Ucuntu n.91

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251010 www.ucuntu.org - [email protected] Cronisti antimafia Chi li attacca Chi li difende Chi se ne frega Pino Maniaci di TeleJato: minacciato dai boss mafiosi calunniato dai colleghi fighetti e ignorato dai colleghi Vip. L'antimafia dei poveri, quella che cambia l'Italia, va avanti così. Non sempre la verità è nascosta. A volte sei proprio tu, caro lettore, a non avere voglia di vederla... Mazzeo/ Sigonella: “Thank you Mr Ciancio!” Gulisano/ Cronache capovolte Web e dintorni: Mamma.it e Agoravox Reportage Discariche/ Notti di guerra a Boscoreale || 25 ottobre 2010 || anno III n.91 || www.ucuntu.org || Quanto costa la verità

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il numero del 25 ottobre 2010

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251010 www.ucuntu.org - [email protected]

Cronistiantimafia

Chi li attaccaChi li difende

Chi se ne frega

Pino Maniacidi TeleJato:

minacciatodai boss mafiosi

calunniato daicolleghi fighetti

e ignorato daicolleghi Vip.

L'antimafiadei poveri,quella che

cambia l'Italia, va avanti così.

Non sempre la verità è nascosta. A volte sei proprio tu, caro lettore, a non avere voglia di vederla...

Mazzeo/ Sigonella: “Thank you Mr Ciancio!”Gulisano/ Cronache capovolte

Web e dintorni: Mamma.it e AgoravoxReportage Discariche/ Notti di guerra a Boscoreale

|| 25 ottobre 2010 || anno III n.91 || www.ucuntu.org ||

Quantocosta la

verità

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Natura Natura

Girolamo Giardina, scienziato e ambientalista siciliano.

Una pianta in pericoloe una Sicilia da salvare

Un'intera popolazione di piante rischia di scomparire! Non si trova spontanea in nessuna altra parte del mondo, ma vive esclusivamente in provincia di

Ragusa e in due altri piccoli siti del ge-lese.

È la Muscari gussonei. Questa piantina dai fiori gialli, scoperta non molti anni fa nella valle dell’Ippari in provincia di Ragusa e considerata prioritaria secondo la Direttiva Habitat della UE, si trova minacciata da interventi agricoli distrut-tivi e da scellerate attività dell’uomo.

Nel 2003, per la salvaguardia della Muscari gussonei e di altre specie, Giro-lamo Giardina iniziò una lunga battaglia riuscendo a coinvolgere botanici, natural-isti e varie associazioni. Vent’anni prima, sempre nella stessa vallata fra Comiso e Vittoria, fu il primo a muoversi per l’istituzione della Riserva Naturale Ori-entata “Pino d’Aleppo”.

Per la tutela dell'ambiente e degli ecos-istemi naturali mio padre non si fermò mai un attimo perché l’ambiente era per

lui patrimonio comune, dall’alto valore sistemico, e non doveva essere sottomesso alla disponibilità e agli interessi di pochi.

La Muscari gussonei è una delle 500 entità descritte nell’opera “Piante rare della Sicilia” presentata il 23 ottobre scorso presso l’Orto Botanico di Palermo. Una fra cinquecento, ma è una di quelle piante a rischio che raccontano le contraddizioni della nostra terra: la ric-chezza della biodiversità vegetale della Sicilia è immensa, ma allo sesso tempo estremamente fragile perché minacciata delle persistenti manomissioni dell’uomo.

Qui è possibile cogliere lo spirito del volume e del metodo dell’autore, del la-voro di analisi e osservazione nutrito di continue escursioni e raccolte che gli per-misero di creare un imponente erbario di 20.000 essiccate, oggi custodito presso l’Erbario Mediterraneo di Palermo.

Nel volume sono descritte piante en-demiche, piante rarissime e non solo; il concetto di “rarità” di una specie è infatti molto articolato, giacché include sia le specie floristiche maggiormente in peri-colo (minacciate, vulnerabili o dai dati insufficienti), sia quelle specie che si trovano al limite della loro area di dis-tribuzione o il cui l’habitat risulta poco

diffuso nel territorio nazionale.“Piante rare della Sicilia” è la terza op-

era pubblicata postuma, grazie al forte impegno dell’Università di Palermo e dei tanti amici botanici che hanno visto negli studi di mio padre un prezioso strumento di arricchimento per l’intera comunità scientifica.

Sonia Giardina

“Piante rare della Sicilia”di Girolamo GiardinaUniversità degli Studi di Palermo/Orto BotanicoCooperativa sociale “Cultura botanica”Palermo, ottobre 2010

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Politica Politica Da dove puòricominciarela sinistra?Da TeleJato

Non è una storia importante, quella di Pino Maniaci e TeleJato. Si svolge in un pezzo d'Italia (Partinico e dintorni) in cui la mafia comanda da quasi cent'anni, tollerata da Crispi, Giolitti, Mussolini, Fanfani, An-dreotti e infine Berlusconi. Non è un'Italia importante,infatti, Partinico; si può ben de-legarne il controllo, in cambio di qualche voto, a Cosa Nostra.

E tutto va avanti così, banalmente, una generazione dopo l'altra. L'Italia civile, ogni tanto, manda giù una telecamera: un servizio, una fiction, un'ora di folklore.

Finché, improvvisamente, ti spunta una telecamera indigena, che senza sapere un cazzo d'informazione comincia fare infor-mazione davvero. Cioè ventiquattr'ore sul ventiquattro, dal basso, in mezzo alla gente del luogo e con parole locali. Ridendo e sputtanando i boss locali: “Tano Seduto!”. “Fardazza!”.

Si chiami Peppino Impastato o Pino Ma-niaci, il giornalista indigeno non è mai pre-si sul serio (da vivo) dai giornalisti ufficiali.

Ci volle del bello e del buono, l'anno scorso, per fare ottenere un tesserino a Pino. Dovette fiondarsi a Palermo il presi-dente dell'Ordine in persona, Iacopino, e imporlo ai riluttanti colleghi locali alcuni dei quali (Lazzaro Dantuso e Mannisi) mi-nacciarono di uscire dall'Ordine se vi fosse stato accolto Maniaci.

Seguino alcuni mesi “normali” (la solita pastasciutta, le solite minacce, i soliti tg sui Fardazza, le solite aggressioni in piazza) in cui Pino, senza far troppo caso dei “colle-ghi”, continua a tirare la carretta di TeleJato paziente e imperturbabile come un somaro.

Poi, con l'estate, arriva un bel regalo: un lbro di un collega “antimafioso” (vedi

pag.4) che dedica a TeleJato un capitolo in-tero: per dire che è tutta una buffonata e che Pino è un ciarlatano.

Caselli, don Ciotti, i “vecchi” di Radio Aut e dei Siciliani, l'antimafia insomma, si mettono pubblicamente accanto a Pino. I più intimi lo consigliano: “Eddài, non te la prendere, sono cose che passano, continua a fare il tuo dovere”.

E lui pazientemente riafferra le stanghe e si rimette a tirare, povero e indifferente come prima. Il collega calunniatore intanto fa carriera e finisce in Rai: e non da Bruno Vespa ma da Santoro. Così va il mondo.

Maniaci perde la pazienza, ma brevemen-te, soltanto quando l'ennesima minaccia (che Procura e Scientifica valutano fra le più dure in assoluto) colpisce non più solo lui, ma anche la sua famiglia. Dice alcune parole, ad alta voce. Eppoi si rimette a la-vorare. “Noi non ci fermeremo”.

* * *Parlo di Pino perché sono siciliano, e mi

è più quindi facile scrivere su di lui. Ma un caso abbastanza simile, quasi contempora-neamente, si è verificato in Calabria (vedi Ucuntu 18 ottobre) dove il cronista Luigi Musolino, più volte minacciato dalla 'ndrangheta, viene trasferito d'autorità dopo aver fatto dichiarazioni su politici non pro-priamente antimafiosi. Il suo direttore di è uno “di sinistra”, Sansonetti, il cui riferi-mento politico, se non ho perso qualche puntata, è addirittura Vendola. Che certo, come Santoro, non è tenuto a occuparsi di tutti i particolari, e in particolare della sorte di un misero cronista calabrese o siciliano.

* * *Torniamo su questi due nomi, che i nostri

lettori (e di non molti altri giornali) già co-

noscono, perché li riteniamo importantissi-mi per il nostro mestiere, per il nostro Pae-se, e per lo schieramento politico cui appar-teniamo, la sinistra.

Maniaci e Musolino non sono dei sempli-ci giornalisti. Giù da noi, sono il giornali-smo.

Maniaci e Musolino non sono dei sempli-ci giornalisti. Giù da noi sono le sentinelle della Nazione, sono l'Italia.

Maniaci e Musolino non sono un proble-ma della sinistra. Giù da noi sono il proble-ma.

Nel momento in cui (forse) riusciamo a cacciar via Berlusconi, a ridarci un gover-no, saremo noi di sinistra in grado di gover-nare meglio di prima, di affrontare con la durezza e serietà che in passato è mancata i problemi vitali: la mafia, l'informazione li-bera, la non-dignità sul lavoro?

Nei casi di Musolino e Maniaci compaio-no esattamente questi temi. Con nemici e responsabili di destra ma con un'immensa miopia - colpevole - da sinistra.

Perciò io qui chiedo formalmente a San-toro di esprimere pubblicamente solidarietà a Maniaci (finora non l'ha fatto) e a Vendo-la di prendere pubblicamente le distanze da Sanonetti (non l'ha fatto). Insomma di so-stenere per quanto possibile la nostra anti-mafia povera e paesana, scegliendo i mili-tanti sul campo e non i cortigiani.

Mica siete obbligati, caro Michele e caro Nichi, a comportarvi così impoliticamente.

Se non lo farete continuerò e sostenervi per disciplina e dovere, bugia nen, come un sergente sabaudo. Se lo farete, sarete molto più che dei re (o dei politici) per me e per quelli come me: sarete dei compagni.

Riccardo Orioles

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Due storie di cronisti minacciati (unoDue storie di cronisti minacciati (unoin Sicilia l'altro in Calabria) che nonin Sicilia l'altro in Calabria) che nonriguardano solo il giornalismo mariguardano solo il giornalismo maproprio la politica: la nostraproprio la politica: la nostra

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TeleJato sotto tiro TeleJato sotto tiro

Una piccolastoria

di libertà

MINACCE DI MORTEA TELEJATO

Una lettera con minacce di morte, spedita da Palermo e indirizzata al direttore di TeleJato Pino Maniaci, è stata recapitata alla redazione dell’emittente di Partinico (Palermo). Il giornalista, in passato, è stato già vittima di intimidazioni. Nella missiva, scritta a macchina, si intima al giornalista di «stare zitto e lasciare il paese». «Non puoi attaccare tutti – si legge – altrimenti ci pensiamo noi a te e alla tua famiglia». «La sentenza è stata emessa», scrive, inoltre, in dialetto siciliano l’anonimo.

Maniaci ha portato la lettera al commis-sariato e ha presentato denuncia. «Non ci lasceremo intimidire», ha commentato. Le minacce seguono un’inchiesta giornalistica fatta dall’emittente sui beni confiscati alla mafia in cui si denunciava la condotta di un amministratore giudiziario che avrebbe gestito una cava sottratta ad una famiglia mafiosa attraverso una società costituita in-sieme ai parenti dell’ex proprietario colpito dalla misura di prevenzione. (ANSA, 19 ot-tottobre 2010)

“TACI INFAME”. COMEISOLARE UN CRONISTAIN TERRA DI MAFIA

“Taci infame” è il titolo di un libro scritto da Walter Molino, attuale redattore di Anno Zero, che ha dedicato un ferocissimo at-tacco a Pino Maniaci, direttore di TeleJato. Non era la prima volta che Molino ded-icava le sue amorevoli attenzioni a Ma-niaci, a sua figlia Letizia e a TeleJato tutta. Gli ultimi anni sono una lunga sequela di attacchi durissimi mirati a delegittimare il lavoro di Pino e dei suoi, come racconta Salvo Vitale, amico e collaboratore di Pep-pino Impastato, in un articolo che abbiamo pubblicato su Gli Italiani a agosto scorso (Gli Infami). Un articolo che va letto bene, con attenzione.

“Taci Infame” potrebbe essere anche il titolo della lettera di minacce che ha ricevuto ieri Pino. Minacce rivolte a lui e alla sua famiglia. Dettagliate, “informate”, pesanti. Non roba da picciottazzo, ma da persona che sa e che sa dove fare male. Sa come spaventare.

