Ucuntu n.119

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141011 www.ucuntu.org – [email protected] Sembra che sia arrivato il momento. Fra sei mesi magari torneranno a comandare i gattopardi, quelli che “maledetto Berlusconi, chi ti ha sostenuto?”. Ma per intanto forse gli operai e i ragazzi avranno qualcona da dire, fra la partenza dei vecchi baroni e l'arrivo (se ce la fanno) di quelli nuovi. Proprio il momento giusto per I Siciliani... e e L'appello della società civile L'appello della società civile per il giudice Salvi per il giudice Salvi e e Scidà Per la nomina del nuovo Procuratore della Repubblica a Catania || 14 ottobre 2011 || anno IV n.119 || www.ucuntu.org || Chi va, chi viene LIBERTA' DI TV . Santoro, una mano a Telejato!”

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il numero del 14 ottobre 2011

Transcript of Ucuntu n.119

141011 www.ucuntu.org – [email protected]

Sembra che sia arrivato il momento. Fra sei mesi magari torneranno a comandare i gattopardi, quelli che “maledetto Berlusconi, chi ti ha sostenuto?”. Ma per intanto forse gli operai e i ragazzi avranno qualcona da dire, fra la partenza dei vecchi baroni e l'arrivo (se ce la fanno) di quelli nuovi. Proprio il momento giusto per I Siciliani...

e e L'appello della società civileL'appello della società civile per il giudice Salvi per il giudice Salvi ee Scidà Per la nomina del nuovo Procuratore della Repubblica a Catania

|| 14 ottobre 2011 || anno IV n.119 || www.ucuntu.org ||

Chi va, chi viene

LIBERTA' DI TV . “Santoro, una mano a Telejato!”

Televisioni Televisioni

Telejato e SantoroUna bella notizia dal nuovo sito di

Santoro, www. serviziopubblico.it: in tre giorni hano raccolto circa 400mila euri di donazioni! Un attestato di stima, affet-to e anche voglia di non avere bavagli, di informazione libera.

Ma l'informazione libera (e strangola-ta) c'è anche altrove: per esempio nel cuore della mafia, a Partinico. La fa Pino Maniaci, con Telejato. Picchiato dai ma-fiosi, minacciato sui muri ("W la mafia -

sei lo schifo della terra" - e bara accanto) e alla fine ora pure imbavagliato, colla nuova leggina anti-piccole tv.

E allora? Sentiamo un lettore del Fat-to, "Mario 75": < Il Fatto parteciperà alla realizzazione del nuovo programma di Santoro. Non sarebbe una buona idea quella di creare nell’ambito del pro-gramma una rubrica, un qualsiasi tipo di collegamento con Telejato? >

"Mario 75" non è una persona impor-

tante, e non lo è neanche Pino Maniaci: però l'idea non è male.

Ehi, Santoro, ce lo facciamo un pen-sierino? Se lo merita, il collega Maniaci, uno piccolo spazio nel servizio pubblico oppure no?

(Ma prima che lo facciamo fuori, per favore. Non aspettiamo ogni volta i fu-nerali, come per Mauro, come per Peppi-no…).

Mauro Biani e Riccardo Orioles

|| 14 ottobre 2011 || pagina 02 || www.ucuntu.org || Ucuntu.org/ supplemento telematico a “i Cordai”/ Dirett.respons. Riccardo Orioles, Reg. Trib. Catania 6/10/2006 nº26/ Progetto grafico: Luca Salici e R.Orioles, da un'idea di Piergiorgio Maoloni

Politica Politica

Questimesi

Si preparano i gattopardi. Ma... Si preparano i gattopardi. Ma...

A Barletta le operaie muoiono per 4 euri l'ora. A Torino, per decisione di un tale, se ne va la Fiat. A Roma si discute di molte cose, ma non – soprattutto – di questa. E' la classica uscita all'italiana. Dopo i Bor-boni, Crispi. Dopo Mussolini, Badoglio. E dopo Berlusconi Montezemolo, Letta, un qualunque banchiere o un qualunque im-prenditore. Vent'anni di governo-imprendi-tore di destra, e poi altri venti - secondo loro - di governo-imprenditore di... di che cosa?

Esiste una maggioranza in Italia, che vince nei referendum, vince nei sindaci e vincerebbe alla grande, se la lasciassero votare, in qualunque altra elezione.E' una maggioranza sociale, molto prima che po-litica. Se la politica si adeguerà (Pd, Idv, Sel e compagnia) bene. Se no, questa mag-gioranza farà la sua politica lo stesso. La farà più lentamente, magari con più in-ciampi, ma che la farà – al tempo di inter-net – ormai è fuori discussione.

* * *Parlare dei Siciliani, in un momento

come questo, ha un significato preciso. I Siciliani sono stati una delle primissime voci, e dei primi soggetti militanti, della società civile. Non si parlava delle troie di Berlusconi, a quel tempo, si parlava degli imprenditori mafiosi – e cioé del potere. Se ne parlava direttamente e senza media-zioni, muro contor muro.

Se ne parlava all'interno di un blocco so-ciale preciso, i giovani delle facoltà e delle scuole, il ceto medio più civile, e – per brevi momenti – nel corpo della plebe sici-liana. Pochi operai, poche fabbriche, ma emarginazione e miseria e un'atavica sto-ria, non dimenticata, di ribellioni.

Non era ovvio il legame, a quel tempo, fra le fabbriche del nord e i nostri quartie-ri. Gli operai siciliani in Fiat lottavano come tutti gli altri. Ma tornando in Sicilia trovavano un altro mondo.

Da allora sono passati trent'anni. La ma-fia, il potere mafioso, non è più siciliano. Sta dilagando a Milano, a Roma è nel par-tito di governo. La fabbrica - Marchionne

insegna - non è più la patria intangibile, ma il luogo dell'insicurezza e del non-diritto. “Lavoratore” vuol dire, a nord e a sud, tante cose, ma principalmente non avere un posto fisso e dei diritti legali. Sempre più spesso, “precario” sostituisce “impiegato” e “operaio”.

* * *La lotta radicalissima di trent'anni fa,

contro la mafia imprenditrice e tutto il suo potere è quindi più attuale ancora di prima. Ci manca, quella lotta. Ci manca un'anti-mafia complessiva, terreno per l'unità delle forze - dei giovani, dei precari, di tutti i non-cannibali del Paese - e per un nuovo patto di generazione. Per un nuovo rappor-to col nostro Stato, che dobbiamo difende-re ma che dev'essere nostro, com'era stato fondato. L'antimafia, la militanza antima-fia, la cultura antimafia, il governo antima-fia, in questo preciso senso sono il possibi-le inizio di qualcosa.

* * *I Siciliani era un giornale, e anche Sici-

liani Giovani vuol esser tale. Ma i Siciliani erano molto più di un giornale, erano un punto di partenza ed un motore. E anche noi, ora, vorremmo essere tali. In Sicilia? No. Nel Paese. Da soli? No. In rete con al-tri, con serietà e modestia, tutti insieme.

“Siciliani” per noi non indica un pezzo di terra, una regione, ma il simbolo di una lotta di tutti, il luogo dove la lotta è inizia-ta – ma non dove sarà decisa. A Milano come a Catania, a Modica come a Ovada, in questo siamo tutti Siciliani.

* * *E' terminata la prima fase di progettazio-

ne, e da domani cominciamo a lavorare al numero uno di questo nuovo/antico gior-nale. Rinasce con la rinascita del Paese, nelle stesse settimane e negli stessi mesi. Guarda davanti a sé, senza voltarsi indie-tro. Con una parola di lotta – la Marsiglie-se, i Siciliani – ed una di speranza. Quel giovani è la storia d'Italia, quante volte tra-dita dai patriarchi, quante volte salvata dai giovani senza-potere.

Riccardo Orioles

APPUNTAMENTI

PADRE GRECOGiorno 21 ottobre alle ore 17.00, nella Parroc-chia S. Giuseppe al Pigno a Catania, ci sarà una messa in ricordo di Padre Greco.

|| 14 ottobre 2011 || pagina 03 || www.ucuntu.org ||

Caso Catania Caso Catania

Le associazioni sottoscritte,nel momento in cui vengono da più

parti riportati episodi sconcertanti che coinvolgono fra l'altro aspiranti al posto di procuratore capo al Tribunale di Ca-tania, manifestano la propria preoccupa-zione per la nomina prevista in conse-guenza del pensionamento del Dott. Vin-cenzo D’Agata e sottolineano la necessità che chi assumerà l’incarico riesca final-mente a disvelare e a rendere pubblico l’intreccio fra poteri economici, politici e mafiosi che, anche in campo nazionale, ormai è noto come il “ Caso Catania”.

Come cittadini abbiamo il diritto di spe-rare in un futuro di legalità e giustizia per la nostra città. A questo scopo le Associazioni firmatarie del presente appello, così come già richiesto, auspicano che la nomina a procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Catania ricada su una persona-lità di alto spessore che eserciti l'autonomia della magistratura rispetto al potere politi-co, che sia capace di operare al di fuori del-le logiche proprie del sistema politico-affa-ristico della città, che possibilmente sia del tutto estranea all'ambiente cittadino, che provenga cioè da realtà lontane dall’humus siciliano e catanese in particolare, una per-sonalità che favorisca il riscatto civile della nostra città e che contribuisca a restituirle orgoglio e dignità.

Associazione Centro Astalli, AS.A.A.E., Assoc.CittàInsieme”, Assoc. Domenicani Giustizia e Pace, Laboratorio della Poli-tica Onlus, La Città Felice, Assoc. Stu-dentesca e Culturale "Nike", Comitato NO-TRIV, Assoc. Oltre la Periferica, Li-brino, Punto Pace Pax Christi Catania, Sicilia e Futuro, Associazione Talità Kum

* * *

La Sicilia è la regione dove si trova la maggior economia sommersa del paese, come recenti e qualificati studi hanno evi-denziato, e gran parte dell’imprenditoria cheopera nell’isola usufruisce di complicità o alleanze con le organizzazioni criminali.

La mafia ha esteso da tempo i suoi inte-ressi nell'economia “legale”, dove l'accu-mulazione della ricchezza avviene attraver-so relazioni e attività costruite sulla base del coinvolgimento diretto e dei favori scambiati con potentati economici, politici, professionali.

Si è creato così uno spazio dove lecito e illecito finiscono per entrare in commistio-ne. L'epicentro di questa "area grigia", dove si intrecciano gli interessi di mafia ed eco-nomia, è oggi Catania, come ribadito anche dal Presidente di Confindustria Sicilia.

Una città dove, da anni, diversamente che a Palermo o Caltanissetta, l'azione di con-trasto della Procura è stata assolutamente inefficace. Emblematica, da questo punto di vista, è apparsa la gestione dell’inchiesta che ha coinvolto il governatore Lombardo e il fratello Angelo.

Gli inquirenti si sono divisi sui provvedi-menti da assumere in merito all'esito delle indagini sul Presidente della Regione. Il Procuratore D'Agata, nelle prese di posizio-ne pubbliche, ha dato l’impressione di un evidente imbarazzo e fastidio nei confronti dell’inchiesta; in un'intervista rilasciata a Zermo, sul quotidiano di Ciancio (a sua volta indagato in altro procedimento), sem-bra esprimere contrarietà per le considera-zioni espresse da Ivan Lo Bello sul peso dell'imprenditoria mafiosa a Catania.

Infine, una fotografia pubblicata in questi giorni ha riacceso i riflettori sul “caso Catania”, una vicenda giudiziaria nata dalla denunzia di Giambattista Scidà che lanciò l’allarme di contiguità tra criminalità mafiosa e frange della magistratura etnea.

Alla luce di tutti questi fatti e alla vigilia della nomina del nuovo Procuratore della Repubblica, facciamo appello al Csm affin-ché la Procura di Catania abbia finalmente un Procuratore capo assolutamente estraneo ai giochi di Palazzo e all’intreccio delle poco chiare vicende catanesi. Un magistra-to che non subisca le forti interferenze esterne che hanno condizionato da decenni la direzione della Procura catanese.

