Ucuntu n.82

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280710 www.ucuntu.org - [email protected] z I proprietari di Calabria Ora “dimissionano” il direttore perché fa troppe inchieste su mafia e politica. Al suo posto ne prendono un altro più docile. E chi è? Uno dei giornalisti più “di sinistra” d'Italia, Sansonetti... Antimafia Che Fare: Benny Colasanzio / Lorenzo Baldo/ Graziella Proto Jack Daniel Il ritorno del Ragionier Morizzi Sonia Giardina Impegno sociale e nonviolenza oggi G.B.Scidà - Storia di Catania negli ultimi 30 anni || 28 luglio 2010 || anno III n.82 || www.ucuntu.org || Il traditore

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il numero del 28 luglio 2010

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280710 www.ucuntu.org - [email protected]

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I proprietari di Calabria Ora “dimissionano” il direttore perché fa troppe

inchieste su mafia e politica. Al suo posto ne prendono un altro più docile.

E chi è? Uno dei giornalisti più “di sinistra” d'Italia, Sansonetti...

Antimafia Che Fare: Benny Colasanzio / Lorenzo Baldo/ Graziella Proto

Jack Daniel Il ritorno del Ragionier MorizziSonia Giardina Impegno sociale e nonviolenza oggi

G.B.Scidà - Storia di Catania negli ultimi 30 anni

|| 28 luglio 2010 || anno III n.82 || www.ucuntu.org ||

Il traditore

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Politica Politica

Ma perchè non dovremmofare discorsi “ideologici”?

Penso con angoscia a tutti coloro che hanno perso il lavoro ed hanno una famiglia sulle spalle; penso a chi è in cassa-integrazione, precario, aspirante precario, disoccupato. Ai lavoratori della FIAT che hanno dovuto votare sotto ricatto, come quando i lavoratori nella zona industriale siciliana sono scesi in piazza a difendere il posto di lavoro anche a costo dell'aumento di tumori e malformazioni, perché senza quel lavoro non si può vivere; penso a tutti coloro che in TV dalla mattina alla sera parlano di lavoro e lavoratori senza sapere cosa significhi, né il lavoro né vivere con poco più di mille euro. La crisi, la crisi, la crisi, nazionale, internazionale... bla, bla, bla; sacrifici a destra, tagli a sinistra, sempre sulle spalle delle stesse persone.

La famiglia di uno che guadagna mille-duecento euro al mese, l'unico sacrificio che può fare, è quello di abituarsi a non

mangiare. L'esperimento si potrebbe fare. Si eviterebbero altri debiti. Lo so, "Sono caduta nell'ideologia!" Si, perché se vai un poco oltre il pensiero unico, ti si dice che sei ideologico - usando questo vocabolo come la peggiore delle offese - e tutti ci cascano.

Perché non dovrei fare discorsi ideolo-gici? Se uno mensilmente guadagna ven-timila euro o molto di più e l'altro non ri-esce a sopravvivere e paga tutte le tasse prima che gli si consegni la busta paga, qualche piccola idea politica c'è? Se rispolverassimo l'ideologia (non si fa pec-cato...) ci ricorderemmo di tante altre cose, per esempio di tutte le fasce sociali. In par-ticolare ci si potrebbe soffermare su quelle che si fanno il prestito finanziario per il su-permercato; quelle che rinunciano ad un certo tipo di alimentazione per poter com-prare le medicine...

Credo che chi ci amministra e ci governa, di fronte allo sfacelo economico di questi tempi, pensando a tutte le famiglie che non riescono a sbarcare il lunario dovrebbe avere molta più dignità e senza nemmeno pubblicizzarlo dovrebbe decidere di ridurre il proprio stipendio a quello di un metal-meccanico (non di un precario dei call cen-ter), almeno per sei mesi. Se lo possono permettere senza grossi rischi. Vedo già le facce indignate della casta politica: "si tratta di populismo". No, si tratta di rigore e severità. Di una proposta seria.

E' un richiamo al ministro Tremonti che continua a spremere un limone già spre-muto. E' un invito a tutti a ribellarsi ed or-ganizzarsi in una lotta per la sopravvivenza.

Graziella Protodirettrice di Casablanca

fb casablanca storie dalle città di frontiera

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Sinistra Sinistra

Gano, Jagoe Sansonetti

(Un articolo umile, da uomo delle pulizie).

Gano di Maganza, politico di qualche ri-lievo tempo addietro, aveva le sue ragioni per odiare Orlando, Rinaldo e gli altri pala-dini, che pare che l'abbiano ingiustamente scavalcato in non so che intrallazzo gover-nativo. Perciò, pur deprecando il tradimen-to con cui, alla fine, abbandonò Re Carlo per passare all'infedele, non possiamo fare a meno di riconoscergli qualche attenuante. Forse è stato eccessivo bollarlo come “Ganu 'u traituri”.

E Jago? Povero Jago, innamorato cotto di Desdemona e inoltre giustamente incazzato con quel negraccio di Otello: altro che am-miraglio! a coltivare i campi lo dovevano mettere, quei maledetti senatori veneziani Questo nobile sentimento (che in fondo è lo stesso che il Corriere e quasi tutti i giornali “bianchi” nutrono per Obama) sarebbe sta-to più che compreso dai governanti veneti di ora. Ma allora purtroppo c'erano i dogi e il povero Jago è stato lasciato là a macerar-si con tutta la sua invidia e gelosia. Tradito-re anche lui alla fine, d'accordo: ma davve-ro, onestamente, lo potete condannare?

Tutto questo per dire che siamo uomini di mondo, capiamo le umane debolezze e sia-mo ben lontani da quei furori ideologici che tanto hanno devastato il Novecento. Ma, e Sansonetti?

Piero Sansonetti, giornalista rivoluziona-rio, guida del proletariato ribelle e nemico fierissimo di ogni padronato, è stato tempo fa, come sapete, al centro di una cause cé-lebre nel suo tremendo partito, che era Ri-fondazione (ne dirigeva il giornale).

I dirigenti a un certo punto, ritenendolo non del tutto in linea col partito, ne decise-ro la rimozione. Scoppiò un putiferio terri-bile (causa non ultima della scissione, o meglio dell'esplosione, di quel partito) a quale in qualche modo partecipai anch'io, indignandomi per la libertà violata di San-sonetti, per l'autoritarismo dei suoi capi e

per un sacco di altre belle cose.Sansonetti a questo punto fondò un suo

quotidiano, che ebbe vita brevissima tra-sformandosi prima in un settimanale e poi in un sito, e destò qualche interesse solo per il fatto di essere distribuito in edicola da Mondadori, teoricamente “nemica”. Il gos-sip si occupò di Sansonetti anche per un paio di partecipazioni a Porta a Porta che dai malevoli vennero ritenute eccessiva-mente benevole verso Berlusconi. Ma tutto qui.

Adesso invece la notizia è tragica, e ri-guarda non più i salotti romani, ma l'insan-guinata Calabria, terra dove non si fa gos-sip ma si ammazza.

Riguarda il “dimissionamento” in tronco del direttore e di nove giornalisti del quotidiano Calabria Ora, segnalatosi negli ultimi tempi (v. Roberto Rossi più avanti) per varie inchieste su politici e mafiosi. Cosa non tollerata dai proprietari, Fausto Aquino e Piero Citrigno, il secondo da pochi mesi condannato (il 9 febbraio a Cosenza) per reati legati all'usura.

E chi chiamano, Citrigno e Aquino, a so-stituire il direttore antimafia alla testa del giornale? Chiamano Sansonetti. E cosa fa Sansonetti? Si rifiuta indignato, s'incazza, li sfida a duello alla sciabola per la tremenda offesa? No, accetta docile, con un sorriso. Piero Sansonetti è il nuovo direttore di Ca-labria Ora, al posto di un direttore antima-fioso.

Un quarto di secolo fa, il 18 giugno 1984 Piero Ostellino si installò al Corriere (allora molto vicino alla P2) al posto di un diretto-re antipiduista, Cavallari. Lo sfascio del giornalismo italiano secondo molti inco-minciò da lì, da quell'obbedienza cieca e prona ai voleri di una proprietà quanto meno oscura, che aveva appena cacciato un giornalista perbene.

Ovviamente, Sansonetti proclama ora

(come allora Ostellino) la propria indipen-denza, la professionalità, la più assoluta au-tonomia. Va bene. Di fatto è là, a fare – lau-tamente pagato – quella parte infelice.

