Ucuntu n.83

20
080810 www.ucuntu.org - [email protected] E lo vogliamo ora. Altro che Tremonti e Quattroballe! La mafia si sta man- giando l'Italia, Berlusca è nei guai perché i suoi si son fatti beccare in troppi. E della Fiat, nessuno parla più? Eppure il “nuovo modello” è proprio lei... Volete un governo tecnico? Ok. Ma tecnico a modo nostro, non dei padroni Mafia e Politica/ Le origini della P3 Nando dalla Chiesa/ Carlo Gubitosa/ Giulio Cavalli/ Roberto Rossi/ I giornalisti di Calabria Ora/ Pietro Orsatti/ Dacia Maraini/ I ragazzi del Clandestino/ Mauro Biani Satira Jack Daniel/ C'era una volta il sindacato... || 08 agosto 2010 || anno III n.83 || www.ucuntu.org || Vogliamo un governo antimafia

description

il numero del 9 agosto 2010

Transcript of Ucuntu n.83

Page 1: Ucuntu n.83

080810 www.ucuntu.org - [email protected]

E lo vogliamo ora. Altro che Tremonti e Quattroballe! La mafia si sta man-giando l'Italia, Berlusca è nei guai perché i suoi si son fatti beccare in troppi.E della Fiat, nessuno parla più? Eppure il “nuovo modello” è proprio lei... Volete un governo tecnico? Ok. Ma tecnico a modo nostro, non dei padroni

Mafia e Politica/ Le origini della P3Nando dalla Chiesa/ Carlo Gubitosa/ Giulio Cavalli/ Roberto Rossi/ I giornalisti di

Calabria Ora/ Pietro Orsatti/ Dacia Maraini/ I ragazzi del Clandestino/ Mauro BianiSatira Jack Daniel/ C'era una volta il sindacato...

|| 08 agosto 2010 || anno III n.83 || www.ucuntu.org ||

Vogliamo un governo antimafia

Page 2: Ucuntu n.83

Italia Italia

A volte ritornano

Dopo anni passati a dirci che bisogna vo-tare qualunque candidato premier, perfino Rutelli, pur di non far vincere quell'altro, ora D'Alema rimette al centro la coscienza, o meglio la sua cattiva coscienza: "se si candidasse Vendola non lo voterei". Sara' astensione, voto ai finiani o voto al PDL in coerenza con i suoi ultimi 15 anni di storia politica?

Sono anni che mi ribello al ricatto della politica, e continuo a votare secondo co-scienza, e quindi spesso a non votare, sfi-dando gli insulti di amici, parenti e compa-gni: "così fai il gioco di Berlusconi", "non è il momento dei distinguo", "sei un irrespon-sabile".

Mentre loro sono talmente responsabili nella loro scelta kamikaze del "meno peg-gio" che nel giro di pochi anni hanno re-sponsabilmente causato l'estinzione dal par-lamento della sinistra radicale, senza ridur-re di un solo minuto la durata del potere berlusconiano. Ma oggi finalmente ci ha pensato Massimo D'Alema a farci uscire dal ricatto elettorale dove si vota chiunque

perché è contro il Demonio, salvo poi sco-prire che il Demonio è il re dei travestimen-ti.

Maximo lo ha detto chiaro: "se si candi-dasse Vendola non lo voterei", e al diavolo le teorie del voto responsabile, del voto uti-le, del voto a naso tappato, del voto da non disperdere, del voto pragmatico.

Quelle sono storie vecchie, favolette buo-ne per ammansire le folle e fargli votare chiunque sia piazzato lì dai vertici del parti-to, tipo quel Mirello Crisafulli, senatore si-ciliano del PD dal 2008, ripreso nel 2001 dalle telecamere della polizia a discutere con il boss mafioso Raffaele Bevilacqua di appalti, assunzioni e raccomandazioni.

Oggi però tira aria nuova, e allora seguia-mo le indicazioni dell'uomo più intelligente della politica: votiamo quel cavolo che ci pare, senza farne una questione di tattica o strategia, ma affermando il voto come que-stione di coscienza.

Quello che non è chiaro è cosa farebbe D'Alema invece di Votare vendola: asten-sione, voto ad un eventuale terzo polo di fi-

niani, casinisti e rutelliani o voto al PDL in coerenza con i suoi ultimi 15 anni di storia politica?

Sia come sia, D'Alema fa bene a stare at-tento, perché se siamo al voto di coscienza allora di coscienze nelle urne non ci sarà solo la sua, e se lui è pronto a non votare Vendola anche se non ci saranno altri can-didati di opposizione, sappia che per ogni pelo di baffo che si storce di fronte a candi-dati con eccessi di sinistra ci sono migliaia di persone pronte a sfanculare la coalizione di centrosinistra se produrrà un candidato dalemiano, ovvero inciucista, maneggione, lontano dai cittadini, colluso col vaticano pur di raccattare voti, pronto a rifinanziare le occupazioni militari all'estero pur di compiacere le lobby armiere.

E ora facciano pure i seguaci del baffo, candidate a premier Crisafulli o qualche al-tro boiardo al gusto di muffa, lasciate Ven-dola da solo a guidare un polo di sinistra ra-dicale, e vediamo chi prende più voti tra i due.

Carlo Gubitosa

|| 8 agosto 2010 || pagina 02 || www.ucuntu.org ||

Page 3: Ucuntu n.83

Italia Italia

Riunione diantimafiosiin Sicilia(a Modica,colClandestino)

Un partito

Di Tremonti ha parlato per primo, senza nominarlo, Veltroni (“governo tecnico”) se-guito subito dopo da Bersani. Il Fatto, i pri-mi giorni, sembrava incerto fra lui e Dra-ghi. In realtà è una soluzione probabile, e non a caso è quella esorcizzata subito da Bossi e Berlusconi. Qualche rivoluzionario, come Beppe Grillo, preferirebbe diretta-mente un uomo Fiat, Montezemolo.

Ma insomma si va in direzione Tremonti, non per governi “tecnici”, ma proprio per l'assetto finale post- elezioni. Se ce la fanno – cioè se Berlusconi non si ripiglia, se il centrosinistra ci casca, se non scoppia la Grecia nel frattempo – sarà il terzo venten-nio, dopo quello di Mussolini e quello di Berlusconi. Ben diversi fra loro, i tre regi-mi, ma con una cosa in comune: la Fiat. Di Fiat, praticamente, non si parla più.

* * *La crisi non è politica, è industriale. Co-

manda Berlusconi? Comandano Tremonti e Marchionne; che tendono a liberarsi, nello sfascio, dall'ingombrante duce e andare avanti da sé. Giovanni Agnelli fu il king-maker di Mussolini. E Agnelli Gianni, quando ci fu da scegliere, fra Prodi e Berlu-sconi scelse il secondo. Così nessuno, nè fra i moderati nè fra i radicali ha minima-mente citato i centrosinistri "liberal" (giolit-tiani...) come Ciampi e Prodi. Sarebbe stato naturale. Ma ora implicherebbe una rottura totale con la Fiat, che nella crisi si collloca (come nel '22) all'estrema destra.

Questa è la situazione. E' catastrofica non tanto in sé (Berlusconi ha molto meno con-senso di quel che dice) quanto perché, es-sendo la sinistra (tutta) assolutamente priva

di qualsiasi strategia, verrà facilmente ege-monizzata dal centro e persino dalla destra, buon pretesto fra l'altro per le componenti peggiori del Pd per calar braghe e mutande in nome della solidarietà nazionale.

La solidarietà è necessaria, ed è necessa-ria non solo l'unità di tutta sinistra, ma ad-dirittura un'apertura a componenti di destra. Non Fini e Lombardo, appendice di altri poteri; bensì la destra “minore”, antipizzo (un nome per tutti: Angela Napoli; oppure l'Azione Giovani di Palermo che tre anni fa, non sostenuta da Fini, si ribellò a Cuffa-ro). Bisognerà pazientemente disaggregar-la e tenerla insieme, come coi “badogliani” monarchici nel '43.

* * *Questo non può avvenire nella “politica”,

ovviamente. Ma può bene avvenire in una Resistenza.

Ecco, il centro di tutto è proprio questo. L'unica carta possibile è volare alto, essere e mostrarsi molto radicali, battersi aperta-mente per cambiamenti di fondo.

C'è un terreno su cui ciò è possibile e na-turale, ed è la lotta antimafia. I boss mafio-si, oramai, in mezza Italia coincidono coi padroni; e sono sulla via di diventarlo nel-l'altra mezza.Ieri l'affare-simbolo era Gioia Tauro, oggi è l'Expo di Milano. Questo è ormai sotto gli occhi di tutti, e il tradimento della Lega non riuscirà molto a lungo a na-sconderlo anche al nord.

L'antimafia deve diventare il baricentro politico della sinistra, esattamente come la lotta antifascista lo diventò, a un certo pun-to, per la sinistra di allora. E' facile capirlo per dei giovani, ma non lo è affatto per i

vecchi politici, anche in buona fede.Ma anche per l'antifascismo fu così. Ci

volle un salto in avanti radicale, un modo di pensare più giovane, quello dei giovani Gramsci e Gobetti; i vecchi della vecchia sinistra, anche buoni (i Nitti, i Turati, i Bor-diga) rimasero irrimediabilmente indietro e non ebbero altro ruolo, anche se nobile, che di testimoniare una indifesa fedeltà.

* * *Torniamo da un giro all'interno del no-

stro partito, stavolta in provincia di Ragusa. Il "partito" a Pozzallo era costituito da ra-gazzi di SL, a Vittoria da quelli del Circolo Impastato di Rifonda; a Ragusa invece il caporione è uno della gioventù francescana e a Modica ci sono i ragazzi del Clandesti-no, nati da non più di tre anni e su una cosa "piccola" e immediata come la lotta locale (ma poi nazionale, e vincente) per l'acqua.

Nè Bersani né Vendola nè Di Pietro o Ferrero, che pure sono delle ottime perso-ne, hanno più di una vaga e lontana perce-zione di questi giovani, che per noi invece sono il centro (politico, non genericamente simpatico) di tutto, e non da oggi ma da molti anni.