Giolì Vindigni, Gabriele Centineo, Mimmo Cosentino, Angela Faro, Santa Giunta, Vincenza Venezia, Salvatore Cuccia, Lucia-no Carini, Giuseppe Di Filippo, Enrico Giuffrida, Lillo Venezia, Claudio No-vembre, Massimo Blandini, Marzia Ge-lardi, Maria Concetta Siracusano, Fran-cesco Duro, Margherita Ragusa, Antonella Inserra, Mario Pugliese, Giovanni Caruso, Elena Maiorana, Tuccio Giuffrè, Rosa Spataro, Paolo Parisi, Marcella Giammusso, Giuseppe Pappalardo, Raf-faella Montalto, Giovanni Grasso, Fede-rico Di Fazio, Claudio Gibilisco, Riccardo Orioles, Elio Impellizzeri, Ignazio Grima, Angelo Morales, Pippo Lamartina, Andrea Alba, Matteo Iannitti, Valerio Marletta,

Marcello Failla, Alberto Rotondo, Riccardo Gentile, Barbara Crivelli,Massimo Malerba, Enrico Mira-bella, Maria Lucia Battiato, Mauro Viscu-so, Sebastiano Gulisano, Aldo Toscano, Anna Bonforte, Grazia Loria, Pierpaolo Montalto, Toti Domina, Fabio Gaudioso, Giovanni Puglisi, Titta Prato, Maria Ro-saria Boscotrecase, Lucia Aliffi, Fausta La Monica, Salvatore Pelligra, Anna In-terdonato, Lucia Sardella, Federica Ra-gusa, Alfio Ferrara, Federico Urso, Paolo Castorina, Giusi Viglianisi, Laura Parisi, Gaetano Pace, Luigi Izzo, Alberta Dionisi, Carmelo Urzì, Pina De Gaetani, Giusi Mascali, Marcello Tringali, Daniela Carcò, Giulia D’Angelo, Alessandro Veroux, Ionella Paterniti, Francesco Schillirò, Francesco Fazio, Tony Fede, Antonio Presti, Luigi Savoca, Salvatore D’Antoni, Alessandro Barbera, Vito Fi-chera, Stefano Veneziano, Pinelda Garoz-zo, Francesca Scardino, Irina Cassaro, Carmelo Russo, Franco Barbuto, Maria Luisa Barcellona, Nicola Musumarra, Angela Maria Inferrera, Michele Spataro, Giuseppe Foti Rossitto, Irene Cummaudo, Carla Maria Puglisi, Milena Pizzo, Ada Mollica, Maria Ficara, Rosanna Aiello, Rosamaria Costanzo, Mario Iraci, Giu-seppe Strazzulla, M. C. Pagana, Vincenzo Tedeschi, Nunzio Cinquemani, Francesco Giuffrida, Maria Concetta Tringali, Maria Laura Sultana, Giovanni Repetto, Giusi Santonocito, Marco Sciuto, Tiziana Cosen-tino, Emma Baeri, Renato Scifo, Luca Can-gemi, Elisa Russo, Angela Ciccia, Alfio Fi-chera, Giampiero Gobbi, Domenico Stimo-lo, Piero Cannistraci, Roberto Visalli, Ma-rio Bonica, Claudio Fava, Giancarlo Con-soli, Maria Giovanna Italia, Riccardo Oc-chipinti, Giuseppe Gambera, Orazio Aloisi, Antonio Napoli, Giovanni Maria Consoli, Elsa Monteleone, Francesco Minnella, An-tonia Cosentino, Sigismonda Bertini, Giusi D’Angelo, Lucia Coco, Fabrizio Frixa, Santina Sconza, Felice Rappazzo, Concetto De Luca, Maria Luisa Nocerino, Alessio Leonardi, Renato Camarda, Angelo Borzì, Chiara Arena, Alberto Frosina, Gianfranco Faillaci, Daniela Scalia, Lucia Lorella Lombardo, Pippo Impellizzeri, Giuseppe Malaponte, Antonio Mazzeo, Marco Luppi, Ezio Tancini, Aldo Cirmi, Luca Lecardane, Rocco Ministeri, Gabriele Savoca, Fulvia Privitera, Daniela Trombetta, Vanessa Marchese, Edoardo Boi, Stefano Leonardi, Ivano Luca, Maria Crivelli, Guglielmo Rappoccio, Grazia Rannisi, Elio Camilleri, Rosanna Fiume, Alfio Furnari, Claudia Urzi, Luigi Zaccaro, Daniela Di Dio, Gigi Cascone, Ettore Palazzolo, Nunzio Cosen-tino, Matilde Mangano, Andrea D'Urso, Daniela Pagana, Stefania Zingale, Concet-ta Calcerano, Luana Vita, Maria Scaccia-noce, Costantino Laureanti, Pierangelo Spadaro, Paola Sardella, Luisa Gentile, Antonio Salemi, Antonino Sgroi...

|| 14 ottobre 2011 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||

APPELLIPER LA

GIUSTIZIAA CATANIA

Al Vicepresidente del CSMAlla Commissione Uffici Direttivi

e p.c. Al Presidente della Repubblica

Giustizia Giustizia

Per la nominadi nuovo Procuratore

della Repubblica a Catania

Com'è noto, la Commissione V del CSM ha proposto per la nomina a Procu-ratore della Repubblica di Catania tre aspiranti. Ad uno di questi è andato un voto su sei; un altro ne ha avuti due, e l'al-tro ancora tre.

Spetta al Ministro della Giustizia dare o negare consenso per ciascuno dei candida-ti.

Ho indirizzato una comunicazione al Ministro, rassegnandogli circostanze che concernono uno dei tre; ho scritto al Vice-presidente del CSM, per rammentargliene altre che sono scolpite dal processo verba-le di seduta plenaria in data 22 marzo 200, alla quale egli partecipò come membro eletto dal Parlamento; ho sottoposto altre osservazioni ai Consiglieri che si riuniran-no per la nomina, in seduta plenaria; ed ho pregato il Presidente della Repubblica, Presidente del CSM, di presiedere Lui, nella ormai imminente occasione, l'alto Consesso: “illuminata dal suo magistero, l'aula farebbe esercizio non già di rude aritmetica dei voti, ma di umana geome-tria delle ragioni”.

Giambattista Scidà

|| 14 ottobre 2011 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||

“Fondazione per il Sud” “Fondazione per il Sud”

Si chiudono i progettiRimangono i debiti

Il bando prevedeva un investimento di 270.000 euro per risollevare Librino, ma a pochi giorni dallaIl bando prevedeva un investimento di 270.000 euro per risollevare Librino, ma a pochi giorni dalla presentazione dei bilanci i poveri abitanti del quartiere devono mettere di tasca loro 10.000 europresentazione dei bilanci i poveri abitanti del quartiere devono mettere di tasca loro 10.000 euro

Catania. Sono circa 10.000 euro di debito l’e-

redità che il progetto finanziato dalla Fondazio-ne con il Sud lascia alla parrocchia del Borgo Antico di Librino e che adesso gli allibiti resi-denti, convocati dal parroco in una assemblea straordinaria, rischiano di dover tirare fuori dalle loro tasche. Il risultato paradossale è che ciò che era pensato per risollevare le sorti di un territorio disagiato, costituendo una opportunità per alcu-ni, forse finirà per gravare sul già magro bilan-cio familiare di altre famiglie di Librino.

A gennaio del 2009 la Fondazione con il Sud aveva inteso finanziare, tramite un bando appo-sito, progetti di sviluppo del territorio nell’ambi-to dell’educazione dei giovani e sviluppo del ca-pitale umano di eccellenza; tutela e valorizzazio-ne dei beni comuni; mediazione culturale e ac-coglienza/integrazione degli immigrati; svilup-po, qualificazione e innovazione dei servizi so-cio-sanitari.

Tra i diversi progetti proposti la Fondazione ha infine scelto quello presentato dall’area catto-lica. Otto i soggetti promotori che si sono suddi-visi il finanziamento di 270.000 euro: la parroc-chia del Borgo Antico, retta da don Salvo Lo Ca-scio fino a settembre del 2010 e poi repentina-mente trasferito, l’oratorio Giovanni Paolo II di suor Lucia, la caritas diocesana di Catania, la parrocchia Resurrezione del Signore di viale Ca-stagnola, le Acli, la cooperativa Marianella Gar-cia, il Centro Orizzonte Lavoro Cooperativa So-ciale Onlus e la Confcooperative.

Dall’avvio del progetto, i soggetti promotori insieme ad altri soggetti aderenti, hanno previsto l’avvio di un servizio presso le scuole del territorio inviando due operatori per ogni scuola per seguire 5 bambini in difficoltà su indicazio-ne del Preside, quattro centri di aggregazione nelle 2 parrocchie e nei 2 oratori sostenuti da 2 operatori pagati dal progetto insieme ai volontari già presenti, quattro botteghe di formazione la-voro (arredo casa, alluminio, gastronomia e cu-cito) che prevedevano un compenso per i forma-tori e i partecipanti, più alcune esperienze che non sono andate ancora in porto: la formazione di alcune cooperative sociali, un gruppo di ac-quisto solidale, un coordinamento permanente per Librino, stoppato però dal Comune perchè visto come un doppione degli Stati Generali.

Don Aristide Raimondi, parroco del borgo an-tico dalla fine dall’ottobre del 2010 quel proget-to non l’ha scelto ma lo ha trovato già avviato al suo arrivo, nonostante le sue contrarietà, ha do-vuto portarlo avanti in seguito all’impegno del precedente parroco don Salvo Lo Cascio e da al-lora la ripianazione del debito è stata una delle

sue principali preoccupazioni. “Io non avrei mai aderito a questo progetto e fin quando sarò parroco la parrocchia non aderirà ad altri progetti di questo tipo”. “Noi non possiamo impegnarci per quella cifra - protesta una parrocchiana - qui chi è fortunato campa una famiglia con una pensione. Questi soldi li deve uscire chi aveva deciso di partecipare al progetto, non noi, chiedeteli a don Lo Cascio!”.

“Il problema principale - spiega all’assemblea parrocchiale suor Lucia Ragusa, che con il suo oratorio Giovanni Paolo II è l’ente capofila del progetto finanziato - “è che quel progetto della Fondazione prevedeva una compartecipazione alle spese dei progetti promotori consistente nel 20%/25% circa del totale, e questa somma non era possibile giustificarla attraverso le nostre utenze come avviene adesso per altri finanzia-menti”. In sostanza, aggiunge suor Lucia, nella maggior parte dei progetti è possibile raggiunge-re la propria quota considerando le spese delle bollette della luce dell’oratorio o valutare l’uti-lizzo dei nostri locali che mettiamo a disposizio-ne del progetto ma in questo caso gli 8 enti do-vevano mettere la quota di partecipazione di ta-sca propria. Suor Lucia spiega all’assemblea che loro, come capofila, hanno impegnato più risor-se di tutti ma alla fine hanno raccolto la cifra ne-cessaria a chiudere il progetto.

“Ma se questi 10.000 euro che mancano non ce li mettiamo che succede?”. “Succede che sal-ta tutto” chiarisce Cristina, commercialista inca-ricata da don Aristide per sbrogliare la matassa dei debiti, “e se salta tutto la Fondazione non salda l’ultima parte del finanziamento a tutti gli enti promotori e la parrocchia ci rimette anche i soldi che ha anticipato per conto della Fondazio-ne”. “Altri soldi? - si meraviglia un’anziana si-gnora - e quanti sono?” “Circa 50.000 euro in

tutto, che in parte abbiamo accumulato in questi 2 anni e in parte sono stati prestati, devono essere restituiti perchè sono soldi da destinare ai poveri”. “Ma la curia non può aiutarci? L’Arcivescovo che dice?”. “Attendo risposta - sospira Aristide che quando è arrivato ha dovuto pagare anche bollette insolute dal 2006 - ma per ora nessun segnale, se la curia non può donarceli chiederò almeno che ce li presti senza interesse, ma intanto dobbiamo sbrigarcela da soli perché abbiamo pochissimo tempo”.