* * *Non stiamo parlando di giornalismo, ma

di politica. Piero Ostellino, a quei tempi, era un giornalista liberale e “borghese” che, con la sua pessima azione, mise plastica-mente in luce i limiti morali ed etici di quel giornalismo “liberal”, di quella bor-ghesia.

Ma Sansonetti è un “compagno”, a lungo riconosciuto come tale. Quella che lui mette in luce è la crisi morale ed etica di una sinistra sempre più molle e sbiadita, sempre più lontana. Che oggi, drammatica-mente, nella sua persona scavalca l'antima-fia e il Sud, si schiera con i padroni peggio-ri, tradisce.

Ciascuno deve esprimersi, su questo. Pri-ma di tutto debbono esprimersi i referenti politici – fra cui Vendola – di Sansonetti. Esprimersi in maniera netta e limpida, per esempio così: “Noi del nostro partito non abbiamo più nulla a che fare con quel ma-scalzone di Sansonetti”. E poi tutti gli altri.

* * *E basta così, come temi politici, per oggi.

Ce ne sarebbero di drammatici, la Fiat pri-ma di tutto, col suo attacco allo Stato – agli operai, all'Italia, alla Costituzione vigente, alle migliaia di vite bruciate a Mirafiori – non è molto inferiore, per gravità e insolen-za, a quello dei brigatisti. Meriterebbe una risposta non inferiore, in termini di unità e determinazione, a quella data a costoro.

Nazionalizzare d'autorità, ai sensi dell'ar-ticolo 41 della Costituzione: non c'è altra ri-sposta possibile – seria – a questo attacco. Ci sono forze politiche disposte a tanto? O tutto dev'essere sempre e solo polvere di di-scorsi, “por ablandarlos”, demagogia?

Riccardo Orioles

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L'incredibile storia di un giornalista “di sinistra” in CalabriaL'incredibile storia di un giornalista “di sinistra” in Calabria

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Promemoria Promemoria

Contributoalla storia di Catania

nell'ultimo trentennio

Ammantati, Catania,di luce e di giustizia!

Giovanni Paolo II

Capitolo ILa Pretura di via Crispi

Alla fine degli anni ’70, la Giustizia di Catania continua ad essere disattenta ai rea-ti contro la P.A. Come un giudice del Tribu-nale per i Minori oppone al Procuratore Ge-nerale, durante il dibattito di apertura del-l’anno giudiziario 1981, proprio quei reati, che i registri dicono di diminuita frequenza, dilagano sfrontati: sono le denunce a calare di numero, per isfiducia dei cittadini nella repressione. Le cronache di quella giornata ignorano il suo lungo ed articolato inter-vento, nella grande sala strapiena.

Speranze di rinnovamento vengono tutta-via nutrite, e tutte si concentrano sopra un gruppo di giovani magistrati – homines novi, per estrazione, censo, mentalità – che organizzati in corrente, operano nella Pretu-ra del capoluogo; accanto al più in vista, Gennaro, c’è, con altri, D’Angelo.

Nel corso dell’81, il CSM affida a quel tale giudice, a maggioranza, la direzione del TpM, balcone sulla città e le sue mise-rie, e tribuna dalla quale poterne fare de-nuncia nell’interesse dell’infanzia e dell’a-

dolescenza. Con la sua prima relazione al Procuratore Generale, largamente diffusa, Scidà solleva la questione degli insedia-menti derelitti, e dà l’allarme per la con-giuntura, in fatto di criminalità, sia minorile che adulta: quell’anno è “un anno svolta” che può preludere ad involuzioni catastrofi-che. Non c’è tempo da perdere: i mesi con-tano come anni. Ma è proprio in quello stesso anno che uno dei grandi imprenditori catanesi, da tempo investitisi di una sorta di signoria sull’organismo urbano, stipula con la Giunta municipale di Catania, dalla com-posizione inquietante, un audace contratto, per la edificazione, in via Crispi, di una nuova sede per la Pretura. L’opera è inutil-mente avversata da Giuseppe D’Urso (di-rettore del Dipartimento di Urbanistica del-l’Università) da Adriana Laudani (storico ma isolato personaggio del PC catanese e siciliano) da Raffaele Lombardo (in Com-missione edilizia ed in Consiglio Comuna-le), da un gruppo di giovani architetti e da giornalisti. In agosto il Prefetto di Palermo, Dalla Chiesa, insediatosi settanta giorni pri-ma, affida a Giorgio Bocca, per La Repub-blica, un’esplosiva intervista, che appare il 10 di quel mese: a Catania c’è mafia; ed è col suo consenso che gli imprenditori cata-nesi prendono appalti, anche a Palermo. Dalla Chiesa viene ucciso 23 giorni dopo,

dalla mafia, in quella città.Per Lombardo, il progetto Pretura offen-

de l’ambiente con l’aspetto coloniale della facciata; lascia perplessi per l’ammontare della spesa; è stato irregolarmente finanzia-to; sfonda i limiti volumetrici di comparto previsti; ed implica l’abbattimento di edifi-ci Liberty: allarmante è soprattutto che la Sovrintendenza ai beni culturali, preannun-ciatrice di vincoli a tutela, quando la pro-prietà di quegli stabili era di terzi, non ne abbia imposto nessuno dopo che questa è stata acquisita dall’imprenditore.

Esposti e denunce giungono a tutti gli Uffici che avrebbero ragione di compiere accertamenti. E tutti gli occhi sono puntati, speranzosi, sui Pretori, specificatamente su Gennaro: non è possibile – scrive un gior-nalista – che proprio lui resti inattivo. Ma nessuno si muove. L’opera è portata a com-pimento con rapidità record; e l’inaugura-zione, solenne, ha luogo un giorno di otto-bre. Quando il Presidente del TM arriva sul luogo, con due colleghi a conoscenza del suo intento di chiedere che all’appaltatore non sia consentito di prendere la parola, il Cav. del Lavoro Finocchiaro ha già pronun-ciato un discorso di esaltazione dei meriti dell’imprenditoria catanese: insolente repli-ca, da quel nuovo tempio della Giustizia, al caduto servitore della legalità.

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Il giudice Giambattista Scidà, per molti anni presidente del Tribunale per iIl giudice Giambattista Scidà, per molti anni presidente del Tribunale per i Minori, è stato dopo Giuseppe Fava il principale protagonista della lotta aiMinori, è stato dopo Giuseppe Fava il principale protagonista della lotta ai poteri mafiosi nella città di Catania. Fin dagli anni '80 le sue denunce cirpoteri mafiosi nella città di Catania. Fin dagli anni '80 le sue denunce cir--costanziate e precise sono state l'incubo di imprenditori collusi e politicicostanziate e precise sono state l'incubo di imprenditori collusi e politici

corrotti. E di non poche Eccellenze del Palazzo di Giustizia...corrotti. E di non poche Eccellenze del Palazzo di Giustizia...

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Promemoria Promemoria

Capitolo IIEx pretori alla Procuradella Repubblica

I primi a passare alla Procura furono, cre-do, Gennaro e D’Angelo. Il primo ad essere eletto al CSM fu Papa (1976). Rinuncio ad esporre qui gli avvenimenti che riempirono gli anni successivi all’ ’82 (il lettore ne tro-verà l’elenco in una interpagina non nume-rata) per seguire l’opera dei due Sostituti Procuratore.

Nel nuovo Ufficio essi ebbero a collega la dottoressa Anna Finocchiaro, sinchè non eletta (1987) alla Camera dei Deputati. Ne-gli ultimi tempi del suo servizio di magi-strato essa aveva avuto in cura atti riguar-danti una locazione passiva contratta dal-l’ospedale Garibaldi (USL32): quella che ancora nel 2006 è stata ricordata su Micro-Mega (Travaglio e Giustolisi).

Sullo scorcio del decennio la Procura at-tese ad affari importanti: un processo di mafia, attorno al quale si fece presto silen-zio, e che a nessuno piace oggi evocare; e un processo per un grande appalto--concorso, per il centro fieristico Le Cimi-niere, lungo il Viale Africa.

Giambattista Scidàscida.wordpress.com

Appendice AViale Africa

Per procurarsi l’aggiudicazione di quel-l’appalto (spesa prevista circa 130 miliardi di lire) un imprenditore catanese da tempo molto noto aveva distribuito ingenti somme a burocrati ad amministratori elettivi ed a politici, inducendone molti a commettere, per vantaggio di lui, aperti abusi. La natura di questi ultimi, e il loro numero, rivelava-no in maniera chiara e che si può dire sfrontata, la certezza del beneficiario di non correre rischi, per quanto vistosa fossa l’or-ma che quegli illeciti comportamenti stam-pavano sugli atti di pubblici uffici.