Un libro e una lettera, oggi. Una macch-ina date alle fiamme (e su quella vicenda ho ricordo diretto perché ero insieme a Pino a Partinico quella notte), decine e decine di intimidazioni, botte per strada, e ancora e ancora. Dieci anni di lavoro su quel ter-ritorio senza abbassare la testa sono anche questo. Quante volte è stato detto “taci in-fame” nei confronti di Pino in questi anni? Quante minacce, intimidazioni, aggressioni

e calunnie? La prima volta che scrissi un articolo citando Pino ho ricevuto una mail con allegato un casellario giudiziario (ri-sultato poi una bufala) proprio da chi all’epoca, e anche oggi, cercava di fare terra bruciata attorno all’esperienza di Tele-Jato. Ci si fa l’abitudine. A quel tipo di mail o di voci messa in giro e anche a libri come quello di Molino. Un libro che molto ha ri-preso, ma non sul capitolo dedicato a Ma-niaci, dal lavoro di raccolta dati di Os-sigeno per l’informazione, l’osservatorio della Fnsi diretto da Alberto Spampinato.

Non è la prima volta, quindi, che Maniaci subisce minacce e intimidazoni, a causa delle inchieste trasmesse dall’emittente televisiva che dirige da Partinico. Quella arrivata ieri in redazione, tuttavia, mette all’indice anche i familiari del giornalista. «Non puoi attaccare tutti – si legge nella lettera anonima – altrimenti ci pensiamo noi a te e alla tua famiglia». «La sentenza è stata emessa», si legge ancora nella mis-siva, che invita Maniaci a «stare zitto e las-ciare il paese».

Quello che lascia perplessi è la tempistica di questa ennesima minaccia, proprio nel momento in cui l’emittente stava iniziando a svelare la nuova geografia dei clan della zona che, dopo l’arresto a novembre scorso del latitante Raccuglia che di fatto reggeva le sorti criminali della zona, si stanno rior-ganizzando con un’inedita probabile al-leanza fra i clan originari del mandamento (con riferimento in particolare ai Vitale/ Fardazza) e famiglie alleate ai Lo Piccolo.

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I boss di Partinico minacciano, ancora una volta, il direttore di TeleJatoI boss di Partinico minacciano, ancora una volta, il direttore di TeleJato Pino Maniaci. Stavolta le minacce, più ultimative del solito, riguardanoPino Maniaci. Stavolta le minacce, più ultimative del solito, riguardano non solo lui ma anche la sua famiglia. “Noi resisteremo” risponde a dentinon solo lui ma anche la sua famiglia. “Noi resisteremo” risponde a denti stretti Maniaci. Pochi mesi fa avevano tentato di zittirlo con altri mezzistretti Maniaci. Pochi mesi fa avevano tentato di zittirlo con altri mezzi

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TeleJato sotto tiro TeleJato sotto tiro

Come non è da sottovalutare il rientro, favorito sempre dai Lo Piccolo, dei cosiddetti “americani”, ovvero quelle famiglie legate ai perdenti della guerra di mafia fra gli anni ’70 e ’80 con i corle-onesi, e che dopo gli arresti di Riina, Bagarella e Provenzano si è reso possibile.

Ci sono tanti modi per azzittire una voce libera. La violenza, le minacce, la paura e la calunnia. Tante voci e tanti poteri, differ-enti fra loro, ma con un unico messaggio: “taci infame”.

Pietro Orsattigliitaliani.it

“PER INFORMARE I CITTADINISI ASSUME UN RISCHIOSEMPRE PIU' ELEVATO”

Le nuove minacce a Pino Maniaci e alla sua famiglia dimostrano quanto sia ris-chioso fare informazione nei territori sog-getti alla criminalità organizzata. Esprimo solidarietà a Pino, ai suoi familiari e a tutti i collaboratori di Telejato.

Auspico misure di sicurezza rafforzate e invito a non considerare quello di Partinico un episodio isolato. Bisogna sapere che in Italia, nel 2009-2010, si sono verificati al-meno altri 78 gravi episodi simili che han-no coinvolto non meno di 400 giornalisti; che altri dieci di questi episodi si sono veri-ficati nella stessa Sicilia; che lo stesso Maniaci è stato già oggetto di minacce.

Questa drammatica situazione è stata rappresentata con nomi, cognomi, date e particolari nel Rapporto 2010 di Ossigeno per l’Informazione. Il rapporto non si limita all’elencazione, formula alcune proposte per fronteggiare un contesto così allar-mante. È necessario, infatti, denunciare ed esprimere solidarietà, ma non basta. Sono necessarie iniziative concrete per rendere più sicuro e socialmente riconosciuto il la-voro di cronaca. Non si può lasciare solo e indifeso, come spesso avviene, chi per informare i cittadini si assume un rischio che sta diventando sempre più elevato. Il carattere pubblico del giornalismo di cronaca dovrebbe essere riconosciuto apertamente, e non solo a parole.

Chi informa l’opinione pubblica in modo professionale merita di essere protetto at-tivamente, di essere difeso, da tutti e innan-zi tutto dagli altri giornalisti, sul piano dell’organizzazione del lavoro e da una le-gislazione adeguata. Una società democrat-ica non può lasciare che criminali e prepo-tenti scelgano i fatti e gli argomenti dei quali i giornalisti possono scrivere sui giornali e parlare in televisione.

In Italia, purtroppo, questo aspetto è da tempo trascurato, nonostante proliferino gli episodi di violenza contro i giornalisti e al-tri abusi commessi per oscurare notizie di rilevante interesse generale. In gioco non c’è solo il diritto di cronaca, c’è anche il di-ritto dei cittadini di essere informati.

Alberto SpampinatoOssigeno per l’informazione

“LA SENTENZAE' STATA EMESSA”

Nuove e inquietanti minacce al direttore di Telejato Pino Maniaci. L'ennesima storia di un giornalista minacciato perché compie il proprio dovere, quello di informare. Non è la prima volta che Maniaci subisce min-acce e atti intimidatori, a causa delle inchi-este trasmesse dall'emittente televisiva che dirige da Partinico, comune della valle dello Jato alle porte di Palermo. Quella ar-rivata ieri in redazione, tuttavia, mette all'indice anche i familiari del giornalista. «Non puoi attaccare tutti - si legge nella lettera anonima - altrimenti ci pensiamo noi a te e alla tua famiglia». «La sentenza è stata emessa», si legge ancora nella mis-siva, che invita Maniaci a «stare zitto e las-ciare il paese».

Un brutto segnale che prende di mira un giornalista. Come troppo spesso si verifica nel nostro Paese. Le mafie intimidiscono e cercano di imporre il silenzio alla stampa libera. Succede in Sicilia, Calabria, Cam-pania, ma anche nel Lazio e in numerose regioni del nord Italia, come in Lombardia con la scena del fotoreporter picchiato mentre fotografava l'auto di un testimone data alle fiamme.

Buste con proiettili, lettere anonime, taniche di benzina tutte indirizzate a chi, quotidianamente, scrive di malaffare, mafie e illegalità. E troppo spesso anche di politica e dei collegamenti di questa con la criminalità organizzata.

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TeleJato sotto tiro TeleJato sotto tiro

Non si può scrivere del Mercato ortofrut-ticolo di Fondi e della presenza delle mafie che gestiscono il settore agroalimentare italiano, tanto meno del mancato sciogli-mento del consiglio comunale della cit-tadina del sud – Pontino.

Non si può scrivere degli intrecci tra 'ndrangheta, politica e massoneria. Non si può scrivere dei boss, latitanti o in carcere, né si possono riportare le cronache dei processi che li vedono coinvolti.

Non si può scrivere di un sindaco che gestisce “allegramente” le finanze del suo comune.

Non lo si può fare perché le mafie e le zone d'ombra con esse colluse non vogli-ono che si puntino i riflettori su affari ille-citi e favoreggiamenti che alimentano l'il-legalità e il deficit democratico del nostro Paese.

«Non ci lasceremo intimidire», ribatte Pino Manici che ha prontamente sporto de-nuncia.

Non ci lasceremo intimidire se daremo sostegno, appoggio, vicinanza ai tanti giornalisti che come Pino Maniaci e la redazione di Telejato continuano a fare il loro mestiere.

Raccontando i fatti, accada ciò che ac-cada.

Liberainformazione

INUTILE DIRTI “RESISTERE”PERCHE' LO FAI GIA'

Ho sempre qualche difficoltà ad esprimere solidarietà a chi è vittima della tracotanza mafiosa, perché qualsiasi at-testato di vicinanza non può minimamente accostarsi a ciò che si prova quando si è minacciati. Cambia tutta l'impostazione della vita, il rapporto con la famiglia, il rap-porto con la strada e con i conoscenti: dav-anti alla paura che serpeggia nei movimenti di tutto ciò che ti circonda, avverti la presenza di qualche occhio misterioso che controlla i tuoi gesti e i tuoi spostamenti, che può colpirti in qualsiasi momento.

È per questo che "solidarietà" dovrebbe significare "sto con te, condivido le tue scelte e il tuo lavoro, ma voglio partecipare ugualmente a ciò che fai, dando il mio pic-colo contributo, facendo la mia parte, ris-chiando, se è necessario, senza stare a guardare, senza aspettare che sia qualche altro ad andare avanti e ad accorgersi che dietro nessuno lo segue, e che invece, a pa-role, tutti dicono di farlo".

Ciao, Pino, inutile dire di "resistere", per-ché lo fai egregiamente e so che continuerai a farlo. Se c'è una bara già pronta non è la tua, ma quella degli stronzi che credono ancora di poter fare, come una volta, il bello e il cattivo tempo. La società siciliana sta cambiando e noi vogliamo, dobbiamo essere tra quelli che possono dire: "io ci sono, ci sono stato, io ho fatto la mia parte". Sempre in gamba.

Salvo VitaleAssociazione P.eppino Impastato, Cinisi

“NOI NON MOLLIAMO,NOI NON CE NE ANDIAMO”

Altre minacce di morte a Pino Maniaci, direttore di TeleJato a Partinico. Minacce gravissime, ancora una volta. Dirette non solo al giornalista ma anche ai suoi famili-ari. Minacce di chiara matrice mafiosa.

Proprio nel momento più delicato, e non è un caso, di riorganizzazione delle cosche mafiose su questo territorio dopo anni di guerra per il controllo del territorio fra la famiglia dei Fardazza/Vitale (guida tradiz-ionale di questo mandamento) e gruppi emergenti collegabili con il tentativo di scalata dei Lo Piccolo.

Questa ennesima intimidazione non bloc-cherà il lavoro che quotidianamente, da più di dieci anni, questa nostra piccola emit-tente televisiva sta facendo.

Continueremo a raccontare che cos'è Cosa nostra, come agisce, quali sono gli intrecci e le alleanze, quali sono gli appoggi di cui gode.

Noi, assieme a Pino Maniaci, non ab-biamo nessuna intenzione di mollare o di “andare via” come ci chiedono gli estensori di questo nuovo messaggio.

Redazione di Telejato

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La Carovana dei Briganti Migranti La Carovana dei Briganti Migranti

Le Italie si re-incontranoa Teano. Speriamo bene...

La Carovana dei Briganti Migranti è fon-damentalmente un viaggio. Un viaggio verso Teano, dove dal 23 al 26 ottobre si ri-unirà l’altra Italia. In quest’altra Italia vogliamo far confluire un altro Sud. Un’al-tra idea di Sud. Il Sud che ancora non si è arreso e nonostante tutto continua a lottare e a resistere. Il Sud che non dimentica. E che sa perfettamente che la storia si ripete. Anche se cambiano i fattori. Anche se i protagonisti hanno un colore di pelle di-verso e una cittadinanza differente.

Il tempo sovverte, ribalta, rovescia. Can-cella tutto. Le sofferenze e le umiliazioni. Anche la memoria. Soprattutto la memoria. E dannatamente favorisce la visione del fu-turo senza il ricordo del passato. Di quello che è stato. Di quelle condizioni strazianti e concomitanti che hanno trasformato tantis-simi pacati meridionali in rivoltosi briganti. Quei Briganti che, qualche lustro dopo, a causa dell’impoverimento operato ai danni del Sud, per fuggire dalla fame, divennero, loro malgrado, Migranti.

E da migranti subirono vessazioni, dis-criminazioni, umiliazioni, ghettizzazioni di ogni sorta. Gravi e inaudite. Riprovevoli e umanamente inconcepibili. “Puzzano, rubano, sono sporchi e sono pieni di malat-tie”. Questo dicevano di noi negli States qualche secolo fa. Un odio profondo, in-fausto, che culminò con la condanna a morte di Sacco e Vanzetti. Vittime di una giustizia imprigionata dalle maglie sempre più asfissianti dell’odio xenofobo. Come anche in Svizzera, Germania, Belgio.