Chi ci sta a fare questo partito insieme a loro? Non è uno scherzo. Oggi come ai primordi, un “partito” non deve necessaria-mente avere tessere e capi. Gli bastano un rudimentale programma (governo antima-fia, nel nostro caso) delle idee chiare sulla gravità della situazione, un quadro di poche “semplici” cose da fare e una “ingenua” fi-ducia nelle vecchie virtù del Paese.

Riccardo Orioles

|| 8 agosto 2010 || pagina 03 || www.ucuntu.org ||

Page 4: Ucuntu n.83

Politica Politica

Questa non èuna crisi, èun'opportunità

Abbiamo passato anni a sentirci dire che nel lato “democratico” del Paese era neces-sario (e utile) smussare gli angoli e demo-cristianare gli animi per non rimanere schiacciati dal berlusconismo.

E mentre tutti si esercitavano in un oppo-sizione sempre più pia e a tratti reverenzia-le abbiamo reso possibile che un uomo come Mister B. e le sue cricche diventasse-ro un “sistema” stabile, collaudato e pro-prietario delle istituzioni. In una lenta e nemmeno sotterranea Opa lanciata con successo alla res publica.

Alla mia generazione hanno detto di stare tranquilli, di non fare colpi di testa, di non scialacquare la nostra giovinezza in attesa di ottenere il certificato doc dello spettatore prematuramente disarmato mentre vede e commenta i giochi di Palazzo.

Ci hanno raccontato che non bisognava attaccarlo frontalmente ma giocare di spon-da (chissà, forse per un attaccamento alle buone maniere) in un’opposizione che a guardarla oggi ha l’odore acre del “concor-so interno”.

Ci hanno fatto raccontato che erano tutti impegnati nell’esercitare la propria “voca-zione maggioritaria” per costruire visioni e progetti per il paese e oggi, al primo spira-glio, balbettano Tremonti come neo statista salvifico e una coalizione “magna” (nel senso latino e romanesco del termine) con

centristi adescatori di niente e neo legalitari con la firma in calce alle leggi-regalo alla mafia e al riciclaggio di questi ultimi anni.

Abusare della pazienza degli onesti è un gioco vile e codardo tanto quanto oppri-merli e, ora, la misura è colma.

Quello che stiamo vivendo non è né uno sfascio né una crisi: è un’opportunità. Il momento che si aspettava per esporre i modi e i contenuti. In poche parole per rac-

contare e illustrare la propria identità.E allora dica il Pd se è voglioso di andare

a braccetto con questo “nuovo” centro che cambia i simboli ma mai le facce, ci dicano i finiani quanto oltre a pentirsi sono disposti a correggere, scendano in campo i movimenti con il proprio diritto costituzio-nale a manifestare e (finalmente) anche a pretendere.

Con chiarezza, onestà intellettuale e sen-za remore. Ognuno con la fierezza della propria posizione, se serve. Ma non perdia-mo l’occasione del riassestamento per pe-scare ancora una volta nelle zone d’ombra, ritrovandoci con una valigia di consenso che non possiamo e non vogliamo rappre-sentare.

Il Governo bollito racconta la fine della strategia del grigio e della chiarezza ad in-termittenza. Qui fuori c’è il partito più grande d’Italia, senza colonnelli né nomi-nati: il Partito degli astensionisti.

Costruiamo coerenza, concretezza e par-tecipazione e ripartiremo a discutere di la-voro, famiglia, scuola e salute. Con fuori tutti i corrotti e i corruttori di una mignotto-crazia che oggi non interessa a nessuno.

È saltato il tappo, fuori i contenuti.Giulio Cavalli

www.gliitaliani.it

|| 8 agosto 2010 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||

“Tranquili, niente colpi di testa, avanti col nuovo“Tranquili, niente colpi di testa, avanti col nuovo centro”. E se invece provassimo a cambiare giocentro”. E se invece provassimo a cambiare gioco?co?

Page 5: Ucuntu n.83

Politica Politica

Governoantimafia,dico io

E’ vero. Sa di muffa, il governo tecnico. Ma potrebbe anche sapere di rivoluzione civile. Di grande progetto di liberazione del paese. Immaginate per esempio un governo tecnico per combattere la mafia, ossia tutte le organizzazioni mafiose e quelle simili. Che si ponga fondamentalmente questo scopo. Partendo dalla consapevolezza (ri-voluzionaria) che è questo oggi il primo grande problema del paese.

Un’economia divorata dai capitali spor-chi, una politica sfregiata dagli interessi cri-minali nei consigli comunali e in parlamen-to, un ambiente devastato da rifiuti tossici gettati in mare, nelle aree agricole o sotto le nuove costruzioni, professioni inquinate dai facili guadagni, la sanità come bottino di guerra e mica solo in Calabria, soldi sottrat-ti a sicurezza e cultura per buttarli nelle fauci dei lavori pubblici di cricche e clan. E il bilancio dello Stato. E la finanza. E l’in-formazione, sissignori pure lei.

Un governo tecnico che faccia in ogni campo tutto quel che serve a liberarci final-mente da questo aspirante esercito di occu-pazione, o a farlo arretrare, a non promet-tergli più un’Italia-eldorado da conquistare senza fatica. Fino alla fine della legislatura, perchè il governo Berlusconi è cotto, senza onore e non ha più la maggioranza.

Tutto quel che serve. Nella sicurezza, nella giustizia, nella programmazione e ge-stione dei lavori pubblici, nella tutela del-l’ambiente e del paesaggio, nelle politiche fiscali, nella scuola. Che fissi anche qual-che vincolo alle politiche sanitarie delle re-gioni nell’interesse superiore della nazione. E che intervenga nell’amministrazione del-la cosa pubblica e nell’esercizio della de-mocrazia rappresentativa.

Immaginiamo, solo per fare qualche esempio: una legge per sveltire i tempi dei

processi e che filtri i ricorsi in Cassazione; un’altra che introduca l’obbligo del certifi-cato antimafia per i lavori di movimento terra (finora incredibilmente esenti); una per vietare concessioni, convenzioni e con-sulenze a imprese e studi professionali ri-conducibili ai parenti degli amministratori che le decidono; una per reintrodurre i con-corsi per i segretari comunali (oggi “di fi-ducia” dei sindaci) e ridare poteri di con-trollo ai consigli comunali; una per cancel-lare la legge elettorale-porcata, a partire dalle liste bloccate.

Una per riempire di maestri di strada i quartieri dell’abbandono e della devianza minorile. Eccetera. E poi i provvedimenti che non hanno bisogno di leggi particolari. I soldi a sicurezza, giustizia e istruzione. E basta invece con il Ponte, basta con i grandi eventi. Dare i soldi per l’Aquila agli aquila-ni, con ferreo controllo centrale (una bella white list) sulle imprese. E via i disinfor-matori di regime, a partire da chi usò il suo tiggì per definire “minchiate” (da cui l’eter-no diritto all’appellativo di minchiolini) le affermazioni di Gaspare Spatuzza. Di nuo-vo eccetera.

Davvero un governo tecnico così sarebbe il ritorno della vecchia politica? Il proble-ma è semmai un altro: avrebbe un governo del genere una maggioranza parlamentare?

Perché sarebbe assai grave sapere (e fare sapere al mondo) che il parlamento non de-sidera un governo intenzionato a combatte-

re la mafia; e non desidera ripulire l’imma-gine dell’Italia, oggi considerata - piaccia o no - il principale principio di infezione del sistema occidentale.

Certo un governo così dovrebbe sapere rappresentare tutte le aree politico-culturali presenti in parlamento. Ma è così difficile? Possiamo mai immaginare che non ci siano persone di destra e sinistra di valore e one-ste, considerate tali dal presidente della Re-pubblica e dal suo primo ministro incarica-to, intendiamoci, non certo dai partiti, visto che se no arrivano i giudici costituzionali “avvicinabili” da un Lombardi qualsiasi?

E’ una duplice scommessa. Di là un par-lamento che dopo le umiliazioni che la po-litica si è autoinflitta senta il bisogno di ri-scattare se stesso con un obiettivo superio-re, di interesse nazionale, e di esaltare la propria capacità di selezionare al rialzo la classe di governo.

Di qua un elettorato che, in nome di quel-l’obiettivo comune, esprima la saggezza collettiva di rinunciare su più piani a rifor-me “di destra” o “di sinistra” e accetti il semplice e pulito buon governo (il quale però sarebbe già in sé una riforma...).

Obiettivo troppo ristretto? Troppo ambi-zioso? L’unica cosa certa è che il paese ne ha un bisogno estremo. Se qualcuno ha ge-nio e coraggio li tiri fuori.

Nando dalla Chiesawww.nandodallachiesa.it

|| 8 agosto 2010 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||

Un'economia divorata dai capitali sporchi, una poliUn'economia divorata dai capitali sporchi, una poli--tica sfregiata dagli interessi criminali. E allotica sfregiata dagli interessi criminali. E allora...ra...

Page 6: Ucuntu n.83

Libertà di stampa Libertà di stampa

Dodici sotto tiroNon fateli moriredi mafiae di abbandono

Chiedono di non morire di solitudine. Chiedono di essere giornalisti, di continua-re a fare bene il lavoro di raccontare, senza più il rischio di diventare “martiri”. “Presto ci spareranno addosso”, dicono. Qualcuno li ascolti. Sono giornalisti calabresi e sono “tutti esposti”.

Rispondono a chi parla di intimidazioni come di medaglie al valore, a chi dice che in Calabria non si vive nel terrore e viene smentito, quaranta ore dopo, dall’ennesima minaccia di morte consegnata a domicilio.

Perché così, come la pizza, è arrivato il solito foglietto vergato a mano dagli ultimi balordi, corredato da una bottiglia colma di benzina.

Lucio Musolino l’ha trovato sul tavolo della veranda di casa a Reggio Calabria. Alle quattro del mattino: “Questa non è per la tua macchina, ma per te. Smettila di continuare a scrivere di 'ndrangheta, segui Paolo Pollichieni e vattene pure tu”. E sia-mo a dodici. Dodici giornalisti minacciati in Calabria dall’inizio dell’anno. Pratica-mente uno ogni due settimane.

