Ucuntu n.73

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150410 www.ucuntu.org - [email protected] Son tanti, si moltiplicano, minacciano la Razza. Li cacciano dalle scuole, li mettono a pane e acqua. Fantasie? L'altro giorno una bambina nigeriana, fi- glia di operai, è morta perché respinta dall'ospedale. C'è una strategia preci- sa, dietro tutto questo: impaurire i potenziali immigrati per tenerli lontani. E' una forma moderna di terrorismo, odiosa quanto i brigatisti e altrettanto feroce. Altro che dialogarci: combatterli a tutti i costi! Roccuzzo Spagna - Il giudice Garzon cacciato dai politici come Caselli Finocchiaro Pd e Lombardo: le ragioni di un no Dibattito Informazione e speranza Storie di ordinari soprusi/ Sardegna: quello strano arresto alla Maddalena || 15 aprile 2010 || anno III n.73 || www.ucuntu.org || La guerra dei bambini

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Il numero del 15 aprile 2010

Transcript of Ucuntu n.73

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150410 www.ucuntu.org - [email protected]

Son tanti, si moltiplicano, minacciano la Razza. Li cacciano dalle scuole, li

mettono a pane e acqua. Fantasie? L'altro giorno una bambina nigeriana, fi-glia di operai, è morta perché respinta dall'ospedale. C'è una strategia preci-

sa, dietro tutto questo: impaurire i potenziali immigrati per tenerli lontani. E' una forma moderna di terrorismo, odiosa quanto i brigatisti e altrettanto

feroce. Altro che dialogarci: combatterli a tutti i costi! Roccuzzo Spagna - Il giudice Garzon cacciato dai politici come Caselli

Finocchiaro Pd e Lombardo: le ragioni di un no Dibattito Informazione e speranzaStorie di ordinari soprusi/ Sardegna: quello strano arresto alla Maddalena

|| 15 aprile 2010 || anno III n.73 || www.ucuntu.org ||

La guerradei bambini

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Italia Italia

Il nuovoterrorismo

Rachel Odiase, tredici mesi, nigeriana, figlia dell'operaio Tommy Odiase, morta per mancanza di cure poco dopo essere stata respinta dall'ospedale di Cernusco, Italia, è a tutti gli effetti una vittima del terrorismo.

La vita non le è stata tolta per ignoranza, o per superficialità colpevole, o per "incidente": è stata respinta perchè non in regola coi documenti. Suo padre da tredici anni lavorava in Italia con tutti i permessi possibili: il Pil di noi italiani bianchi è fatto dagli anni di lavoro di operai come questo. Un mese e mezzo fa, per la "crisi", il padrone l'aveva licenziato: il permesso di soggiorno, che va rinnovato (e pagato) ogni sei mesi, in questi casi richiede tutta una serie complessa di documenti, che certo a un operaio come Odiase nessuno si cura molto di consegnare in tempo. Senza documenti del Reich, senza accettazione, senza permesso, la piccola Rachel è stata praticamente condannata a morte.

Questo, che noi sappiamo, è il primo caso eclatante di eliminazione legale di un piccolo immigrato. Ma c'erano già le storie dei piccoli buttati fuori dalle mense scolastiche, lasciati col piatto vuoto davanti ai compagnucci dell'asilo, semplicemente perché erano poveri e non avevano pagato in tempo la retta. E i piccolissimi zingari bruciati - anche questo è successo - nelle loro tende a Opera, Lombardia; e vivi per miracolo, non certo per pietà dei razzisti; e quelli cacciati via dalle squadracce mafiose a Rosarno, a Poggioreale, a Milano dalla guardia civica cittadina.

* * *Nessuno di questi episodi è casuale.

Così come i piccoli ebrei, germe del male e seme di Ubermensch, dovevano essere sradicati dalla terra per il bene della razza ariana, così gli immigrati più piccoli vanno cacciati - o uccisi - per primi e in fretta: prima che diventino uomini, uomini di

razza nemica.Il terrorismo nei confronti

dell'immigrazione (le "cannonate in pancia" di Bossi, il gioco "affonda un immigrato" di suo figlio) è stato apertamente, nel nostro silenzio colpevole, teorizzato. La strategia è di fare paura, l'Italia deve apparire un paese terribile, da cui tenersi lontano. Non è vero, onorevole Bossi? Non è vero, onorevole Borghezio, sindaco Tosi, sindaco Gentilini?

In nulla si differisce il terrorismo, che ormai crea le sue vittime, di costoro da quello dei Nar o dalle Brigate Rosse. Va contrastato a ogni costo, con mezzi moderati se possibile, con ogni altro mezzo se occorre. Quanto a parlare coi terroristi, a "dialogare" coi loro alleati, a cercare non dico collaborazioni ma trattative con essi, è un'idea che dovrebbe far vergognare chi anche lontanamente ce l'abbia in mente.

Riccardo Orioles

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Italia Italia

Due storiedi antimafiosi

(disegno di Dariush Radpur)

Due storie di due antimafiosi distanti tra loro, il mare che separa La Madda-lena dalla Sicilia, e venti anni di diffe-renza. Andrea, 43 anni, militante di base alla Maddalena, in lotta contro i soprusi alla sua isola e Salvatore, 20 anni, abitante a Catania, nel quartiere popolare di Zia Lisa.

Andrea (pagine 6-7) vive la sua vita contro ogni violenza, solidale con i compagni e la gente comune, lavorando come mastro muratore durante il giorno e piantando siti web, volantini, lenzuola e proteste popolari: dalla lotta per l'acqua pubblica (www.desaparecidos.it/acquopoli.htm) a quella contro la recinzione delle case del quartiere dell' Arsenale (www.you-tube.com/watch?v=SFL1pHSOLFA).

Andrea ha vissuto questo decennio usando la vita contro ogni sopruso at-torno a sè. Un grande orgoglio, un grande amore per il prossimo, dopo una vita di sofferenza, ha portato avanti ogni lotta con grande senso di umanità e responsabilità. A tutto questo, alla sua lotta per la civiltà nella sua isola, la ri-sposta sono state le attenzioni di un gruppo di carabinieri dell'isola

( http://www.youtube.com/watch?v=9r-Sm4kh_B6s).

Già qualche anno fa era stato arresta-to per resistenza a pubblico ufficiale, e per ingiuria aggravata (si sarebbe rivolto al comandante della stazione dicendo che non era degno di indossare l'uniforme). Il processo è tuttora in corso, in secondo grado.

Ora un nuovo epilogo: il 28 marzo, il giorno prima di pasqua, Andrea viene ancora una volta arrestato “perché accusato dei fatti previsti dagli artt. 337, 582, 585 e 341bis c.p.” (resistenza a pubblico ufficiale, lesione personale, circostanze aggravanti, oltraggio a pub-blico ufficiale). L'arresto avviene men-tre rincasava dalla commemorazione di un amico morto. partecipa a un torneo di biliardino al bar Charlie. I carabinieri lo fermano in piazza, lo prelevano e lo portano dentro. Adesso aspetta il processo.

* * *Seconda storia (pagina 11). E' quella

di Salvatore - così distinta nella forma da quella di Andrea -, un giovane anti-mafioso di un quartiere popolare. E' una storia di semplice resistenza a un

ambiente che costantemente lo porte-rebbe altrove. Ma lui invece è caparbio nella volontà di far bene per tutti. Al la-voro di volantinaggio, a scuola, dentro il quartiere. Legge molto e cammina molto tra il web, nella rete di facebook. Ha scritto un pezzo con una geografia fin troppo precisa del suo quartiere.