Non si ingannava. Le cose andarono in realtà come egli si era mostrato certo che sarebbero andate. La Procura non lo perse-guì: né quando perseguì per abuso generi-co, a vantaggio di lui, una dozzina di pub-blici ufficiali, né successivamente alle rive-lazioni che ad un certo punto egli fece, di somme date: ma date, asserì, solo perchè costrettovi, solo per non essere avversato, solo per poter lavorare.

L’Ufficio fece suo quell’insostenibile co-strutto, e mentre atterrò i percettori dei pa-gamenti sotto l’accusa di concussione, in-nalzò lui alla condizione di vittima, con l’effetto di attribuirgli titolo a riprendersi,

in barba all’Erario, le somme sborsate per corrompere, che andavano soggette a confi-sca.L’enormità della conseguenza, pericolosa a molti, sul piano della responsabilità contabile, gli ispirò, pochi giorni dopo i pri-mi arresti per concussione (fine maggio ’93), una lettera al Procuratore della Re-pubblica: non voleva quei danari, né risar-cimento del danno; era pronto a collaborare perchè le somme sborsate potessero essere avviate dalla Procura ad altre destinazioni.

Sarebbe un voler perdere tempo il soffer-marsi sopra una tale rinuncia, che nessuna vera vittima di concussione farebbe mai.

Allo scandalo amministrativo si era so-vrapposto uno scandalo giudiziario, reso più alto, per molti catanesi, dalla identità dell’imprenditore e dalla provenienza del magistrato assegnatario dell’affare.

L’imprenditore era Finocchiaro: il Finoc-chiaro della Pretura di Via Crispi: invulne-rato allora, invulnerabile dopo di allora; e il magistrato era uno di quei pretori, passato a fare da Sostituto Procuratore della Repub-blica; era il dottor D’Angelo: lui solo, sino a quando non ebbe preso a collaborare con lui un più giovane collega.

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Promemoria Promemoria

Il giudice Giambattista Scidà.

Che cosa impediva alla magistratura di sfidare quell’imprenditore? I fatti di via Crispi tornarono sulla bocca di tutti e ripre-sero a circolare le vociferazioni di quel tempo non ancora lontano.

Come scontato, Tribunale e Corte d’Ap-pello smentirono la Procura della Repubbli-ca (si trattava di corruzione aggravata e non di concussione). Ma l’imprenditore era morto già durante il dibattimento di primo grado, e a morte finirono per venire anche i reati, per prescrizione.

La vicenda era ancora in corso quando il Procuratore della Repubblica, Alicata, ot-tenne di andare a presiedere la Corte d’Ap-pello, e quando D’Angelo venne eletto al CSM (1998).

Il tema Pretura di via Crispi-Centro Fieri-stico di viale Africa fu tabuizzato. Si vide sino a che punto quando qualcuno che nel ’96 aveva esposto i fatti al CSM per invo-care in nomina di un Procuratore estraneo all’ambiente, ardì tornare (1999), sull’argo-mento proibito, dolendosi di non essere sta-to convocato.

“CASO CATANIA”LA CRONOLOGIA

1996 Alicata, che come Procuratore della Repubblica ha seguito il processo di viale Africa, gestito da D’Angelo, passa ad in-dossare toga di ermellino, da Presidente capo della Corte d’Appello di Catania. Fra poco, D’Angelo sarà premiato dalla corrente con l’elezione al CSM, per il quadriennio ’98 – 2002.Intanto il Consiglio riceve da Catania un motivato appello, per la nomina di un suc-cessore di Alicata estraneo all’ambiente: quanto ciò sia necessario è dimostrato proprio dall’affare del centro fieristico, e dall’antecedente della nuova Pretura.In CSM siede dal ’94 Gennaro; l’autore dello scritto non viene convocato, sebbene si trovi a capo di un Ufficio Giudiziario; e mentre la nomina cade sul meno estraneo degli aspiranti (il Procuratore Aggiunto, tale già da dieci anni) minacciosi annunci di ritorsione gli giungono per coperte vie.1998 Sul finire di quella consiliatura il Gennaro, che ha già sistemato Catania, passa a cercare di tutelarla dal lato della Procura Repubblica di Messina, che è competente, ex articolo 11 cpp, per tutti gli affari riguardanti magistrati in servizio nel distretto etneo. Egli vuole che a capo di quell’Ufficio sia posto un veterano del-la procura catanese: il quale indaghereb-be, all’occorrenza, su se stesso o sui pro-pri compagni i lavoro. La manovra falli-sce a causa di tempestive osservazioni cri-tiche dello stesso ancora impunito, teme-rario autore del primo appello.1999 Egli torna ora sul tema viale Afri-ca: perchè non lo hanno voluto sentire?

Perchè non lo hanno sentito a proposito di altro affare (inconciliabili deposizioni testimoniali di lui e di altro magistrato, ugualmente in servizio a Catania, all’u-dienza 09/02/1992 del Tribunale di Roma sez.VII, in processo Fava)? Ma ora, nel ’99, del Consiglio fa parte lo stesso D’An-gelo, in persona. Sulla testa dell’incauto Presidente del TM si scatena una procella.La I Commissione viene persuasa a so-spenderne la convocazione e a perseguirlo per incompatibilità con la funzione (è un pessimo capo dell’Ufficio) e con l’am-biente (non ha credibilità né prestigio).2000 La proposta di trasferimento è del 10 novembre; il 21 (l’atto non è stato an-cora notificato) i proponenti le si gettano sopra, ne arrestano il cammino verso il plenum, la ridomandano indietro, con un pretesto senza gambe. La rivolta della coscienza pubblica è stata immediata e unanime: a Roma (in Commissione Anti-mafia); presso i Giudici Minorili di tutta Italia (giusto in quei giorni riuniti in con-gresso); a Catania (assemblee straripanti; migliaia di firme di protesta; pioggia di comunicati); nell’isola.Un’ispezione ministeriale, voluta dai proponenti, porta a compimento il disastro: non c’è uno solo dei contestati addebiti che non risulti privo di fondamento.2000 La valanga non si ferma. La Com-missione Antimafia convoca l’interessato per il 7 dicembre. La situazione di Catania – egli dichiara – è tremenda.Un Procura-tore Aggiunto ha comprato casa, mentre era Sostituto Procuratore, a S.Giovanni la Punta, da un mafioso, direttamente o per interposta persona; il mafioso (Rizzo Car-melo) è poi morto da tale, per mano di al-tri mafiosi.

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Libri Libri

In libreriaLuigi PolitanoPippo Fava -Lo spirito di un giornaleEdizioniRound Robin

Catania 1980. Nella Milano del sud il clan di Nitto Santa-paola domina, in una terra meravigliosa e maledetta, una città in cui coesistono cosa nostra e istituzioni in un gioco di potere fatto di morti ammazzati, grandi opere, cor-ruzione e fiumi di denaro.

A Catania vive e lavora un giornalista, Giuseppe Fava, che racconta la verità senza tralasciare nessun particolare. Amori, morte, disperazione e bellezza nelle parole di “Pippo” che diventa il pericolo da abbattere a tutti i costi.

Dalla pittura, ai racconti, alle opere teatrali tutto di Pippo Fava è pieno del-l'amore per la sua terra. Ed è proprio dopo un anno di pubblicazione de I Si-ciliani - un mensile di denuncia che farà storia nella lotta per la libertà di informazione - che il giornalista verrà ucciso con cinque proiettili sparati a sangue freddo da spietati killer che il 5 gennaio del 1984 decisero di giustizia-re colui che non sarebbero mai riusciti a far tacere.

Il fumetto narra l'esperienza di un uomo che affronta a viso aperto, e con la sola forza delle parole, un sistema che nessuno ebbe il coraggio di denun-ciare.Nel 1981 Pippo Fava scriveva: “A coloro che stavano intanati, senza il coraggio di impedire la sopraffazione e la violenza, qualcuno disse: 'Il giorno in cui toccherà a voi non riuscirete più a fuggire, né la vostra voce sarà così alta che qualcuno possa venire a salvarvi!'”