Massimiliano NicosiaLa Periferica

SCHEDA/ TERZO SETTOREI FONDI EROGATIIN PROVINCIA DI CATANIA

Queste di seguito sono le organizzazioni di ter-zo settore, della sola provincia di Catania, per lo più cattoliche e di matrice cattolica che han-no usufruito dei fondi regionali ( 14 milioni di euro ) erogati dall’assessorato della famiglia, delle Politiche sociali e del Lavoro per arginare le gravi povertà nelle “sacche più disagiate” della Sicilia fra cui anche Catania.E’ chiaro che una somma così importante, se-condo noi, avrebbe potuto finanziare le piccole imprese artigiane in crisi, esercizi commerciali in crisi, l’imprenditoria femminile e quella gio-vanile, con il valore aggiunto di dare dignità ai soldi pubblici e alle persone che non vogliono la carità ma vogliono guadagnare attraverso il proprio lavoro con dignità, così come pensia-mo che questa operazione a cui si dà delega alle associazioni del terzo settore soprattutto quelle in “grazia di dio” creeranno dipendenza che potrebbe tornare buona agli uomini politici nelle prossime tornate elettorali.

BANCO ALIMENTARE SICILIA ONLUS:419 MILA EUROARCIDIOCESI DI CATANIA CONFRATERNITA M. SS. DEL SOCCORSO:419 MILA EUROACLI:49 MILA EUROPARROCCHIA RESURR. DEL SIGNORE:45 MILA EUROSOLCO:377 MILA EUROCOOPERATIVA SOCIALE DELFINO:45 MILA EUROCOOP.SOCIALE MARIANELLA GARCIA:150 MILA EUROASSOC.COSPES-CIOFS LAURA VICUNA: 45 MILA EURO

G.C.

|| 14 ottobre 2011 || pagina 06 || www.ucuntu.org ||

“Fondazione per il Sud” “Fondazione per il Sud”

Quanti progetti“in grazia di Dio”

Dopo Librino, anche San Cristoforo teatro di un massiccio intervento, dai contorni indefiniti ma con unaDopo Librino, anche San Cristoforo teatro di un massiccio intervento, dai contorni indefiniti ma con una caratteristica ben precisa: gira molto denaro, elargito dall'alto e senza trasparenza. Elezioni?caratteristica ben precisa: gira molto denaro, elargito dall'alto e senza trasparenza. Elezioni?

In un contesto dominato dallo smantella-mento dei servizi sociali nella città di Cata-nia che colpisce specialmente i quartieri a maggior rischio di marginalità, esclusione sociale e criminalità mafiosa come il quar-tiere di San Cristoforo, la “Fondazione per il Sud” all’inizio del 2010 lanciò un bando rivolto alle organizzazioni di terzo settore per esprimere idee e proposte di intervento volte allo sviluppo del territorio sui temi dell’educazione e dell’integrazione in alcu-ne aree circoscritte del Sud, tra cui il quar-tiere di San Cristoforo.

Il bando prevedeva due fasi di selezione, una prima fase di selezione di un’idea pro-gettuale per ciascuna area territoriale indi-viduata dal bando e una seconda fase di se-lezione dei progetti veri e propri, con l’at-tribuzione di un contributo economico lad-dove il progetto sullo sviluppo locale di una determinata area fosse stato selezionato.

La notizia che leggerete anche su altri giornali è che il quartiere di San Cristoforo ha avuto la “fortuna” di essere tra le 5 aree i cui progetti saranno sostenuti dalla “Fon-dazione per il Sud” per un progetto deno-minato “San Cristoforo: un quartiere da vi-vere: viviamolo insieme!” di importo pari a 950.000 euro che saranno integrati da altri 250.000 euro da parte di enti pubblici per cui soldi nostri, per un totale di 1.200.000 euro.

Il progetto verrà gestito da una rete di 34 tra enti pubblici, scuole, associazioni, coo-perative sociali, fondazioni.

Fin qui tutto bene, apparentemente una buona notizia per il quartiere: quello che in-vece non leggerete su altri giornali, è cosa si nasconde dietro questa apparente buona notizia, che probabilmente rischia di essere l’ennesima occasione persa per il quartiere di San Cristoforo.Il progetto selezionato in-fatti è frutto di una coalizione di enti di ter-zo settore assolutamente rigida e blindata dal punto vista culturale, in quanto total-mente composta da enti di matrice cattoli-ca.Tra gli enti che fanno parte di questa coalizione vi sono parecchi trai giganti del sociale catanese che più hanno beneficiato in questi anni del supporto degli enti locali, della Regione e dello Stato nella città di Catania.

L’ente capofila sono i salesiani dell’Ora-torio delle Salette (San Cristoforo) e a se-guire il Movimento Cristiano Lavoratori, l’associazione il cui leader Giuseppe Liga

fu arrestato alcuni mesi fa per associazione mafiosa, e ancora il Comune di Catania, la Provincia Regionale, la Caritas Diocesana, le ACLI, la CISL, l’ Università di Catania, Confartigianato, Confcooperative e il Con-sorzio Elios etc...

Da sottolineare come gli Enti Religiosi ricevono già tanto attraverso il canale dell’8 per mille , dei fondi della Conferenza Episcopale Italiana e dei fondi della Dioce-si di Catania. In un paese normale e laico forse questo sarebbe abbastanza, ma non in Italia.

Nella nostra città, la “Fondazione per il Sud”, che gestisce fondi del Sud di natura privata provenienti dalle Fondazioni Ban-carie ma vincolate per legge a finalità pub-bliche quali l’infrastrutturazione sociale delle Regioni Meridionali, decide ancora una volta di finanziare i soliti noti anziché scegliere coraggiosamente chi aveva tenta-to di unire l’associazionismo laico e cattoli-co su un ipotesi di sviluppo per il quartiere di San Cristoforo.

Ci riferiamo qui alla coalizione di enti che si era riunita attorno all’esperienza ven-tennale del GAPA nel quartiere di San Cri-stoforo per proporre un’idea progettuale di-versa denominata “I carusi di San Cristofo-ro: il riscatto di un quartiere tra memoria e

futuro” che non è stata ritenuta meritevole di supporto dalla Fondazione.

Una scelta di per sé inspiegabile conside-rando che alla base del bando vi era l’idea di riunire un ampia fetta di terzo settore e associazionismo attorno ad un’idea forte di sviluppo locale superando barriere culturali e di appartenenza.

Un’idea progettuale sviluppata da un blocco ostinatamente solo cattolico non avrebbe dovuto trovare il supporto della Fondazione. Eppure è successo e non è la prima volta neanche per la “Fondazione per il Sud” che negli anni scorsi ha avvallato una simile operazione in un analogo bando che riguardava il quartiere di Librino.

Dinanzi a tutto questo ci chiediamo per-ché , nessuno degli enti che hanno svilup-pato il progetto supportato dalla Fondazio-ne ha sentito il bisogno in questi mesi di coinvolgere realtà come il Gapa fortemente radicate nel quartiere e impegnate sui temi del bando. Forse non è possibile portare avanti un impegno civile in questo quartie-re in modo laico?

Ci chiediamo anche come verranno uti-lizzate queste risorse : si lavorerà veramen-te per sperimentare, coltivare una speranza per lo sviluppo del quartiere o per l’ennesi-ma volta questo progetto servirà a sostenere la macchina organizzativa delle parrocchie, delle istituzioni religiose delle associazioni cattoliche ? Si tratterebbe di sviluppo locale o dell’ennesima occasione persa?

Ci chiediamo e speriamo che alla fine del progetto, che durerà 2 anni, e se saranno fatte delle cose importanti, rimanga a San Cristoforo un qualcosa che dia continuità, sulla base delle cose che indicava il bando permanente.

Vorremmo capire il perché né “ la Fonda-zione per il Sud” né i salesiani dell’oratorio delle salette di San Cristoforo non ci spie-gano nei dettagli, e non genericamente come è accaduto fino ad oggi, i vari proget-ti che sono dentro “ San Cristoforo: un quartiere da vivere, viviamolo insieme!” ed infine vorremmo sapere alla fine di questi 2 anni, e in modo preciso, come sono stati spesi questi soldi e che lo si faccia in modo trasparente in modo da rispettare uno dei principi sottolineati nel bando quello della legalità.

Giovanni CarusoI Cordai

|| 14 ottobre 2011 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||

Antimafia al nord Antimafia al nord

“Mia mamma, Lea Garofalo”Parla la figlia Denise

A Milano il processo per la donna disciolta nell'acido dai mafiosiA Milano il processo per la donna disciolta nell'acido dai mafiosi

«Mia mamma mi ha avuta a 17 anni, era-vamo amiche. Era il mio punto di riferi-mento, avevamo gli stessi gusti musicali tant'è vero che andammo insieme al concer-to del primo maggio a Roma, ci scambiava-mo persino i vestiti. Lei diceva che fino a quando ci sarei stata io, non le sarebbe suc-cesso niente».

Eppure la presenza di Denise Cosco, la notte tra il 24 e 25 novembre 2009, non ha impedito alla madre Lea Garofalo di andare incontro al suo destino che qualcuno aveva disegnato per lei in maniera efferata.

Quel “qualcuno” ha il volto e il nome di Carlo Cosco, padre di Denise, accusato di aver progettato e organizzato il sequestro e l'omicidio della donna. Aiutato dai suoi fra-telli Giuseppe e Vito Cosco, che hanno in-terrogato prima e ucciso con un colpo di pi-stola poi la vittima, dopo che Massimo Sa-batino e Carmine Venturino l'avevano se-questrata. Su tutti pende l'accusa di distru-zione di cadavere mediante scioglimento nell'acido.

Nell'aula di Palazzo di Giustizia di Mila-no, a pochi passi da loro Denise Cosco ha coraggiosamente ripercorso la sua vita, scandendo in maniera meticolosa l'ultima giornata vissuta con sua madre e i giorni immediatamente successivi. A pochi passi il padre, gli zii, l'amico paterno Massimo e il fidanzato Carmine, che aveva conosciuto «nel 2009, al matrimonio di mio zio. «Mi confortava, di lui mi fidavo».

Non poteva immaginare Denise che in realtà il giovane era stato assoldato da Car-lo Cosco affinché controllasse la figlia. Fi-sicamente li divideva un paravento, di fatto era come se i loro sguardi penetrassero quella protezione. Denise Cosco lucida-mente ha raccontato al pm Marcello Tatan-gelo di quando suo padre fu arrestato con l'accusa di omicidio: era il 1995, lei aveva cinque anni. In quegli anni con il padre in-trattenne solo rapporti epistolari durante l'anno scolastico, mentre d'estate si recava in carcere per andarlo a trovare, accompa-

gnata dai parenti paterni. «Mia madre non era d'accordo – ricorda – non voleva che io andassi in prigione da lui; me lo faceva pre-sente, però non mi ha mai impedito di far-lo».

Nel 2002 Lea Garofalo decide di collabo-rare con la giustizia, di testimoniare, di rac-contare fatti e dinamiche a lei note. In se-guito alle sue dichiarazioni lei e la figlia vengono inserite nel programma di prote-zione.

«Mi è sembrata la logica conseguenza delle denunce che aveva fatto mia madre e di una serie di minacce che avevamo subi-te, come l'auto incendiata dopo che lei ave-va parlato con mio zio Vito dicendogli che non voleva più che io andassi in carcere a trovare mio padre».

Da allora iniziano per madre e figlia sette anni di continui trasferimenti, private della loro identità ma senza averne una di coper-tura (e questo impedirà alla donna di tro-varsi un lavoro), lontane dalla loro terra e famiglia d'origine. Lea Garofalo infatti con la madre e la sorella si sentiva sporadica-mente solo per telefono, ma senza mai rive-lare il luogo dove si trovavano.

«Io mi ero ambientata, andavo a scuola, avevo una vita sociale – ricorda Denise Co-sco – ma mia mamma aveva una vita molto solitaria. Era sfiduciata verso lo Stato, si chiedeva perché non ci fosse un processo dopo le denunce che lei aveva sporto, dopo ciò che aveva raccontato. Voleva solo anda-re via, garantirmi un futuro migliore: so-

gnava di trasferirsi in Australia».Nel 2008 l'incontro con l'associazione Li-

bera e l'avvocato Enza Rando, nel 2009 il reintegro nel sistema di protezione dal qua-le Lea Garofalo e la figlia erano state can-cellate e la decisione, nel mese di maggio, di tornare in Calabria.

Nel mese di novembre di quell'anno ma-dre e figlia tornano a Firenze per prendere parte a un processo che vedeva Lea Garofa-lo accusata di lesioni a danno di una ragaz-za: aveva schiaffeggiato in pubblico la par-te offesa, dopo che questa aveva insultato Denise, accusandola di rivolgere sguardi particolari al suo fidanzato.