Non le avremmo mai volute leggere quel-le parole. E per come li conosciamo, questi

colleghi, non le avrebbero mai volute scrivere. Non avrebbero mai voluto richiamare i “prodi” giornalisti che arrivano, danno lezioni, riempiono i taccuini delle loro imbeccate e le videocassette di “in paese non parla nessuno”, e se ne vanno via frapponendo mille chilometri.

Loro rimangono, sanno quello che accade, scrivono, diventano infami. Le loro famiglie, famiglie di infami. Le loro attività – perché molti di loro non possono permettersi di vivere da giornalisti – negozi da lasciare deserti.

Qualcuno ne ha scritto, il atto quotidiano online, il manifesto, il tg3, corriere.it, redat-tore sociale, affari italiani. Per il resto, il vuoto. Non esistono. Come i peccati. Ri-cacciati dentro, nel fondo più fondo della cattiva coscienza.

I parlamentari Franco Laratta, Paolo Gentiloni, Giuseppe Giulietti, Doris Lo Moro, Nicodemo Oliverio e Rosa Villeco Calipari chiedono al ministro Maroni di intervenire con urgenza sul “caso Calabria”.

Non c’è tempo da perdere, 22 giornalisti

minacciati in 30 mesi, dicono, sono davvero troppi. Ossigeno per l’infor-mazione propone di istituire il reato di con-dizionamento alla libertà di stampa, con l’aggravante del metodo minatorio.

Alcuni di loro vivono sotto una blanda tutela. Volanti e gazzelle che arrivano sotto casa e alle porte delle redazioni. Si ferma-no, controllano che non ci siano pacchi so-spetti e se ne vanno. Nessuno di loro ha la scorta.

“Troppo inflazionato in Calabria il ricorso a questa misura di protezione, ab-biamo pochi uomini” ci rispondono gli in-quirenti a cui chiediamo il perché. La rispo-sta non ci soddisfa, l’afflitto burocratese non basta, come non bastano più i comuni-cati di solidarietà, bisogna agire.

La stampa si stampa, si stringa attorno ai colleghi di periferia. Ne parli, ne faccia par-lare. Accolga nel primo sfoglio le loro pau-re. Lo Stato sia Stato, non solo quando si contano i morti per strada. Lo Stato sia Sta-to, tolga l’elmetto dalle loro teste. Garanti-sca ai calabresi il diritto alla conoscenza. A questi cronisti “il diritto di non essere eroi”.

Roberto Rossi

|| 8 agosto 2010 || pagina 06 || www.ucuntu.org ||

Calabria: almeno dodici cronisti nel mirino dellaCalabria: almeno dodici cronisti nel mirino della 'ndrangheta e dei poteri mafiosi'ndrangheta e dei poteri mafiosi

Page 7: Ucuntu n.83

Libertà di stampa Libertà di stampa

I giornalisticalabresi:“Non cifermeranno”

Presto ci spareranno addosso. Perché ca-piranno che con le cartucce, le bottiglie in-cendiarie, le telefonate, le minacce mafiose perpetrate nelle loro più variegate forme non funzionano. Siamo giornalisti calabre-si. "Infami, bastardi, pezzi di merda" dico-no gli stessi mafiosi intercettati nelle carce-ri. E siamo tutti esposti. Noi che raccontia-mo questa terra, e che la viviamo perché è qui che lavoriamo, non siamo come quei "prodi" censurati nel crudo fondo di Mim-mo Gangemi su La Stampa del 5 gennaio scorso, i quali "col posteriore degli altri" di-ventano eroi frapponendo il giorno succes-sivo "mille chilometri di distanza", dopo averci dato lezioni di civiltà" fustigando "l'omertà, le bocche cucite, quanti non ave-vano avuto il coraggio di farsi intervistare o di mostrarsi, di sillabare un nome, una con-danna".

Sono gli stessi "prodi" che ancora oggi tacciono, lasciandoci nella solitudine dei nostri confini a fare quello che loro, privi dell'umiltà d'imparare a conoscere davvero questa terra, avamposto del Mezzogiorno, hanno provato a fare solo per "una sera". Per questo diciamo che tutti coloro che nel-le redazioni dei giornali calabresi si occu-pano di nera o giudiziaria, o che comunque nel loro lavoro quotidiano fanno inchiesta toccando le commistioni perverse fra poteri forti, indipendentemente se rientrino o meno nel novero dei già minacciati, sono sovraesposti.

Qui c'è la 'ndrangheta, che prima di esse-re l'organizzazione criminale più potente a livello planetario, quella che ammazza e traffica droga, quella che stringe patti con

la politica e l'alta finanza, è "cultura". Una "cultura" che noi siamo costretti ad affrontare ogni giorno, nelle aule di tribunale come fuori dalle questure, per le strade, nei bar. Oggi tocca al nostro Lucio Musolino, ieri ad altri colleghi di Calabria Ora, o del Quotidiano della Calabria o di qualsiasi altra testata. Domani toccherà ad altri colleghi ancora.

La Federazione nazionale della stampa porta il nostro caso all'attenzione del capo della Polizia e dei singoli prefetti, mentre solo grazie ad un libro realizzato dai colle-ghi Roberta Mani e Roberto Rossi o all'a-micizia di pochi inviati della grande stam-pa, qualche testata nazionale dedica poche righe alle nostre vicende.

Sia chiaro al mondo: noi non vogliamo pubblicità, perché le intimidazioni non sono per noi galloni d'appiccicare sulle spalle. Chiediamo solo che la resistenza ci-vile della stampa calabrese tutta - perché in questa sede noi di Calabria Ora vogliamo superare i distinguo e gli steccati della con-correnzialità fra testate - trovi sostegno da una categoria che si ricorda della Calabria solo se viene giustiziato il vicepresidente del consiglio regionale con l'unica colpa di essere un uomo perbene, se i sanlucoti compiono una strage a Duisburg, se una ra-gazza muore per un black out in sala opera-toria o se gli immigrati di Rosarno si ribel-lano alla protervia dell'inciviltà.

Aveva ragione Mimmo Gangemi, abbia-mo il "diritto di non essere eroi" e, aggiun-giamo, di non diventare martiri. Perché noi vogliamo solo lavorare, lavorare bene, e in pace, animati da quell'impegno morale e ci-

vile che ci spinge solo a compiere quotidia-namente il nostro dovere. Ha ragione il no-stro sindacato, qui non viviamo nel terrore; d'altro canto però, non possiamo negare che spesso la preoccupazione ci assale. Perché il clima che ci avvinghia si ripercuote sulle nostre famiglie, prima che sulle nostre re-dazioni. E perché, in Calabria, al giornalista non è riconosciuto il ruolo che gli appartie-ne.

Facciamo cronaca spesso costretti a men-dicare atti dagli stessi avvocati dei mafiosi di cui scriveremo il giorno dopo. Magari proprio di quei mafiosi che si siedono al nostro fianco durante un'udienza, o che ci fissano in cagnesco dalle sbarre mentre sot-to i loro occhi prendiamo appunti. Stiamo da questa parte del nastro bianco e rosso, assieme ai familiari dell'ennesimo morto ammazzato di una faida che non fa rumore oltre il Pollino e lo Stretto. Per gran parte dei nostri politici siamo solo degli spioni che non si fanno mai gli affari loro, mentre magistrati e poliziotti sono costretti a guar-darsi con circospezione ogni qualvolta ci avviciniamo anche solo per chiedere notizia su un'udienza preliminare o su un arresto.

Diamo il massimo, ogni santo giorno, per offrire un servizio al lettore, per informarlo, per alimentare la sua conoscenza su fatti di straordinario rilievo pubblico dei quali fi-nalmente si scrive e che continueremo a scrivere , nonostante tutto. Non vogliamo essere né eroi, né martiri, vogliamo solo fare il nostro lavoro, il nostro dovere. Spe-rando di non doverci rassegnare alla solitu-dine.

I giornalisti di Calabria Ora

|| 8 agosto 2010 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||

Parla la redazione di Calabria Ora, decimataParla la redazione di Calabria Ora, decimata dall'editore e minacciata dai mafiosidall'editore e minacciata dai mafiosi

Page 8: Ucuntu n.83

Quando il bavaglio non si vede Quando il bavaglio non si vede

Tariffe postali: La prova del fuoco dei gruppettari

Per noi che abbiamo inizia-to una avventura editoriale in piena crisi economica le tarif-fe postali agevolate sono l'u-nico strumento per poter con-tinuare ad esistere. Se le vo-gliono proprio togliere, che almeno smettano di dare milioni di euro al giornaletto rosa di Confindustria.

Sbavagliatori, gruppettari, popoliviola, grillini, fan di Santoro e Travaglio, manife-statori di piazze Navona, antiberlusconiani e contestatori, unitevi!

Oggi avete la possibilità di dimostrare la vostra coerenza: reagite in massa al bava-glio che tocca le PICCOLE RIVISTE SPE-DITE SU ABBONAMENTO, così come avete reagito al bavaglio sulle intercettazio-ni che toccava solo i grandi quotidiani (le piccole riviste non le pubblicano perché nessun amico gliele passa).

Se vi siete persi le puntate precedenti ve le riassumo io:

1 - Il primo aprile, senza nessun preavvi-so, hanno cambiato da un giorno all'altro in finanziaria le tariffe di spedizione in abbo-namento postale, mandando all'aria i bilan-ci di migliaia di riviste calcolati sulle tariff-

fe precedenti.È un colpo al cuore della piccola

editoria che mette a rischio la biodiversità culturale del Paese.

2 - Di fronte alla sollevazione di popolo sono stati inseriti emenda-menti in Finanziaria in cui si è det-

to che le poste POTEVANO applicare le tariffe precedenti, facendo credere che quel "potevano" fosse un "fate pure, accomodatevi, potete agevolare le riviste senza problemi".