Angherie e soprusi che oggi noi, la nostra italica e civilizzata società, non esitiamo ad infliggere senza remore e senza vergogna ai danni dei cugini immigrati.

La storia si ripete. Anche se cambiano i fattori. Adesso chi proviene da quegli an-goli di terra, devastati dalla fame e dalla guerra, come fu la nostra Italia, si trova a vivere la condizione inversa alla nostra: prima migranti e poi briganti.

Fuggono, scappano, evadono da quella galera di carestia e morte. Sono migranti. Vengono in Italia. Verso un paese, sulla carta, civile. E che “civilmente e a norma di legge” li respinge in modo criminale e ille-gittimo. Oppure, se non ci riesce, li costringe a diventare briganti.

Ma fortunatamente esiste un’altra Italia. Quell’altra Italia che si incontrerà il 26 di ottobre a Teano. In occasione dei 150 anni dal celebre incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele che segnò il drammatico passag-gio del Mezzogiorno nel Regno d’Italia, as-sociazioni, enti locali, fondazioni, uni-versità, movimenti e organizzazioni, sotto-scriveranno un nuovo patto tra gli Italiani.

Un momento importante, fondamentale, soprattutto per il Sud. E dal Sud, alla volta di Teano, si snoda questa grande iniziativa itinerante, che abbiamo voluto chiamare simbolicamente La Carovana dei Briganti Migranti.

Che ha un solo, grande obiettivo: dif-fondere, divulgare, denunciare e raccontare le due facce di una stessa medaglia. Vogliamo raccontare di quella parte di Ca-labria infangata dai delittuosi respingimenti verso la Libia. Di quella Calabria macchi-ata dallo sfruttamento, dall’umiliazione e dalla deportazione dei fratelli migranti nei campi rosarnesi della vergogna. Quella Ca-labria fagocitata dal silenzio, dalle sotterra-nee collusioni mafia-istituzioni, dalla men-talità mafiosa, dalla mattanza delle faide. Quella Calabria brutta, pregna di cervelli privati di prospettive, che si scontrano con la cronica disoccupazione e costretti alla migrazione, alla fuga, alla resa.

Ma vogliamo raccontare anche l’altra parte di Sud. L’altro Sud. Quel Sud in cui si inizia a diffondere quel virus di rottura e insurrezione, che tra mille difficoltà e reti-centi anticorpi culturali, inizia ad incubarsi

nella mente di molti. Vogliamo dire che es-istono modalità concrete di accoglienza al-ternative ai militarizzati Cie: ne sono es-empi concreti Riace e Caulonia. Vogliamo raccontare che esistono reti e comitati che battagliano con grinta e passione contro le ingiustizie sociali e lo stupro del territorio.

Far sapere che ci sono associazioni che daSud ricordano e marciano, che scrivono e denunciano. Che esistono organizzazioni, come le Anpas, che accompagnano i malati a fare dialisi, che aiutano gli anziani e i dis-abili, che lottano contro gli incendi e l’in-quinamento.

Che tanti amministratori dicono di no e a volte, per questo, muoiono. Che ci sono imprenditori, come Saffioti, che denun-ciano e fanno arrestare. E rimangono soli. Che ci sono giudici che lottano e non dem-ordono, anche se spesso mancano i soldi per la benzina. Che ci sono cooperative che tra attentati e intimidazioni generano sapori e lavoro dai terreni libera-ti dalle mafie.

Che esistono esempi concreti di reale in-tegrazione lavorativa e rispetto dei diritti dei migranti, come succede a Nardò. Che ci sono associazioni rivolte sempre con lo sguardo e l’attenzione aSud. Al sud Italia e al Sud del mondo. Che a Reggio, in una domenica di fine settembre, scendono in piazza più di 40 mila cittadini per urlare che “la ‘ndrangheta è una montagna di merda”.

Vogliamo girare i volti da questa parte. Vogliamo urlare “Sunnu puru cazzi mei”. Vogliamo dire anche noi che “se te ne fotti, ti fotti”.

Noi riteniamo che questa nostra parte di Sud possa contribuire al rilancio, alla civil-izzazione, al riscatto dell’Italia intera. Che può ancora salvarsi se capisce che deve rif-ondare il suo patto sociale su altre basi val-oriali e culturali.

Il 26 Ottobre a Teano si vuole costruire un nuovo incontro che abbia la valenza di una svolta storica. Ci saranno giorni di in-tensi dibattiti e confronti, sui valori vecchi e nuovi che ci uniscono, per arrivare a sot-toscrivere un nuovo Patto tra gli italiani.

Noi, briganti migranti, migranti briganti, vogliamo dare il nostro contributo.

I Briganti Migrantiwww.dasud.it

|| 25 ottobre 2010 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||

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Sicilia/ Basi & Business Sicilia/ Basi & Business

“Thank youMr Ciancio”

Corsa all'oro a Sigonella

Ancora qualche mese e la marina militare statunitense abbandonerà definitivamente il “Residence degli aranci” di Mineo (Cata-nia), il complesso di 25 ettari e 404 villette occupato dal personale in forza alla base di Sigonella da circa dieci anni. "È una strut-tura sovradimensionata per le nostre reali necessità abitative ed è pure prevista per il futuro la riduzione del numero dei militari e dei loro familiari a Sigonella", spiegano al Comando di quella che è la principale base aeronavale USA in tutto il Mediterraneo.

Una giustificazione che non convince per nulla gli esponenti della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella, che ipotizza-no invece ben altri e più preoccupanti sce-nari. "Gli unici tagli ufficiali sono quelli relativi al personale civile statunitense e italiano che opera all’interno dell’ infrastruttura militare. E si tratta comunque di numeri irrilevanti, appena 44 unità per gli americani", dichiara il portavoce della Campagna, Alfonso Di Stefano. "Siamo invece di fronte ad un’inarrestabile espansione delle funzioni strategiche ed op-erative di Sigonella e delle altre basi USA in Sicilia che inevitabilmente darà nuovo impulso alla crescita del numero dei mili-tari. Dalla lettura delle schede allegate al piano finanziario 2007 dei Military Con-struction and Family Housing Programs, emerge che entro la fine del 2012 il person-ale dell’US Navy raggiungerà a Sigonella

le 4.327 unità, contro le 4.097 esistenti il 30 settembre 2005. C’è poi da aggiungere il centinaio di operatori, tra militari dell’US Air Force e tecnici della società contractor, giunti in Sicilia per il funzionamento dei Global Hawk, gli aerei senza pilota destinati alle operazioni di guerra in Africa e Medio oriente. Il ministro della difesa La Russa ha invece annunciato che per l’attivazione della nuova supercentrale di spionaggio AGS della NATO, giungeranno entro due anni a Sigonella “800 uomini con le rispettive famiglie”".

I conti non tornano, dunque. Sigonella crescerà ancora di più e così, prevedibil-mente, crescerà il bisogno di alloggi. In re-altà il ritiro annunciato da Mineo appare più una fuga verso lidi migliori, verso aree più gradevoli dal punto di vista paesaggisti-co e naturale e meno distanti dallo scalo aeroportuale. Riparte così nelle province di Catania e Siracusa la corsa all’oro america-no, con amministratori locali, imprenditori e consorterie lobbistiche a farsi la guerra per convincere l’US Navy ad insediare vil-laggi e residence a “casa loro”. Secondo quanto emerso tre anni fa, più di una decina di progetti sarebbero stati approvati dai consigli comunali di Belpasso, Mascalcia, Motta Sant’Anastasia, Lentini, Ramacca, ecc. per insediare complessi “chiusi ad uso collettivo” per i militari di Sigonella.

"Si tratta spesso di mere operazioni

speculative che sottraggono pregevoli aree agricole alle loro funzioni produttive e oc-cupazionali", spiegano gli attivisti della Campagna per la smilitarizzazione. "Per gli amministratori l’importante è non farsi trovare impreparati quando uscirà il “ban-do” per gli alloggi da dare in leasing ai militari della grande base a stelle e strisce. L’iter è sempre lo stesso: una società privata fa la proposta al Comune per cambiare la destinazione d’uso dei terreni; il Consiglio vota la variante in tempi record; l’Assessorato regionale approva in via definitiva. Dietro il paravento dei residence per i militari si creano vere e proprie corsie preferenziali che bypassano piani regolatori e legittimano improponibili cubature. Male che va nuovi e vecchi cavalieri si ritroveranno in mano fondi ed immobili che hanno quintuplicato il loro valore senza sforzo alcuno".

In pole position nella gara per accaparrar-si dollari e affitti c’è sicuramente Motta Sant’Anastasia, comune di 11mila abitanti ai piedi dell’Etna.

"Da anni siamo in ottimi rapporti con i vertici di US Navy", commentava qualche tempo fa l’allora sindaco Nino Santagati. "A Motta vivono già 750 americani, perfet-tamente integrati con i nostri concittadini. Tanto è vero che da tempo abbiamo identi-ficato non una, ma cinque aree dove potrà sorgere il nuovo villaggio per Sigonella".

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Via i contadini, dentro il cemento. Sempre più numerosi i terreni della Sicilia orientaleVia i contadini, dentro il cemento. Sempre più numerosi i terreni della Sicilia orientale trasformati in residence per miliatari Usa. Con annesse speculazioni (e anche peggio)trasformati in residence per miliatari Usa. Con annesse speculazioni (e anche peggio)

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Sicilia/ Basi & Business Sicilia/ Basi & Business

Nel 1999, in meno di un mese, il con-siglio comunale ha approvato tre progetti di variante, destinando le aree agricole a “resi-denze temporanee” per i militari. In tutto è stata offerta all’US Navy una superficie di 329.063 metri quadri, con "una densità ter-ritoriale di 85 abitante per ettaro e una do-tazione di 100 metri cubi pro-capite" che, conti alla mano, fa 2.805 possibili residenti e 280.500 metri cubi di cemento.

Alla Regione nessuno ha avuto nulla da ridire, anzi, tutte e tre le varianti sono state particolarmente apprezzate perché, come si legge nei decreti di approvazione del 2001, "la vicinanza del territorio comunale di Motta Sant’Anastasia a Sigonella at-tribuisce allo stesso una spiccata attitudine ad accogliere strutture organizzate e servizi da destinare al personale della base".

Il primo dei progetti è stato avanzato dal-la Società Holding Investment e riguarda un’area di 16,4 ettari di contrada Policara, vicino al torrente San Nicola. Il secondo, su richiesta della ditta Scuderi Giovanni, inter-essa 4,7 ettari di contrada Mustazzo.

Il terzo progetto, 11,8 ettari in contrada Ramusa, è firmato adll’impresa di costruzioni La.Ra. di Motta Sant’Anastasia, società posta sotto amministrazione controllata nel dicembre 1997 dal Tribunale di Catania e definitivamente confiscata nell’ottobre 2000 perché appartenuta a personaggi legati al clan di Benedetto

“Nitto” Santapaola, boss catanese.Negli anni ’90 la La.Ra. ha operato in re-

gime semi-monopolista nella gestione di numerosi servizi all’interno della base di Sigonella. I contratti del Dipartimento della difesa sono arrivati anche dopo la tempesta giudiziaria e nel periodo compreso tra il 2002 e il 2008 la La.Ra. ha ricevuto da Washington 6 milioni e 355mila dollari per opere, studi geotecnici, servizi di manuten-zione e riparazione.

Lo scorso anno il gran botto: con la Gem-mo Spa di Vicenza e la Del-Jec Inc., uno dei colossi del complesso militare industri-ale e nucleare statunitense, la La.Ra. ha dato vita al consorzio “Team Bos Sigonel-la” che si è aggiudicato una commessa di 16 milioni di dollari (e l’opzione sino a 96 milioni in caso di proroga del contratto) per il "trasporto di armamenti, materiali ed att-rezzature necessarie" e la "gestione dei servizi ambientali, il controllo delle sostanze nocive, la raccolta e il riciclaggio dei rifiuti" nelle basi di Sigonella, Augusta, Niscemi e Marza-Pachino.

Dalla visura catastale risultano alla guida della società di Motta, l’avvocato Teodoro Perna e il commercialista Giuseppe Giuffr-ida, amministratori giudiziari e/o liquidatori di altre società appartenute a imprenditori in odor di mafia operanti a Sigonella (Be-ton Conter, Bosco Etneo, Impredil, La Mastra Carmelo). I due sono stati pure

amministratori giudiziari dei beni e delle aziende confiscate alla famiglia Riela di Misterbianco, per anni leader incontrastata dei trasporti e della logistica in Sicilia.