* * *Da una parte del mare Andrea, da

un'altra parte Salvatore. Nel mezzo l'I-talia di Berlusconi, la crisi nelle fabbri-che, la scuola ridotta al minimo, la de-mocrazia ferita.

Non bastano le parole per ricordare che senza cittadini che fanno semplice-mente l'uso della civiltà ci troveremo di nuovo a piangere i martiri che hanno lungamente abitato le strade del nostro paese. E che sono finiti, loro malgrado, in un vortice di una violenza sociale, ancora difficile da raccontare.

La gente in Italia continua a resistere e nel segno della croce ricorda conti-nuamente che si può morire di ingiusti-zia come Stefano Chucchi.

Fabio D'Urso

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In questo numero di Ucuntu si parla di due perIn questo numero di Ucuntu si parla di due per--sonaggi importanti dell'Italia di ora. Non sonosonaggi importanti dell'Italia di ora. Non sono dei Vip e non ne avete mai letto sui giornali. Epdei Vip e non ne avete mai letto sui giornali. Ep--pure sono due protagonisti, due cittadini che frapure sono due protagonisti, due cittadini che fra mille difficoltà affrontano ogni giorno la vita permille difficoltà affrontano ogni giorno la vita per affermare un'ideaaffermare un'idea

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Magistrati e politica Magistrati e politica

Giudici/La campana suonaanche per Garzon

Giustizia è sfatta, anche in Spagna. Quel-lo in cui si trova da alcuni giorni il giudice Baltasar Garzon, 56 anni, è un pauroso ro-vesciamento di ruolo, di “modello italiano”. Direbbe Heminguay: la campana ora ha suonato anche per Garzon. Da gran-de inquisitore a inquisito.

La notizia è nota (anche se i giornali ita-liani – con poche eccezioni - non ne hanno dato notizia, perché qui gli esteri non fanno più notizia) e risale a mercoledì 7 aprile 2010. Del resto, la cronaca giudiziaria italiana è piena di magistrati che finiscono sul banco degli imputati. Non c’è notizia, in Italia, se un magistrato spagnolo che indaga sui potenti finisce imputato per aver svolto il suo dovere d’ufficio.

Partiamo dalla notizia battuta dall’agen-zia Ansa: “Il giudice Baltasar Garzon, co-nosciuto per aver fatto processare il dittato-re cileno Augusto Pinochet e per aver per-seguito i responsabili di crimini contro l’u-manità in varie parti del mondo, dovrà se-dere a sua volta sul banco degli imputati per aver indagato sui crimini commessi dal franchismo durante la guerra civile e la dit-tatura (1936-1975) e rischia di essere mul-tato o rimosso dalle sue funzioni”. La pena massima – secondo il diritto spagnolo - prevede la sospensione fino a 20 anni dalle funzioni pubbliche.

Dunque, a Madrid c’è un giudice del Tri-

bunale Supremo che si chiama Luciano Va-rela che ha aperto un formale processo con-tro Garzon sulla base di alcune denunce presentate da tre associazioni di reduci franchisti denominate “Manos Limpias”, “Libertad e Identitad” e “Falange Espano-la”: “Garzon ha disconosciuto principi es-senziali dello Stato di diritto come la legge di Amnistia”, ha affermato Varela.

Garzon – questa la sua “colpa” - ha inda-gato sulle responsabilità di chi ha ucciso, torturato e stuprato nel corso della guerra civile in Spagna e durante il successivo quarantennio di regime franchista. E così facendo, Garzon avrebbe violato la legge di amnistia per i falangisti votata alla morte di Francisco Franco, nel 1977, dopo la fine della dittatura e l’inizio della democrazia. Garzon rivendica il suo diritto a procedere in base al principio di diritto internazionale per il quale “i crimini contro l’umanità non sono soggetti ad amnistia e non si prescri-vono”.

Ciò che la Corte Suprema gli contesta è in particolare il fatto di aver iniziato, sulla base delle richieste dei familiari di vittime del franchismo, le procedure per la riesu-mazione di corpi di combattenti repubblica-ni e poi di dissidenti del regime, uccisi e gettati in fosse comuni dai falangisti. Par-liamo di 133 mila persone, uccise e sepolte senza nome durante i 40 anni di dittatura.

Tra quei corpi senza nome ci sono anche i resti del poeta Federico Garcia Lorca, ar-restato il 19 agosto 1936 e fucilato perché di sinistra e omosessuale e infine gettato in una anonima fossa a Fuentegrande de Alfa-car nei dintorni di Viznar, vicino a Grana-da. E, non a caso, località a pochi chilome-tri da Torres, cittadina dove il giudice Gar-zon è nato.

Per aver cercato questa verità giudiziaria nel cuore della sua terra, Garzon ora è sotto processo disciplinare.

Il giudice sotto processo ha già presenta-to ricorso e accusa la Corte Suprema di persecuzione ideologica, ma anche di “met-tere a rischio l’indipendenza della magi-stratura inquirente”.

La mattina del giorno dopo la notizia del-l’accusa al più noto fiscal general di Spa-gna, “El Pais” ha censurato la messa in sta-to d’accusa di Garzon e ha scritto che “la causa contro Garzon per l’inchiesta sul franchismo acquisisce un significato insul-tante per la democrazia”.

A questo punto, tocca ricapitolare chi sia Garzon. E’ uno dei magistrati più popolari del mondo che si è speso per perseguire le responsabilità penali dei più grandi crimini contro l’uomo avvenuti negli ultimi 25 anni dello scorso secolo. Metterlo sotto inchie-sta, è stato come se in Italia, mentre erano in vita, qualcuno avesse aperto un fascicolo

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Ha indagato su mafiosi, stragi fasciste, terroristi dell'Eta, e persino su unaHa indagato su mafiosi, stragi fasciste, terroristi dell'Eta, e persino su una società di Berlusconi. Non poteva durare. Se fosse stato in Italia gli avrebsocietà di Berlusconi. Non poteva durare. Se fosse stato in Italia gli avreb--bero messo una bomba sotto la macchina o gli avrebbero scatenato unabero messo una bomba sotto la macchina o gli avrebbero scatenato una campagna di stampa contro. Siccome Garzon è spagnolo, si sono limitati acampagna di stampa contro. Siccome Garzon è spagnolo, si sono limitati a incriminarlo per “disconoscimento dei principi dello Stato”. In sostanza,incriminarlo per “disconoscimento dei principi dello Stato”. In sostanza, perché ha indagato troppo. Brutti tempi per la giustizia (in Spagna)perché ha indagato troppo. Brutti tempi per la giustizia (in Spagna)

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Magistrati e politica Magistrati e politica

contro Giovanni Falcone o Paolo Borselli-no accusandoli di aver abusato del loro po-tere di indagine contro le cosche mafiose.

Breve elenco di processi di Garzon che – come si vedrà - di nemici, tra i potenti di Spagna e di tutto il mondo, ne ha accumu-lati tanti.

Di quello contro il generale e dittatore ci-leno Pinochet si è detto, ma vale la pena di ricordare anche l’inchiesta contro i generali argentini per la sparizione di antifascisti spagnoli e quella, mai arrivata in un’aula processuale, su presunte responsabilità del potente segretario di Stato americano Hen-ry Kissinger per l’appoggio dato alle ditta-ture latino-americane dal governo degli Stati Uniti. Garzon ha indagato e fatto con-dannare i dirigenti dei fiancheggiatori poli-tici dell’Eta, ma anche i pubblici funzionari che negli anni 80 crearono i famigerati Gal, nuclei speciali (e segreti fino all’entrata in scena di Garzon) dei servizi spagnoli che catturavano e uccidevano sbrigativamente terroristi baschi.