3 - Le Poste Italiane che non sono più un servizio pubblico ma una SPA hanno detto "sì, possiamo, ma non VOGLIAMO". Tiè. È il libero mercato, lo stesso che porta mi-lioni di euro nelle casse di radio, riviste e quotidiani "amici", mentre strozza gli altri che vivono solo di abbonamenti e non di inciuci politici.

4 - A quel punto il governo ha fatto la sua bella figura con l'emendamento farsa, e le Poste fanno il lavoro sporco spremendo come un limone le piccole testate.

5 - Ora la FIEG sta contrattando con le poste per addolcire la pillola trasformando tariffe abominevoli che uccidono sul colpo in tariffe insostenibili che faranno lenta-

mente morire di asfissia tutte le piccole ri-viste.

E c'è chi di fronte a questa sodomia pro-grammata della microeditoria dirà che basta mettere un po' di vaselina per non avere più ragione di lamentarsi.

E ora tocca a voi, cittadini attivi nei mo-vimenti di resistenza civile, decidere se si farà qualcosa o no per scongiurare il silen-zioso omicidio della piccola editoria a cui si negano le agevolazioni postali per conti-nuare a foraggiare con milioni di euro i giornali dei padroni e dei partiti.

Questa volta siete da soli, perché non avrete nessun grande blog, nessun grande comico, nessuna grande testata giornalisti-ca, nessun grande giornalista e nessun gran-de opinionista a farvi da apripista.

Di fronte questa mascalzonata gli "opi-nion leader" preferiscono occuparsi d'altro.

In breve: se domani chiuderanno migliaia di testate, questa volta non prendetevela con Berlusconi, ma con la vostra incapacità di mobilitarvi se non c'è nessun gregge da seguire.

Ulisse Acquavivawww.mamma.am

|| 8 agosto 2010 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||

Appello al sottobosco ribelle italiano pronto a mobilitarsiAppello al sottobosco ribelle italiano pronto a mobilitarsi contro i bavagli solo se qualcuno gli apparecchia la piazcontro i bavagli solo se qualcuno gli apparecchia la piazzaza

Page 9: Ucuntu n.83

Promemoria Promemoria

Noi che ricordiamonoi chenon ci accontentiamo

Won’t you help to singThese songs of freedom?

‘Cause all I ever have:Redemption songs

Siamo ancora qui, noi che ci ricordiamo la rabbia per la morte di Peppino, che ab-biamo lasciato il segno delle nostre mani dove è caduta Giorgiana, che non ci scor-diamo di Walter e di Valerio.

Noi che ci siamo fatti le ossa nelle radio libere, sui dazebao e le fanzine, sui giornali che nessuno voleva distribuire. Siamo ancora qui, con i segni delle bastonate prese a Comiso e del freddo penetrato nelle ossa davanti ai cancelli di Montalto. E che poi, a Genova, siamo stati cancellati, spazzati via, dalla violenza del potere e dalla stupidità dei luoghi comuni.

Continuiamo a dirci vivi noi che eravamo un milione in piazza “in nome del popolo inquinato”, che abbiamo vinto un referen-dum e perso l’ingenuità, che a contarci era-vamo niente ma che poi per una breve sta-gione abbiamo fatto la differenza. Siamo ancora qui, noi che definiamo “fascista” la strage di Bologna e che cerchiamo e chie-diamo ancora la verità su Ustica.

Siamo ancora qui a disubbidire all’ordine di andare in guerra, al quieto vivere mentre si combatte a un’ora di volo da casa. Siamo noi che abbiamo preso un traghetto per Spalato per essere testimoni civili della pri-ma guerra in Europa dopo il 1945.

Siamo ancora qui, vivi, noi che abbiamo pianto al funerale di Berlinguer e in silen-zio siamo andati a fare un saluto a Alex che aveva scelto la via più difficile. Siamo an-cora qui noi che conserviamo ancora quella prima pagina de “il manifesto” del 1996 che titolava, semplicemente, “Buongiorno”.

Noi che abbiamo tremato quando uccise-

ro Falcone e poi urlato contro il potere di quel sistema politico in dissoluzione quan-do la storia confermò se stessa a via D’A-melio, quando l’innominabile patto fra un pezzo di Stato e il potere di mafia chiese al-tro sangue.

Noi che a Portella della ginestra ci andiamo in silenzio, che sia il primo maggio o no. Noi che abbiamo fatto teatro civile e poi documentari sulla povertà, l’e-sclusione, il lavoro. Noi che abbiamo scrit-to milioni di parole denunciando il potere e il malaffare, la violenza e l’arroganza e che continuiamo a farlo nonostante tutto.

Noi che si facevano duemila chilometri in autosop in un giorno e non avevamo paura di essere libri aperti. Noi che abbia-mo cercato di raccontare il mondo così come lo vedevamo. Dalla Somalia alla Ce-cenia, dalla Bosnia al Mozambico, dal Bra-sile a Gerusalemme.

Noi che non abbiamo votato per la prima Guerra del Golfo, che abbiamo disobbedito alla chiamata alle armi in Kosovo, noi che chiediamo da quasi un decennio il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, noi che in Iraq non volevamo neanche un soldato ita-liano.

Noi che sappiamo perfettamente quali in-nominabili interessi sono stati coperti in Somalia, noi che sappiamo perché sono sta-ti uccisi Ilaria e Miran.

Abbiamo ancora voce noi che il giorno che è scoppiato davvero il caso Marrazzo, con la sua coda di testimoni morti, abbiamo fatto subito il collegamento con quella luri-da vicenda di qualche anno fa a Bologna: la Uno bianca. Divise diverse, forse, ma lo stesso profilo.

Noi che ci ricordiamo a memoria la lista della Loggia P2 e i contenuti della legge Anselmi e che appena sentiamo il nome di

Flavio Carboni ci ricordiamo immediata-mente di Calvi appeso sotto il ponte del Frati Neri a Londra e della morte di Am-brosoli.

Siamo ancora qui a raccontarci e a rac-contare. Con tutti i linguaggi che abbiamo imparato e continuiamo a scoprire. Perché sappiamo di non avere ancora risposte, da quella festa violentemente interrotta con le armi sui monti alle spalle di Palermo il pri-mo maggio del 1947.

Noi che sappiamo che esiste un potere vi-sibile e un altrettanto forte potere invisibile, che troppo spesso coincidono, al controllo di questo Paese. Perché sappiamo che la nostra sovranità è stata limitata per più di mezzo secolo da interessi e poteri esterni, da un lato, e dall’odore dei soldi della cri-minalità organizzata dall’altro.

Noi che sappiamo come la nostra demo-crazia, la nostra economia, il nostro patto sociale siano da sempre condizionati da ac-cordi illegali e innominabili fra apparati e criminali e imprenditori senza scrupoli.

Noi che abbiamo deciso di metterci la faccia, di testimoniare. Di denunciare vio-lenze e estorsioni, affari truccati e gruppi di potere illegali, politici corrotti o – perfino peggio – accecati dal narcisismo.

Noi che non vogliamo guru o salvatori ma vorremmo essere parte di una società di eguali.

Noi che non crediamo alle parole d’ordine e alle semplificazioni ma al dialogo e a un progetto comune e condiviso. Noi che non abbiamo eroi ma ricordi, che non abbiamo testi sacri ma un laico dubbio.

Siamo ancora qui, più cinici e disincanta-ti, forse. Ma ci siamo ancora.

Pietro Orsattigliitaliani.it

|| 8 agosto 2010 || pagina 09 || www.ucuntu.org ||

““Noi che sappiamo come la nostra demoNoi che sappiamo come la nostra democrazia, la nostra economia, ilcrazia, la nostra economia, il

nostro patto sociale siano da sempre condizionati...”nostro patto sociale siano da sempre condizionati...”

Page 10: Ucuntu n.83

Libri Libri

In libreriaLuigi PolitanoPippo Fava -Lo spirito di un giornaleEdizioniRound Robin

Catania 1980. Nella Milano del sud il clan di Nitto Santa-paola domina, in una terra meravigliosa e maledetta, una città in cui coesistono cosa nostra e istituzioni in un gioco di potere fatto di morti ammazzati, grandi opere, cor-ruzione e fiumi di denaro.

A Catania vive e lavora un giornalista, Giuseppe Fava, che racconta la verità senza tralasciare nessun particolare. Amori, morte, disperazione e bellezza nelle parole di “Pippo” che diventa il pericolo da abbattere a tutti i costi.

Dalla pittura, ai racconti, alle opere teatrali tutto di Pippo Fava è pieno del-l'amore per la sua terra. Ed è proprio dopo un anno di pubblicazione de I Si-ciliani - un mensile di denuncia che farà storia nella lotta per la libertà di informazione - che il giornalista verrà ucciso con cinque proiettili sparati a sangue freddo da spietati killer che il 5 gennaio del 1984 decisero di giustizia-re colui che non sarebbero mai riusciti a far tacere.

Il fumetto narra l'esperienza di un uomo che affronta a viso aperto, e con la sola forza delle parole, un sistema che nessuno ebbe il coraggio di denun-ciare.Nel 1981 Pippo Fava scriveva: “A coloro che stavano intanati, senza il coraggio di impedire la sopraffazione e la violenza, qualcuno disse: 'Il giorno in cui toccherà a voi non riuscirete più a fuggire, né la vostra voce sarà così alta che qualcuno possa venire a salvarvi!'”

ROUND ROBINLa Round Robin

nasce nell'autunno del 2004dall'idea di giovani studenti

universitari, con l'ideadi costituire un nuovo

soggetto editorialeindipendente in grado d

entrare nel mondodell'informazione

con un giornale on line– rivistonline.com –

e con la pubblicazionidi romanzi e saggi

di giovani promessedella letteratura

italiana e straniera.Costituitasi come società

editrice nel maggioos 2005,vanta la produzione di un catalogo con titoli che ri-

scuotono un discreto successo nelle librerie.Oltre alla produzione di

romanzi e saggi, nelle collane “Parole inviaggio”,

“Fuori rotta”, “Fari”,“Corsari”, la casa

editrice continua aproporre ai suoi lettoritemi di stretta attualità

inaugurando lapubblicazione di una

serie di Graphic novel,certi dell'importanza

di sperimentarenuovi linguaggi.Fumetti dedicati

agli eroi dell'antimafiaprendono vita nellacollana “Libeccio”,in collaborazione

con l'associazione“DaSud onlus”.

|| 8 agosto 2010 || pagina 10 || www.ucuntu.org ||

Page 11: Ucuntu n.83

Pacifismo Pacifismo

Nonviolenza:intervista aDacia Maraini

Come è avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?