Era il 20 novembre 2009: quel giorno Enza Rando conobbe Denise, ma fu anche l'ultima volta che vide Lea Garofalo. Quel giorno le due donne partirono per Milano dove si trovava Carlo Cosco.

«Quando siamo partite dalla Calabria non avevamo intenzione di andare da lui, ma poi mia madre disse che gli voleva parlare per mettere in chiaro alcune questioni. Par-lare insomma del passato ma anche del fu-turo, soprattutto del mio futuro».

Carlo Cosco si era offerto di trovare loro una sistemazione in un albergo a Milano, e in quei giorni i tre passano diverse ore in-sieme. «Era già successo che i miei genitori restassero insieme da soli, per quello quan-do mio padre mi ha detto che mi avrebbe accompagnato dai miei zii per cena e poi sarebbe passato a prendere mia madre non mi sono preoccupata. Adesso però penso che non l'avrei dovuta lasciare da sola».

Di quelle ore Denise ricorda «di aver provato a chiamare mia madre intorno alle 20, ma il telefono era irraggiungibile. Stra-no, perché lei prima di staccarlo mi manda-va un sms per avvertirmi. Abbiamo man-giato a cena ma mio zio non c'era, è rinca-sato verso le 21.30 per poi uscire nuova-mente. Ho notato che mia zia non l'ha cer-cato per sapere se fosse venuto a cena, come invece era accaduto qualche sera pri-ma. Quando mio padre è rientrato siamo

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Antimafia al nord Antimafia al nord

usciti perché mia madre ed io saremmo do-vuti partire alle 23.30 con un treno che ci avrebbe riportate in Calabria, ma mia ma-dre sul luogo dell'appuntamento non c'era».

Iniziano le ricerche di padre e figlia, che racconta: «Mio padre in quell'occasione non mi guardò nemmeno una volta in fac-cia, diceva solo che se mia madre non si era presentata era perché mi aveva voluto ab-bandonare. Era impassibile».

All'una e trenta di notte si recano dai Ca-rabinieri ma non è ancora possibile sporge-re una denuncia di scomparsa, sono passate troppe poche ore.

Sarà Marisa Garofalo, che nel frattempo si era sentita con la nipote – mia zia aveva la sensazione che fosse successo qualcosa, mi disse: «L'hanno fatta sparire» – a sbloc-care la situazione, chiamando le forze del-l'ordine operanti a Petilia Policastro e fa-cendo presente che Lea Garofalo, inserita nel programma di protezione, era scompar-sa. Il giorno dopo Denise sarà contattata dagli stessi carabinieri e invitata a racconta-re quanto avvenuto, «però sapevo che mio padre avrebbe fatto pressioni per leggere quei verbali ed evitai di far scrivere nero su

bianco che sospettavo di lui e della sua fa-miglia. Perché in questi casi o lasci che ti uccidano, oppure queste persone te le fai amiche».

La ragazza rivela che due giorni dopo, il 26 novembre, incontra Elisa, la fidanzata di Rosario Curcio, la quale le spiega che la sera del 24 aspettava il fidanzato che però non si è presentato all'appuntamento. Come giustificazione aveva addotto di aver dovuto aggiustare un'auto, insieme a Carmine Venturino. Denise capisce, anche se non può immaginare l'atrocità di quanto accaduto. È una combattente coraggiosa: per un anno dall'omicidio di sua madre rac-conta di aver «mangiato con queste persone (la famiglia di suo padre, n.d.r.), di essere andata in vacanza con loro, di aver giocato con i miei cugini. Io sapevo, l'avevo capito dalla sera stessa, ma cosa avrei dovuto fare? Non volevo fare la stessa fine di mia madre».

Un destino purtroppo solo allontanato di qualche mese: il 5 maggio 2009 Massimo Sabatino tentò infatti di uccidere Lea Garo-falo. Lei e la figlia erano tornate a Campo-basso, dove Carlo Cosco si era impegnato a trovare loro un appartamento pagando l'af-fitto. Unico neo: la lavatrice non funzionan-te, ma l'uomo si offre di chiamare un idrau-lico. Di fatto il giorno dopo alla porta bus-serà Massimo Sabatino, con l'intento di uc-cidere Lea Garofalo.

Le urla della donna sveglieranno Denise che quella mattina era rimasta a casa da scuola e che riesce ad andare in soccorso della madre. Spaventate, per due giorni le due donne dormono in una tenda sulla piaz-za del Comune, sentendosi più al sicuro lì, in mezzo alla gente, che non a casa dove

era avvenuto il fatto.La ragazza dovrà tornare a deporre nel

corso della prossima udienza, sottoponen-dosi agli sguardi dei suoi famigliari, com-patti nel sostenere gli imputati che appaio-no ridanciani e sereni all'interno delle gab-bie, ma anche al fuoco di fila della difesa. In quell'occasione però ci sarà anche l'inter-rogatorio delle parti civili, rappresentate dagli avvocati Roberto D'Ippolito (per la madre e la sorella di Lea Garofalo) e da Ila-ria Ramoni e Enza Rando (in difesa di De-nise).

È stata proprio quest'ultima a dare il via alle deposizioni dei teste, iniziando il per-sonale racconto ricordando quando per la prima vide Lea Garofalo: «La incontrai per la prima volta intorno al 2008, lei aveva contattato l'associazione di cui faccio parte spiegando che era una collaboratrice di giu-stizia: ci incontrammo a Roma, ma lei non aveva con sé alcun materiale, quindi fu più una sorta di incontro-sfogo».

Da allora le due donne si scambiano solo qualche telefonata e sms, per poi rivedersi il 20 novembre 2009 in occasione del processo a Firenze. Per l'ultima volta con Lea, per la prima volta con Denise, senza immaginare che avrebbero iniziato a camminare insieme alla ricerca della verità per la morte di Lea Garofalo.

Marika Demariawww.stampoantimafioso.it

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Società civile Società civile

Vent'annie addiopizzina

Parla una ragazza impegnata nell'antimafia a Catania Parla una ragazza impegnata nell'antimafia a Catania

La Sicilia è una terra strana. Come già Bufalino aveva intuito questa terra è una “mischia di lutto e luce”: è la terra degli os-simori, delle fulgide bellezze e dei più atro-ci orrori. Ogni siciliano vive quasi spezza-to, spezzato fra l’orgoglio di sentirsi figlio di Falcone e la vergogna d’aver qualcosa a che spartire con Riina.

Ed è quando ti ritrovi ad avere vent’anni, con l’entusiasmo che ti squarcia il cuore ed un po’ di sana incoscienza, che la contrad-dizione della Sicilia diventa la contraddi-zione della tua stessa vita. È a vent’anni che hai quell’ingenuità che ti fa vedere l’ovvietà che passa davanti agli occhi dei più invisibile, e ti fa semplicemente pensare che le ingiustizie sono sbagliate. Allora non poni limiti alla tua mente che corre alla stessa velocità dei tuoi sogni, e non freni le tue mani che trasudano dei tuoi ideali. Ave-re vent’anni, in una terra come la Sicilia, si-gnifica viverne l’essenza nella tua stessa esistenza.

Quando un gruppo di ragazzi attaccaro-no, per le vie di Palermo, il primo volantino recante la frase “un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità” l’impeto del cuore non immaginava neppure cosa ne sarebbe scaturito, eppure, oggi, centinaia di persone di tutte le età, estrazioni sociali, in-clinazioni personali, si riuniscono con un pizzico d’orgoglio dietro il nome Addiopiz-zo. Ed è quando smetti d’essere spettatore e decidi di diventare attore, che ti rapisce la promessa dell’homo faber fortunae suae , e pensi d’averla in mano la tua esistenza, e pensi, come puoi, di difenderla davvero la tua terra.

Addiopizzo, in una città come Catania, ha l’ardente profumo del mare e il gelo del-l’Etna, e non c’è difficoltà che ti possa fer-mare, perché dopo anni ed anni riesci ad ot-tenerli quei venti mila euro introvabili per ristrutturare il bene confiscato che ti è stato assegnato, e con le casse dell’associazione sempre in rosso riesci ugualmente a realiz-zarlo quel murale con i sorrisi degli uomini a cui pensi di dovere un po’ di dignità, che son morti a Capaci per la tua libertà. Nella

città dove la lava bacia le onde del mare e sembra quasi volersi liberare dalla terra che l’ha generata, ma allo stesso tempo sembra volerla prolungare questa terra, darle più vita, protenderla, avere vent’anni non è semplice, ed avere vent’anni ed essere un’addiopizzina lo è ancor meno.

Arriva il momento in cui la contraddizio-ne colpisce anche te, e, come animale bi-fronte, ami la terra della quale e nella quale vuoi perdurare l’esistenza, ma odi quel luo-go dove ogni cosa puzza di compromesso morale, e te ne vorresti allontanare, abban-donarlo per sempre.

Lasciare la Sicilia da addiopizzina vuol dire avere il cuore spezzato per tutte le ma-nifestazioni alle quali non parteciperai, i magistrati che non ascolterai, gli imprendi-tori antiracket che non incoraggerai, i bam-bini difficili ai quali non potrai più insegna-re chi era Peppino Impastato, le conferenze con le vittime di mafia che non potrai orga-nizzare.

Dover lasciare la Sicilia perché hai ven-t’anni e devi costruirti un futuro che in Si-cilia non puoi avere, un futuro all’altezza dei sogni che hai e che nessuno è riuscito a calpestarti, vuol dire essersi scontrati con quella mafiosità di pensiero che tu stessa hai a lungo combattuto, e aver perso. Ma lasciarla vuol dire anche non aver accettato la raccomandazione di turno, non esserti as-servito al potere, e non aver permesso al clientelismo e alle disoccupazioni di abbas-sare le tue pretese, abbattere i tuoi sogni, contaminare la tua morale, e, quindi, in par-te, vuol dire aver vinto.

Lasciare la Sicilia da addiopizzina vuol dire partire con gli occhi lucidi dal dolore e il giubilo rapimento per le speranze del di-verso, vuol dire avere la certezza che, co-munque vada, quel che di meglio c’è in questa terra continuerai strenuamente a di-fenderlo e stingerlo forte fra le dita, perché hai imparato da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Libero Grassi, Beppe Alfano, Pippo Fava, Pino Puglisi, e mille altri cos’è la libertà. E nulla ormai può più sottrartela.

Irene Di Nora

LIBRI“MARCA ELEFANTENON PAGA PIZZO”

Capita spesso, ultimamente ancora di più, che leggendo i quotidiani, guardando i telegiornali una sensazione di sconforto ci assalga, tutto in-torno a noi è precario: il lavoro, le relazioni in-terpersonali, il futuro e a volte anche gli ideali, purtroppo. E questo sconforto aumenta quando leggiamo o sentiamo che chi cerca realmente di fare qualcosa per cambiare in meglio la pro-pria città viene ostacolato, perché scomodo, perché è più facile sostenere i progetti meno impegnativi e più semplici da gestire.E allora che fare? Aspettare che le cose pian piano migliorino da sole o che qualcuno le si-stemi al posto nostro? Assolutamente no! Dob-biamo tirar fuori il Don Chisciotte che è dentro di noi, il lato folle che ci fa agire con l’entusia-smo di un bambino, che ci fa credere fino in fondo in quello che stiamo facendo e che an-che se non vedremo direttamente i risultati, in-coraggerà e farà sperare le generazioni future.È questo spirito che l’autore del libro “Marca Elefante non paga pizzo”, Tommaso Maria Patti, ha visto in noi ragazzi di Addiopizzo Ca-tania e che racconta nel suo libro: ragazzi che si trovano ad affrontare le problematiche co-muni di qualsiasi altro coetaneo, ma che insie-me desiderano portare avanti un progetto per diffondere la legalità.Tommaso racconta del Don Chisciotte di ogni ragazzo/ragazza che ha fatto, fa e farà parte dell’associazione, spirito un po’ folle che del resto è presente anche nell’autore, che crede spassionatamente al progetto di questi giovani e che, addirittura, ci scrive su un libro. Sarà anche un po’ matto questo Don Chisciot-te, ma è vitale, ci fa sperare e ci fa crescere. Ci fa condividere delle esperienze fuori dal nor-male, che, per fortuna, non si fermano solo a una condivisione di ideali, ma portano a dei ri-sultati concreti: basta pensare che vent’anni fa era difficile immaginare che degli imprenditori potessero riunirsi per parlare di problemi quali le estorsioni mafiose, e dichiarare pubblica-mente di non piegarsi al pizzo. L’augurio che mi faccio è quello che il Don Chisciotte presente in me non muoia mai, che continui a vivere nei miei compagni di espe-rienza, in chi crede, come Tommaso, che unen-do le forze è veramente possibile cambiare le cose, e che chi ancora non ha avuto modo di farlo dica: “Don Chisciotte vieni fuori!”.