Il programma più ambizioso d’insediamento di un villaggio per l’US Navy è tuttavia quello approvato a Lentini nell’aprile 2006 dall’allora giunta di centro-sinistra. Esso prevede "mille casette a schi-era unifamiliari con annesso verde privato e parcheggi, un residence per la sistemazione temporanea per i militari in attesa di allog-gio definitivo, attrezzature per l’istruzione, lo svago e il terziario, impianti sportivi" al posto dei floridi agrumeti delle contrade Xirumi, Cappellina e Tirirò, nelle vicinanze del Biviere di Lentini, Sito di Interesse Comunitario (Sic) e Zona di Protezione Speciale (ZPS) della Provincia Regionale di Siracusa. Stando al progetto, in un’area complessiva di 91,49 ettari dovrebbero sorgere costruzioni per un volume di 670.000 metri cubi, capaci di ospitare sino a 6.800 cittadini statunitensi.

A presentare il piano ci ha pensato sta-volta la Scirumi Srl, società con sede a Catania in via XX Settembre 42 presso lo studio del professore Gaetano Siciliano, presidente onorario della Fondazione Dot-tori Commercialisti Sicilia, già presidente dell’ordine dei commercialisti e del colle-gio dei revisori dei conti del Comune di Catania.

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Sicilia/ Basi & Business Sicilia/ Basi & Business

Anche Siciliano è stato amministratore del Riela Group di Misterbianco, ma nel 2003 dovette rinunciare al mandato perché raggiunto da condanna in primo grado per peculato. Si era auto-liquidato un compen-so di 381mila euro come amministratore.

Principale azionista della Scirumi Srl è l’Impresa Costruzioni Maltauro di Vicenza, altra grande contractor delle forze armate USA in Italia. La Maltauro, in particolare, ha realizzato un centro d’intrattenimento per il personale militare e diversi uffici am-ministrativi nella Caserma Ederle di Vicen-za. Nella base di Aviano la società ha real-izzato un complesso ricreativo ed alcuni edifici per l’US Air Force e ha ristrutturato tre aree per parcheggio, ricovero ee offi-cine dei cacciabombardieri nucleari F-16.

Tra i soci della società Scirumi per il resi-dence di Lentini compare inoltre la Cappel-lina Srl, società nella titolarità della famiglia di Mario Ciancio Sanfilippo, l’onnipotente editore-imprenditore di Cata-nia, già alla guida della Federazione degli editori, proprietario del quotidiano La Sicil-ia ed azionista degli altri quotidiani e di buona parte delle emittenti della Sicilia.

A lui erano intestati una parte dei terreni venduti alla Scirumi per complessivi 10 miliardi e 800 milioni di vecchie lire. Una parte, perché gli altri fondi appartenevano alla Sater Società Agricola Turistica Etna Riviera, anch’essa di Mario Ciancio, della

moglie Valeria Guarnaccia e dei figli Do-menico e Rosa Emanuela.

La Sater condivide la stessa sede della Cappellina (via Pietro dell’Ova 51, Cata-nia) e finanche l’amministratore, l’anziano avvocato Francesco Garozzo, presente in altre operazioni finanziarie del gruppo Ciancio. Uno dei figli del legale, Carmelo Garozzo, è membro del Cda della Scirumi; altro Garozzo, l’ingegnere Rosario (già di-rettore generale del Comune di Adrano) è invece uno dei progettisti del complesso destinato ai militari di Sigonella.

Gli altri due progettisti sono Antonio Le-onardi, dirigente A.U.S.L. 3 di Catania e presidente dell’Associazione Nazionale In-gegneri della Sicurezza e l’architetto Mat-teo Zapparrata, già capodipartimento della Provincia regionale di Catania (settore pro-grammazione opere pubbliche ed urbanis-tiche) con i presidenti Musumeci, Lombar-do e Castiglione e Commissario straordi-nario del Consorzio per le Autostrade Si-ciliane dal 2008 all’agosto 2010.

A rendere alle forze armate USA partico-larmente gradita l’ipotesi Lentini, la facile accessibilità dell’area alle strade statali 417 Catania-Gela e 385 Catania-Caltagirone, la vicinanza alla base di Sigonella (12 km) e soprattutto lo straordinario scenario natu-rale del luogo. Il Comune di Lentini in sede di approvazione della variante al Prg ha in-oltre prescritto che in sede di convenzione

tra il Governo USA e la società proponente vengano realizzate "opere che rendano facilmente fruibile" il lago di Lentini. Ov-via previsione un’altra colata di cemento, con complessi alberghieri, campi da golf e porticcioli ad uso semi-esclusivo delle forze armate USA.

"Tutta l’operazione “Scirumi” è stata viziata dall’inizio da una serie di errori, di violazioni e di omissioni che duramente configgono con la moralità, la trasparenza e le leggi", hanno denunciato il Centro Studi Territoriali Ddisa, I Verdi di Lentini e la Redazione di Girodivite.it che a livello lo-cale hanno tentato di opporsi al progetto. "L’insediamento deturperebbe irrimediabil-mente il contesto paesaggistico e colpireb-be una delle attività produttive locali più redditizie, la produzione di agrumi. La zona di Xirumi, Cappellina e Tirirò è pure inter-essata da almeno due aree archeologiche, una delle quali ricade proprio all’interno della cinta del complesso in questione.

L’altra area, di cui nessuno ha fatto men-zione nell’iter progettuale, è di particolare importanza storica e culturale. Si tratta del vasto insediamento rupestre sul colle di San Basilio che domina il vasto paesaggio che si vorrebbe convertito a residence e villette". Con l’esodo USA da Mineo si ri-aprono i giochi per gli speculatori e gli in-stancabili divoratori del territorio.

Antonio Mazzeo

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Catania Catania

Sul Porto delle Nebbienebbia sempre più fitta...

In autunno a Catania, sei nuovi banchi di nebbie si infittiscono sul porto così come alcuni amministratori confermano in un lungo articolo su un quotidiano:

1° “banco” - Il Vicesindaco di Catania si augura che il nostro porto decida il suo indirizzo principale nel rispetto del Piano Direttore Regionale del 2002, anche se non conclude sollecitando l’intervento dei poteri decisionali da parte del Sindaco che è anche componente di diritto dell’ente di gestione portuale a norma dell’ art.9, L.84/94. Speriamo che l’attuale Sindaco di Catania, al contrario del suo distratto pre-decessore, se ne renda conto e rimedi al tempo perduto, dal 1994 ad oggi, per inter-venire nella gestione del porto rimasta senza alcun controllo della Città che lo os-pita.

2° - Ricordiamo ad entrambi i suddetti amministratori che la “competenza minis-teriale” sulla gestione del nostro porto non è affatto insindacabile ma subordinata agli interessi generali di Catania a norma dell’art. 5 c.1,2,3 stessa L.84/94. Pertanto se, i cotanto definiti , “molti” trasport-atori alle dipendenze di pochissime ditte, forse una unica, si debbano o meno trasferire ad Augusta è una decisione che spetta al Consiglio Comunale per primo. Dal 1994 la Autorità Portuale ha avuto il solo interesse a non privilegiare il tur-ismo per evitare di venire soppressa per in-sufficiente movimento merci a norma dell’art. 6 c.8 della predetta L.84/94.

3° L’ interesse per le merci risulta la sola causa in ordine a quanto rilevato oggi dal

Vicesindaco sulla ingiustificata mancanza di uno studio che valuti gli aspetti e gli ef-fetti del trasferimento su Augusta delle merci e faccia quindi emergere i reali vantaggi collettivi, economici e logistici, da trasporti che partano ed arrivino al centro della fascia Jonica della nostra Sicilia. Nello sperare che finalmente venga eseg-uito tale studio economico, si spera venga correttamente accompagnato da altro stu-dio economico ed occupazionale sul dan-no dei containers vuoti che persistono fra il centro storico ed il mare impedendo la valorizzazione turistica , ambientale e monumentale di Catania.

4° Sorprende la notizia che il Comune non abbia appellato la sentenza del TAR che aggiudicava la ditta Acqua Marcia “concessionaria ” di tutto l’ampliamento portuale per quasi un secolo ! Come avrebbe fatto in questo caso il “bene della collettività” a “sposarsi con l’economia privata” risulta inspiegabile per il Comune che rischia una nuova disatten-zione “sposa” di Acqua Marcia del tutto uguale al precedente caso dell’ex Mulino S.Lucia. Un ecomostro dalle conseguen-ze urbanistiche paesaggistiche che sono sotto gli occhi di tutti e sulle bocche di po-chi, ancora un volta nella fin troppo pazi-ente Catania.

5° Sorprende ancora di più apprendere che il nostro comitato cittadino, insieme a LIPU , WWF e PRC, abbia mai accusato la ditta Acqua Marcia di essere la sola ad avere falsificato la planimetria del luogo ove scorre il Torrente Acquicella, ri-

sultando già stampato e divulgato alla cit-tadinanza il preciso seguente dilemma :

A- simulazione del Torrente predisposto oppure già deviato fuori dall’alveo, o peg-gio tombato , in sprezzante violazione della Legge 431/85 e con buona pace dei morti di Soverato, Giampilieri ed Atrani che as-pettano ancora giustizia;

B – peggio ancora, in alternativa, falsità di rappresentazione negli atti pubblici della gara, già irregolare per altri aspetti.

In entrambi i casi sarà la Autorità Giudiz-iaria e non la cittadinanza attiva a stabi-lire responsabilità e connivenze.

6° Significativo è quanto riferito dalla Direzione Urbanistica Comunale, sull’at-tuale silenzio imbarazzato del Genio Civile OO.MM. di cui il già responsabile ing. Pietro Viviano risulta autore di un parere sperticatamente favorevole ad Acqua Mar-cia quale consulente tecnico nominato dal commissario ad acta già Ufficiale della Capitaneria di Porto. Come abbiano fatto costoro a disconoscere lo stato ed il regime dei luoghi ove hanno lavorato a lungo ed a disconoscere un torrente e la specifica Legge che ne vieta il turbamento del corso naturale, è la “nebbia” conclusiva del seguente intervento che l’Italia Democrat-ica ci consente fare.

A ciascun amministratore della cosa pubblica spetta il preciso dovere, morale e giuridico, di sottomettere al bene della col-lettività l’economia di singoli privati.

Marcello Di LuiseComitato Cittadino Porto del Sole

www.portodelsole.it

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Italia Italia

Giampilieriun anno dopo

"Noi andiamo avanti con i lavori – proclama il presidente Lombardo - ma stia-mo anticipando tutto noi perchè dallo Stato abbiamo ricevuto soltanto il 10 per cento delle risorse complessive. Questo è il segno di come vanno le cose. Non bastano i so-pralluoghi, il clamore di tanti movimenti, servono le risorse. Pretendiamo che lo Stato faccia la propria parte: a L’Aquila e’ stato anticipato tutto dallo Stato, noi invece at-tingiamo ai fondi Fas".

Secondo il Lombardo e Pietro Lo Mona-co, dirigente del dipartimento della protezi-one civile regionale, il Cas (consorzio autostrade siciliane) ei tecnici del Genio Civile, della Provincia e del Comune messinese hanno già provveduto a mettere in sicurezza i costoni rocciosi e i versanti della collina che franarono un anno fa.

In un anno, quindi, sarebbero stati spesi i 139 milioni disponibili, erogati dal ministe-ro dell’Ambiente (20 milioni), dal Fondo Protezione civile (30 milioni) e dalla

Regione con i fondi Fas 2007/2013 (65 mil-ioni), oltre quelli ottenuti con l’Accordo di programma quadro (24 milioni).

Le cifre stimate per il ritorno alla normal-ità, con la costruzione di alloggi, le opere di urbanizzazione e il rimborso alle popolazioni e alle attività produttive, e’ di 320 milioni. All’appello mancano quindi 181 milioni. "La Regione – continua ancora il presidente Lombardo - ha anticipato al-meno la metà dei fondi fin qui spesi, attin-gendo ai Fas e ai fondi della Protezione civile anche se non sono stati ancora firmati i decreti di attribuzione. Abbiamo ricevuto appena una sessantina di milioni. E’ giusto che lo Stato si impegni e faccia la sua parte. Andremo comunque avanti con i lavori e non ci fermeremo per mancanza di fondi. Tra le risorse che servono, ci sono quelle per i vigili del fuoco, che hanno fatto un lavoro encomiabile, li pagheremo noi e pa-gheremo anche le ore di straordinario. Ab-biamo ritenuto prioritarie, in questa prima

fase le opere di messa in sicurezza ed a quelle abbiamo destinato le risorse disponi-bili". "Parecchio resta da fare – spiega con cauto ottimismo Pietro Lo Monaco - pero’ parecchio e’ stato già cantierato. In questi giorni partiranno altri cantieri importanti per mettere in sicurezza e rifunzionalizzare il territorio e dare uno sbocco all’acqua che scende dalle montagne. Nella seconda fase passeremo ai rimborsi alle persone che han-no perso la casa, alla ricostruzione degli al-loggi per le persone meno abbienti che an-che con i rimborsi non ce la farebbero ad avere una nuova casa e metteremo tutti nelle condizioni di ricostruire la propria casa nel contesto urbano e non fuori dalle citta. Abbiamo scelto questa strada, anzichè realizzare una new town per recuperare il tessuto urbano esistente".