Sono cresciuta in una famiglia che abor-riva la guerra, che ha fatto una coraggiosa scelta pur di non aderire al nazifascismo, per cui ci siamo fatti due anni di campo di concentramento in Giappone. La nonvio-lenza l'ho bevuta col latte materno.

Quali personalità della nonviolenza hanno contato di più per lei, e perché?

Come prassi, l'ho detto, i miei genitori. Come ideali, anche dei miei, Gandhi, Ma-dre Teresa di Calcutta, I medici Sans Fron-tieres, i medici a piedi scalzi, Emergency, Amnesty international.

Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe op-portuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?

Intanto si dovrebbe dire che, salvo alcuni rari casi, tutti i grandi romanzieri sono stati contro la guerra e contro la violenza. Anche coloro che l'hanno cantata la guerra, come ha fatto Omero, ne hanno mostrato l'orrore e la miseria. Comunque consiglierei agli studenti di leggere Tolstoj, Hermann Hesse, Bertolt Brecht, Tiziano Terzani, Renata Vi-ganò e il suo bellissimo L'Agnese va a mo-rire, Anna Maria Ortese: Il mare non bagna Napoli, Lalla Romano: Maria.

Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia le sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con più impegno?

Si può intendere la violenza come fatto collettivo e nazionale: la guerra. Si può in-tendere invece come fatto personale: lo stu-pro, le botte, la schiavitù della prostituzio-ne. tutti coloro che combattono contro que-sti fenomeni, sia che lo facciano come im-segnanti nelle scuole, sia come suore e mo-

naci, sia come volontari laici, sia come fon-datori di case per le donne picchiate, sia come medici di frontiera, sia come magi-strati che applicano coraggiosamente la leg-ge, combattono praticamente contro la vio-lenza.

In quali campi ritiene più necessario ed urgente un impegno nonviolento?

Comincerei con l'esercito e i volontari. Finché non si sfata il mito della guerra e della violenza ci saranno sempre pericoli.

Quali centri, organizzazioni, campagne segnalarebbe a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?

Ce ne sono molti. gli direi comunque di informarsi, di andare a vedere e poi sceglie-re.

Come definirebbe la nonviolenza, e quali sono le sue caratteristiche fonda-mentali?

La nonviolenza secondo me si basa su due condizioni essenziali: rispetto per l'al-tro e sviluppo dell'immaginazione. Non è il cuore ma l'immaginazione che ci fa capire le sofferenze altrui e ci spinge ad agire.

Quali rapporti vede tra nonviolenza e femminismo?

Le donne hanno subito storicamente e continuano in molti casi a subire violenze terribili, basti pensare alle migliaia di don-ne ferite, picchiate in famiglia, alle donne uccise dai loro partner e questo succede an-che nei paesi industrializzati che si preten-dono emancipati. Per tutti questi motivi le donne sono più sensibili ai temi della non-vioalenza e direi che sono istintivamente dalla parte di chi la pratica.

Quali rapporti vede tra nonviolenza ed ecologia?

È una questione di cultura. Chi difende il territorio e l'integrità dell'ambiente non può

non stare dalla parte della pace e della non-violenza.

Quali rapporti vede tra nonviolenza, impegno antirazzista e lotta per il ricono-scimento dei diritti umani di tutti gli es-seri umani?

L'ho già detto: non si tratta di un senti-mento ma di una cultura, di una scelta pre-cisa che deriva da conoscenza, consapevo-lezza e responsabilità.

Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotta antimafia?

Mi sembra evidente: la mafia coltiva la violenza, anzi direi che è la sua arma prefe-rita, quindi essere contro la mafia vuol dire essere contro la violenza.

Qualcuno sostiene che la severità contro i crimini possa essere interpretata come un'altra forma di violenza. Ma direi che sbagliano. La violenza è sempre l'imposizione del più forte sul più debole, mentre il rigore della legge colpisce il più forte in nome del più debole.

Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte del movimento dei lavoratori e delle classi sociali sfruttate ed oppresse? E tra nonviolenza e lotte di liberazione dei po-poli oppressi?

Ho già risposto prima.Quali rapporti vede tra nonviolenza e

pacifismo?Sono due facce della stessa medaglia.Come caratterizzerebbe la formazione

alla nonviolenza?Bisognerebbe cominciare dalle scuole

primarie, portando i bambini a riflettere sui temi della nonviolenza, leggendo libri che insegnino a rifiutare la violenza, ma sopra-tutto insegnando loro il rispetto dell'altro sempre e in qualsiasi condizione.

Paolo Arena e Marco GraziottiViterbo oltre il muro

|| 8 agosto 2010 || pagina 11 || www.ucuntu.org ||

“Sono cresciuta in una famiglia che aborriva“Sono cresciuta in una famiglia che aborriva la guerra...”la guerra...”

Page 12: Ucuntu n.83

Libri Libri

In libreriaAntonio MazzeoI Padrini del Ponte.Affari di mafiasullo strettodi MessinaPrefazione diUmberto Santino

Dall’Introduzione:Speculatori locali o d’oltreoceano; faccendieri di tutte le latitudini; piccoli, medi e grandi trafficanti; sovrani o aspiranti tali; amanti incalliti del gioco d’azzardo; accumulatori e dilapidatori di insperate fortune; frammassoni e cavalieri d’ogni ordine e grado; conservatori, liberali e finanche ex comunisti; banchieri, ingegneri ed editori; traghettatori di anime e costruttori di nefandezze. I portavoce del progresso, i signori dell’acciaio e del cemento, mantengono intatta la loro furia devastatrice di territori e ambiente. Manifestazioni di protesta, indagini e processi non sono serviti a vanificarne sogni e aspirazioni di grandezza. I padrini del Ponte, i mille affari di cosche e ’ndrine, animeranno ancora gli incubi di coloro che credono sia possibile comunicare senza cementificare, vivere senza distruggere, condividere senza dividere.

Agli artefici più o meno occulti del pluridecennale piano di trasformazione territoriale, urbana, ambientale e paesaggistica dello Stretto di Messina, abbiamo dedicato questo volume che, ne siamo consapevoli, esce con eccessivo ritardo. Ricostruire le trame e gli interessi, le alleanze e le complicità dei più chiacchierati fautori della megaopera, ci è sembrato tuttavia doveroso anche perché l’oblio genera mostri e di ecomostri nello Stretto ce ne sono già abbastanza. E perché non è possibile dimenticare che in vista dei flussi finanziari promessi ad

una delle aree più fragili del pianeta, si sono potuti riorganizzare segmenti strategici della borghesia mafiosa in Calabria, Sicilia e nord America. Forse perché speriamo ancora, ingenuamente, che alla fine qualcuno

avvii una vera inchiesta sull’intero iter del Ponte, ricostruendo innanzitutto le trame criminali che l’opera ha alimentato. Chiarendo, inoltre, l’entità degli sprechi perpetrati dalla società Stretto di Messina. Esaminando, infine, i gravi conflitti d’interesse nelle gare d’appalto ed i condizionamenti ideologici, leciti ed illeciti, esercitati dalle due-tre famiglie che governano le opere pubbliche in Italia.Forse il recuperare alla memoria vicende complesse, più o meno lontane, potrà contribuire a fornire ulteriori spunti di riflessione a chi è

chiamato a difendere il territorio dai saccheggi ricorrenti. Forse permetterà di comprendere meglio l’identità e la forza degli avversari e scoprire, magari, che dietro certi sponsor di dissennate cattedrali nel deserto troppo spesso si nascondono mercanti d’armi e condottieri delle guerre che insanguinano il mondo. È il volto moderno del capitale. Ribellarsi non è solo giusto. È una chance di sopravvivenza.

Scheda autoreAntonio Mazzeo, militante ecopacifista ed antimilitarista, ha pubblicato alcuni saggi sui temi della pace e della militarizzazione del territorio, sulla presenza mafiosa in Sicilia e sulle lotte internazionali a difesa dell’ambiente e dei diritti umani. Ha inoltre scritto numerose inchieste sull’interesse suscitato dal Ponte in Cosa Nostra, ricostruendo pure i gravi conflitti

d’interesse che hanno caratterizzato l’intero iter progettuale. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006 Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa).

|| 8 agosto 2010 || pagina 12 || www.ucuntu.org ||

Page 13: Ucuntu n.83

Sport Sport

|| 8 agosto 2010 || pagina 13 || www.ucuntu.org ||

Page 14: Ucuntu n.83

Appuntamenti Appuntamenti

Le cinquegiornate

di Messina

Consequenze in collabora-zione con Libera, NoPonte, As-sociazione antimafie Rita Atria, NoTav, Energia Messinese, Blindsight Project, LaSpecula.-com con la partecipazione delle Compagnie teatrali Daf, Tea-tr02, Luna Obliqua, Peppino Impastato e degli Attori Indi-pendenti per le 5 Giornate pre-senta "Le 5 Giornate di Messi-na - Il Tempo Nuovo dalla li-bera espressione artistica di te-stimonianza sociale".

Dal 27 al 31 Agosto 2010 Messina ospita dunque uno straordinario appuntamento di teatro, musica , fotografia e im-pegno sociale e civile.

Tantissimi ragazzi daranno vita a una kermesse artistica unendosi alla popolazione per dare vita a un tempo nuovo.

Con questa manifestazione prende vita un grande progetto per il recupero degli spazi espressivi e democratici indispensabi-li per costituire una consistente piattaforma di sviluppo e di crescita collettiva.