ROUND ROBINLa Round Robin

nasce nell'autunno del 2004dall'idea di giovani studenti

universitari, con l'ideadi costituire un nuovo

soggetto editorialeindipendente in grado d

entrare nel mondodell'informazione

con un giornale on line– rivistonline.com –

e con la pubblicazionidi romanzi e saggi

di giovani promessedella letteratura

italiana e straniera.Costituitasi come società

editrice nel maggioos 2005,vanta la produzione di un catalogo con titoli che ri-

scuotono un discreto successo nelle librerie.Oltre alla produzione di

romanzi e saggi, nelle collane “Parole inviaggio”,

“Fuori rotta”, “Fari”,“Corsari”, la casa

editrice continua aproporre ai suoi lettoritemi di stretta attualità

inaugurando lapubblicazione di una

serie di Graphic novel,certi dell'importanza

di sperimentarenuovi linguaggi.Fumetti dedicati

agli eroi dell'antimafiaprendono vita nellacollana “Libeccio”,in collaborazione

con l'associazione“DaSud onlus”.

|| 28 luglio 2010 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||

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Dibattito nell'antimafia/1 Dibattito nell'antimafia/1

“La nostra rivoluzionecon la forza dell'umiltà”

Palermo. Violenza intrisa nelle mura e nelle strade. Vita e morte in eterna contrapposizione. Città di rinascita, di resistenza e di rivoluzione. Culturale e spirituale.

Le giornate del 18° anniversario della strage di via d'Amelio sono terminate. Un piccolo “esercito” di ragazzi e ragazze si appresta a rientrare nella propria lotta quo-tidiana. Molto spesso di sopravvivenza.

Un “esercito” formato da tanti piccoli “Davide” ha osato sfidare “Golia” nella sua tana. Ma questa volta il gigante filisteo che terrorizzava gli ebrei sfidandoli a duello ha molte più facce.

“Davide” si fa scudo con un'agenda rossa, “Golia” lo osserva vitreo dietro i vetri scuri di un'auto blu. O dietro il sorriso beffardo di qualche picciotto desi-deroso di fare carriera. Nel mezzo del gua-do l'ombra del popolino cinicamente indif-ferente o rassegnato.

Il grido di Salvatore Borsellino echeggia sul cammino verso il Castello Utveggio. “Davide” è dietro di lui. Lo sguardo di Sal-vatore si perde all'orizzonte. Sa. E' consa-pevole del tempo che gli resta. La sua “mi-lizia” aspetta. Lo osserva e da lui aspetta un cenno.

Alla richiesta di verità incarnata dal fratello di Paolo Borsellino molti di questo popolo delle agende rosse rispondono con un nuovo senso di responsabilità. Una nuova forma di lotta alla mafia passa anche

attraverso di loro.Molti di essi hanno grandi potenzialità.

Faranno la differenza. Lo percepisci dalla loro serietà. Dal loro modo di affrontare quella che alcuni sentono come una “cau-sa” di vita. Una dedizione scevra di eccen-tricità o smania di protagonismo.

Ragazzi dalla ferrea volontà di capire come stanno le cose. Ansiosi di comprendere giorno dopo giorno quel “gioco grande” dove il bianco e il nero si fondono sempre di più in una striscia grigia. Desiderosi di sapere chi c'era prima di loro e chi è rimasto. Delle primavere palermitane, dei coordinamenti antimafia e delle catene umane poco sanno.

Ma nei loro occhi ritrovi quell'entusia-smo e quella passione civile troppo spesso scomparsi dai volti di alcuni “vecchi” del-l'antimafia sopraffatti dalle divisioni o dalle competizioni, o semplicemente eclissati. La posta in gioco è molto alta. Il momento sto-rico che stiamo vivendo è delicatissimo.

La presenza di un'opinione pubblica co-sciente può contribuire enormemente al raggiungimento della verità. Di contro la politica continuerà a sferrare attacchi vio-lentissimi nei confronti di quella magistra-tura che vuole fare luce sui buchi neri del nostro Paese. E quella stessa politica tente-rà ancora una volta di insinuarsi nelle pie-ghe di questi nuovi movimenti per svuotarli dall'interno rendendoli così inoffensivi.

A loro, ai tanti “Davide” dall'agenda ros-sa incontrati in questi giorni, l'appello a mantenersi saldi con l'obiettivo da raggiun-gere bene in testa.

Con la forza dell'umiltà e della perseveranza si potrà realmente fare quella “rivoluzione culturale” di cui Palermo, la Sicilia, l'Italia intera necessitano come dell'ossigeno.

Solamente unendo le forze con chi è rimasto sul campo a combattere, anche se diverso da noi, avremo una possibilità di vittoria. “Golia” scalpita, sente il terreno sotto i piedi diventare friabile, ma la guerra contro Cosa Nostra è tutt'altro che vinta.

Lorenzo Baldo

|| 28 luglio 2010 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||

Lorenzo Baldo, redattore di punta di Antimafia Duemila, da dieci anni segue sia i processi diLorenzo Baldo, redattore di punta di Antimafia Duemila, da dieci anni segue sia i processi di mafia che le vicende dei movimenti antimafiosi. Gli abbiamo chiesto un parere sulla situazionemafia che le vicende dei movimenti antimafiosi. Gli abbiamo chiesto un parere sulla situazione

attuale dei movimenti e sui problemi che li attraversano oraattuale dei movimenti e sui problemi che li attraversano ora

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Dibattito nell'antimafia/2 Dibattito nell'antimafia/2

“Noi militanti semplicici dobbiamo unire”

La diagnosi è spietata e non lascia molte speranze; non so quanto tempo gli rimanga da vivere. Certo se non si fa qualcosa il movimento o i movimenti antimafia hanno i giorni contati. “Un mese, un anno, chi lo sa”, dice la suora al capezzale col rosario in mano. Un organismo eccellente, composto da persone di altissimo livello, lacerato sempre dallo stesso virus, dallo stesso male oscuro che ormai ciclicamente affossa quanto di buono negli anni si è costruito.

La nostra situazione è tra le più parados-sali: a fronte di una mafia unica e compatta, della camorra che si allea con la ‘ndranghe-ta che a sua volta stringe legami coi narcos colombiani, c'è un'antimafia spaccata, fra-zionata e lacerata fino in fondo, senza più nemmeno la voglia di provare a ricucirsi. Una tendenza all’autodissoluzione.

Perchè questo? E’ un interrogativo seco-lare che certo non può avere una risposta assoluta, in particolare da parte di un gio-vanotto che poi è parte in causa. Qualche riflessione però si può ancora fare.

Quei due, leader di quelle due associazio-ni, non si possono vedere, come si dice in Sicilia. Perchè una volta ad una conferenza lui non lo ha invitato. E allora nemmeno l’altro lo invita alla tavola rotonda sulla mafia dal titolo, per esempio, “unità nel-l’antimafia”. Tutti e due però non sopporta-no quell’altra, perchè una volta ha stretto la mano a quel politico; l’antimafia non deve guardare in faccia a nessuno, e nemmeno in mano. Ad accomunare i nostri leader an-timafia è il cattivo sangue che scorre verso quell’altro dell’associazione contro il piz-zo, perchè una volta hanno detto che le al-tre associazioni fanno poco, e allora noi ora gliela facciamo vedere.

Mancanza di dialogo, caratteri difficili, orgoglio eccessivo e incapacità di guardare oltre il proprio orto, seppur ben curato e in fioritura. Difficoltà a percepire la mafia come il problema comune in assoluto, piut-tosto che qualcosa ormai relegato in secon-do piano a favore di polemiche politiche o

peggio ancora personali. Siamo qui tutti per lo stesso motivo, no? E se per caso qualcu-no delle seconde file alza la mano e sugge-risce che siamo fuori strada, che le critiche possono migliorare il tutto e il fine, beh, molto probabilmente verrà preso e portato di fronte al tribunale dell'unità, che ne de-creterà l'esilio per alto tradimento.

Io credo di averle tutte queste pecche, tanto per cominciare. Solo qualche giorno fa, all’anniversario di Via D’Amelio, ho ca-pito quanto possa essere devastante tutto ciò; l'ho capito stando nelle retrovie, co-gliendo umori e sguardi. Sto lavorando, in-nanzitutto su me stesso, per tornare sulla buona strada. Una strada che se tenuta bene sarebbe un’autostrada, una rampa di lancio che tornerebbe a far paura ai quattro quara-quaquà rimasti in Cosa nostra tutelati da al-tri quattro quaraqualà che siedono nelle istituzioni e che lentamente vengono denu-dati oggi dalla magistratura.