Alle voci provenienti dal governo region-ale e dai suoi tecnici si oppongono le pro-teste del Pd, che per bocca del deputato re-gionale Panarello “I cittadini colpiti da

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Cosa rimane dell’alluvione che il primo ottobre del 2009 sbriciolò i paesiCosa rimane dell’alluvione che il primo ottobre del 2009 sbriciolò i paesi del messinese? E' guerra dei numeri Lombardo dice la sua, il Pd pure madel messinese? E' guerra dei numeri Lombardo dice la sua, il Pd pure ma tra questi sbuca una voce indipendente: il giornalista Tonino Cafeo,tra questi sbuca una voce indipendente: il giornalista Tonino Cafeo, membro della Rete No Ponte che ricostruisce fedelmente i passaggi dimembro della Rete No Ponte che ricostruisce fedelmente i passaggi di quest'anno di abbandonoquest'anno di abbandono

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Italia Italia

quella tragedia – risponde - hanno bisogno di interventi efficaci ma anche di trasparen-za e verità. In questo momento ognuno deve fare con serietà la propria parte: Ber-tolaso, invece di alimentare polemiche, si impegni per trovare i 180 milioni che lo Stato non ha ancora stanziato per Gi-ampilieri. Per quel che ci riguarda – con-clude Panarello - il Pd continuerà a battersi per fare in modo che la ricostruzione e la messa in sicurezza possano proseguire ve-locemente. Chiederemo al governo nazion-ale di reperire le risorse che ancora manca-no e al presidente Lombardo di informare periodicamente sull’andamento dei lavori e sull’utilizzo dei fondi”.

Ricapitoliamo: Il governo regionale dichiara di aver percepito dallo Stato solo il dieci per cento dei costi totali per il recupe-ro dei territori alluvionati, mentre il resto delle risorse sono state prelevate dalle casse della regione, dai fondi della Protezione Civile, e dai Fas. Il Pd, nel limbo tra oppo-sizione e governo regionale, invita Roma a stanziare la somma ultima per la ricostruzi-one (180 milioni) senza crogiolarsi ancora.

Intanto qui la gente continua a lamentare disservizi e assenza delloStato.

Mirko Tomasino

LA RETE NO PONTE“ECCO I NUMERI VERI”

Tonino Cafeo è un giornalista siciliano e membro di punta della Rete No Ponte. Lo abbiamo intervistato per capirne di più su tutti questi numeri che rimbalzano tra la gente ma che forniscono poche risposte concrete. Ne risulta un quadro molto diver-so da quello ufficiale.

Il presidente Lombardo afferma che la Regione è intervenuta da sola spenden-do ben il 10% (139 milioni totali) per la ri-costruzione prevista. Mi conferma questi dati?L’accordo di programma fra regione Sicilia e Ministero dell’Ambiente individuava nel-lo scorso mese di giugno, 173 interventi a difesa del territorio nelle nove province dell'isola, 87 dei quali riguardano solo il messinese. Per essi lo Stato ha messo a dis-posizione 152 milioni 692 mila 572,11 euro; la Regione 151 milioni 644mila 604,81.

Panarello (Pd) ha di recente intimato a Bertolaso di reperire 180 milioni di euro per completare i lavori. Come procede realmente la ricostruzione?La scarsità di risorse disponibili rallenta non poco il lavoro di ricostruzione. A metà

ottobre del 2010 l'unica agenzia delle tre ( le altre due sono la Provincia Regionale di Messina e la Protezione Civile) a cui è stato affidato il compito di procedere alla messa in sicurezza del territorio e alla ricostruzi-one che può vantare il raggiungimento di concreti risultati è il Genio Civile.I cantieri aperti sotto la sua responsabilità sono più di venti , sparsi in tutte le zone in-teressate dall’alluvione, affidati, per quanto riguarda la progettazione, a personale del Genio Civile e per l’esecuzione a ditte loca-li. Nove di essi sono già all’ottanta per cen-to del lavoro svolto.

A un anno dall’alluvione cosa pensano gli sfollati degli interventi effettuali?L'intervento delle istituzioni viene general-mente ritenuto insufficiente. La ripresa di piogge di forte intensità è vissuta con grande preoccupazione dalle popolazioni, che temono il ripetersi di situazioni analoghe a quelle dello scorso anno. In di-verse occasioni pubbliche i (pochi ) inter-venti della Protezione Civile e della Provin-cia Regionale sono stati contestati. Maggiore fiducia viene riposta nell'attività del Genio Civile. Si fa strada comunque la percezione della complessiva scarsità delle risorse economiche impiegate per la fuoriuscita dall'emergenza.

M.T.

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Politicisul luogodellasciagura(fotoDi Giacomo,ottobre2009)

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Processo Mori Processo Mori

Cronaca capovoltaIl cronista si fa tifoso

e stravolge i fatti

Ormai la cronaca giudiziaria, in Italia, è vergognosa. Per un mestiere da tempo pri-vo di credibilità non è una buona notizia. Leggere le cosiddette cronache del proces-so Mori-Obinu e confrontarle con ciò che succedere realmente in Tribunale è sconcer-tante: seguendo il dibattimento attraverso Radio Radicale, non posso sapere chi assi-ste a un’udienza e chi no e, quindi, chi mente sapendo di mentire, chi scrive il fal-so perché le sue fonti lo imbrogliano e chi ha scritto il pezzo ancora prima dell’udien-za, ma la sostanza non cambia: non c’è una “cronaca” in cui si racconti il reale conte-nuto del processo; c’è chi mente a favore dell’accusa e chi a favore della difesa, per partito preso. Tifosi, ultrà, non giornalisti.

Non starò a discutere di tg, ché non li guardo e nulla posso dire, ma di carta stam-pata. E non di Libero o del Giornale, ché sarebbe come interrogarsi se, per avventu-ra, Berlusconi abbia qualcosa da spartire con la democrazia. No, voglio parlare della stampa “libera”, di quella che strilla al regi-me, alla censura, si strappa i capelli per i “martiri” della tv di Stato ed è punto di rife-rimento di quella parte di popolo del web che non ne può più di questo stato di cose ma si beve qualunque scritto del cronista o dell’opinionista di cotanta “informazione”, e lo rilancia in continuazione sulla sua pa-gina fb, twitter o blog che sia, convinto di stare linkando «la verità».

Perché il processo Mori-Obinu. Perché è quello più importante in circolazione. Sotto accusa ci sono gli ex vertici di uno dei reparti investigativi più importanti del Paese nelle indagini sulle mafie e sul ma-laffare, il reparto d’eccellenza dell’Arma, imputati di avere protetto la latitanza di Bernardo Provenzano, dopo una presunta trattativa che avrebbe provocato la strage di via D’Amelio e culminata nella cattura di Riina. Per certi versi, è il processo al pas-saggio dalla Prima alla Seconda Repubbli-ca.

Udienza del 28 settembre. Il generale Mori mostra in aula una slide con la quale intende dimostrare che Massimo Ciancimi-no ha consegnato ai magistrati una presunta lettera del padre a Berlusconi taroccata; Li-liana Ferraro, la principale collaboratrice di Giovanni Falcone al ministero, testimonia che il capitano Giuseppe De Donno, uomo di punta del Ros in Sicilia negli anni delle stragi, andò a trovarla nel suo ufficio di via Arenula, un mese dopo la strage di Capaci e le accennò al tentativo in corso di arrivare a Vito Ciancimino, attraverso il figlio Mas-simo, nella speranza di avere informazioni utili alle indagini. Bene – anzi: male –: i giornalisti “liberi” e “democratici” hanno deriso Mori e scritto che, sulla trattativa, la Ferraro «ha smentito Mori». Basta ascolta-re l’audio dell’udienza, su Radio Radicale, per rendersi agevolmente conto che la Fer-

raro non ha smentito nessuno e non ha par-lato di trattativa, come già lo scorso aprile aveva testimoniato anche l'ex ministro Claudio Martelli, informato dalla stessa Ferraro del colloquio con De Donno: «Se avessi saputo di qualche trattativa, l’avrei denunciato pubblicamente», ha dichiarato.

Udienza del 12 ottobre. Stavolta «Mori è stato smentito dai periti» che hanno ana-lizzato una serie di documenti sequestrati a Massimo Ciancimino o da lui spontanea-mente consegnati ai magistrati. I periti avrebbero certificato l’autenticità dei sud-detti documenti, smentendo Mori a propo-sito delle manipolazioni denunciate. Pecca-to che il foglio analizzato dal generale, l’or-mai celebre «lettera a Berlusconi» in cui lo si minaccerebbe di uccidergli un figlio se non mette a disposizione di Cosa Nostra una sua tv, non fosse fra quelli sottoposti a perizia.

E se anche ci fosse stato, siccome i pm hanno chiesto alla Scientifica di identificare gli autori dei documenti, quelli gli avrebbero risposto che l’ha scritto Vito Ciancimino (fatto che nessuno mette in di-scussione). Ma ’ste cose è meglio non dirle ai lettori, altrimenti potrebbero formarsi idee proprie, meglio tacere questi “trascura-bili” dettagli. Così com’è meglio non dirgli che le 11 presunte lettere dattiloscritte di Provenzano a don Vito (i cosiddetti pizzini), scritte tutte con la stessa macchina

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I resoconti delle udienze agli ex vertici del Ros dei carabinieri poco hannoI resoconti delle udienze agli ex vertici del Ros dei carabinieri poco hanno da spartire con ciò che accade in aula. E se ciò può apparire scontato perda spartire con ciò che accade in aula. E se ciò può apparire scontato per la stampa berlusconiana, altro discorso è quando anche l'informazionela stampa berlusconiana, altro discorso è quando anche l'informazione libera stravolge in senso delle testimonianze che incrinano la tesilibera stravolge in senso delle testimonianze che incrinano la tesi dell'accusa e minano la credibilità di Massimo Ciancimino. Il caso delladell'accusa e minano la credibilità di Massimo Ciancimino. Il caso della "lettera" di don Vito a Berlusconi"lettera" di don Vito a Berlusconi

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Processo Mori Processo Mori

Documento 1

per scrivere, nel 1992 e nel periodo succes-sivo alla scarcerazione di Ciancimino (1999-2002), sono ancora senza una pater-nità (come il presunto papello), benché messe a confronto con dattiloscritti di Pro-venzano realizzati con sette diverse mac-chine per scrivere. Meglio tacere su queste cose, meglio mentire dicendo che «i periti hanno smentito Mori».

E poi ci lamentiamo dei tg e dei giornali berlusconiani.

Per la cronaca: tutti i documenti «autenti-ci» sono manoscritti di Vito Ciancimino la cui paternità nessuno ha mai contestato.

* * *Non so se la trattativa si sia svolta coi

tempi indicati dai Ros e da Vito Ciancimi-no, in un suo manoscritto (ma in un altro scrive che Mori e De Donno hanno mentito al Tribunale di Firenze, nel 1998, dove han-no testimoniato proprio sulla trattativa, che loro non chiamano trattativa), con quelli in-dicati da Massimo Ciancimino o con una tempistica diversa da quelle che conoscia-mo. Penso che una trattativa ci sia stata, non so se abbia inciso sulla strage di via D’Amelio – al momento, in tal senso abbia-mo le parole di Ciancimino jr (e di Brusca, dopo che ha cambiato versione), la cui tem-pistica mi pare più realistica dell’altra – ma non mi si venga a dire che Mori e De Don-no hanno trattato solo per conto di Mancino

e Rognoni perché mi sembra poco realisti-co. Se trattativa c’è stata – e secondo me c’è stata – dev’essersi tenuta col consenso di parte consistente della classe dirigente dell’epoca: per liberare l’ex assessore regionale della Campania Ciro Cirillo, pagando un riscatto di due miliardi di lire alle Br e a Cutolo, si mobilitò mezza Democrazia cristiana – il segretario, ministri, sottosegretari, parlamentari – e il Sismi, ai massimi livelli; e per tentare di fermare la strategia stragista di Cosa Nostra si sarebbero dati da fare solo un ministro e un ex ministro, entrambi dc, tenendo all’oscuro tutti gli altri esponenti politici dell’epoca? Se si crede alle fiabe, sì.