Garzon ha indagato – per primo nel 2002 e per alcuni anni da solo – contro cellule di Al Qaeda, ha sollecitato indagini interna-zionali contro gli abusi su detenuti nel car-cere di Guantanamo, ma nel 2003 ha del re-sto firmato il primo mandato di cattura in-ternazionale contro Osama Bin Laden per le sue relazioni con cellule algerine in azio-

ne sul territorio spagnolo.Negli anni 90 ha indagato contro la cor-

ruzione di alcuni esponenti socialisti. E nel 2001 ha indagato per riciclaggio la seconda banca spagnola, la Bbva.

Ma è l’ultimo processo quello che gli ha procurato molti nemici anche in patria.

Scrive ancora “El Pais” che così dà una chiave di lettura “dietrologica” ma convin-cente del conflitto che sta dietro il processo ora aperto dalla Corte Suprema contro Garzon: “La persecuzione giudiziaria con-tro Garzon, sospinta anche dalla Falange e incoraggiata dal PP (Partido Popular), si è scatenata dopo il disvelamento del Caso Gurtel un anno fa”. Il caso citato da el Pais riguarda il processo, iniziato un anno fa da Garzon, su una massiccia rete di corruzione legata e messa in piedi da esponenti del PP, a partire dal segretario Mariano Rajoy.

Insomma, il “sospetto” avanzato dal più autorevole quotidiano spagnolo è che il giudice, con un passato dichiaratamente vi-cino al Partito socialista spagnolo (fu anche deputato per un legislatura), sia frutto di velenose vendette politico-giudiziarie.

Ho conosciuto Garzon sul finire del seco-lo scorso. Tra il 1997 e il 1999 sono stato inviato a Madrid dal settimanale “Avveni-menti” per seguire il processo sulle frodi fi-scali e sull’aggiramento della legge spa-gnola sui tetti televisivi presuntivamente

compiuti da “Telecinco”, gruppo privato controllato allora da Fininvest e oggi da Mediaset, insomma dal gruppo della fami-glia Berlusconi.

L’ho anche incontrato nel palazzone del-l’Audiencia Nacional, nel suo studio al 5 ° piano. Sono stato per ore in attesa nella sua anticamera quando ha interrogato per due giorni il senatore Marcello Dell’Utri. L’ho visto tornare a casa dopo sedici ore di fila in ufficio circondato da agenti di scorta, il suo sguardo altero di celebre figlio – Gar-zon nasce così - di un addetto ad un distri-butore di benzina in Andalusia. A proposito del processo a Telecinco mi disse: “La leg-ge è uguale per tutti. E io qui sto per farla rispettare nel mio paese e dovunque sia violato un diritto contro l’umanità in ogni angolo del mondo”.

Il pubblico ministero che lavorava con lui in tutti questi processi, da questo al gruppo Berlusconi a quello contro Pino-chet, si chiama Carlos Castressana e ag-giunse riferendosi all’inchiesta contro l’ex dittatore cileno: “La legge va rispettata sempre. E, per quanto riguarda i crimini contro l’umanità, nessuna sospensione o prescrizione può essere eccepita. La Shoah non si prescrive mai. E neanche i crimini delle dittature latino-americani del Nove-cento”.

Antonio Roccuzzo

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Storie di ordinari soprusi Storie di ordinari soprusi

“Alla Maddalena hanno arrestato

un estremista ubriaco”

Il 28 marzo 2010, alla Maddalena, An-drea Scolafurru è stato arrestato, prelevato dai carabinieri, e portato in carcere. Il tri-bunale ha disposto il suo arresto domicilia-re. Il processo è stato fissato al 29 aprile. Andrea è accusato dei fatti previsti dagli artt. 337, 582, 585 e 341bis c.p.” (art. 337 è “resistenza a pubblico ufficiale“, art. 582 è “lesione personale“, art. 585 è “circostanze aggravanti“, art. 341bis è “oltraggio a pubblico ufficiale”).

Vediamo la vicenda. Andrea esce dal bar Charlie dopo aver partecipato a un incontro in memoria di un amico, morto un anno addietro, nella zona di Barabò. Va verso casa, a piedi. Una macchina dei carabinieri è ferma tra il bar e Piazza Umberto I. I ca-rabinieri fermano Andrea e lo caricano in macchina. Lui si lascia portare via senza far nulla.

La notizia viene riportata da la Nuova Sardegna in questi termini: “Il gip del tri-bunale di Tempio ha concesso gli arresti domiciliari al 33enne (Andrea ne ha 43 ) maddalenino A.S. arrestato dopo essere stato sorpreso ubriaco mentre disturbava i clienti del bar. Brandendo una bottiglia e dopo aver minacciato i militari che cercano di calmarlo aveva colpito un carabiniere procurandogli una lesione ad un dito”.

Il carabiniere in ospedale dichiarerebbe sia di essere stato colpito da calci all'altezza della mano che (in un altro momento) che

di essere stato afferrato alla mano e strattonato a un dito. Di fatto l'urto riscon-trato in ospedale viene diagnosticato con un trauma contusivo guaribile entro dieci giorni.

La moglie di Andrea, Chicca Francesca, con l'amica Alessandra Marsili ha messo in rete una lettera

Alla notizia uscita sulla stampa locale, viene mandando in rete una lettera (www. cronacheisolane.it/lettere.al.sito.165.htm) in cui invece si ricostruiscono accurata-mente i fatti e si smontano una per una le accuse fatte ad Andrea.

“Stavano procedendo all’arresto, nell’a-dempimento delle proprie funzioni che il reo avrebbe ostacolato? Nel codice di pro-cedura penale all’art. 380 si parla di "Arre-sto obbligatorio in flagranza” per “un de-litto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’er-gastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a vent’anni”.

Perché Andrea è stato accusato di oltrag-gio a pubblico ufficiale? “Avrebbe dato “in escandascenze inveendo contro di loro”. Per questo egli è punibile ai sensi dell’art. 341bis “nel massimo a tre anni”; addirittura non punibile se l’offesa è verità.

Come mai è stato arrestato all'istante per la "lesione personale" al carabiniere? I re-ferti medici, come dicevamo, testimoniano

una prognosi che non supera i dieci giorni. Ma, secondo l'art. 582 del codice penale, "se la malattia (causata dalla lesione, ndr.) ha una durata non superiore ai venti giorni (…) il delitto è punibile a querela della persona offesa".

Nella lettera si ci domanda a ncora: “Come si procede a un arresto legale? Con quale criterio giuridico sono stati cumulati tutti insieme questi articoli per trovare nel complesso che si proceda ad un legale ar-resto? In altre parole come e perché si è proceduto a quest'arresto? Come si con-frontano i capi d'accusa con il riferimenti alla vicenda e alla vita reale di Andrea?".

Si può indirettamente capirlo seguendo il successivo dibattito su "Cronache Isolane"

su cronache isolane. Un commentatore risponde: “Esistono due tipi di arresto, uno obbligatorio quello di cui all’art. 380 c.p.p., al quale fa riferimento la sig.ra Francesca Chicca, ed uno facoltativo di cui all’art. 381 c.p.p. L’uso di armi ancorché improprie – tipo una bottiglia – costituisce aggravante”.