E invece no. Abbiamo le antimafie, le an-tipatie, le incomprensioni. E mai che qual-cosa scappi, per carità. In questo la memo-ria ci assiste. Provate. Chiedete al presiden-te di questa associazione perchè non orga-nizzano più manifestazioni, conferenze e convegni assieme a quell’altra: “perchè due anni tre mesi e un giorno e mezzo fa all’an-

niversario di un cristo ucciso dalla mafia lui mi ha guardato di tre quarti e non mi ha salutato abbastanza”.

Ovvio, qui voliamo bassi, siamo banali e stereotipizzati. Un motivo per avercela con noi, visto quanto basta poco.

Una possibile soluzione, però, la voglio suggerire: i militanti semplici, i soldati sen-za medaglie, quelli dall’altra parte del tavo-lo dei relatori una cosa la possono fare. Si possono unire, sul web magari, e chiedere che una volta per tutte la smettessero gli opinion leader, i capi popolo, i portavoce, di perdere tempo a starsi sulle palle l’un l’altro, che poi è anche un peso e una fatica oggettiva. E costringerli ad incontrarsi, agli stati generali dell’antimafia. Un grande in-contro a cui invitare ogni associazione, gruppo o movimento che condivide il fine di schiacciare mafia e mafiosi. E poi obbli-garli a promettere solennemente che da quel momento in poi sarebbe iniziata un’al-tra epoca, fatta di dialogo costante e di mo-tivazioni univoche. L’Antimafia 2.0.

Forse sono andato troppo oltre. L’ottimi-smo crea questi effetti perversi. Ti fa pensa-re che davvero tutto ciò sia possibile. Che nessuno se la sentirebbe di sottrarsi a que-sto obbligo morale.

Rimetto via sogni e speranze, e torno a fare il mio lavoro di testimonianza civile nelle scuole, nelle associazioni. Torno a raccontare, da solo e con il dolore di una famiglia, una piccola storia di uomini qua-lunque, come tanti in Sicilia, uccisi per quella testa tenuta eccessivamente alta.

E finisco un articolo scritto per un caro amico come mai si dovrebbe fare: una soluzione, riflettendoci, purtroppo non ce l’ho, e l’ottimismo l’ho esaurito poco sopra. Forse è ora che i “leader” stiano fermi: lasciamo spazio a quelli che stanno davanti al tavolo dei relatori, a quelli in se-conda fila, che forse qualcosa da dire ce l’hanno anche loro, che forse il diritto all'u-nità ce l'hanno anche loro.

Benny Calasanzio

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Benny Colasanzio, uno degli organizzatori delle “Agende Rosse”, è un tipico esponente dellaBenny Colasanzio, uno degli organizzatori delle “Agende Rosse”, è un tipico esponente della gegenerazione di mezzo del movimento antimafia. Anche a lui abbiamo chiesto un'opinione suinerazione di mezzo del movimento antimafia. Anche a lui abbiamo chiesto un'opinione sui

lilimiti e problemi attuali del movimento e, naturalmente, sul “che fare”miti e problemi attuali del movimento e, naturalmente, sul “che fare”

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Giornalisti coraggiosi, editori vili Giornalisti coraggiosi, editori vili

Calabria Ora,Calabria mai

In basso: il direttore di Calabria Ora, Paolo Pollichieni.

«Io, con i carabinieri e polizia sotto casa, metto in strada la mia famiglia». E’ appena finita l’assemblea di redazione a Calabria Ora. Pietro Comito ha le dimissionsi nel cassetto, ci dice, e gli anno intensificato la sorveglianza. E’ sotto tutela perché lo scorso cinque luglio un picciotto per telefono gli ha detto che per lui è già pronto il posto al cimitero. Aveva pubblicato un pezzo sull’avanzata delle nuove leve del clan Soriano di Vibo Valentia.

Agostino Pantano, responsabile della re-dazione di Gioia Tauro, se n’è già andato. Lui di minacce ne ha ricevute due. L’Ora della Piana, il dorso che realizza assieme a pochi collaboratori, un paio di anni fa è fi-nito nelle conversazioni intercettate in car-cere tra il boss Pino Piromalli e il figlio An-tonio: «Calabria Ora continua a rompere i coglioni», diceva il patriarca al 41bis. Ago-stino nel mirino e ora senza più un lavoro.

Ha seguito il direttore Paolo Pollichieni che il 20 luglio ha salutato i lettori con un editoriale che lascia poco spazio alla fanta-sia: «Sapevo che raccontando le inchieste giudiziarie delle ultime settimane, che scri-vendo dei rapporti tra la mafia e la politica, raccontando anche i retroscena più inquie-tanti di quella zona grigia che è il vero ca-pitale sociale della ‘ndrangheta, avremmo pagato dei prezzi altissimi.» Lo stesso gior-

no sono andati via il caporedattore centrale Barbara Talarico, i vicecaporedattori Fran-cesco Graziadio e Stefano Vetere, il capo-servizio di Cosenza Pablo Petrasso, quello della Cultura Eugenio Furia e il responsabi-le delle Cronache politiche Antonio Ric-chio. Dopo alcuni giorni anche Gaetano Mazzuca, caposervizio di Catanzaro.Tutti si sono dimessi. Otto giornalisti, l’ossatura del quotidiano.

«Un segnale sicuramente negativo – ha dichiarato il procuratore nazionale antima-fia aggiunto Vincenzo Macrì – che dimo-stra la forza di intimidazione e di condizio-namento che la ‘ndrangheta sa esercitare non solo direttamente (come dimostrano le numerose minacce dirette ai redattori del giornale ed allo stesso direttore), ma anche attraverso i suoi esponenti e referenti politi-ci e istituzionali». Ma cosa è accaduto?

E accaduto che il direttore ha lasciato nel giorno in cui, in prima pagina, il titolo stril-la: «E Peppe incontrò il mafioso. A Milano Scopelliti vide più volte Martino, “amba-sciatore” del clan De Stefano». Giuseppe Scopelliti, il governatore della Regione eletto lo scorso marzo.

Pollichieni lascia mentre il giornale ha picchi di vendita di quindicimila copie (quando lo prese, tre anni fa, non arrivava a quattromila). Lascia al culmine di una cam-pagna di stampa che da alcune settimane scava incessantemente nelle pieghe del po-tere politico mafioso calabrese. In un mo-mento in cui sono sul piatto due inchieste della magistratura, Meta e Il Crimine, cha hanno avuto un impatto devastante sul tes-suto criminale di Reggio città. E Scopelliti a Reggio città è stato sindaco per sette anni, rieletto nel 2007 col 70% dei voti.

E così si scopre, e si pubblica, che il 15

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Pollichieni, Comito, Pantano, Talarico, Graziadio, Vetere, Petrasso, Furia, Mazzuca ePollichieni, Comito, Pantano, Talarico, Graziadio, Vetere, Petrasso, Furia, Mazzuca e

RicRicchio: ecco dieci calabresi coraggiosi che amano la loro terra e l'hanno servita conchio: ecco dieci calabresi coraggiosi che amano la loro terra e l'hanno servita con

coragcoraggio e onore dalle pagine del loro giornale. Fausto Aquino e Piero Citrigno, invece,gio e onore dalle pagine del loro giornale. Fausto Aquino e Piero Citrigno, invece,

sono due calabresi poveracci (d'animo, non di soldi: sono infatti i padroni del giornale)sono due calabresi poveracci (d'animo, non di soldi: sono infatti i padroni del giornale)

che non hanno avuto le palle di sostenere i loro giornalisti e li hanno fatti andar via.che non hanno avuto le palle di sostenere i loro giornalisti e li hanno fatti andar via.

AlAltri dieci cronisti in mezzo alla strada, poveri, abbandonati e minacciati dai mafiositri dieci cronisti in mezzo alla strada, poveri, abbandonati e minacciati dai mafiosi

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Giornalisti coraggiosi, editori vili Giornalisti coraggiosi, editori vili

ottobre del 2006 l’attuale governatore par-tecipò, assieme a ‘ndranghetisti del calibro di Cosimo Alvaro, alle nozze d’oro dei ge-nitori di compare Mimmo Barbieri, impren-ditore arricchitosi con i pubblici appalti, ar-restato per mafia lo scorso 23 giugno.