Angela Bellomo

|| 14 ottobre 2011 || pagina 10 || www.ucuntu.org ||

Società civile Società civile

Fra politica e impegno sociale “La mafia non ha colore politico, secondo me” “La mafia non ha colore politico, secondo me”

Addiopizzo è un'associazione antimafia

apartitica. I suoi membri credono ferma-mente che combattere la mafia non possa avere un colore politico. La lotta deve esse-re fatta da tutti, da ogni cittadino e con le divisioni non si può andar lontano in questi casi. è quanto spiega Davide, membro del-l'associazione, nel contributo di questa set-timana.

Prendo spunto da quanto accaduto ai ra-gazzi dello Spazio libero Cervantes - l'im-brattamento del murales che con tanto im-pegno ed entusiasmo avevano realizzato a Catania nella zona tra Via Galermo e Via S. Sofia - per far riflettere su un argomento che più volte mi sono trovato a trattare con chi si avvicina ai nostri banchetti.

La scritta comparsa sul murales recita "FASCISMO + MAFIA = MERDA". Con essa si inserisce quindi l’aspetto partitico, e non politico, all’interno della lotta ad un fe-nomeno che non ha colore politico, che non ha coordinate precise, e che quindi deve es-sere combattuto in maniera uguale da qual-siasi persona, di qualsiasi credo politico sia.

Ma non tutti la pensano così, purtroppo. Qualche giorno fa, durante un banchetto in-formativo, un ragazzo mi ha detto chiara-mente che per lui prima o poi la nostra as-sociazione dovrà assumere una posizione politica, perché solo in questo modo, con la politica, si possono davvero cambiare le cose.

Peccato che, dopo circa mezz’ora di di-scussione e belle parole su come, secondo lui, politicamente si potrebbero risolvere tutti i problemi, nel momento in cui gli è stato chiesto di firmare per il nostro proget-to, cioè di prendere un impegno serio con il Consumo Critico mettendo da parte le pa-role, la sua risposta è stata negativa.

Noi guardiamo ai fatti e non alle parole. In più di cinque anni di attività, Addiopizzo ha partecipato ad eventi organizzati da ogni schieramento politico: abbiamo partecipato a banchetti organizzati da gruppi di destra e gruppi di sinistra, da persone animate seria-

mente - al di là del colore del partito - dalla voglia di cambiare le cose, di affrontare questo male che da sempre rende la nostra terra schiava di gente ignorante.

Abbiamo visto ragazzi di destra organiz-zare manifestazioni stupende, informare, diffondere splendidi messaggi; la stessa cosa che abbiamo visto fare a tanti giovani di sinistra.

Ci siamo più volte sentiti dire che non dovevamo partecipare a quel o a quell’altro evento perché dietro c’era quel o quell’altro partito, e puntualmente abbiamo rispedito al mittente ogni parola.

Fin quando la gente non si renderà conto che ci sono argomenti che riguardano tutti, lotte che vanno al di là dei colori e delle differenze, allora sarà sempre facile per la mafia avere la meglio, puntare su lotte che dividono la gente per bene e che rendono debole il movimento antimafia.

Non vogliamo certo sminuire l’importan-za di argomenti politici che riguardano tutti noi, che regolano la nostra vita, ma pensia-mo che la lotta alla mafia sia la PRIORITA’ per la nostra terra, e dovrebbe essere il pri-mo punto di ogni agenda politica e il primo obiettivo di ogni cittadino.

Dobbiamo unire le nostre forze, tutti, la-sciare stare ad altri le belle parole, usare il nostro fiato per informare e formare, dob-biamo scendere sul campo ed agire, lasciare perdere contrapposizioni e divisioni nella lotta contro chi infanga e offende la nostra terra.

Bisogna essere compatti. Gli ideali che muovono il nostro comitato, come anche tante altre associazioni sono profondi e im-portanti: non posso credere che ci sia, tra la gente che fa politica in maniera pulita e con animo, chi non senta il dovere di agire, di fare di più, di impegnarsi senza tregua in una causa che potrebbe essere davvero il rilancio della nostra regione e della nostra nazione.

Io credo in questo rilancio.Davide Siracusa

STAMPA LIBERA/ 1LILLOCONTINUA

Torna Lillo Venezia, il mitico direttore del “Male” anni'70, il giornalista più querelato d'Italia e anche l'unico a finire in galera in quegli anni per aver fatto satira senza compromessi. Adesso è direttore responsabile del nuovo “Il Male” di Vincino e Vauro.Nei pochi secoli trascorsi dal vecchio “Male”, Vauro ha lavorato lodevolmente per il Manifeto e Santoro, mentre Vincino (un tempo di Lotta Continua) ha preferito non farsi troppi problemi, lavorando per il Corriere della Sera, per il Foglio di Ferrara e per altri giornali non esattamente rivoluzionari.Lillo Venezia invece non ha mai ceduto di un millimetro, e noi lo ricordiamo con orgoglio nella vecchia redazione dei Siciliani.Dei “vecchi” dei Siciliani è stato anche il primo a dichiararsi senza tanche chiacchiere a disposizione per i Siciliani Giovani, la nostra nuova avventura.Perciò auguri a Lillo, pernacchie a Vincino, e avanti che il Sessantotto è vicino. Alla faccia vostra :-)

R.O.

STAMPA LIBERA/ 2REDAZIONESOTTO SFRATTO

E' online "Una redazione sotto sfratto", blog creato dal gruppo di redattori "storici" di Step1. Come si legge nell’editoriale, sarà "uno spazio per sbirciare nel nostro cantiere aperto e per riprendere il racconto della città da dove ci hanno interrotti". Del resto, l'avevano promesso già a pochi giorni dallo sfratto dell'aula 24: "Catania non si libererà facilmente degli steppini"

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Smemoria Smemoria

Viale Giorgio Almirante98100 MessinaRiscrivere la storia: qualcuno ci prova ancoraRiscrivere la storia: qualcuno ci prova ancora

Di vie “Giorgio Almirante” ce ne sono a Foggia, Lecce, Ragusa, Francavilla Fontana (Br), Locorotondo (Ba), Praia a Mare (Cs), San Severo (Fg) e Santa Caterina Villarmo-sa (Cl). A Viterbo esiste una “circonvalla-zione Giorgio Almirante” e a Corato (Ba) finanche una piazza. Ma sino ad oggi nes-suno ha intitolato un intero viale all’ex re-pubblichino di Salò, fondatore del primo dei partiti neofascisti, il Movimento sociale italiano (Msi). Quattro anni fa, in verità, i nostalgici militanti de La Destra di France-sco Storace insieme ai post-fascisti di Al-leanza Nazionale avevano apposto provo-catoriamente alcune targhe “viale Giorgio Almirante” nella grande arteria romana de-dicata al leader del Partito comunista Pal-miro Togliatti, dopo la bocciatura da parte del Campidoglio della richiesta d’intitolare una via all’intrepido Almirante. Se tutto an-drà però come previsto, in Italia ci sarà pre-sto un lungo asse stradale in sua memoria.

A Messina, la città del ponte senza ponte, sventrata dai bombardamenti nella seconda guerra mondiale, il consiglio della 2^ circo-scrizione ha approvato con il voto unanime di centro-destra e centro-sinistra una deli-bera che chiede all’amministrazione comu-nale d’intitolare il “grande viale nella parte alta del villaggio Minissale” al fondatore del partito-movimento disciolto da Fini ma che oggi rivive grazie all’ultranazionalista messinese Gaetano Saya, per sua diretta ammissione fascista, agente segreto Gladio e massone alla corte del venerabile Licio Gelli.

“Il consiglio circoscrizionale – recita una nota a firma del presidente Giovanni Di Blasi - ha valutato la bontà di tale iniziativa ritenendo che Giorgio Almirante, come si evince dalla biografia, debba ritenersi non solo un politico, ma soprattutto un uomo che ha lasciato un segno tangibile nella sto-ria recente italiana”. Chi si attendeva a Messina una mezza sollevazione popolare o perlomeno le proteste delle forze politiche e sociali antifasciste, si è dovuto ricredere. La delibera, pubblicata sul quotidiano loca-le, è passata inosservata e le voci critiche, come sempre, sono meno delle dita di una mano. “Nella città del primo parlamentare

siciliano comunista, l’avvocato Francesco Lo Sardo, che morì nelle galere di Mussolini, apprendiamo sbalorditi e indignati che il fascista Giorgio Almirante sarebbe stato una delle figure di spicco della politica italiana del dopoguerra”, commenta con amarezza il professore Citto Saija, critico cinematografico ed ex segretario provinciale di Democrazia proletaria. “Se si volesse sottilizzare potremmo tacciare l’iniziativa della circoscrizione di “apologia di fascismo”. Purtroppo tantissimi eredi della subcultura fascista, sdoganati anche dai partiti del cosiddetto centro-sinistra, imperversano nelle nostre amministrazioni a cominciare dal Comune di Messina. Mi chiedo a questo punto cosa intenda fare il Partito democratico all’opposizione o come intendano muoversi i sindacati e i partiti della Sinistra radicale. L’università vuole dire qualcosa? Esistono intellettuali di sinistra o liberali o solo democratici che intendono opporsi all’assurda provocazione?”. E in un accorato appello apparso sul quotidiano on line Il nuovo Soldo, Citto Saija ha chiesto alla commissione toponomastica e alla Società messinese di Storia patria di “bloccare sul nascere l’evidente rigurgito neofascista”.

“A razzisti e boia non si dedicano strade”, ha prontamente risposto Giuseppe Restifo, docente di Storia moderna dell’U-niversità di Messina e membro della com-missione toponomastica. “Da storico nato nello stesso anno della Costituzione repub-blicana, voglio ricordare che nel 1942 Al-mirante scriveva “Esclusivamente e gelosa-mente fascisti noi siamo nella teoria e nella pratica del razzismo”, un teorema che per tre anni ancora avrebbe messo in pratica, con estrema coerenza. Il ruolo di tenente della brigata nera del Minculpop lo portò a essere fucilatore di partigiani e complice della deportazione degli Ebrei. Momenti emblematici che hanno segnato la giovinez-za del fondatore dell’Msi, di cui però non si fa cenno alcuno nell’edulcorata biografia allegata alla delibera della 2^ circoscrizio-ne”.

La “biografia” che tanto ha impressionato

i consiglieri è lunga poco meno di una pa-ginetta ed elenca solo gli incarichi profes-sionali e parlamentari ricoperti da Almiran-te. “Nato a Salsomaggiore, fondò l’Msi nel 1946. Iniziò la sua carriera come cronista presso Il Tevere e allo scoppiare della se-conda guerra mondiale fu arruolato, com-battendo nella Campagna di Nordafrica”, vi si legge. Sul suo rapporto organico con il fascismo si ricorda appena che “alla crea-zione della Repubblica Sociale Italiana, egli si arruolò nella Guardia Nazionale Re-pubblicana e successivamente ricoprì il ruolo di Capo gabinetto del Ministro della Cultura popolare di Mussolini”. “Si distinse in diverse battaglie per la difesa dell’italia-nità sul territorio nazionale, pronunciando discorsi-fiume (anche di nove ore) a favore del ritorno all’Italia di Trieste”, il gran “merito” (l’unico) assunto dai consiglieri circoscrizionali a giustificazione della deli-bera.

In Internet, wikipedia ricorda ben altre gesta di Giorgio Almirante. “Firmatario nel 1938 del Manifesto della razza, dal 1938 al 1942 collaborò alla rivista La difesa della razza come segretario di redazione. Su que-sta rivista si occupò di far penetrare in Ita-lia le tesi razziste provenienti dalla Germa-nia nazista, che già avevano portato all’ap-provazione nel 1938 delle leggi razziali fa-sciste”.