Oltre 100 ragazze e ragazzi tra i 15 e i 27 anni scendono in strada per rappresentare con vitalità e passione il profondo desiderio di essere protagonisti di un tempo nuovo. Metteranno in campo la loro forza espressi-va per manifestare con responsabilità, l’esi-genza non più rimandabile di ricoprire un ruolo centrale e decisivo nel governo del futuro di questo Paese.

Da Messina verrà lanciato un messaggio forte fondato sul lavoro, sulla cultura e sul-l’identità, e sarà un segnale limpido e determinato affinché Istituzioni e Partiti po-

litici evadano da una sterile conflittualità per porsi in ascolto delle istanze che pro-vengono dalla cittadinanza.

Il lavoro di questi giovani è fatto di pre-senza e di impegno, di dignità e coraggio. Si ispira al primo Articolo della nostra Co-stituzione e oltrepassa le appartenenze per riappropriarsi di diritti fondamentali e di valori, quali quelli della legalità, della soli-darietà e dell’uguaglianza.

Tutti coloro che partecipano attivamente alla riuscita di questo evento sono consape-voli che non esiste futuro senza riferimenti culturali solidi e condivisi. L’identità che rivendicano non si limita alla realtà territo-riale e non segue indirizzi localisti, ma viene affermata con chiarezza nei principi che alimentano il loro entusiasmante

progetto.L’Italia è lacerata da una

straziante crisi morale, in cui rischiano di venir meno molti dei riferimenti essenziali per la convivenza pacifica.

Le 5 Giornate di Messina na-scono da una grande iniziativa popolare e giovanile che con orgoglio sceglie di battersi per contribuire alla rinascita anche etica del Paese.

L’adesione a questo appunta-mento non può e non deve fer-marsi all’atto di presenza, così come il progetto complessivo che parte dallo Stretto non si esaurisce nei cinque giorni di rappresentazioni e di incontri.

Tutti i ragazzi de Le 5 Giornate chiederanno a Istituzioni ed Enti Locali la

gestione autonoma di teatri dismessi o non utilizzati, in quanto spazi espressivi e aggregativi capaci di essere punti di riferimento per le comunità. Una proposta che di certo non si ferma al solo aspetto artistico ma vuole diventare uno strumento di socialità e di formazione, per valorizzare le potenzialità presenti nei territori e creare nuove opportunità di lavoro, anche riducendo le distanze tra entità produttive, distribuzione e consumo.

Il tempo nuovo non è un processo solo stabilito dallo scorrere degli anni, ma spes-so è determinato dai sentimenti, dai sogni e dalla volontà popolare.Info e adesioni:le5giornatedimessina@consequenze.orgwww.consequenze.org392.5398886

|| 8 agosto 2010 || pagina 14 || www.ucuntu.org ||

Teatro, musica, cultura, NoPonte: Messina giovane comincia a venir fuoriTeatro, musica, cultura, NoPonte: Messina giovane comincia a venir fuori

Page 15: Ucuntu n.83

Appuntamenti Appuntamenti

Il Festivaldi giornalismo

del “Clandestino”

L’idea di un Festival del Giornalismo nasce dal desiderio di pro-muovere, a Modica, la conoscenza del panora-ma informativo aziona-le, con particolare at-tenzione al mondo gior-nalistico siciliano. Fi-gure di spicco hanno, infatti, segnato la storia del giornalismo in Sici-lia, sia per la loro inces-sabile ricerca della veri-tà, portata avanti con un’attenta dedizione al mestiere, sia per le loro tragiche vicende. Gior-nalisti come Giovanni Spampinato e Pippo Fava, spesso dimentica-ti nell’indifferenza della società, devono invece servire da monito in un contesto difficile come quello che si profila in Italia. Proprio a queste due figure abbiamo dedicato due giorni del nostro Festival.

A Pippo Fava e al cambiamento dello scenario informativo in Sicilia è dedicata un nostro incontro:

Riccardo Orioles, Marco Benanti, Fran-cesco La Licata e Antonello Mangano rac-conteranno la loro esperienza sul campo e ci aiuteranno a comprendere meglio l’idea del "giornalismo etico" di Fava. Sarà inol-tre proiettato un video di Pino Finocchiaro dedicato alla sua figura e saranno presenti

anche i figli Elena e Claudio Fava.“Giovanni Spampinato: la vicenda oscura

di un giornalista ragusano” è invece l’argo-mento della nostra seconda conferenza, che prevede l’intervento del fratello Alberto Spampinato, dei giornalisti Carlo Ruta e Roberto Rossi (con la presentazione del-l’ultimo libro di Rossi)

Per guardare al panorama nazionale e al-l’attuale fase di polemiche e malcontenti che riguarda il mondo della stampa,

abbiamo invitato i giornalisti Franco Fracassi e Bruno Tinti. All’incontro sulla libertà d’informazione sarà presente anche il sostituto procuratore di Palermo, Antonio Ingroia, che fornirà senz’altro un’ulteriore momento di grande interesse culturale. Inoltre avremo la presenza dei Procuratori di Modica e Gela, Puleio e Lotti.

Un intero pomeriggio del festival sarà inoltre dedicata ai numerosi progetti editoriali giova-nili: un forum consenti-rà di conoscere tutte le nuove realtà siciliane impegnate nella comu-nicazione. Al forum se-guirà l’intervista al gior-nalista Walter Molino.

Saranno poi istituiti due workshop, giornalismo fotografico e giornalismo d’inchiesta, con due docenti qualificati Franco Fracassi e Simone Donati, mentre la sera lasceremo spazio a musicisti e artisti locali, come Davide Di Rosolini, il quintetto jazz a cura di Giuseppe Scucces, Salvatore Rendo, Pietro Giunta, Armando Barni ed Ennio Maltese e a momenti teatrali con Fatima Palazzolo, Riccardo Tona e Leandro Medica.

Il Clandestino

|| 8 agosto 2010 || pagina 15 || www.ucuntu.org ||

Modica: giornalisti indipendenti da tutta Italia con la giovane e combattiva rivista ibleaModica: giornalisti indipendenti da tutta Italia con la giovane e combattiva rivista iblea

Page 16: Ucuntu n.83

Mafia e politicaMafia e politica////Prima della P3Prima della P3

Chi sonoi piduisti siciliani

I Siciliani, aprile 1985

Chi sono i piduisti siciliani? Che fine hanno fatto? Che cosa facevano? E soprat-tutto: a che cosa serviva un'organizzazione come la P2 in terra di mafia?

Ufficialmente, il catalogo della P2 in Si-cilia consta di trentadue nomi, diligente-mente aggiornati in un apposito registro ("Gruppo 1, Bellassai") dal capogruppo per la Sicilia Bellassai. Ma in realtà, sono molti di più.

Dalle liste sequestrate a Gelli e dagli al-tri documenti in possesso della Commis-sione Anselmi, risulta infatti che i piduisti operanti in Sicilia erano almeno centosei (vedi elenco).

Altri sessantasette (la cifra è largamente parziale) erano invece i piduisti di origine siciliana operanti in campo nazionale. Fra essi, personaggi di primissimo piano nelle varie trame eversive, come il banchiere Sindona, il magistrato Spagnuolo, i gene-rali Giudice, Miceli e Musumeci.

Particolare significativo, ai piduisti sici-liani venivano spesso affidati incarichi di particolare responsabilità nell'organizza-zione anche al di fuori della regione di provenienza: il fondamentale settore pie-montese, ad esempio, era affidato al sici-liano Ioli.

Erano siciliani ben venti dei componenti del "gruppo centrale", personalmente diret-to da Gelli, che raggruppava gli affiliati meglio inseriti nelle istituzioni. E così via.

* * *In conclusione, un affiliato su sei alla P2

o era siciliano od operava in Sicilia: di

gran lunga il gruppo regionale più consi-stente dopo quello toscano, che era peral-tro alimentato da una tradizione e un radi-camento massonici "ufficiali" infinitamen-te maggiori.

Altro particolare significativo: la maggior parte dei piduisti siciliani non viene dalle province di più antica (e libera-le) tradizione massonica come Messina e Siracusa, ma dalle province "nuove" di Pa-lermo, Trapani e Catania.

Quanto ai singoli personaggi, è inutile dilungarsi sul ruolo - per esempio - di un Sindona: banchiere della mafia, l'uomo era anche - per usare le parole del giudice Tu-rone - "il grande mediatore di un'associa-zione segreta"; l'intervento delle Famiglie mafiose palermitane e americane è decisi-vo e costante in tutte le sue operazioni, e così pure i contatti con i grandi imprendi-tori siciliani.

Un altro piduista siciliano, Musumeci, era al centro del gruppo eversivo che ma-novrava di fatto - secondo le risultanze della Commissione Parlamentare d'inchie-sta - il servizio segreto SISMI, dava coper-tura agli autori delle più efferate stragi ter-roristiche e utilizzava uomini come Pa-zienza e Carboni in contatto, a loro volta, con i rappresentanti delle Famiglie mafiose (Calò, ed altri); altri boss mafiosi (ad esempio Santapaola) ricorrono in vicende in qualche maniera legate alle attività di Musumeci.

Un altro piduista siciliano, il generale Giudice, amico dell'imprenditore siciliano

Rendo, è il protagonista di uno scandalo, il MiFoBiali, che si può considerare la prima grossa apparizione della P2.

Si potrebbe continuare. Ma forse a que-sto punto i dati sono sufficienti per una prima sommaria analisi, che è la seguente: nelle liste della P2, la componente "sicilia-na" quantitativamente è seconda solo a quella toscana e qualitativamente non lo è a nessun'altra.

* * *La situazione è ancora più chiara se dal-

le liste "ufficiali" della P2 si passa ad altri strumenti operativi di cui Gelli si serviva con almeno altrettanta frequenza. Per esempio, il tabulato-agenda di 994 nomi sequestrato nella villa di Gelli a Castiglion Fibocchi e messo agli atti della Commis-sione Anselmi sotto la dizione "reperto 2/B".