E così si scopre, e si pubblica, che l’allo-ra sindaco Scopelliti avrebbe ripetutamente incontrato a Milano Paolo Martino, «cugi-no dei De Stefano e a loro legatissimo al punto di essere arrestato e condannato per associazione mafiosa, traffico di armi e ri-ciclaggio». «Al centro delle indagini – pub-blica il giorno del terremoto, Calabria Ora – il vorticoso giro di appalti che alcune im-prese reggine vicino ai clan avrebbero otte-nuto in Lombardia con l’intermediazione di grossi esponenti politici lombardi del cen-trodestra attivati dai loro colleghi reggini.»

«La cosa incredibile – ci dice l’ex diretto-re – è la fretta con cui si è sviluppata questa rottura. Da settimane ormai seguivamo questo filone senza ricevere nessun tipo di avvertimento, né smentite, né minacce di querele. Gli editori sapevano che l’altro ieri saremmo usciti con questa notizia e hanno cercato il pretesto. Uno di loro, Pietro Citri-gno (condannato in secondo grado per usu-ra, ndr), mi ha chiesto di avere rapporti più frequenti con la redazione. Un’ingerenza che non potevo accettare e per questo mi

sono dimesso.» Un pretesto, dice Pollichie-ni, «il vero motivo è scritto nero su bianco nel mio editoriale». «Sapevamo – c’è scritto – che il potere avrebbe esercitato tutte le pressioni possibili per chiedere la testa del direttore di questo giornale, per normalizzare, per avere un giornale meno impiccione che anche quando parla di mafia non lo fa riempiendo le pagine della mafia folk, quella di Osso, Matrosso e Carcagnosso.»

Quell’editoriale (e il pezzo su Scopelliti) in edicola lo hanno trovato in pochi. Cala-bria Ora il 20 luglio è arrivata puntuale solo a Cosenza, a Reggio dopo le undici, in tutte le altre province non è mai arrivato. Guasti alle rotative, hanno dichiarato gli editori. Il giorno dopo era firmato da uno di loro, Fausto Aquino. In pagina, i fondi europei che Scopelliti è riuscito a portare in Cala-bria, dell’inchiesta sulle frequentazioni coi De Stefano nemmeno l’ombra. Così come nei giorni successivi. Ai calabresi non è dato sapere.

Ai redattori rimasti, Aquino ha detto che sarà assicurata la loro autonomia, che la li-nea sarà garantita dal nuovo direttore, Piero Sansonetti, ex direttore di Liberazione e de L’Altro, e che forse avrà messo piede in Calabria giusto da turista.

Calabria Ora aggressiva, colorata, rompi-

coglioni, ha di fatto vivacizzato nei suoi quattro anni di vita il panorama dell’infor-mazione calabrese. Un corpo redazionale composto per lo più da giovani, mediamen-te trentenni. La necessità di imporsi e quin-di di crescere in un mercato pubblicitario asfittico, in un regione dove il tasso di let-tura è il più basso d’Italia.

In queste condizioni, il giornale, negli ul-timi tre anni ha raddoppiato le copie. E lo ha fatto dando notizie. Non poteva fare al-trimenti. Puntando sulla giudiziaria, stril-lando a volte, ma andando a fondo, vivise-zionando il territorio, raccontandolo in tutte le sue contraddizioni. Per farlo ha pagato un prezzo altissimo in termini di serenità dei suoi redattori.

In questi tre anni, una decina i giornalisti, come Pietro Comito e Agostino Pantano, sono stati pesantemente minacciati dalla ‘ndrangheta. Alcuni di loro oggi vivono drammi personali e professionali altissimi, alcuni perdono il posto di lavoro, fanno «il salto nel buio», altri continueranno a lottare dal di dentro: «Voglio provare a vedere cosa succede – dice Alessandro Bozzo, pa-dre di famiglia minacciato lo scorso ottobre – voglio crederci ancora, ché se in questa regione anche per il 20% si riesce a fare in-formazione, io in quel 20% voglio restare.»

Roberto Rossi

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Giornalisti coraggiosi, editori vili Giornalisti coraggiosi, editori vili

“Cari lettori,vi dico addio”

Cari lettori, questo è l’ultimo editoriale che firmo su Calabria Ora. Lascio la dire-zione del giornale per motivi indipendenti dalla mia volontà. Ieri mi è arrivata una ri-chiesta dagli editori: intendono avere una presenza più forte nella fattura del giornale.

Una richiesta certamente rispettabile, ma che non esiste in natura: l’editore fa l’edito-re, sceglie un direttore che risponde della linea politica e dei contenuti del giornale, il rapporto tra le due figure è fiduciario, quando la fiducia viene meno l’editore sce-glie un altro direttore.

Tutto qui, così si fa in Italia, in altre real-tà (Corea del Nord?) è l’editore stesso a dettare linea politica e contenuti.

Lascio un giornale – e con me lo lasciano anche il caporedattore, i due vicecaporedat-tori, il caposervizio di Cultura e Spettacoli, quello di Cosenza e il responsabile delle cronache politiche – che avevo preso più di tre anni fa, quando nelle edicole calabresi vendeva quasi quattromila copie.

Oggi le copie vendute (il più importante riferimento, anche se non l’unico, che può certificare il successo o meno di una inizia-tiva editoriale) sono in media ottomila con picchi di quindicimila.

Il merito è tutto intero della Redazione, delle giornaliste e dei giornalisti che in questi anni hanno condiviso l’esperienza di CalabriaOra. Gli errori commessi, le sotto-valutazioni, i giudizi sbagliati dati su alcu-ne vicende della vita politica e sociale cala-brese, sono tutti miei.

Ma sarei poco sincero se non dicessi che quello che è accaduto era prevedibile. Sa-pevo, e con me i colleghi che hanno firma-to gli articoli, che raccontando le inchieste giudiziarie delle ultime settimane, che scri-vendo dei rapporti tra la mafia e la politica,

non limitandoci al doveroso applauso verso le forze dell’ordine e i magistrati, ma rac-contando anche i retroscena più inquietanti di quella zona grigia che è il vero capitale sociale della ‘ndrangheta, avremmo pagato dei prezzi altissimi.

Sapevamo che nessun politico importante di questa regione poteva rimanere indiffe-rente agli articoli che parlavano delle sue equivoche frequentazioni, dei ricevimenti organizzati da imprenditori oggi arrestati per mafia, di quei banchetti dove con i ma-fiosi brindavano politici eccellenti. Storie che solo Calabria Ora ha raccontato.

Sapevamo che il potere avrebbe esercita-to tutte le pressioni possibili per chiedere la testa del direttore di questo giornale, per

normalizzare, per avere un giornale meno impiccione che anche quando parla di ma-fia non lo fa riempiendo le pagine della ma-fia folk, quella di Osso, Mastrosso e Carca-gnosso.

Quella che indigna tutti, anche chi va ai banchetti dei mafiosi e chi dalla mafia prende voti. Se questa fosse una partita, da sportivo non avrei difficoltà a dire che il potere ha vinto, almeno per il momento.

Uno a zero a palla al centro. Anche se sul campo i giocatori che giocano la partita giusta sono pochi in questa regione. La stampa è debole, l’opposizione inesistente, divisa com’è tra lobby e vecchi gruppi di potere. La società civile è sola, mille fer-menti, moltissimi positivi, soprattutto tra i giovani, milioni di divisioni e di gelosie.

Non raccontiamoci frottole, non ingan-niamo i lettori: hanno vinto loro, ma è solo il primo tempo della partita. Vado via con la soddisfazione di aver costruito una Re-dazione meravigliosa, di giovani giornalisti che hanno saputo coniugare la loro fre-schezza con l’esperienza dei più anziani, uomini e donne dalla schiena rigida, curio-si, preparati, attenti, colti, coraggiosi.

Nessuno di loro si è fatto mai intimidire dalle minacce, e sono tante, ricevute dalla ‘ndrangheta. E’ stato un impagabile privile-gio lavorare con gente così. Li potrei nomi-nare uno ad uno, di ognuno elencare i pre-gi, come si fa con i figli che hai amato e che ti sono stati vicini sempre.

Di fronte a persone così in molti dovreb-bero togliersi il cappello. Questa è la Cala-bria migliore, a loro devo molto e solo a loro e ai miei lettori devo dire grazie. Ci ri-vedremo presto. E sempre con la schiena diritta.

Paolo Pollichieni

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L'ultimo editoriale di Paolo Pollichieni, il giornalista cacciatoL'ultimo editoriale di Paolo Pollichieni, il giornalista cacciatoperché denunciava i rapporti fra politici e mafiosiperché denunciava i rapporti fra politici e mafiosi

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Libera informazione Libera informazione

|| 28 luglio 2010 || pagina 13 || www.ucuntu.org ||

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Interviste Interviste

Nonviolenza oggifra impegno socialee non accettazione

Come è avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?