“A Salò, si arruolò nella Guardia nazio-nale Repubblicana con il grado di capoma-nipolo. Successivamente passò al ruolo di tenente della brigata nera dipendente dal Ministero della Cultura Popolare. In questa veste, al pari delle altre camicie nere, si im-pegnò nella lotta ai partigiani in particolare in Val d’Ossola e nel grossetano. Qui, il 10 aprile 1944, apparve un manifesto firmato da Almirante in cui si decretava la pena della fucilazione per tutti i partigiani che non avessero deposto le armi e non si fos-sero prontamente arresi. Nel 1971 il mani-festo - ritrovato nell’archivio comunale di Massa Marittima, pubblicato da l’Unità il 27 giugno 1971 e poi riconosciuto come autentico in sede giudiziale - susciterà ro-venti polemiche per via della feroce repres-sione antipartigiana compiuta dai fascisti in

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Smemoria Smemoria

quelle zone: a titolo di esempio basti ricordare che nella sola frazione di Niccioleta, a Massa Marittima, tra il 13 ed il 14 giugno 1944 vennero passati per le armi 83 minatori”.

Wikipedia riporta pure integralmente, il comunicato emesso dalla Questura di Roma nell’autunno del 1947 in cui si segnala il deferimento di Giorgio Almirante, “segreta-rio della giunta esecutiva del Movimento Sociale italiano”, alla Commissione Provin-ciale per il confino “quale elemento perico-loso all’esercizio delle libertà democrati-che, non solo per l’acceso fanatismo fasci-sta dimostrato sotto il passato regime e par-ticolarmente in periodo repubblichino, ma più ancora per le sue recenti manifestazioni politiche di esaltazione dell’infausto ven-tennio fascista e di propaganda di principi sovvertitori delle istituzioni democratiche ai quali informa la sua attività, tendente a far rivivere istituzioni deleterie alle pubbli-che libertà e alla dignità del paese”.

L’anima nera di Messina e provincia ha i suoi buoni motivi per commemorare ed onorare questa “figura di spicco della poli-tica italiana”. Negli anni della strategia del-la tensione e della controffensiva reaziona-ria contro le trasformazioni sociali e demo-cratiche dell’Italia repubblicana, il cuore di migliaia di messinesi batteva per Almirante

e i proconsoli locali dell’Msi, premiati con valanghe di voti alle elezioni amministrati-ve e nazionali.

Tanti a Messina ricordano ancora la gior-nata del 9 aprile 1972 quando al comizio di Almirante in piazza Università, accorsero oltre quindicimila persone. Alla fine, centi-naia di giovani in camicia nera e bastoni diedero vita ad un tetro corteo per le vie principali al grido “il comunismo non pas-serà”. Qualche giorno più tardi si sarebbe votato per il rinnovo del Parlamento italia-no: per l’Msi fu l’apoteosi, il 23,5% dei consensi al Senato e il 23,9% alla Camera dei deputati, il secondo partito più votato in città dopo la Democrazia cristiana. Fu elet-to a palazzo Madama l’industriale Uberto Bonino, editore della Gazzetta del Sud, già parlamentare Pli e dei monarchici. Due seg-gi a Montecitorio per il consigliere provin-ciale Giuseppe Tortorella e l’oncologo Sa-verio d’Aquino (poi sottosegretario agli in-terni dal 1987 al ‘94), intoccabile politico e onnipotente docente universitario “grazie anche al ruolo di sostituto procuratore della Repubblica ricoperto dal fratello Luigi d’A-quino che, caso unico in tutta Italia, eserci-tava le sue funzioni in un distretto che coin-cideva con il collegio elettorale del fratello on. Saverio”, come sottolinea il Comitato messinese per la pace e il disarmo unilate-rale nel prezioso volume Le mani sull’Uni-versità. Borghesi, mafiosi e massoni nel-l’Ateneo messinese (Armando Siciliano editore, 1998).

“L’anno del trionfo della fiamma tricolo-re è anche quello delle bombe neofasciste all’università di Messina”, aggiungono i pacifisti peloritani. “L’osmosi tra gli estre-misti di Ordine Nuovo e i camerati in dop-pio petto dell’Msi era ben visibile. I mili-tanti del Fuan e delle cellule ordinoviste condividono le stesse sedi”.

Il team di Ordine Nuovo nello Stretto era uno dei più agguerriti del paese al punto di richiamare l’attenzione del pubblico mini-stero romano Vittorio Occorsio, poi assassi-nato da elementi provenienti da ambienti massomafiosi e dell’estrema destra. Poco prima della sua morte, il magistrato si recò a Messina per interrogare una ventina di

neofascisti locali, compreso il commissario della federazione provinciale dell’Msi, Oscar Marino, uomo di fiducia dell’onore-vole D’Aquino e speaker-presentatore del-l’oceanico comizio di Giorgio Almirante il 9 aprile 1972.

“Che gli anni ‘70 abbiano rappresentato per l’università di Messina il luogo di so-cializzazione criminale per gli estremisti di destra e per i giovani della ‘ndrangheta è ormai un fatto storico-giudiziario”, si legge ancora nel volume del Comitato per la pace. “Fondamentale è stata la fase in cui Reggio Calabria fu sede dell’aspra rivolta dei boia chi molla, quando molti dei mafio-fascisti calabresi operavano a Messina nelle inedite e poco probabili vesti di studenti universitari. È così che la città dello Stretto viene utilizzata dai gruppi neofascisti quale avamposto per una serie di attentati eseguiti in Calabria nel corso dei moti per Reggio capoluogo”.

Tra i protagonisti delle incursioni armate all’interno dell’ateneo messinese c’erano, tra gli altri, due personaggi che avrebbero assunto un ruolo strategico di congiunzione tra gli ambienti criminali e l’estrema destra, l’allora vicesegretario del Fuan Rosario Cattafi e Pietro Rampulla. Secondo il boss Angelo Epaminonda, negli anni ‘80 Cattafi avrebbe gestito per conto del clan Santa-paola la scalata al casinò di Saint Vincent. Condannato a undici anni e sei mesi per la vicenda dell’autoparco della mafia di via Salomone a Milano, Cattafi è stato poi “graziato” da una sentenza della Cassazio-ne che ha annullato il processo per incom-petenza territoriale. Oggi viene indicato da alcuni collaboratori di giustizia come il “capo dei capi” di Cosa nostra nel messine-se.

Pietro Rampulla, originario di Mistretta, verrà invece condannato con sentenza pas-sato in giudicato per essere stato l’artificie-re della strage di Capaci, quando furono as-sassinati il giudice Falcone, la moglie e i poliziotti di scorta. Nella provincia dello Stretto, la criminalità organizzata ha chiare e profonde matrici di estrema destra.

Antonio Mazzeo

|| 14 ottobre 2011 || pagina 13 || www.ucuntu.org ||

Ambiente Ambiente

E la spiaggianon c'è più

Storie di ordinarie prepotenze: vietato raggiungere il mareStorie di ordinarie prepotenze: vietato raggiungere il mare

Sorpresa: la spiaggia non c’è più. O meglio, la spiaggia c’è ma non è più accessibile, almeno non a tutti. Perché per privatizzare un bene pubblico non bisogna per forza avere una concessione, basta semplicemen-te recitare l’accesso.

La storia di originale ha poco. In una cittadina affacciata sul mare, in questo caso Milazzo, c’è una zona particolarmente bella: una piccola insenatura, a picco sul mare, con una spiaggia raggiungibile da mare oppure tramite una scalinata, costruita chissà quando e chissà da chi.

Un luogo accessibile a tutti o quasi: lo conoscono solo gli au-toctoni e i gradini sono numerosi e scoscesi, ma la bellezza del po-sto è anche questa.

La spiaggia è quella di Villa Speranza, dal nome della casa che dominava solitaria il golfo.Negli anni, lungo la strada, vengono co-struiti appartamenti e complessi residenziali e Villa Speranza di-venta molto meno solitaria.

Uno di questi complessi, il Covo degli Dei, si trova proprio di fronte la scalinata. Il recinto in-

torno al complesso non finisce a picco sul mare, ma lascia lo spazio necessario per il passaggio delle persone verso l’ac-cesso alla spiaggia pubblica.

E’ la legge, arti-colo 822 e articolo 823 del Codice Ci-vile.

“Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia” “I beni che fanno parte del demanio pubblico sono ina-lienabili e non pos-sono formare og-getto di diritti a fa-vore di terzi, se non nei modi e nei limi-ti stabiliti dalle leg-gi che li riguarda-no. Spetta all'auto-rità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubbli-co.”

A questo punto tutti avete già capi-to come finisce la storia. Improvvisa-mente, anzitempo, il recinto si allunga furbescamente. Non per tutta la lunghezza, per ca-rità.

Un quadratino in più, un “terrazzi-

no” di pochi metri che si affaccia sulla baia, quelli necessari ad ostruire il pas-saggio. La scalinata rimane là, oltre il re-cinto. Sotto i piedi, irraggiungibili, la spiaggia ed il mare chiamano: ostaggi dell’umana avidità.

Andrea La Malfa

|| 14 ottobre 2011 || pagina 14 || www.ucuntu.org ||

Catania/ Cemento Catania/ Cemento

I vandalidi Corso Martiri

Vogliono cancellare il futuro della città contro gli interessi dei cittadini presenti e futuri.Vogliono cancellare il futuro della città contro gli interessi dei cittadini presenti e futuri.Fermiamo la cementificazione con un referendum: colata di cemento o parco attrezzato?Fermiamo la cementificazione con un referendum: colata di cemento o parco attrezzato?

Il più grande investimento edilizio del se-colo, dopo quello degli anni 60, che ineso-rabilmente, e contro il volere della città, ca-drà sulla testa dei cittadini catanesi dei loro figli e delle generazioni future, non è altro che la prevista speculazione edilizia (spac-ciata cinicamente per “risanamento" e dura-ta in vita per ben 60 anni grazie alle leggi ad hoc di proroga regionali) su Corso Mar-tiri della Libertà ovvero le aree desertificate dallo sventramento di quello che fu il quar-tiere di S. Berillo raso al suolo grazie alla complicità di amministratori che si sono svenduti la città e i loro cittadini.

Da non dimenticare i 40 miliardi di lire (ma ne avrebbero chiesti altri 78 come se parlassero di noccioline) che noi cittadini attraverso il Comune abbiamo versato nel 1991 ai proprietari dell’area per ‘ripagarlì, guarda caso, del ridimensionamento della cubatura cementizia restando l’area priva-tizzata e senza averne noi cittadini alcun vantaggio patrimoniale.

Qualche mese addietro abbiamo lanciato una più che fattibile idea che , se realizzata anche contro il volere della speculazione, ci metterebbe al passo con le metropoli più evolute e civili del mondo.

Abbiamo chiesto di trasformare le aree ancora libere di Corso M. della Libertà in un vero e proprio Central-Park dotato di strutture pubbliche leggere ed eco-compati-bili di pertinenza di un parco e per iniziati-ve culturali, ricreative, sportive, musicali, didattiche, scientifiche, teatrali, per ogni età e di ampio respiro sfruttandone anche i fos-sati esistenti (altro che progetto Furkas ri-chiesto dai privati!).

Sicuramente tale proposta avrà avuto il consenso di ogni abitante di questa città, cittadino che non attende altro che poter esprimere tale assenso attraverso un refe-rendum che l’Amministrazione comunale dovrà indire in quanto non spetta ai singoli politici decidere il futuro della nostra città.

Ma sono passati mesi e nè il Sindaco nè i vari leader di questa città hanno avuto l’ac-cortezza e il coraggio di rispondere o fare propria tale proposta peraltro in una città con la più bassa densità di spazi verdi fra città italiane (sempre ultimi nelle cose posi-

tive e sempre primi in quelle che ci fanno ridere addosso).

Tutti, o quasi, quelli che avevano il dove-re morale e politico, come se avessero inte-ressi da tutelare, hanno meschinamente ta-ciuto e continuano a farlo anche dopo l’an-nunciata dichiarazione del Sindaco che co-municava che il 30 settembre sottoscriverà un “accordo di transazione” con i soggetti proprietari di parte dell’area (che peraltro nasce da un piano di edificazione approvato nel maggio del 2008, in piene elezioni am-ministrative, da un Commissario straordi-nario). È ciò come se si parlasse di un’area astratta e non invece di un territorio che si trova nel cuore della città e che ad essa do-vrebbe appartenere.

