivenze e tra politica, mondo degli affari e criminalità organizzata. La quasi totalità dei siti web italiani potrebbe dunque essere considerata fuorilegge per il solo fatto di esistere. Secondo la Corte infatti il blog d Ruta doveva essere equiparato ad un giornale quotidiano, e quindi registrato come testata giornalistica al Tribunale. La difesa (avvocato Giuseppe Arnone) ha eccepito che si trattava di strumento di docu-mentazione e non di prodotto gior-nalistico, visto che non veniva nemmeno aggiornato con periodicità.

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