Capiamoci. Un conto sono i fatti accerta-bili in tribunale, altro conto sono i ragiona-menti: giornalisti e intellettuali, a 18 anni di distanza dai fatti, con gli elementi a dispo-sizione, qualche ragionamento potrebbero tentarlo, ma si preferisce tacere e delegare ai giudici. Magari imbrogliando l’opinione pubblica sul contenuto delle testimonianze. A me questo comportamento sembra dop-piamente pericoloso, ché il giorno in cui sarà periziata la «lettera a Berlusconi» e ri-sulterà quel tarocco che è, con la presumi-bile conseguenziale incriminazione di Ciancimino, cosa racconterete ai vostri let-tori, egregi colleghi “autorevoli”, “liberi” e “democratici”? E se in conseguenza di ciò i

giudici dovessero decidere che tutte le di-chiarazioni di Massimo Ciancimino siano da buttare – a prescindere dalla veridicità – e Mori e Obinu venissero assolti, come la raccontereste la storia di quegli anni, continuando a imbrogliare? Che ne sarebbe delle vostre “certezze” sulla trattativa basate sulle parole di Ciancimino, credibile tout court, fino al punto che piegate a tale “verità” qualsiasi testimonianza? Senza contare che i Ros potrebbero legittimamente strillare alla persecuzione, ché se la vicenda giudiziaria non lo è – in presenza di elementi di reato si procede –, quella dei media cartacei e web lo è senza dubbio.

* * *Ma come fai – vi starete chiedendo – a

essere così certo che quel documento sia falso? Perché dovremmo credere a te e non a giornalisti affermati, molto più autorevoli di te, che sei uno dei tanti “signor nessuno” che infestano il web?

Semplice: non vi chiedo di credermi ma di credere ai vostri occhi.L’immagine in alto è la riproduzione di mezzo foglio A4 scritto con inchiostro blu, sequestrato in un’abitazione dei Ciancimino nel febbraio 2005, durante una perquisizione di poco precedente all’arresto di Massimo. Il foglio è stato sottoposto a perizia e l’autore è ignoto..

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Processo Mori Processo Mori

Il 30 giugno e l’1 luglio 2009, interrogato dai pm Di Matteo e Ingroia, alla vista di quel pezzo di carta, Massimo Ciancimino si produce in sceneggiate (secondo me) e slanci di presunta sincerità che lo portano a cambiare versione ogni quarto d’ora (vi ri-

sparmio i dettagli) per attestarsi, infine, su una versione che perfezionerà nel corso dell’udienza del processo Mori-Obinu dell’8 febbraio 2010: in quell’occasione colloca la bozza di lettera nel 1994 (in pre-cedenza l’aveva prima datata 2000 e suc-

cessivamente 1990-92, «prima delle stragi»), la attribuisce a Provenzano, dal quale l’ha ritirata personalmente, poi è an-dato a trovare il padre a Rebibbia, gliel’ha letta, lui l’ha riscritta e, a riprova di ciò, ha portato in aula la fotocopia (un foglio A4) di una parte della lettera vergata da don Vito, indirizzata (per conoscenza) «al presi-dente del consiglio Silvio Berlusconi» (ca-rica che non ricopriva negli anni indicati in precedenza ai pm), mentre il destinatario diretto sarebbe Marcello Dell’Utri. Ah... dopo la «visita parenti» ha ovviamente por-tato la lettera all’onnipresente «signor Car-lo/Franco».

Il documento è questo a fianco, non ancora periziato.

In estrema sintesi, secondo Massimo Ciancimino, il «triste evento» sarebbe l’o-micidio di un figlio di Berlusconi, scongiu-rabile se il Cavaliere mette una sua tv a di-sposizione di Cosa Nostra. Bene, che il se-condo documento sia una rielaborazione del primo lo si evince agevolmente, mentre il contenuto è abbastanza criptico.

Leggendolo, si è certi che siamo in pre-senza di una «lettera» composta di almeno tre pagine: una precedente e una successi-va.

Personalmente, non capisco perché uno che minaccia Berlusconi e scrive rivolgen-dosi a lui, indichi Dell’Utri come destinata-rio e al minacciato la invii solo «per cono-scenza», altresì non capisco perché que-st’ultimo lo indichi nella seconda pagina e non nella prima, sotto il destinatario diretto.

Quando scrivo una lettera a qualcuno e, per conoscenza, la invio anche ad altri, se-gno i destinatari tutti nella prima pagina. Voi non so. Don Vito era un tipo stravagan-te. Oppure qualcuno ha fatto un bel taglia-incolla e ha messo là sopra il nome del pre-sidente del consiglio, come sostiene Enrico Tagliaferro nel suo libro Prego, dottore.

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Processo Mori Processo Mori

Documento

E come ha sostenuto Mori in aula, lo scorso 28 settembre.

La prova dell’imbroglio, ché di imbroglio si tratta, è contenuta nel libro che Massimo Ciancimino ha pubblicato col giornalista Francesco La Licata: alle pagine 228-229 sono riportate la bozza di lettera che abbiamo visto e quella che una didascalia indica come «una seconda parte della bozza di lettera di Vito Ciancimino» (vedi sopra).

Questa «seconda parte» è stata sequestra-ta dai magistrati di Caltanissetta, dopo l’u-scita del libro, è originale, scritta a matita – tipico di Ciancimino padre – ed è stata sot-toposta a perizia, che ne ha confermato l’autore.

Chiunque può accorgersi che il testo della parte superiore di questo frammento è identico in ogni dettaglio alla parte inferiore del foglio A4: è una parte della stessa pagina, in originale.

Nella parte inferiore del nuovo documen-to (la carta, secondo i periti, era in com-mercio tra il 1996 e il 2000 e, dunque, don Vito non poteva averla nel ’94) pos-siamo agevolmente leggere che non si mi-naccia alcun omicidio ma solo di convocare

«una conferenza stampa».Il seguito non lo conosciamo poiché

anche con queste tre righe e mezza non si arriva alla conclusione e resta almeno un’altra pagina successiva.

Ma questa «seconda parte» della bozza ci dice anche un’altra cosa. Ci dice che qual-cuno ha fatto delle fotocopie, ha tagliato via le tre righe e mezza inferiori, ha rita-gliato «e pc al presidente del Consiglio Sil-vio Berlusconi» da qualche altra parte e l’ha incollata in testa, in modo da mantene-re il formato A4.

Per arrivare a tale conclusione non biso-gna essere periti e nemmeno superesperti della Scientifica: basta guardare e sapere leggere, ché l’imbroglio si vede a occhio nudo.

E la manipolazione dovrebbe averla compiuta l’autore dell’“interpretazione au-tentica”. Oppure s’è inventato solo la sto-riella che ha raccontato in aula.

In ogni caso, ha mentito. Con buona pace dei giornalisti “liberi” e “indipendenti” autori delle “cronache” del processo Mori-Obinu e dei loro ignari fan che si bevono qualsiasi fesseria gli venga propinata.

Mi rendo perfettamente conto che non ci si possa fidare di un signore, sebbene un si-gnor generale, che cerca in tutti i modi di accreditare la pista degli appalti come movente delle stragi, “aggiustando” qua e là date e avvenimenti per fare quadrare il cerchio.

Ma un conto è non fidarsi, altro conto è scrivere certe “cronache” che non hanno nulla da invidiare alla disinformazione messa in circolo dagli ex Ros e dai loro fan.

Sebastiano Gulisano

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Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

I fucilati di Bixioe quelli di Avolacent'anni dopo

I CINQUE MUNNIA

Lavorare per pagare i debiti e fare i debiti per lavorare. Questo fu per secoli l’inelutta-bile destino dei contadini siciliani.

Il prestito richiesto si diceva “mutuo” e quello concesso si chiamava molto eufemi-sticamente “soccorso” anche se i termini del contratto “ricevere il mutuo – restituire il soccorso” era autentica usura.

Ancora agli inizi del Novecento, dalle parti di Grammichele era in uso molto fre-quente il contratto dei “cinque munnia”(in italiano “mondello” e in dialetto siciliano anche “munneddu” per indicare unità di misura di quantità di grano): in pratica il padron “soccorreva” il contadino con quat-tro munnia di frumento da semina e ne ri-scuoteva al raccolto cinque con un profitto da interesse del 25% in appena sette mesi (periodo intercorrente dalla semina al rac-colto) equivalente a quasi il 50% annuo.

Il contadino, inoltre, doveva esprimere obbligatoriamente segni tangibili della sua riconoscenza eseguendo le così dette “an-gherie” : pulire gli animali nella stalla del padrone, portargli le primizie della frutta e degli ortaggi e la legna pronta da mettere a fuoco per tutti gli usi domestici.

I sensi della riconoscenza si accompa-gnavano a quelli del rispetto e della vera e propria sottomissione nel pronunciare, al

cospetto del padrone, la formula “Voscien-za bbenedica” e le altre equivalenti di “ser-vo suo” e”padruni mio”.

Quando don Luigi Sturzo istituì la Cassa di S. Giacomo, aprendo la strada ad altre istituzioni analoghe come la Cassa rurale di S. Michele, si fissò il tasso d’interesse an-nuo al 7%.

La condizione dei contadini e degli arti-giani segnò un deciso miglioramento, con-traddetto, però, dal contemporaneo e mas-siccio flusso migratorio verso l’America.

La rivoluzione industriale non arrivò, i padroni delle terre trovarono altre forme di dominio, poi la Grande Guerra sconvolse tutto ancora una volta. La Patria chiamò i giovani al fronte e promise loro le terre, ma poi, a guerra finita, quelli che tornarono... continua in una prossima “scheggia”

AVOLA (2 dicembre 1968)

Non era più tollerabile che i braccianti di Avola fossero pagati il 10% in meno di quelli di Lentini o di Carlentini; si chiede-va, quindi, l’abolizione di tali “gabbie sala-riali” nonché aumenti salariali, la revisione delle norme del collocamento, l'eliminazio-ne della figura del caporale e dell'ingaggio della manodopera in piazza.

La provincia di Siracusa presentava un’a-

gricoltura di pregio, con alti profitti per i padroni delle terre e con salari di fame per i contadini superstiti alla migrazione nelle fabbriche del nord.

La vertenza sindacale, iniziata il 24 no-vembre, fu molto difficile per il rifiuto del padronato a volere intraprendere un qual-siasi confronto, i sindacati confederali CGIL, CISL e UIL proclamarono, allora, lo sciopero generale per il 2 dicembre.

Intervenne il Prefetto di Siracusa e con-vocò le parti, ma gli agrari disertarono i primi incontri, poi, quando si stava intra-prendendo un possibile itinerario di trattati-va tra le parti finalmente sedute intorno ad un tavolo con il Prefetto, giunse improvvisa una telefonata da Roma.

Il prefetto si fece passare la comunicazio-ne in un’altra stanza e quando rientrò quel-l’itinerario possibile fu abbandonato.

Arrivò il 2 dicembre e arrivarono da Ca-tania un centinaio di poliziotti col mitra a mano, il tascapane pieno di bombe lacrimo-gene, e l’elmetto d’acciaio col sottogola ab-bassato per smantellare i blocchi stradali, per disperdere i manifestanti, cioè contadini ed operai, ragazze e bambini, donne e stu-denti tutti lì intorno e nei pressi del blocco stradale appena fuori Avola.

Lanci di pietre dai manifestanti, bombe lacrimogene dalla polizia ma il vento getta il gas sui poliziotti e succede il finimondo.

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”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva epiacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva e la cronaca è morta. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore,la cronaca è morta. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento antiche è un vecchio militante del movimento antimafia: ma forse non siamo d'accormafia: ma forse non siamo d'accordo. La storia èdo. La storia è un insieme di cronache di tante persoun insieme di cronache di tante persone comuni. E tutte diventano anne comuni. E tutte diventano anch'esse storia, prima o poi.ch'esse storia, prima o poi. ComunComunque, ecco le storie che Elio Camilleri fa girare su internet. Antiche e attualisque, ecco le storie che Elio Camilleri fa girare su internet. Antiche e attualissime, sicilianesime, siciliane

<<Mi piacerebbe tanto tanto che i destinatari "adulti" delle mie "schegge"le facessero leggere ai giovani e che i destinatari "giovani" le facessero leggere agli adulti >>

[email protected]

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Schegge di storia siciliana Schegge di storia siciliana

Più di due chili di bossoli, due morti, de-cine di feriti. Nessun colpevole. Ma chi te-lefonò al Prefetto per bloccare tutto? Ma perché?

Le prime risposte arrivarono appena un anno dopo da Piazza Fontana, il 12 dicem-bre 1969.