Mio padre era un ambientalista e un mili-tante di sinistra. All’età di cinque anni mi portava alle manifestazioni contro l’instal-lazione dei missili Cruise nella base Nato di Comiso (in provincia di Ragusa). Erano i primi anni '80. Ho pochi ricordi di quel pe-riodo. Conservo soprattutto delle immagini e delle sensazioni. Mi piaceva sventolare la bandiera italiana fatta da mio padre in carta velina. Avevo capito poco di quello che sta-va accadendo, ma sapevo che c’erano due schieramenti: delle persone disposte a qual-siasi forma di violenza, pronte a uccidere pur di realizzare i propri interessi, ed altre che sognavano e lottavano per un mondo senza guerra nè odio... Poi, penso che non ci sia stato un evento o un incontro scate-nante a spingermi verso la nonviolenza. È stata piuttosto una lenta maturazione, la crescita di un modo di pensare e di agire in cui la nonviolenza è una necessità e un va-lore da portare avanti quotidianamente.

Quali personalità della nonviolenza hanno contato di più per lei, e perché?

Non ho figure elette di riferimento, per-ché innumerevoli sono i tentativi di impe-gno nonviolento sino ad oggi. Piccoli pezzi di lotta per un mondo diverso, con metodi e forme spesso contrastanti. Ognuno dà il suo apporto, secondo il suo percorso, la sua tra-dizione e la sua visione del mondo. Alcuni hanno spesso operato distaccandosi dal

concetto più diffuso e riduttivo di nonvio-lenza. Anche Malcolm X rappresenta una tappa importante della nonviolenza, se con questo termine si intende la lotta contro la violenza che un Stato, un sistema o un sin-golo possono esercitare sugli uomini.

Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe op-portuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?

Le Lettere dei condannati a morte della Resistenza e Se questo è un uomo.

Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia le sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con più impegno?

Tutti i percorsi di resistenza e lotta che mirano a un mondo migliore e alla difesa dei diritti fondamentali dell’uomo, il diritto alla vita e quello all’autodeterminazione primi fra tutti.

In quali campi ritiene più necessario ed urgente un impegno nonviolento?

La nostra società si basa sull’oppressione purtroppo. L’impegno nonviolento deve ab-bracciare tutti i campi. Non ci sono ambiti privilegiati, anche se ci sono individui che subiscono una violenza maggiore rispetto ad altri. Ovunque deve nascere o deve con-tinuare a crescere un impegno di resistenza perché senza la resistenza si rinuncia ad un mondo di libertà e di democrazia, basato sul rispetto degli altri.

Quali centri, organizzazioni, campagne segnalerebbe a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?

Consiglio semplicemente un impegno quotidiano per il bene del singolo e dell’in-tera collettività. Ognuno può scegliere il gruppo o l’associazione che porta avanti il progetto più vicino al proprio modo di pen-sare ed agire.

Come definirebbe la nonviolenza, e quali sono le sue caratteristiche fonda-mentali?

Per me non si può dissociare la nonvio-lenza dalla resistenza. Perché se la violenza in un paese pseudo-democratico o meno corrisponde all’indifferenza e al cinismo, alla prevaricazione e all’affermazione degli interessi di una minoranza sui diritti della maggioranza (in primo luogo il diritto ad un tetto, alla libera espressione, all’istruzio-ne, al lavoro e alla sanità), l’unica nostra ri-sposta è la resistenza. Resistere, anche se questo può significare restare fuori posto. Ma non concepisco l’accettazione passiva, l’essere costretti ad una vita o a qualcosa che mai avremmo voluto. Ogni giorno si subisce la violenza di un sistema in cui non ci si ritrova, che non si riconosce come pro-prio. E allora è necessaria la lotta per un mondo migliore. Per molti potrebbe sem-brare un sogno, una follia. Ma è pur sempre un piccolo tassello nella costruzione di un mondo migliore. Insomma, io non credo

|| 28 luglio 2010 || pagina 14 || www.ucuntu.org ||

E' in corso un dibattito fra i pacifisti italiani sul significato della nonviolenzaE' in corso un dibattito fra i pacifisti italiani sul significato della nonviolenza nel drammatico e violento mondo (e Paese) in cui viviamo. Solo “un dire dinel drammatico e violento mondo (e Paese) in cui viviamo. Solo “un dire di no” o anche un lottare attivamente per qualcosa? L'hanno chiesto anche allano” o anche un lottare attivamente per qualcosa? L'hanno chiesto anche alla nostra Sonia Giardina, che gli amici del nostro piccolo giro (Ucuntu, Lavorinostra Sonia Giardina, che gli amici del nostro piccolo giro (Ucuntu, Lavori in Corso, Periferica, Cordai...) conoscono bene. Ed ecco le sue risposte in Corso, Periferica, Cordai...) conoscono bene. Ed ecco le sue risposte

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Interviste Interviste

in una nonviolenza intesa come accettazio-ne, come non-risposta, sarebbe una rinuncia alla libertà di tutti.

Cosa apporta la nonviolenza alla rifles-sione sull’educazione?

L’importanza di far acquisire a ciascuno di noi la consapevolezza della propria re-sponsabilità nella lotta verso la liberazione, nel non farci soggiogare, nel perseverare nel cammino della nonviolenza e nella co-struzione di un mondo per l’uomo in cui la libertà di ognuno sia la base della libertà dell’altro.

Tra le tecniche deliberative nonviolen-te ha una grande importanza il metodo del consenso: come lo caratterizzerebbe?

Come condivisione delle scelte. Credo profondamente nella democrazia partecipa-ta.

Quali mezzi d'informazione e quali esperienze editoriali le sembra che più adeguatamente contribuiscano a far co-noscere o a promuovere la nonviolenza?

Voglio parlare della nonviolenza nell’am-bito dell’informazione a Catania, la città in cui vivo. Tante piccole testate ("UCuntu", "La periferica", "Catania possibile", "I Cor-dai", ecc.) promuovono un’informazione li-bera contro la violenza delle falsità e delle manipolazioni imposte dai grandi quotidia-ni locali e nazionali. Qui da noi quasi tutte le testate locali appartengono ad un unico imprenditore che controlla tv, radio e pub-blicità. Si chiama Mario Ciancio ed è il pic-

colo Berlusconi del sud. Io faccio parte di "UCuntu" (e non solo), magazine online che prosegue l’esperienza di Giuseppe Fava, giornalista ucciso dalla mafia negli anni '80. "Ucuntu" non è l’unica l’esperien-za a Catania, tanti altri giornali lottano con-tro un sistema informativo che schiaccia e violenta il diritto dei cittadini ad essere in-formati e il dovere dei giornalisti ad infor-mare. Questa è la nostra lotta, raccontiamo la Catania che i media nascondono, faccia-mo informazione dal basso. Resistiamo as-sieme, condividendo gli obiettivi anche se ricorrendo a forme e pratiche diverse. Ogni giorno facciamo rete, perché solo se si è uniti le forze si moltiplicano e si può creare una vera alternativa.

Quali rapporti vede tra nonviolenza e femminismo?

L’impegno nonviolento è uno solo, poi si declina in molteplici ambiti con forme di-verse. Non bisogna mai perdere di vista l’insieme, l’importanza di una risposta col-lettiva alla violenza esercitata dal sistema. Non bisogna procedere per compartimenti stagni: antirazzismo, femminismo, ambien-talismo sono forme di opposizione al siste-ma. Se non vengono inquadrati in un’ottica complessiva, perdono di significato diven-tando delle lotte con rivendicazioni prive di una progettualità ampia. Tale progettualità può nascere solo da una duplice consapevo-lezza: cioè che stiamo subendo la violenza di un sistema e che senza un fronte comune

imbocchiamo un vicolo cieco.Quali rapporti vede tra nonviolenza ed

ecologia?È la stessa risposta data alla domanda

precedente.Potrebbe presentare la sua stessa per-

sona (dati biografici, esperienze signifi-cative, opere e scritti...) a un lettore che non la conoscesse affatto?