Ma in nessuno dei verbali si parla di una bottiglia usata come arma impropria!,E in-fatti questa è la risposta data da Francesca:“ Se è come dice penso proprio che manca l'art. 336 nei capi d'accusa, perché l'arresto facoltativo ai sensi dell'art. 381, comma 2, lettera c prevede una "violenza o minaccia a pubblico ufficiale prevista dall'art. 336

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Italia, anno 2010. Questa è la cronaca di una vicenda giudiziaria di un citItalia, anno 2010. Questa è la cronaca di una vicenda giudiziaria di un cit--tadino che ha contribuito in questo decennio alla salvaguardia ecologica,tadino che ha contribuito in questo decennio alla salvaguardia ecologica, morale e sociale del nostro paese. E che sta pagando con la minaccia delmorale e sociale del nostro paese. E che sta pagando con la minaccia del carcere l'aver difeso la democrazia reale nel nostro Paese. La stampa locarcere l'aver difeso la democrazia reale nel nostro Paese. La stampa lo--cale ne ha dato notizia alla maniera sua, senza approfondimenti. Ma percale ne ha dato notizia alla maniera sua, senza approfondimenti. Ma per fortuna c'è internet, e su internet ha camminato subito la veritàfortuna c'è internet, e su internet ha camminato subito la verità

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Storie di ordinari soprusi Storie di ordinari soprusi

L'INCHIESTA DI “CASABLANCA

Le traversìedi “Indio”

provocaronoun'inchiesta

giornalistica su“Casablanca”,

la rivistadiretta da

Graziella Proto,già due anni fa.

comma 2 del codice penale". Andrea, però, per l'articolo 336 non è accusato affatto. Quello che scrivo è solo per fare capire a chi legge che esistono due tipi di versioni: quella vera che si discute atti alla mano e quella falsa che si basa su voci smentite agli atti dagli stessi Carabinieri”.

Ma allora, perché tutto questo accanimento? Mah. E' una storia lunga. Se ne parla su un articolo di "Casablanca" di due anni fa. L'articolo cominciava così:

"Indio ha cominciato a fare una sorta di campagna informativa, a sue spese, per di-vulgare al popolo maddalenino il funzio-namento delle bollette forfettarie, dei con-tatori dell’acqua, della legalità e dei sigilli ai contatori. Insomma, se alla Maddalena si sa qualche nozione sull’acqua, lo si deve a Indio. Ma non riusciva a capire, questo ragazzo, come mai dopo che lui denunciava abusivismi nelle mega ville, le autorità lasciavano correre. Contatori mai attivati, eppure che erogavano acqua. In alcune oc-casioni, mentre stendeva lenzuola di prote-sta a mo’ di striscione da stadio, Indio fu colpito alla testa da una persona con un ca-sco addosso. Solito iter: pronto soccorso, un po’ di giorni di prognosi, e poi di nuovo da capo, per strada, a sensibilizzare la gente su temi scottanti. Insomma, più si parlava d’acqua, più le autorità e le forze dell’ordine si infastidivano...".

Riccardo Orioles e Fabio D'Urso\

LA GIUSTIZIA NEGATAMORIRE DI PRIGIONE

Non serve essere colpevoli, per rischiare la pelle. Potrebbe essere sufficiente entrare in un carcere, magari da innocente, e uscire da morti. Dall'inizio dell'anno, sono 54 i detenuti morti nelle carceri italiani. Dal 2000 sono quasi 1700 i decessi. Ci voglio-no casi eclatanti come la morte di Stefano Cucchi per sollevare il problema; la fami-glia di questo ragazzo, entrato con l'accusa di possesso di stupefacenti, massacrato di botte, e fatto morire agonizzante, sta aspet-tando giustizia.

Di solito si aprono fascicoli contro qual-che medico che ha curato male o per niente l'ammalato, ma per quanto riguarda le sevi-zie, di solito è “contro ignoti” che si proce-de. Stefano Cucchi non è un caso sporadi-co. Come lui, centinaia. Tutti finiti in carce-re per qualche reato ridicolo, e in alcuni casi senza nemmeno che il reato ci sia.

E' il caso di Niki Aprile Gatti, informati-co che sapeva troppo, portato al carcere di Sollicciano, perché la società per cui lavo-rava, con sede a San Marino, era la respon-sabile delle truffe per i numeri telefonici a pagamento con prefisso 899. Niki aveva in-tenzione di parlare e raccontare nomi e fat-ti, perché lui era un tecnico, non un truffa-tore. Gliel'hanno impedito in tempo. Si è “suicidato”, e la sua abitazione è stata sva-ligiata. Ci sono sempre elementi di indagi-ne in casi come questo. Ci sono cose su cui indagare, persone da interrogare, firme nei

verbali d'arresto da verificare, turni di secondini da controllare. Particolari – si direbbe - “senza importanza”.

Manuel Eliantonio è un altro caso. Simile a Stefano Cucchi, per le modalità dell'arre-sto e per come è stato trovato il corpo, irri-conoscibile per i familiari, con chiari segni di percosse.

Quella che viene posta è una questione di cittadinanza, di rispetto dei diritti civili. La violenza sulla persona (a tutti i livelli, an-che psicologica), stupra la dignità umana. Cifre altissime, quelle dei suicidi. Ma non abbiamo contato tutti gli arresti illegali, immotivati, di innocenti.

Sta agli avvocati cercare di arrivare alla giustizia, sta ai giudici del collegio giudi-cante, perché gli inquirenti spesso dimenti-cano che prima di svolgere il ruolo di pub-blica accusa devono accertarsi che i reati siano veri o presunti. Ma questa mansione, che esiste nel Codice di Procedura Penale, art. 358, è stata spesso inferiore al dovere di “svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottopo-sta alle indagini”.

Se ci si limita a togliere libertà e dignità alle persone, in casi estremi anche la vita, si dovrà togliere la frase “percorso riabilitati-vo”, quando si parla della vita del carcerato nella Costituzione, mettere “punizione effe-rata”. Nei casi in cui si usa la pena detenti-va per gli innocenti, non c'è nemmeno la Costituzione a darci una mano. L'ipocrisia è imperante tanto quanto il fenomeno è di-lagante.

Antonella Serafini

|| 15 aprile 2010 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||

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Libri Libri

in reteSebastianoGulisanoPorcilandia/La vera storiadi Sua Innocenza96 pagine12 euro

Vi si racconta di un Paese che somiglia all’Italia, ma è Porcilandia. Un Presidente che ricorda Silvio Berlusconi, ma è Giuliocesare Cavaliere detto “Il Dottore” «ché il suo gioco preferito, fin dalla più tenera età, è sempre stato "il medico e la malata": lui fa il medico, la malata è sempre una bambina possibilmente ogni volta diversa.

Ché con le bambine l'innocenza del gioco è garantita. Senza malizia. Proprio l'innata predisposizione del Dottore a prendersi cura degli altri, specie delle altre, ha spinto i media "più sensibili e avvertiti" di Porcilandia, tutti di sua proprietà, a cucirgli addosso un altro soprannome: Sua Innocenza».

Cosa collega un singolare corteo di bambine fra i 6 e gli 8 anni, nel 1943 a Maduninadabere, con una loro coetanea sverigese che, tre anni dopo, molesta sessualmente un compagno di classe e subito si sente così male da essere ricoverata in ospedale?

E cosa c’entrano questi due fatti con una fabbrica di caramelle nata in un paesino della neutrale Elvezia durante il Grande Conflitto Globale?

Cos’è il “Cartello delle caramelle mou” e cosa ha da spartire con Giuliocesare Cavaliere, che dal 2000 al 2040 è Presidente della Libera Repubblica Telecratica di Porcilandia?

Un giornalista insegue lo scoop della vita e decide di indagare, scavando in un secolo di storia di Porcilandia, districandosi fra esponenti della Chiesa Ufficiale, banchieri, mafiosi, incappucciati, Maialini e Maialoni, con ricco contorno di Zoccolette («il mestiere più ambito dalle nuove generazioni di giovani donne che intendono affrancarsi da secoli, anzi millenni di anonimato»).

|| 15 aprile 2010 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||

Su Facebook si possono leggere due capitoli:http://www.facebook.com/ group.php?

v=wall&ref=mf&gid=113156265377362 http://www.facebook.com/

Il libro è acquistabile solo online, qui:http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=433644

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Precarietà Precarietà

“Il mioquartiere”

A cinque anni, quando ci siamo trasferiti in questo quartiere, la zona era diversa, non c'era il bar vicino al cimitero, non c'era il benzinaio, non c'era il parco giochi, ma la gente era la stessa. Infatti ci sono sempre le stesse famiglie.