Non una proposta diversa dal progetto di cementificazione previsto (con relativo ab-battimento della scuola pubblica presente nella zona e cancellazione della vasta area di insediamento di strutture di soccorso prevista dal piano di emergenza terremoto) nè un accenno per evitare quella colata di cemento che coprirà in largo, in lungo e in altezza corso Martiri della Libertà, e parte di quello che resta di S.Berillo, e mettendo così un ulteriore muraglione invalicabile tra il centro storico e il mare , tra l’ agognata voglia di vivere in una città a misura d’uo-mo e di bambini e l’ inevitabile condanna a restare rinchiusi nella caotica e inquinata città per i secoli a venire.

Ancora una volta questa è la sola consue-tudine in questa città, tra gli interessi di ogni cittadino presente e futuro e coloro che grazie a certi amministratori e politici locale e regionali , e non da oggi ma da quando le ruspe, nel 1954, rasero al suolo S. Berillo deportando fuori dalle mura della città, con la forza decine di migliaia di resi-denti senza diritti e senza difesa.

Ancora una volta i potenti, politici e non (dimenticando la denuncia del coraggioso e dimenticato deputato catanese Pezzino nei confronti dell’allora Sindaco Magrì, nel 1968). scelgono gli interessi economici di pochi singoli condannando la città a non avere un parco cittadino ed ovviamente ne-gandone un futuro da città europea.

Alfio Lisi

ROMA/ APPUNTAMENTIOLTRE IL MARKETING.COMUNICAZIONE,INCHIESTA, REPORTAGE E NARRAZIONE

Un percorso teorico e pratico sulla creazione di un oggetto informativoCinque incontri formativi dal 29 ot-tobre al 26 novembre, 30 ore in sede e 10 ORE sul campo per rea-lizzare una grande inchiesta/raccon-to multimediale sul lavoro dello spettacolo e della cultura a RomaConducono il progetto:Sonia Ferrarotti (psicologa della co-municazione e della formazione)Sebastiano Gulisano (giornalista, scrittore e fotografo)Pietro Orsatti (scrittore, regista e giornalista)Organizzazione:Associazione EleMentiConTortiMedia partner Rassegna.It e Daze-bao NewsPROGRAMMA29/10 – INTRODUZIONE E MO-DULO SULLA COMUNICAZIO-NE5/11 – DALLA COMUNICAZIO-NE COMMERCIALE A QUELLA SOCIALE12/11 – LA SCRITTURA. CRO-NACA E INCHIESTA19/11 – REPORTAGE E RAC-CONTO26/11 – LA “MACCHINA” E LA COSTRUZIONE DI UN OGGET-TO INFORMATIVONel percorso formativo sono previ-ste dieci ore di esercitazioni prati-che sul campo seguite dai condutto-ri.SEDE DEGLI INCONTRIRoma – Via Efeso 2/a (metro San Paolo) presso la sala dell’associa-zione “L’Isola che c’è”

|| 14 ottobre 2011 || pagina 15 || www.ucuntu.org ||

Satira Satira

Madein Italy

|| 14 ottobre 2011 || pagina 16 || www.ucuntu.org ||

Satira Satira

|| 14 ottobre 2011 || pagina 17 || www.ucuntu.org ||

Satira Satira

La r-esistenzadei precari

|| 14 ottobre 2011 || pagina 18 || www.ucuntu.org ||

L'Associazione Altrinformazione presenta Nicola, l'antieroe precario del terzo millennio. Un piccolo manuale di socio-economia travestito da fumetto.NICOLA/ R-ESISTENZA PRECARIACome perdere con stile contro il grande capitaleDi Marco "MP" Pinna, con una prefazione disegnatadi Altan e Cipputi

SATIRA, GIORNALISMO, FUMETTO“Mamma!” è una rivista che unisce fumetto, giornalismo e sati-ra. Nasce dalla rete su www.mamma.am, che dopo aver vinto il prestigioso premio di satira Politica di Forte dei Marmi oggi è una vera e propria agenzia di stampa satirica quotidiana. E'dif-fusa su abbonamento con numeri tematici, uno "slow food del-l'informazione" di approfondimento e spazi per riflettere.La rivista si chiama Mamma! perchè i suoi autori condividono un progetto ambizioso: realizzare la prima rivista italiana di giornalismo illustrato e satira d'inchiesta libera da Padrini, Pa-droni, Pubblicità, Prestiti bancari e Partiti politici, le "P" che in-quinano e avvelenano l'informazione italiana.Nessun intermediario, nessun finanziatore occulto: solo il rap-porto tra una redazione e i suoi lettori, con gli autori della rivista che diventano"editori puri" di se stessi, capaci di mettere in gio-co lavoro volontario e sudati risparmi per scommettere sul so-gno di un'altra informazione possibile.Un'avventura editoriale che nasce all'interno dell'associazione culturale "Altrinformazione", per aprire al giornalismo spazi di-versi da quelli dell'editoria commerciale, orientati alla comuni-cazione e non al profitto."Se ci leggi e' giornalismo, se ci quereli e' satira": con questo slogan "Mamma!" sta cercando di dare spazio ad una genera-zione di autori schiacciata tra la crisi editoriale e la geronto- crazia che ha occupato tutti i posti-chiave dell'informazione.

SatiraSatira

A Mauro Biani il premio“Una vignetta per l'Europa”

|| 14 ottobre 2011 || pagina 15 || www.ucuntu.org ||

Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

Le rivoluzionarie,una repubblicae quattro conti

L'AUTISTADI WOJTYLA

Il 21 novembre 1982, in una Palermo tri-stissima dove “la speranza dei siciliani one-sti” era stata uccisa con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, arrivò Karol Wojtyla.

Era la prima vota che arrivava in Sicilia e i cristiani buoni e onesti lo accolsero con gioia e si sentirono meno soli e meno di-sgraziati.

Lui ebbe parole giuste, ferme e piene di coraggio per i malati dell’Ospedale Civico e per gli operai del Cantiere navale; era an-dato pure all’Università per incontrare il corpo accademico e pure per i prof. trovò le parole giuste. Le cronache raccontano della visita alla comunità greco – ortodossa di Piana degli Albanesi e ai “terremotati” del-la valle del Belice.

Ma la cronaca è morta, diceva Benedetto Croce, e spira ogni giorno con le pagine del quotidiano che la riporta ed invece la Storia è viva ed essa ci pone alcune domande, an-cora oggi, a distanza di tanti anni dal gior-no di quella visita.

Ma quanto era forte la mafia a Palermo nel !982? E chi comandava a Palermo? I Carabinieri o la Questura. E la Chiesa? E il Cardinale Pappalardo che appena un mese prima aveva pronunciato l’indimenticabile omelia di “Sagunto che brucia” quanto “contava” nell’organizzazione del viaggio del Papa? Chi ha gestito i trasferimenti del

Papa, chi ha ritenuto di garantire la sicurez-za di Wojtyla, che già il 13 maggio dell’an-no precedente era stato raggiunto da due colpi di pistola sparati da Mehmet Ali Ağca?

Chi ha scelto, in definitiva, l’autista della “papa mobile”? Chi ha permesso che la persona del Capo della Chiesa Cattolica fosse affidata, per tutto il tempo della visita a uno dei personaggi più importanti di Cosa nostra?.

Sembra proprio incredibile, ma è così: l’autista di Karol Wojtyla fu Angelo Siino, detto Bronson, pilota di rally e ministro delle finanze e dei lavori pubblici di Cosa nostra, braccio destro di Bernardo Proven-zano e dispensatore, per conto della Cupo-la, di appalti e tangenti, i primi per gli im-prenditori “amici”, le seconde per gli “ami-ci” politici. Naturalmente, Karol Wojtyla di tutte queste storie non ne sapeva niente. Vero?

LE RIVOLUZIONARIEDI PALAGONIA

La gente di Catania accolse con grande calore, partecipazione e solidarietà il corteo guidato dalle donne di Palagonia quel 4 aprile del 1904.

Esse guidarono la marcia su Catania, at-traversando a piedi “la piana” con i loro uomini in una schiera di circa ottocento persone.

Cantavano l’inno dei lavoratori e la gente le salutava e le applaudiva dai balconi e, per la strada, centinaia di catanesi ingrossa-rono il corteo. Fu una manifestazione im-ponente, indimenticabile. Il Sindaco Giu-seppe De Felice fece distribuire più di dieci quintali di pane ed il Prefetto Emilio Be-dendo dette disposizioni di fare rientrare gratuitamente i manifestanti a Palagonia.

Erano venute a Catania per denunciare le persecuzioni subite a seguito delle lotte contro lo sfruttamento mafioso perpetrato dai gabelloti.

Sette di loro erano state incarcerate per diversi mesi dopo le lotte contadine culmi-nate nella protesta a Palagonia del 14 ago-sto 1902.

Erano gli anni in cui, già soffocato il mo-vimento dei Fasci dei lavoratori, Bernardi-no Verro, Nicola Alongi ed altri percorreva-no la nuova via delle “affittanze collettive”: un sistema di gestione del latifondo tenden-te ad eliminare l’intermediazione parassita-ria, mafiosa e violenta dei gabelloti.

I contadini volevano riuscire, quindi, a stipulare direttamente con i proprietari del latifondo contratti più equi e rispettosi del loro lavoro. Il principe Gravina di Palago-nia, rimasto senza eredi, aveva lasciato il suo feudo all’Opera Pia di Palermo che, a sua volta, ne aveva affidato la gestione ai gabelloti.

A seguito delle manifestazioni e della straordinaria partecipazione di migliaia di

|| 14 ottobre 2011 || pagina 20 || www.ucuntu.org ||

”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva epiacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva e la cronaca è morta. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore,la cronaca è morta. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento antiche è un vecchio militante del movimento antimafia: ma forse non siamo d'accormafia: ma forse non siamo d'accordo. La storia èdo. La storia è un insieme di cronache di tante persoun insieme di cronache di tante persone comuni. E tutte diventano anne comuni. E tutte diventano anch'esse storia, prima o poi.ch'esse storia, prima o poi. ComunComunque, ecco le storie che Elio Camilleri fa girare su internet. Antiche e attualisque, ecco le storie che Elio Camilleri fa girare su internet. Antiche e attualissime, sicilianesime, siciliane

<< Mi piacerebbe tanto tanto che i destinatari "adulti" delle mie scheggele facessero leggere ai giovani e che i destinatari "giovani” le facessero leggere agli adulti >>

[email protected]

Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

persone, dell’impressione destata nell’opi-nione pubblica, l’Opera Pia di Palermo, il 16 novembre 1904, stipulò nuovi contratti certamente più equi, accogliendo le giuste richieste delle rivoluzionarie di Palagonia.

LA REPUBBLICADI COMISO

Tutto iniziò la sera del 5 gennaio 1945 con l’assedio alla caserma dei carabinieri e del commissariato di polizia. La mattina del 6 i rivoltosi del “non si parte”, tra i quali, secondo la testimonianza di Giacomo Ca-gnes, in posizione preminente i comunisti e con la partecipazione di fascisti e separati-sti pur senza incidenza organizzativa, né capacità egemonica, ottennero la resa e oc-cuparono tutti gli uffici pubblici, costituiro-no posti di blocco e interruppero le comu-nicazioni telefoniche e telegrafiche.

Nessuno arrivò a Comiso a causa delle altre sommosse che si svolgevano nelle stesse ore in numerosi altri centri.

“Comiso, in realtà, mentre l’intera pro-vincia ribolliva, era stata abbandonata alla sua sorte”

(S. Nicolosi. Sicilia contro Italia. Edizio-ni Tringale. Catania. 1981. p. 252

Quelli del “non si parte” ormai padroni della cittadina, costituirono un “comitato provvisorio del popolo” che si insediò nel palazzo municipale. Tra i primissimi atti, il comitato produsse uno Statuto che forma-

lizzò la destituzione dei titolari di tutte le funzioni pubbliche; proclamò la “Repubbli-ca di Comiso” le cui rappresentanze istitu-zionali sarebbero state presto elette demo-craticamente.