GRAFFITI DAL BRACCIODELLA MORTE

Garibaldi era già in Sicilia e la Sicilia era in fermento a seguito della promessa della concessione delle terre demaniali e a causa dell’offensiva dei borghesi e dei latifondisti che l’avevano resa inattuabile. Verga ci de-scrisse i fatti di Bronte, Consolo quelli di Alcara li Fusi.

Ad Alcara il 17 maggio 1860 la popola-zione insorse: era domenica e dopo la mes-

sa la piazza si riempì di gente che inneggia-va a Garibaldi e al Re, urlando contro i “cappeddi”, che si erano opposti alla con-cessione delle terre. Assalirono il circolo dei “civili” e fu il finimondo.

Undici morti tra i “civili” e condanne a morte per 12 rivoltosi che lasciarono sui muri del carcere la loro testimonianza sulle cause della rivolta:

PROPRIETARI DI TERRE ALLODIALI / PEZZI GROSSI DENTRO LA DECURIA / PARROCHI E CIVILI / S’APPROPIARO DI TERRE COMUNALI / IO FORA DI TUTTO / CHE PURE AVEA DIRITTO / COME TUTTI GLI ALTRI GALANTO-MINI / FORA TUTTI I POVERI VILLANI / AIZZAI GLI ALCARESI A RIBELLARSI/ AH MALE PER NOI / NESSUNO PIU’ BUONO / DI FERMARE LA FURIA / DEI LUPI SCATENATI / ADDIO ALCARA / CHIEDO PERDONO

A TUTTI / ADDIO MONDOLasciarono l’incontenibile bisogno di

vendetta per intollerabili soprusi:IL VERNO CHE CI FU LA

CARESTIA / DEBITI PER SFAMARE SETTE BOCCHE / AL BANDO MI MAN-DARONO A FLORESTA / DON GNAZIO PROFESSORE FIGLIO DEL NOTARO / INGANNO’ MIA FIGLIA / SCANNAI CON QUESTE MANI / CAZZO E CO-GLIONI IN BOCCA / QUELLO INFAME

Lasciarono il segno della profonda delu-sione:

“PORCA LA TALIA / PORCO LO RE / E PORCO GARIBARDO / GIUDA DI COLONNELLO CHE CI DISARMO’ / VIVA LO POPOLO / VINDITTA SOPRA VINDITTA”

(Le scritte in stampatello sono tratte da V. Consolo. Il sorriso dell’ignoto marinaio. Einaudi. 1976)

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Web e dintorni Web e dintorni

Ma davvero credeteche basti FB a cambiare le cose?“Cambiamo il mondo una persona alla volta”. Un vecchio motto “ingenuo”.“Cambiamo il mondo una persona alla volta”. Un vecchio motto “ingenuo”.Ma funziona. E la rete? Bella, ma da sola non basta se non c'è una rete umanaMa funziona. E la rete? Bella, ma da sola non basta se non c'è una rete umana

C’è stato un momento in cui una parte dell’Italia ha fatto una ribellione silenziosa, in cui, volontariamente o involontaria-mente, si è imposto un modello culturale consumista che rappresentava una rottura con il passato. Se l’Italia del boom eco-nomico aveva ancora un retaggio contadino e operaio, quella degli anni ’80 aveva de-ciso di emanciparsene completamente, rompendo i ponti con la “tradizione”.

Un periodo di completa rottura, un decennio di trasformazioni che dietro una parvenza “sovrastrutturale”, in realtà, hanno cambiato radicalmente la struttura stessa della nostra società.

La grande capacità berlusconiana è stata quella di spostare la produzione di conten-uto dagli ambienti “canonici”: scuole, uni-versità, redazione dei giornali, sedi di partito, parrocchie ai programmi televisivi.

Anche ai tg fu imposta una “spettacol-arizzazione”, ma, anche qui, il solco fu tracciato nella tv pubblica – basti ricordare le imitazioni di Minoli fatte da Guzzanti -.

Il pubblico italiano “bruto e stupido automa adoratore di feticci” trovò in quella televisione il luogo della compensazione, del sogno, del consumismo.

A questo modello, culturalmente e polit-icamente si era opposta, fino a quel mo-mento, una visione “di sinistra” del mondo che aveva tra i suoi punti cardine la solid-arietà e un orgoglio di classe che rendeva impensabile la mercificazione del proprio corpo e di se stessi; e una imprescindibile moralità.

Con gli anni ’80 – e con la caduta del muro – è venuta meno una visione del mondo antitetica al “consumismo laicista” (per dirla alla Pasolini) e la sinistra è rimas-tasenza un modello di riferimento.

L’Italia ha intrapreso così l’unico modello culturale esistente: il consumismo-berlusconiano. I modelli di riferimento sono diventati le veline e i tronisti e il corpo è diventato una merce che, in mancanza del denaro, si utilizza per

raggiungere gli obiettivi che la tv perora.Dall’altra parte: il vuoto. Strade alternat-

ive venivano e vengono percorse alla ricerca di una soluzione immanente, non tenendo minimamente in considerazione il fatto che una cultura (o controcultura) non la si costruisce in un anno o due e che il modello berlusconiano è radicato da ormai trent’anni.

Sono nati, così, movimenti, manifest-azioni, eventi che sono una risposta “sov-rastrutturale” (utilizzo strutturale per in-tendere una produzione e sovrastrutturale un’attività che non produce ma è fine a sé stessa, un’accezione che non è né marxista, né popperiana) che non incidono minima-mente sulla struttura.

La risposta che è adottata (petizioni su facebook, gruppi, flashmob) schiaccia il tutto sull’immanenza, perorando una causa dietro l’altra (attenzione, qui non si parla delle motivazioni o della “giustezza” della causa ma del suo impatto) nell’idea che la società vi risponda come un corpo colpito da un proiettile. Questa confusione nasce a causa della mancanza di percezione tra “spazio e tempo mediato” e “spazio e tempo reale”.

Se nel web il sito del Comune di Napoli è, per l’utente, alla stessa distanza del sito della Mairie di Parigi, così non è nella re-altà. Il tempo, che è funzione dello spazio, diventa, anch’esso tendente a 0 (oppure a infinito).

Si confonde, così, il mezzo di trasmis-sione con il fine. Il succedersi di petizioni, lettere, gruppi crea quello che in comu-nicazione è chiamato: “rumore” ovvero un disturbo – anche la sovrabbondanza di stimoli è un rumore, immaginate una con-versazione telefonica troppo veloce o con troppe voci insieme – che non consente la sedimentazione del processo e la possibilità che questo diventi strutturale. Paradossal-mente queste iniziative sono quanto di più utile ci sia al modello consumistico-ber-lusconiano perché

1. Rafforzano l’in-group (le persone che si riconoscono in quel modello) che si sen-tono “assediate” da un out-group (“comun-isti”, “toghe rosse”, etc…) – un po’ come Mourinho con l’Inter;

2. Creano la percezione che ci sia un mo-vimento compatto mentre non è così (quante persone firmano su Fb e quanti poi realmente si trovano nella realtà?);

3. Creano “rumore” e sovrabbondanza di stimoli;

4. Creano scoraggiamento – un esempio su tutti la petizione di Repubblica sugli os-servatori ONU ai seggi: 507.501 firme che non hanno portato a nulla;

5. Rispondono ad un impero della comu-nicazione con i suoi stessi mezzi;

6. Ci dà la parvenza di aver partecipato.* * *

Tutto questo porta a due risultati:a) Reazioni violente, dettate

dall’esasperazione dell’impotenza. Reaz-ioni che a sua volta sono riusate per il motivo cui al punto 1 (perché Berlusconi non può dire che i magistrati sono disturb-ati mentali e Grillo può gridare Vaffanculo?)

b) Disinteresse. La colpa non è di trent’anni di consumismo mediatico se i giovani non si sentono rappresentati: la colpa non è di Berlusconi. Se la parabola politica di Berlusconi dovesse finire non significa che finirà il suo modello culturale: poiché non siamo stati capaci di costruirne un altro.

La colpa è di chi, svegliandosi un bel mattino senza più base né spazi di manov-ra, ha reagito con gli stessi strumenti che 30 anni di televisione gli avevano dato (qual è la differenza tra un I like su FB e un televoto?). Oppure crediamo davvero che un contromodello si possa costruire urlando più forte di un avversario che ha 5 canali televisivi e svariati giornali e riviste?

Credo che la rete debba ritrovare il suo senso di mezzo di comunicazione e che non vada confuso con la “struttura”.

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Web e dintorni Web e dintorni

E i nobili del web fanno siti da 5 milioniUna cricca usa 27 cococo per un costosissimo portalino diUna cricca usa 27 cococo per un costosissimo portalino dipseudoinformazione. New economy all'italiana (a soldi altrui)pseudoinformazione. New economy all'italiana (a soldi altrui)

La tv è stato il mezzo della “post-mod-ernità” che ha contribuito alla dis-gregazione sociale mentre il web è stato il mezzo che ha ricreato il senso di comunità trasferendolo, troppo spesso, su un piano virtuale, facendo perdere il contatto tra reale e virtuale.

Per circa un decennio sono stato un volontario di un’associazione che ha come mission la creazione della pace attraverso gli scambi tra i giovani di tutto il mondo.

Ogni anno circa 30 mila studenti di 60 paesi vanno all’estero per un periodo della loro vita, ospiti di famiglie e scuole locali.

In questi dieci anni ho visto cinesi imparare la parola “referendum” e americani guardare da un altro punto di vista il proprio paese; italiani diventare europei e Serbi abbracciarsi con Bosniaci. Il vecchio motto dell’associazione era: cambiamo il mondo, una persona alla volta.

Un esempio applicato alla nostra quotidi-anità viene dai fischi a Dell’Utri che l’han-no costretto ad andare via. Credo che un’azione “culturale” sarebbe stata quella di fare volantinaggio per le strade di Como nei precedenti al dibattito, avere un piccolo stand in cui si spiegava chi è questo Sen-atore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, invitare le persone a disertare il dibattito spiegando le ragioni.

Il web, in questo caso (attraverso Face-Book o un sito locale creato appositamente) sarebbe stato uno spazio d’informazione di “rinforzo”: un mezzo per dare più risalto... un mezzo.O crediamo che un gruppo “Non vogliamo Dell’Utri a Como” da solo sarebbe servito a qualcosa?

Non credo che il mondo non si cambi con i flashmob o con i gruppi su FaceBook. Credo che il mondo si cambi agendo nella struttura, sulle persone, una persona alla volta. Credo che le persone cambino se “partecipano”. I Like non ha nulla ha che vedere con la partecipazione...

Francesco PiccininiAgoravox.it

Dopo il lancio del portale radical-chic "Il Post", costato appena un milione di euro, eravamo sempre più disgustati da queste iniziative da pezzenti con bilanci così ridotti. Per fortuna che a risollevare lo stile del web italiano ci ha pensato la nobilità imprenditoriale torinese, che in tempi di crisi ha messo in piedi Lettera43, un sito da CINQUE MILIONI DI EURO.

E questa è l'imprenditoria editoriale italiana, ovvero: speculi in borsa, quando hai scippato i soldi della pensione ai vecchietti spacciando gli investimenti per risparmi li butti nel cesso in qualche iniziativa fallimentare, spargendo soldi agli amici giusti che poi ti garantiscono gli agganci politici utili per continuare ad avere credito presso banche e borse mondiali, in modo che tu possa continuare a gonfiare la tua speculazione fino a quando la bolla non scoppia sotto il culo dei risparmiatori che si affannano in inutili class action, tu chiami la mamma piangendo e dopo aver giocato a fare il liberista coi soldi degli altri ti attacchi alla tetta assistenzialista dei contribuenti per fare una rapina a mano armata allo stato, che ti compra le perdite perché minacci di licenziare un sacco di gente che non va fatta incazzare perché sennò non ti vota più. Poi col ricavato riprendi a giocare alla roulette finanziaria e il cerchio della vita riparte.

Noi invece siamo fatti all'antica, e questa è la ricetta per il sito che state leggendo e la rivista ad esso collegata. Prendi una manciata di risparmi, li investi in una rivista per stampare i primi numeri, ti fai il culo per farla bene, iinizi a lavorare gratis per non dover chiedere prestiti alle mafie bancarie, i lettori ti apprezzano e si abbonano, e innesti un circolo virtuoso fatto di qualità editoriale che ti porta più abbonamenti che ti consentono più qualità editoriale e soprattutto ti consente di retribuire chi ha creduto nel progetto e ci ha lavorato

inizialmente gratis, che potrà recuperare il lavoro investito con gli interessi.