Qua ho dei parenti, i miei nonni e dei miei cugini, ma non mi sono ambientato subito, e forse non lo sono fino ad ora.

Mia madre non mi faceva scendere a gio-care con gli altri bambini, diceva lei, per proteggermi. Io non capivo. Questi ragazzi-ni, poi, li ho conosciuti a scuola.

Andavo all'Angelo Musco, situata nel rione Zia Lisa II. La scuola era vecchia e in pericolo di crollo. Infatti l’anno scorso, i bambini sono stati trasferiti nella scuola elementare di San Giorgio. Era buona come ambiente, la direttrice e le maestre avevano fatto un buon lavoro. Mi trovavo bene . Avevo legato con i compagni della mia classe, anche se la maggior parte venivano da Librino.

Nelle altre classi erano più presenti i bambini di Zia Lisa, ma io non mi trovavo bene con loro. Addirittura alcuni neanche sapevano che ero di Zia Lisa! Non mi vede-vano mai per strada a giocare. E' destino che non dovevo andare d'accordo con i ra-gazzi del quartiere dove abito.

Finita l'elementare, ho seguito i miei compagni di Librino e sono andato alla scuola Dusmet. Pensavo che essendoci loro, mi sarei ambientato subito. Niente di più sbagliato. A me e ai miei amici ci hanno messo in classi diverse e i miei nuovi com-pagni erano scatenati. Tornavo a casa quasi sempre col mal di testa, era impossibile stu-

diare, infatti durante l'anno i miei voti sce-sero, e finivo quasi ogni giorno per litigare con loro. Non capivo perché avevano que-sto comportamento, anche nei miei con-fronti. Forse mi vedevano “diverso” da loro perché pensavo a studiare. E non solo i compagni maschi, ma anche le femmine avevano questo comportamento.

Giorno dopo giorno le cose peggiorava-no, ed io, ormai al limite, andai dal preside per fargli prendere dei provvedimenti. Ot-tenni pochi risultati, e allora feci venire i miei genitori. Parlarono con i professori e coi compagni e le cose migliorarono.

Nel frattempo andai a giocare a calcio nella squadra della parrocchia, l'Elysia. Io all'inizio ero molto contento di questa nuo-va avventura, perché pensavo di trovare dei ragazzi con la mia stessa passione. Invece le cose andarono di male in peggio. Non c'era armonia nella squadra, litigavamo fra di noi, uno derideva l'altro perché giocava peggio di lui. E io mi chiedevo perché que-sti ragazzi continuavano a comportarsi così.

Avevamo undici anni e non mettevano mai testa nelle cose che facevano. La loro unica soddisfazione era essere più “sperto” dell'altro. Era quello che gli insegnavano i genitori, l'importante era che a casa erano educati, poi fuori potevano sfogarsi come volevano. Non capivo se ero io che ero di-verso, o erano loro che non erano “normali”.Comunque dopo due anni me ne andai dalla squadra, troppe pressioni.

Poi vennero gli anni del motorino. Chie-devo ai miei genitori di comprarmelo, ma la loro risposta era sempre negativa. “Non possiamo permettercelo” dicevano, e poi

avevano paura che mi facessi male... E cer-to, vedevano i miei coetanei sfrecciare su una ruota nel quartiere. E loro come pote-vano permetterselo il motorino se i loro ge-nitori erano disoccupati o erano operai. Mia madre diceva che loro, lavorando col ferro vecchio, facevano molto soldi. Ora questi ragazzi hanno macchine sportive, sempre lavorando al ferro vecchio.

Dopo un paio d'anni feci l'errore di la-sciare la scuola per andare a lavorare. Al-meno io lavoravo, facevo volantinaggi. Ma loro? Tutto il giorno senza farz niente. La scuola l'avevano lasciata alle medie, ogni tanto andavano a lavorare con qualche pa-rente. Ora qualcuno lavora, altri non fanno niente, cioè non proprio niente... spacciano. Altri sono in galera, uno è andato all'estero, altri sono mantenuti dai genitori, e hanno macchinoni. Altri sono nel “giro”, altri pen-sano ad allevare i cavalli per fare le corse clandestine.

Altri si dedicano alla politica, insieme all'assessore provinciale C.G., che è del quartiere. Tutti lo venerano, ma lui non ha mai fatto niente per il quartiere. E dire che è cresciuto qua, ha anche il patronato. Forse l'unica cosa che ha fatto per il quartiere è che, ai tempi delle elezioni del 2005, ha promesso posti di lavoro, insieme al sinda-co. Lo fece anche venire e lui in persona promise posti di lavoro, in cambio dei voti.

Purtroppo questo quartiere sta andando indietro invece di andare avanti, come tutta la città d'altronde. Deve cambiare la menta-lità. Ora per il catanese l'importante è esse-re superiore all'altro, essere più “sperto”.

Salvatore D’Antoni

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“Sto a Catania in via San“Sto a Catania in via San Jacopo, in mezzo ai dueJacopo, in mezzo ai due

tronconi del quartiere di Ziatronconi del quartiere di Zia Lisa. Sono cresciuto in questoLisa. Sono cresciuto in questo

quartiequartiere, anche se la zonare, anche se la zona dove me la facevo era l'Anticodove me la facevo era l'Antico

Corso e la Petriera, zona viaCorso e la Petriera, zona via Plebiscito-Lago di Nicito...”Plebiscito-Lago di Nicito...”

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Libri Libri

In libreriaAntonio MazzeoI Padrini del Ponte.Affari di mafiasullo strettodi MessinaPrefazione diUmberto Santino

Dall’Introduzione:Speculatori locali o d’oltreoceano; faccendieri di tutte le latitudini; piccoli, medi e grandi trafficanti; sovrani o aspiranti tali; amanti incalliti del gioco d’azzardo; accumulatori e dilapidatori di insperate fortune; frammassoni e cavalieri d’ogni ordine e grado; conservatori, liberali e finanche ex comunisti; banchieri, ingegneri ed editori; traghettatori di anime e costruttori di nefandezze. I portavoce del progresso, i signori dell’acciaio e del cemento, mantengono intatta la loro furia devastatrice di territori e ambiente. Manifestazioni di protesta, indagini e processi non sono serviti a vanificarne sogni e aspirazioni di grandezza. I padrini del Ponte, i mille affari di cosche e ’ndrine, animeranno ancora gli incubi di coloro che credono sia possibile comunicare senza cementificare, vivere senza distruggere, condividere senza dividere.