Come dicevo prima, cerco di fare infor-mazione scrivendo su diversi giornali. Ma non solo. Sono una regista cinematografica e la forma espressiva da me prediletta è quella documentaristica. Sento il bisogno di raccontare tutti gli sforzi di resistenza del-l’uomo; la videocamera è il prolungamento del mio occhio, fa parte del mio corpo per-ché registra attraverso le immagini il mio modo d\i interagire con gli altri, i miei sus-sulti, i miei gridi, la mia ricerca.

Con la camera esploro i meccanismi na-scosti sotto l’apparenza delle cose. Mi inte-ressano gli uomini, cosa essi sentono di fronte ai soprusi del sistema e come rispon-dono a tali violenze. Nel mio piccolo è quello che faccio quando filmo e poi quan-do monto. Insegno anche cinema a bambi-ni, ragazzi e adulti. E con loro cerco di fare lo stesso percorso tentando di sviluppare capacità critiche verso le immagini che ci bombardano ogni giorno e di esplorare il mondo raccontandolo per immagini.

Paolo Arena e Marco Graziotti,Viterbo oltre il muro

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Memoria Memoria

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Interventi Interventi

ComeonorareFalcone eBorsellino

Non credo che il modo migliore di onorare la memoria di Falcone, Morvillo, Borsellino e degli agenti di scorta caduti con loro sia collocare due statue in una panchina di via Libertà. Non solo perché la mancanza di senso civico di gran parte degli abitanti di Palermo le esporrebbe al continuo vilipendio riservato al patrimonio monumentale cittadino (si veda come è ridotto il piedistallo della statua di Ruggero Settimo nella centralissima piazza Politeama) ma soprattutto perché ci sono tanti altri modi, molto più significativi, di costruire memoria e fare antimafia.

Da anni il Centro Impastato pone il problema di una legge regionale che regoli con criteri oggettivi l'erogazione di fondi pubblici per attività culturali e antimafia in particolare. Una battaglia finora perduta perché nessun altro ha voluto sostenere la nostra richiesta e parecchi continuano a ricevere soldi pubblici con metodi personalistici e clientelari.

E' rimasta ugualmente isolata la nostra proposta di costituire un Memoriale della lotta alla mafia che sia insieme percorso storico, biblioteca-videoteca-emeroteca e luogo di incontro ed elaborazione di pro-

getti comuni.A settembre sarà pronta l'Agenda

dell'antimafia 2011, che vuole far rivivere quotidianamente la memoria delle lotte contro la mafia e per la democrazia nel nostro Paese, una grande storia collettiva e non l'impegno solitario di singoli eroi.

Su questi terreni dovrebbero con-centrarsi gli sforzi di chi crede che l'antimafia sia un progetto di società e di vita quotidiana, in un contesto in larga parte legato alle varie forme di illegalità, e non un monumento come quello, bruttissimo e non per caso dimenticato, in piazza 13 vittime, o quest'altro, oltretutto non di particolare pregio artistico.

Umberto SantinoPresidente del Centro Impastato

www.centroimpastato.it

On.Napoli,si ricordadiPignataro?

Caro Orioles,appena puoi chiedi all'on. Angela Napoli

notizie sulla relazione di maggioranza dell'antimafia del 2006, dove si scriveva che a Pignataro Maggiore (Caserta), in un immobile confiscato al boss Raffaele Ligato, c'erano due caserme: una della Finanza e un'altra dei Carabinieri.

Notizia falsa: nel bunker Ligato non c'er-ano e non ci sono caserme; anzi l'immobile era rtornato nella piena disponibilità della camorra. La notizia falsa forse servì al sin-daco Giorgio Magliocca (An) per accredit-arsi in qualche ambiente sedicente antim-afia.

Il paese in questione l'on. Napoli se lo ri-corda sicuramente bene: alle elezioni europee del 2004 aveva preso una valanga di preferenze dalla sezione di An con a capo il sindaco Giorgio Magliocca.

In quale altra parte d'Italia possono far arrivare notizie false alla Commissione antimafia e farle prendere per buone?

Solo a Pignataro Maggiore, la "Svizzera dei clan".

Enzo PalmesanoComitato Anticamorra

[email protected]

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SatiraSatira

MorizziCapitolo ventisette

Riassunto delle puntate preceden... Beh, l'ultima voltaeravamo ancora nel Novecento

«Prego, può entrare».La segretaria, con vellutato fare da Gran

Sacerdotessa dei Misteri, annuì severa in direzione della porta. Il momento era arri-vato, l’incontro col Gran Capo.

Il Ragioniere, abituato a stanze affollate e sudate si sentì minuto e sciocco al cospetto della grande scriva-nia che, da sola, occupava lo spazio a disposizione sua, del Ragionier Perella e del Geome-tra Bertenghi. La pianta, poi, una palma degna dell’orto bota-nico, avrebbe potuto accogliere sotto le sue ampie chiome persi-no il Dr. Velluri al quale, come si sa, piacciono molto i dolci. E poi ci sarebbe anche da conside-rare la D.ssa Martesano, in effet-ti, ma lei era, invece, molto at-tenta alla linea.

Da poco aveva dovuto lasciare la sua stanza singola, la Dott.s-sa, per precipitare nella loro pro-miscuità. Esigenze di spazio, disse l’Azienda, gli affitti costa-no, i locali devono ridursi e bi-sogna fare un sacrificio. La Dott.ssa non se n’era data pace, la poveri-na, e fu in quelle settimane che cominciò ad interessarsi di filosofie orientali sino a partire, qualche tempo dopo, per andare a santoneggiare in India. Ingrassando pure, peraltro; ma nel momento in cui il Ragioz-niere varcò la dirigenzial soglia la Dott.ssa ancora studiava testi di marketing in ingle-se, era molto attenta alla linea e sarebbe potuta entrare comodamente nel vaso della gran palma.

«Ragioniere, proprio lei» lo accolse affa-bile il Capo. Lo affascinò di discorsi confi-denziali sui massimi sistemi economici e aziendali, lo mise a parte di inconfessabili segreti in realtà noti a tutti e poi gli comu-nicò che gli offrivano una nuova opportuni-

tà. Generalmente quando il Capo o il Re-sponsabile del Personale parlano di nuove opportunità alludono alla possibilità di tro-vare sufficienti argomenti per scrivere il ventisettesimo, il ventottesimo e il ventino-vesimo capitolo del saggio “Tagliarsi le

vene e morire in allegria”. Ma questa era un’opportunità sfidante, e allora si poteva arrivare con nonchsalance a trentasei capi-toli. Stava quasi per comunicagliela quando dei colpi secchi si abbatterono sulla porta. La Gran Sacerdotessa strillò al vilipendio e al sacrilegio ed entrarono facce giuste di sindacalisti arrabbiati.

Tesa l’atmosfera, Il Ragioniere avrebbe voluto (e anche potuto, in effetti, date le di-mensioni) nascondersi dietro la palma, ma il primo di quei sindacalisti si precipitò contro il tavolo salmodiando a gran voce “inaccettabile”. Si riferiva, s’apprese poi, all’ultimo ordine di servizio emanato dal Personale.

«Venti! E’ fuori discussione» sbraitava paonazzo, lacrime agli occhi, muscoli con-tratti del collo, spalleggiato dal non meno esasperato compagno che annuiva e contro-cantava “inaccettabile!” in ottava superio-re.

Il Capo annuiva e si ren-deva conto, ma erano esi-genze di servizio.

«E’ fuori discussione» barrivano i sindacalisti.

«In Cina hanno accettato le cinquanta» constatò il Capo col tono che non sarebbe per nulla sfigurato anche in caso di “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio”.

«Ma noi non siamo in Cina» cercò di obiettare il sindacalista, evidentemente ferrato in Geografia.

«E allora vuol dire che ci trasferiremo in Cina» annuì comprensivo il Capo, con quella severa autorevolezza che fa dire al bravo chirurgo che sì, è necessario operare, è necessario per salvare la vita,

è deontologico.«Tre, non una di più» rilanciò il sindaca-

lista.Alla fine mediarono: dodici, non più di

dodici staffilate per turno nel caso di man-cato rispetto dei tempi di lavoro. Ma il Capo era convinto che di questo passo nul-la sarebbe poi rimasto in Italia. Non si era al passo coi tempi, e con il mercato globale. I sindacati, oltretutto, non avevano compre-so la modernità .

«Dicevamo?- riprese quando i sindacali-sti si congedarono per stilare un comunica-to grondante senso di responsabilità – Ah sì! un’opportunità sfidante».

Jack Danielhttp://dajackdaniel.blogspot.com/

|| 28 luglio 2010 || pagina 18 || www.ucuntu.org ||