Qui, ai nomi che compaiono nelle liste se ne aggiungono altri non meno signi-ficativi; fra i siciliani, la novità più impor-tante è data dalla presenza dell'industriale catanese Rendo, di cui s'è largamente rife-rito sull'ultimo numero del giornale. Ma che credibilità ha questa agenda, e in che termini entravano, i nomi in essa elencati, nell'organizzazione di Gelli?

* * *E' presto per dare una risposta certa alle

due domande. Ma, dall'analisi del docu-mento, emergono incontestabilmente alcu-ni punti che possono fin d'ora essere dati per certi.

Primo. L'agenda rivestiva nella mente di

|| 8 agosto 2010 || pagina 16 || www.ucuntu.org ||

Ben 25 anni fa dalle pagine de I Siciliani di Giuseppe Fava partiva unaBen 25 anni fa dalle pagine de I Siciliani di Giuseppe Fava partiva una denuncia tornata improvvisamente d'attualità: dietro gli omicidi di mafia,denuncia tornata improvvisamente d'attualità: dietro gli omicidi di mafia, come quello di Dalla Chiesa, c'era un progetto politico eversivo. Attuato?come quello di Dalla Chiesa, c'era un progetto politico eversivo. Attuato?

Page 17: Ucuntu n.83

Mafia e politicaMafia e politica////Prima della P3Prima della P3

Gelli un'importanza estrema, e il suo con-tenuto doveva essere tenuto assolutamente segreto. L'agenda veniva infatti conservata in cassaforte e c'era l'ordine espresso, per i collaboratori di Gelli, di controllare che vi fosse rimessa al termine di ogni giornata di lavoro. Questo si evince, fra l'altro, dalla deposizione resa il 21 maggio 1981 alla Procura bresciana dalla segretaria persona-le di Licio Gelli, Carla Venturi: "Quanto all'uso dell'agenda con l'indirizzario, il commendatore l'adoperava direttamente. Quando lui era assente la tenevo in cassaforte". La deposizione viene confermata davanti alla Commissione Anselmi il 16 settembre 1982.

Secondo. Rispetto alle varie liste P2, l'indirizzario dell'agenda è più recente e più "operativo", nel senso che viene più frequentemente aggiornato e dunque utiliz-zato per contatti correnti.

Terzo. Le liste della P2 (riportate, nella Relazione Anselmi, nel libro primo tomo primo a pagine 803-874 e 885-942 e nel li-bro primo tomo secondo a pagine 213 e se-guenti e 1126 e seguenti) contengono in totale 953 nomi.

Di essi, ben 464 compaiono anche nel tabulato-agenda "2/B". Questi 464 nomi sono accuratamente selezionati (militari, funzionari imprenditori, ecc.): il loro peso nelle istituzioni è in media decisamente maggiore di quello dei piduisti esclusi dal tabulato-agenda.

Quarto. I 464 piduisti che compaiono nel tabulato-agenda "2/B" non solo sono in

media più "importanti" degli altri; ma co-stituiscono anche il nucleo centrale attorno al quale il tabulato-agenda viene successi-vamente composto.

Ciò è suggerito dalle dichiarazioni della Venturi ("L'agenda è stata scritta a macchi-na mediante trascrizione da un'altra agen-da", Commissione Anselmi, data citata), ma è indubitabilmente provato dal fatto che molto spesso intere sequenze di nomi tratti dalle liste P2 vengono riportati pari pari nel tabulato-agenda, nell'identico ordi-ne (non strettamente alfabetico) e persino con la stessa divisione in pagine: a partire da queste sequenze, e in generale dall'elen-co dei piduisti "scelti", il tabulato è stato costruito per successive aggiunte.

Ed è logico pensare che i nomi successi-vamente aggiunti siano stati scelti in base a caratteristiche comuni a quelli del nucleo iniziale: a cominciare dalla disponibilità, quantomeno potenziale, ad essere coinvolti in iniziative "non ufficiali".

* * *Tutto questo per dire che il meccanismo

piduista, in Italia e quindi in Sicilia, non si limita semplicemente alle liste P2 fin qui riconosciute. Esso, ad anni di distanza, non è noto che in parte; ma non è impossibile, attraverso l'analisi delle connessioni, rico-struirne altre parti. Il tabulato-agenda "2/B" è quantomeno uno strumento fonda-mentale per questa ricostruzione.

Quanto alla Sicilia, abbiamo visto la connessione che almeno in un caso - quel-lo del cavalier Mario Rendo -è stato possi-

bile ipotizzare, sulla base di questo docu-mento, fra le attività di Gelli e quelle di soggetti ufficialmente estranei al mondo della P2.

Ma connessioni possono essere istituite anche in altri casi. Per esempio, almeno cinque piduisti siciliani compaiono anche fra i massoni affiliati (vedi elenco) "all'o-recchio" del gran maestro Corona, in via del tutto anomala e riservata; sarebbe inte-ressante sapere da che cosa è motivata, nel caso dei non-piduisti, questa strana riser-vatezza.

* * *Una connessione ancor più inquietante è

data dalla presenza del capogruppo della P2 per la Sicilia, Salvatore Bellassai, nella loggia segreta "I Normanni di Sicilia", operante a Palermo (sede ufficiale, Mon-reale) dagli anni '50 fino al 13 novembre 1979.

Il carattere di riservatezza di questa loggia era tale che i suoi affiliati si cono-scevano solo tramite pseudonimi (quello di Bellassai era "Saba"); anche qui, non si sa perché ci fosse bisogno di tanta segretezza.

Dei "Normanni di Sicilia" s'ignora infatti praticamente tutto, salvo il fatto che opera-vano su un terreno - quello delle associa-zioni paramassoniche palermitane - che dal dopoguerra in poi è stato il luogo privile-giato d'incontro di gran parte della classe dirigente siciliana.

Ancora, sono noti i rapporti fra le opera-zioni "piduiste" finora note in Sicilia (rapi-mento Sindona) e i gruppi paramassonici

|| 8 agosto 2010 || pagina 17 || www.ucuntu.org ||

Page 18: Ucuntu n.83

Mafia e politicaMafia e politica////Prima della P3Prima della P3

autonomamente e da lungo tempo operanti nell'Isola, come la Camea di Michele Barresi e Joseph Miceli Crimi (più volte incontratosi con lo stesso Gelli per concordare insieme le iniziative da prendere): rispetto a costoro la P2, in Sicilia, aveva ben poco di nuovo da insegnare.

Si tratta di gruppi con alle spalle una lunga tradizione di influenza non solo sulla politica siciliana, ma su quella nazionale: basti dire che viene dalla Sicilia, negli anni 50-60, l'iniziativa per l'unificazione fra le varie e disperse famiglie massoniche italia-ne e per il collegamento fra esse e le po-tenti centrali massoniche degli Stati Uniti (protagonisti dell'operazione, l'agente dei servizi segreti americani Frank Gigliotti e il principe siciliano Giovanni Alliata di Montereale, poi entrato nella P2).

Altri nominativi, che non compaiono ne-gli elenchi della P2, sono tuttavia in qual-che maniera correlati con essi, e come tali oggetto d'indagine della Commissione An-selmi.

Abbiamo già parlato dell'ex-presidente della Regione D'Acquisto, non piduista ma in grado di garantire per i piduisti; non è difficile credere che i casi analoghi al suo, nelle istituzioni e nell'economia regionali, siano tutt'altro che rari.

E non è azzardato presumere che molte decisioni importanti per le istituzioni e per l'economia siciliane siano passate - quanto meno, a titolo di mediazione - all'interno di "punti d'incontro" occulti di varia natura:

non esclusivamente siciliani, ma soprattut-to siciliani.

* * *In un'economia assistita, come quella si-

ciliana, e in una classe politica casuale, come quella siciliana, un sistema di potere occulto come quello di cui parliamo fini-sce per essere di fatto l'unico potere in gra-do d'imporre le sue scelte. Se questo è vero, trovano una spiegazione non sola-mente le - apparentemente irrazionali - contorsioni del "modello di sviluppo", eco-nomico e politico, siciliano; ma anche l'improvvisa e del tutto anomala crescita di tutta una serie di singoli personaggi, finan-ziari e politici, che di questo modello sono insieme i padroni e i beneficiari.

Da Scelba in poi, nessun uomo di partito siciliano ha più raggiunto - nel bene o nel male - una statura politica di rilevanza na-zionale; eppure, il peso delle lobbies "sici-liane" nei vari partiti e nel complesso degli apparati dello Stato è andato via via cre-scendo, fino a farsi su certe questioni de-terminante; ed ha raggiunto l'acme negli ultimi tre anni.

Sulle esattorie dei Salvo, praticamente, è caduto un governo; si è fatto, e con succes-so, quadrato a Roma per non dare i poteri a Dalla Chiesa; l'affaire Calvi - cioè, l'affaire Sindona - ha sconvolto l'assetto bancario sul piano nazionale; sulle vicende d'una Procura di provincia, come quella catane-se, sono pesantemente intervenuti i vertici nazionali di determinati partiti; e così per sabotare un'inchiesta di mafia, come quella

del giudice Palermo. Tutto questo è ben strano.

E, in tema di mafia: l'unico dato di fondo realmente certo, al di là del polverone, è che da alcuni anni a questa parte la mafia esegue dei delitti politici; non solo, ma li mette al centro della propria azione, anche a discapito della sicurezza di attività più lucrose (vedi omicidio Dalla Chiesa); in nome di quale superiore interesse?

C'è un progetto politico, evidentemente. C'è un progetto e un partito, un "partito" modernissimo e arcaico, coi suoi collega-menti, i suoi obiettivi, la sua organizzazio-ne.

Un "partito" che solo parzialmente cor-risponde al ceto politico-mafioso degli anni Cinquanta e Sessanta, ma che ha svi-luppato un salto di qualità parallelo a quel-lo segnato - sul piano più strettamente cri-minale - dalla mafia con la conquista del mercato della droga. Numerosi elementi insospettabili, apparentemente isolati, si ri-collegano alle attività mafiose proprio at-traverso la mediazione del progetto e del "partito".