Agli artefici più o meno occulti del pluridecennale piano di trasformazione territoriale, urbana, ambientale e paesaggistica dello Stretto di Messina, abbiamo dedicato questo volume che, ne siamo consapevoli, esce con eccessivo ritardo. Ricostruire le trame e gli interessi, le alleanze e le complicità dei più chiacchierati fautori della megaopera, ci è sembrato tuttavia doveroso anche perché l’oblio genera mostri e di ecomostri nello Stretto ce ne sono già abbastanza. E perché non è possibile dimenticare che in vista dei flussi finanziari promessi ad

una delle aree più fragili del pianeta, si sono potuti riorganizzare segmenti strategici della borghesia mafiosa in Calabria, Sicilia e nord America. Forse perché speriamo ancora, ingenuamente, che alla fine qualcuno

avvii una vera inchiesta sull’intero iter del Ponte, ricostruendo innanzitutto le trame criminali che l’opera ha alimentato. Chiarendo, inoltre, l’entità degli sprechi perpetrati dalla società Stretto di Messina. Esaminando, infine, i gravi conflitti d’interesse nelle gare d’appalto ed i condizionamenti ideologici, leciti ed illeciti, esercitati dalle due-tre famiglie che governano le opere pubbliche in Italia.Forse il recuperare alla memoria vicende complesse, più o meno lontane, potrà contribuire a fornire ulteriori spunti di riflessione a chi è

chiamato a difendere il territorio dai saccheggi ricorrenti. Forse permetterà di comprendere meglio l’identità e la forza degli avversari e scoprire, magari, che dietro certi sponsor di dissennate cattedrali nel deserto troppo spesso si nascondono mercanti d’armi e condottieri delle guerre che insanguinano il mondo. È il volto moderno del capitale. Ribellarsi non è solo giusto. È una chance di sopravvivenza.

Scheda autoreAntonio Mazzeo, militante ecopacifista ed antimilitarista, ha pubblicato alcuni saggi sui temi della pace e della militarizzazione del territorio, sulla presenza mafiosa in Sicilia e sulle lotte internazionali a difesa dell’ambiente e dei diritti umani. Ha inoltre scritto numerose inchieste sull’interesse suscitato dal Ponte in Cosa Nostra, ricostruendo pure i gravi conflitti

d’interesse che hanno caratterizzato l’intero iter progettuale. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006 Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa).

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Precarietà Precarietà

“La scuolaè di tutti

e noi ladifendiamo”

Il 10 Aprile, con la "notte bianca in difesa della scuola pubblica statale", centinaia di docenti, genitori e personale della scuola hanno avviato a Catania un nuovo percorso di confronto e mobilitazione sull'emergenza ‘scuola pubblica’. Dopo aver raggiunto, da piazza Duomo, il Boggio Lera è iniziata la discussione all’interno dei cinque gruppi di lavoro previsti.

Queste le principali riflessioni condivise per garantire un reale diritto allo studio. In-nalzare l’obbligo scolastico a 18 anni, isti-tuendo, nelle scuole superiori, un biennio unitario; diminuire il numero di alunni per classe; modificare il tempo scuola per rea-lizzare rapporti più coerenti con il territo-rio; mantenere il carattere nazionale dell’i-struzione, respingendo ogni proposta di re-gionalizzazione. Al centro del dibattito i pe-santissimi tagli degli investimenti e l’esa-sperazione del problema del precariato. Chi sono i precari della scuola? Sono insegnanti e personale ATA qualificati, spesso con più di un'abilitazione, e che hanno, dunque, gli stessi requisiti del personale di ruolo ma che ricevono un trattamento assolutamente diseguale: i precari hanno incarichi a tempo determinato o vengono assunti per supplen-ze brevi, conseguentemente, da giugno a settembre sono senza occupazione.

Con l'attuale governo la situazione è pre-cipitata. In Sicilia e nel Mezzogiorno, inol-tre, il dramma è significativamente mag-giore rispetto alle altre regioni d'Italia, poi-ché i tagli sono stati elevatissimi. I precari con le loro famiglie vivono oggi una situa-zione insostenibile.

Altrettanto insostenibile la situazione re-lativa alla sicurezza degli edifici scolastici, un esempio lampante di gestione illegale dei beni pubblici. Nella maggioranza dei casi, le norme di sicurezza vengono eluse e anche la dirigenza scolastica, quando emer-ge un problema, non viene messa nelle con-dizioni, da parte degli organi di vigilanza, di risolverlo, principalmente per mancanza di risorse finanziarie. Rivendicare il rispet-to delle norme vigenti in materia di sicurez-za implica non soltanto l'incolumità di quanti vivono e lavorano nelle scuole, ma si intreccia strettamente alla qualità della didattica, del processo di apprendimento e alla qualità della stessa convivenza civile.

Convinti che chi taglia la scuola cancella il futuro, i presenti, compresi ricercatori e docenti universitari alle prese con analoghi problemi, si impegneranno in una capillare campagna di informazione sulle tragiche conseguenze del brutale taglio delle risorse per ottenere il ritiro della controriforma

Gelmini. Nell’immediato, non essendo an-cora stati decisi nuovi programmi scolasti-ci, non verranno adottati nuovi libri di te-sto. Verranno, inoltre, proposti altri eventi culturali (al termine dei gruppi di lavoro c’è stata l’esibizione del coro “Freedom” e il reading di poesie e brani letterari, con l’a-michevole presenza di Fiorenzo Fiorito, Al-berto Orofino e Aldo Toscano) e per il 17 aprile si svolgerà, così come nel resto del Paese, il No Gelmini day.

Successivamente verrà organizzato un se-minario pubblico sulla “scuola che voglia-mo”, mentre è stato unanimemente condivi-sa l’idea di creare una rete regionale e na-zionale dei coordinamenti, dei movimenti e di tutte le associazioni nate per contrastare l’applicazione della controriforma.

Sul tema dello sciopero degli scrutini finali è stato promosso l’avvio di un “censimento” all’interno delle singole realtà scolastiche, che possa rendere realistica una previsione sulle percentuali di adesione nel territorio di Catania e che permetta di misurare la condivisione e l’eventuale incisività di tale forma di lotta.

Un deciso rifiuto, infine, è emerso rispet-to al decreto Brunetta.

Comitato Catanesein difesa della scuola pubblica statale

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Catania: rapporto daiCatania: rapporto dai precari in lotta. Una festa,precari in lotta. Una festa,

un'assemblea, cinque gruppiun'assemblea, cinque gruppi di studio e tante altredi studio e tante altre

iniziative in cantiereiniziative in cantiere

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Politica Politica

Il Pd e LombardoLe ragioni di un no

No. Il no della segreteria nazionale del Pd a qualunque ipotesi di partecipazione del partito siciliano al governo dell'isola presieduto dall'autonomista Raffaele Lom-bardo è chiaro, netto, inequivocabile.

Eppure c'è ancora chi ama discutere sul-l'eziologia di un no. Un fatto sorprendente per gli elettori progressisti che pure hanno attribuito un mandato preciso ai loro consi-glieri regionali. Fare opposizione.

"Per quanto mi riguarda - dice Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria nazionale del Pd - non mi sembra che ci siano le condizioni per fare passi politici ulteriori". Dello stesso parere il segretario siciliano del Pd, Giuseppe Lupo, e Rita Borsellino, non iscritta al partito ma auten-tica icona dei progressisti siciliani che vo-gliono rompere col passato, con qualsivo-glia sentore di intesa con ambienti politici sensibili ai poteri forti e in particolare al più forte tra tutti in Sicilia, la borghesia ma-fiosa.

La posizione ufficiale è chiara: nessun soccorso rosso per la giunta Lombardo che deve fare i conti con lo scontro interno al centrodestra. Scettici molti dirigenti di An, guerra fratricida tra i promotori del Partito del sud, Lombardo e Micciché contro i ber-

lusconiani doc Alfano e Firrarello.L'inviato di Bersani ritiene impossibile

un qualsivoglia sostegno politico alla giun-ta Lombardo, in particolare il voto su Bi-lancio e Finanziaria che per Migliavacca è "un passaggio che ha valenza politica".

La realtà però vede in giunta o consulenti di Lombardo tre autocrati storicamente vi-cini al Pd e ai progressisti: Mario Centorri-no, lo studioso universitario di economia mafiosa, che sembra veleggiare nel più si-curo approdo del movimento lombardiano, Mpa, dove redige i Quaderni dell'Autono-mia; il responsabile dell'Industria, Marco Venturi e Piercarmelo Russo incaricato di far piazza pulita negli Ato.