Sì, lo sappiamo, in questo paese la nostra è una strategia fallimentare. Ma che volete farci, noi siamo braccianti del giornalismo, servi della gleba del fumetto, proletari della satira e cialtroni certificati: non abbiamo abbastanza classe per gettare nel cesso milionate di euro sapendo che non rientreranno mai, giusto per affermare e mantenere il nostro status. Per questo tipo di operazioni ci vuole gente col sangue blu, noi non abbiamo abbastanza classe nè nobili origini, e siamo condannati a rimanere con le zappe, pardon con le penne e le matite in mano.

Però noi zappatori dell'informazione sappiamo fare i conti, e se qualcuno ci viene a dire che un investimento da cinque milioni ha un break even di quattro anni con ricavi previsti di 500mila euro all'anno (ammesso che il primo anno tu possa fare una mezza milionata partendo da zero), noi cominciamo a caricare le fionde con pallottolieri dagli spigoli molto acuti, per puntarla sulla testa di chi si è prestato a questa immonda marchetta che insulta l'intelligenza e l'algebra in un colpo solo.

Noi zappatori dei media sappiamo essere anche molto cattivi quando occorre, e il primo autore di Mamma! che verrà sorpreso a scrivere o disegnare gratis sul sito di questi imbroglioni, solo per la masturbazione dell'ego di avere quattro stronzi in più che lo leggono, sarà immediatamente crocifisso in redazione, e metteremo i suoi organi all'asta su Ebay. Se avete le palle e siete consapevoli del vostro valore, non gettatevi sulle vetrine più gettonate per saltare come guitti da un carrozzone all'altro, ma puntate su un progetto onesto e dimostrate che grazie a voi le statistiche di un sito possono decollare.

Ulisse Acquavivamamma.am

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Campania Campania

Vesuvio, sospesala seconda discarica

Notti di guerra a BoscorealeNotti di guerra a Boscoreale

“Una rotonda sul male”, dice uno dei tanti cartelli di protesta che delimitano il perimetro della rotonda di via Panoramica, alle porte di Boscoreale.

Siamo a circa ottocento metri in linea d’aria dalla discarica Sari, che sta inghiot-tendo in questi giorni tutti i rifiuti indiffer-enziati di Napoli e provincia; la strada d’accesso è sigillata da una sessantina di uomini in divisa, spalleggiati da una cami-onetta a breve distanza oltre che da numer-osi altri mezzi che si intravedono più lontano.

L’altro punto di accesso alla discarica, dal lato di Terzigno, è ugualmente bloccato, anzi è ancora più difficile da raggiungere dopo gli ultimi scontri, tuttora testimoniati dagli scheletri dei sette autocompattatori bruciati sulla strada che viene da Palma Campania.

A Boscoreale è un sabato sera come un altro, e molte delle famiglie che abitano nei paraggi, insieme ai residenti dei paesi limitrofi – Boscotrecase e Terzigno in primis, ma anche Ottaviano, San Giuseppe, Sant’Anastasia – si ritrovano alla rotonda di via Panoramica per passare il tempo.

Ogni cosa è al suo posto: polizia e cara-binieri schierati in tenuta antisommossa chiudono l’accesso a via Zabatta, le troupe della televisione fanno a cadenza periodica le loro interviste, c’è chi chiacchiera dav-anti alla tenda della protezione civile o nei gazebo montati affianco, chi si scalda dav-anti a un fuoco improvvisato i cui fumi ag-giungono un aroma di brace alla puzza che viene dalla discarica poco sopra e che già da sola prende sufficientemente lo stomaco.

«Bisognerebbe fare un po’ per ciascuno, non è che noi ci dobbiamo tenere tutta la puzza e gli altri niente, che fratelli d’Italia siamo sennò?», argomenta un signore dav-anti alla tenda della protezione civile, belvedere a pochi passi dallo schieramento delle forze armate.

«Noi siamo al sessanta per cento, perchè non la fate pure voi a Napoli?», mi domanda un altro anziano residente di Boscoreale, «il comune più colpito dalla discarica, siamo i più vicini».

È qui che è partita la protesta, solo «quando la puzza è diventata troppo forte», spiega il primo, un uomo di mezza età; «qualche settimana fa abbiamo fatto una grande manifestazione e in quel caso ci hanno fatto passare, pure perché ci stavano le femmine e ‘e criature davanti. L’altro giorno invece un gruppo di poliziotti ha fatto un giro per passare dietro alla rotonda e si sono persi. D’altra parte pure loro sono operai, mica eroi. Bisognerebbe trovare un altro modo per fermare il passaggio dei camion, che non sia il solito scontro frontale: bloccare autostrade o snodi fer-roviari».

Alle sette e mezza qualcosa comincia im-provvisamente a muoversi – arrivano i camion, dice qualcuno. Da lontano si sen-tono le sirene e si comincia a intravedere una lunga fila di lampeggianti blu. Ci fer-miamo al margine della strada, insieme agli altri, mentre transitano per la rotonda scomparendo nella direzione proibita. Provo a contarli: uno, due, cinque, dieci, venti, cinquanta.

Perdo il conto, sopraffatta dal numero di volanti, jeep e blindati di forze variegate che mi sfilano davanti, un’invasione spro-positata di forze armate che costringe anche il più tardo degli spettatori a rendersi conto che l’ambientazione è bruscamente cambi-ata rispetto a pochi chilometri più in basso: dallo stato di diritto all’abuso di potere armato uno pensa sempre, ingenuamente, che ci sia bisogno di una transizione form-ale – un trattato di guerra, una formalizza-zione di conflitto tra forze nemiche.

I nemici in questo caso, gli abitanti di Boscoreale e comuni adiacenti, assistono impotenti e per lo più silenziosi alla sfilata.

Una signora che mi sta davanti ammonisce i due figli: «Mi raccomando state zitti, state buoni, se ce ne stiamo qua fermi non ci possono fare niente». Ma dopo il passaggio delle prime volanti non riesce a contenersi, e accompagna tutto il transito del corteo funebre, fino all’ultima camionetta, con be-stemmie e maledizioni, inveendo contro ognuno dei singoli uomini che passano sui sedili, già con i caschi in testa, appellandosi in ultimo, sfinita, alla loro coscienza di padri.

Finito il transito si cerca di fare qualche conto: «Facciamo una media di otto per mezzo, per cinquanta, fa quattrocento. E io pago!», cerca di sdrammatizzare un signore col figlio affianco, che a metà tra lo sbigot-tito e l’eccitato gli chiede: «Ma ne arrivano ancora?».

Dopo circa un’ora si assiste al cambio della guardia: questa volta i mezzi escono dalla zona proibita per tornarsene verso Torre Annunziata e poi chissà dove, e il loro allontanamento è accompagnato questa volta da applausi e fischi liberatori.

«Neanche se fossimo i peggiori terroristi, manco in Iraq», si sfoga una signora. «La cosa peggiore è la guardia forestale: se vuoi rifarti la casa o se tocchi un rametto di pino o una pietra vulcanica nel parco del Vesu-vio sei un criminale, ma ora stanno difendendo una discarica». Il paragone con i conflitti mediorientali è piuttosto diffuso alla rotonda di via Panoramica: «Sono stato nell’ultima guerra in Libano – racconta un fotografo -, la differenza è che certo qui non ti sparano. Ma la tensione mi sembra insopportabile. L’altro giorno un elicottero della forestale è rimasto non so quanto tempo sulle nostre teste a monitorare la situazione, veramente inquietante. I primi giorni l’atmosfera era vitale, c’erano as-semblee, mostre, proiezioni. Da lunedì per lo meno una carica al giorno, per quanto tempo potranno andare avanti così?».

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Campania Campania

Cala la sera e comincia a concretizzarsi la certezza degli scontri che, ne sono tutti certi, non mancheranno anche stanotte. Mentre stiamo a parlare arriva la signora che inveiva poco prima contro i blindati, e offre a tutti i mandarini del suo orto: «Sono di Torre Annunziata, di origine croata vera-mente – racconta con un leggerissimo ac-cento straniero – ma sto qua tutte le sere. Ieri notte c’è stata veramente la guerra, i ragazzi di qua hanno attaccato la polizia con i fuochi d’artificio, glieli hanno sparati contro messi al contrario e quelli sono stati presi alla sprovvista, si toglievano il casco e piangevano come bambini, mi hanno fatto compassione».

Molti descrivono gli scontri di venerdì notte come “cose mai viste”. «Conoscevo gli abitanti di Terzigno come buoni cam-pagnoli, con un accento tendente all’avel-linese, ma negli ultimi giorni, dopo l’inizio delle cariche, sono nate vere e proprie squadre armate», mi dice un amico origin-ario del posto. La voce che corre è che lo zoccolo duro di queste bande siano abitanti di quello che qui chiamano “Piano Napoli”, una zona dove sono stati trasferiti residenti del napoletano dopo il terremoto del 1980. Ma certo non possono fare tutto da soli.

Intanto si aspetta che arrivino i rapp-resentanti della protesta e i sindaci convoc-ati in prefettura a Napoli per un incontro

con Bertolaso. Già verso le nove si dif-fonde l’informazione lanciata dalle agenzie e confermata da telefonate ai presenti all’incontro: l’apertura della seconda cava, la Vitiello, sarebbe stata “congelata”.

Quando arrivano finalmente i portavoce, intorno alle undici e mezza, spiegano qual è la proposta del capo della protezione civile: la discarica non verrà utilizzata per tre giorni, verrà parzialmente bonificata e poi tornerà a essere riempita con i soli rifiuti dell’area vesuviana, niente più da Napoli, per un arco di tempo maggiore di quello stabilito finora, circa due anni; l’apertura della cava Vitiello intanto sarà sospesa. In cambio, stop immediato alle proteste e campo libero agli autocompattatori.

È una proposta che sa da subito di ricatto neanche particolarmente velato, e viene ac-colta con ben poco entusiasmo.

«Continueremo finchè non chiuderanno la discarica e andranno via una volta e per sempre!», dicono ai microfoni dell’assemblea.

«Qua ci vuole solo la guerra», commenta lugubre uno dei partecipanti. D’altra parte sono tutti ben consapevoli di aver già visto questa scena: «Stiamo trattando con gli stessi personaggi di tre anni fa, Berlusconi e Bertolaso, che alla fine decisero per la discarica nel parco. Non andremo a casa stavolta». Verso mezzanotte e mezza arriva

il sindaco, che legge ufficialmente il docu-mento emerso dall’incontro, in un clima di «crescente contestazione alimentato da un gruppo di facinorosi», dirà più tardi.

La discussione continuerà stamattina, prima o dopo la manifestazione che vedrà sfilare ancora una volta tutti gli abitanti dei comuni circostanti.

È ormai l’una, e la popolazione della ro-tonda continua a cambiare in maniera lenta e graduale, ma sempre più evidente.

Sul versante che porta all’entrata di Boscoreale si concentra un numero cres-cente di giovani e giovanissimi a volto coperto e non solo da mascherine e fazzo-letti per combattere l’aria irrespirabile.

La tensione continua a salire, tutti rim-angono fermi ad aspettare qualcosa di inev-itabile, noto e previsto, leggendone tutti i segnali.

Davanti al cordone di polizia spariscono i gruppetti che poco prima, in un’atmosfera del tutto surreale suonavano la chitarra davanti al fuoco; le mamme e le persone più anziane si allontanano.

Parte un fischio, poi un altro, poi un altro ancora, è il segnale: scoppiano i primi petardi e i fuochi illuminano di rosso la rotonda, dando inizio a un’altra notte di guerra a Boscoreale.

Viola SamelliNapoli Monitor

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In questo Stato In questo Stato

Un cartelloa Dorno(Pavia)

E ora c'è purePiazza Hitler

A voi, che mi chiamate antisemita tutte le volte che critico l'occupazione israeliana e vorrei riconoscere ai palestinesi lo stesso diritto al ritorno e all'autodeterminazione riconosciuto agli israeliani;

A voi, che dipingete ogni critica alle poli-tiche del governo israeliano come una ne-gazione del suo diritto all'esistenza;A voi, che festeggiate le Giornate della Me

moria con enfasi, ma dimenticando mezzo milione di rom uccisi assieme agli ebrei;

A voi, che siete sempre pronti a bollare di antisemitismo perfino le Nazioni Unite e chi rivendica l'applicazione delle loro riso-luzioni;

A voi intellettuali, benpensanti, editoriali-sti e opinionisti della sinistra al caviale e della destra filoisraeliana finché conviene,

rivolgo questa semplice domanda:Dove siete adesso che hanno inaugurato

piazza Adolf Hitler a Dorno, in provincia di Pavia?

E perché ho dovuto scoprirlo per caso da un mio contatto Facebook anziché leggere editoriali indignati?

Si attende una cortese risposta.Ulisse Acquaviva

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