* * *"Coerentemente alle dichiarazioni televi-

sive del Presidente della Repubblica sulla massoneria propriamente detta e la loggia P2, distinguendo fra la massoneria storica tradizionale e l'attuale massoneria italiana, La invito ad operare in riferimento alla nuova legge sulle società segrete e nel ri-spetto dell'articolo 18 della Costituzione italiana per ampia pubblicità dei nomi dei

|| 8 agosto 2010 || pagina 18 || www.ucuntu.org ||

Page 19: Ucuntu n.83

Mafia e politicaMafia e politica////Prima della P3Prima della P3

diciottomila affiliati come risultante dagli archivi sequestrati. La mancata pubblicità di tali nominativi provoca un'attenuazione della credibilità politica dei lavori della Commissione Parlamentare P2, essendo la massoneria il presumibile contesto natura-le ed operativo dell'attività di detta loggia. L'opinione pubblica italiana richiede una democratica ed ampia informazione sui nomi degli affiliati alla massoneria al fine di fugare ogni sospetto sicuramente infon-dato su collegamenti di avallo e copertura a tutti i livelli passati e presenti a partire da componenti della stessa Commissione Par-lamentare".

* * *Quando la commissione parlamentare

sulla P2 cercava - senza molto successo - di farsi dare le liste riservate delle varie massonerie, le arrivò, fra gli altri, anche questo messaggio. Arrivò, non casualmen-te, da Catania, dove in quel momento l'ini-ziativa della mafia - non solo di quella ar-mata - era allo zenith.

Chi l'aveva mandato, Giuseppe D'Urso, esprimeva in fondo un concetto di elemen-tare buon senso: se la mafia "fa politica" e si avvale del segreto, cominciamo a sgom-brare il campo da tutti i segreti più o meno artificiali che possono nascondere ogni cosa; facciamo un po' di luce, e lavoriamo.

Ma, a qualche anno da allora, le organiz-zazioni segrete, in Sicilia come altrove, continuano a rimanere segrete: le logge in-nocue, e quelle di potere.

Gli episodi di potere occulto (e mafioso)

su cui, del resto, si hanno informazioni specifiche son ormai vecchi di di vari anni. Il tentato "golpe" siciliano di Sindona (in realtà un congegno per coinvolgere funzio-nari dello Stato, notabili politici e militari in un più terreno disegno di ristrutturazio-ne dei poteri), per esempio, è del '79.

Non si sa assolutamente che cosa abbia-no fatto e che evoluzione abbiano subito, nei sei anni trascorsi da allora, le forze - soprattutto imprenditoriali - evocate in quell'occasione. Ai primi anni Ottanta ri-salgono, secondo le conferme di Buscetta, le operazioni mafioso-piduiste di Pazienza e Calò. Ma siamo nell'85: cos'è successo nel frattempo?

* * *Quando scoppiò il caso P2, il vertice

della piramide - veramente, l'Anselmi par-la di due piramidi, collegate in un punto - coincideva ancora, almeno ufficialmente, con la persona di Gelli: ma adesso? La P2, o meglio il disegno affaristico-eversivo che nella P2 aveva uno degli strumenti, ai tempi di Bellassai contava in Sicilia su centosei nomi: ma adesso?

E per quanto riguarda Catania: nell'ago-sto '79 gli uomini di Sindona potevano contare, in qualche modo, sull'amicizia del cavaliere Graci: i loro omologhi del 1985, sono ancora fermi a Graci?

A Torino, nel processo per le tangenti (un processo, in buona sostanza, contro la P2), contro il principale testimone d'accusa si preparava un attentato di mafiosi catanesi...

Di esempi, se ne potrebbero fare tanti. Il fatto è che dall'epoca del MiFoBiali, della prima P2 e di Sindona, il peso dei poteri occulti non è diminuito ma è andato cre-scendo; la "politicizzazione" della mafia siciliana non si è affievolita ma è aumenta-ta; la presenza - in particolare - di "catane-si" fra un meccanismo e l'altro si è fatta sempre più consueta. Quest'ultimo dato, in particolare, merita una riflessione.

* * *Catania ha una strana storia criminale.

La mafia catanese, che oggi è probabil-mente se non la più forte la più attiva, di-venta mafia - da malavita di contrabban-dieri - in epoca relativamente recente; ana-logamente, l'imprenditoria mafiosa catane-se è molto posteriore rispetto a quella pa-lermitana, e di molto più rapida accumula-zione.

L'una e l'altra, nel giro di circa tre anni - dal '79 all'81 - assumono una posizione di primissimo piano, scalzando in diversi casi le corrispondenti forze "palermitane" e non subendone contraccolpi degni di rilievo.

Qual è il fattore che ha favorito questa così rapida trasformazione? E quale quello che ha garantito questa inspiegabile "im-munità" (Dalla Chiesa: "...da Catania va alla conquista di Palermo...")?

Le domande fondamentali, forse, oramai sono queste. Domande catanesi ma rispo-ste - in buona parte - probabilmente anche romane.

Giuseppe D'Urso eRiccardo Orioles

|| 8 agosto 2010 || pagina 19 || www.ucuntu.org ||

Page 20: Ucuntu n.83

SatiraSatira

MorizziC'era una volta

“In verità vi dico: a quel tempo esisteva un Sindacato...”

«La Confraternita è al completo?»«Sì, Grande Anziano, lo è.».«Anziano, sei tu presente?»«Sì, Grande Anziano»«Neofita Apprendista, sei tu presente?».« Sì, Grande Anziano, sono in attesa.»«E tutti voi dei nobili Gradi intermedi

della nostra Sacra Confraternita, siete tutti presenti?».

«Sì, Grande Anziano, siamo presenti. Pronunciati, Grande Anziano, raccontaci dell’altro tempo.»

« Per l’ultima volta, Fratelli, mi rivolgerò alla Confraternita: i miei giorni tra voi vol-gono ormai al termine, mi restano soltanto poche settimane. Tu, o Anziano, diverrai al-lora Grande Anziano e sarà tuo il compito di educare i più giovani al ricordo, come prima di me e te fecero tanti altri Anziani.».

«Sia così, Grande Anziano. Ma ora ram-menta, Grande Anziano, e insegna: quando avvenne la caduta? Cosa ci ridusse nell’an-gustia? ».

«Non accadde improvvisamente: accecati dalla stoltezza, abituati alla libertà, convinti della nostra invulnerabilità e della nostra forza, non ci rendemmo conto che, giorno per giorno, il male diffondeva le sue cellule maligne. Quando cominciammo a com-prenderlo era ormai troppo tardi, il morbo s’era diffuso, ed era incontrollabile. Da al-lora cercammo di resistere, con poche forze e ancor minore convinzione, ma fummo so-praffatti, i più si ritirarono nell’indifferen-za. E cominciò la rovina.».

«Racconta, Grande Anziano, tu conosce-sti il mondo di prima.».

«Sì, io conobbi quel mondo».«Uomo fortunato tu sei, Grande Anzia-

no.».«Non dir così! - non farmi alzare la voce,

ci possono sentire - Non sai di cosa parli, mio giovane Fratello: possa tu non cono-scere mai quella vita il cui domani sia sem-pre peggiore dell’oggi. Neofita, in te alber-ga la speranza che mai muore nei cuori bel-li, a me solo il lontano ricordo resta.».

«Racconta, Grande Anziano, come vive-vano coloro della mia età?».

«In quel mondo i giovani venivano as-sunti con contratto a tempo indeterminato.».

«E dopo quanti lustri, Grande Anziano?».«Subito, il primo giorno.».

«E’ arduo crederti, Grande Anziano.».«Comprendo, ma così era. E in quei tem-

pi si lavorava dalle nove di mattina alle cin-que del pomeriggio. E se talvolta si rende-va necessario trattenersi oltre, veniva rico-nosciuto lo straordinario.».

«Lo straordinario? Grande Anziano, tu vedesti uno straordinario?»

«Lo vidi».«E com’era, Grande Anziano? Qual era il

suo aspetto?».«Era una riga, in fondo alla busta paga,

dopo le ritenute. Era bello.».«Ripetilo ancora, Grande Anziano. Cosa

poteva accadere se non veniva

corrisposto?».Segui un silenzio gravido di rivelazioni.«Poteva accadere persino uno sciopero ».«Sciopero? Grande Anziano, tu ti burli di

noi!».«No, credetemi, dico il vero.».«Ma come potevate? L’Azienda non fa-

ceva strame di voi? ».«In verità, in verità vi dico: a quei tempi

esisteva un Sindacato.».«Non è una leggenda, allora! Anche mio

nonno ne parlava, ma credevo fosse a cau-sa dell’Alzheimer…»

«Silenzio… dei rumori, laggiù. Sta per passare la ronda. Addio, Fratelli. Il 15 set-tembre andrò in pensione. Ricordate, perse-verate. Sperate. Addio!».

Uscirono rapidamente dai bagni e si spar-pagliarono in diverse direzioni precipitan-dosi ai posti di lavoro. Ma uno di loro fu scorto e fermato da una guardia dotata di frustino.

«Ragionier Morizzi! Lei ha diritto a 10 minuti giornalieri (in due sessioni) per pausa urina e a 6 minuti e 40 secondi per pausa feci (unica sessione, non cumulabile con urina, fatti salvi i quattro giorni di dis-senteria annuali previsti dal contratto inte-grativo). Ragioniere! Cosa faceva nel ba-gno da 10 minuti consecutivi?».

Il Ragioniere si fece minuto, contempla-va la punta delle scarpe.

«Ragioniere! Non ne avrà approfittato per... fumare una sigaretta? Ragioniere! Non rammenta come il fumo sia vietato in Azienda? La salute dei nostri lavoratori è preziosa per noi!» e intanto col frustino batteva il ritmo sulla mano sinistra. Il Ra-gioniere taceva colpevole.

«Voglio essere indulgente, Ragioniere. Ma non succeda più. Per vostra fortuna, alla salute vostra ci pensiamo noi. E ora vada!»

Jack Danielhttp://dajackdaniel.blogspot.com/http://it-it.facebook.com/people/Jack--Daniel/100000731772371

|| 8 agosto 2010 || pagina 20 || www.ucuntu.org ||