Il Pd siciliano si riscopre così partito di lotta e di governo.

Il che fa imbestialire la base. Fatta salva l'adesione di numerosi principi del voto e baroni della conoscenza che si preparano a tagliare i ponti col Pd per aderire alle ini-ziative autonomiste di Lombardo, magari attraverso il movimento degli Innovatori.E certo novità sarebbe, scorgere tra cotanti innovatori anche la figura di Beppe Lumia, già presidente della Commissione Antima-fia, il parlamentare che con Nichi Vendola si battè per far luce sul verminaio di Messi-

na e sul patto del Tavolino col quale mafia e borghesia mafiosa si spartivano gli appal-ti.

Ora, da cronista militante nell'antimafia, da socio fondatore di Articolo 21, da sici-liano, non posso che condividere il no di Migliavacca, Lupo e Borsellino. Non fos-s'altro che per aver io stesso pronunciato forte e chiaro questo no di fronte a Beppe Lumia nel mese di dicembre durante le ce-lebrazioni per l'uccisione del mio ex diret-tore e maestro di cronisti, Pippo Fava.

Concordo con Migliavacca. Non è un no dettato dalle vicissitudini investigative di Raffaele Lombardo. La politica non può sostituirsi alla magistratura. Ma la politica ha il dovere di non attendere i tempi della magistratura per maturare le proprie opzio-ni. La politica è l'arte della scelta. L'arte, per esprimersi al meglio necessita di autori e protagonisti autentici. Guitti e figuranti si astengano.

Mentre cardinali e gran maestri dei pac-chetti di voti calano scialuppe in mare pronti ad abbandonare la vecchia nave ma-dre che li ha eletti e/o ne ha eletto figli, ni-poti e famigli, gli elettori sinceri, i protago-nisti autentici del progressismo siciliano non piangeranno per la loro dipartita né per

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Gli elettori hanno conferito un madato preciso al Pd, anche in Sicilia: fareGli elettori hanno conferito un madato preciso al Pd, anche in Sicilia: fare opposizione. Eppure, buona parte di esso è schierato in sostegno delopposizione. Eppure, buona parte di esso è schierato in sostegno del governo regionale di Lombardo. Come mai? Alcune motivazioni sembranogoverno regionale di Lombardo. Come mai? Alcune motivazioni sembrano nobili, altre lo sono molto meno. Ma la sostanza è quella: nientenobili, altre lo sono molto meno. Ma la sostanza è quella: niente opposizione ma compromesso. Il centro del partito, Bersani in testa, nonopposizione ma compromesso. Il centro del partito, Bersani in testa, non approva affatto. Ma in Sicilia non comanda Bersani approva affatto. Ma in Sicilia non comanda Bersani

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Politica Politica

il loro diverso ma ben più congeniale ap-prodo.

Migliavacca, Lupo e Borsellino contino sui ragazzi del Rita Exspress, emigrati al nord in cerca di studi e lavoro negati nell'i-sola che li vide nascere, crescere, sperare. Lotti il Pd, lotti Bersani - e con loro Di Pie-tro e Vendola - affinché nessuno rubi più a quei ragazzi, ormai adulti, la speranza.

Talvolta sento dire che non si trovano nomi, non si trovano persone. Eppure, ogni volta che scendo in Sicilia e parlo con quei ragazzi incontro autenticità, capacità di scelta, impegno; li vedo coltivar l'arte non di arrangiarsi ma di meditare prima della scelta.

Vorrei fare tanti nomi. Ne citerò uno che Pierluigi Bersani dovrebbe scolpirsi in mente. Uno che non tornerà. Uno che ha preferito il suicidio sociale all'indifferenza.

Adolfo Parmaliana. Ordinario di chimica e ambientalista. Ecologista che poggiava su solide basi scientifiche l'arte della scelta. Coraggioso nei no, generoso nei sì.

Credeva nell'Ulivo, credeva nel Pd. La solitudine lo ha ucciso. Il vuoto fatto attor-no dagli indifferenti. Dalla neghittosità del-la magistratura. Dall'offesa all'onestà del-l'uomo saggio e probo.

Probità fastidiosa, quella di Adolfo Par-maliana. Al punto da risultar minaccia al-l'arte d'arrangiarsi di mafiosi e borghesi, faccendieri e politici locali. Al punto da vo-lerlo uccidere con la calunnia e l'oblio.

Parmaliana si è lanciato da un viadotto di quello scandalo immanente che è l'autostra-da Messina - Palermo. Eppure, è più vivo di tanti compagni, colleghi e amici di parti-to che svendono il loro nome per ritagliarsi un posto nella scialuppa.

Ecco, il prossimo no, Migliavacca lo de-dichi al compagno Parmaliana. Non impor-ta quanti saremo i siciliani, progressisti, la-voratori a dir di no. Purché sia un no auten-tico, meditato, incontrovertibile.

Ho letto che Raffaele Lombardo, in aula a Palermo, farà i nomi dei politici legati alla mafia. Bene, così finalmente potrà par-lare della sua amicizia personale e politica con Paolo Rizzo, sindaco disciolto per ma-fia nel '92 a Niscemi, nonché cognato del boss Gianfranco Giugno. Forse Lombardo parlerà dei suoi rapporti con i movimenti dei disoccupati a Palermo e del suo ruolo di vicesindaco nel grande dissesto del Comu-ne di Catania.

Forse ci dirà, finalmente, di quei file ap-parsi in rete nei quali la sua segreteria affa-

stellava raccomandazioni per far diventare agenti segreti alcuni carabinieri o favorire qualche consigliere regionale dei ds e i suoi clienti. Forse ci parlerà di quel poveretto che invocava una raccomandazione per ot-tenere il trapianto di un rene.

Francamente, da siciliano, da cronista, da attivista per le libertà, quella dell'articolo 21 tra le prime, non so cosa voglio dalla politica. Non so cosa fare. Per dirla con Montale: "Sappiamo ciò che non siamo, ciò che non vogliamo".

Non voglio un futuro per gli ex ragazzi del Rita Express nel quale si debba arranca-re trafelati verso il castello del signorotto di turno per invocare un contratto part time o un'assunzione nelle categorie protette per il figlio diversamente abile.

Non voglio, né per me né per loro, un mondo in cui qualcuno implori il principe per ottenere un rene che gli salvi la vita. Perché, dopo, quella vita non varrà più nul-la.