Cinque studenti universitari, tra i 20 e i 25 anni, costituirono il Comitato provviso-rio e uno di loro, Francesco Marziano di 22 anni, fu il sindaco. Per la tutela dell’ordine pubblico si costituì una milizia cittadina formata da barbieri, macellai, commercian-ti, carrettieri tutti, in genere, molto giovani.

L’11 gennaio 1945, il generale Brisotto, ricevuto da Bonomi, tramite Aldisio, l’ordi-ne perentorio e categorico di ristabilire l’ordine, minacciò di marciare con il suo battaglione contro la città di Comiso e di bombardarla se essa avesse opposto resi-stenza.

E fu così che i rivoltosi ottenute promes-se, poi non mantenute, di non essere incar-cerati, deposero le armi e sancirono,dopo sei giorni dalla nascita, la fine della Repub-blica di Comiso.

MATEMATICASOCIALE

No, non sono impazzito, ma, ogni tanto, per essere chiari e precisi, per non avere dubbi o incertezze, come non li abbiamo quando diciamo che 2+2=4 vale la pena di utilizzare le due fondamentali operazioni dell’aritmetica, l’addizione e la sottrazione,

per spiegare cos’è la mafia.Nando dalla Chiesa, in “La

convergenza”, presenta il breve elenco dei fattori in gioco, costitutivi di Cosa nostra, camorra e ndrangheta, preceduti, ciascuno, da una lettera:

A: controllo capillare, politico e/o eletto-rale del territorio

B: costruzione e governo di rapporti di dipendenza personali

C: violenza come suprema regolatrice dei conflitti (politici, sociali, economici)

D: rapporti organici, privilegiati e siste-matici con la politica

I quattro fattori generano la seguente operazione: A+B+C+D= MAFIA

Inoltre, ciascun fattore è interdipendente ad un altro: non ci può essere A se non c’è B, non ci può essere B se manca C, non ci può essere D se mancano A, B e C.

“In assenza di un solo di questi elementi non si può parlare di modello mafioso”.(N. d. Chiesa. La convergenza. Melampo. Mi-lano. 2010. p. 35)

Infatti: A+B= CLIENTELISMO B+C= DELINQUENZA ORGANIZZATA

Verrebbe da concludere che D= (A+B)+(B+C) cioè, fuori dal linguaggio della ma-tematica che il modello mafioso ci restitui-sce una politica che è essa stessa clienteli-smo e criminalità organizzata in quanto contigua, interdipendente fattore inelimina-bile del modello mafioso.

|| 14 ottobre 2011 || pagina 21 || www.ucuntu.org ||

Siciliani Siciliani

Allonsanfan,ragazzi!

Perché c'è bisogno del nostro “nuovo” giornale Perché c'è bisogno del nostro “nuovo” giornale

“Allonsanfan” ragazzi, ripartono i Sicilia-ni! Aspettate un attimo, però. Si riparte, certo, ma non nel senso del reducismo, di chi sopravvissuto a una guerra desidera tor-nare in trincea. Perché in prima linea, i pro-tagonisti della straordinaria stagione di giornalismo civile che è stata “I Siciliani”, ci sono sempre stati: da Giovanni Caruso a Maurizio Parisi, da Miki Gambino e Clau-dio Fava a Sebastiano Gulisano fino a tutte le testate di base espressione di quella lotta per il cambiamento e la costruzione di una società un giorno finalmente libera da ma-fie e malaffare.

Siciliani, quindi, per scelta e per amore di un’ eredità scomoda ma da sempre condivi-sa coi più giovani delle nuove generazioni che credono nel “concetto etico del giorna-lismo” che animò il Direttore.

Il Direttore, sì, perché “I Siciliani hanno avuto - e continueranno ad avere, spiega categorico Orioles - un solo Direttore: Giu-seppe Fava”.

I “carusi” di Fava oggi sono cresciuti, ognuno portando valorosamente nel proprio lavoro la ricchezza di averne incontrato lo spessore umano e intellettuale, ed invece alcuni dei giovani che oggi si avvicinano al giornalismo grazie a Fava non erano nean-che nati, quando cinque revolverate tenta-rono, comunque senza successo, quella sera del 5 Gennaio 1984, di spezzare un Sogno. Il Sogno di un’informazione “senza padrini né padroni”, autonoma dai desiderata dei cavalieri dell’apocalisse mafiosa, dai mini-stri collusi e dai mafiosi loro protetti.

Oggi i “carusi” sono Fabio, Sonia, Ga-briella, Giorgio, Norma. C’è la rete “Lavori in corso” di Catania, prima esperienza di coordinamento tra le diverse testate di base, e ci sono i ragazzi “di Stampo antimafioso” di Milano. C’è Liberainformazione, il coor-dinamento Fava di Palazzolo Acreide (Sr) e i giovanissimi de Il Clandestino di Modica. Tutti ogni anno impegnati nella creazione di preziose inchieste, video, dossier, labora-

tori e strumenti di lavoro nella consapevo-lezza che la Memoria non può non costruire che l’impegno.

Allora qualcuno si è domandato: perché non tutti insieme? Perché non sfidare anco-ra una volta l’atavico e rassicurante indivi-dualismo di chi pensa che in fondo fare ognuno per conto proprio è più semplice e magari dà risultati più immediati?

A questa, visto i tempi, ambiziosa do-manda si proverà a rispondere tramite i “Si-ciliani giovani”, il nome della testata che avrà un formato internet e uno cartaceo.

Siciliani, perché la Sicilia, dicono, è la terra che più di ogni altra è la degna meta-fora del bel paese. Giovani, perché siamo nel 2011, e la Memoria va rispettata anche nel senso che i giovani non possono vivere di gloria altrui.

Nel nuovo incontro per “l’avanzata” dei Siciliani i magistrati Giancarlo Caselli e Gianbattista Scidà, il prof. Nando dalla Chiesa daranno un supporto indispensabile insieme a Enza Rando, avvocato di Libera.

Il resto è tutto da scrivere. Senza formule preconfezionate né retorica, in un vero e proprio mosaico di responsabilità.

Responsabilità che ci rimanda alle parole di chi, trovatosi in un recente passato a un passo dalla vittoria sulla mafia, afferma che è il nostro turno. Il turno di chi non può ri-manere ignavo rispetto al sempre attuale in-terrogativo, profondamente esistenziale ma

non teorico: e tu, da che parte stai?Rispondere anche oggi, quindi, per sce-

gliere, soprattutto chi ha ancora non l’aves-se fatto o non ne avuto il coraggio, se è il caso di mettersi in gioco e sfidare la capaci-tà di sentire “quel profondo dolore umano” che attanaglia il prossimo. E sentirlo come fosse il nostro, quel dolore.

Rispondere a questo vero e proprio ap-pello significa voler incarnare in una di-mensione di rete, senza nulla togliere alle preziosissime individualità già presenti, quello spirito di un giornale con cui Giu-seppe Fava trent’anni fa spiegava che un giornalismo fatto di verità impedisce le molte corruzioni di cui oggi è malata non solo la nostra terra ma l’intero paese. In-trecci tra mafia e politica che rendono pro-fetiche le parole del suo testamento: “i ma-fiosi non sono quelli che sparano, quelli sono gli esecutori, anche al massimo livel-lo. I mafiosi veri sono quelli che comanda-no: i mafiosi talvolta sono ministri, i mafio-si sono banchieri, i mafiosi stanno in parla-mento. I mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione”.

Mai come oggi risultano attualissime queste parole, pronunciate da Fava appena una settimana prima di morire per mano mafiosa. Mai come oggi c’è bisogno di pro-nunciarle insieme!

Parole come pietre taglienti, lanciate ap-posta per graffiare la madre di tutte le ma-fie, di tutte le violenze, la nostra indifferen-za: “se un giornale non è capace di fare questo, se non è capace cioè di accelerare opere pubbliche indispensabili, pretendere il funzionamento dei servizi sociali, della sanità, imporre ai politici il buon governo, si fa carico anche di vite umane” (G. Fava, Lo spirito di un giornale)

Se le riascoltiamo queste parole, leggen-dole con attenzione, comprendiamo come oggi, forse più dei tempi di Giuseppe Fava, c’è ancora bisogno de I Siciliani.

Gianluca Floridia

|| 14 ottobre 2011 || pagina 22 || www.ucuntu.org ||

Siciliani Siciliani

Appunti sull'informazioneai tempi dell'internet

Un appuntamento che viene da lontanoUn appuntamento che viene da lontano xxxxxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxxxxx

1. Le due rivoluzioni:- i soldi fanno un sacco di soldi (Aol-Ti-

me ecc);- i ragazzini ricominciano a scrivere let-

tere d'amore (e-mail, sms).* * *

2. Le "nuove" tecnologie non sono più nuove da un pezzo e ormai hanno indivi-duato un universo abbastanza preciso.

Gli internet in realtà sono due:- il web-tv;- il web interattivo. L'interattività è il fatto nuovo e il tasso

di interattività è l'elemento decisivo. * * *

3. Il mondo come comunicazione/rete (l'informazione come caso particolare). Il mondo di cui si parla e il mondo di cui non si parla. Il mondo che parla e il mon-do che non parla.

Quanto costa realmente lêaccesso alla comunicazione? Chi lo decide? Atomi e bytes: chi è il "padrone" dei bytes? Fisio-logicamente, i bytes possono avere un pa-drone? Che cosa in realtà "padroneggia-no" allora, in questo campo, i "padroni"?

* * *4. Da tempo le imprese fanno cultura in

proprio (pubblicità = culture). Ma adesso le imprese fanno informazione in proprio.

Prima l'industriale faceva anche l'edito-re. Ora l'industriale dev'essere innanzitut-to un editore

* * *5. In questa situazione, che cosa c'entra

più il giornalista? Anzi, direttamente: chi è il giornalista? C'è ancora una specifica tecnologia che lo caratterizza? Che cosa lo caratterizza, allora?

(Il medico un tempo faceva i salassi, oggi deve sapere che cos'è il Dna. Tecno-logie completamente cambiate: che cos'è rimasto immutato? L'approccio umanistic-o al malato. Il medico è quel professioni-sta che, nel variare delle tecnologie, forni-sce all'utente le garanzie culturali contenute nel giuramento di Esculapio).

Il giornalista è semplicemente, nel va-riare illimitato delle tecnologie, il detentore del giuramento di Ippocrate.

* * *6. Ieri garantiva che l'informazione fos-

se "veritiera e corretta". Oggi garantisce che l'informazione sia anche, nel nuovo quadro tecnologico:

- distinta dalla pubblicità;- sufficientemente interattiva. Entrambe queste caratteristiche possono

essere oggettivamente quantizzate.

* * *7. L'interattivita è il nuovo diritto del

lettore nel mondo dell'informazione attua-le. La correttezza pubblicitaria (informa-zione distinta alla promozione, e le fonti

d'informazione distinte dalle fonti di pro-mozione) è il secondo diritto. La privacy il terzo.

Di questi tre diritti le organizzazioni dei giornalisti debbono rendersi garanti. Ma la funzione di garanzia tocca soprattutto al singolo giornalista e ne è anzi l'elemento costitutivo.

È la funzione di garanzia nei confronti del lettore, e non questa o quella (necessa-ria) competenza tecnica che distingue chi è giornalista da chi non lo è. Essa distin-gue, in particolare, il giornalista dall'ope-ratore dell'informazione per conto delle imprese.

* * *8. Le figure professionali specifiche a

cui dare dei nomi. Chi deve farlo? In que-sto momento, di fatto, lo stanno facendo le imprese. Se lo facessimo noi giornalisti sarebbe meglio (ieri: il reporter, il writer, l'inviato, il deskista... ). Non tanto per un fatto sindacale quanto per difendere una cultura.

* * *9. L'accesso alla professione - ma

quale professione? Anche qui: di fatto, chi decide? Al tempo delle radio libere, dei meccanismi precisi alla fine hanno pro-dotto i berlusconi. È il caso di aspettare che si formino (se non si sono già formati) i webbusconi?

(San Libero, 16 aprile 2000)

|| 14 ottobre 2011 || pagina 23 || www.ucuntu.org ||

Siciliani Siciliani

“A che serve essere vivi,

se non c'èil coraggio di

lottare?”

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