Pino Finocchiaro

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Giornalismo Giornalismo

L'informazionee la speranza/

Un dibattito

Salvo Catalano wrote:...Potrei non voltarmi più indietro se non fossi caduto dentro a un sogno collettivo: fare il mio mestiere nella mia città. Un re-dattore di Step1, da quest'autunno a Milano per frequentare una scuola di giornalismo crede che sia venuto il momento di credere nel "senso della possibilità" .Ma la possibilità di che cosa? Di creare uno spazio dell’informazione nuovo. Non con-troinformazione, che rischia di rimanere sempre chiusa in ambiti ristretti. Ma sem-plicemente informazione libera, in grado di abituare i cittadini alla libertà, di formarli con l’idea che i diritti non si elemosinano ma si pretendono. Che non serve e non conviene essere clienti a vita. Penso che questo sia uno dei compiti del giornalismo, il più urgente per chi fa informazione ai piedi dell’Etna.Resta un dato: nessuna città italiana, grande e importante come Catania, ha un solo gior-nale. Non esiste una free press che copra in modo capillare la nostra città. E chi sostie-ne che basta e avanza ‘u giunnali’, che non c’è spazio per altro, è in malafede. Negli anni ‘50, quando il centro storico veniva violentato dall’ultimo grande sventramento della storia d’Italia, in città si leggevano

cinque quotidiani locali. Eppure oggi nessuno, né istituzione (a cominciare dall’Università), né imprenditore, né altro privato ha il coraggio di investire sull’informazione a Catania.Bisognerebbe spargere e seminare per la città il senso della possibilità. A cominciare dai bambini, perché io alle generazioni avanti con gli anni non credo molto. Solo i bambini e i giovani possono cambiare Ca-tania. Lo ha capito Antonio Presti, che per realizzare la Porta della Bellezza ha voluto coinvolgere centinaia di bambini delle scuole di Librino. Penso sia l’evento non solo più bello, ma anche più utile realizzato a Catania negli ultimi anni. Quei bambini saranno i custodi delle 9 mila mattonelle che compongono l’opera, perché sono stati loro a realizzarle, sono loro gli artisti che hanno arricchito la loro città. E quei bambi-ni cresceranno e diventeranno ragazzi, ado-lescenti, adulti e conserveranno dentro di loro il rispetto per una cosa pubblica perché di tutti, ma anche privata perché appartiene ad ognuno di loro. Questo significa creare reti tra i cittadini, e tra i cittadini e il territo-rio. Significa responsabilizzare una genera-zione, cominciare ad instillare il principio che la città è ‘cosa propria’.

* * *riccardo orioles wrote:Noi lavoriamo da anni alla speranza che tu scopri ora. Perchè non lavorare insieme? Voi catanesi siete tribali, in questo. Ognuno di voi all'alba guarda il sole sinceramente ammirato e pensa: "minchia, ch'è beddu! guarda che bedda scoperta fici!"- Senza mi-nimamente sospettare che altri nello stesso omento possano guardare la stessa aurora.Sentiamoci, se vuoi. Mi piacerebbe se voi di Step, una volta o l'altra, riusciste a crede-re veramente all'idea di un progetto comu-ne.(Nè i vostri vari articoli di questi giorni nè l'ultimo vangelo di Lo Vecchio contengono - se non sbaglio - la parola "Ciancio". Tec-nicamente, è una parola necessaria per co-minciare anche solo a discutere di informa-zione seriamente, qui e ora)(Io non ho aerei da prendere, nè per Milano nè per altrove. Io sono qui in Sicilia, per mia scelta. Un po' perché conto - nei mo-menti d'ottimismo - nei giovani come te. Un po' - nei momenti di ragionevolezza - perché voglio salvare la mia dignità anche da solo. Ma se fossimo tutti uniti potremmo persino vincere. Ed è sapere questo che mi danna)

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Un giovane giornalista siciliano emigrato a Milano nterviene sul sito diUn giovane giornalista siciliano emigrato a Milano nterviene sul sito di Step 1 (il sito universitario catanese) con un post molto interessante intiStep 1 (il sito universitario catanese) con un post molto interessante inti--tolato “L'informazione e la spetolato “L'informazione e la speranza”. Ma non è giunto il momento – siranza”. Ma non è giunto il momento – si chiede il ventitreenne Salvo Cachiede il ventitreenne Salvo Catalano – di creare uno spazio d'informaziotalano – di creare uno spazio d'informazio--ne nuovo? Ne viene fuori, con un suo collega più anziano, un dibattito chene nuovo? Ne viene fuori, con un suo collega più anziano, un dibattito che forse potrebbe interessare anforse potrebbe interessare anche altriche altri

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Giornalismo Giornalismo

* * *L.G. wrote:PS per Riccardo. Vecchio e non Lo Vec-chio. Un giornalista deve stare molto atten-to a non storpiare i nomi di persona! Se la-vorate da anni a un qualcosa senza esserci riusciti, non potrebbe darsi che quel proget-to debba essere in parte modificato?

* * *riccardo orioles wrote:intanto hai ragione per Vecchio. Il fatto è che scrivo quasi senza vederci (glicemia, vista bassissima) e quindi vado spesso a memoria. Me ne scuso. Ma scrivo per ri-spondere alla tua (sensata) osservazione: "Se lavorate da anni a un qualcosa senza esserci riusciti, non potrebbe darsi che quel progetto debba essere in parte modifi-cato?".Naturalmente, nessun progetto è eterno, ogni progetto va sempre continuamente ag-giornato, ed è quello che cerco di fare. Però non è esatto che non siamo riusciti a niente. Elenco alcuni punti:- I Siciliani sono stati, dopo l'Ora, la princi-pale esperienza giornalistica della Sicilia. Sono durati molto a lungo e in un certo senso durano tuttora.- Nel '93, i Siciliani quotidiano è stato a un

pelo dall'uscire (solo la vittoria di Berlu-sconi, che non dipendeva da noi, ha indot-to i finanziatori a ritirarsi).- Avvenimenti è stata la principale, e sen-z'altro la più popolare (e libera) rivista della sinistra (quando c'ero io superava le 60mila copie e non dipendeva da nessun partito).- I Cavalieri a Catania non ci sono più, in parte grazie ai giudici ma soprattutto grazie ai movimenti (Siciliani, SicilianiGiovani, Associazione Siciliani, Città Insieme, ecc.)- Ancora negli ultimi anni, abbiamo svilup-pato, e più ancora creato le condizioni per farli crescere, tutta una serie di soggetti giovani e combattivi. Casablanca, Ucuntu, i Cordai e il Gapa, la Periferica, lo stesso Addiopizzo Catania, e soprattutto Lavori in Corso, sono tutte realtà, coi loro limiti, vive e combattive e potrebbero essere il nucleo di qualcosa di veramente nuovo.- In tutti questi anni abbiamo sempre e coe-rentemente individuato il vero punto debole dell'informazione a Catania, che è il mono-polio di Ciancio. Rimuoverlo - come fanno, certo involontariamente, Vecchio e il gio-vane Catalano - è pericolosissimo, perché significa trasportare tutto il dibattito da Ca-tania a Stoccolma, dalla realtà dei fatti con-creti a quella dei buoni sentimenti e delle

poesie.Ecco: a me pare bello che vengano avanti idee nuove, ma non credo che ogni volta bisogni ricominciare proprio da zero. C'è un patrimonio ricchissimo di esperienze forti, che hanno dimostrato la loro validità e che in parte sono ancora in corso. Uniti si vince, si diceva una volta, e io credo ferma-mente che vincere sia possibile - tutti uniti - anche a Catania e anche sul terreno dell'in-formazione.Infine, un invito per Salvo: la mia mail è [email protected] e il mio nume-ro è 333.7295392. Puoi contattarmi quando vuoi - se ti va e se sei pronto a metterti in discussione. Io lo sono, è il mio lavoro di-scutere continuamente cose nuove. Ma sono un interlocutore abbastanza importan-te per te? :-) Non sono un industriale, non sono un professore universitario... Sono semplicemente un giornalista, uno che di giornali se ne intende e non ha oltre a que-sto, alcun potere politico o economico da far valere. Questo vale alcuni minuti (o ore, o giorni, o mesi), del tuo tempo?Giro questa domanda, provocatoriamente, agli amici di Step1 - qua stiamo lavorando anche e forse soprattutto per loro. "Lavori in corso", come si dice.

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Società civile Società civile

SABATO 17 APRILEalle ore 14.30

in Piazza Navona a RomaMANIFESTAZIONEDI SOLIDARIETA'

con Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Paganii tre medici di Emergency rapiti il 10 aprile da militari afgani e

internazionali nel Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah.Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi ha curato

gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.

|| 15 aprile 2010 || pagina 16 || www.ucuntu.org ||